A partire dalla fine degli anni '30 del Settecento, a San Pietroburgo c'erano ben due orti botanici: uno dipendeva dalla Cancelleria medica e ospitava soprattutto specie medicinali; l'altro era annesso all'Accademia delle scienze ed era essenzialmente un giardino didattico e di acclimatazione. A volere fortemente il secondo fu il professore di botanica Johann Amman che, educato a Leida, pensava che il "vecchio" giardino (vecchio per modo di dire: aveva poco più di vent'anni) fosse ormai obsoleto, oltre che troppo lontano dall'Accademia. Ben presto i due giardini furono diretti dalla stessa persona e la bipartizione perse via via significato, finche nel 1823 vennero fusi a formare il nuovo Imperiale orto botanico. Amman, morto giovanissimo, fu ricordato dall'amico William Houstoun con il genere Ammania; Linneo lo fece proprio, ma lo ribattezzò Ammannia (con due enne) e lo dedicò a un omonimo: Paul Amman, direttore secentesco dell'orto botanico di Lipsia e precursore della classificazione naturale. ![]() Un giardino, anzi due... A studiare la storia russa, si ha sempre l'impressione che tutto sia complicato, non lineare, contraddittorio. E così capita che nell'arco di meno di mezzo secolo, l'autorità imperiale prenda l'iniziativa di fondare tre orti botanici, che poi continuano la loro vita parallela in una gran confusione di funzioni, conflitti personali, sperpero di denaro. Si comincia a Mosca nel 1706, quando Pietro il Grande ordina di creare un orto dei farmacisti (Aptekarskij ogorod) destinato alla coltivazione di piante officinali per le farmacie cittadine. Lo zar ci tiene tanto che, si racconta, vi piantò di sua mano tre conifere (l'ho raccontato qui). Il giardino è gestito dalla Cancelleria delle farmacie, un organismo tradizionale controllato da membri dell'alta aristocrazia. Ma intanto Pietro ha deciso di creare ex novo, facendola sorgere letteralmente dal mare e dalle paludi, la sua nuova capitale, San Pietroburgo, dove trasferisce a forza la corte e tutte le strutture amministrative. Mette mano anche alla riforma della medicina, affidandola al suo medico personale, lo scozzese Robert Erskine, che crea un nuovo organismo, la Cancelleria medica, che d'ora in avanti controllerà l'attività dei medici civili e militari e dei farmacisti. E' in un certo senso un doppione della Cancelleria dei farmacisti, che però per non creare un conflitto immediato con l'aristocrazia moscovita non viene abolita, ma svuotato dall'interno. Erskine dirige un gigantesco trasferimento di documenti, materiali e piante. La centrale operativa della Cancelleria medica viene stabilita in una delle isole settentrionali del delta della Neva, piuttosto distante dal nucleo centrale, dove vengono costruiti la sede degli uffici, un laboratorio per la preparazione dei medicamenti e un vasto orto botanico, la cui fondazione è decretata verso la fine del 1713. Si chiamerà Aptekarskij sad (giardino dei farmacisti) e l'isola stessa prenderà il nome Aptekarskij ostrog, Isola dei farmacisti. I due giardini hanno la stessa funzione, ma vista la distanza è sensato avere due giardini medici che coltivano piante officinali per le farmacie delle rispettive aree; un po' meno che uno dipenda dalla Cancelleria dei farmacisti (dunque da un organismo semi autonomo), l'altro dalla Cancelleria medica (dunque direttamente dal sovrano, attraverso il suo archiatra). Le cose si complicano quando, sull'esempio degli orti botanici di Parigi e Leida, si decide di farne anche dei giardini di acclimatazione delle piante esotiche ottenute con lo scambio semi da orti botanici europei e delle specie raccolte in natura nel vastissimo e variegato impero russo dalle numerose spedizioni naturalistiche che si succedono nel corso del secolo. Finisce per imporsi una certa specializzazione "geografica": fatto salvo che il centro è San Pietroburgo, le spedizioni che esplorano la Russia europea, le rive del mar Nero, il Caucaso tendono a far capo a Mosca, e il giardino moscovita si arricchisce soprattutto di piante delle steppe. I materiali raccolti dalle spedizioni che operano al di là degli Urali ed esplorano la Siberia fino alle rive del Pacifico, i confini con la Cina, l'Asia centrale tendono ad affluire all'Isola dei farmacisti. Le prime spedizioni, come quella di Messerschmidt in Siberia (1719-1727) o di Buxbaum (1724-1727) a Costantinopoli, sono organizzate dalla Cancelleria medica, ma nel 1724 viene fondato un terzo organismo, con compiti scientifici e didattici: l'Accademia russa delle Scienze, con sede nell'isola Vasil'ekskij, accanto all'edificio dove è conservata la Kunstkamera, la camera delle meraviglie imperiali. L'imperatore e il suo archiatra considerano tutto ciò che viene riportato dalle spedizioni russe un tesoro nazionale che va ad arricchire la Kunstkamera e deve essere studiato e pubblicato esclusivamente dai professori dell'Accademia. E così succede che le piante vive e i semi raccolti da Gmelin durante la Grande spedizione del Nord (salvo quelli che egli coltiva nel suo giardino privato) finiscono nelle aiuole dell'isola dei farmacisti, mentre gli esemplari d'erbario sono custoditi nell'isola Vasil'evskij. Qui il professore di botanica del ginnasio e dell'Università accademica tiene le lezioni teoriche, mentre lezioni pratiche, le "dimostrazioni", toccano al dimostratore del Giardino dei farmacisti. ![]() Meglio ancora, tre! All'inizio del 1733, mentre i professori dell'Accademia si preparano a partire per la Grande spedizione del Nord, da Londra arriva il giovane medico svizzero Johann Amman (1707-1741). Ha appena venticinque anni, ma ha ottime referenze: in primo luogo si è laureato a Leida con Boerhaave, il più grande professore di medicina e botanica dell'epoca; in secondo luogo, ha lavorato per tre anni come curatore della collezione naturalistica di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, alla quale egli stesso è stato ammesso nel 1731. Viene immediatamente nominato professore di botanica e scienze naturali in sostituzione di Gmelin in partenza per la Siberia e gli viene affidata la pubblicazione delle raccolte di Buxbaum e Messerschmidt. Nel 1735, dopo anni senza un direttore, al Giardino dei farmacisti viene nominato direttore e dimostratore il tedesco Johann Georg Siegesbeck, celebre per la sua polemica con Linneo e il suo pessimo carattere. La convivenza con Amman non è facile; Siegesbeck è frustrato perché briga inutilmente per essere ammesso all'Accademia e al rango di professore, Amman - la cui salute è purtroppo precaria - considera uno spreco di tempo e un disagio sempre più gravoso dover fare la spola tra le due isole, specie d'inverno, nel clima proverbialmente pessimo della capitale petrina. Incomincia così a fare pressioni perché l'Accademia si doti di un proprio orto botanico, dove studiare le piante dal vivo e impartire le lezioni pratiche. Educato a Leida, pensa che sia ora che anche San Pietroburgo abbandoni la vecchia concezione strumentale dell'hortus medicus, e si doti di un vero orto botanico moderno per la didattica e l'acclimatazione di piante esotiche e novità botaniche. Come ci informano le sue lettere a Sloane, l'idea fa breccia lentamente nell'amministrazione: all'inizio ha a disposizione solo un giardinetto, e come serra la sua stessa stanza. I finanziamenti per fare le cose in grande arrivano solo nel 1738 o nel 1739, quando la grande massa di piante giunte dalla Siberia e dalla Kamčatka grazie a Gmelin, Krašeninnikov e Steller rende urgente trovare loro una sede adeguata. E così, a San Pietroburgo, a pochi km di distanza, ci saranno due orti botanici: quello dell'Isola dei farmacisti, dipendente dalla cancelleria medica e principalmente orientato alle piante medicinali, e quello dell'isola Vasilev'skij, dipendente dall'Accademia, orientato alla didattica e alla coltivazione delle piante esotiche. Nel 1741 Amman, afflitto da ricorrenti problemi di salute fin dal suo arrivo a San Pietroburgo, morì a soli 34 anni. Siegesbeck ottenne finalmente la sospirata ammissione all'Accademia e gli succedette sia come professore sia come direttore del neonato orto accademico, mantenendo la direzione anche del Giardino dei farmacisti. Pochi anni dopo sarebbe stato scacciato con ignominia per il suo pessimo carattere e per la sua discutibile preparazione. Dopo di lui, i due giardini furono quasi sempre diretti dalla stessa persona, rendendo via via più assurdo il doppione, tanto più se si considerano gli angusti spazi dell'isola Vasil'evsij e il progressivo miglioramento dei trasporti urbani. Bisognò però attendere il 1823 perché i due orti botanici pietroburghesi fossero fusi in uno solo (denominato Imperiale orto botanico di san Pietroburgo), anche se il giardino dell'Accademia continuò ad esistere fino all'inizio del Novecento come sezione staccata. ![]() Un'Ammannia per due (forse) Prima di concludere, ancora due parole su Ammann. Testimonianze contemporanee lo descrivono come un uomo di grande cultura e insieme di grande umanità, che parlava molte lingue ed era profondamente dedito allo studio. La salute gli impedì di partecipare a raccolte sul campo, a parte brevi escursioni nei dintorni della capitale, ma fu un attivissimo "botanico da scrivania". Oltre a completare la pubblicazione dell'opera di Buxbaum, seminò nel giardino dell'Accademia i semi inviati dai suoi numerosi corrispondenti europei e raccolti dalle spedizioni di Orenburg, in Siberia e in Kamčatka e trasse un notevole erbario dagli esemplari adulti. Descrisse le specie nuove raccolte soprattutto da Heinzelmenn durante la spedizione di Orenburg, da Messerscmidt e da Gmelin in Siberia in Stirpium Rariorum in Imperio Rutheno Sponte Provenientium Icones et Descriptiones (1739) in cui descrisse 285 piante. Quest'opera illustrata, di grande impegno editoriale, fu una una delle prime a fare conoscere piante precedentemente inedite del Caucaso, dell'Asia centrale e della Siberia centro-meridionale. Oltre che con Sloane, era in corrispondenza con Collinson, Dillenius e Miller in Gran Bretagna cui inviò molte piante e ne ottenne i semi di molte piante nordamericane che fu il primo a introdurre in Russia. Fu uno dei primi corrispondenti di Linneo, neo professore a Uppsala, e molto contribuì al suo "giadino siberiano". Si ritiene che attraverso di lui abbiano fatto il loro ingresso nei giardini europei Lonicera tatarica, Gypsophila paniculata e Delphinium grandiflorum. Quando studiava a Leida, Amman aveva stretto amicizia con William Houstoun, che fu proprio la persona che lo presentò a Sloane. L'amico volle ricordarlo con uno dei nuovi generi da lui scoperti in Messico e nelle Antille, Ammania; egli non motivò la dedica, che però è confermata dalla testimonianza dell'amico comune Philip Miller. Linneo riprese il genere da Houstoun e lo ufficializzò in Species plantarum come Ammannia. In Critica botanica (1737) dichiara però di averlo dedicato al medico e botanico tedesco Paul Amman (1631-1694). Se pensiamo che all'epoca Johann Amman era ancora vivo, non aveva scritto nulla e la sua stessa corrispondenza con Linneo era ancora al di là da venire, non è strano che egli abbia cambiato il dedicatario. Inoltre, dal punto di vista di Linneo, Paul Amman (Paulus Ammannus) era certamente meritevole di essere ricordato. Direttore dell'hortus medicus di Lipsia nella seconda metà del Seicento ne fece il più importante della Germania; famoso per il suo sarcasmo e le sue critiche corrosive, oltre al primo catalogo del giardino, che comprende anche le piante della flora locale, scrisse Character plantarum naturalis (1676) in cui diede una prima diagnosi dei generi, basandosi principalmente sul frutto, e tentò una classificazione delle piante che riprende il sistema di Robert Morrison. Era dunque uno dei quei "sistematici" che Linneo considerava suoi predecessori. Per non fare torto né a Houstoun né a Linneo, ricordiamo dunque entrambi gli Amman, sia Johann sia Paul, delle cui vite troverete una sintesi nella sezione biografie. Il genere Ammannia L. (famiglia Lythraceae) - in seguito alla confluenza dell'affine genere Nesaea -comprende un centinaio di specie di piante erbacee acquatiche o di palude provenienti da varie zone temperate o tropicali; per lo più annuali, hanno fusti eretti o decombenti, che possono crescere sulle rive o fluttuare semisommersi, foglie da arrotondate a lanceolate o lineari, fiori minuti con 4-5 petali (ma talvolta apetali), in genere rosa, seguiti da capsule che contengono un grandissimo numero di semi. Questi ultimi, concavo-convessi, sono atti a fluttuare sulle acque e si mantengono vitali relativamente a lungo. Alcune specie (solitamente in precedenza classificate come Nesaea) sono utilizzate come piante da acquario. Tra di esse A. pedicellata, originaria di ambienti acquatici dell'Africa sudorientale, con folti ciuffi semisommersi di foglie lunghe e strette, che nella cultivar 'Golden' sono giallo dorato; A. gracilis ha invece foglie verdi nella parte inferiore e rosso vivo in quella superiore o emersa. Alcune specie sono presenti come avventizie nella nostra flora, soprattutto come occasionali infestanti delle risaie: A. coccinea (il nome deriva dal fatto che i fusti sono spesso rossastri) cresce in ambienti umidi della pianura padana, come fossi e arginelli delle risaie; A. robusta è segnalata in Lombardia e in Veneto; A. verticillata è naturalizzata in Sardegna e sporadicamente ritrovata altrove. Qualche approfondimento nella scheda.
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Nel 1978, l'astronomo russo Nikolaj Stepanovič Černych scopre un nuovo asteroide della fascia principale; decide di battezzarlo 3195 Fedchenko in onore di una eccezionale famiglia di scienziati: l'esploratore, glaciologo, zoologo e antropologo Aleksej Pavlovič Fedčenko; sua moglie, la botanica Ol'ga Aleksanderovna Fedčenko; e il figlio di entrambi, Boris Alekseevič Fedčenko, anch'egli botanico. Tutti e tre furono scienziati eminenti, anche se la figura più affascinante è probabilmente Ol'ga, coraggiosa compagna d'avventura del marito prima, tenace curatrice del suo lascito dopo l'improvvisa morte di lui, ma soprattutto grande botanica, la prima donna a studiare le piante in modo professionale nel suo paese, esperta di fama mondiale della flora del Turkestan. Esploratori della ricca flora dei monti dell'Asia centrale, madre e figlio sono ricordati anche da numerosi eponimi: fedtschenkoi o fedtschenkoanus in onore di Boris, fedtschenkoae o più spesso olgae in onore di Ol'ga, che è anche celebrata dall'unico genere valido dedicato al trio: il genere Olgaea, che raggruppa una quindicina di specie di grandi cardi asiatici. ![]() Una coppia nella vita e nella scienza Nella Russia degli zar, l'Università era preclusa alle donne. Tuttavia Ol'ga Aleksandrovna Armfeld (1845-1925) poté giovarsi di un ambiente familiare eccezionalmente aperto e stimolante. Suo padre, Aleksandr Osipovič Armfeld, discendente da una famiglia di origine tedesca, era uno stimato professore di medicina legale all'Università di Mosca, e dal 1838 svolgeva anche il ruolo di ispettore dell'Istituto Nikolaevskij, una scuola secondaria per ragazze di buona famiglia che preparava all'insegnamento. La madre Anna Vasilievna Dmitrovskaja, che a sua volta era stata educata nel famosa scuola femminile Ekaterinskij, era l'animatrice di un frequentatissimo salotto, uno dei centri della vita artistica e culturale della città, con ospiti del calibro di Gogol', Lermontov e Lev Tolstoj. Insieme alle sorelle, Ol'ga (era la terza di una nidiata di ben nove tra figli e figlie) inizialmente venne educata in casa, ma nel 1857, a dodici anni, iniziò a frequentare l'Istituto Nikolaevskij, concentrandosi soprattutto sulle lingue straniere, la musica, il disegno e la pittura. Nel curriculum le scienze naturali, troppo "maschili", non erano previste, ma Ol'ga le scoprì e se ne innamorò durante i soggiorni estivi nella tenuta di famiglia a Možajsk. Incominciò a collezionare minerali, conchiglie, insetti e uova d'uccelli, e creò il suo primo erbario, così ben fatto che Nikolaj Kaufman lo incluse nella sua Moskovsakaja flora: un risultato notevole per una ragazzina sedicenne che stava studiando la botanica da autodidatta, traducendo le descrizioni dai grandi repertori stranieri. Nel 1864 Ol'ga si diplomò con il grado di candidat, e rimase al Nikolaevskij come insegnante di lingue. Lo stesso anno (all'epoca aveva diciannove anni) fu tra i fondatori della Società degli amanti delle scienze naturali, antropologia, etnografia (più tardi Società delle scienze naturali di Mosca), nota con la sigla OLEAE, un'associazione sorta attorno all'Università di Mosca tra i cui soci figuravano scienziati ma anche colti dilettanti. Incominciò anche a collaborare come volontaria al Museo di zoologia, aiutando a tenere in ordine le collezioni, traducendo in russo testi scientifici dal francese, dal tedesco, dall'inglese, curando la corrispondenza con studiosi europei e disegnando illustrazioni naturalistiche. Un altro dei fondatori dell'OLEAE era Aleksej Pavlovič Fedčenko (1844-1873), un giovane naturalista che si era appena laureato all'Università di Mosca. Aleksej era nato a Irkustsk, in Siberia, ma nel 1860 si era trasferito a Mosca, dove già viveva un fratello maggiore; insieme a lui, nel 1863 Aleksej fece la sua prima escursione scientifica nella regione dei laghi salati della Russia meridionale, appassionandosi di entomologia e raccogliendo una notevole collezione di imenotteri e ditteri, oggetto della sua prima pubblicazione. Dopo la laurea, entrò al Nikolaevskij come insegnante di scienze naturali. Ol'ga e Aleksej si innamorarono e divennero una coppia di scienza e di vita. Nel 1867 si sposarono. Nel frattempo, su richiesta del governatore del Turkestan Kaufman, l'OLEAE aveva varato una spedizione scientifica in quella regione recentemente annessa all'Impero russo e decise di affidarne la direzione a Aleksej Fedčenko, la persona più indicata per la vastità degli interessi che spaziavano dalla zoologia alla geologia all'antropologia. Ol'ga volle accompagnarlo, come membro ufficiale ma non pagato della spedizione. Era una decisione inaudita: non solo nessuna donna russa prima di lei aveva partecipato a una grande spedizione scientifica, ma il territorio da esplorare era particolarmente difficile e pericoloso. Largamente inesplorato, impervio, con una popolazione per lo più ostile agli occupanti russi, era anche un luogo strategico in cui si incontravano (e scontravano) le aspirazioni russe e quelle britanniche alla base del "grande gioco". I Fedčenko si prepararono seriamente alla missione visitando musei e collezioni in patria e all'estero. Il viaggio di nozze li portò in Finlandia e in Svezia. Infine, nell'ottobre del 1868 partirono per il Turkestan: Aleksej si sarebbe occupato della geografia, della zoologia, dell'antropologia; Ol'ga della botanica, delle carte e delle illustrazioni. All'epoca anche i collegamenti con quella remota regione erano difficili, e il viaggio in vettura di posta richiese più di cinquanta giorni. La spedizione vera e propria iniziò dalla valle dello Zeravshan (attuale provincia di Samarcanda nell'Uzbekistan), da pochissimo annessa alla Russia; i Fedčenko si muovevano a cavallo, accompagnati da una scorta di cosacchi. Dopo aver esplorato le aree attorno alle città di Tashkent e Samarcanda, si spostarono nel deserto del Kizilkum, il vastissimo bassopiano arido che separa i bacini dell'Amu Darya e del Syr Darya, al confine tra Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan. L'esplorazione continuò con i Monti Zeravshan, la fertile valle di Fergana e i Trans-Alaj, la catena dorsale che separa la valle dell'Alaj dal Pamir. I Fedčenko si muovevano tra scenari mozzafiato, con laghi, ghiacciai immensi e cime che superano i 7000 metri d'altitudine. Aleksej scoprì (e Ol'ga disegnò) la vetta maggiore del sistema, il Monte Kaufman (dal nome del governatore del Turkestan), poi Picco Lenin e oggi Picco Ibn Sina (7134 m sul livello del mare). Avrebbero voluto proseguire per il Pamir, il "tetto del mondo", che faceva sognare gli europei fin dal tempo di Humboldt. Ma dovettero tornare indietro: non aveano più provviste ("abbiamo fatto lo sciopero della fame per due giorni", annotò Aleksej). La spedizione era finita. Dopo tre anni esatti dalla partenza, nel novembre 1871 i Fedčenko erano di ritorno a Mosca con un immenso bottino; le sole piante raccolte da Ol'ga erano più di 1500, con molte specie nuove per la scienza. Iniziava il lavoro per la pubblicazione dei risultati. Nel dicembre 1871 Aleksej presentò alla Imperiale società geografica russa una relazione che destò sensazione per le informazioni inedite sul Pamir. Grande interesse fu suscitato anche dal padiglione dedicato al Turkestan, allestito dai Fedčenko nel 1872 per l'Esposizione politecnica panrussa di Mosca. Subito dopo, i coniugi partirono per un viaggio di studio in Europa occidentale. La prima tappa fu la Francia, quindi Lipsia, dove a Aleksej fu offerto un lavoro nel laboratorio dell'Università e Ol'ga seguì lezioni di botanica. Proprio a Lipsia, a dicembre, nacque l'unico figlio della coppia, Boris. Nell'estate, con il neonato si spostarono a Heidelberg e quindi in Svizzera, dove Aleksej intendeva studiare i ghiacciai per prepararsi a una nuova spedizione nel Pamir. Il 2 settembre 1873, accompagnato da due guide locali, Aleksej mosse da Chamonix per raggiungere il ghiacciaio del Gigante. Proprio mentre si trovavano sul ghiacciaio, il tempo peggiorò all'improvviso e Fedčenko ebbe un malore. Le guide, piuttosto inesperte e a loro volta esauste, decisero di lasciarlo a se stesso e scesero in cerca di soccorsi. Quando questi arrivarono, lo trovarono già morto. Ol'ga era invece convinta che fosse ancora vivo, e che se le autorità locali avessero inviato un medico, avrebbe potuto essere salvato. Al momento della morte, Aleksej Pavlovič aveva 29 anni. Fu sepolto a Chamonix e sulla sua tomba Ol'ga fece collocare una lapide con l'epigrafe "Dormi, ma le tue fatiche non saranno dimenticate". ![]() Vedova, madre, ma soprattutto botanica! Subito dopo la mesta cerimonia, Ol'ga ritornò a Mosca con il piccolo Boris. Negli anni successivi, una serie di sventure colpì la famiglia Armfeld; la più dolorosa fu l'arresto della sorella minore Natal'ja, impegnata nel movimento populista, seguito dalla deportazione in Siberia e dalla morte. Le condizioni economiche di Ol'ga Fedčenko peggiorarono, e la donna fu costretta a mantenere se stessa e il figlio con una modesta rendita. Ancora nel 1873, pubblicò il suo primo lavoro: la traduzione di Sketch of the geography and history of the Upper Amu-Daria di Henry Yule, con le note di Aleksej. Un lavoro eccellente che le guadagnò una medaglia della Società Geografica. Molto successo godettero anche i suoi disegni e le sue vedute dei monti del Turkestan, Nonostante le difficoltà personali, Ol'ga si era data un compito sacro: assicurare la catalogazione, lo studio e la pubblicazione dei materiali raccolti durante la spedizione in Turkestan. Aleksej aveva fatto in tempo solo a scrivere Viaggio in Turkestan (che fu pubblicato nel 1875). Nella Russia di fine Ottocento, era impensabile che una donna dirigesse un lavoro così impegnativo e così costoso. Tuttavia il presidente dell'OLEAE riuscì a convincere il governatore Kaufman che la signora Fedčenko era l'unica a poter garantire il successo dell'impresa; ufficialmente, a curare la pubblicazione fu un comitato editoriale ad hoc, ma Ol'ga ne faceva parte ed era lei a coordinare tutte le attività e a corrispondere con i diversi autori coinvolti nel progetto. Solo grazie al suo impegno e alla sua perseveranza, tra il 1874 e il 1902 uscirono i venti volumi dedicati alla spedizione, con le descrizioni della geografia, della geologia, della flora e della fauna della regione. I volumi dedicati alle piante si devono a Ol'ga Fedčenko, che ormai era una botanica internazionalmente riconosciuta. In questi anni, si occupò anche dell'erbario dell'Orto botanico dei farmacisti di Mosca e pubblicò una catalogo dei muschi dell'Orto botanico di San Pietroburgo. Ma Ol'ga aveva ancora un sogno: tornare in Pamir e riprendere quel viaggio interrotto. Per tornare sul campo dovette aspettare quasi vent'anni, fino al 1891. Ora accanto a lei c'era un nuovo compagno: suo figlio Boris, che si era appena iscritto all'Università di Mosca dove studiava botanica. Il loro primo viaggio, tra il 1891 e il 1892, li portò negli Urali sudoccidentali, una regione con caratteristiche geologiche e una flora molto varia, dalle comunità delle steppe a quelle di alta montagna. L'anno dopo erano in Crimea, e quello successivo nel Caucaso. Nel 1897 (adesso Boris era assistente all'Università di Mosca) madre e figlio andarono nel Tian Shan. Ol'ga trascorse i due anni successivi a studiare le collezioni degli orti botanici e degli erbari dell'Europa occidentale, inclusi quelli di Parigi, Berlino e Londra, mentre Boris veniva assunto come botanico principale dell'Imperiale orto botanico di Pietroburgo. Finalmente, nel 1901 i Fedčenko poterono intraprendere la sognata esplorazione del Pamir. A cinquantacinque Ol'ga ritrovava i paesaggi che l'avevano affascinata quando era una giovane donna. La regione era ancora largamente inesplorata e sottoposta all'occupazione militare, ma era divenuta meno irraggiungibile, grazie alla ferrovia che ora arrivava a Tashkent. La spedizione durò cinquantadue giorni e li portò fino al confine dell'Afghanistan. Ol'ga cavalcò per intere giornate, riposandosi il minimo indispensabile, e sostentandosi con tè e pane secco. I risultati della spedizione furono pubblicati da Ol'ga Fedčenko in Flora Pamira (1903-1905) e Definizione delle piante del Pamir (1910). A quattro mani con Boris è l'imprescindibile Conspectus Florae Turkestanicae (1913), pubblicato contemporaneamente in russo e in tedesco, che copre 4145 specie. Adesso Ol'ga viveva con suo figlio a San Pietroburgo, dove dal 1905 Boris era diventato capo dell'erbario (il cui fiore all'occhiello erano proprio le collezioni dei Fedčenko), ma soggiornava spesso nella tenuta degli Armfeld a Možajsk. Qui, a partire dal 1895, madre e figlio avevano creato un eccezionale orto botanico privato, chiamato Ol'gino: era un giardino di acclimatazione, dove coltivavano e studiavano le piante raccolte durante le spedizioni; erano anche molto generosi nel distribuirne i semi ad altri orti botanici. Le piante preferite di Ol'ga erano le Iris, gli Allium e gli Eremurus. Nel 1906 Ol'ga divenne membro corrispondente dell'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo: la seconda donna, e la prima naturalista, ad ottenere questo onore. Seguirono ancora due viaggi nell'amato Turkestan, sempre con Boris, uno nel 1910 e l'altro nel 1915. Alla vigilia della guerra, nel corso del suo ultimo viaggio in Europa, visitò anche l'Italia e erborizzò nei dintorni di Napoli. Nonostante la salute declinante e i rovesciamenti politici, rimase attiva fino alla morte nel 1921. Aveva appena fatto in tempo a pubblicare il suo sessantaduesimo lavoro, una monografia sull'amato genere Eremurus. Una sintesi della vita della prima botanica professionista russa nella sezione biografie. Per concludere, qualche riga su Boris Alekseevič Fedčenko, a sua volta uno dei più importanti botanici della sua generazione. Come ho già detto, nel 1902 era stato nominato curatore dell'erbario dell'Orto botanico di San Pietroburgo; gli fu affidata anche la direzione della rivista dell'Istituto, Bulletin of the Imperial Institute. Nel 1908, insieme al micologo A. A. Elenkin e al botanico A. F. Flerov, iniziò a pubblicare una rivista indipendente, Journal Russe de Botanique, che uscì fino al 1915, quando fu costretto a chiudere in seguito allo scoppio della Prima guerra mondiale. Sempre con Flerov, tra il 1908 e il 1910 pubblicò Flora Evropejskoj Rossii ("Flora della Russia europea"), che contiene 3.542 nuove specie, e una flora dell'Oka. Questi volumi furono criticati da alcuni colleghi per le descrizioni essenziali; era una scelta voluta, per mantenere loro un formato tascabile, che li rese un bestseller tra appassionati e escursionisti, Negli anni '20, Fedčenko fu impegnato in escursioni sul campo nella Russia asiatica, grazie alle quali poté completare Flora Asiatskoj Rossii "Flora della Russia asiatica" (1912-1924), ancora con Flerov. Nel 1931, quando l'Orto botanico e il Museo Botanico di Leningrado vennero fusi per creare l'Istituto Komarov, sotto la direzione dello stesso Vladimir Komarov, Fedčenko lo sostituì come editore capo della grandiosa Flora dell'Unione sovietica, di cui curò diversi volumi fino alla sua morte nel 1947. ![]() Olgaea, un ritratto vegetale? Aleksej Pavlovič Fedčenko era soprattutto uno zoologo ed è onorato dall'epiteto fedtschenkoi (la barbara grafia si deve alla trascrizione tedesca del cirillico) di alcune specie di animali; come geografo e glaciologo, a ricordarlo è soprattutto il ghiacciaio Fedčenko, il maggiore del Pamir, anzi il più grande al di fuori dei Poli, scoperto nel 1878. Le numerose piante con nome specifico fedtschenkoi o più raramente fedtschenkoanus sono invece dedicate a suo figlio Boris. Probabilmente la più famosa è Kalanchoe fedtschenkoi, una specie malgascia che nel 1915 fu dedicata dallo scopritore Perrier de la Bâthie al "sapiente e gentile dottor Fedčenko dell'Orto imperiale di San Pietroburgo". Nel 1941 Kudrjasev gli dedicò inoltre il genere Fedtschenkiella, oggi sinonimo di Dracocephalum. Moltissimi onori sono giustamente andati a sua madre Ol'ga Armfeld Fedčenko, una grande botanica di fama europea. Il primo omaggio venne nel 1878 da Regel, il botanico tedesco che dirigeva l'orto botanico di San Pietroburgo, con Rosa fedtschenkoana, una bellissima specie nativa dalle regioni coraggiosamente esplorate da Ol'ga e Aleksej. Nel 1882 replicò con il genere Fedtschenkoa, oggi sinonimo di Strigosella. La maggior parte delle piante che la ricordano hanno però una denominazione basata sul suo nome personale: sono un centinaio le specie di trenta famiglie diverse che portano in suo onore l'eponimo olgae. Nella maggior parte dei casi, si tratta di piante delle steppe e delle montagne dell'Asia centrale, da lei scoperte nel corso dei suoi viaggi. Tra di esse, non poteva mancare Eremurus olgae, un altro omaggio di Regel. Non fanno eccezione alcune specie del genere Olgaea, omaggio postumo di M. M. Ilijn (1922). Questo piccolo genere di cardi della famiglia Asteraceae comprende infatti una quindicina di specie distribuite tra l'Asia centrale, l'Himalaya e le aree temperate dell'Asia orientale; ma il loro territorio di elezione, il centro di diversità, sono proprio le impervie montagne dell'antica regione del Turkestan, oggi divisa tra varie repubbliche. Sono erbacee perenni piuttosto imponenti, assai ramificate e piuttosto spinose, con fiori viola o blu che ricordano quelli dei carciofi, adattate a resistere all'aridità e a condizioni climatiche estreme, con inverni glaciali ed estati torride. Sono piante bellissime e austere, che credo non sarebbero spiaciute alla tenace e coraggiosa dedicataria, di cui potrebbero anche essere un occulto ritratto vegetale. Qualche approfondimento nella scheda. Nel 1805, nel momento di massima ascesa dell'astro napoleonico, lo zar Alessandro I e i suoi consiglieri guardano a Oriente. E' in questo contesto che, con enorme spesa, parte per la Cina un'elefantiaca ambasceria, nella speranza di impressionare i cinesi e di strappare condizioni più favorevoli per il commercio russo. Sarà un disastro: l'ambasciatore Jurij Golovkin e il suo seguito non vanno oltre Urga (oggi Ulan-Bator), capitale dello stato tributario della Mongola. A fermare il conte Golovkin, esattamente come lord Macartney dodici anni prima e lord Amherst dieci anni dopo, il rifiuto di eseguire il kotow, l'umiliante cerimonia della prosternazione al figlio del Cielo. Dal punto di vista scientifico, però, le cose vanno diversamente. I numerosi studiosi che accompagnano l'ambasceria, non potendo proseguire per la Cina, si sparpagliano per la Siberia e fanno incontri inaspettati: Julius Klaproth getta le basi per una brillante carriera di orientalista; lo zoologo Mikhail Adams guida una spedizione nella Siberia orientale, risale la Lena e scopre il primo esemplare intatto di mammut; il botanico Johann Redowsky vorrebbe andare in Kamčatka ma ad attenderlo c'è la nera signora. Anche per Joseph Rehmann, il medico della spedizione, il viaggio non è inutile: si impegna nella vaccinazione antivaiolosa, studia le acque termali, il commercio del rabarbaro e del muschio bianco e alcune erbe medicinali siberiane; ma soprattutto, incontra gli ospitali buriati e i loro medici-lama, depositari della tradizione medica tibetana. Un'esperienza fondamentale che lascerà un'impronta nella sua futura attività terapeutica. Tra le erbe usate nella medicina tibetana (e cinese) c'è anche Rehmanniae radix, ovvero la radice essiccata di Rehmannia glutinosa. Dunque la dedica di questo genere a colui che fu uno dei primi ad interessarsi di questa tradizione medica risulta assai opportuna. Russia e Cina, l'incontro atteso che non ci sarà Nei primi anni del regno di Alessandro I, la Russia incominciò a guardare ad Oriente, anche come reazione all'espansione francese, che stava erodendo la sfera d'influenza russa nell'Europa orientale. Insieme alla spedizione Krusenstern e al contestuale invio di una delegazione diplomatica in Giappone (ne ho parlato qui), il terzo tassello della politica orientale russa fu una grande ambasceria in Cina, che nelle intenzioni dello zar e dei suoi consiglieri avrebbe dovuto ridisegnare totalmente le relazioni diplomatiche e commerciali tra i due paesi. Il vecchio trattato di Khiakta, che prevedeva che tutti i commerci sino-russi transitassero da questo posto di frontiera e un'unica carovana di mercanti raggiungesse Pechino ogni tre anni, stava ormai stretto alla Russia, che ora controllava l'intera Siberia orientale e aveva appena creato promettenti avamposti in Alaska. Il ministro del Commercio Nikolaj Rumjancev e il vice ministro degli Esteri Adam Czartoryski fissarono obiettivi molto ambiziosi: la libera navigazione sul fiume Amur, che avrebbe assicurato un facile collegamento tra Irkutsk e il golfo di Okhotsk; una sede diplomatica permanente a Pechino; una seconda stazione commerciale in Mongolia, sul fiume Buktharna; l'autorizzazione a commerciare direttamente nel porto di Canton, senza passare attraverso intermediari britannici. Ancor meno realisticamente, speravano che la Cina concedesse ai Russi l'apertura di una via commerciale che, attraverso il Tibet, raggiungesse l'India; tutto politico era poi l'obiettivo di riaprire il paese ai gesuiti. Czartoryski credeva fermamente nel progetto, e, consapevole delle difficoltà, lesse avidamente le relazioni della missione Macartney (fallita nel 1793 a causa del rifiuto del diplomatico britannico di eseguire il rituale kotow). Nella tradizione illuminista, volle che l'ambasceria fosse anche una spedizione scientifica, con la partecipazione di un nutrito gruppo dei studiosi scelti dall'Accademia delle scienze: tra di essi, l'astronomo Friedrich Theodor von Schubert, lo zoologo Michail Adams, il botanico Johann Redowsky, il mineralogista Lorenz von Pansner e l'orientalista Julius Klaproth. L'Accademia fissò anche gli obiettivi scientifici: quelli del botanico Redowsky prevedevano tra l'altro la raccolta di tutte le informazioni possibili sulla coltivazione del tè e l'acquisto di pianticelle, nella speranza di importare la coltivazione in Russia. Al gruppo degli scienziati, con il quale collaborò in vari modi, va aggiunto il medico ufficiale dell'ambasceria, il tedesco Joseph Rehmann. Come responsabile scientifico, Czartoryski nominò un connazionale, il conte polacco Jan Potocki (l'autore del celebre romanzo "gotico" Manoscritto trovato a Saragozza), uomo di cultura enciclopedica, curioso di tutto, che, come esperto viaggiatore, si ritagliò un ruolo di consulente del capo ufficiale della missione, il conte Jurij Golovkin. Superficiale, frivolo, arrogante, privo di tatto, costui era la classica persona sbagliata nel posto sbagliato. Nato in Svizzera da una famiglia immigrata, allevato a Parigi e imparentato con l'alta nobiltà di mezza Europa, non parlava una parola di russo e si circondava di aristocratici e profittatori del suo stesso stampo. Quando Potocki lo invitò a leggere gli scritti dei gesuiti e dei diplomatici che erano stati in Cina, rispose che non era necessario, perché "sotto qualsiasi cielo, non c'è nulla che valga di più di un buon cuoco e di vini pregiati". Contava di abbagliare i cinesi con "la magnificenza dell'equipaggio, il prestigio dello zar e il proprio talento" (le parole sono di A. Peyrefitte in L'impero immobile). L'ambasciatore pretese un seguito principesco che dilatò le spese (si calcola che la missione sia costata all'erario russo un milione di rubli) e il numero dei partecipanti, che superò le trecento persone. Pessima mossa, che nei cinesi non destò meraviglia ma sospetto. La notizia dell'enorme corteo, partito da San Pietroburgo nel maggio 1805, spinse l'interlocutore diretto dei russi, il wang di Urga (ovvero il principe tributario della Mongolia) a scrivere a Golovkin una serie di lettere in cui gli ingiungeva di ridurre il suo seguito a non più di settanta persone. Con un tira e molla tipicamente orientale, che costrinse la delegazione russa a sostare nei pressi di Khiakta per quasi tre mesi, alla fine i cinesi concessero una delegazione di centoventiquattro persone, a patto che l'ambasciatore si impegnasse formalmente ad eseguire il kotow. Il 18 dicembre il corteo russo varcò finalmente la frontiera cinese, salutato da fuochi d'artificio. Faceva così freddo che nelle tazze sulla superficie del tè appena versato si formavano cristalli di ghiaccio. I russi furono invitati a una festa all'aperto che si sarebbe tenuta due giorni dopo a Urga (l'attuale Ulan Bator). Golovkin si presentò accompagnato da una splendida cavalcata. Il wang lo condusse di fronte a un tavolo su cui ardevano incensi profumati, e lo invitò ad eseguire come lui la cerimonia del kotow. L'ambasciatore rifiutò: era disposto a prostrarsi di fronte all'imperatore, ma non a quel simulacro; sottoporsi a quel rito avrebbe significato equiparare lo zar di Russia, che egli rappresentava, a un vassallo della Cina, come lo stesso wang. Golovkin, mal informato dal suo servizio segreto, era convinto che si trattasse di un'alzata di ingegno del principe mongolo, e attese per venti giorni, in un clima glaciale da ogni punto di vista, che arrivasse la risposta ufficiale da Pechino. Che fu totalmente negativa: ai russi veniva ingiunto di sottomettersi, o di tornare indietro. A Golovkin e alla sua infreddolita compagnia non rimase che ritornare sui propri passi fino a Irkustk. L'imperatore Alessandro (da poco reduce dalla batosta di Austerlitz) non la prese bene: a Golovkin fu ordinato di rimanere in Siberia, e solo nell'autunno gli fu concesso di rientrare in Russia. ![]() Un trio di medici e naturalisti in cammino verso la frontiera Insomma, sul piano diplomatico il fallimento fu totale. Non così su quello scientifico. Per i giovani studiosi che accompagnavano la missione, si trattò di una importante esperienza formativa, che alcuni di loro non vollero interrompere dopo la conclusione della missione ufficiale. Ad esempio, Julius Klaproth, che aveva appena ventidue anni al momento della partenza e stava apprendendo il cinese da autodidatta, si giovò moltissimo degli insegnamenti degli interpreti dell'ambasciata; durante il viaggio attraverso la Siberia e nei tre mesi trascorsi a Khakta, incominciò a studiare le lingue locali, a raccogliere materiali etnografici e riuscì anche a procurarsi molti libri. Così, al suo ritorno a Pietroburgo, fu ammesso all'Accademia delle Scienze come associato e immediatamente spedito nelle regioni caucasiche recentemente annesse all'Impero russo per studiarne i popoli e le lingue. Negli anni successivi, divenne uno dei più eminenti orientalisti europei. Ancora più inattesi gli incontri che attendevano i due naturalisti e il medico ufficiale della spedizione: Michail Adams, Johann Redowsky e Joseph Rehmann. Quando fu scelto per la missione come zoologo, Adams aveva venticinque anni, ma aveva già esperienza di ricerca sul campo. Nato a Mosca, ma di lingua madre tedesca (il suo nome di nascita era Johann Friedrich Michael Adam), adolescente studiò presso l'Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo e ventenne partecipò alla spedizione nel Caucaso diretta da Apollo Musin-Puškin e dal maresciallo von Bieberstein (1800-02); oltre che uno zoologo, era anche un eccellente botanico. I suoi due compagni di avventura appartenevano all'entourage del conte Aleksej Razumovskij, alla cui raccomandazione dovettero probabilmente la nomina rispettivamente a botanico e medico dell'ambasceria. Johann Redowsky, ventottenne, era un tedesco del Baltico nato a Memel, in Lituania. Aveva studiato a Königsberg e a Jena, dove si era laureato in medicina. Nel 1799 si trasferì a Mosca (prendendo il nome russo Ivan Redovskij) e nel 1803 fu assunto da Razumovskij prima come assistente poi come curatore del suo giardino botanico privato; situato a Gorenki, non lontano da Mosca, all'interno dell'immensa tenuta di famiglia, e fondato appena nel 1798, nell'arco di pochi anni divenne il più importante dell'Impero russo. Sotto la gestione di Redowsky, anche grazie ai numerosi contatti con botanici europei, le collezioni crebbero rapidamente, come risulta anche dal primo catalogo, da lui redatto nel 1803, in cui sono elencate 2486 specie. Il ventiseienne Joseph Rehmann, discendente da una illustre famiglia di medici, era nato a Donaueschingen nel Baden-Württemberg, dove il padre era il medico personale dei principi Fürstenberg; aveva però studiato a Vienna, dove si era laureato in medicina nel febbraio 1802. Fresco di laurea, era stato assunto come medico personale da Andrej Razumovskij, l'inviato russo alla corte di Vienna (nonché mecenate di Beethoven e dedicatario dei "Quartetti Razumovsky") e lo aveva accompagnato a Mosca, dove era entrato al servizio della sua famiglia. Entusiasta della nomina, Rehmann si affrettò a presentare al Collegio dei medici una memoria in cui proponeva di affiancare alla missione una campagna di vaccinazione antivaiolosa, soprattutto nelle aree della Siberia in cui la "felice scoperta" non era ancora sufficientemente praticata. Il progetto fu approvato, anche se fu respinta la sua richiesta di un secondo medico che potesse sostituirlo durante la permanenza in Cina. Nel corso del viaggio di avvicinamento alla frontiera, che toccò successivamente Kazan, Ekaterinburg, Krasnojarsk e infine Irkutsk, secondo le istruzioni ricevute, Rehmann visitò puntigliosamente gli ospedali militari e incoraggiò le vaccinazioni, praticandole egli stesso dove i medici locali erano troppo tiepidi. Con Redowsky e Adams formò una squadra molto affiatata: mentre lui si dedicava soprattutto ai suoi compiti medici, i due naturalisti misero insieme una notevole collezione botanica; da Irkustk, tra settembre e ottobre, visitarono le rive del lago Baikal, dove Redowsky raccolse semi per Gorenki. Durante la lunga sosta nei pressi di Kiatka, Rehmann, oltre a interrogare i mercanti locali sul commercio del rabarbaro e del muschio bianco, fu impegnatissimo nelle vaccinazioni, con l'aiuto di un abile chirurgo militare di nome Petrov. Fu grazie a quest'ultimo, che ne parlava la lingua e se ne era già conquistata la fiducia, che il medico tedesco incontrò i Buriati, la popolazione di origine mongola che viveva (e vive tuttora) lungo la frontiera tra Russia e Cina intorno al lago Baikal. Al contrario dei russi, spesso diffidenti verso la vaccinazione, i Buriati - consapevoli delle devastanti conseguenze del vaiolo - l'avevano accolta con entusiasmo. Così, tra ottobre e dicembre 1805, Rehmann vaccinò personalmente 792 persone, di cui 91 russi e gli altri buriati. Come egli racconta nella sua relazione al ministero dell'Interno, per questi ultimi la vaccinazione era una festa collettiva: "Quando arriva il vaccinatore, tutti i candidati del circondario si raccolgono nella casa di uno dei lama o dei taisha [ovvero i capi della comunità], vestiti con i loro abiti più belli, le donne e le ragazze adornate con una quantità di coralli; allora tutti quelli che non hanno mai avuto il vaiolo, giovani e vecchi, sono vaccinati in massa [...]. Venire a partecipare a questa operazione salutare è per loro una festa!" E prosegue lodando l'ospitalità di questo popolo che si dimostra molto più saggio e civile dei russi: "I personaggi più considerevoli mi sono sempre venuti incontro a cavallo. Appena entravo in una jurta, mi offrivano latte, acquavite e una specie di tè che mescolano con grasso e sale. E ogni volta che mi sono recato al tempio del Lama, sono sempre stato ricevuto al suono della musica del servizio dei loro dei. E' impossibile lodare a sufficienza la premura, l'ospitalità e la dolcezza di carattere di questo popolo". Dai Buriati, come medico Rehmann aveva anche altro da imparare. Il buddismo era arrivato nella regione nella seconda metà del Seicento, grazie ad alcuni lama tibetani che insieme alla religione avevano importato i principi della medicina tibetana. Benché le basi teoriche rimontassero al Collegio di medicina dei monasteri di Lhasa e Labrang, i medici-lama buriati avevano saputo adattare la farmacopea tibetana alle condizioni locali. Come spiegarono a Rehmann, l'80% degli ingredienti usati nella regione del Baikal erano di raccolta locale; inoltre le medicine, che potevano comprendere anche 40 diversi ingredienti, tenevano conto del clima, della dieta e del metabolismo dei pazienti. Rehmann fu così affascinato dalla sapienza medica dei dottori buriati da invitare uno di loro, Tsultim Tseden, a venire a studiare all'Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo, un progetto che non si realizzò a causa della morte di Tsultim. Inoltre acquistò una farmacia portatile contenente 60 semplici, si informò delle loro proprietà presso i medici buriati e cercò di identificare le sostanze con l'aiuto del suo amico Redowsky. Sperava anche di introdurre la vaccinazione antivaiolosa in Cina, nonostante sapesse che i cinesi di Canton si erano opposti ai medici inglesi che la praticavano. Da bravo illuminista, contava di convincerli con argomenti razionali: scrisse e fece tradurre da uno degli interpreti un proclama in cui raccontava la storia della scoperta e della diffusione della vaccinazione in tutti i paesi della Terra. ![]() La spedizione continua: altri incontri inaspettati Anche il suo sogno, come quello di Golovkin, si infranse a Urga. I tre amici presero mestamente la via di Irkutsk insieme allo scornato ambasciatore. Lungo la strada, nel febbraio 1806, Rehmann studiò le acque minerali di Turkic, e, probabilmente con l'aiuto di Adams e Redovsky, la fauna ed la flora della regione circostante. Mentre una parte del corteo (tra cui una banda musicale al completo) riprendeva la via di Mosca, essi furono tra quelli che rimasero a Irkutsk con il seguito dell'ambasciatore, in attesa della primavera e di nuove istruzioni. Infine, dall'Accademia delle Scienze arrivò l'ordine di riprendere le ricerche: Adams avrebbe esplorato la Siberia orientale, per poi proseguire lungo la dorsale dei monti Stanovoy; Redowsky, accompagnato dal geodeta Ivan Kozevin, avrebbe dovuto raggiungere la Kamčatka dove si sarebbe unito ad alcuni membri della spedizione Krusenstern per un'ampia missione di tre anni nella penisola, lungo la costa pacifica, nelle Curili e a Sakhalin. Forse per farsi perdonare, l'ambasciatore Golovkin diede tutto il sostegno possibile a Redowsky, curando personalmente l'equipaggiamento di strumenti scientifici, polvere da sparo, denaro, merci da scambiare, doni per le popolazioni locali. Infine, il botanico fu pronto a partire a il 20 maggio. Secondo alcune fonti, Adams fece il primo tratto di strada con lui, ma è difficile pensarlo, visto che, dopo aver visitato le regioni di Nerčinsk e Tunkinskij, a giugno si trovava già a Jakustk, nella Siberia centrale. Fu qui che apprese che qualche anno prima presso la foce della Lena era stata rinvenuta la carcassa di uno strano animale conservato nel ghiaccio. Accompagnato da tre cosacchi, risali rapidamente il fiume, si recò sul posto e, anche se buona parte della carne nel frattempo era stata mangiata dai lupi o data ai cani, riuscì a recuperare lo scheletro quasi intatto e quasi 20 kg di peli del primo mammut rinvenuto intatto; spedito a San Pietroburgo, dove fu ricostruito da Tilesius, lo scheletro venne esposto nel gabinetto delle meraviglie dell'Accademia delle scienze, divenendone il reperto più celebre, con il nome di "mammut di Adams". L'anno successivo Adams scrisse un resoconto della spedizione e del ritrovamento, quindi terminò la sua carriera come professore di botanica presso l'Accademia medico-chirurgica di San Pietroburgo. Nel frattempo Redowsky, nella sua marcia di avvicinamento al Pacifico, esplorò la cresta di Aldan e la costa del Mare di Okhotsk, raccogliendo piante, pesci e campioni di minerali. Il 9 settembre era a Okhotsk, da dove spedì via mare il grosso delle attrezzature, intenzionato a raggiungere la Kamčatka via terra. All'inizio del 1807 si trovava a Gižiginsk, dove morì inaspettatamente l'otto febbraio. Sulla sua morte ci sono molte versioni: si sparse la voce che i locali, avendolo scambiato per una spia russa, lo avessero avvelenato con sublimato corrosivo; secondo altri, annegò mentre tentava di attraversare il fiume Gižiga; secondo Langsdorff, che avrebbe dovuto unirsi a lui in Kamčatka, si suicidò; altri ancora pensano a una malattia. L'unica certezza è che a soli trentun anni si spense una sicura speranza della botanica russa. Quanto a Rehmann, presumibilmente rimase con l'ambasciatore Golovkin fino all'autunno del 1806, visto che la sua relazione sulla campagna vaccinale è datata "Irkutsk, 25 settembre 1806". Tornato a Mosca, riprese i suoi doveri di medico della famiglia Razumovskij e aprì una piccola clinica privata, in cui sperimentava con alterno successo i rimedi appresi dai colleghi buriati e siberiani: la scorza del melograno come sostituto economico della corteccia di Cinchona; la Ballota lanata (oggi Panzerina lanata) come rimedio per l'idropisia associata a casi di cirrosi. Le sue esperienze in Siberia e in Mongolia sono anche alla base di una copiosa produzione di saggi: su un trattato cinese di ostetricia; sul commercio del rabarbaro e del muschio bianco; su un'epidemia di vaiolo bovino avvenuta i Siberia nel 1805-6. Il più interessante è indubbiamente quello dedicato alla farmacia portatile acquistata in Buriazia, con i nomi originali e traslitterati, un tentativo di identificazione (per circa il 50% dei semplici trattati) e informazioni su loro uso nella medicina tibetana. Si tratta del primo scritto occidentale dedicato a questa antica tradizione medica. Nel 1810, quando il suo patrono Aleksej Razumovskij fu nominato Ministro dell'Istruzione, Rehmann lo seguì a Pietroburgo. Poco dopo divenne uno dei medici personali dello zar Alessandro, che accompagnò in diversi viaggi all'estero. Nel 1817 fu nominato professore di farmacologia presso l'Accademia medico-chirurgica, dove ritrovò l'amico Adams. Più tardi divenne capo del servizio medico civile. Morì a San Pietroburgo di colera nel 1831. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Rehmannia, salute e bellezza in giardino La terminologia botanica ricorda in vario modo i tre amici. Ad Adams furono dedicati due diversi generi Adamsia, da Willdenow nel 1808 e da Steudel nel 1821, oggi rispettivamente sinonimi di Puschkinia (un genere creato proprio da Adams) e di Geum. E' ricordato però dall'eponimo di alcune specie, come il siberiano Rhododendron adamsii, che vive anche sulle sponde del lago Baikal. Redowsky fu invece ricordato da Chamisso, che dopo la sua morte pubblicò una parte delle sue raccolte botaniche, con il genere Redowskia, oggi sinonimo di Smelovskia. Lo ricordano però i nomi specifici di diverse piante, come Coriospermum redowskii, Erysimum redowskii, Rhododendron rodowskianum. L'unico ad essere omaggiato da un genere valido è dunque Joseph Rehmann, dedicatario di Rehmannia. La storia di questa dedica è anch'essa curiosa. Il primo a descrivere e nominare Rehmannia glutinosa, una specie molto importante della medicina tradizionale cinese, fu Joseph Libosch, medico personale dello zar Alessandro I, morto prima di poterla pubblicare (1824). Anni dopo il suo erbario e i suoi manoscritti furono esaminati da Friedrich Fischer e da Carl Anton Meyer, che pubblicarono genere e specie nel 1835. Entrambi medici dello zar, Libosch e Rehmann erano colleghi e sicuramente si saranno scambiati pareri medici e informazioni; ed è anche possibile che la radice di Rehmannia glutinosa, ovvero Radix Rehmanniae, sia una delle radici non identificate contenute nella piccola farmacia portatile buriato-tibetana. In ogni caso, la dedica di questo piccolo genere endemico cinese a un medico affascinato dalla tradizione medica cinese e tibetana è sicuramente azzeccata. Infatti Rehmannia glutinosa è una delle cinquanta erbe fondamentali della farmacopea cinese, che ne usa la radice, con proprietà antinfiammatorie e depurative. Nei nostri giardini, invece, da qualche anno è arrivata R. elata, spesso venduta con il nome un po' improprio "digitale cinese"; è una bellissima erbacea perenne semirustica con grandi fiori a campana rosa-porpora. In effetti, in passato il genere Rehmannia fu assegnato alla stessa famiglia e alla stessa tribù di Digitalis (famiglia Scrophulariaceae, tribù Digitalideae), ma non senza controversie; altri botanici infatti lo inclusero nelle Gesneriaceae. Più recentemente, sulla base delle analisi molecolari è stato trasferito nella famiglia Orobanchaceae, di cui costituisce uno dei soli tre generi non parassiti. Altre informazioni nella scheda. Estremo lembo orientale della Siberia, la Kamčatka è una penisola lunga circa 2000 km, stretta tra il golfo d'Okhotsk a occidente e l'oceano Pacifico ad oriente. Anche oggi quasi disabitata (con un territorio poco maggiore di quello italiano, conta circa 300.000 abitanti), con un clima subartico e paesaggi mozzafiato, dominati dai numerosissimi vulcani, è un paradiso della biodiversità, con ambienti geologici unici, un fitto manto forestale, una ricchissima fauna - famosi su tutti gli orsi, che ne sono un po' il simbolo - e una flora varia e diversificata. Nel XVIII secolo, era abitata da circa 50.000 persone di etnia itelmena, che vivevano di caccia e pesca; la penetrazione dell'impero russo, che vi inviò nuclei di cosacchi e impose un tributo in pellicce ai locali, era iniziata da pochi decenni. Il primo a studiarla in modo sistematico fu Stepan Krašeninnikov, il più promettente degli studenti che parteciparono alla Grande spedizione del Nord. Secondo il progetto iniziale, a esplorare la penisola avrebbero dovuto essere i professori del distaccamento dell'Accademia, ma essi preferirono rimanere in Siberia e inviare al loro posto l'allievo. Giunto in Kamčatka nell'autunno del 1737, egli nell'arco di tre anni ne percorse in un lungo e in largo il territorio, raccogliendo una grande massa di informazioni benché lavorasse in condizioni difficilissime. Soltanto alla fine del 1740 arrivò da San Pietroburgo Georg Wilhelm Steller, che prese su di sé il comando della missione e gli ingiunse di rientrare nella capitale. L'arroganza del tedesco non lo ha tuttavia privato della gloria di essere stato il primo naturalista ad esplorare e descrivere la Kamčatka; gli si deve infatti Opisanie zemli Kamčatki, "Descrizione della terra di Kamčatka", il primo resoconto geografico, etnografico, linguistico e naturalistico della penisola, per la cui redazione Krašeninnikov poté avvalersi anche dei materiali di Steller. Titolare della cattedra di botanica e scienze naturali e curatore dell'Orto botanico dell'Accademia di San Pietroburgo, fu tra i primi russi ad essere ammesso in questa istituzione all'epoca ancora dominata da studiosi stranieri. A ricordarlo, oltre a diverse località della Kamčatka, il nome specifico di varie piante che fu il primo a descrivere, e il genere Krascheninnikovia, dedicatogli da un altro esploratore delle terre russe, Johann Anton Güldenstädt. Krašeninnikov l'esploratore Dominata da vulcani attivi, ricca di fiumi dalle acque purissime, con un manto forestale che offriva rifugio e alimento a una abbondante fauna selvatica, all'inizio del XVIII secolo la Kamčatka era abitata da circa 50.000 nativi che vivevano di caccia e di pesca. I russi li chiamavano Kamčadal, ma essi si definivano Itelmen. I primi nuclei russi, costituiti da distaccamenti militari di cosacchi incaricati di imporre ai nativi un tributo in pellicce, vi arrivarono nel corso del Seicento, creando piccoli insediamenti soprattutto sulla costa occidentale. Il più importante era il forte di Bolšeretsk, in realtà un minuscolo accampamento fortificato che nel 1728, quando Bering vi giunse durante la Prima spedizione in Kamčatka, contava appena 14 abitazioni. Proprio muovendo da Bolšeretsk Bering e i suoi uomini tra l'autunno e l'inverno 1728-29 compirono una difficile marcia attraverso le montagne per raggiungere la costa orientale, dove la primavera successiva costruirono la nave con la quale avrebbero esplorato il Pacifico settentrionale alla ricerca del passaggio a Nord est. Era il primo contatto scientifico con la penisola, sufficiente a mostrarne il grande interesse geologico e l'enorme potenziale naturalistico e economico (vale la pena ricordare che le pellicce erano la prima voce nelle esportazioni dell'Impero russo). L'esplorazione sistematica del suo territorio fu dunque uno dei principali obiettivi scientifici della Seconda spedizione in Kamčatka; ad occuparsene avrebbero dovuto essere i professori del distaccamento dell'Accademia, ma le cose andarono diversamente. Infatti, quando giunsero a Yakutsk, dove si trovava il quartier generale di Bering, Müller e Gmelin cambiarono programma. Il primo era seriamente ammalato, mentre il secondo aveva perso buona parte delle sue raccolte in un incendio. Decisero così di rimanere in Siberia e di inviare in avanscoperta in Kamčatka il loro studente più promettente, Stepan Petrovič Krašeninnikov, che intendevano raggiungere in un secondo tempo. Cosa che non avvenne mai. Fu così che il primo studioso a esplorare la penisola, e più tardi a pubblicare i risultati nella sua lingua madre, non fu uno dei numerosi scienziati tedeschi che dominavano l'Accademia della scienze, ma un figlio della grande madre Russia. In tal modo, il viaggio in Kamčatka di Krašeninnikov costituisce una tappa importante della nascita della scienza russa e della sua emancipazione dai mentori occidentali. In una Russia che non aveva conosciuto né il Rinascimento né la Rivoluzione scientifica, non esisteva infatti personale scientifico formato. Per sopperire in tempi rapidi a questa lacuna, su suggerimento di Leibnitz, con il quale si era intrattenuto a lungo durante il suo viaggio in Europa, Pietro il Grande volle creare l'Accademia russa delle Scienze (l'atto di fondazione è del 1724, poco prima della morte dello zar), che era allo stesso tempo una società scientifica e un centro didattico, da cui dipendevano un ginnasio e un'università. Le lezioni, in lingua latina, erano tenute dagli accademici, tutti stranieri provenienti da università dell'Europa occidentale; nel disegno di Pietro, in tal modo sarebbe stata formata una leva di giovani studenti russi che sarebbero diventati gli studiosi di domani, nonché i tecnici e i funzionari necessari al progresso del paese. Capiamo dunque bene perché la seconda spedizione in Kamčatka, cui l'Accademia fornì personale e supporto scientifico, accanto a tecnici e studiosi stranieri, come lo stesso Bering, danese, oppure il francese de l'Isle de la Croyère e i tedeschi Müller, Gmelin e Steller, abbia visto la partecipazione di un gruppetto di promettenti studenti russi, provenienti dai ranghi del ginnasio o dell'università dell'Accademia, oppure dalla migliore delle scuole moscovite, l'Accademia slavo-greco-latina. La spedizione, in tal modo, fu anche un gigantesco laboratorio didattico in cui gli studenti apprendevano il metodo e il linguaggio scientifico affiancando i propri professori sul campo. Uno di loro era il nostro protagonista, Stepan Petrovič Krašeninnikov. Figlio di uno soldato povero, si era distinto tra gli studenti dell'Accademia slavo-greco-latina, che offriva un corso di studi ancora tradizionale, basato essenzialmente sullo studio delle lingue classiche e della logica aristotelica. Proprio in vista della spedizione, nel 1732 (all'epoca era ventenne) fu inviato a San Pietroburgo dove venne istruito dai professori che poi avrebbe accompagnato nella spedizione, in particolare Gmelin e Müller. Partito con loro nell'agosto 1733, li accompagnò fino a Yakutsk; durante il lungo viaggio, durato circa tre anni, fece osservazioni meteorologiche con Gmelin e fu coinvolto in diverse escursioni a breve raggio, in cui via via affinò la sua capacità di studiare un territorio in ogni suo aspetto, dalla geografia alla geologia, dagli animali e dalle piante alle risorse economiche, senza trascurare la storia, gli usi, i costumi e le lingue delle popolazioni locali (campo in cui dimostrò un'eccezionale attitudine). Tra l'altro, fu incaricato di studiare due caverne e dipinti rupestri nei pressi di Krasnoyarsk e nel luglio 1735 diresse la sua prima spedizione indipendente, in cui esplorò e studiò le sorgenti calde sul fiume Onon. Il progetto iniziale prevedeva che tutto il gruppo proseguisse con Bering e si imbarcasse per la Kamčatka; come ha già anticipato, Müller e Gmelin rimasero invece in Siberia e ordinarono a Krašeninnikov di recarsi in Kamčatka a preparare il campo dove lo avrebbero raggiunto in un secondo tempo. Nel luglio 1737 Krašeninnikov partì dunque con il gruppo di Bering per Okhotsk, raggiunto dopo un faticoso cammino di 47 giorni; si imbarcò quindi con gli altri sulla nave Fortuna in direzione di Bolšeretsk, ma, poiché il battello era sovraccarico, dopo nove ore in balia delle onde, per proseguire si dovette buttare a mare buona parte dei bagagli (Krašeninnikov perse così le provviste per due anni e una parte dell'attrezzatura). Appena sbarcati, nell'ottobre 1747, sperimentarono anche gli effetti di un terremoto, uno tsunami con epicentro nelle Curili, la lunga dorsale di isole che unisce la Kamčatka al Giappone. Mentre il resto della spedizione proseguiva il suo cammino verso la costa orientale, dove sarebbero state costruite le navi per l'esplorazione del Pacifico settentrionale, Krašeninnikov rimase a Bolšeretsk per preparare il campo base e iniziare l'esplorazione della penisola. Era una regione difficile e ostile (oltre a terremoti e al clima rigido, erano frequenti le ribellioni dei locali, poco disposti ad assoggettarsi al tributo imposto dai russi), ma estremamente varia e interessante da ogni punto di vista; intanto, una geologia peculiare con circa 160 vulcani, 29 dei quali attivi, campi di geyser, fonti di acque termali; una grande ricchezza di acque, con migliaia di corsi d'acqua alimentati da oltre 400 ghiacciai e centinaia di migliaia di laghi; un clima fondamentalmente subartico, ma con forti differenze, tra le valli e le cime, le zone interne e quelle costiere, tra la fredda costa orientale e la più mite costa occidentale; ambienti naturali altrettanti vari, in cui alla tundra arida e alle torbiere si alternano praterie erbose, boscaglie e foreste di conifere e latifoglie; una fauna estremamente ricca (lo è ancora oggi, e tanto più lo era trecento anni fa) con numerosi mammiferi, tra cui l'orso, il re e il simbolo animale della penisola, uccelli stanziali e di passo, un eccezionale patrimonio ittico. Appena giunto a Bolšeretsk, Krašeninnikov si attivò per preparare il terreno per l'arrivo dei professori, creando un campo base che includeva un piccolo giardino di acclimatazione per le piante, secondo le indicazioni di Gmelin. Dedicò questi primi mesi a brevi escursioni nella regione più meridionale, quindi nella primavera del 1738, accompagnato da un interprete e da un drappello di soldati, partì per la prima delle undici spedizioni nel corso delle quali avrebbe battuto in lungo e in largo la penisola. Percorse sia lunghi tratti della costa sia l'interno da sud a nord, per un totale di oltre 3500 km. Fu così in grado di descrivere le quattro penisole orientali della Kamčatka e i golfi da esse formati, i maggiori vulcani (tra cui il vulcano attivo più alto d'Eurasia, Ključevskaja Sopka, 4688 metri), i campi di geyser delle valli dei fiumi Paužetka e Banna. Seguirono numerose escursioni minori e una seconda lunga spedizione, iniziata nell'autunno del 1739, in cui Krašeninnikov risalì il fiume Bystra, per poi raggiungere le sorgenti del fiume Kamčatka che scese fino al forte cosacco di Nižne-Kamčatsk, dove raccolse informazioni sull'aurora boreale, chiaramente visibile nel marzo di quell'anno. I suoi informatori erano sia i pochi russi presenti nell'area, sia soprattutto i locali, da cui acquistava manufatti e che interrogava sulle pratiche di caccia e pesca, oltre ad osservarne gli usi e i costumi, secondo le precise indicazioni di Müller. Ovviamente, durante i suoi viaggi non mancava mai di raccogliere esemplari naturalistici che poi inviava a Gmelin, accompagnati da lettere-relazione in latino. Nel settembre 1740, giunsero a Bolšeretsk de l'Isle de la Croyère e Steller. Krašeninnikov, dopo tre anni di esplorazione solitaria, si ritrovò all'improvviso nei panni dello studente. Il tedesco infatti era stato incaricato di prendere il comando delle operazioni in Kamčatka e non senza arroganza ordinò al giovane russo di consegnargli i suoi materiali e di obbedire ai suoi ordini. Nell'inverno del 1740, Krašeninnikov mosse ancora una volta a nord, con l'intento di studiare i Coriachi (stanziati a nord della Kamčatka) e ebbe modo di osservare l'eruzione del vulcano Tolbačik. Tra l'inverno e la primavera del 1741, esplorò insieme a Steller la zona a sud di Bolšeretsk; durante questo viaggio, furono i primi naturalisti a vedere un raro mammifero marino poi denominato "leone marino di Steller", Eumotopias jubatus. Nel frattempo però erano giunti nuovi ordini da San Pietroburgo e Steller ingiunse a Krašeninnikov di raggiungere Gmelin e Müller in Siberia e di rientrare con loro nella capitale. Krašeninnikov l'accademico Krašeninnikov obbedì, ma senza fretta. Lasciata la penisola nel giugno 1741, arrivò a Turinsk, dove lo aspettavano i professori, solo ad ottobre, muovendosi lentamente per arricchire le sue collezioni. Insieme ai suoi maestri, svernò a Yakutsk, dove si sposò con la figlia del governatore locale. Ripercorrendo in parte il cammino dell'andata per completare le raccolte e le osservazioni, il gruppo, che ora includeva anche la neosposa, giunse finalmente a San Pietroburgo nel febbraio 1743. La lunga avventura in Oriente aveva fornito allo studioso russo gli strumenti e le credenziali per entrare nel mondo accademico. Due mesi dopo il suo ritorno, insieme ad altri studenti che avevano partecipato alla spedizione, sostenne un esame orale di botanica e latino, di fronte a una commissione costituita da Gmelin e da Siegesbeck, all'epoca curatore dell'orto botanico dell'Accademia. Nel 1745 venne accolto nell'Accademia come professore aggiunto, discutendo una tesi di dottorato su alcuni pesci della Kamčatka; iniziò anche a lavorare all'orto botanico come assistente di Siegesbeck, che poi sostituì quando questi fu costretto a dimettersi (1747). Krašeninnikov divenne così uno dei primi membri russi dell'Accademia delle scienze. Nel 1749 fece parte della commissione incaricata di respingere le "scandalose" tesi dell'antico maestro Müller, che aveva sostenuto (a ragione) l'origine vichinga dei fondatori della Russia, che egli respinse con forza insieme a Lomonosov e altri studiosi russi. Nel 1750 divenne titolare della cattedra di botanica e scienze naturali e qualche mese dopo fu nominato rettore dell'Università. Intanto, nel 1745 Steller era morto in Siberia, lasciando un manoscritto tanto ricco quanto indecifrabile, in cui al latino si alternavano il russo e il tedesco. L'Accademia decise di consegnarlo a Krašeninnikov, l'unica persona in grado di venirne a capo, per il perfetto dominio delle tre lingue, la sua lunga esperienza in Kamčatka e la collaborazione con lo stesso Steller. Integrando le note del tedesco con le proprie copiose osservazioni, intorno al 1748 Krašeninnikov incominciò così a scrivere un'opera sulla Kamčatka, che uscì nel 1755, poco dopo la sua morte, con il titolo di Opisanie zemli Kamčatki, "Descrizione della terra di Kamčatka". Di carattere enciclopedico, è divisa in due tomi, il primo dedicato alla geografia, alla fauna e alla flora, il secondo alla storia, alla cultura e alle lingue dei popoli nativi. Il primo tomo si apre con una sezione sulle caratteristiche generali della penisola e delle terre confinanti, con particolare attenzione ai fiumi; segue una sezione dedicata alla storia naturale, con approfondimenti sui vulcani, i geyser, gli animali e le piante, il commercio delle pellicce di zibellino, le maree. Nel capitolo dedicato alle piante, oltre a descrivere numerose specie fin ad allora sconosciute alla scienza, si dimostra soprattutto attento al loro uso come medicinali o alimenti, sulla base delle informazioni raccolte dai nativi. Analogamente, anche il secondo tomo è diviso in due parti: la prima descrive i popoli della penisola, le loro usanze, le loro lingue; la seconda espone la storia della conquista russa e le condizioni di vita dei russi e dei locali. Incuriosito e a volte indignato dai costumi di questi ultimi, Krašeninnikov oscilla tra la condanna per ciò che gli appare rozzo o lascivo e l'ammirazione per la libertà e la totale sintonia con il mondo naturale. Nazionalista e convinto assertore dell'imperialismo russo, non manca la difesa del "mite" dominio russo, condita con elogi cortigiani dell'imperatrice (all'epoca regnava Elisabetta, la figlia di Pietro). Accanto alla stesura di quest'opera, negli anni di San Pietroburgo, il principale interesse di Krašeninnikov fu la botanica, cui dedicò quasi tutti gli articoli pubblicati negli Atti dell'Accademia delle scienze. Studiò la flora dei dintorni di San Pietroburgo, lasciando un manoscritto che molti anni dopo fornì materiali a Grigorij Sobolevskij per la sua Flora petropolitana (1799). Nel 1752 visitò il lago Ladoga e Novgorod per studiarne la flora; i materiali da lui raccolti, sistemati da David de Gorter seguendo il sistema linneano, vennero pubblicati nel 1761 sotto il titolo Flora ingrica. Probabilmente minato dai lunghi anni trascorsi in Siberia, morì appena quarantaquattrenne, subito dopo aver terminato la prefazione di Opisanie zemli Kamčatki; secondo la testimonianza di un contemporaneo, si spense proprio il giorno in cui terminò la stampa del suo capolavoro. Nel 2015 le sue avventure in Kamčatka sono state raccontate nel documentario Expedition to the End of the Earth con la regia di A. Samoilov. Una sintesi della sua vita come sempre nella sezione biografie. ![]() Krascheninnikovia, una lanosa pianta delle steppe Come pioniere dell'esplorazione della Kamčatka, Krašeninnikov è ricordato da un certo numero di nomi geografici della regione e delle aree limitrofe, come il vulcano Krašeninnikov o la penisola Krašeninnikova. Gli è stato dedicato anche un asteroide e il nome specifico di qualche animale (ad esempio, il salmonide Salvelinus malma krascheninnikova) e di una decina di piante, come Gipsophila krascheninnikovii o Astragalus krascheninnikovii. Nel 1772, un altro grande protagonista dell'esplorazione dell'Impero russo, Johann Anton Güldenstädt (il primo a studiare sistematicamente il Caucaso) volle onorarlo con il genere Krascheninnikovia (famiglia Amaranthaceae). Una seconda dedica giunse molti decenni dopo (1840) da parte del botanico Nikolaj Stepanovič Turčaninov, che intorno agli anni '30 dell'Ottocento ripercorse alcuni dei territori siberiani visitati da Krašeninnikov e dai suoi maestri durante la Grande spedizione del Nord. Anche se la grafia è lievemente diversa, questo genere Krascheninikovia (famiglia Dianthaceae) non è valido per la regola della priorità. Krascheninnikovia Guldenst. è un piccolo genere di arbusti tipico delle steppe aride e fredde dell'emisfero boreale. Il numero di specie è discusso (da uno a tre), perché quella più diffusa, K. ceratoides, è estremamente variabile, con numerose varietà a diffusione locale che in passato sono state considerate specie a sé. Oggi le si riconoscono fondamentalmente due sottospecie: l'euroasiatica K. ceratoides sub. ceratoides e l'americana K. ceratoides sub. lanata. La prima è presente dall'Europa centrale all'Asia nord-orientale, con alcune colonie isolate in Marocco, Egitto e Spagna (relitti di una fase interglaciale a clima più freddo e arido); la seconda negli altopiani e nei deserti freddi dell'America nord-occidentale, dal Canada al Messico settentrionale, con una presenza particolarmente significativa in California. Si tratta di un arbusto o suffrutice alto circa un metro, eretto o prostrato, con piccole foglie tomentose dalle forme assai variabili; le infiorescenze sono dense spighe allungate, con numerosi fiori maschili protetti da grandi brattee lanose e pochi fiori femminili raggruppati in posizione terminale, con brattee più piccole. I semi sono provvisti di lunghi peli setosi bianchi che ne favoriscono la dispersione grazie al vento. La sottospecie americana, nota con il nome comune winter fat, ha un ruolo ecologico molto importante come foraggio per gli erbivori selvatici soprattutto nella stagione invernale. Oggi è talvolta anche coltivata per la bellezza delle foglie argentee, ma anche per le soffici fioriture. Qualche approfondimento nella scheda. Nella seconda metà del Settecento, la scienza russa diventa maggiorenne e si emancipa dalla tutela degli scienziati stranieri, soprattutto tedeschi, che l'avevano tenuta a battesimo. Emblema di questo processo è Ivan Lepëchin, unico russo tra i capi della Spedizione dell'Accademia, per 28 anni direttore del Giardino dei farmacisti, futuro orto botanico imperiale. E viene omaggiato di ben due generi: la spettacolare Lepechinia e la discreta Lepechiniella (che appartengono a famiglie diverse e nulla hanno a che fare l'una con l'altra). ![]() L'emancipazione della scienza russa La carriera di Ivan Ivanovič Lepëchin, unico russo tra i capi della spedizione dell'Accademia, segnò una tappa fondamentale nell'emancipazione della scienza russa dall'egemonia degli scienziati stranieri, soprattutto tedeschi. E' noto che Pietro il Grande, nel suo sogno di trasformare la Russia in una potenza europea, capace di stare alla pari con le grandi nazioni come l'Inghilterra e la Francia, si avvalse largamente di artigiani e tecnici stranieri; inoltre inaugurò la pratica di inviare giovani russi all'estero per apprendere le conoscenze più avanzate della scienza e della tecnica. Nel 1724, sul modello della Royal Society londinese, fondò l'Accademia russa delle Scienze, affidandone il progetto al suo medico, il tedesco Blumenrost. A farne parte furono invitati eminenti scienziati non russi, come i matematici Eulero e Bernoulli. Per un lungo periodo, tutti i membri dell'Accademia furono stranieri. Nell'intento di promuovere le conoscenze botaniche, soprattutto a scopi pratici e medici, nel 1714 Pietro promosse la fondazione di un giardino dei semplici, il Giardino dei farmacisti, sorto su una delle isole del delta della Neva cui diede il nome (Aptekarskij Ostrov, "isola dei farmacisti"). Inizialmente specializzato nella coltivazione di piante medicinali, fu a lungo diretto da botanici e medici stranieri; in questo blog ne abbiamo già incontrati due: Siegesbeck, che vi lavorò come dimostratore quindi direttore dal 1735 al 1747, e Falk, che vi operò dal 1763 al 1768, quando si unì alla spedizione dell'Accademia. Ivan Ivanovič Lepëchin, uno dei protagonisti di quest'ultima, fu il primo russo a diventarne direttore, mantenendo l'incarico per un lunghissimo periodo (dal 1774 al 1802). Secondo la consuetudine inaugurata da Pietro il Grande, Lepëchin, nato a Pietroburgo, dopo aver iniziato gli studi presso l'Accademia delle scienze della città natale, fu inviato a studiare all'estero; seguì i corsi di medicina e scienze naturali all'Università di Strasburgo, dove si laureò nel 1767. Al suo rientro in patria, fu ammesso come membro aggiunto all'Accademia delle Scienze e gli fu assegnata la guida di uno dei tronconi della spedizione di Pallas. Uno degli studenti che lo accompagnavano era Nikolaj Ozereckovskij, destinato a sua volta a diventare un eminente scienziato. Il suo gruppo operò una sorta di collegamento tra le due aree di esplorazione: quella meridionale, con centro Astrachan', con i due gruppi affidati a Gmelin e Güldenstädt, e quella siberiana, centrata su Orenburg, con i gruppi guidati da Falk e Pallas. Partito da Pietroburgo nell'estate del 1768, seguì il Volga e raggiunse Astrachan', quindi esplorò il Caspio. L'anno successivo si mosse verso nord, perlustrando in modo sistematico gli Urali, muovendosi a zigzag lungo la catena e spostandosi sempre verso nord fino a raggiungere il mar Baltico a Arkangelsk; dopo aver esplorato la Russia settentrionale, rientrò a Pietroburgo negli ultimi giorni del 1772, primo gruppo a rivedere la capitale. Come quella dei compagni di avventura, anche la spedizione di Lepëchin fu assai proficua, ma soprattutto una lunga vita permise allo scienziato russo di pubblicarne i risultati (Dnevnye zapiski putešestvija po raznym protivintsiiam rossiskogo gosudarstva, 1771-1805, "Diario del viaggio attraverso diverse province dell'Impero russo") e di percorrere una brillante carriera scientifica. Membro effettivo dell'Accademia delle scienze dal 1771, oltre a brevi pubblicazioni originali, fu attivo soprattutto nel campo delle traduzioni (ad esempio tradusse in russo buona parte dell'Histoire Naturelle di Buffon); come redattore del Dizionario dell'Accademia delle scienze, contribuì inoltre a gettare le basi del lessico scientifico russo. Dal 1783 divenne segretario dell'Accademia delle Scienze, ma soprattutto dal 1774 fino alla morte (quindi per 28 anni) fu il direttore dell'orto botanico. Sotto la sua guida, l'istituzione subì la trasformazione da giardino dei semplici a grande giardino botanico, sancita vent'anni dopo dalla nuova denominazione di Giardino botanico imperiale. Altre notizie nella biografia. ![]() La grande Lepechinia e la piccola Lepichiniella Divenuto un grande esperto di piante medicinali, con i suoi viaggi e i suoi studi Lepëchin diede un importante contributo alla conoscenza della flora russa e siberiana, descrivendo 29 nuove specie. Gli onori postumi non mancarono; due località recano il suo nome: il monte Lepëchin negli Urali siberiani e la città di Lepechinka nella regione di Saratov. Due sono pure i generi che lo celebrano: Lepechinia, dedicatogli nel 1804 dal grande sistematista Willdenow, e Lepechiniella, stabilita nel 1953 dall'importante botanico russo Michail Popov. Fu proprio pensando alla sua autorità in fatto di piante medicinali che Willdenow gli dedicò il nuovo genere Lepechinia, da lui distinto dall'affine Horminum. Non dalla Russia o dalla Siberia, ma dalle Americhe proviene infatti questa bella Lamiacea, di aspetto simile alla salvia, tanto da guadagnarle il nome di falsa salvia o salvia a coppa (pitcher sage), per il calice rigonfio e tondeggiante. Alcune specie hanno infatti proprietà medicinali; tra esse la specie tipo, L. caulescens, un'erbacea messicana utilizzata per combattere numerose affezioni. Ancora scarsamente presente nei nostri giardini, Lepechinia meriterebbe una maggiore diffusione; l'unica specie reperibile nei nostri vivai, L. hastata, è un'alta erbacea perenne con tutti i numeri per diventare una star dei giardini in epoca di cambiamenti climatici: piuttosto rustica, benché nativa della California, resistente al caldo e alla siccità, adattabile in fatto di terreno e esposizione, è attraente sia per le foglie grigio-argento dal profumo di menta sia per le vistose spighe di fiori di un ricco rosa magenta. Di qualche altra specie si parla nella scheda. Alla vistosa Lepechinia fa da contraltare la minuscola e modesta Lepechiniella; è un piccolo genere di Boraginaceae che comprende tre o quattro specie endemiche delle montagne dell'Asia centrale (Turkestan, Afghanistan, Pakistan); sono piccole erbacee perenni o annuali con fiori generalmente azzurri campanulati dalla corolla non più grande di 2 millimetri. L. sarawschanica - che è la specie descritta da Popov nel suo volume sulla flora dell'URSS - ricorda nel nome specifico la valle del fiume Zeravshan (o Zarafshan), un'area in parte protetta caratterizzata da un grande varietà di suoli e quindi di flora; la formazione tipica è il tugay (o tugai), una foresta alluvionale caratteristica delle zone aride e desertiche dell'Asia centrale e del Tarim in Cina. Qualche notizia in più nella scheda. L'avventura del baltico Güldenstädt, tra i protagonisti della grande Spedizione dell'Accademia, ci insegna che nel Settecento non c'era separazione tra le cosiddette due culture: un medico e naturalista poteva interessarsi brillantemente di tutto, tanto da diventare il padre fondatore della linguistica caucasica. Ma il secondo insegnamento è che anche una spedizione scientifica può essere meno innocente di quel che sembra e che dopo gli scienziati e gli esploratori arrivano i soldati. Il suo viaggio in Georgia fu un'importante tappa della conoscenza scientifica della regione, ma anche un altrettanto decisivo passo avanti della penetrazione imperialistica russa. ![]() Quattro scienziati in Russia (più un gatto selvaggio) La spedizione dell'Accademia russa, con i suoi sette anni di durata, migliaia di chilometri percorsi e un inestimabile patrimonio di scoperte etnografiche, economiche, naturalistiche segnò una tappa fondamentale nella storia della scienza russa. Guidata da scienziati con una preparazione enciclopedica, i cui interessi spaziavano dalle scienze naturali alla geologia, dall'economia all'etnologia, permise la conoscenza scientifica di un vastissimo territorio fino allora quasi sconosciuto. Tanto per limitarci alla botanica, un dato ne evidenzia l'impatto: nel 1733 nel giardino dei farmacisti di S. Pietroburgo (antesignano dell'orto botanico) si coltivavano 1100 specie; nel 1808 erano diventate 2236. Grazie a Pallas venne anche pubblicata la prima flora della Russia (Flora Russica, 1774-1788). Anche se in modo parziale, la nomenclatura botanica rende giustamente omaggio agli scienziati che guidarono la spedizione. Nonostante tutti i suoi meriti, il leader, Peter Simon Pallas, ha rischiato di essere dimenticato dalla nomenclatura botanica; lo celebrano il nome comune di molti animali da lui scoperti, primo fra tutti il gatto di Pallas o manul (Otocolobus manul), nonché il nome specifico di diverse specie animali, ma anche vegetali (Crocus pallasii, Erysimum pallasii, Coriospermum pallasii), un tipo di meteorite (la pallasite), la città di Pallasovka. Per ben quattro volte gli fu dedicato un genere Pallasia, sempre ridotto a sinonimo. A rimediare, ci pensò verso la metà del secolo scorso il botanico russo Poljakov che creò in suo onore il monospecifico Neopallasia. Dunque potremo ritrovare lui e la sua Flora Russica in un altro post. Nessun riscatto invece per lo sfortunato Samuel Gottlieb Gmelin (che come si è visto nel post precedente morì in prigionia durante la spedizione) cui non è stato dedicato alcun genere; ma può vivere di gloria riflessa grazie allo zio Johan Georg Gmelin, che Linneo omaggiò con il genere Gmelina. Entrano invece a pieno diritto nella nostra lista di dedicatari di generi botanici, oltre a Falk, entrambi i sudditi dell'Impero russo: il baltico Johann Anton Güldenstädt, esploratore del Caucaso e della Georgia, e il russo Ivan Ivanovič Lepëchin, che perlustrò il Caspio, gli Urali e la Siberia, futuro direttore dell'orto botanico di S.Pietroburgo (ne parleremo in un prossimo post). ![]() Güldenstädt dal Caspio alla Georgia (per tacer del gatto della giungla) L'area toccata a Güldenstädt, il Caucaso, era una delle più calde sul piano politico e il suo viaggio rispondeva a un immediato interesse strategico per la Russia, in quegli anni impegnata in un conflitto con l'impero ottomano. Dunque si trattò sia di una missione scientifica, sia di una ricognizione a fini militari di una zona di confine, a cavallo tra i due imperi. Fu un tassello importante della penetrazione russa nell'area, che culminò nel 1783 con il trattato di Georgievsk con quale la Georgia - alleata dei russi contro i turchi - fu trasformata in protettorato dell'impero russo. Appena laureato in medicina il ventiduenne Güldenstädt fu invitato a partecipare alla spedizione dell'Accademia russa, di cui avrebbe diretto uno dei gruppi di Astrachan'; mentre a Gmelin toccò il settore più orientale, a lui fu assegnato quello a occidente del Caspio. Il suo corpo di spedizione, che comprendeva numerosi studenti e assistenti russi, fu il primo a partire da S. Pietroburgo nel giugno del 1768 e l'ultimo a rientrare, nel marzo del 1775. Dopo una sosta a Mosca, seguendo il Volga raggiunse Astrachan', sul mar Caspio, nell'inverno seguente. Nella primavera si spostò a Kizljar, fortezza russa sul delta del fiume Terek, che divenne la sua base operativa. Dopo aver esplorato le rive del Caspio, Güldenstäd nella primavera del 1771 risalì il corso del Terek e nel settembre varcò il Caucaso nella regione dell'Ossezia meridionale. Per circa un anno, da settembre 1771 a novembre 1772, esplorò estensivamente la Georgia, che a quel tempo era divisa in due regni: la Georgia governata da Eraclio II e l'Imerezia governata da Salomone II. Güldenstäd incontrò entrambi i sovrani da cui ebbe uomini e aiuti per continuare la sua esplorazione, oltre a doni di manufatti e molte preziose informazioni culturali, linguistiche e storiche. Benché richiamato dall'Accademia russa delle scienze che riteneva ormai conclusa la spedizione, lo scienziato si trattenne un altro anno nel Caucaso e rientrò a Pietroburgo solo nel marzo del 1775. In sette anni di esplorazione (metà dei quali dedicati alla Georgia) aveva raccolto un'imponente documentazione che includeva esemplari di piante e animali, minerali, monete, iscrizioni, osservazioni economiche, etnografiche e linguistiche puntigliosamente annotate nel suo diario di viaggio. Per i sette anni successivi (morì prematuramente nel 1781 vittima di un'epidemia contratta curando i suoi pazienti) si dedicò alla revisione del diario e al riordino dell'enorme massa di materiali raccolti, senza riuscire a portare a termine il compito. Fu quindi Pallas a curarne la pubblicazione; il suo diario di viaggio in due volume Dr. Johann Anton Güldenstädt: Reisen durch Russland und im kaukasischen Gebürge (Pietroburgo, 1787-1791, "Viaggio in Russia e nelle montagne del Caucaso") fu la prima opera scritta in una lingua europea a descrivere estesamente il Caucaso e segnò profondamente per almeno un secolo il modo di concepire quella regione. Particolarmente influente fu la classificazione delle lingue dei popoli del Caucaso; paragonando tra loro serie di parole (in un'epoca in cui la linguistica comparata non era ancora nata) egli identificò 17 lingue che classificò in quattro gruppi, divenendo di fatto il padre fondatore della linguistica caucasica. Anche se raccolse puntigliosamente una massa di notizie che, oltre alle lingue, includevano lo stato delle strade, le dimensioni degli abitati, le risorse minerarie, la natura del suolo e delle acque, gli usi e i costumi, le forme di governo e la storia, l'interesse principale di Güldenstädt rimaneva la medicina e le scienze naturali. Identificò molte specie di animali e piante mai descritte prima di lui: un felino selvatico, il gatto della giungla (Felis caus), uccelli come il piro-piro del Terek (Xenus cinereus) e il codirosso di Güldenstädt (Phoenicurus erythrogaster). E' ricordato dal nome specifico dello storione russo, Acipenser gueldenstaedtii. Raccolse una notevole collezione di piante lungo le sponde del Caspio, il bacino del Terek e le montagne del Caucaso georgiano; il semplice elenco delle specie che progettava di descrivere nella mai realizzata Flora del Caucaso occupa 18 pagine manoscritte. Qualche notizia in più nella biografia. ![]() Gueldenstaedtia, questa sconosciuta Nel 1823 un altro botanico tedesco naturalizzato russo, Friedrich Ernst Ludwig von Fischer, direttore dell'Orto botanico di San Pietroburgo, dedicò all'instancabile esploratore del Caucaso il genere Gueldenstaedtia, una Fabacea (leguminosa) che comprende una dozzina di specie delle aree temperate e montane della regione sino-himalayana e della Siberia. Si tratta di perenni quasi prive di stelo, con foglie composte pinnate aderenti al suolo e fiori relativamente grandi, dalla tipica corolla papilionacea. Lo status tassonomico di questo genere è stato oggetto di discussione tra i botanici; dopo aver rischiato di essere soppresso a favore di Amblyotropis, è stato confermato in un congresso internazionale nel 1959; più recentemente, nel 1979 ne è stato staccato il genere Tibetia, molti simile, che comprende cinque specie native delle aree montane di Bhutan, Cina, India, Nepal e Pakistan. Sono piante ancora poco note e raramente coltivate. La specie più diffusa è Gueldenstaedtia verna, un'erbacea che cresce in ambienti abbastanza vari in una vasta area che va dalla Russia al Myanmar, passando per il Pakistan, l'India, la Cina e il Laos. Se ne conoscono diverse varietà, tra cui G. verna f. alba, dai fiori bianchi (nella specie tipica sono invece da rosa a porpora). L'Alpine garden Society segnala come pianta da serra alpina o giardino roccioso di breve vita e non facile coltivazione G. himalaica, dai bei fiori azzurri, oggi rinominata Tebetia himalaica. Qualche informazione in più nella scheda. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
February 2025
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