I fratelli Franz e Ferdinand Bauer furono forse i più grandi pittori botanici della prima metà dell'Ottocento. Il loro destino fu allo stesso tempo parallelo e divergente. Divisi da appena due anni d'età, furono educati alla pittura e alla botanica dallo stesso maestro e per qualche anno lavorarono fianco a fianco alla stessa opera, poi, dopo un passaggio a Vienna, entrambi si trasferirono in Inghilterra. Ma a questo punto i loro destini avevano già preso una piega diversa. Franz, il sedentario, divenne il primo pittore ufficiale dei Kew Gardens, dove andò anche ad abitare; mutò il suo nome in Francis e non si mosse più dall'Inghilterra; si specializzò nel dipingere i più minuti particolari delle piante osservati al microscopio, fornendo un inestimabile aiuto ai botanici di Kew. Socievole e ben inserito nella società scientifica, ottenne riconoscimenti come l'ammissione alla Royal Society. Ferdinand, il viaggiatore, accompagnò Sibthorp in Grecia e in Asia minore, quindi si unì alla spedizione Flinders; non solo pittore, ma anche appassionato raccoglitore di piante, dopo lo scioglimento della spedizione rimase in Australia, continuando le raccolte sia con Robert Brown, sia da solo. Disegnò moltissimo e perfezionò un codice numerico dei colori per cogliere le mille sfumature della natura australiana. Di ritorno in Inghilterra, quei numeri permettevano di trasformare gli schizzi in acquarelli di stupefacente precisione e verità. Era un lavoro quasi maniacale che lo assorbiva totalmente, ma nel suo perfezionismo destinato al fallimento commerciale. Negli ultimi anni della sua vita, preferì tornare in Austria dove divise il suo tempo tra la pittura e le escursioni alla ricerca di piante alpine. Nonostante con lui l'arte dell'illustrazione botanica abbia raggiunto il vertice, dopo la sua morte fu presto dimenticato. A ricordare i due fratelli, così simili e così diversi, provvede il bel genere australiano Bauera, voluto da Banks che li stimava in egual modo e in un certo senso fu lo sponsor di entrambi. ![]() Diagnosi al microscopio Abbiamo già incontrato il pittore Ferdinand Bauer (1760-1826) come validissimo membro dell'équipe scientifica dell'Investigator. Per conoscerlo meglio dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e spostarci nella Bassa Austria, nella cittadina di Feldsberg (oggi Valtice, nella Repubblica ceca), uno dei feudi del principe di Liechtenstein. Ferdinand era il più giovane dei figli del pittore di corte Lucas che morì quando egli non aveva ancora due anni. C'erano altri due fratelli: Joseph Anton, di sei anni, e Franz Andreas (1758-1840), di quattro. La madre Theresia li fece educare alla pittura, quindi li affidò a padre Boccius, il priore del convento dei Fratelli della misericordia, che era anche un medico e un reputato botanico. Mentre il fratello maggiore, raggiunta l'età adulta, divenne a sua volta pittore di corte dei Lichtenstein, i due minori ancora adolescenti sotto la guida di Boccius iniziarono a lavorare al grandioso Codice Liechtenstein; in quattordici volumi, richiese vent'anni di lavoro e comprende oltre 3100 acquarelli botanici, metà dei quali furono dipinti da Franz e Ferdinand Bauer. Padre Boccius insegnò ai due ragazzi che il segreto dell'arte botanica sta nell'osservare i soggetti nei minimi dettagli, per poi ritrarli con precisione, verità e grazia. Grazie a questo apprendistato i due giovani appresero alla perfezione le tecniche del disegno e del colore, tanto da attirare l'attenzione di Nikolaus von Jacquin, il direttore dell'orto botanico dell'Università di Vienna, egli stesso un ottimo disegnatore, che impiegò prima Ferdinand poi anche Franz per i disegni di Icones plantarum rariorum (1781-1793). Da lui i due fratelli appresero la classificazione linneana e l'uso del microscopio. Ferdinand prese anche lezioni dal celebre pittore paesaggista Johann Christian Brand. Ben presto però von Jacquin perse i due migliori illustratori della sua scuderia. Il primo a partire fu Ferdinand nel 1786 (ma su di lui torneremo più avanti). Nel 1788 partì anche Franz, come accompagnatore del neo laureato Joseph Franz von Jacquin nel suo grand tour attraverso l'Europa. A Londra il giovane von Jacquin presentò Bauer a Joseph Banks, che, ammirato dalla sua maestria, riuscì a farlo assumere come primo pittore ufficiale dei Kew Gardens con un salario annuo di 300 sterline. Il pittore austriaco inglesizzò il suo nome in Francis, si stabilì a Kew, mantenendo quell'incarico fino alla morte, per oltre quarant'anni. Assai apprezzato da Giorgio III, fu insignito del titolo di "pittore botanico di sua maestà" e incaricato di impartire lezioni di pittura alla regina Carlotta e alle sue figlie, la più talentuosa delle quali era la principessa Elizabeth. Nel corso della sua lunga attività ai Kew Gardens, il maggiore dei Bauer ebbe modo di disegnare e dipingere centinaia di piante giunte da tutto il mondo; anche se amava dipingerle anche a figura intera, raggiunse una perfezione senza rivali nel ritrarre i particolari più minuti osservati al microscopio, uno strumento diagnostico senza pari per i molti botanici con i quali collaborò. Tra le opere che illustrò, in ordine cronologico, possiamo citare il catalogo del giardino Hortus Kewensis (con testi di Dryander e Aiton, 1789); il florilegio Delineations of Exotick Plants cultivated in the Royal Garden at Kew (1791-1801), con molte delle piante portate dal Sudafrica da Masson; Strelitzia depicta, ordinatogli da Banks (1818); The genus and species of orchidaceous plants di Lindley (1830-1838), forse il suo capolavoro assoluto (le orchidee erano senza dubbio il gruppo di piante preferite sia del botanico sia del pittore); Genera filicum di William Jackson Hooker (1842), al quale impartì anche lezioni di disegno. Socievole e ben inserito nell'ambiente scientifico, Franz Bauer divenne membro della Royal Society e alla sua morte fu sepolto nella cappella di St. Anne a Kew. Di lui possediamo anche un ritratto, che ci restituisce il volto di un uomo aperto e simpatico. ![]() Dipingere con i numeri Neanche uno schizzo ci ha invece tramandato i tratti di Ferdinand, il fratello viaggiatore. Nel 1786 (all'epoca egli aveva ventisei anni ed era un pittore botanico professionista da almeno dieci) incontrò il suo coetaneo John Sibthorp, professore di botanica di Oxford, venuto a Vienna per esaminare uno dei più preziosi manoscritti della biblioteca imperiale, ovvero il celebre codice di De materia medica noto come "Dioscoride di Vienna". Sibthorp ne fu così affascinato da decidere immediatamente di mettersi in viaggio alla volta della Grecia e dell'Asia Minore per cercare di identificare in loco le piante descritte dal medico greco. Su suggerimento di Boccius e von Jacquin propose a Bauer di accompagnarlo come "suo disegnatore". Il pittore accettò e a marzo i due partirono per Napoli, dove si imbarcarono per Creta, con uno scalo a Milo. Dopo aver toccato diverse isole egee, visitarono Atene, quindi passarono a Smirne; trascorsero l'inverno a Costantinopoli, dove furono raggiunti dal cognato di Sibthorp, John Hawkins, con il quale nella primavera esplorarono Cipro e altre isole dell'Egeo. La minaccia di una guerra con la Russia e lo scoppio di un'epidemia li dissuase dall'esplorare la Grecia continentale; poterono però visitare una seconda volta Atene, poi l'Eubea, Delfi (con una scalata che mise a dura prova la loro resistenza), il Monte Athos, Tessalonica, Corinto, Patrasso; qui a settembre si imbarcarono per l'Inghilterra, dove giunsero a dicembre. Sia Sibthorp sia Bauer erano lavoratori ossessivi, e impressero alle loro ricerche un ritmo forsennato. Di solito il mattino era dedicato alle raccolte, con il professore che interrogava le persone del posto per cercare di identificare le piante di Dioscoride, il pomeriggio riservato al lavoro sugli esemplari. Dovendo fissare sulla carta una grande quantità di piante (ma anche animali e paesaggi), Bauer perfezionò un sistema che aveva già sperimentato con suo fratello a Feldsberg, quando disegnavano dal vero le piante locali: le forme del soggetto venivano fissate in un rapido schizzo a matita, mentre i colori delle varie pari venivano tradotti in un apposito codice numerico. Il codice che i due fratelli usavano da ragazzi comprendeva circa 140 sfumature; mentre Franz, che poteva lavorare con comodo ai Kew Gardens, lo abbandonò, Ferdinand, che doveva spostarsi in fretta da un luogo all'altro, spesso in condizioni difficili, senza avere a disposizione materiale da pittura adeguato, lo perfezionò, portando i colori usati in Grecia a 273. Va anche aggiunto che doveva occuparsi della preparazione degli esemplari (purtroppo, il professore tendeva a considerarlo più un servitore che un suo pari) e partecipava in prima persona alla raccolta; ad esempio, gli è attribuita la scoperta di Veronica glauca e Salvia candidissima subsp. candidissima. Nel corso dei diciotto mesi del viaggio, il pittore creò oltre mille schizzi di piante, e diverse centinaia di animali e paesaggi. Giunto in Inghilterra, ebbe il piacere di trovarvi il fratello; decise così di rimanere e seguì Sibthorp a Oxford, dove (in parte basandosi sugli esemplari d'erbario, in parte sfruttando la sua incredibile memoria visiva e la sua raffinatissima sensibilità al colore) iniziò a trasformare gli schizzi in spettacolari acquarelli da cui ricavare le incisioni per il grande libro sulla flora greca progettato di Sibthorp, che vi investì tutta la sua fortuna: ognuno gli costava più di un giorno di lavoro, e ne produsse 966. Per completare l'opera con le piante delle zone che non avevano potuto visitare, nel 1794 Sibthorp partì per un secondo viaggio in Grecia. Bauer si rifiutò di accompagnarlo; non si sarebbero più incontrarti: infatti il professore si ammalò di tisi e morì sulla via del ritorno nel 1796, lasciando le sue proprietà all'università di Oxford con il vincolo di pubblicare Flora Graeca. Gli esecutori testamentari e James Edward Smith, cui era stata affidata la redazione dei testi, si trovarono di fronte a materiali così caotici che l'opera richiese decenni per essere completata: il primo volume uscì nel 1806, il decimo e ultimo nel 1840. Ma intanto per Bauer era ormai iniziata un'altra avventura. Dopo la morte di Sibthorp, aveva collaborato con altri botanici, in particolare con Lambert, che gli commissionò il grosso delle illustrazioni di A description of the genus Pinus (il primo volume sarebbe uscito nel 1803, quando Bauer si trovava già in Australia); Ferdinand ne preparò 61, mentre suo fratello Francis 5. Come abbiamo già visto nei precedenti post, nel 1801 su suggerimento di Banks divenne il pittore naturalista della spedizione Flinders, affiancando Brown anche nella raccolta degli esemplari. Con i suoi 41 anni, era il decano della spedizione (sia Flinders sia Brown ne avevano ventisette, l'altro pittore Westall appena diciannove); nutrita dalla medesima passione e competenza, nonché dalla stima reciproca, la collaborazione tra botanico e pittore fu perfetta, e continuò quando nell'agosto 1803 i due decisero di comune accordo di rimanere in Australia per continuare le ricerche. A quella data Bauer aveva già realizzato 1000 disegni di piante e 200 di animali, e ulteriormente perfezionato il suo codice dei colori, che adesso aveva quattro cifre, ovvero comprendeva circa 1000 diverse sfumature. Per qualche mese, i due raccolsero insieme nei dintorni di Port Jackson, finché nel novembre 1803 Brown partì per la Tasmania; qualche tempo dopo, Bauer ebbe l'opportunità di visitare le isole Norfolk, dove rimase otto mesi, creando un erbario di non meno di 152 specie; raccolse anche animali, soprattutto uccelli, e ritrasse 70 specie di piante e 40 di animali. Di questi materiali si servì Endlicher per il suo Prodromus florae norfolkicae, 1831. All'inizio del 1805 gli amici si ricongiunsero a Port Jackson, in tempo per imbarcarsi sul restaurato Investigator, che a maggio salpò alla volta dell'Inghilterra con il prezioso carico delle loro raccolte e disegni. Questi ultimi ormai superavano i 2000. Il viaggio fu tempestoso, ma senza gravi incidenti e li riportò sani e salvi a Liverpool. Forse i due si aspettavano una calorosa accoglienza, ma il loro arrivo coincise con i festeggiamenti per la vittoria di Trafalgar (21 ottobre 1805) e passò quasi inosservato. Da quel momento avrebbero lavorato fianco a fianco per quasi dieci anni, uno a descrivere piante e animali, l'altro a dipingerli. Era diventato ancora più minuzioso e perfezionista: ora, per completare una tavola, poteva servirgli anche una settimana. Tanto più che Brown l'aveva iniziato all'arte della dissezione degli esemplari, e quindi c'erano da dipingere anche i particolari più minuti. Purtroppo il loro principale sponsor, ovvero Joseph Banks, per quanto ricco, non lo era abbastanza da sobbarcarsi l'impresa di pubblicare la loro costosissima opera. Brown si rassegnò a pubblicare il suo Prodromus floræ Novæ Hollandiæ et Insulæ Van-Diemen senza figure, ma l'opera fu un tale fiasco che ne vendette solo venticinque copie. Ancora peggio andò a Bauer: era così perfezionista che, dopo aver cercato inutilmente di trovare un incisore e un pittore per dipingere a mano le tavole stampate, non ne trovò nessuno secondo lui all'altezza, e si rassegnò a fare da sé. Riuscì a produrre solo tre fascicoli di Illustrationes Florae Novae Hollandiae (1806-1813), che vendettero anche meno. Fu una delusione tale per Bauer che decise di lasciare l'Inghilterra e di tornare in Austria. Grazie ai buoni emolumenti ottenuti dall'ammiragliato, poté acquistare una piccola casa nel sobborgo viennese di Hitzing e qui visse fino alla morte, a parte un breve viaggio a Londra nel 1819 per salutare il fratello. I suoi "clienti" però rimasero soprattutto inglesi: mentre i volumi dell'immensa Flora Graeca continuavano ad uscire, con le illustrazioni che aveva dipinto negli anni di Oxford, illustrò il secondo volume di A Description of the Genus Pinus (1824) di Lambert, Digitalium Monographia di Lindley (1821) e collaborò anche con Endlicher per Iconographia Generum Plantarum (Vienna, 1833). La maggior parte dei suoi disegni e dei suoi acquarelli rimase però inedita, e oggi è conservata in parte al British Museum of Natural History di Londra, in parte al Naturhistorische Hofmuseum di Vienna, in parte all'università di Göttingen. Negli ultimi anni della sua vita (morì sessantaseienne nel 1826) non dimenticò la passione per la botanica, alternando alla pittura le escursioni sulle Alpi. Purtroppo i suoi disegni sulla flora alpina sono tra quelli rimasti inediti. ![]() Il genere Bauera Su suggerimento di Joseph Banks, nel 1801 Andrews creò il genere Bauera per omaggiare i fratelli Bauer, Franz già celebre e noto al pubblico inglese per le sue immagini di piante sudafricane, Ferdinand quasi sconosciuto visto che nessuna della sue opere era già stata pubblicata. Si tratta di un piccolo genere endemico dell'Australia (famiglia Cunoniaceae) che comprende tre specie di arbusti da prostrati a eretti, con foglie trifogliate disposte in coppie opposte e fiori da bianchi a rosa a coppa che ricordano quelli delle rose canine, da cui il nome comune Dog Rose. La più nota è B. rubioides, endemica dell'Australia orientale, diffusa nelle aree costiere dal Queensland sudorientale alla Tasmania, per lo più in zone umide e ombrose. Forma fitti cespugli tappezzanti ed è molto apprezzata come pianta da giardino. B. capitata è invece diffusa nelle zone costiere dal Queensland sud-orientale a Port Hacking nel Nuovo Galles del Sud, mentre B. sessiliflora è endemica della regione dei Grampiani del Victoria.
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Non è opportuno assumere una donna per questo scopo: Mary Agnes Chase ovvero una storia di genere31/3/2022 Ancora all'inizio del Novecento e anche negli Stati Uniti, sebbene le ragazze che si iscrivevano alle facoltà scientifiche fossero sempre più numerose, non era facile per loro fare ricerca; se riuscivano ad entrare in questa o quella istituzione, accedere ai finanziamenti era molto più difficile che per i colleghi maschi. Se poi non avevano neppure una laurea, le cose si complicavano ulteriormente. Per la botanica, la porta d'accesso più praticabile continuava a rimanere l'illustrazione, un settore in cui la presenza femminile era ormai sdoganata da tempo. Fu questa la strada percorsa dall'autodidatta Mary Agnes Chase che, grazie ad alcuni incontri fortunati, ma soprattutto a una tempra eccezionale riuscì a superare tutti gli ostacoli di genere e ad affermarsi come uno dei botanici più importanti del suo campo, l'agrostologia, ovvero lo studio delle graminacee. Animata da una forte coscienza sociale, non concepì la sua battaglia come una questione individuale, ma politica: ecco perché fu in prima fila nel movimento suffragista e non fece mancare il suo sostegno alle ragazze che intendevano seguire le sue orme. Esperta di graminacee di valore mondiale, è ricordata da ben tre piccoli generi di Poaceae: Agnesia, Chasechloa e Sinochasea. ![]() Come un'illustratrice divenne botanica Tra i 27 milioni di visitatori della Fiera Colombiana di Chicago del 1893, organizzata per celebrare i 400 anni dalla scoperta dell'America, c'erano anche una giovane donna e un ragazzo: Mary Agnes Chase (1869-1963) e Virginius Heber Chase (1876-1966), rispettivamente zia e nipote. A stupirli ed emozionarli furono soprattutto le collezioni botaniche, tanto che decisero di iniziare ad esplorare la flora dei dintorni della città. Mary Agnes aveva solo ventiquattro anni, ma aveva già alle spalle una vita difficile. All'età di due anni perse il padre, Martin Meara, un fabbro di origini irlandesi che lavorava per le ferrovie, e andò ad abitare a Chicago dalla nonna materna con la madre e i quattro fratelli. La famiglia era molto povera, e finita la scuola di base, dovette lavorare per contribuire al bilancio familiare. Trovò lavoro come tipografa e correttrice di bozze allo School Herald , una modesta rivista destinata agli insegnanti rurali, diretta da Willam Ingraham Chase; nonostante la notevole differenza d'età (lei aveva diciotto anni, lui trentaquattro) i due si innamorarono e presto si sposarono. Ma William era ammalato di tubercolosi e entro un anno morì, lasciando Mary Agnes vedova e oberata di debiti. Per tirare avanti, di notte lavorava come correttrice di bozze per il Chicago Inter Ocean e di giorno dava una mano nell'emporio del cognato, dove strinse una grande amicizia con il nipote Virginius. Sempre più affascinato dalla botanica, il ragazzino leggeva tutto quello che poteva sull'argomento e cominciò a trascinare la zia nelle sue scorribande. Raccoglievano piante, prendevano note, essiccavano i soggetti e imparavano a classificarli. Per saperne di più, Mary Agnes decise di seguire corsi aperti di botanica all'Università e al Lewis Institute, dove imparò a disegnare le piante. La botanica per ora era solo un hobby, qualche ora di pausa in una difficile vita di lavoro e di fatica. Durante un'escursione, un primo incontro fortunato cominciò a cambiare la sua vita: quello con un altro appassionato, il pastore presbiteriano Ellsworth Jerome Hill, che, ormai in pensione, poteva dedicare parecchio tempo alla raccolta e allo studio delle sue piante preferite, i muschi e le epatiche. Hill incoraggiò Chase a perseverare, le insegnò le basi della tassonomia e l'uso del microscopio e le chiese di illustrare (gratis) i suoi numerosi articoli. Queste illustrazioni, molto classiche per impostazione e notevoli per la precisione dei dettagli, attirarono l'attenzione di Charles Frederick Millspaugh, curatore di botanica del Field Museum of Natural History, che le chiese di illustrare (sempre a titolo gratuito) due pubblicazioni dell'istituto: Plantae Utowanae (1900) e Plantae Yucatanae (1904). Nel frattempo, la pratica del microscopio aveva permesso a Chase di trovare un lavoro meglio pagato nei laboratori di controllo dell'industria conserviera. Ma per lei era ora che la botanica da hobby si trasformasse in professione; sempre su suggerimento di Hill, nel 1903 presentò la sua candidatura come illustratrice botanica al Dipartimento di agricoltura (USDA). Vinto il concorso, si trasferì a Washington e per due anni lavorò alla Divisione delle piante da foraggio. Nel 1905 un secondo incontro fortunato impresse la svolta definitiva alla sua vita: il suo capo divenne Albert Spear Hitchcock, un botanico specializzato in agrostologia (ovvero lo studio delle graminacee). Egli apprezzò il suo talento e decise di farne la propria allieva e la propria assistente (lo divenne ufficialmente nel 1907). Chase cominciò così ad abbandonare gradualmente l'illustrazione a favore dello studio scientifico delle piante, accompagnando Hill anche nelle sue spedizioni sul campo in varie parti degli Stati Uniti. Il primo frutto di questa collaborazione, che sarebbe durata trent'anni, furono due lavori a quattro mani sulle specie statunitensi del genere Panicum (1910 e 1915). Nel 1911 Hill partecipò alla ricognizione botanica di Panama finanziata dallo Smithsonian; al suo ritorno, chiese che i 54 $ che aveva risparmiato fossero assegnati a Mary Agnes Chase per continuare le ricerche. La risposta dello Smithsonian fu un netto rifiuto: "Spiace dire che non posso raccomandare di inviare la signora Chase nella Zona del Canale, sia perché dubito che la somma menzionata sia sufficiente sia perché dubito dell'opportunità di assumere una donna per questo scopo". Allo stesso modo, la stazione di Barro Colorado (che pure Chase aveva contribuito a installare) rifiutò l'accesso alle donne. Per Mary Agnes fu chiaro che non si trattava di una questione personale, ma politica. Fu così che, senza lasciarsi intimorire dalle conseguenze di questa scelta per la sua carriera, si impegnò attivamente nel movimento suffragista. Nel 1915 fu arrestata una prima volta mentre, insieme ad altre donne, manteneva acceso un falò dei discorsi di Wilson che contenevano le parole freedom e liberty (somma ipocrisia finché non c'era libertà per le donne). Nel 1918 fu tra le attiviste (le Silent Sentinels) che picchettarono la Casa bianca per ricordare al neoeletto Wilson la promessa di sostenere il suffragio femminile; arrestata e incarcerata, partecipò allo sciopero della fame che guadagnò al movimento il sostegno di parte dell'opinione pubblica e costrinse l'amministrazione a rilasciare le donne arrestate. Per le sue posizioni "incompatibili per un dipendente dello stato" rischiò anche il licenziamento; a salvarle il posto fu Hitchocock che dichiarò che gli era impossibile continuare le sue ricerche senza di lei. ![]() Viaggi e pubblicazioni della "signora delle graminacee" Non era un'esagerazione. Il programma di ricerca dei due botanici era niente meno che la mappatura di tutte le graminacee delle Americhe e dopo gli Stati Uniti intendevano estendere le loro ricerche all'America latina. Non potendo attingere a finanziamenti pubblici, Chase (abituata fin da bambina a vivere frugalmente) finanziò autonomamente i suoi primi viaggi e anche più tardi si appoggiò su organizzazioni e missioni femminili, a proposito delle quali scrisse: "I missionari viaggiano ovunque e come i botanici lo fanno spendendo il meno possibile". A partire dal 1906, dedicò molto del suo tempo libero a viaggi negli Stati Uniti (ne visitò ben 19) e nel Messico. Tutti autofinanziati, benché il suo stipendio fosse nettamente inferiore a quello dei colleghi maschi. Nel 1913 poté trascorrere diversi mesi in Porto Rico dove tra l'altro scoprì una nuova specie di felce; le sue raccolte di graminacee confluirono nel 1917 in Grasses of the West Indies, scritto in collaborazione con Hitchcock. Nel 1922 pubblicò il suo primo libro, illustrato da lei stessa, First Book of Grasses: The Structure of Grasses Explained for Beginners. Come è evidente dal sottotitolo, si rivolge non a botanici professionisti bensì "a studiosi seri ma dilettanti". Lo stesso anno partì per il suo primo viaggio in Europa, nel corso del quale visitò diversi erbari, tra cui quelli di Pisa e Firenze e l'Hackel Herbarium del Museo nazionale di Vienna, dove poté collaborare con Hackel alla raccolta di graminacee alpine. Anche grazie al successo del suo libro, nel 1923 fu promossa botanica assistente e nel 1925 botanica associata. Nel 1924, con il finanziamento di diverse organizzazioni, tra cui l'USDA e il Field Museum di Chicago e l'appoggio logistico delle missioni femminili, Chase partì per il Brasile. Incontrò i colleghi dell'orto botanico di Rio de Janeiro Paulo de Campos Porto e María de Carmo Bandeira, quindi per sei mesi percorse il Brasile orientale in treno, in autobus, in automobile, a dorso d'asino, a piedi, raccogliendo più di 500 nuove specie di graminacee e 19.000 altri esemplari. Insieme a Maria Bandeira, scalò persino il monte Itatiaia (erano le prime donne a farlo), da cui discesero "con le gonne piene di esemplari". Nel 1929, tornò in Brasile per una seconda spedizione di un anno. Nel 1935 uscì il magnum opus di Hitchcock, Manual of the Grasses of the United States, a cui le ricerche di Chase avevano dato un contributo decisivo. Ma nel dicembre di quell'anno il botanico morì all'improvviso sulla nave che lo riportava negli Stati Uniti da un lungo viaggio attraverso gli orti botanici e gli erbari europei. Nel 1936 Chase (che ora aveva 67 anni) le succedette come botanico senior, responsabile del dipartimento di agrostologia sistematica dell'USDA. Nel 1937, fu nominata anche curatrice del settore delle graminacee dell'Erbario nazionale. Nel 1939, andò in pensione, ma mantenne l'incarico all'erbario e continuò a lavorare allo Smithsonian come volontaria. Era ormai riconosciuta come la più importante specialista di graminacee del mondo. Nel 1940 fu invitata in Venezuela dal governo come consulente per un programma di sviluppo; anche se ormai aveva superato la settantina, ne approfittò per continuare le ricerche, raccogliendo 400 taxa di graminacee in ambienti diversi: le Ande, la savana e la foresta pluviale. Come già in Brasile, in Venezuela incontrò molti studenti e studentesse di botanica; per molti di loro, divenne una consigliera, un'amica e non fece mancare loro il suo sostegno concreto, aiutando decine di giovani promettenti ma privi di mezzi a continuare gli studi negli Stati Uniti. Per le ragazze, l'ostacolo era duplice: incoraggiare le giovani donne ad abbracciare la carriera scientifica divenne uno dei principali scopi dei viaggi che nel dopoguerra la videro ancora in America latina, in Canada e nelle Filippine. La sua casa, che soprannominò affettuosamente in spagnolo "Casa contenta", era sempre aperta alle studentesse e alle botaniche che passavano da Washington. Tra di loro la venezuelana Zoraida Luces de Febres (1922–2015), che grazie a lei poté entrare allo Smithsonian; tradusse in spagnolo First Book of Grasses, fu la prima donna venezuelana a laurearsi in scienze naturali e divenne a sua volta un'importante agrostologa. E' solo un esempio dell'impegno personale e politico di Chase per le cause in cui credeva. Oltre ad essere impegnata nel movimento femminista, come membro del Women's Party e della Women's Christian Temperance Union, aderì al Socialist Party, si batté contro la discriminazione razziale aderendo alla National Association for the Advancement of Colored People. Attiva e lucida fino in tarda età, nel 1951 pubblicò la seconda edizione di Manual of the grasses of the United States di Hitchcock. E finalmente anche l'establishment botanico le tributò gli onori che meritava: nel 1956 la Botanical Society of America la premiò con un certificato di merito definendola "uno dei più importanti agrostologi del mondo e preminente tra gli studiosi americani in questo campo"; nel 1958 (aveva appena compiuto 89 anni) ricevette la laurea honoris causa dall'università dell'Illinois e fu nominata membro onorario dello Smithsonian; nel 1961 divenne membro della Linnean Society. Nel 1962, ultranovantenne, in collaborazione con un'altra botanica, Cornelia D. Niles, riuscì ancora a completare il monumentale Index to grass species, in tre volumi. Morì l'anno dopo all'età di 94 anni, poco dopo essersi ritirata in una casa di riposo. Le sue raccolte sono custodite in diversi erbari. L'Hunt Institute for Botanical Documentation di Pittsburg ospita la Hitchcock-Chase Collection of Grass Drawings, una straordinaria collezione che comprende 2713 disegni - per lo più a china - di graminacee raccolti e in parte disegnati da Albert Spear Hitchcock e Mary Agnes Chase. ![]() Un giro del mondo in tre graminacee Alla "signora delle graminacee" non potevano mancare gli omaggi botanici. Le sono stati dedicati ben quattro generi, tre dei quali tuttora validi; non stupisce che tutti appartengano alla famiglia Poaceae. In ordine di tempo (1911), la prima dedica giunse dal sacerdote, chimico e botanico Julius Nieuwland che, nell'ambito di una revisione del genere Panicum, creò Chasea, prendendo le mosse dallo studio su questo genere pubblicato l'anno precedente da Hitchcock e Chase; non valido, è considerato un doppione di Panicum. Con i tre generi validi facciamo un piccolo giro del mondo, segno della reputazione internazionale di Agnes Mary Chase. Iniziamo dal Madagascar, con il genere endemico Chasechloa (1949), omaggio di una delle tante colleghe con cui Chase era in corrispondenza, la francese Aimée Antoinette Camus (che a sua volta, prima di diventare specialista di orchidee, si era occupata di graminacee). Comprende due sole specie, C. egregia e C. madagscarensis, in precedenza assegnate anch'esse al genere Panicum, a cui sono molto affini; tuttavia, le analisi filogenetiche ne hanno confermato l'indipendenza. Sono grandi erbe piuttosto rare limitate alle regioni nord-occidentali dell'isola. La seconda tappa è la Cina, con il genere monotipico Sinochasea (1958), dedica di Yi-Li Keng, uno dei tanti studenti stranieri che poterono giovarsi dell'aiuto della generosa botanica statunitense. Keng, infatti, dopo essersi laureato a Nanchino, si spostò all'università di Washington per la laurea di secondo livello, per la quale scrisse una tesi sulle graminacee cinesi. Come ricorda nella dedica "il nome è una combinazione di Sino, Cina, e Chasea, in onore della sig.a Agnes Chase, la nota agrostologa degli Stati Uniti, che mi aiutò molto nello studio delle graminacee cinesi". L'unica specie, S. trygina, è un'erba dei pascoli alpini della Cina, del Tibet e dei piccoli stati himalayani adiacenti. Concludiamo il viaggio in Amazzonia con un altro genere monotipico, Agnesia (1993). I due autori, l'argentino Fernando Omar Zuloaga e lo statunitense Emmet Joseph Judziewicz, con questa dedica vollero sottolineare quanto utile e ancora attuale fosse (e sia ancora) il lavoro di questa grande botanica: "Il genere è dedicato all'eccezionale agrostologa statunitense Agnes Chase, autrice del monumentalmente completo e utilissimo indice delle specie pubblicate di graminacee. Ancora oggi le sue note manoscritte sugli esemplari e sulle cartelle dell'erbario nazionale statunitense spesso forniscono suggerimenti benvenuti e permettono di risparmiare molto tempo nell'identificazione e nelle relazioni reciproche di molte graminacee". L'unica specie di questo genere, A. lancifolia, è un raro bambù delle foreste umide dell'area amazzonica. Nell'Inghilterra vittoriana c'è una vera e propria esplosione dell'interesse per la botanica e il giardinaggio, alimentato tra l'altro da libri e riviste magnificamente illustrati, dai prezzi relativamente contenuti e accessibili a un vasto pubblico. E' un mercato in crescita, che dà lavoro a molti illustratori che non di rado sono illustratrici. Poche di loro sono ricordate e quasi nessuna ha avuto la ventura di essere celebrata da un genere botanico. Tra le poche eccezioni, la misteriosa miss Drake, che per sedici anni fu la principale collaboratrice dell'indaffaratissimo botanico John Lindley, il "padre dell'orchidologia". Per lui dipinse più di mille tavole, dando il meglio di sé proprio nel ritrarre le orchidee; Lindely dunque non poteva che dedicarle un genere di questa affascinante famiglia, la curiosissima Drakaea. ![]() Un'illustratrice enigmatica Per molte donne britanniche dell'Ottocento occuparsi di botanica è stato un affare di famiglia. Non avevano accesso né all'università né alle istituzioni scientifiche, ma come figlie e mogli di scienziati non solo si trovarono immerse in un ambiente ricco di stimoli, ma spesso vennero coinvolte in prima persona nelle attività scientifiche dei congiunti, raccogliendo esemplari, tenendo in ordine appunti ed erbari e soprattutto disegnando. Il caso più eclatante è quello di quattro generazioni di mogli, figlie, nuore legate alla più illustre famiglia botanica inglese, gli Hooker. La capostipite di questa linea di "botaniche di famiglia" è Mary Dawson Turner (1774-1850), nata Palgrave, un'eccellente ritrattista, che illustrò le opere naturalistiche e antiquarie del marito Dawson Turner, in particolare Synopsis of British Fuci (1802) e Natural History of Fuci (1808-1891), e trasmise il suo talento alle figlie Elizabeth e Maria Sarah (1797-1872). Quest'ultima sposò William Dalton Hooker, raccolse per lui diverse specie di muschi e li disegnò insieme alla sorella. Anche il figlio Joseph Dalton Hooker sposò la figlia di un botanico, Frances Harriet Henslow (1825-1874), figlia del titolare della cattedra di botanica di Cambridge John Stevens Henslow; le conoscenze botaniche della signora Hooker erano ben più di un'infarinatura e le permisero di tradurre dal francese un'opera di alto impegno teorico, il Traité général de botanique di Le Maout e Decaisne, poi pubblicato a cura del marito (A General System of Botany, 1872). A sua volta la loro figlia maggiore Harriet Anne (1854–1945) sposò il botanico William Turner Thiselton-Dyer e divenne un'illustratrice professionista, producendo non meno di cento tavole per il Curtis' s Botanical Magazine diretto dal padre. Il caso non è affatto isolato: si potrebbe continuare citando Jane Wells Webb Loudon, moglie del botanico e architetto del paesaggio John Claudius Loudon, che, iniziata dal marito alla botanica e al giardinaggio, imparò l'arte dell'illustrazione botanica e divenne una prolifica autrice di libri di giardinaggio rivolti specificamente a un pubblico femminile, come il popolarissimo Gardening for Ladies, da lei stessa illustrato; oppure le figlie del botanico Benjamin Maund che dipinsero molte tavole per The Botanic Garden edito dal padre, firmandosi semplicemente miss Maud (ecco perché non ne conosciamo neppure il nome); o ancora Margaret Roscoe nata Lace che illustrò Monandrian Plants of the Order Scitamineae (1828) del marito William Roscoe. A lungo si è pensato che rientrasse in questa categoria familiare anche la misteriosa miss Drake o miss S.A. Drake che per sedici anni fu la principale illustratrice delle opere del botanico ed orchidologo John Lindley; dato che viveva con la famiglia, si è dedotto che fosse la classica parente povera. In realtà anche se pure Anne Sarah Drake (1803-1857) dovette il suo ingresso nel mondo dell'illustrazione botanica a un legame personale con un'eminente figura maschile, non aveva legami familiari con Lindley. Era piuttosto un'amica di famiglia, o almeno una conoscente: era nata in un villaggio del Norfolk non lontano dal paese di origine di Lindley, aveva frequentato la stessa scuola di sua sorella Ann di cui era amica, non sappiamo quanto intima. Per altro non sappiamo nulla né della sua condizione sociale né della sua formazione; alcune fonti riferiscono di un soggiorno a Parigi durante il quale potrebbe avere studiato pittura. Ugualmente ignoriamo in seguito a quali circostanze e con quali mansioni nel 1830 si sia trasferita nella casa dei Lindley a Turnam Green; l'ipotesi più gettonata è che sia stata assunta come bambinaia-istitutrice dei tre piccoli figli di John e Sarah Lindley: Sarah di quattro anni, Nathaniel di due e Barbara di pochi mesi. E' però possibile che Lindley l'abbia ingaggiata proprio per il suo talento artistico. Nel 1829 l'indaffaratissimo botanico, che già da tempo era segretario dell'Horticultural Society, era stato nominato primo professore di botanica all'Università di Londra e aveva assunto la direzione dell'Edwards's Botanical Register. Egli stesso un eccellente disegnatore che fino ad allora aveva illustrato di persona le proprie opere, aveva troppi impegni professionali per occuparsi anche delle tavole illustrate della rivista. Dunque è possibile che fin da subito miss Drake sia stata una sorta di ibrido tra amica di famiglia, bambinaia, governante tutto fare e collaboratrice di Lindley, che sicuramente le insegnò i segreti dell'illustrazione botanica, trovando in lei un'allieva pronta e dotatissima. Certo è che già nel 1831 i disegni firmati miss Drake cominciano ad affiancare quelli dello stesso Lindley nell'Edwards's botanical register. Presto ne diverrà l'artista principale, disegnando nell'arco di sedici anni (la rivista cesserà le pubblicazioni nel 1847) oltre mille tavole. Era l'impegno maggiore ma non il solo della prolifica illustratrice. Sempre per Lindley, disegnò le illustrazioni di Ladies' Botany, un'opera divulgativa in due volumi rivolto a "quelle che desiderano accostarsi alla botanica come divertimento e svago", in cui, opponendosi al sistema artificiale di Linneo, il botanico inglese adottò il sistema naturale di Antoine Laurent de Jussieu. Tra il 1837 e il 1841 uscì quello che possiamo considerare il capolavoro congiunto di botanico e illustratrice, Sertum Orchidaceum: a Wreath of the Most Beautiful Orchidaceous Flowers, in cui Lindley descrisse e Drake illustrò 46 orchidee scelte tra le più belle e spettacolari. Occasionalmente, Lindley prestò la sua illustratrice a qualche amico. Alcune tavole firmate miss Drake compiono in Plantae Asiaticae Rariores (1830-1832) di Nathaniel Wallich, Illustrations of the botany and other branches of the natural history of the Himalayan Mountains (1839) di John Forbes Royle e in The Botany of HMS Sulphur (1844–1846), con testi di George Bentham. Contribuì inoltre con sedici tavole alla monumentale Orchidaceae of Mexico and Guatemala di James Bateman, celebre per essere l'opera botanica più "pesante" di tutti i tempi (in senso letterale: oltre 17 chili). Le orchidee (di cui Lindely era il massimo specialista dei suoi tempi - i tempi dell'orchidelirium) erano indubbiamente il soggetto preferito di Drake e quello in cui toccò il vertice della sua arte. Nel corso della sua carriera ne ritrasse ben 325 (ovvero circa un quarto della sua produzione). Le dipingeva dal vivo, ma senza allontanarsi più di tanto da casa Lindley: per qualcuna le toccò andare ai Kew Gardens, molte le ritrasse nei vivai Loddiges di Hackney, che - si dice - avevano allestito una mostra di orchidee appositamente per lei. Nel 1847, a causa di problemi finanziari, il Botanical Register cessò le pubblicazioni, segnando anche la fine della carriera artistica di miss Drake. Quasi da un giorno all'altro, la pittrice sparì di scena. Non era morta, come ha pensato qualche studioso, ma era tornata nel Norfolk, dove visse ancora qualche anno, prima con un vecchio zio, poi con il marito, un ricco fattore sposato nel 1852. Non risulta che abbia più dipinto. Il fallimento della rivista non basta a spiegare questa improvvisa eclissi. Forse erano intervenuti problemi di salute: l'abbassamento della vista o il manifestarsi dei primi sintomi del progressivo avvelenamento che potrebbe averla portata alla morte a cinquantaquattro anni nel 1857 (anche se ufficialmente morì di diabete). In effetti, molti dei pigmenti utilizzati dai pittori dell'epoca erano tossici. Anche da lontano, i suoi rapporti con la famiglia Lindley dovettero rimanere improntati al reciproco affetto, come si evince da una lettera di Sarah Lindley in cui annuncia il matrimonio della "vecchia amica Ducky", come la chiamavano familiarmente. Il legame doveva essere particolarmente stretto proprio con la figlia maggiore dei Lindley: introdotta da Ducky ai segreti dell'illustrazione botanica, fin dal 1842 aveva incominciato a collaborare alle opere del padre, disegnandone le illustrazioni in bianco e nero. Insomma, un'altra "botanica di famiglia". ![]() Orchidee ingannatrici e a rischio Tra le numerose illustratrici botaniche della prima metà dell'Ottocento, Sarah Anne Drake è una delle pochissime dedicatarie di un genere, e l'unica a cui spetta un genere valido; segno della scarsa considerazione in cui erano tenute rispetto ai loro colleghi maschi, che ricevevano regolarmente quell'onore dai loro committenti. Non c'è bisogno di dire che l'omaggio arrivò da John Lindley, che ovviamente scelse un'orchidea. Non però una delle sontuose orchidee epifite che facevano impazzire i collezionisti e che la stessa miss Drakea amava dipingere, ma una modesta e curiosa orchidea terrestre australiana, Drakaea elastica. Oggi al genere Drakaea sono attribuite dieci specie, tutte endemiche dell'Australia sud-occidentale. Sono note con il nome comune "orchidee martello" per la forma del labello e il suo movimento all'indietro quando viene impollinato. Il fiore di queste piccole orchidee è infatti caratterizzato da un labello retto da un gambo sottile che ricorda per forma, colore e odore una femmina di vespa thynnide. In questo gruppo di vespe, le femmine sono incapaci di volare. Quando emergono dal terreno, si arrampicano su uno stelo d'erba e emettono un feromone che attira i maschi, Questi ultimi volano a zig-zag in cerca delle femmine; quando un maschio rileva il feromone, si posa sulla femmina, la afferra e vola via con lei verso una fonte di cibo. Le orchidee Drakaea producono una sostanza chimica che imita il feromone di queste vespe. Il maschio, attratto da questo odore, scambia il labello dell'orchidea per una femmina, vi si posa e cerca di staccarlo, facendo muovere all'indietro il gambo che lo trattiene; in tal modo il torace dell'insetto viene a trovarsi a contatto con un pacchetto di polline appiccicoso. Dopo un po' la vespa si stufa e vola via, alla ricerca di una femmina più disponibile. Se si fa ingannare un'altra volta e visita una seconda orchidea, questa viene impollinata dal polline rimasto sul suo torace. Un metodo un po' rischioso se pensiamo che ciascuna delle dieci specie di Drakaea è tendenzialmente impollinata da un insetto specifico. Nessuna di esse è abbondante, una è presumibilmente già estinta e sei sono vulnerabili o a rischio, per un complesso di ragioni che includono anche la rarità degli insetti impollinatori. Non sempre conviene specializzarsi troppo! Qualche informazione in più e una lista delle specie con la distribuzione e lo stato di conservazione nella scheda. Nel 1856, una giovane lady, Marianne North, va a visitare i Kew Gardens insieme all'amato padre; il direttore William Jackson Hooker, che è anche un amico di famiglia, le dona un fascio di fiori di Amherstia nobilis, che per la prima volta è giunta a fioritura nelle serre del giardino. Sono i fiori più grandi e belli che Marianne abbia mai visto, e portano il nome di una signora che si è resa benemerita della botanica con le sue raccolte di piante. In lei si rafforza un proposito: visitare i tropici per dipingere nel loro ambiente naturale quella e altre meraviglie in natura. Potrà realizzare questi sogno quando la morte del padre la renderà indipendente e le permetterà di viaggiare come desidera. Nell'arco di vent'anni, visiterà uno dopo l'altro tutti i continenti e dipingerà più di ottocento quadri, per sua volontà esposti in un apposito padiglione a Kew. Con la loro originale ed accurata raffigurazione in situ di piante di tutto il mondo, oltre ad essere un'opera d'arte ineguagliabile, sono anche un importante documento scientifico. L'amico Hooker le dedicò Northia seychelliana, una delle tante specie esotiche che la pittrice dipinse e contribuì a fare conoscere. ![]() Storia di una pittrice sempre in viaggio Nei Kew Gardens, dirimpetto al fianco ovest della serra temperata, sorge uno strano padiglione in mattoni dallo stile indefinibile: molte alte finestre, un frontone vagamente palladiano, una veranda vagamente indiana. Eccoci entrati: siamo in una vasta sala, con le pareti letteralmente tappezzate di quadri: sono paesaggi, mazzi di fiori, ma soprattutto piante nel loro ambiente naturale, con forme plastiche e colori luminosi. E' la Marianne North Gallery e quei quadri, più di ottocento, li ha dipinti una donna e un'artista fuori del comune. Marianne North (1830-1890), per nascita ed educazione, avrebbe potuto essere una lady vittoriana come tante. Il padre Frederick North era un ricco proprietario terriero e un uomo politico del partito liberale, più volte deputato per il distretto di Hastings nell'East Sussex; anche la madre Janet Majorbanks apparteneva a una famiglia dell'élite economica e politica. Destinata ad essere moglie, madre, padrona di casa, la bimba ricevette una scarsa educazione formale; ma l'ambiente della sua famiglia, frequentato da artisti e scienziati, era stimolante e fu incoraggiata a coltivare il canto e il disegno, due hobbies ritenuti convenienti a una ragazza del suo ceto. La famiglia amava viaggiare; oltre ai frequenti spostamenti tra una e l'altra delle diverse residenze o verso Londra, tra il 1847 e il 1850 ci fu un gran tour di tre anni attraverso l'Europa, cui parteciparono anche i tre ragazzi North (oltre a Marianne, i più giovani Catherine e Charles). Nel 1855 la madre, sul letto di morte, fece promettere a Marianne che non avrebbe mai abbandonato il padre; così a venticinque anni la giovane donna diventò la padrona di casa e rinunciò a sposarsi. Non era un sacrificio: più tardi definirà il matrimonio "un esperimento rischioso" in cui la moglie è "una specie di serva di livello più alto". Al padre per altro era legatissima. Ogni estate, quando le sedute del parlamento erano sospese, partiva con lui e la sorella per una nuova destinazione; insieme visitarono Svizzera, Austria, Spagna, Italia e Grecia, spingendosi fino al Bosforo. Come tutti i viaggiatori del suo tempo, Marianne teneva un diario e un quaderno di schizzi e cominciò a sperimentare le prime vedute ad acquarello. Tra gli amici del padre c'era anche William Jackson Hooker. Marianne amava visitare le serre di Kew, colme di piante esotiche. Nelle sue memorie, racconta in particolare una memorabile visita del 1856, durante la quale Hooker le fece omaggio di uno splendido ramo fiorito di Amherstia nobilis, la spettacolare pianta birmana dedicata a lady Amherst; quei fiori, scriverà nelle sue memorie "mi fecero desiderare anche di più di visitare i tropici". Nel 1864 Charlotte si sposò e l'anno dopo Frederick perse il seggio il parlamento. Poco male: c'era più tempo per viaggiare! Spingendosi oltre l'ormai familiare Europa, padre e figlia poterono così visitare le isole greche, Cipro, l'Egitto e la Siria. Nel 1867 Marianne incominciò a prendere lezioni di pittura ad olio; da quel momento sarebbe divenuta la sua tecnica esclusiva, anzi il suo vizio, come lei lo definì: "da allora non ho fatto altro. Dipingere ad olio è un vizio come bere alcoolici, una volta che si impossessa di te non puoi più smettere". Nel 1869, mentre si trovavano nelle Alpi bavaresi, Frederick North si ammalò; Marianne riuscì a riportarlo a casa, ma poco dopo egli morì. La donna ne fu devastata: aveva perso non solo un padre, ma il suo unico amico e compagno. "Ora devo imparare a vivere senza di lui - scrisse - e a riempire la mia vita come meglio posso con altri interessi". Quegli interessi saranno i viaggi e la pittura. Dopo due anni di lutto, in cui cercò di trovare pace anche con un viaggio in Sicilia, la vera svolta arrivò nel 1871: approfittando dell'invito di un'amica, Marianne, a cui il padre aveva lasciato una sostanziosa eredità, vendette la casa di Hastings Lodge e partì per il primo dei suoi viaggi. E lo fece da sola: in Sicilia aveva avuto la compagnia di una domestica, ma era un'esperienza da non ripetere. In due anni, visitò il Canada, gli Stati Uniti, poi i Caraibi, la Giamaica e infine il Brasile, dove per molti mesi visse in una capanna nella foresta. Era un sogno divenuto realtà: "A lungo ho sognato di andare in qualche paese tropicale per dipingerne la peculiare vegetazione sul posto in tutta la sua naturale lussureggiante abbondanza". Nel settembre 1873 ritornò in Inghilterra con un centinaio di quadri. Dopo due anni era pronta per un'avventura ancora più ambiziosa: il suo primo giro del mondo. La prima tappa fu Tenerife dove si fermò per circa tre mesi; poi proseguì alla volta della costa occidentale degli Stati Uniti. In California visitò Yoshemite e diversi altri siti, sconvolta e indignata dall'opera devastatrice dei boscaioli che andavano abbattendo esemplari millenari di sequoia gigante. Passò poi in Giappone dove contrasse una febbre reumatica che le avrebbe per sempre condizionato la vita. Per tornare in Inghilterra, scelse un itinerario inconsueto, che le permise di ritrovare i paesaggi (e le piante) tropicali che prediligeva: Sarawak, in Borneo, all'epoca governata dai britannici, dove scoprì la più grande specie di Nepenthes (Hooker in suo onore la denominò N. northiana), Giava e Sri Lanka. Di ritorno a casa nel marzo 1877, ne approfittò per la sua prima esposizione alla Kensington Gallery. Ma già nel settembre 1878 ripartì, questa volta per l'India, dove visse, viaggiò e dipinse per sei mesi. Viaggiava sola, affrontando con coraggio disagi e pericoli; per trovare aiuto e ospitalità, poteva però giovarsi della rete di contatti garantiti dal suo status sociale e dalle amicizie della sua famiglia. Tornò da quel viaggio con altri duecento dipinti. Incominciava a porsi il problema di dove esporli, anche per sottrarsi alle visite sempre più importune dei tanti che bussavano alla sua porta per ammirarli. Decise così di rivolgersi al vecchio amico William Jackson Hooker: avrebbe donato ai Kew Gardens i suoi dipinti e avrebbe finanziato la costruzione dell'edificio atto ad ospitarli, a patto che vi venissero esposti in esposizione permanente senza alterare la disposizione da lei stessa scelta. La proposta fu accettata, così come il progetto affidato all'architetto James Ferguson con la supervisione di Marianne; i lavori iniziarono già nel 1880. Intanto Hooker aveva presentato a Marianne un altro amico: il grande scienziato Charles Darwin. Fu lui a suggerire all'intrepida pittrice una nuova meta: l'Australia e la Nuova Zelanda. Ed eccola in partenza per il secondo giro del mondo, le cui tappe furono il Borneo, l'Australia, la Nuova Zelanda, le Hawaii e nuovamente la California. La flora australiana e neozelandese, così diversa e inconsueta, le ispirò ben 300 nuovi dipinti. Al suo ritorno in Inghilterra nel 1881, North andò a fare visita a Darwin per portargli in dono un curiosissimo arbusto neozelandese, Raoulia eximia: con le sue forma arrotondate e le foglie lanose, visto da una certa distanza può essere scambiato per una pecora, tanto da farlo soprannominare "Australian Sheep". Gli mostrò anche alcuni dei suoi quadri, che deliziarono Darwin con la loro vivezza. L'edificio che avrebbe ospitato i suoi dipinti era ormai pronto e Marianne fu assai impegnata nella sistemazione dei quadri; con il nome di Marianne North Gallery, venne aperto al pubblico il 9 luglio 1882. Fu un successo straordinario: a un mese dall'inaugurazione il catalogo aveva già venduto oltre 2000 copie. La regina Vittoria scrisse personalmente alla pittrice per ringraziarla e per esprimere il suo rammarico che per le donne non fosse previsto un titolo equivalente al cavalierato. Ma Marianne non aveva tempo per rammaricarsi insieme a lei. Dopo appena due mesi dall'inaugurazione della galleria, era di nuovo in viaggio alla volta di Cape Town, dove arrivò nell'agosto 1882. Rimase in Sudafrica circa un anno, visitando diverse località (ma qui muoversi era più facile, con treni e battelli di linea); tra l'altro, fu ospite per alcuni giorni di un'altra pittrice botanica, Katherine Saunders. Ne apprezzò tanto il lavoro da far aggiungere un locale alla sua galleria per ospitarne le opere. Trascorse l'inverno successivo alle Seychelles, dove fu la prima a dipingere una pianta poco nota. Grazie agli esemplari che ne riportò, Hooker capì che si trattava di un nuovo genere e la battezzò in suo onore Northia seychellana. Nel 1884-1885 l'ultimo viaggio la portò in Cile a dipingere dal vivo le araucarie (un altro suggerimento di Darwin). Ormai la salute si stava facendo precaria e viaggiare non era più possibile; nel 1886 andò a vivere a Mount House Alderley nel Gloucestershire, dedicandosi alla stesura delle sue memorie, per le quali scelse un titolo bellissimo: Recollections of a Happy Life, ovvero "Ricordi di una vita felice". Morì nel 1890, prima di poterle pubblicare. A curarne la pubblicazione fu perciò sua sorella Catherine. ![]() Northia, da un Eden minacciato Originale nelle sue scelte di vita, Marianne North lo è stata anche come artista botanica. In primo luogo, non era un'illustratrice, ma una pittrice: lei dipingeva quadri da esporre come oggetto artistico in sé, non tavole botaniche a corredo di un testo a stampa. Non a caso abbandonò l'acquarello, trasparente e veloce, per l'olio, materico e lento. Le sue opere non rispettano nessuna delle convenzioni dell'illustrazione botanica: niente soggetto isolato e "vivisezionato" sulla pagina bianca, ma piante ritratte nel loro contesto naturale, come in una fotografia. In un certo senso, la sua pittura è più vicina alla natura morta (un soggetto ampiamente praticato dalle pittrici, basti pensare al Seicento olandese) e non pochi dei suoi quadri rientrano perfettamente in questo genere, con diversi soggetti estratti dal loro ambiente e ricomposti a formare un insieme artificiale. Dipinse anche molti paesaggi, abbastanza canonici non fosse per i colori spesso sorprendenti. Ma le sue inquadrature preferite erano molto più originali, così caratteristiche da essere quasi una firma: in molti quadri, il soggetto vegetale (non di rado un ramo di fiori dai colori rutilanti) è posto in primo piano a fare da quinta al paesaggio che sfuma sullo sfindo; in altri, ad occupare tutto lo spazio è invece il soggetto vegetale (o animale, perché anche molti animali popolano il mondo di Marianne North) dilatato come in una fotografia con il teleobiettivo. Non meno speciali i colori, sempre luminosi e vividi. Quasi sempre, almeno a me, i quadri di Marianne North (persino quelli con un soggetto in sé doloroso, come la sequoia caduta di Calaveras Grow) trasmettono felicità, riflesso di quella che provò la pittrice a dipingerli. Alla fine del post, trovate una gallery con le immagine di una piccola selezione dei suoi quadri, Ma per conoscerla davvero, tocca andare a Londra a fare visita non una, ma molte volte alla Marianne North Gallery dove troverete ben 832 delle sue tele. I quadri di Marianne North sono allo stesso tempo visionari e realistici, con i soggetti dipinti con un'accuratezza tale da soddisfare qualsiasi botanico. In un'epoca in cui la fotografia era ancora agli esordi, hanno anche un valore documentario. Grazie ad essi, ma anche alle piante che riportò dai suoi viaggi, lei che non possedeva una formazione scientifica formale riuscì a ricavarsi uno spazio proprio nell'ambiente dei naturalisti, con amicizie del calibro di Hooker e Darwin. La stima che la circondava è anche attestata dalle piante che le furono dedicate. Abbiamo già visto il caso di Nepenthes northiana e di Northia seychellana, entrambi omaggi dell'amico Hooker; due denominazioni giunsero anche da John Gilbert Baker, il curatore dell'erbario di Kew: l'asiatico Crinum northianum (oggi sinonimo di Crinum asiaticum var. asiaticum) e la sudafricana Kniphofia northiae. Ma è ora di parlare del genere Northia (famiglia Sapotaceae); oggi è monotipico, perché l'unica specie accettata è N. seychellana, un albero endemico delle Seychelles, mentre altre tre specie (N. fasciculata, N. hoshinoi e N. vitiensis) sono state trasferite al genere Manilkara. Presente in diverse isole dell'arcipelago, dove spesso costituisce la specie dominante della foresta sempreverde dei versanti superiori a 600 metri, con umidità costante e frequenti banchi di nebbia, è un albero che può superare i venti metri, anche se solitamente è assai più piccolo. Molto caratteristiche le lunghe foglie con margini quasi paralleli, arrotondate solo all'apice e alla base, coriacee, con pagina superiore verde scuro e pagina inferiore tomentosa da dorata a rossastra; i fiori, insignificanti, brunastri, con corolla a campana e sei lobi, sono seguiti da frutti verdastri della forma e delle dimensioni di un uovo di gallina. Purtroppo anche questa specie è minacciata per la restrizione del suo ambiente naturale. Nel 1996, la National Gallery of Victoria di Melbourne celebrava la grande artista botanica australiana Margaret Stones con una mostra che riuniva il meglio della sua produzione. Il titolo della mostra e del catalogo, curato da Irina Zdanowicz, Beauty in Truth, "Bellezza nella verità", sintetizza perfettamente le due caratteristiche principali della sua arte: da una parte, l'assoluta precisione dei dettagli (in particolare quelli utili all'identificazione tassonomica del soggetto), dall'altra la capacità di catturarne la bellezza e la vita, con una perfetta disposizione nello spazio e una straordinaria purezza di colore. Un binomio che nella mostra organizzata dalla Louisiana State University nel 2020, in occasione del suo centenario, è stato espresso con la più banale formula "Arte e scienza". Nata e formata in Australia, ma vissuta in Inghilterra per mezzo secolo, Stones ha collaborato con i Kew Gardens e tra il 1958 e il 1983 è stata la principale illustratrice del Curtis's Botanical Magazine, per il quale ha realizzato 400 tavole. Due le sue opere principali, entrambe spettacolari: le illustrazioni di Endemic Flora of Tasmania di Winifred Curtis e di Native Flora of Louisiana. A riflettere i due aspetti che si congiungono nella sua arte anche i due generi che le sono stati dedicati: "scienza/verità" in Stonesia, "arte/bellezza" in Stonesiella. ![]() Dipingere piante in tre continenti Nel Novecento, probabilmente le personalità più note della botanica australiana al femminile sono state la botanica Winifred Curtis e la pittrice botanica Elsie Margaret Stones. Unite nella realizzazione di Endemic Flora of Tasmania, di cui la prima ha curato le descrizioni botaniche e il commento ecologico, la seconda le illustrazioni, hanno avuto entrambe in sorte una lunghissima vita: Curtis morì centenaria nel 2005, Stones (1920-2018) ci ha lasciati a novantotto anni. Nata a Colac, nello stato di Victoria, nella sua lunga carriera Stones ha lavorato in tre continenti. Dopo essersi formata presso lo Swinburne Technical College e la National Gallery Art School di Melbourne, iniziò a lavorare come disegnatrice commerciale; durante la seconda guerra mondiale, divenne infermiera. La scoperta della sua vera vocazione avvenne quasi per caso: contrasse la tubercolosi e dovette rimanere a letto per quasi un anno; per passare il tempo, incominciò a disegnare i fiori che le portavano gli amici. Il suo medico curante fu così colpito dai suoi acquarelli che li mostrò a John Turner, professore di botanica e fisiologia vegetale all'Università di Melbourne, che la invitò a seguire le sue lezioni e a partecipare alle escursioni estive da lui organizzate nelle Bogong High Plains sulle Alpi australiane. Nel 1946 arrivava la prima mostra. Nel 1951 Stones decise di traferirsi in Inghilterra; come ricorda lei stessa, non aveva alcuna prospettiva concreta. Acquistò un biglietto di sola andata per 95 sterline; gliene rimanevano 100 per vivere. Fortunatamente, incominciò a lavorare all'erbario di Kew come artista free-lance: un'esperienza importantissima, perché la obbligò a concentrarsi sulla struttura anatomica e sui dettagli. Sarebbe rimasta a lavorare a Kew per mezzo secolo, fino al 2002. Molto apprezzata per l'esattezza e l'accuratezza scientifica dei suoi disegni, illustrò molte monografie scientifiche dei botanici di Kew e di altre istituzioni scientifiche, come il British Museu, con precississimi disegni in bianco e nero che spesso richiedevano l'uso del microscopio. Nel 1956 pubblicò il primo disegno sul Curtis’s Botanical Magazine; dal 1958 al 1983, ne diventò l'artista principale, preparando per questa prestigiosa rivista, oltre a molti disegni di particolari in bianco e nero, ben 400 acquarelli. Poté così raffinare anche l'aspetto artistico del suo lavoro, e in particolare la disposizione del soggetto, complicata dal piccolo formato della rivista. Ora il suo nome incominciava ad essere piuttosto noto; fu così che Lord Talbot de Malahide, un collezionista che coltivava molte piante originarie della Tasmania nel suo giardino irlandese, le chiese di illustrare per lui 35 piante endemiche di quell'isola. Il progetto poi si allargò fino a diventare una grande serie di sei volumi in folio, The Endemic Flora of Tasmania (1967-1978). I testi furono commissionati alla botanica Winifred Curtis (che, in un certo senso, aveva compiuto il percorso inverso rispetto a Stones: nata in Inghilterra, si era infatti trasferita in Tasmania); Margaret andò in Tasmania a incontrare Winifred e in diverse occasioni lavorarono fianco fianco, ma per lo più una viveva a Londra, l'altra a Hobart. Le piante raccolte in Tasmania venivano spedite per via aerea e ogni mattino arrivavano sulla scrivania delle pittrice che doveva lavorare in fretta per sfruttare le poche ore di luce dell'inverno inglese (le stagioni in Australia sono invertite rispetto all'emisfero boreale); se non riusciva a completare il lavoro prima che l'esemplare appassisse, toccava aspettare l'anno successivo. Fu dunque un lavoro particolarmente complesso, che si protrasse per quasi quattordici anni. Alla morte di lord Talbot, erano usciti solo i primi quattro volumi; gli ultimi due furono finanziati da sua sorella Rose. The Endemic Flora of Tasmania è una pietra miliare della botanica del Novecento, sia per le ricerche e i testi di Curtis, sia per lo splendore delle illustrazioni di Stones, che, lavorando sul grande formato di un volume in foglio, poté ritrarre le piante a grandezza naturale e raggiunse il vertice della sua arte. L'accordo tra le due autrici era perfetto. Curtis scrisse di Stones: "Non c'era nessun bisogno di dirle quali parti o sezioni bisognasse disegnare per facilitare una corretta classificazione tassonomica: lo sapeva già". Stones era ancora impegnata in questa impresa quando, nel settembre 1975, la State University of Louisiana le commissionò l'illustrazione di sei piante native per celebrare il duecentesimo anniversario degli Stati Uniti che sarebbe caduto l'anno successivo. Fu l'inizio di un lavoro molto più impegnativo che andò allargandosi di anno in anno e alla fine diventò una ricerca sull'intera flora della Louisiana, che impegnò un gruppo di ricercatori e Margaret Stones per ben quattordici anni e si tradusse in un'altra opera spettacolare: Native flora of Louisiana, pubblicata nel 1991 con 224 acquarelli dell'artista australiana e testi di Lowell Urbatsch. Stones iniziò il lavoro in Inghilterra servendosi di piante coltivate a Kew o di esemplari che le venivano spediti per via aerea; ma presto scoprì che molte piante erano troppo fragili per sopravvivere al trasporto e che le piante coltivate differivano per dimensioni e altri aspetti da quelle selvatiche. Cominciò così a intervallare alla sua vita londinese uno o due lunghi soggiorni annuali a Baton Rouge per ritrarre le piante dal vivo; si trattava infatti di catturare l'essenza di ciascuna pianta, che è sempre diversa da ogni altra: "un buon disegno botanico deve essere vivo, ben disegnato e accurato. Le piante, come gli esseri umani, non sono sempre ben progettate, così l'artista girare attorno all'esemplare finché riesce a farne emergere l'aspetto naturale e tipico". Gli acquerelli originali per la Flora della Louisiana sono oggi custoditi presso l'università che li aveva commissionati; selezioni più o meno ampie furono presentate in mostre che toccarono le tre "patrie" di Stones, venendo esposte, oltre che in Louisiana, allo Smithsonian, a Oxford, Cambridge, Edimburgo e Melbourne. All'artista australiana sono anche toccati numerosi importanti riconoscimenti: medaglia Veitch d'argento nel 1976, membro dell'ordine dell'Impero britannico nel 1977, medaglia Veitch d'oro nel 1985, membro dell'ordine d'Australia nel 1988; laurea honoris causa da parte dell'Università di Louisiana (1986) e dell'Università di Melbourne (1989). Nel 2002, Margaret Stones andò in pensione e tornò in Australia, dove morì novantottenne nel 2018. Anche nella sua vecchiaia, continuava a disegnare e ad essere lucida ed attiva. Se volete conoscerla più da vicino, e sentirne anche la voce, potete ascoltare questa interessante intervista sul suo percorso artistico, rilasciata nel 2008. ![]() La scienza: Stonesia I due generi dedicati a Margaret Stones in due momenti lontani della sua vita riflettono non solo differenti fasi della sua carriera, ma in qualche modo anche le due caratteristiche che sapeva congiungere nelle sue illustrazioni botaniche: la precisione e l'accuratezza scientifica da una parte, la bellezza e l'arte dall'altra. Il primo genere, Stonesia, le fu dedicato nel 1953, quando Margaret era arrivata a Kew da poco più di un anno, da George Taylor, uno dei botanici del British Museum si giovò delle sue illustrazioni; la motivazione non potrebbe essere più eloquente: "Denominando questo genere Stonesia voglio esprimere la mia profonda gratitudine a Miss Margaret Stones le cui bellissime illustrazioni, completate con infinita cura e pazienza, sono state del massimo valore per chiarire la struttura fiorale microscopica di queste notevoli piante". Taylor pubblicò il nuovo genere nell'ambito di un articolo sulle Podostemaceae africane (Notes on Podostemaceae for the Revision of the Flora of West Tropical Africa, "Bulletin of the British Museum (Natural History)", Botany 1, 1953) al quale Stones aveva contribuito con quindici tavole di illustrazioni, in cui possiamo notare non solo l'estrema precisione del tratto, la cura dei dettagli, ma anche la scelta sapiente dei particolari, che documentano e rendono evidenti le caratteristiche distintive dei generi e delle specie esaminati, nonché le diverse fasi della vita di ciascuna pianta. Un lavoro di grande precisione, ma anche di sintesi, che richiese certamente molte sedute al microscopio. Le Podstemaceae in effetti sono una famiglia assai singolare, il più vasto gruppo di piante strettamente acquatiche tra le angiosperme; si trovano per lo più nei fiumi tropicali, in particolare nelle acque veloci di cascate e cataratte di corsi d'acqua caratterizzati da una forte stagionalità; si aggrappano alle rocce e al fondo con le radici e durante la stagione delle piogge sono totalmente sommerse nell'acqua corrente, mentre i fiori e i frutti emergono nella stagione secca, quando le acque recedono. In queste particolari condizioni ecologiche, hanno sviluppato caratteristiche uniche: in molte specie non c'è una netta differenziazione tra fusto e foglie; presentano invece un corpo vegetativo più o meno indifferenziato simile al tallo delle alghe, con ramificazioni dicotomiche estremamente sottili e sfrangiate; alcune sono dotate di piccole vescicole che permettono loro di fluttuare a pelo d'acqua. Tipiche sono anche alcune strutture dei fiori: prima dell'antesi sono racchiusi in una specie di piccolo sacco, detto spathella; i tepali, che possono essere più o meno numerosi, in molte specie sono ridotti a scaglie; gli stami per lo più sono due, retti da un unico filamento relativamente inspessito, detto andropodium. Il frutto è una capsula striata. La tassonomia della famiglia è piuttosto complicata perché, a parte poche eccezioni, comprende molti piccoli generi con poche specie, solitamente endemiche di aree ristrette, che si differenziano l'uno dall'altro soprattutto per le strutture dei fiori e le caratteristiche delle capsule. Ciò vale anche per Stonesia, endemico di due aree disgiunte dell'Africa occidentale (Guinea e Cameron), che si distingue dai generi più vicini per il numero e la disposizione delle righe della capsula e per i fiori, caratterizzati da un andropodium e da tre tepali, due ad ogni lato dell'andropodium, il terzo posto alla forcella di quest'ultimo. ![]() e l'arte: Stonesiella Ci porta invece alla stagione di Endemic Flora of Tasmania il secondo genere che celebra Stones, Stonesiella (le è stato dedicato nel 1999 da Crisp e Weston separandolo da Pultenaea). E' un genere monotipico della famiglia Fabaceae endemico della Tasmania la cui unica specie, all'epoca ancora denominata Pultenaea selaginoides, fu raccolta nell'isola da Talbot di Malahide, decritta da Curtis e illustrata da Stones, che nel disegnarla ebbe modo di unire alla precisione (molto evidente nei particolari a grandezza naturale di foglie, petali, stami, frutti, collocati al piede della tavola) una vivace rappresentazione di questo arbusto che, sebbene un po' rigido, non manca di grazia. Molto raro (se ne conoscono solo cinque popolazioni, confinate in due ambienti specifici: da una parte, le brughiere più umide con arbusti alti e le boscaglie aperte di Eucalyptus, dall'altro le macchie arbustive su suolo arido), è alto circa due metri e ha portamento piuttosto sparso, con pochi rami eretti, spogli alla base e fittamente coperti di foglie raggruppate nella parte terminale; i fiori papilionacei giallo brillante bordati di rosso si dispongono in giri che si aprono in successione all'ascella delle foglie o all'apice dei rami. Nel 1691, poco dopo essere stato nominato dalla regina Mary giardiniere reale e curatore del giardino di Hampton Court, Leonard Plukenet dà alle stampe a proprie spese il primo volume di Phytographia; è l'atto di nascita di uno straordinario corpus di immagini di rarità botaniche provenienti da tutto il mondo, che arriverà a comprendere oltre 2700 figure. Con centinaia di specie inedite o almeno mai raffigurate in precedenza, è un'opera di riferimento imprescindibile per i botanici successivi, in particolare Linneo che volle dedicare a questo botanico "unico tra tutti" una pianta dai fiori altrettanto singolari, Plukenetia (Euphorbiaceae). ![]() Collezionista ed esperto di piante esotiche In Historical and Biographical Sketches of the Progress of Botany (1790) Richard Pulteney inizia il suo profilo di Leonard Plukenet (1642-1706) lamentando come gli sia toccato il destino comune a molti grandi uomini di cadere nell'oblio poco dopo la morte. Duecento anni dopo, la situazione non sembra cambiata di molto; al contrario degli amici-rivali Hans Sloane e James Petiver, la cui opera è ben nota e oggetto di ampi studi, Plukenet continua a ricevere un'attenzione marginale, né è disponibile uno studio complessivo del suo stesso capolavoro Phytographia. Eppure si tratta di un'opera notevolissima, tale da guadagnare al suo autore l'immensa stima di Linneo che lo definì "un botanico diverso da tutti gli altri". Poco conosciamo della sua vita fino ai quarant'anni. Nativo di Westminster, Plukenet dovette frequentare la Westminster School e poi forse l'università di Cambridge dove avrebbe stretto amicizia con William Courten e Robert Uvedale; la sua immatricolazione non risulta, così come non compare tra i laureati. Poiché esercitava la medicina e si firmava MD Medical Doctor, si suppone che si sia laureato all'estero. In ogni caso negli anni '80 viveva a Londra ed era di condizione agiata, anche se non sappiamo se cioè fosse dovuto al successo professionale o a qualche eredità. Il suo nome incomincia a emergere intorno alla metà di quel decennio; è citato in una lettera di John Ray a Hans Sloane (1684) e nel 1688, insieme a William Courten, Samuel Doody e James Petiver, è calorosamente ringraziato da Ray per l'assistenza prestata per il secondo volume di Historia Plantarum. Gli uomini citato sono alcuni degli animatori del Temple Coffee House Botanical Club, che a quanto pare cominciò a riunirsi nel 1689, sia in un caffè sia nella vicina casa di Courten a Middle Temple. Era un gruppo eterogeneo di appassionati e professionisti: Courten era un mercante che aveva ereditato dalla famiglia una intricata situazione patrimoniale e legami con le Barbados e altre colonie, che seppe sfruttare per creare un ammirato gabinetto di curiosità; Doody e Petiver erano membri della gilda dei farmacisti, botanici ben più che dilettanti e uno dopo l'altro curatori del Chelsea Physic Garden; Plukenet come sappiamo era medico. Tutti erano appassionati collezionisti. Anche se non conosciamo la cronologia e la stratificazione delle sue collezioni, all'epoca Plukenet doveva già essersi fatta una solida fama di esperto di piante esotiche, che si procurava attraverso una rete internazionale di corrispondenti, coltivava nel giardino di St Margaret’s Lane e pressava in un erbario sempre più voluminoso. Come si deduce dalla profonda conoscenza della letteratura botanica che emerge dalle sue opere, doveva anche possedere una fornita biblioteca. Furono certo queste due competenze, quella di botanico autodidatta ma di grande preparazione e quello di esperto di esotiche, a convincere William e Mary (ovvero Guglielmo III d'Orange e Maria II Stuart) a nominarlo sovrintendente dei giardini reali di Hampton Court. I due sposi, divenuti sovrani d'Inghilterra e Scozia in seguito alla Gloriosa Rivoluzione, condividevano la passione per i giardini e le piante esotiche (quelle stesse che attraverso le compagnie mercantili olandesi affluivano nei Paesi Bassi dall'Asia, dal Sudafrica, dai Caraibi e dal Suriname) e nei palazzi olandesi di Honselaarsdijk e Het Loo possedevano grandi limonaie e serre riscaldate dove d'inverno venivano ricoverate le loro grandi collezioni di agrumi e esotiche non rustiche. Poco dopo l'ascesa al trono, William incaricò Christopher Wren di ristrutturare palazzo e giardino; per il godimento della Regina, fu creato un giardino privato in stile barocco olandese con intricati parterre a ramages e sentieri in brecciolino colorato, una fontana e un pergolato; il vecchio stagno Tudor venne prosciugato per ospitare tre nuovi giardini murati: il quadrato dei fiori, quello delle Primula auricula (una delle piante preferite della sovrana) e quello degli agrumi (piante "dinastiche" degli Orange). In ciascuna di esse il carpentiere olandese Hendrick Floris costruì una serra riscaldata lunga circa 16 metri, tra le prime e le più perfette che si fossero viste in Inghilterra. D'inverno ospitavano la splendida collezione di esotiche, che invece nella bella stagione erano esposte all'aperto. Era la più ricca e raffinata del paese, con limoni, aranci e altri agrumi, cacti e succulente, palme, piante di caffè, dracene, agave, aloe, yucche, molte bulbose. Molte, soprattutto le sudafricane, erano delle novità assolute. A presiedere questa meraviglia furono chiamati come capo giardiniere George London (che abbiamo già incontrato alle dipendenze del vescovo Compton a Fulham) e come sovrintendente appunto Leonard Plukenet, nominato Queen's Botanist o anche Royal Professor of Botany (presumibilmente un titolo onorifico che non comportava insegnamento). I due, ovviamente, si conoscevano già, essendo entrambi assidui membri del Temple Coffee House Botanical Club, come lo stesso vescovo Compton. L'incarico permise sicuramente a Plukenet di incrementare le sue collezioni, accedendo alle piante coltivate sia a Hampton Court sia nei giardini di altri nobili e appassionati, come il braccio destro di William Hans William Bentnick, il primo conte di Portland, oppure la contessa di Beaufort. Gli diede anche il prestigio internazionale per corrispondere alla pari con colleghi di altri paesi, come Paul Hermann prefetto dell'orto di Leida (dove spedì London a fare incetta di piante) o Giovanni Macchion, giardiniere dell'orto di Padova. ![]() Un immenso corpus di immagini Certamente sulla base di un lavoro iniziato da tempo, già nel 1691 Plukenet fu in grado di dare alle stampe - a proprie spese - il primo volume di Phytographia, sive stirpium illustriorum et minus cognitorum icones, che, se non si presentava come un catalogo del giardino reale, ne condivideva lo spirito. Composto unicamente di figure (dette tavole fitografiche) e dedicato sia al "venerabile sommo mecenate di tutti i botanofili", ovvero il vescovo Compton, sia al re Guglielmo III, era essenzialmente una vetrina cartacea delle piante più nuove ed esotiche, anche se non mancava qualche specie locale. John Ray lo recensì con favore per le Philosophical Transactions della Royal Society, sottolineando che tra le centinaia di piante di cui "il colto e ingegnoso autore" dava la figura e la didascalia, moltissime in precedenza non erano state né descritte né raffigurate, altre descritte ma mai raffigurate o viceversa. Certo, il testo era limitato ai "titoli", ovvero ai nomi polinomiali, ma questi ultimi contenevano note caratteristiche sufficienti per distinguere una specie dall'altra. A soddisfare i desideri dei lettori, curiosità come l'Artemisia usata dai cinesi per la moxibustione, l'altrettanto celebre radice di Ginseng, o la miracolosa "erba dei serpenti" della Virginia (oggi Aristolochia virginiana), efficace antidoto contro il morso dei serpenti. Per comprendere il significato culturale e in un certo senso pedagogico di un'opera senza precedenti in Inghilterra, va sottolineato che non si trattava di un maestoso in folio pensato per fare bella figura nelle biblioteche dei ricchi, ma di un più maneggevole ed economico in quarto destinato allo studio e alla consultazione. Per ottimizzare lo spazio e abbattere i costi, ciascuna delle 72 tavole calcografiche non raffigura una singola pianta a piena pagina, ma da un minimo di tre a un massimo di sei piante, disegnate in modo essenziale ma ben riconoscibile; dato che spesso i disegni furono tratti non da piante vive ma da esemplari d'erbario, non sempre sono dotate di fiori e frutti. Dopo il primo volume, ne seguirono a ritmo serrato altri tre: la seconda parte nello stesso 1691 (tav. 73-120), la terza parte nel 1692 (tav, 121-250) e l'immensa quarta parte (tav. 122-328) nel 1696; insieme a quest'ultima uscì Almagestum botanicum, sive, Phytographiae Plukenetianae Onomasticon, Methodo Synthetico digestum, un volume di 400 pagine con le descrizioni, i nomi e i sinonimi di ben 6000 piante; per quelle raffigurate in Phytographia, Plukenet aggiunse anche le referenze bibliografiche e molte note critiche, che dimostrano una conoscenza approfondita della precedente letteratura botanica e un esame molto serio per giungere a identificazioni corrette. Impressionante per le dimensioni e l'erudizione, il lavoro di Plukenet si segnala anche per la notevole accuratezza delle descrizioni. Gli sono estranee invece preoccupazioni tassonomiche che vadano al di là di genere e specie: tanto nella Phytographia quanto nel Almagestum le specie, designate con un nome descrizione polinomio che ha come primo termine il nome generico, sono disposte infatti in ordine alfabetico. D'altra parte, le immagini di specie diverse dello stesso genere, pubblicate una di fianco all'altra nella medesima pagina, sono di per se stesse uno strumento di identificazione di straordinaria efficacia, che oggi ci è familiare, ma era all'epoca una novità assoluta. Nel 1700 seguì ancora un'appendice, Almagesti botanici mantissa, con ulteriori 25 tavole, altri sinonimi e note e gli indici completi delle due opere. Nel 1705, un anno prima della morte, Plukenet pubblicò infine Amaltheum botanicum (ovvero "Cornucopia botanica") con le tavole e le descrizioni di un centinaio di specie di origine per lo più cinese o indiana; per quest'ultimo volume, avendo evidentemente esaurito i fondi, si rassegnò ad indire una pubblica sottoscrizione. Tutti insieme, questi libri di Plukenet vanno a costituire un enorme corpus di 2740 figure, di fondamentale importanza per documentare la prima introduzione di nuove specie dalle Americhe, dal Sudafrica e dall'Asia orientale. Benché di piccole dimensioni e di qualità diseguale (furono affidate ad artisti diversi, tra cui spicca l'incisore fiammingo Michael Vandergucht), testi e illustrazioni divennero un riferimento imprescindibile per i botanici successivi. Morto nel 1706, Plukenet lasciò un immenso erbario di oltre 8000 esemplari che fu venduto dalla famiglia al vescovo di Norwich, uno dei sottoscrittori dell'Amaltheum. Qualche anno dopo, confluì anch'esso nell'erbario di Sloane, così come una collezione di circa 1500 insetti pressati e incollati su carta. Come altri collezionisti inglesi del suo tempo, Plukenet si servì di una vasta rete di corrispondenti e fornitori, che in parte coincide con quella di Petiver, di cui facevano parte botanici, giardinieri, collezionisti e appassionati, mercanti dediti al commercio internazionale, residenti nelle colonie nordamericane e un buon numero di medici e chirurghi al servizio della compagnia delle Indie. Tra i nomi più significativi, per le colonie americane spicca John Banister, di cui, con il permesso del vescovo Compton, Plukenet pubblicò diverse tavole, ma importanti invii si devono anche al medico tedesco David Krieg che visitò il Maryland; le numerose piante del Capo, punto di passaggio obbligato per le navi dirette nelle Indie orientali, si devono per lo più a chirurghi navali come Alexander Brown, che fece raccolte anche a Sant'Elena, o Patrick Adair che raccolse anche nelle Comore. Ci portano invece rispettivamente in India e in Cina le raccolte di Samuel Browne e James Cunnigham, soggetto principale di Amaltheum botanicum. Il primo, chirurgo del Fort St George (oggi Madras), raccolse nel Malabar e corrispose con Petiver e Ray, che mise in contatto con Kamel; il secondo, medico al servizio della Compagnia delle Indie nella factory di Chusan, fu il primo europeo a fare significative raccolte in Cina. ![]() Un botanico e una pianta senza uguali Prima di concludere, vale la pena di approfondire le relazioni con Petiver, Sloane e Ray che forse spiegano perché, nonostante l'enorme influenza sui botanici successivi, il nome di Plukenet abbia finito per essere dimenticato. I quattro facevano parte degli stessi ambienti, erano assidui del Temple Coffee House Botanical Club, si scambiavano fornitori ed esemplari. All'inizio erano indubbiamente amici. In Almagestum botanicum, Plukenet ringrazia ripetutamente Petiver e Sloane per avergli procurato esemplari rari; come abbiamo visto, la recensione di Ray alla prima parte di Phytographia è elogiativa. Eppure, qualcosa si guastò. Come collezionisti, Plukenet, Petiver e Sloane era naturalmente rivali, dal momento che ciascuno avrebbe voluto gloriarsi della collezione più vasta e ricca di rarità. In questa specie di gara, facendo capo alla medesima rete di raccoglitori, non devono essere mancati gli sgarbi. Per Petiver lo fu senza dubbio la stessa pubblicazione delle piante dei suoi corrispondenti Browne e Cunningham in Amaltheum botanicum, che privò della primogenitura i suoi articoli per la Royal Society. Ad aprire le ostilità fu per altro Plukenet, che nella Mantissa non risparmiò le critiche né a Petiver né alla Storia naturale della Giamaica di Sloane, definita "un caos". Ray, che all'epoca si proclamava ancora amico di Plukenet, cercò di fare da paciere, ma dovette arrendersi di fronte al suo pessimo carattere che così definisce in una lettera a Sloane: "E' un uomo pieno di puntiglio, piuttosto presuntuoso e supponente, incapace di accettare consigli". Se Ray e Sloane, signorilmente, si limitarono ad esprimere le loro riserve anche scientifiche nella corrispondenza privata, Petiver lo fece in pubblico. Nel suo articolo sulle piante indiane di Browne, pubblicato sulle Philosophical Transactions, lo colpisce nell'orgoglio: "Quel celebratissimo botanico, il dr. Plukenet, può ben vantarsi delle sue innumerevoli specie di piante, visto che le moltiplica, come ha fatto con questa, rendendola tre erbe diverse". Ora ci è chiaro perché il "Botanico della Regina" non abbia mai fatto parte della Royal Society e perché la sua opera sia stata apprezzata più nel continente che in patria. Tra i suoi più fervidi ammiratori vi fu certamente Linneo, che fece larghissimo uso del corpus di Plukenet (che egli conosceva in un'edizione complessiva, pubblicata nel 1720) citandolo in quasi pagina di Species plantarum. In Critica botanica, dedicandogli il genere Plukenetia, ne tesse un vero encomio: "La Plukenetia ha una struttura dei fiori unica tra le piante, come lo è Plukenet tra i botanici. Egli preferì le piante a ogni ricchezza; non risparmiò nulla per illustrare quelle rare per le quali ardeva più di ogni altro". Plukenetia L. (famiglia Euphorbiaceae) comprende una ventina di specie di liane e rampicanti volubili diffuse nelle aree tropicali di tutto il mondo. I fiori che avevano stupito Linneo sono curiosi sia per la struttura (privi di petali hanno un calice globoso che si apre in quattro lobi valvati), sia per la disposizione, con uno o due fiori femminili alla base e molti fiori maschili disposti lungo l'asse del racemo. Curiosi anche i frutti, con quattro lobi angolati o alati, che si aprono in quattro cocci bivalvi che contengono un seme. Sono proprio i semi a costituire il maggiore punto di interesse di diverse specie, compresa la più nota, P. volubilis, conosciuta come sacha ichi o arachide degli Inca. Originaria del Sud America tropicale, ma coltivata anche altrove, è una liana con foglie cuoriformi e piccoli fiori raccolti in cime seguiti da curiosi frutti verdi, capsule con 4-7 punte che a maturazione si aprono mostrando una polpa biancastra che avvolge grandi semi. Non commestibili da crudi, lo diventano previa tostatura. Ricchissimi di proteine e di oli, se ne ricava un olio considerato salutare per l'alta presenza di acidi grassi polinsaturi. Qualche approfondimento nella scheda. Dopo Euricius e Valerius Cordus, un'altra coppia padre-figlio della Germania del Cinquecento: quella costituita dai due Joachim Camerarius, il Vecchio e il Giovane. Il primo in gioventù fu amico di Euricius, poi divenne una colonna dell'intellighenzia luterana e un notissimo filologo; il secondo studiò in Italia, divenne un medico conteso da principi e sovrani, il riformatore della medicina della sua città, l'autore di un noto testo sugli emblemi, a metà tra erudizione, filosofia morale e naturalismo. Per noi è soprattutto un creatore di giardini: il suo, ricchissimo di piante esotiche, e quelli che aiutò a realizzare o progettò per il langravio d'Assia e il vescovo di Eichstätt. Proprio come quest'ultimo esiste ormai solo nelle magnifiche figure di Hortus Eystettensis, così anche il giardino di Camerarius sopravvive nelle pagine di un libro e di un manoscritto. Auspice Plumier, Linneo gli dedicò il piccolo genere Cameraria. ![]() Un emblematico figlio d'arte Abbiamo incontrato Joachim Camerarius il Vecchio (1500-1574) a Erfurt nel 1520, quando, ventenne, aprì una sfortunata scuola latina insieme a Euricius Cordus. Dopo quell'infelice esordio, divenne un intellettuale di punta del Luteranesimo. Professore a Wittenberg, fu a fianco di Melantone che aiutò a scrivere la Confessione augustana; più tardi ne fu anche il primo biografo. Ebbe un ruolo importante nella riforma in senso protestante delle università di Tubinga (insieme a Fuchs) e di Lipsia, dove visse dal 1539 alla morte. Fu uno dei maggiori umanisti della sua generazione, autore di opere di vario argomento e di numerose traduzioni, nonché curatore di fondamentali edizioni critiche, la più importante delle quale è la prima edizione a stampa del testo greco del Tetrabiblos di Tolomeo. Suo figlio Joachim, che per distinguerlo dal padre è noto come Camerarius il Giovane (1534-1598), cresciuto in questa atmosfera intellettuale, poté giovarsi della fitta rete di contatti del padre, che includeva importanti umanisti e le maggiori personalità del mondo riformato. Dopo aver ricevuto un'ottima formazione classica a Wittenberg con Melantone e a Lipsia con il padre, si orientò verso la medicina. Il suo primo maestro fu Johann Crato von Krafftheim, medico cittadino a Breslavia, che si era laureato a Padova e gli consigliò di fare lo stesso; fu così che nel 1559 Joachim il Giovane partì per l’Italia. Per due anni seguì i corsi a Padova, poi si spostò a Bologna dove si laureò con Ulisse Aldrovandi, con il quale sarebbe rimasto in corrispondenza per tutta la vita. In Italia strinse preziosi legami con molti altri naturalisti, che gli sarebbero stati molto utili al suo ritorno in Germania. Infatti Camerarius il Giovane, oltre che un medico di notevole talento, era anche un umanista e un collezionista che non avrebbe potuto né scrivere le sue opere né arricchire le sue collezioni e il suo giardino senza il contributo di tanti amici e corrispondenti. Dopo la laurea nel 1562, viaggiò ancora per qualche mese in Italia quindi rientrò a Norimberga che sarebbe rimasta la sua residenza fino alla morte. Divenne medico cittadino; la sua competenza era tale che spesso veniva consultato da principi e sovrani. Fu anche molto impegnato nella riforma della medicina della sua città; nel 1571 propose al Consiglio cittadino di istituire un Collegium Medicum che ne regolasse la pratica: solo i medici laureati dovevano essere autorizzati a fare diagnosi e i farmacisti dovevano essere posti sotto il controllo dei medici. Il Collegium venne infine istituito nel 1592 e Camerarius ne fu il decano fino alla morte. Oltre a scrivere di argomenti medici, Camerarius era un intellettuale di vasti interessi, un appassionato collezionista di immagini, piante, minerali, fossili, oggetti naturali in genere. Alla morte di Gessner, di cui era amico, fu lui ad acquistarne i manoscritti e i disegni. Gli studi naturalistici, la competenza di filologo, il moralismo di matrice luterana e il fascino per le immagini si conciliano in Symbola et emblemata, un'opera in quattro libri (o centurie), ciascuno dei quali contiene cento emblemi. Essa si inquadra in un filone che ebbe ampio successo tra tardo Cinquecento e Seicento, quello dei libri di emblemi, ma se ne distingue perché Camerarius sceglie i suoi emblemi esclusivamente dal mondo naturale: le piante (I libro), i quadrupedi (II libro), gli uccelli e i volatili (III libro), gli animali acquatici (IV libro). Ognuno dei quattrocento emblemi ha una struttura quadripartita: sulla pagina di sinistra, l’emblema vero e proprio, un’immagine posta in una cornice circolare, simile a una medaglia; lo sormonta il motto, una frase sentenziosa contenente un insegnamento morale; al piede un epigramma in versi; sulla pagina di destra, un commento con riferimenti sia ad autori classici o alla Bibbia, sia alla letteratura naturalistica. Le immagini, dovute al pittore e incisore Hans Siebmacher e realizzate con la tecnica allora nuova della calcografia, sono assai attraenti e furono riutilizzate per secoli. ![]() Giardini veri (e filosofici), giardini dipinti Come molti naturalisti del tempo, Camerarius aveva vasti interessi, ma la botanica era il suo campo d'elezione: è stato notato che in Symbola et emblemata, i testi delle centurie sugli animali sono per lo più un collage della letteratura di riferimento, mentre nella centuria sulle piante si nota una profonda conoscenza diretta e sono frequenti le osservazioni di prima mano. Infatti, a partire dal 1569 Camerarius poteva studiarle nel suo giardino, dove accanto ai semplici c'erano moltissime piante esotiche; era considerato il più raffinato della Germania meridionale. A farci sapere che cosa vi coltivasse, provvide lo stesso Camerarius con la sua maggiore opera di botanica, Hortus Medicus et Philosophicus , che di quel giardino è almeno in parte il catalogo. Seguito da un opuscolo di Johann Thal sulla flora della regione dello Harz e illustrato da xilografie di Jost Amman e altri artisti, tra cui Joachim Jungermann (nipote di Camerarius), contiene una lista in ordine alfabetico di piante adatte alla coltivazione nei giardini tedeschi di cui vengono forniti i nomi, i sinonimi, la provenienza e note di coltivazione; lo stile è sintetico e le note erudite sono sporadiche, così come le eventuali proprietà officinali. Dalla medicina farmaceutica, l’interesse si va spostando verso le piante in sé, come sottolinea il titolo: hortus medicus sì, ma anche philosophicus, ovvero scientifico: è ora che le piante, da ingrediente delle ricette dei medici, diventino oggetto di studio dei naturalisti. Ci sono piante native, magari alpine, il cui interesse estetico è emerso dai viaggi dei primi esploratori della flora locale, come Valerius Cordus e Gessner, ma moltissime sono esotiche, soprattutto provenienti dall’Italia e dal Mediterraneo orientale. Alcune delle specie che Camerarius coltivava nel suo giardino erano souvenir dei suoi viaggi in Italia come il “bellissimo Antirrhinum dai fiori gialli che cresce spontaneo tra Savona e Genova" . Molte le acquistava dai mercanti di Norimberga che si rifornivano soprattutto ad Anversa, la porta europea delle piante provenienti dalle Indie orientali e occidentali. Ma moltissime le aveva avute da altri botanici e appassionati: il fornitore più assiduo probabilmente era Carolus Clusius, che in quegli anni era a Vienna ed aveva accesso alle specie provenienti dall’Impero ottomano; ma le piante del Levante gli arrivavano anche dai contatti italiani: Aldrovandi, i prefetti di Padova Guilandino e Cortuso, il farmacista Calzolari, i botanici viaggiatori Prospero Alpini e Giuseppe Casabona, prefetto dell'orto di Firenze. Nel 1568 il langravio Gugliemo IV di Assia-Kassel fece allestire uno spettacolare giardino nell'isola di Fulda, ai piedi del suo castello di Kassel. Per selezionare le piante più adatte, si avvalse della consulenza di Camerarius, che gli mise a disposizione i suoi contatti e aiutò il giardiniere capo, che faceva continuamente la spola tra Kassel e Norimberga, a procurarsi piante e elementi decorativi presso i mercanti della città. Era considerato il massimo esperto di giardinaggio della Germania, era un uomo colto e raffinato abituato a frequentare principi e corti; è dunque logico che il vescovo Johann Konrad von Gemmingen abbia pensato a lui quando decise di creare un giardino senza pari a Eichstätt. Il fatto che fosse luterano, evidentemente, non era un ostacolo. Tuttavia Camerarius morì quasi subito e il compito, come ho raccontato in questo post, passò al meno colto ma molto intraprendente Basilius Besler. Ci sono però legami molto forti tra l'Hortus Eystettensis (inteso sia come giardino sia come libro) e il giardino dello stesso Camerarius, Non solo talee, bulbi, barbatelle e semi passarono da un giardino all'altro, ma il vecchio medico e botanico anticipò il progetto del vescovo di far ritrarre dal vero le piante di Eichstätt facendo eseguire uno splendido florilegio manoscritto che documenta le più belle e rare specie del suo giardino. Mai pubblicato, il Camerarius Florilegium si credeva perduto finché venne riscoperto all'inizio del secolo e messo all'asta da Christie nel 2002. Ad aggiudicarselo è stata la biblioteca di Erlangen. È una spettacolare opera d’arte che ritrae 473 specie coltivate, indigene o esotiche, per lo più a grandezza naturale, disposte secondo la successione delle stagioni. Alcune sono collocate in vasi, altre affiancate sulla stessa pagina in una composizione armonica, che anticipa, appunto, lo stile di Hortus Eystattensis. I disegni, allo stesso tempo accurati e di grande qualità estetica, non sono firmati; è stato fatto il nome di Joachim Jungermann, il nipote di Camerarius, che aveva eseguito alcuni dei disegni di Hortus medicus et philosphicus. ![]() L'esotica (e poco nota) Cameraria Riprendendo un suggerimento di Plumier, in Species Plantarum Linneo ha voluto ricordare Camerarius con il genere Cameraria. Appartenente alla famiglia delle Apocynaceae, è un piccolo genere di appena sette specie, quattro delle quali endemiche di Cuba, due di Haiti e una sola presente anche nell'America continentale, in una stretta fascia tra Messico meridionale e Guatemala. Come molte rappresentanti di questa famiglia, sono piante attraenti, ma tossiche. Sono piccoli alberi o arbusti con foglie intere, lucide, e fiori di piccole dimensioni, bianchi, con tubo corollino a imbuto e cinque lobi a stella. La specie più nota e diffusa è C. latifolia, un elegante alberello con fiori bianchi, che secerne un lattice bianco tossico utilizzato dagli indigeni per avvelenare le frecce. Tuttavia la radice e la corteccia hanno diversi usi officinali. Un elenco delle specie con la distribuzione nella scheda. Sette anni di lavoro, una spesa di 17,920 fiorini, una squadra di una dozzina di artisti, un farmacista e un botanico, 367 tavole calcografiche, 1084 piante divise nelle quattro stagioni, 3 volumi per il peso complessivo di 14 kg, 300 copie vendute a un prezzo esorbitante, un esemplare aggiudicato in un'asta di Christie per 1.930.500 sterline: sono questi i numeri di Hortus Eystettensis, il meraviglioso florilegio barocco voluto dal vescovo di Eichstätt Johann Konrad von Gemmingen e realizzato dal farmacista Basil Besler. Il ricchissimo vescovo desiderava immortalare le piante dei suoi favolosi giardini disposti su otto terrazze, dove, a quanto si racconta, fiorivano 500 varietà diverse di tulipani. Morì prima che la mastodontica opera fosse finita; a trarne profitto fu il curatore Basil Besler, che guadagnò abbastanza da acquistare una casa (il cui prezzo era giusto 5 volte quello di una copia di lusso del librone). E oltre a una serena vecchiaia, conquistò anche un posto nella tassonomia botanica, come patrono del genere Besleria. ![]() Da un giardino barocco a un'opera senza pari Il vescovo Johann Konrad von Gemmingen (1561-1612), presule della diocesi di Eichstätt in Baviera, oltre a non disdegnare la caccia alle streghe (durante il suo mandato, furono almeno 20 le donne finite sul patibolo), amava il lusso e l'ostentazione. In occasione del Capodanno del 1603 arrivò a Ingolstadt a bordo di un cocchio trainato da sei cavalli, seguito da un corteggio di 91 persone e 83 cavalli. Poco prima di morire, commissionò un pomposo ostensorio con grappoli d'uva di pietre preziose e una stella di diamanti, per il quale erano stati necessari 1400 perle, 350 diamanti, 250 rubini e altre pietre, dal valore stimato di 150.000 fiorini. Non era tipo da accontentarsi della vecchia residenza vescovile; si fece costruire un nuovo palazzo di rappresentanza in stile tardo rinascimentale, ispirato a modelli italiani, che oggi è considerato uno dei capolavori del Rinascimento tedesco. Gli interni erano sontuosi e ricchi di curiosità e oggetti d'arte, A fare da scrigno a tanta preziosità e bellezza, anche i giardini non potevano essere da meno. Per il progetto, Gemmingen intorno al 1596 si rivolse a Joachim Camerarius il giovane, che, oltre ad essere uno dei più eminenti botanici tedeschi, possedeva egli stesso un giardino botanico dove coltivava molte piante esotiche. Tuttavia Camerarius morì prima dell'inizio dei lavori, nel 1598. Il vescovo allora ingaggiò Basilius Besler, un farmacista di Norimberga che possedeva un noto gabinetto di curiosità e un giardino botanico e corrispondeva con diversi naturalisti, tra cui Clusius. Il ruolo di Besler era organizzativo: gestiva la cassa e pagava dipendenti e fornitori; coordinava e sorvegliava l'attività dei giardinieri; soprattutto, teneva i contatti con i fornitori di piante, in particolare i mercanti dei Paesi Bassi che operavano a Anversa, Bruxelles e Amsterdam. I lavori d'impianto del nuovo giardino, ben presto noto come il più bello al di là delle Alpi, durarono circa sei o sette anni, fino al 1606. Si trattava in realtà di un sistema di otto giardini indipendenti, curati ciascuno da un proprio giardiniere, disposti su altrettante terrazze lungo il pendio della collina su cui sorge il Willibaldsburg, il castello-fortezza dei vescovi di Eichstätt; il vescovo poteva ammirarli dall'alto da un'altana collegata con i suoi appartamenti, e scendere in giardino attraverso una serie di scale a chiocciola. Ispirato al gusto barocco per la meraviglia, il giardino del vescovo era concepito come una Wunderkammer all'aperto, con chioschi, fontane, statue e collezioni di piante rare, molte di origine mediterranea, anche se non mancava qualche novità appena arrivata dall'America. La moda del momento prediligeva le bulbose, soprattutto i tulipani di cui il vescovo Gemmingen si vantava di possedere 500 diverse varietà. Non sappiamo se l'idea di immortalare quelle fragili bellezze in un catalogo illustrato sia stata del vescovo o se a suggerirgliela sia stato Besler. Ma probabilmente entrambi guardavano a un precedente immediato: il florilegio fatto allestire intorno al 1589 da Camerarius per il proprio giardino, un magnifico manoscritto in folio di 194 carte, con 473 dipinti di piante ornamentali a tempera e acquarello, raggruppate in base al periodo di fioritura. Camerarius non poté farlo stampare, e dopo la sua morte molte delle sue piante andarono ad arricchire le collezioni del giardino del vescovo di Eichstätt. A parte quest'esempio, quando Besler avviò la realizzazione di Hortus Eystettensis non esistevano precedenti né di cataloghi illustrati di un singolo giardino né di florilegia, ovvero di libri dedicati alle piante fiorite; fino ad allora, l'editoria botanica si era occupata essenzialmente di piante officinali. Tuttavia, dato che, come vedremo, il lavoro preparatorio si protrasse per molti anni, quando fu dato alle stampe ormai un precedente c'era: il catalogo dei giardini del Louvre Le Jardin du tres Chrestien Henry IV, con testi di Jean Robin e disegni di Pierre Vallet, pubblicato nel 1608. Insomma, l'idea era nell'aria, ma Hortus Eystettensis, per dimensioni, magnificenza, qualità e quantità delle immagini, potrei dire "peso" (anche in senso letterale), rimane senza uguali. Besler viene generalmente indicato come l'autore e come tale risulta nel frontespizio; per accreditare l'opera come sua, si fece orgogliosamente ritrarre all'inizio dell'opera, con in mano una pianticella forse di basilico, che potrebbe alludere al suo nome. In realtà ne fu piuttosto il responsabile editoriale. Procurò la carta, selezionò le piante da ritrarre e organizzò il progetto, ingaggiò gli artisti e forse l'autore dei testi, seguì tutte le fasi della produzione, dal disegno alla stampa. L'impresa richiese molti anni (di solito si parla di sedici, ma questo lasso di tempo include anche la realizzazione del giardino; possiamo più realisticamente parlare di sette anni, fissando l'inizio al 1606 o al 1607) e ironicamente si concluse nel 1613, un anno dopo la morte del committente. Dato che Besler viveva a Norimberga, dove continuava a gestire la sua ben avviata farmacia "All'immagine di Maria", tutto il lavoro si spostò in città (cosa che causò poi molte critiche a Besler da parte della corte diocesana). Seguendo l'arco delle stagioni, quindi dall'inverno all'autunno, ogni settimana scatole di fiori freschi percorrevano le cinquanta miglia che separano le due località, per arrivare nelle botteghe dei pittori incaricati di ritrarre a colori le piante dal vivo; conosciamo solo il nome di uno di loro, Sebastian Schedel. Probabilmente in questa fase vennero scritte anche le descrizioni e le succinte note botaniche, che la tradizione attribuisce almeno in parte a Ludwig Jungermann, uno dei nipoti di Camerarius. A questo punto gli schizzi partivano per Augusta, dove operava l'abilissimo copiatore Wolfgang Kilian, che ne traeva disegni in bianco e nero adatti ad essere trasformati in incisioni; era una fase che richiedeva grandissima competenza nell'uso del tratteggio e del chiaroscuro. Alcune parti erano colorate o accompagnate da una legenda sui colori. Sempre nella bottega di Kilian, i disegni erano poi incisi su lastre di rame. Tuttavia, dopo la morte di Gemmingen, con la corte diocesana che premeva per tagliare le spese, l'incisione venne affidata a diversi artigiani di Norimberga (ci sono giunti i nomi di almeno sette incisori). Ecco giunto il momento della stampa, che si concluse nel luglio 1613. Ma, almeno per le copie di lusso, non era finita: vennero infatti previste due versioni, una per così dire "economica" (vedremo tra poco quanto) con le tavole in bianco e nero stampate sul recto e le descrizioni corrispondenti sul verso; una di lusso con le tavole colorate a mano nella bottega della famiglia Mack che era specializzata in questa operazione. Era un lavoro lunghissimo: la copia attualmente in possesso della British Library fu colorata da Georg Mack, che iniziò il 2 marzo 1614 e concluse il 16 aprile 1615. Il risultato fu l'opera più mastodontica del secolo; stampata su fogli dal formato monstre 57 x 46 centimetri per un peso complessivo di 14 chili, fu anche una delle più costose di tutti i tempi. Alle casse vescovili costò 17,920 fiorini; le copie in bianco e nero erano vendute a 35 fiorini (per fare un paragone, il capo giardiniere del vescovo riceveva un salario annuale di 60 fiorini); quelle colorate costavano l'astronomica cifra di 500 fiorini. Quando il duca Augusto di Brunswick-Lüneburg, un bibliofilo che possedeva una notevole biblioteca, sentì il prezzo, pensò di aver capito male, e che ne costasse cinquanta; se il prezzo era quello, l'avrebbe comprata volentieri, altrimenti si sarebbe accontentato di una copia in bianco e nero. Sappiamo però che cambiò idea e, non solo sborsò i 500 fiorini, ma acquistò più copie da usare come dono principesco. La prima tiratura fu di 300 esemplari; poiché vennero colorate solo poche copie e molte furono successivamente smembrate per vendere le singole stampe, ne sopravvivono pochissime. Qualche anno fa una è stata venduta all'asta da Christie per 1.930.500 sterline. Sempre nel 1613, Besler fece stampare una seconda tiratura in bianco e nero di duecento copie priva dei testi, identica a quella precedente tranne che per la dedica al successore di Gemmingen; nel 1627 suo fratello Hieronymus mandò in stampa una terza edizione senza testo e con sole 97 tavole in bianco e nero. In un caso come nell'altro, erano state stampate senza l'autorizzazione della diocesi di Eichstätt, che pure aveva sostenuto le spese. L'unico a guadagnarci fu proprio Besler che riuscì anche ad acquistare una casa signorile, costata 2500 fiorini (l'equivalente di 5 copie colorate). Dopo la morte di Besler nel 1629 (una sintesi della sua vita nelle biografie) le matrici furono consegnate al vescovado, insieme a poche copie invendute; il vescovo provvide a una nuova edizione, uscita nel 1640, con un nuovo frontespizio senza il nome di Besler. Ma ormai la situazione tedesca era drammatica, La guerra dei Trent'anni, iniziata nel 1618, aveva investito pesantemente anche la Baviera: nel 1634 gli svedesi di Gustavo Adolfo assalirono Eichstätt quale "fortezza del cattolicesimo", incendiarono la città, saccheggiarono il palazzo e distrussero i giardini. Il loro ricordo dunque rimase affidato solo al libro che ne porta il nome,Hortus Eystettensis: sono state le sue tavole a guidare alla fine del secolo scorso il ripristino dei giardini storici sugli spalti del Willibaldsburg, dove oggi fioriscono di nuovo le piante coltivate all'epoca del vescovo Gemmingen, L'importanza di Hortus Eystettensis non è solo storica. Si trattò senza dubbio di una pietra miliare della storia dell'illustrazione botanica (i testi, lo si è capito, sono del tutto secondari), che sancisce il passaggio definitivo dalla xilografia alla calcografia. Il libro di 850 pagine (rilegato in due o tre volumi) comprende 367 tavole calcografiche, con la raffigurazione di 1084 piante ritratte a dimensione naturale o quasi. Su ogni pagina sono disposte in bella mostra, come in un'aiuola, da due a cinque piante, con uno o due soggetti principali di grande impatto estetico, contornati da piante più piccole, come se fossero grandi dame con i loro paggi. La disposizione segue le fioriture stagionali; l'inverno con sole 7 tavole, la primavera con 454 piante e 134 tavole, l'estate con 505 piante e 184 tavole, l'autunno con 98 piante e 42 tavole. Si tratta essenzialmente di specie ornamentali, 349 specie tedesche o naturalizzate da tempo, 209 mediterranee, 63 asiatiche, 23 americane e 9 africane. Le piante medicinali, che in precedenza erano le uniche ad essere rappresentate, sono una piccola minoranza. Le specie che ornavano il giardino del vescovo, e ora rivivono nelle tavole del magnifico libro, sono state scelte con altri criteri: il piacere estetico della loro bellezza e il prestigio della loro rarità. L'opera è oggi disponibile in varie edizioni, incluso una in facsimile. Nella gallery propongo alcuni esempi di immagini, che pur nelle loro dimensioni "a francobollo" permettono di osservare come sono state disposte le piante e di apprezzare la qualità del disegno. ![]() Besleria, dalle foreste dei tropici Nonostante la scarsa importanza dei testi, per la precisione del disegno e la ricchezza di dettagli, Hortus Eystettensis fu assai apprezzato dai botanici delle generazioni successive, incluso Linneo che lo definì una "meraviglia senza pari". E fu proprio lui, accogliendo un suggerimento di Plumier, a rendere omaggio al curatore Basilius Besler dedicandogli il genere Besleria. Besleria L. è un vasto genere della famiglia Gesneriaceae che comprende circa 170 specie di grandi piante erbacee, arbusti o piccoli alberi diffusi dal Messico al Sud America tropicale, dove vivono nel sottobosco della foresta pluviale. L'area di massima diversità sono le Ande tropicali, con circa 100 specie, seguite dal Centro America con 20 specie. Sono raramente coltivate, se non negli orti botanici, per una serie di ragioni: sono di dimensioni abbastanza grandi, hanno fiori pittosto piccoli e poco vistosi, richiedono umidità costante. Le specie di questo genere solitamente sono piante erette e poco ramificate, con diverse coppie di grandi foglie opposte, con nervature evidenti, talvolta coriacee, e piccoli fiori tubolari raccolti in infiorescenze ascellari talvolta in verticilli sovrapposti; i colori più frequenti della corolla sono il bianco, il giallo, il rosso e l'aranciato. La forma tubolare e i colori squillanti ci fanno capire che gli impollinatori di diverse specie sono i colibrì. Moltesono endemismi di diffusione locale, ma alcune hanno ampia distribuzione; tra queste ultime B. laxiflora, diffusa dal Centro America alla mata atlantica brasiliana. E' un suffrutice o piccolo albero, con lucide foglie ellittiche o ovate, con nervature evidenti e piccoli fiori, non più lunghi di 2 cm, raccolti in cime o umbelle, con calice tubolare-campanulato, da verde a giallo o arancio, e corolla tubolare gialla, arancio salmone, rosa o rosso dorato, con lobi lievemente diseguali, seguiti da bacche rosse. Non è infrequente che porti fiori e frutti contemporaneamente. Qualche approfondimento nella scheda. Insieme a Hieronymus Bock e Leonhart Fuchs, Otto Brunfels è uno dei tre "padri della botanica tedesca" (o, secondo alcuni, della botanica tout court). E' vero che, in area tedesca, il suo Herbarum Vivae Eicones è il primo a superare gli erbari figurati di tradizione medievale, messi insieme con il copia-incolla. Ma se il volume segna una tappa nella storia della botanica, non è tanto per i suoi testi (anch'essi ben poco originali) quanto per le incisioni di Hans Weiditz , il primo a ritrarre le piante dal vero e a farle vivere sulla pagina stampata. Il primo vero illustratore botanico della storia avrebbe meritato un genere celebrativo, ma così non è; invece a celebrare Brunfels, per volontà di Plumier e Linneo, c'è il magnifico genere Brunfelsia. ![]() Come si confeziona un prodotto editoriale di successo Come ho raccontato in questo post, il mercato editoriale tedesco aveva scoperto precocemente le potenzialità economiche degli erbari figurati, con una vivace produzione di Kräuter Bücher in lingua tedesca, assai apprezzati da un pubblico relativamente vasto di "illetterati", ovvero di persone che non conoscevano il latino. Costruiti con il copia-incolla riprendendo testi e immagini dalla tradizione manoscritta medievale, non brillavano certo per originalità. Il primo a capire che il mercato era pronto per qualcosa di nuovo fu probabilmente l'editore di Strasburgo Johann Schott, tanto più che aveva sotto mano la persona giusta per scrivere il testo; da qualche anno si era infatti trasferito in città il teologo Otto Brunfels che, oltre ad aver aperto una scuola per i ragazzi, era un poligrafo che aveva già pubblicato per lui due libri di biografie, l'una dedicata agli uomini illustri dell'Antico e del Nuovo testamento, l'altra ai medici celebri. Non era un medico (lo sarebbe diventato poco dopo), ma, oltre ad essere un eccellente latinista, si interessava di botanica ed era aggiornato sulle ultime tendenze che arrivavano dall'Italia. Per altro, più che sul testo, l'avveduto Schott puntava sulle immagini; e anche per quelle aveva la persona giusta: il pittore e incisore Hans Weiditz, figlio di un affermato scultore locale e allievo di Albrecht Dürer. Le xilografie del suo nuovo erbario non sarebbero state l'ennesimo rifacimento di miniature medievali, ma, per la prima volta in assoluto, avrebbero ritratto le piante dal vivo, secondo il nuovo stile naturalistico imposto appunto da Dürer. Che nelle intenzioni di Schott le immagini fossero l'elemento più importante si vede fin dal titolo: Herbarum vivae eicones, ad naturae imitationem, summa cum diligentia et artificio effigiatae, ovvero "Immagini vive delle erbe, effigiate con la massima diligenza e virtuosismo, in modo da imitare la natura". Un titolo che equivale a uno spot pubblicitario. Grazie a quelle immagini senza precedenti, Herbarum vivae eicones di Brunsfeld segnò una tappa fondamentale nella storia della botanica, tanto che Julius von Sachs nella sua Geschicte der Botanik scelse la sua data di pubblicazione, il 1530, come anno di inizio della storia della botanica moderna e proclamò l'autore, insieme a Bock e Fuchs, padre della botanica. Un titolo quanto meno esagerato, anche se l’autore ha i suoi meriti e il libro ne ha ancora di più. Da teologo, a botanico e medico Quando arrivò a Strasburgo, Brunfels era sulla trentina, ma aveva già alle spalle una vita travagliata, vissuta nel fuoco della passione per il rinnovamento religioso e morale, ma anche civile e politico annunciato dalla Riforma. Figlio di un bottaio, giovanissimo si laureò in filosofia e teologia, quindi si fece monaco, prima nella certosa della città natale Magonza, poi in quella di Königshofen nei pressi di Strasburgo. Qui poté frequentare gli ambienti umanistici e pubblicare i suoi primi scritti, dedicati a problemi morali e teologici sulla scia di Erasmo da Rotterdam. La Riforma protestante lo vide in prima fila, schierato al fianco di Lutero ma ancora di più di Ulrich von Hutten, il leader della guerra dei cavalieri. Le sue posizioni erano dunque decisamente radicali e lo costrinsero prima ad abbandonare il monastero, poi a diventare una specie di pastore itinerante, in conflitto non solo con la Chiesa cattolica ma anche con Zwingli e lo stesso Lutero. Negli anni caldi della nascita della Riforma, tra il 1519 e il 1524 egli scrisse copiosamente di argomenti morali e teologici, che spesso avevano anche risvolti politici: in particolare, denunciò l'arbitrarietà delle decime, anche se non fino al punto di invitare i contadini a non pagarle; la sconfitta della guerra dei cavalieri e la morte di von Hutten (che difese ancora dopo la sua scomparsa contro le critiche di Erasmo, ai suoi occhi un opportunista che non aveva avuto il coraggio di schierarsi apertamente con la Riforma) lo spinsero a moderare le sue posizioni e soprattutto ad abbandonare la polemica religiosa, per tornare a Strasburgo. Città libera dell'Impero, ma in posizione decentrata, e dominata dalle posizioni conciliatrici di Martin Butero, rispetto alla Germania poteva essere un asilo abbastanza sicuro e quasi un'oasi di tranquillità. Come ho già accennato, negli otto anni in cui visse a Strasburgo, forse anche in connessione con la professione di maestro, scrisse di molti argomenti, anche se Herbarum vivae eicones rimane la sua opera di maggior impegno. Divisa in tre parti, uscite rispettivamente nel 1530, nel 1532 e nel 1536, si concluse solo dopo la morte dell'autore, avvenuta nel 1534. Non sappiamo se Brunfels si fosse già interessato di botanica in precedenza, magari fin dagli anni in cui era monaco certosino; ma, a parte la raccolta di biografie di medici pubblicata da Schott, non aveva mai scritto nulla né di medicina né di piante medicinali. Ma si appassionò tanto all'argomento che, benché avesse ormai superato la quarantina, andò a Basilea a studiare medicina e, dopo essersi laureato nel 1532, si trasferì a Berna come medico della città. Qui morì nel 1534. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Quando le immagini prevalgono sul testo E' molto probabile che Herbarium vivae eicones come lo leggiamo oggi non corrisponda affatto al progetto che aveva in mente Brunfels quando iniziò a scriverlo. Sulla scorta delle indicazioni degli umanisti italiani, in particolare dei medici dello Studio ferrarese Niccolò Leoniceno e Giovanni Manardo, che invitavano ad abbandonare Plinio per riscoprire Dioscoride nella sua veste originale, e a verificare l'identificazione delle piante dal vivo, l'ex teologo si proponeva di superare i vecchi erbari tedeschi attingendo direttamente alle fonti antiche, prima tra tutte la Materia medica di Dioscoride. Probabilmente intendeva presentare le piante in ordine alfabetico, dando la precedenza o forse l'esclusiva alle specie medicinali citate dagli antichi. Per identificarle correttamente, anche lui, seguendo l'esempio di Leoniceno e Manardo, percorreva le campagne attorno a Strasburgo cercando di identificare le piante mediterranee nominate da Dioscoride nella ben diversa flora del centro Europa, ovviamente incappando in identificazioni forzate o arbitrarie. e le cose non andarono come avrebbe voluto, la colpa (o il merito) fu di Hans Weidnitz. Il pittore doveva essere uno spirito indipendente (e intraprendente) e prese l'iniziativa di ritrarre dal vivo anche piante non previste dall'autore, non solo mai citate da Dioscoride o Plinio, ma spesso pure prive di proprietà officinali. Insomma, vere e proprie erbacce. Brunfels le avrebbe espunte volentieri, o almeno relegate in un'appendice, ma l'editore premeva perché il lavoro procedesse in fretta, e, mano a mano che le matrici erano pronte, venissero stampate le xilografie con i testi relativi. Così l'ordine previsto da Brunfels saltò, e le specie vennero disposte in un ordine casuale, dettato dalle esigenze editoriali. Per Brunfels fu sicuramente uno smacco, tanto che si scusa addirittura con i lettori di aver inserito queste piante nel corpo del testo e le chiama spregiativamente “plantae nudae”, indegne di essere illustrate perché non coperte dal prestigio di una designazione autorevole. Eppure sono proprio le spregevoli piante nude a rendere interessante il libro di Brunfels ai nostri occhi: su 258 specie o varietà illustrate, quelle mai descritte in precedenza sono 47, e sono le uniche per le quali il supposto "padre della botanica" scrive ciò che vede con i suoi occhi o ha saputo dai suoi informatori, e non ciò che riprende diligentemente dalle fonti antiche. Per scoprire i loro nomi e sapere qualcosa dei loro eventuali usi, senza alcuna spocchia intellettuale, egli si rivolse infatti agli erboristi e anche alle «vecchiette espertissime» che «non conoscono le piante grazie ai libri, ma sono stati ammaestrati dall'esperienza». E sicuramente non gli spiacque che l’editore prendesse l’iniziativa di affiancare all'edizione latina una versione tedesca, il Contrafayt Kreüterbuoch (ovvero “Libro d’erbe illustrato”), con l’aggiunta di una cinquantina di illustrazioni originali. Oggi si tende sostanzialmente a ridimensionare il valore storico dell’opera di Brunfels, giudicata un lavoro sostanzialmente compilatorio, mentre non si manca di sottolineare l’altissima qualità delle illustrazioni di Hans Weiditz (1497-1537 circa). Probabilmente si deve a lui la maggior parte delle immagini dei primi due volumi dell’Herbarum Vivae Eicones, anche se fu assistito da altri pittori e da uno o più incisori. Weiditz, come abbiamo già visto, scelse con una certa autonomia le piante da ritrarre; le disegnò e le dipinse da vivo, non in modo idealizzato, ma estremamente realistico tanto che in alcune tavole vediamo fiori appassiti, foglie strappate o mangiate dagli insetti. Da questo punto di vista, le sue immagini sono abbastanza lontane dalle future convenzioni dell’illustrazione botanica che rappresenta le piante non in modo individuale, ma ideale; invece troviamo già le piante decontestualizzate, disposte sul foglio bianco staccate dal loro habitat; in alcuni esemplari sono presentati diversi stati della vita della pianta ritratta, con fiori e frutti insieme. Nel 1930 a Berna, in un volume appartenuto a Felix Platter, furono ritrovati settantasette acquarelli di piante dipinte da Weiditz: si tratta di una parte degli originali da cui furono tratte le xilografie dei volumi di Brunfels. Rispetto a queste ultime, sono ancora più notevoli per virtuosismo e naturalismo; gli incisori non di rado le adattarono alla pagina, spesso disponendole in posizioni innaturali e le riprodussero con un tratto piuttosto sottile, senza chiaroscuro; inoltre le dimensioni delle xilografie sono molto variabili, dalla pagina piena a pochi centimetri, con il testo che si dispone intorno in modo a volte un po' disordinato. Probabilmente, erano previste copie di lusso acquarellate a mano, di cui gli originali di Weiditz costituiscono il modello per i colori. Le illustrazioni di Weidnitz imposero un nuovo standard, tanto che furono immediatamente piratate: nel 1533 l’editore Egenolph ne fece copiare alcune (invertite e ridotte nelle dimensioni) per illustrare il Kreutterbuoch di Eucharius Rösslin; Schott gli fece causa e l’editore rivale fu costretto a desistere (ne ho parlato in questo post). Qualche anno più tardi, esercitarono una notevole influenza sugli artisti che illustrarono De historia stirpium di Fuchs. ![]() Fiori profumati, fiori cangianti A far entrare Brunfels nella terminologia botanica con la dedica di uno dei suoi generi americani fu il solito padre Plumier, che con tono lievemente apocalittico sottolinea il ruolo di precursore del botanico-teologo: «Per primo in Germania cercò di strappare la botanica medica, quasi estinta, da profondissime tenebre». E ciò resta vero non solo per il pionieristico Herbarum vivae eicones, ma anche per aver stimolato e incoraggiato altri botanici a seguirlo sulla stessa strada: fu lui a persuadere Hieronymus Bock a pubblicare il suo erbario tedesco, sobbarcandosi un viaggio a piedi da Strasburgo a Hornbach per convincerlo di persona; in appendice a Herbarum vivae eicones, pubblicò i primi scritti dello stesso Bock e di Fuchs; e fu certo l’interesse suscitato dal libro di Brunfels a spingere Euricius Cordus a scrivere e pubblicare il suo Botanologicon. Validato da Linneo nel 1753, il genere Brunfelsia, della famiglia Solanaceae, comprende una cinquantina di specie di piccoli alberi e arbusti, più qualche liana, diffuse esclusivamente nell'America tropicale, dalle Antille all'Argentina. Hanno grandi fiori profumati tubolari, con corolla piatta, lievemente zigomorfi, con cinque grandi lobi, simili a quelli delle petunie (i generi sono piuttosto affini e appartengono alla medesima tribù, quella delle Petunieae). Come molte piante di questa famiglia, contengono sostanze medicinali e alcaloidi, le cui proprietà sono state scoperte e sfruttate dalle culture indigene; tuttavia diverse componenti sono tossiche e possono causare problemi sia all'uomo sia agli animali domestici. Diverse specie di Brunfelsia sono coltivate per il grande valore ornamentale nei paesi a clima mite. Le più note sono B. americana e B. pauciflora. B. americana è un piccolo albero originario delle Antille, dove lo vide e lo descrisse padre Plumier; sempreverde, ha grandi fiori solitari dapprima bianchi poi giallo crema, che si aprono di notte diffondendo un forte profumo che gli ha guadagnato il soprannome di “signora della notte”. Da noi è però più coltivata l’arbustiva B. pauciflora, originaria del Brasile, che al momento della fioritura dà spettacolo con le sue corolle in tre colori. Infatti i suoi fiori hanno la curiosa particolarità di cambiare colore: al momento dell’apertura sono viola purpureo, quindi lavanda, infine, poco prima di appassire, bianchi. Ecco perché gli inglesi la chiamano yesterday-today-tomorrow, “ieri, oggi, domani”. Nessuna delle due specie è rustica. Garantisce invece una buona resistenza al freddo B. australis, che come dice il nome specifico ha una distribuzione più meridionale (dal Brasile meridionale all’Argentina); è simile a B. pauciflora, ma con portamento più compatto e fiori più piccoli, anch'essi in tre colori. Qualche approfondimento nella scheda. Sono due articoli, usciti rispettivamente sul Journal Général de France e sulla Gaceta de Madrid nel 1786 a pochi mesi di distanza, a rilanciare l'affare Dombey. Protagonista di questa seconda fase è un aristocratico, magistrato di professione e botanico per passione, Charles-Louis L'Héritier de Brutelle che, pur di pubblicare le nuove specie scoperte dallo sfortunato Dombey, non esita a inscenare una rocambolesca fuga a Londra. A fare da comprimari, tanti personaggi: un giovanissimo Redouté alle prime pennellate; il botanico Broussonet nelle vesti di complice; un prudente James Edward Smith e un riluttante Joseph Banks; Jonas Dryander nelle funzioni di cane da guardia; Cuvier e de Candolle come amici, testimoni e biografi. Alla fine, tanto rumore per nulla: le piante di Dombey in realtà L'Héritier non le pubblicherà mai; sarà però autore di tanti generi importanti, tra cui Plectranthus, Agapanthus, Eucomis, Eucalypytus, Pelargonium, Erodium. Per una strana coincidenza, anche a lui, come a Ruiz, Pavon e Dombey, è toccata una Malvacea, Heritiera, omaggio di Dryander e del giardiniere capo di Kew Aiton. ![]() Un magistrato appassionato di botanica Come abbiamo visto in questo post, Dombey tornò in Francia nell'ottobre 1785. Non ancora ricaduto nella depressione, affittò una casa a Parigi dove mise a disposizione di curiosi e studiosi le sue collezioni, prima che fossero trasferite nel Gabinetto del re. Il Journal Général de France ne informò i lettori nel numero del 14 gennaio 1786, elogiando la rarità e la ricchezza delle raccolte; quindi proseguì annunciando che il conte di Buffon, curatore del Jardin des Plantes, aveva affidato il prezioso erbario di Dombey a M. L'Héritier perché ne pubblicasse la descrizione. Con i tempi lenti dell'epoca, la notizia rimbalzò a Madrid suscitando indignazione e proteste ufficiali. L'affare Dombey tornava d'attualità. Ma prima di occuparcene, facciamo la conoscenza con il suo secondo protagonista, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. L'Héritier era un facoltoso magistrato divenuto botanico per passione. Si racconta che in gioventù, quando era sovrintendente del Dipartimento delle acque e delle foreste, mentre visitava l'orto botanico di Parigi con alcuni colleghi, fosse così dispiaciuto dal non aver saputo riconoscere un albero (si trattava di un Celtis) da decidere di studiare la botanica da autodidatta; lo fece così bene da diventare un esperto tassonomista di stretta osservanza linneana. L'adesione al sistema di Linneo lo mise in urto con i Jussieu e Adanson, che in quegli anni andavano mettendo a punto il loro sistema naturale, ma gli procurò la stima di altri naturalisti (in particolare Cuvier, Broussonet e Thouin) e gli consentì di entrare in corrispondenza con i linneani inglesi, come Joseph Banks e James Edward Smith. Più tardi divenne giudice dell'importante Court des Aides; i contemporanei lo dipingono come un giudice integerrimo e incorruttibile. Egli era interessato soprattutto alle piante arboree e arbustive; ma la sua maggiore aspirazione - ricordo che era outsider, un dilettante agli occhi dei professori del Jardin des Plantes - era conquistare la celebrità pubblicando piante inedite. E quando si trattava della sua passione, gli scrupoli di giudice senza macchia venivano un po' meno; si dice che giungesse a corrompere i giardinieri perché lo avvisassero delle fioriture prima dei proprietari; certa è la sua abitudine di antidatare le pubblicazioni a stampa, cosa che provocò una feroce polemica con Cavanilles sulla priorità di pubblicazione di alcune Malvaceae. Verso il 1783, L'Héritier, all'epoca estremamente facoltoso, decise di pubblicare a proprie spese una serie di monografie dedicate a specie poco note o di recente introduzione coltivate nel Jardin des Plantes o in giardini privati parigini; si sarebbe trattato di edizioni di lusso, in cui le sue precisissime descrizioni sarebbero state accompagnate da incisioni a piena pagina di eccellente qualità, affidate ad artisti capaci di ritrarre le piante dal vero con immediatezza, attenzione al dettaglio e precisione scientifica. Cercando i migliori collaboratori per il suo progetto, scoprì un giovane artista, appena trasferitosi a Parigi dal Lussemburgo: Pierre-Joseph Redouté. L'Héritier curò la sua formazione come illustratore botanico, gli aprì la sua biblioteca e gli affidò l'illustrazione di alcune sue opere, a cominciare dal secondo fascicolo di Stirpes novae. Il primo fascicolo di Stirpes Novae aut minus cognitae, quas descriptionibus et iconibus illustravit, con undici incisioni, uscì nel marzo del 1785, seguito da altri cinque tra il 1786 e il 1791. In tutto, le specie descritte e le incisioni sono 84. Tra i nuovi generi qui stabiliti da L'Héritier, il più noto è sicuramente Plectranthus (1788). Alcune delle nuove specie sono "peruviane" nate dai semi inviati da Dombey, tra cui quella che il magistrato-botanico battezza Verbena tryphilla (oggi Aloysia citrodora, ovvero la notissima cedrina o erba Luisa). La circostanza dovette attirare l'attenzione di Buffon che, come abbiamo già visto, decise di affidare proprio a L'Hériter de Brutelle la pubblicazione dell'erbario di Dombey, tanto più che il magistrato offriva di pagarla di tasca sua. ![]() Una fuga in Inghilterra e un progetto mai realizzato Sulla Gaceta de Madrid dell'11 luglio 1786 esce un articolo di fuoco, ispirato da Gomez Ortega o scritto direttamente da lui, in cui si denuncia l'annunciata pubblicazione dell'erbario di Dombey come una violazione della parola data da quest'ultimo di non pubblicare nulla prima del rientro di Ruiz e Pavon. Segue una protesta diplomatica ufficiale; la Spagna chiede non solo la sospensione della pubblicazione, ma addirittura l'invio a Madrid dell'erbario, onde evitare ogni tentazione. Una richiesta pesantissima e senza appigli legali, a cui tuttavia il governo francese si adegua. Per caso, L'Héritier de Brutelle si trova proprio a Versailles quando viene a sapere che è stato trasmesso a Buffon l'ordine di ritirare l'erbario, che gli sarà comunicato il giorno dopo. Disperato, corre a casa. Con l'aiuto della moglie, dell'amico Broussonet e di Redouté, passa la notte a imballare l'erbario e a fare i bagagli; la mattina dopo (è il 7 settembre 1786) parte con la moglie per Boulogne. Alla dogana, dichiara falsamente che sta andando in Inghilterra con dei materiali richiesti da Joseph Banks, un nome così prestigioso da spegnere i sospetti dei doganieri. Quindi si imbarca per Londra, dove passa quindici mesi, da settembre 1786 a dicembre 1787, con l'intenzione di preparare Il Prodromus di una Flora del Perù e del Cile, potendo approfittare delle biblioteche e degli erbari di Smith e Banks per il confronto e la determinazione degli esemplari. L'accoglienza di Banks non è proprio entusiastica: è stato avvertito della storia da Smith, che al momento della fuga di L'Héritier si trovava a Parigi, e soprattutto è furioso per l'uso del suo nome alla dogana di Boulogne. Tuttavia poi ammette il francese come regolare visitatore della sua biblioteca, pur raccomandando al segretario Dryander di tenerlo d'occhio: non si fida di questo fanatico, capace di tutto, anche di impadronirsi del lavoro altrui. In realtà, L'Hértitier si comporta più che correttamente. Tuttavia, a Londra i suoi piani cambiano: invece di concentrarsi sulla descrizione delle piante di Dombey, è attratto dalle specie ancora inedite dell'erbario di Banks e dalle novità botaniche che crescono a Kew e in altri giardini londinesi. Nasce così la sua seconda opera principale, Sertum anglicum (1789-1793), in cui pubblica 125 specie per lo più inedite, solo pochissime delle quali sono tratte dall'erbario di Dombey; per le incisioni si affida al grande illustratore britannico James Sowerby e a Pierre-Joseph Redouté, che lo ha raggiunto a Londra nella primavera del 1787. I nuovi generi pubblicati in questa opera sono tredici, sette dei quali dedicati a botanici britannici, come ringraziamento per l'accoglienza: Boltonia, Dicksonia, Lightfootia, Pitcarnia, Relhania, Stokesia, Witheringia. Quanto ai suoi principali ospiti, Banks, Smith e Dryander, L'Héritier non può omaggiarli, visto che i generi Banksia, Smithia e Dryandra esistono già. Ma tra i nuovi generi di Sertum anglicum ce ne sono almeno tre molti importanti: Agapanthus, Eucomis e Eucalyptus. Nel dicembre 1787, calmatasi le acque anche per il rientro di Ruiz e Pavon dal Perù (nel frattempo sono morti sia Galvez, il ministro spagnolo delle Indie, sia Buffon), L'Héritier de Brutelle ritorna a Parigi, pensando di poter continuare tranquillamente il suo lavoro in patria. In effetti, l'affare Dombey si è ormai dissolto in una bolla di sapone, e, oltre a continuare la pubblicazioni di altri fascicoli di Stirpes novae e Sertum anglicum, tra il 1787 e il 1788 L'Héritier dà alle stampe un'importante monografia, Geraniologia, in cui separa da Geranium i generi Pelargonium e Erodium. Di mettere fine ai suoi progetti si incarica la storia. Vicino agli ambienti illuministi, il magistrato-botanico si schiera dalla parte della rivoluzione e si batte per la monarchia costituzionale. Nell'ottobre 1789 è nominato comandante della guardia nazionale del suo quartiere; il suo reggimento è uno di quelli che il 6 ottobre proteggono il re della folla inferocita che lo costringe a trasferire la corte da Versailles a Parigi. Nel 1790 entra come associato all'Accademia delle Scienze, ma con lo scioglimento di tutte le istituzioni dell'Antico regime perde tutte le sue entrate; nel 1793 viene arrestato e rischia la pena capitale, ma viene ben presto liberato grazie alle testimonianze degli amici botanici Desfontaines e Thouin. Poco dopo rimane vedovo e il figlio maggiore, con cui non è mai andato d'accordo, lascia la famiglia. Con il termidoro, si mantiene grazie a un lavoro sottopagato al ministero di giustizia e diviene membro del comitato dell'agricoltura e delle arti. Nel 1795 quando l'Accademia delle scienze rinasce come Istituto nazionale delle scienze e delle arti, ne diviene membro residente della sezione di botanica e di fisica vegetale, con un modesto salario. Da tempo non pubblica più nulla, ma è riuscito a conservare la sua biblioteca e il suo erbario, e accoglie volentieri a casa sua i giovani botanici, come Augustin Pyramus de Candolle. La sera del 16 agosto 1800 lo attende una morte improvvisa e tragica: mentre rientra a casa a piedi dall'Istituto, a pochi passi dalla porta di casa viene assalito da uno sconosciuto che lo trafigge più volte con una sciabola. Il cadavere viene trovato solo il mattino dopo. E' coperto di ferite, ma non mancano né il denaro né altri effetti personali. Dunque, non si è trattato di una rapina. Il caso rimane irrisolto e si diffondono le voci più fantasiose, tra cui quella (riferita da Smith) che l'assassino fosse il figlio maggiore di L'Heritier. Prima di congedarci da lui (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), lasciamo la parola a de Candolle, che lo conobbe bene e dopo la sua morte aiutò la famiglia acquistando l'erbario: "Era un uomo secco, in apparenza freddo, ma in realtà appassionato, acrimonioso e sarcastico nella conversazione, un poco incline agli intrighi, un nemico dichiarato di Jussieu, Lamarck e anche dei nuovi metodi, ma verso di me ha dimostrato solo gentilezza di cui gli sono grato". ![]() Dalle foreste dell'Ile de France alle foreste di mangrovie Per una curiosa coincidenza, proprio come a Ruiz, Pavon e Dombey, anche a L'Héritier de Brutelle è toccato di essere celebrato da un genere della famiglia Malvaceae, Heritiera. A dedicarglielo fu William Aiton (anzi, potremmo dire Aiton e Dryander, visto che si tratta di un'opera a quattro mani) in Hortus kewensis, il catalogo dei Kew gardens del 1789. Come antico sovrintendente delle foreste della regione parigina L'Héritier amava gli alberi, e sarà stato sicuramente soddisfatto di questo omaggio, che ha legato per sempre il suo nome ad alberi dominanti delle foreste di alcune zone dell'Africa orientale, della regione indiana e del Pacifico. Alcune fanno parte delle foreste di mangrovie; tra di esse, la specie forse più nota, Heritiera littoralis, diffusa nelle foreste costiere dell'Oceano indiano e del Pacifico centro-occidentale, in un'area vastissima che va dall'Africa alla Micronesia. E' un albero di medie dimensioni a lenta crescita che forma larghi contrafforti basali che gli permettono di abbarbicarsi a suoli instabili e di resistere ad occasionali invasioni di acqua salina. Apprezzato per il legname, viene anche coltivato per la bellezza del fogliame, verde scuro e lucide nella pagina superiore, argentee in quella inferiore. H. fomes è invece la specie dominante delle mangrovie dell'India orientale e del Bangladesh, dove costituisce circa il 70% del manto arboreo. Sempreverde, è di dimensioni medie, ha radici munite di pneumatofori e tronco con vistosi contrafforti alla base; ha foglie coriacee ellittiche e fiori rosati o arancio riuniti in pannocchie. Anche il suo legname è molto apprezzato, ma la specie è considerata a rischio per l'eccessivo sfruttamento, la restrizione dell'habitat e la fluttuazione della salinità. Altre approfondimenti nella scheda. |
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Dal 27 maggio 2020 è in libreria il mio libro Orti delle meraviglie. Qui un'anteprima. CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
Giugno 2022
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