I due concetti di base della classificazione scientifica, genere e specie, come oggi li intendiamo vennero formulati nella seconda metà del Settecento, rispettivamente da John Ray e Joseph Pitton de Tournefort, e poi definitivamente consacrati a metà Settecento da Linneo. Ma a ben guardare, arrivano da molto lontano: a stabilirli, non nelle scienze biologiche, ma come categorie universali del pensiero, fu il filosofo greco Aristotele, il "maestro di color che sanno" per Dante, ma per noi anche il maestro di color che classificano. Tutt'altro che sostenitore dell'ipse dixit, lo stagirita fu un genio universale, interessato ad ogni campo del sapere, compresa ovviamente la natura, che indagò con occhio di scienziato sperimentale ante litteram. Delegò all'allievo e amico Teofrasto lo studio delle piante, concentrandosi sugli animali; ma in passato gli fu attribuita anche un'opera di botanica, nota con il titolo latino De plantis. Ma fu certamente come padre nobile della cultura occidentale che L'Héritier de Brutelle gli rese omaggio con il genere Aristotelia (Elaeocarpaceae). Tassonomie popolari, tassonomie scientifiche Da secoli, si può dire da quando è nata la botanica, i botanici si sono dati due compiti fondamentali, che in realtà sono strettamente connessi tra loro: identificare le piante, dando loro un nome, e raggrupparle, classificarle, sulla base di somiglianze e differenze. A dire il vero, classificazioni “ingenue” o “popolari” delle piante (anzi, più in generale degli esseri viventi) esistono in tutte le culture; ma la tassonomia popolare identifica e nomina solo le specie utili in qualche modo alla comunità oppure che è bene saper riconoscere perché nocive o pericolose. Le altre, quelle che non servono, spesso ricadono in categorie molto generali: “pianta”, “albero”, “felce”, “erbaccia”. D’altra parte, per designare le specie degne di essere riconosciute ed etichettate con un nome distintivo, già nelle designazioni popolari possiamo ritrovare in modo assai approssimativo, e con una portata molto diversa, i due concetti base della tassonomia scientifica, il genere e la specie. Ad esempio, in quasi tutti i dialetti italiani l’ortica comune (Urtica dioica) è designata con una singola parola, derivata dal latino urtīca, che corrisponde grosso modo al genere: ardicula (Sicilia), lurdicula (Calabria), ortiga (Liguria, Lombardia, Sardegna), urtia (Piemonte). Meno frequenti nomi descrittivi “polinomi”, come il piemontese erba ca foura “erba che punge”. Da questa ortica, che è quella vera e propria, potremmo dire l'ortica per antonomasia, la tassonomia popolare ne distingue un’altra, designata con un nome “binomiale”, formato cioè da due parole, analogamente al nome scientifico di specie: ortiga bianca (Brescia), ortiga falsa (Veneto), urtia morta o muta (Piemonte), urtiga gianca (Liguria). Sono alcuni esempi di denominazioni popolari di quello che per la scienza è Lamium album. Il fatto che tra Urtica dioica (Urticaceae) e Lamium album (Lamiaceae) non ci sia alcuna parentela ci chiarisce molto bene la differenza tra la tassonomia popolare e quella scientifica: la prima procede sulla base di somiglianze più o meno evidenti (in questo caso, la forma delle foglie), ma soprattutto le preme impedire confusioni tra due piante con usi pratici molto diversi, una delle quali potenzialmente pericolosa; la seconda cerca di cogliere affinità più profonde, intrinseche, nella convinzione che le somiglianze e le differenze tra le piante siano dovute a una “parentela”, ovvero alla loro storia evolutiva. Per arrivare a questa conclusione, la scienza ha compiuto un lunghissimo cammino, che è iniziato, almeno per la cultura occidentale, con il “maestro di coloro che sanno”, ovvero con Aristotele (384/383 a.C. – 322 a.C.). Fu proprio lui a fissare i concetti di genere e specie, non nell'ambito delle scienze naturali, ma in quello della logica: secondo il filosofo greco, ogni concetto può essere classificato secondo la sua maggiore o minore universalità, in un rapporto di genere (γένος, ghènos, concetto più universale) e specie (εἶδος, eidos, concetto più particolare). Il genere indica un gruppo di oggetti che condividono una serie di caratteristiche sostanziali, ma differiscono per caratteristiche particolari e contingenti e si applica a un numero maggiore di individui; la specie indica una gruppo di oggetti che condividono una serie di caratteri distintivi e riguarda un numero minore di individui. E' la specie, e non il genere, a definire con chiarezza l'essenza, la "sostanza prima" di qualcosa: ad esempio, "Socrate è un uomo" è una proposizione che chiarisce meglio che cos'è Socrate rispetto a "Socrate è un animale". Una classificazione bestiale Come si è detto, si tratta di concetti generali, nati nell'ambito della logica, non specificamente dell'indagine sulla natura. Ma anche da questo punto di vista Aristotele si guadagna senz'altro il titolo di "maestro di color che classificano". Figlio di un medico, era profondamente interessato all'anatomia e alla biologia. In tutti gli svariati ambiti di cui si occupò (dalla metafisica all'etica, dalla logica alla retorica, dalla poetica alla teoria della letteratura, dalla psicologia alla politica e appunto alle scienze della natura), animato da un'insaziabile sete di conoscenza, fu sempre profondamente interessato alle questioni metodologiche. Egli fu anche il primo a tentare una classificazione degli esseri viventi, giungendo a delineare un sistema basato su una logica binaria e gerarchica. Nel De anima classificò in modo molto generale gli animali basandosi sul loro ambiente di vita e il loro sistema di locomozione e individuando tre insiemi di animali: acquatici, volatili e terrestri. Divise poi questi ultimi sulla base degli arti implicati nella locomozione in quadrupedi e bipedi; a quest’ultima categoria appartiene anche l’uomo, definito “animale (genere) terrestre bipede (specie)”. Agli animali dedicò poi tre opere più specifiche, Ricerche sugli animali (Historia animalium), Le parti degli animali (De partibus animalium) e Sulla generazione degli animali (De generatione animalium). Nella prima descrive 581 specie che aveva potuto osservare direttamente, distinguendole in due grandi gruppi: Enaima “animali dotati di sangue rosso” e Anaima “animali privi di sangue rosso”, corrispondenti grosso modo ai nostri Vertebrati e Invertebrati. Individuò poi nove “grandissimi generi”, quattro tra gli Enaima: Ornithes (uccelli), Ichthues (pesci), Tetrapoda (quadrupedi, ovvero mammiferi, rettili e anfibi), Ketoi (cetacei); cinque tra gli Anaima: Cephalòpoda (molluschi cefalopodi), Màlaka (molluschi senza conchiglia), Ostrakoderma (molluschi con conchiglia), Malakòstraka (Crostacei), Entoma (animali con il corpo diviso in segmenti, en-tomos, ovvero artropodi). Nell’ambito di ciascun “grande genere” distinse poi generi più specifici, che non corrispondono al genere in senso moderno, ma piuttosto alle famiglie, quando non agli ordini. Intermedia tra il singolo individuo e il genere, si colloca la specie (in greco eidos, ovvero “immagine”), che Aristotele usa con una portata abbastanza analoga a quella che assumerà nella scienza moderna. Nel corpus aristotelico ci è giunta anche un’opera sulle piante (il secondo “regno” dei viventi, per usare una terminologia che però non appartiene al filosofo greco), De plantis. Tuttavia gli studiosi ritengono si tratti di un testo apocrifo, da attribuirsi forse a Nicola di Damasco, un filosofo vissuto all’epoca di Augusto. Infatti, Aristotele divise il lavoro con il discepolo prediletto e successore alla direzione della scuola peripatetica Teofrasto. Mentre il maestro approfondiva lo studio degli animali, ad occuparsi delle piante fu quest'ultimo, il vero padre della botanica. Dolci bacche dal Cile Anche se non si occupò direttamente di piante, Aristotele non mancò di esercitare una profonda influenza non solo sugli studiosi della natura del Medioevo, come il suo commentatore Alberto Magno, ma anche sui botanici del Rinascimento e della prima età moderna, alla ricerca di un metodo per classificare le piante che sempre più numerose affluivano grazie ai viaggi di scoperta, e che ormai era irrealistico pensare semplicemente di catalogare. Questo influsso è particolarmente evidente in Cesalpino, che basò il suo tentativo di classificazione delle piante sui concetti aristotelici di "sostanza" e "accidente"; fu sempre Cesalpino, sempre sulla scorta di Aristotele, a giungere a una prima definizione di specie che va già nel senso moderno. Ma, per una volta, non furono né Plumier né Linneo a rendergli omaggio con un genere botanico, ma alla fine del Settecento (1785) L'Héritier de Brutelle; l'idea era venuta in precedenza anche a Commerson (un botanico che sembrerebbe ben poco "aristotelico"), ma come si sa le sue opere rimasero a lungo inedite. Dunque la priorità va al genere di L'Hériter, che senza dubbio volle colmare una lacuna ma anche fare sfoggia di erudizione: “In memoria di Aristotele, filosofo principe dei peripatetici, che scrisse di storia naturale e di altro, come attestano Columella, lui stesso e altri autori di botanica, cui sono attributi due libri sulle piante”. L'Héritier creò il genere sulla base di una pianta raccolta in Cile da Dombey, Aristotelia maqui, che, riprodotta da seme, nell'inverno 1783 fiorì nelle serre del parco Monceau, di proprietà del duca di Chartres, il futuro Filippo Egalité. Il genere Aristotelia, della famiglia Elaeocarpaceae, comprende diciotto specie di alberi con una interessante distribuzione transpacifica: oltre che in Sud America (dal Cile all’Argentina) sono presenti infatti nell’arcipelago delle Vanuatu, nell’Australia sudorientale, in Nuova Zelanda e in Nuova Guinea. La specie più nota è probabilmente quella descritta da L’Héritier: oggi si chiama Aristotelia chilensis (Molina) Stuntz. Nativo delle foreste del Cile meridionale e delle aree adiacenti dell’Argentina, questo piccolo albero, noto con il nome comune maqui, era considerato sacro dai Mapuche che ne usavano le foglie per curare le ferite infette e le dolci bacche per preparare la chicha, una bevanda alcoolica e inebriante. Noto anche come "mirtillo della Patagonia", è coltivato talvolta anche dai noi per i frutti ricchi di proprietà antiossidanti. Altre informazioni nella scheda. Nel regno degli animali, a ricordare lo Stagirita è anche un secondo Aristotelia: è un ampio genere di falene (farfalle notturne) della famiglia Gelechiidae, con rappresentanti anche nel bacino del Mediterraneo e in Grecia.
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Nel 1794, quando fu assegnato al Dipartimento medico della presidenza del Bengala, Francis Buchanan aveva già trentadue anni e da dieci prestava servizio come chirurgo sulle navi della Compagnia delle Indie. Ora finalmente contava di dedicarsi alla sua vera passione: la botanica. Ma, contrariamente a quella del conterraneo William Roxburgh, da poco nominato sovrintendente dell'Orto botanico della Compagnia a Calcutta, la sua carriera ventennale in India proseguì in un'alternanza di grandi speranze e cocenti delusioni. Quando finalmente fu chiamato a succedere a Roxburgh, di anni ne aveva orami più di cinquanta, ed era già deciso a ritornare in Europa. Benché sia stato un raccoglitore straordinario e sia stato tra i primi ad esplorare la flora della Birmania e del Nepal, più che come botanico è noto come geografo ed esploratore, grazie alle due ricognizioni che diresse nel 1800-01 a Mysore e tra il 1807 e il 1814 in Bengala. A ricordarlo il genere Buchanania, che comprende una ventina di specie di alberi tropicali diffusi tra l'India e l'Australia; alcuni producono semi commestibili simili a quelli dell'anacardio. Sedici anni di gavetta Nella vita di Francis Buchanan, più tardi Buchanan-Hamilton (1762-1829), c'è una specie di convitato di pietra: William Roxburgh. Quasi coetanei (Roxburgh gli è maggiore di dieci anni) i due sono entrambi scozzesi, si sono formati con gli stessi maestri e si sono laureati in medicina alla stessa università, quella di Edimburgo. Subito dopo la laurea, a dieci anni di distanza, entrambi sono entrati al servizio della Compagnia inglese delle Indie (EIC), spinti dalla necessità (l'uno come l'altro sono privi di mezzi), ma anche dal sogno di farsi un nome come scienziati. Prima di potersi dedicare interamente alla botanica, anche a Roxburgh non erano mancati gli anni di apprendistato, quando lavorava come sotto chirurgo e poi chirurgo dell'EIC; ma fin dal 1781 (all'epoca aveva trent'anni) è diventato botanico ufficiale, poi capo naturalista della presidenza di Madras, quindi dal 1793 direttore dell'orto botanico di Calcutta, che trasforma in uno straordinario centro di ricerca. La carriera di Buchanan ripercorre alcune di queste tappe, ma in tempi dilatati e con un percorso segnato da speranze e delusioni. Le leggi scozzesi, ancora basate sul maggiorascato, escludono Francis, quarto figlio maschio, dall'eredità del padre, un facoltoso medico appartenente alla piccola nobiltà, che è anche un proprietario terriero. Per mantenersi deve avere una professione e sceglie la medicina. All'università, due incontri segnano per sempre la sua vita: il primo è con il suo professore di botanica, John Hope, che lo inizia alla scienza delle piante e al culto di Linneo; il secondo è con il condiscepolo James Edward Smith. Nel 1783, l'anno in cui Francis Buchanan si laurea, quest'ultimo acquista le collezioni linneane e di colpo, da oscuro studente, si trasforma in una stella di prima grandezza del firmamento dei naturalisti. E' probabilmente questo esempio a spingere Francis ad entrare al servizio dell'EIC, anziché iniziare una tranquilla carriera di medico di provincia. La prima delusione è immediata: l'EIC ha già fin troppi chirurghi nelle stazioni di terra, e Buchanan è costretto a prestare servizio sulle navi della Compagnia che fanno la spola tra l'Inghilterra e l'Asia; gli scali sono brevi e occasionali, e, come egli stesso si esprime, la botanica, di cui aveva sperato di fare una professione, diventa il suo hobby horse. Finalmente nel 1794 l'ultimo ingaggio lo porta da Portsmouth a Calcutta, dove entra al servizio del Dipartimento medico della Presidenza del Bengala. Va a fare visita a Roxburgh, che è ciò che lui vorrebbe essere: un botanico professionista e uno scienziato riconosciuto a livello internazionale. Per lui è un punto di riferimento, un amico, un corrispondente, un modello, ma, come vedremo, più tardi si trasformerà in un rivale, o per lo meno in un ostacolo. Assegnato alla remota stazione rurale di Luckipore, dove c'è ben poco da scoprire, Buchanan ha la sua prima occasione nel 1795, quando, forse proprio grazie alla raccomandazione da Roxburgh, accompagna il capitano Michael Symes in missione diplomatica in Birmania come medico della legazione. Anche se non fa parte dei suoi compiti, Buchanan ne approfitta per mettere insieme un erbario birmano di 168 esemplari e per interessarsi alla cultura, alla religione e alla letteratura del paese. Dotatissimo naturalista, egli è anche un osservatore acuto e un meticoloso raccoglitore di informazioni. Tuttavia, tutti questi talenti per ora rimangono inutilizzati. Nonostante doni l'erbario e il catalogo delle piante birmane alla Compagnia, nella speranza di accreditarsi come botanico, il dono cade nel vuoto e gli toccano altri cinque anni di purgatorio. Fino al 1798 rimane a Luckipore, quindi viene trasferito a Buraipur che ha il vantaggio di distare solo una giornata da Calcutta, ma non presenta alcuna attrattiva per un botanico; Buchanan si rassegna a trasformarsi in zoologo e a studiare gli animali. Unico diversivo, sempre nel 1798, una missione a Chittagong, che gli è stata procurata da Roxburgh che lo considera il migliore tra i botanici che operano in India. Quando Buchanan scopre che nel volume di Symes sull'ambasceria (An Account of the Embassy to the Kingdom of Ava, London 1800) sono stati usati i suoi disegni e le sue descrizioni naturalistiche senza neppure citarlo, anzi attribuendone la paternità a Joseph Banks, alla frustrazione si aggiungono il dolore e l'indignazione. Per la Compagnia e per gli ambienti scientifici londinesi, Buchanan come naturalista non esiste. Al momento, è più accreditato come orientalista; nel 1796 è ammesso all'Asiatic Society, sulla cui rivista pubblica l'importante saggio On the Religion and Literature of the Burmas, in cui contrappone "l'egualitarismo del Buddismo alla natura oppressiva e gerarchica del Bramanesimo". L'"inchiesta statistica" a Mysore e la scoperta della flora del Nepal La seconda occasione arriva nel 1800, quando il governatore generale dell'India, Richard Wellesley, si accorge di lui e gli affida una ricognizione del recentemente conquistato territorio di Mysore. Nell'India meridionale è già all'opera Colin Mackenzie, incaricato dei rilievi topografici, ma, prima di essere completato, il suo lavoro richiederà anni; al governatore serve invece in tempi rapidi una relazione che dimostri che l'invasione di Mysore, fortemente criticata da parte dell'opinione pubblica inglese ma anche da settori influenti della Compagnia, era pienamente giustificata e corrispondente agli interessi tanto dell'EIC quanto del Regno britannico. L'oggetto privilegiato dell'inchiesta affidata a Buchanan è l'agricoltura, ma, oltre che sulle produzioni vegetali e animali, gli viene chiesto di raccogliere informazioni sul clima, i minerali, le produzioni artigianali, le condizioni di vita degli abitanti, inclusi il cibo, i vestiti, i costumi, la religione, le leggi, i commerci ecc. E' un tipico statistical survey, dove l'aggettivo non ha il significato odierno: è un'inchiesta ufficiale (promossa da uno stato, questo il significato originario) a tutto campo sulle risorse, la popolazione, gli aspetti umani di un territorio. E, come ha dimostrato la sua esperienza in Birmania, Buchanan ha gli strumenti per gestire un compito così complesso, anche se ovviamente per lui la botanica viene prima di tutto. Il suo viaggio muove da Madras nella primavera del 1800 e a Madras si conclude nell'estate nel 1801; segue un itinerario tortuoso, che lo porta a visitare non solo Mysore, ma anche il Malabar e la costa del Karnataka. Spesso a guidare i suoi passi sono gli interessi botanici, ma egli visita località strategiche come Sira, incontra il diwan di Mysore, intervista persone di ogni classe sociale e raccoglie informazioni di ogni genere. E' il primo a osservare e descrivere la laterite. Mette insieme un erbario imponente e disegna o fa disegnare da artisti locali centinaia di piante. Alla fine, la sua relazione ai vertici della compagnia sarà esattamente come Wellesley la desidera: Tipu Sultan vi è dipinto come un despota orientale, odioso agli occhi dei suoi stessi sudditi, l'occupazione britannica come il ristabilimento della giustizia, dell'equità, della pace e del progresso. Il premio non si fa attendere. Poco dopo il rientro a Madras, Wellesley gli chiede di accompagnare il capitano Knox a Katmandu dove verrà fondata la prima sede diplomatica britannica in Nepal. La situazione del paese è instabile e dopo appena un anno Knox è bruscamente richiamato; la presenza dei britannici è mal tollerata e i raccoglitori nepalesi di Buchanan sono addirittura accusati di essere spie al servizio degli inglesi. Ma nonostante la brevità e la brusca interruzione, per la storia della botanica il soggiorno di Buchanan in Nepal è importantissimo: è il primo botanico occidentale ad esplorarne la flora ricchissima di endemismi; prima che un altro studioso vi sia ammesso di nuovo, passeranno quasi vent'anni: si tratta di Nathaniel Wallich, che visiterà il Nepal nel 1820. Nel 1825, sulla base delle collezioni di entrambi, David Don pubblicherà il suo Prodromus florae nepalenisis, rimasto l'opera di riferimento sulla flora del paese himalayano praticamente fino alla seconda metà del Novecento. Al suo rientro in India, Buchanan viene rispedito a Buraipur; ancora una delusione, ma di breve durata. Wellesley lo vuole come medico personale e poco dopo lo chiama a Barrackpore, la sua residenza di campagna, a dirigere il suo zoo e il Natural History Project of India, ovvero la ricognizione, l'illustrazione, la descrizione e la classificazione di tutti i mammiferi e gli uccelli dell'India. Di colpo, Buchanan si trova a fare parte del circolo più intimo del governatore, e su un gradino superiore a quello di Roxburgh, di cui per altro spera di prendere il posto; voci insistenti dicono che è ammalato e che presto sarà costretto a lasciare l'India. Il momento di gloria è brevissimo. Nel 1805 Wellesley viene richiamato e sostituito da lord Cornwallis, che taglia tutte le spese che considera inutili, tra cui il Natural History Project. Cronwallis è uno dei critici più feroci di Wellesley e Buchanan capisce che per il momento in India per lui non c'è futuro; decide di imbarcarsi con il suo patrono per Londra, dove potrà difendere meglio i propri interessi. Conta soprattutto sul vecchio amico James Edward Smith, ora presidente della Linnean Society, cui affida i manoscritti con le descrizioni in latino, gli esemplari raccolti a Mysore e una magnifica collezione di illustrazioni botaniche che ha fatto eseguire a Calcutta da un artista locale. Spera che Smith li faccia conoscere includendone una parte nella sua Exotic Botany e li custodisca finché egli stesso possa pubblicarli. E' una fiducia mal riposta: Smith utilizza sono una dozzina di illustrazioni (fatte ridisegnare da Sowerby), dieci di piante nepalesi e due di Mysore, ne pubblica altre 37 senza illustrazioni sulla Rees's Cyclopedia; e non restituisce mai i materiali a Buchanan. Dopo la sua morte, passeranno alla Linnean Society, finendo semi dimenticati, fino a tempi recenti, quando la collezione di illustrazioni è stata riscoperta e pubblicata anche in forma digitale. In ogni caso, il nome di Buchanan incomincia ad essere conosciuto negli ambienti scientifici della capitale e nel maggio 1806 egli è ammesso alla Royal Society. Nel 1807, a spese dell'Asiatic Society e della Compagnia delle Indie, viene pubblicata la relazione sul viaggio a Mysore, in tre volumi (A Journey from Madras through the Countries of Mysore, Canara and Malabar). Negli stessi mesi, è a Londra anche Roxburgh: in effetti è molto malato e, sebbene abbia sono 54 anni, pensa davvero di ritirarsi; è qui per trattare con la Compagnia la sua quiescenza e soprattutto per assicurare la successione al figlio omonimo. Buchanan, che aspira a quel posto per se stesso, fa di tutto per impedirlo; scrive non meno di quattro volte a Smith perché faccia pesare tutta la sua influenza sui vertici dell’EIC, denuncia il nepotismo di Roxburgh e scredita il rivale: quel giovanotto non ha studiato in un’università europea, ciò che sa di botanica gli deriva dall’essere l’assistente del padre; insomma, più o meno un giardiniere. Le pressioni di Buchanan fanno centro: nel gennaio 1807 la direzione della Compagnia lo nomina successore di Roxburgh. Grandi speranze deluse Come due anni prima, anche questa sarà una vittoria di Pirro. Roxburgh non solo recupera la salute, ma ritorna in India e riassume pienamente i suoi doveri. Ma, se non altro, la ricchezza delle sue raccolte ha fatto capire alla Compagnia le grandi qualità di Buchanan, e, forse anche come premio di consolazione, viene deciso di affidargli la ricognizione del territorio bengalese. E' il secondo, più noto, statiscal survey diretto da Buchanan, che lo impegnerà per ben sette anni, dal 1807 al 1814. Come a Mysore, la sua inchiesta non riguarda solo le risorse naturali, ma ogni aspetto della vita quotidiana, della cultura locali, della religione, della storia, dell'archeologia. Rispetto a Mysore, il suo compito è però molto più impegnativo. La Corte dei direttori della compagnia esige una relazione distretto per distretto e il nuovo governatore, lord Minto, che è rimasto impressionato dai risultati dei rilievi topografici di Mackenzie, in particolare dalle carte a scala di un pollice a un miglio (1/63.000), esige una descrizione topografica dettagliata. Ecco perché i lavori si prolungano ben oltre le attese sia dell'EIC sia dello stesso Buchanan. Ovviamente egli prosegue le raccolte botaniche ma, dato che il Bengala è una regione ricca di acque, incomincia a interessarsi sempre più ai pesci. Il risultato sarà l'importante An account of the fishes found in the river Ganges and its branches (1822), in cui descrive oltre cento specie in precedenza ignote alla scienza. Rimane sempre la prospettiva di succedere a Roxburgh, la cui salute nel frattempo si è di nuovo deteriorata, ma ora è lo stesso Buchanan a provare molto meno interesse per l'incarico un tempo tanto agognato. In primo luogo, la Compagnia, insoddisfatta dell'indirizzo scientifico impresso da Roxburgh, vorrebbe che il giardino tornasse allo scopo iniziale: l'acclimatazione di specie esotiche di interesse economico. In secondo luogo, gli anni passano e anche Buchanan sta per toccare la cinquantina; la sua salute è ancora buona, ma teme di rovinarsela definitivamente e di essere privato di qualche anno di serena vecchiaia da dedicare allo studio e alla pubblicazione dei suoi sempre più cospicui materiali. Almeno dal 1810, è intenzionato a ritirarsi appena possibile e a questo scopo inizia a risparmiare e inviare denaro da investire al suo banchiere londinese. Intanto, continua ad esplorare il Bengala, seguendo un itinerario divagante e a zigzag, anche più che a Mysore dettato dalla passione botanica. Se una zona è arida e priva di vegetazione, si sposta in un'altra più promettente. Nel 1808 abbandona "il fango del Bengala" per organizzare una spedizione botanica nelle Alpi del Bhutan; a Ronggopur e Purnea si spinge oltre i confini del territorio della Compagnia per esplorare la flora alpina; nel 1812 va ad esplorare le foreste di Bhagalpur, e l'anno dopo si spinge a Gorakpur, lungo il turbolento confine con il Nepal. Nel 1813 la salute di Roxburgh precipita; l'anno dopo egli dà le dimissioni e lascia definitivamente l'India per tornare in Scozia, dove morirà appena due anni dopo. La Compagnia conferma la nomina di Buchanan, ma quel traguardo per cui ha intrigato appena sette anni prima è orami privo di interesse, tanto più che si pretende da lui che si occupi sia del giardino sia del completamente del survey. Dopo pochi mesi anche lui si dimette e rientra in Europa. Dopo trent'anni di viaggi, è ora di dedicarsi esclusivamente allo studio e alla pubblicazione dei suoi ricchissimi e disparati materiali. Ma c'è ancora un problema (con Buchanan, ce ne sono sempre): le sue raccolte sono così imponenti che gli è impossibile portarle con sé. Decide così di farne dono alla Compagnia delle Indie in cambio del trasporto gratuito; ma durante le trattative il governatore generale lord Moira confisca più di cinquecento disegni di animali e piante, pretendendo che siano di proprietà dell'EIC. E' un nuovo affronto, probabilmente il più amaro di tutti. Anche se i direttori ordinano che gli siano restituiti, sembra che ciò non sia mai accaduto. In cambio di un dono inestimabile, dalla Compagnia che ha servito per trent'anni ha ricevuto al più un ringraziamento formale, è stato come "dare perle ai porci", commenta amareggiato. Torna in Gran Bretagna nel 1815 e lo stesso anno, alla morte della madre, ne eredita la proprietà e cambia il proprio nome in Francis Buchanan-Hamilton. Ancora alla ricerca del riconoscimento scientifico, lavora molto e pubblica più che può, impegnandosi in direzioni diverse. Il suo lavoro più noto è probabilmente The Kingdom of Nepal (1819), al cui successo contribuisce anche la prossimità della prima guerra nepalese (1814-1816); seguirono Genalogies of Hindus (1819), pubblicato in poche copie in edizione privata, che lo accreditò presso letterati e orientalisti, e il già citato volume sui pesci del Gange. Nel 1818 la morte del fratello e l'eredità delle terre di famiglia gli assicurano un nuovo status e una inedita tranquillità economica. Buchanan-Hamilton va a vivere in Scozia, nella residenza baronale di Leny House, nei cui giardini ha fatto piantare piante rare. Si sposa e si dedica interamente al lavoro scientifico, in particolare al commento di Hortus malabaricus e Herbarium amboinense di Rumphius: vuole ricavarne un'opera complessiva di grande impegno, in cui potrà trasfondere tutto ciò che ha imparato in trent'anni di ricerca e raccolte in India e nell'Asia orientale. Nel 1822 ne pubblica la prima parte, ma il lavoro non sarà mai completato. Buchanan-Hamilton muore nella sua residenza scozzese nel 1829. Nutrienti Buchanania Almeno sul versante delle denominazioni botaniche, i riconoscimenti arrivarono presto. Nel 1801, Curt Sprengel, assegnando a un nuovo genere un albero raccolto da Buchanan durante la missione diplomatica in Brimania, crea in suo onore il genere Buchanania. Nel 1806 il suo esempio è seguito da Smith nel suo Exotic Botany. Troppo tardi: ad essere valida è ovviamente la denominazione di Sprengel. Il genere Buchanania Spreng. (Anacardiaceae) comprende circa venticinque specie di alberi o arbusti tropicali, distribuiti tra la Cina meridionale, l'India, l'Indocina, l'Indonesia, le isole del Pacifico e l'Australia. Hanno foglie semplici, inserite a spirale, con margini interi; piccoli fiori bianchi, profumati, raccolti in infiorescenze a pannocchia. Il frutto è una drupa con sottile endocarpo legnosi; i semi, come quelli dell'anarcardio, in alcune specie sono commestibili. E' il caso della specie tipo, B. cochinchinensis (più nota con il sinonimo B. lanzan), di relativamente ampia diffusione in India e in Indocina; in India, dove è anche coltivata, è nota come chironji o charoli; i suoi semi dall'aroma di mandorla e dalle dimensioni di un pinolo sono consumati crudi dopo una leggera tostatura o utilizzati nei dolci; ridotti in polvere, entrano anche in piatti salati. Ha antichissimi usi alimentari anche l'australiana B. obovata, un piccolo alberello del sottobosco dell'Australia settentrionale, i cui frutti, noti come green plum o wild mango, sono tradizionalmente consumati dalle comunità indigene. Ricchi di proteine, fibre e minerali come potassio, fosforo e magnesio, si segnalano per l'alto contenuto di acido folico. Di altre specie sono note le proprietà medicinali. Con le sue grandi foglie a cuore e i fiori azzurri simili a quelli del cugino nontiscordardimé, Brunnera macrophylla è una delle più simpatiche abitatrici dei giardini d'ombra. In natura, vive a cavallo del Caucaso, in un'area che va dall'Anatolia nord-orientale alla Transcaucasia; e infatti il suo primo raccoglitore, Johannes Michael Friedrich Adams (quello che scoprì il celebre mammut) la trovò - si era nei primissimi anni dell'Ottocento - "nei boschi ombrosi dell'Iberia", cioè della Georgia. La credette un Myositis, e la battezzò senz'altro M. macrophylla. A capire che si trattava di un genere a sé fu circa mezzo secolo dopo un altro botanico al servizio della Russia, Christian von Steven; lo battezzò Brunnera, in onore dell' "egregio botanico Samuel Brunner bernese che visitò due volte la Tauride". Ma non furono quelli in Crimea i viaggi più avventurosi dello svizzero, che amava definire se stesso reisender Wissenschafter, "scienziato in viaggio". Un botanico in viaggio dall'Italia alla Crimea Il medico, viaggiatore e naturalista (anzi, scienziato in viaggio, come gli piaceva definirsi) bernese Samuel Brunner (1790-1844) sta un po' a metà tra il cultore di scienza dilettante e lo studioso di professione. Era sì laureato in medicina e abilitato all'insegnamento della botanica, ma non esercitò mai la professione e mai insegnò. Era membro di diverse società scientifiche e pubblicò anche alcuni articoli di botanica su Flora, la rivista della Società reale di botanica di Ratisbona, ma la sua fama è legata soprattutto a tre libri di viaggio che, in un linguaggio accattivante, presentano una massa di informazioni geografiche, etnografiche e naturalistiche (con un occhio di riguardo alla botanica) a un ampio pubblico. Ancora ispirati al modello di Humboldt, sono già più simili a reportage che a saggi scientifici. Brunner prepara i suoi viaggi scrupolosamente, mette nei bagagli i testi più aggiornati, quindi viaggia, visita giardini e istituzioni scientifiche, incontra molte persone (la sua rete di corrispondenti è vasta e conosce l'arte di farsi molti amici), si incuriosisce di tutto, si informa sulle produzioni del territorio, osserva scrupolosamente ed elenca le piante spontanee e coltivate; a casa, nel trasformare i diari di viaggio in libri, non manca di aggiungere informazioni di varia natura attinte da molti testi di riferimento. E' certamente un buon botanico, ma le sue identificazioni sono a volte approssimative e le descrizioni si riducono spesso a poche righe. Due elementi colpiscono: benché abbia esplorato a fondo una flora all'epoca poco nota, quella dell'arcipelago di Capo Verde, gli si deve l'identificazione di una sola nuova specie (oggi non più valida); e soprattutto, anche se era in corrispondenza con de Candolle (la cui opera è perfettamente contemporanea alla sua) non figura tra i collaboratori del suo Prodromus, che vide la partecipazione di ben 35 studiosi di otto nazioni diverse, un terzo dei quali elvetici. In una fase in cui i naturalisti iniziavano a professionalizzarsi e a lavorare per università, istituti di ricerca e orti botanici, Brunner era ancora un agiato gentiluomo che poteva permettersi di non lavorare e di viaggiare a proprie spese grazie alla notevole fortuna lasciatagli dal padre omonimo, membro di una ricca famiglia a metà tra borghesia e patriziato della città di Berna. Samuel Brunner padre era membro del Gran consiglio cittadino, castellano di Wimmis, presidente della Società dei Calzolai e aveva fatto fortuna sia nel settore immobiliare sia con abili investimenti obbligazionari. Nel 1798, quando l'esercito francese occupò Berna, venne arrestato e trattenuto nella fortezza di Hüningen; poco dopo fu rilasciato, ma decise di lasciare la città in attesa di tempi migliori, rifugiandosi con la famiglia a Sciaffusa. All'epoca, il nostro Samuel aveva otto anni. Più tardi, lo troviamo a Würzburg dove nel 1813 si laureò in medicina; come medico militare, partecipò all'ultima fase delle guerre napoleoniche dalla parte degli alleati. Nel 1814 la famiglia Brunner poté rientrare a Berna e Samuel figlio ottenne il brevetto di medico, cui nel 1818 aggiunse l'abilitazione all'insegnamento come libero docente di pediatria e botanica. Il patrimonio ereditato dal padre (morto nel 1821) gli permise però di vivere di rendita e di dedicarsi interamente alla politica, agli interessi intellettuali e ai viaggi. Negli anni della Restaurazione, tra il 1821 e il 1830, come suo nonno e suo padre prima di lui, fu membro del Gran Consiglio e nel 1830 presentò una petizione decisamente conservatrice contro l'allargamento della base sociale del Consiglio stesso; tuttavia vi si sosteneva la necessità di migliorare il sistema scolastico e di pagare di più gli insegnanti. Subito dopo i liberali andarono al potere, e Brunner si trovò all'opposizione; probabilmente non fece più politica, ma nel 1832 si sfogò scrivendo Gemütliche Unterhaltung im politischen Klubb zum klugen Elefanten in Utopia, "Accogliente conversazione sul club politico L'elefante intelligente in Utopia", in cui prendeva in giro il governo liberale del cantone. All'epoca era già un viaggiatore di lungo corso, membro di diverse società scientifiche elvetiche e tedesche: la Società medico-chirurgica del Cantone di Berna, la Società dei naturalisti bernesi e svizzeri, la Società Botanica Reale di Ratisbona, la Società naturalistica Senkenberg di Francoforte sul Meno, l'Associazione di storia naturale di Mannheim. Aveva molti corrispondenti in diversi paesi europei, inclusi noti scienziati. Iniziò a viaggiare intorno al 1819; i suoi obiettivi, come egli stesso scriverà nella prefazione al resoconto del suo ultimo viaggio, erano soddisfare la curiosità personale, arricchire le proprie collezioni (mise insieme un erbario di circa 10.000 esemplari), ma anche ampliare il patrimonio di conoscenze di storia naturale e contribuire al progresso economico; ecco perché si definiva Reisender Wissenschafter, "scienziato in viaggio". Svizzero germanofono formatosi in Germania, conosceva bene quel paese e i territori dell'Impero asburgico, dove aveva molti amici che spesso risalivano agli anni universitari o alla comune militanza nell'esercito alleato. Conosceva anche la Gran Bretagna e nel 1821 visitò la Provenza (ne parlerà anni dopo, in un articolo su Flora), ma presto la sua meta preferita divenne l'Italia alla cui flora dedicò i suoi primi articoli per la rivista di Regensburg: nel 1825 Die botanische Gärten Italiens, in due puntate, che - nonostante il titolo - si occupa solo dei giardini napoletani; nel 1826 Uber de Vegetation des Festalandes des Italien, "Sulla vegetazione della terraferma italiana", anch'esso in due parti: la prima è uno schizzo sulle peculiarità della flora della penisola, la seconda una bibliografia relativamente ampia. Sempre all'Italia è dedicato il primo libro di viaggio di Brunner, Streifzug durch das östliche Ligurien, Elba, die Ostküste Siciliens, und Malta, zunächst in Bezug auf Pflanzenkunde im Sommer 1826 unternommen, uscito presumibilmente a spese dell'autore nel 1828, in cui racconta un viaggio dell'estate del 1826. Dopo aver visitato molte località della riviera ligure di Levante, soffermandosi soprattutto sui giardini, gli oliveti, gli agrumeti, Brunner andò via terra a Livorno, da dove si spostò all'Elba, ancora pervasa di memorie napoleoniche; quindi, tornato a Livorno, si imbarcò per Milazzo. In Sicilia - la meta più importante del viaggio - visitò Messina, Catania, le pendici dell'Etna, Siracusa, Capo Passero dove si imbarcò per Malta; qui visitò la Valletta, Mdina (che Brunner chiama Civita Vecchia), Gozo e Comino, per poi imbarcarsi alla volta di Livorno. In un linguaggio con qualche pretesa letteraria, il gentiluomo-viaggiatore racconta visite, incontri, impressioni, senza mancare di infarcire il testo con informazioni di ogni genere, spaziando dalla geografia alla geologia, dal folclore alla musica, dall'estrazione del marmo di Carrara alle tonnare sicule, dalla politica degli occupanti britannici allo stato delle farmacie maltesi; l'attenzione privilegiata va però sempre alle piante, tanto quelle native, quanto quelle introdotte o coltivate, e ogni capitolo si conclude con un elenco delle specie osservate. Probabilmente alla fine degli anni '20 la curiosità di Brunner sull'Italia e la sua flora era ormai soddisfatta. Orami sognava mete più lontane e ambiziose: così nell'estate del 1831, dopo aver fatto visita ad alcuni amici viennesi, eccolo a Trieste ad imbarcarsi per Costantinopoli; visitò puntigliosamente la città, compresi i giardini delle sponde europea e asiatica, ma si trattava solo di una tappa di avvicinamento alla vera destinazione: la Crimea. Da Costantinopoli si imbarcò dunque per Odessa, dove dovette sottostare a una quarantena di due settimane; si spostò quindi a Sinferopoli, il capoluogo del Governatorato di Tauride, dove stabilì il suo quartier generale per esplorare la penisola e la sua natura, caratterizzata da paesaggi spettacolari e di grande varietà: dalle piante della steppa alla macchia mediterranea, dalla vegetazione litoranea alle foreste delle montagne. Anche se la Russia l'aveva definitivamente annessa solo nel 1792 e in un certo senso la Crimea rimaneva un territorio di frontiera, sia nei confronti dell'Impero ottomano sia in vista dell'espansione verso il Caucaso, era già una delle mete preferite dell'aristocrazia russa, che vi creò a gara le proprie case di vacanza (di alcune Brunner, con il suo talento per le amicizia, sarà ospite coccolato). Ad aprire la strada era stato proprio un naturalista, Peter Pallas, che nel 1793, subito dopo l'occupazione, aveva iniziato ad esplorarne la flora e poi si era stabilito a Sinferopoli in una grande tenuta donatagli dall'imperatrice Caterina II. Un altro grande protagonista dello studio della flora della Crimea era il finno-svedese Christian von Steven, che aveva partecipato alla spedizione von Biberstein e poi era rimasto in Crimea per creare l'orto botanico di Nikita nei pressi di Yalta, che aveva diretto fino al 1826, quando fu nominato ispettore capo per la sericoltura, di fatto responsabile di gran parte dell'agricoltura della Russia meridionale. Nonostante fosse impegnatissimo e sempre in giro per il vasto territorio che doveva ispezionare, Brunner, che era uno dei suoi corrispondenti, poté incontrarlo; ma moltissimi furono i funzionari e i proprietari terrieri ad aiutarlo, accompagnarlo e ospitarlo. Dunque neppure la Crimea era terra incognita, e Brunner la percorse tenendo sotto mano i volumi di Pallas, Biberstein, Steven e soci. Vi si trattenne fino ad ottobre e visitò tutto il visitabile, innamorandosi della regione al punto da dedicarle un poema in ottave, Sehnsucht nach Taurien, "Nostalgia della Tauride", incluso nel libro di viaggio che ricavò dall'esperienza, Ausflug über Constantinopel nach Taurien im Sommer 1831, pubblicato nel 1833. Capo Verde: dalla delusione all'entusiasmo Brunner tornò in Crimea ancora una volta, ma evidentemente neppure la mitica Tauride era sufficiente a soddisfare il suo desiderio di esotismo. Erano gli anni in cui le potenze europee incominciavano la loro penetrazione coloniale in Africa; i francesi avevano da tempo un avamposto a Gorée e Saint Louis nel Senegal, a lungo centri del commercio degli schiavi ma ora, dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù, alla ricerca di nuove fonti di reddito. Per Brunner, da sempre interessato alle piante agricole e utilitarie, poteva essere un'occasione per approfondire sul campo la conoscenza di piante come la canna da zucchero, il caffè, la cannella, la melegueta (Aframomum melegueta); ma sperava anche di dare un contributo originale alla scienza botanica esplorando finalmente un'area inesplorata, o per lo meno poco battuta. Come al solito, si preparò con scrupolo leggendo ciò che avevano scritto i naturalisti che lo avevano preceduto, e come meta finale scelse le isole del golfo di Guinea, in particolare São Tomé che, tra l'altro, stava convertendo la sua economia dal traffico degli schiavi alla coltivazione del cacao e del caffè. Prima di partire, discusse il suo progetto con Augustin Pyramus de Candolle, che lo scongiurò di lasciar perdere São Tomé: "Non è il caso di andare a morire, vedete, non lo voglio, perché morto non fareste nulla. Mi oppongo!". Gli consigliò invece di optare per le isole di Capo Verde: facili da raggiungere come scalo di molte navi dirette in India o in Sud America, con un clima salubre e una flora ancora in larga parte sconosciuta. Ancora convinto a metà, nel novembre 1837 Brunner si imbarcò a Marsiglia alla volta di Saint Louis, da dove raggiunse Gorée. In porto c'era una piccola imbarcazione diretta a São Tomé; pensò di approfittarne, ma non c'era posto per lui, così dovette rassegnarsi a dare ascolto alla ragione e agli ammonimenti di de Candolle. Nel maggio 1838, eccolo dunque all'esplorazione delle isole di Cabo Verde. La prima che tocca è la desolata Ilha do Sal, dove visita le saline che le danno il nome e fa alcune escursioni all'interno, caratterizzato da una vegetazione desertica ma con molti endemismi. Dopo qualche giorno, a bordo di una goletta portoghese, raggiunge Boavista; la baia è splendida, e ricorda un po' quella di Napoli, ma anche quest'isola è quasi priva di vegetazione: ovunque nient'altro che rocce e sabbia. Va comunque a visitare le tenute di due portoghesi che ha conosciuto sulla gletta che lo ha portato a Boavista. Dopo pochi giorni lascia anche quest'isola per Santiago, la maggiore dell'arcipelago. La delusione continua. La capitale, Praia, un villaggio di non più di 2000 abitanti, gli lascia un'impressione di squallore: a parte poche case più grandi in stile europeo raggruppate nella via principale o attorno alla piazza del mercato, l'abitato è costituito da casupole con il tetto di foglie di palma, "più simili a porcili che a abitazioni umane. Dappertutto si vedono povertà e pigrizia". Ma quando finalmente penetra nell'interno per fare visita a un residente francese, la delusione si muta in entusiasmo: all'ingresso della valle d'Orgão lo accolgono le palme da cocco più belle che abbia mai visto, le piantagioni di canna da zucchero e di banani sono ben irrigate e lussureggianti, le cascine accoglienti e ben tenute. Ma i soldi stanno per finire, senza contare l'avvicinarsi dell'estate; Brunner decide di imbarcarsi su una ex nave negriera diretta in Europa; poco dopo la partenza, tuttavia, lo scafo imbarca acqua e si rende necessario uno scalo a Brava per le riparazioni. Anche questo porto è squallido e la sistemazione di fortuna disagevole, ma una gita verso le parti alte dell'isola lo rincuora con la bellezza delle fioriture e l'abbondanza di vigneti, piantagioni di manioca, caffè e banani. E' dunque con un pizzico di rimpianto che dopo dieci giorni può partire definitivamente per Lisbona, da dove raggiungerà Berna dopo un'assenza di circa otto mesi. Come i viaggi in Italia e in Crimea, anche quello in Senegal e Capo Verde si trasforma in un libro, Reise nach Senegambien und den Inseln des grünen Vorgebirges im Jahre 1838, che esce nel 1840. Ma Brunner questa volta decise di pubblicare separatamente la parte botanica, presentando le piante raccolte o osservate in un articolo in due parti comparso ancora su Flora, sotto il titolo Botanische Ergebnisse einer Reise nach Senegambien und den Inseln des grünen Vorgebürges ("Risultati botanici di un viaggio in Senegambia e nelle isole di Capo Verde). Con la trattazione in ordine alfabetico di circa 220 specie, è sicuramente il lavoro botanico più ampio di Brunner, ma, al contrario dei tre libri di viaggio, che ebbero un'accoglienza prevalentemente favorevole, passò praticamente inosservato. In effetti, con l'eccezione delle piante da reddito, le descrizioni sono molto brevi e le identificazioni non sempre accurate. L'unica segnalazione di una specie nuova è quella di Tylophora incana (oggi sinonimo di Leptadenia lanceolata). Era l'ultima fatica di Brunner che morì nella città natale appena quattro anni dopo, nel 1844. Brunnera, un tesoro per i giardini d'ombra Nel 1851 Steven volle commemorarlo dedicandogli il genere Brunnera, da lui separato da Myosotis; la motivazione è semplice e laconica: "per l'egregio botanico Samuel Brunner bernese che visitò due volte la Tauride". E' dunque come visitatore innamorato della Crimea, e non come esploratore della flora di Capo Verde, che lo svizzero è entrato a far parte della schiera dei dedicatari di generi botanici. Brunnera (Boraginaceae) è genere di piante erbacee piccolo, ma ben noto agli appassionati perché almeno una delle sue tre specie, B. macrophylla, è molto coltivata. Tutte sono originarie dei boschi di tre aree disgiunte tra il Mediterraneo e la Siberia, passando per l'Anatolia e il Caucaso, la terra di origine di B. macrophylla. Le altre due specie sono appunto la siberiana B. sibirica, originaria della Siberia centrale e meridionale (specie scoperta dallo stesso Steven) e la mediterranea B. orientalis, originaria dell'Anatolia e del Vicino oriente. La più nota è però B. macrophylla, il cui habitat naturale sono i boschi umidi dell'Anatolia orientale e di entrambi i versanti del Caucaso. Fu scoperta originariamente intorno al 1800 da Adams, che la battezzò Myosotis macrophylla. E' una delle specie più belle e utili nei giardini boschivi e d'ombra, con grandi foglie a cuore e piccoli fiori azzurri simili a quelli del nontiscordardimé, vigorosa ma non invadente, adatta anche come tappezzante. Non è affatto esigente, e sopporta anche il sole del mattino, purché possa godere di umidità e magari di un terreno umifero. Accanto alla specie tipica con foglie verde scuro, ne sono state selezionate diverse varietà a foglia variegata. Probabilmente la più nota è 'Jack Frost', con foglie argentate e venature verde scuro; altre cultivar interessanti sono 'Diane's Gold' con foglie giallo oro e fiori blu; 'Hadspen Cream' con foglie molto grandi e margini irregolarmente variegati di crema; 'Langtrees' (o 'Silver Spot') con foglie puntinate d'argento; 'Looking Glass' con foglie argentee dai riflessi metallici. 'Betty Bowring' è simile alla specie tipica, ma con fiori bianchi. Altre informazioni nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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