Nella storia della Real Expedición Botánica a Nueva España l'arrivo di José Mariano Mociño segna uno spartiacque; grazie al suo dinamismo, alla sua conoscenza del territorio, alla sua curiosità insaziabile, dal Messico centrale dove fino ad allora si era mossa la spedizione, gli orizzonti si allargano. E proprio Mociño sarà il protagonista delle due tappe più lunghe e ambiziose: quella che nel 1792 lo porterà fino all'isola di Nootka (oggi nella canadese Columbia britannica) e quella, lunghissima e inedita, che tra 1796 e il 1799, lo vedrà esplorare la Capitania General de Guatemala, ovvero non il solo Guatemala, ma l'intera America Centrale, con un percorso di oltre 4000 miglia. Scienziato completo e vero figlio dei Lumi, Mociño fu anche un medico impegnato nel sociale, in Sudamerica come in Spagna, che pagò carissima la coerenza e la fedeltà alle proprie idee. Morto in povertà e in disgrazia, senza poter vedere pubblicati i risultati dell'immenso lavoro suo e dei compagni, fu anche sfortunato da un altro punto di vista. Per una ragione o l'altra, nessuno dei generi che gli furono dedicati al suo tempo è sopravvissuto; ma, per una volta, a rimediare a tanta ingiustizia ha provveduto poco più di vent'anni fa un botanico conterraneo, incoronandolo con gli allori del monospecifico Mocinnodaphne. Dal Messico al Canada Nel 1787, José Mariano Mociño, giovane creolo imbevuto di idee illuministe, si laureò in medicina. In quello stesso anno iniziarono le attività della Real Expedición Botánica a Nueva España, il cui primo atto fu la fondazione dell'Orto botanico di Città del Messico, con annessa cattedra di botanica. A seguire quei corsi, tenuti da Vincente Cervantes, tra i tanti giovani entusiasti c'era anche il nostro protagonista, che con l'amico José Maldonado si segnalò a tal punto che il maestro propose a Sessé di cooptarlo nella spedizione. Sessé accettò di buon grado, e, come ho già accennato in questo post, Mociño partì immediatamente con lui e i suoi compagni alla volta del Messico settentrionale; quando i naturalisti si divisero in due sottogruppi, insieme a Castillo e al pittore Echevarría visitò le zone più impervie e inesplorate del Messico nordoccidentale, negli attuali stati di Jalisco, Nayarit, Sinaloa e Sonora, raccogliendo vaste collezioni di piante e animali prima sconosciuti alla scienza. Quando si ricongiunse con Sessé a Aguascalientes, scoprì di essere stato designato, insieme a Maldonando e Echevarría, per accompagnare la spedizione dell'ammiraglio Bodega y Quadra all'isola di Nootka. La nomina, voluta dal viceré, veniva anche a rimediare un groviglio burocratico. In effetti, mentre Sessé aveva accolto con entusiasmo l'ingresso di Mociño e Maldonado, in sostituzione dell'inefficiente e incapace Senseve, quest'ultimo aveva fatto ricorso alla corona per essere reintegrato; inoltre era ostile alla nomina dei due messicani pure Longinos, che li considerava dei semplici e inadeguati studenti; e anche per questo motivo si era giunti a una rottura tra lui e Sessé. Mentre i membri della spedizione erano già nel nord del paese, arrivò da Madrid l'ordine di reintegrare Senseve e allo stesso tempo venne annunciata la spedizione dell'ammiraglio Bodega; ordinando che Mociño,Maldonado e Echevarría lasciassero la Real Expedición Botánica e si integrassero a quest'ultima, il viceré prendeva i classici tre piccioni con una fava: obbediva a Madrid, destituendo Mociño e Maldonado; essi però avrebbero continuato a percepire una paga come membri della nuova spedizione e, inoltre, i limiti della Real Expedición Botánica si sarebbero allargati alla California e all'isola di Nootka. Ho già raccontato altrove le circostanze che nell'estate del 1789 portarono la Spagna e la Gran Bretagna sull'orlo di una guerra per un lembo di terra nell'isola di Nootka (Nutca in spagnolo), di fronte all'attuale isola Vancouver, nella Columbia britannica (Canada). La crisi diplomatica più assurda della storia si risolse poi con un accordo, che doveva però essere perfezionato sul posto da due plenipotenziari, il capitano Vancouver per i britannici e l'ammiraglio Juan Francisco de la Bodega y Quadra per gli spagnoli. Bodega era il comandante della base di San Blas sul Pacifico e aveva una lunga esperienza di navigazione lungo le coste di quell'oceano; nel 1791 ricevette la nomina a Commissario per la questione di Nootka e nel 1792 salpò per l'isola con una piccola flotta che comprendeva due fregate, una scuna e due golette; a bordo, anche i nostri naturalisti, che da Aguascalientes si erano affrettati a raggiungere san Blas per l'imbarco. Il 29 aprile la flotta spagnola giunse a Nootka, dove si sarebbe trattenuta tutta l'estate; Vancouver a sua volta arrivò ad agosto. Sebbene sul piano diplomatico le trattative si fossero ben presto arenate, tra i due comandanti si strinse un'intesa personale, che portò spagnoli e britannici a collaborare nell'esplorazione dello Stretto di Juan de Fuca e dell'intrico di fiordi che si estende tra la Columbia britannica e l'Alaska. Per Mociño e i suoi compagni fu l'occasione per incrementare il loro bottino naturalistico (l'erbario di Mociño e i disegni di Echevarría destarono ammirazione e una punta d'invidia in Menzies, il botanico della spedizione Vancouver), ma l'inesauribile curiosità del naturalista messicano si volse anche alle questioni economiche, ai costumi degli indigeni e alla loro lingua. Trascorso l'inverno 1792-93 a Monterray in California (dove ancora una volta Bodega accolse e ospitò l'amico Vancouver), nella primavera del 1793 la Commissione rientrò a San Blas, dove Maldonado decise di stabilirsi come medico, uscendo così dalla Real Expedición Botánica. Insieme a Bodega e a un ufficiale inglese che doveva essere inviato in patria per avere istruzioni (mentre Vancouver proseguiva il giro del mondo) Mociño e Echevarría tornarono invece a Città del Messico. Qui nel 1794 Mociño pubblicò Noticias de Nutka, importante soprattutto per le informazioni sui costumi delle popolazioni dell'isola. L'esplorazione dell'America centrale Non rimase comunque a lungo inoperoso. Sessé era riuscito a convincere la corona spagnola a prolungare la spedizione e ad allargarla alla Capitanìa di Guatemala, ovvero all'intero Centro America. Più ancora del Messico, quest'area appariva promettente sul piano botanico, in quanto la più fertile del Viceregno, con molte specie medicinali di grande importanza anche per la bilancia dei pagamenti del Regno iberico. Era anche un territorio quasi inesplorato (solo l'area costiera intorno a Realejo era stata toccata nel 1791 dalla spedizione Malaspina). Mentre riservava a se stesso le isole delle Antille Sopravento, Sessé affidò il comando della sottospedizione in Guatemala a Longinos, con il quale si era in qualche modo rappacificato, e ordinò a Mociño e all'altro pittore, Vicente de la Cerda, di unirsi a lui. Mociño ne fu desolato e inizialmente cercò di sottrarsi: Longinos lo aveva sempre trattato con disprezzo, mai aveva avuto una parola di considerazione per lui; tuttavia alla fine, per amore della scienza, si convinse. In ogni caso, rimasero i contrasti con Longinos, che se ne andò direttamente in Guatemala in nave, mentre Mociño e de la Cerda, cui si era unito il farmacista Julian del Villar, si muovevano più lentamente via terra scendendo a sud lungo la strada del Pacifico. Partiti verso la metà del 1795, a novembre erano a Oaxaca (qui Mociño aveva vissuto a lungo in gioventù, sposando anche la nipote del vescovo della città) e a febbraio 1796 a Tehuantepec. Nel frattempo però erano rimasti in due: Julian del Villar, considerato privo di titoli sufficienti per partecipare alla spedizione, fu infatti richiamato a Città del Messico. In Chiapas (regione che faceva già parte della Capitanìa) furono poi trattenuti oltre il loro desiderio da un'epidemia di vaiolo. Giunsero finalmente a destinazione ad aprile. A Città di Guatemala si ricongiunsero con Longinos che, proprio come a Città del Messico, era intento a costituire un gabinetto naturalistico, in pieno accordo con le autorità locali. Si riprometteva a questo scopo una serie di viaggi che in realtà non poté affrontare per la salute sempre più declinante. I suoi occhi e le sue mani divennero così quelle di Mociño e la Cerda che all'inizio del 1797 lasciarono Città del Guatemala per esplorare in modo estensivo il Centroamerica. Iniziarono dall'area più popolata e meno rischiosa della spedizione, il settore sudoccidentale della Capitanìa lungo la costa del Pacifico. Di lì proseguirono verso sud lungo la cosiddetta "Via de Nicaragua" che congiungeva il Guatemala con la Costa Rica passando attraverso Salvador e Nicaragua, sempre muovendosi grossomodo lungo la costa. Benché frequentata da secoli, era tuttavia una strada accidentata, che attraversava paludi e aree selvagge. Lasciato l'attuale Guatemala, si mossero in territorio salvadoregno, poi, seguendo la costa del golfo di Fonseca, entrarono in Nicaragua, sempre muovendosi lungo la costa fino a Managua. Di qui si spostarono verso l'interno fino al lago Nicaragua, di cui percorsero la riva sudorientale fino all'isola Omeytepe. Proseguriono quindi verso Masaya e Granada, raggiungendo Nicaragua (oggi Rivas). Nel corso del viaggio, non solo incrementarono l'erbario e i disegni, ma realizzarono esperimenti scientifici e collaborarono in vari modi con le autorità locali. In Salvador e in Nicaragua Mociño si interessò della coltivazione dell'indaco, che rivestiva grande importanza economica, alla quale poi avrebbe dedicato un opuscolo. Non conosciamo esattamente l'itinerario successivo, ma le piante dell'erbario di Mociño fanno pensare che scendessero ancora più a sud, penetrando nell'attuale Costa Rica, fino a Cartago, punto più meridionale della spedizione. Da qui intrapresero la strada del ritorno; ma all'inizio del 1798 fecero una lunga tappa in Salvador, per studiare lo sciame sismico che aveva fatto seguito all'eruzione del vulcano Quzaltepec, avvenuta nel febbraio di quell'anno; gli esiti delle sue osservazioni saranno poi pubblicati da Mociño nella Gazeta de Guatemala. Ma intanto il tempo concesso dalla corona per l'esplorazione della Capatanìa era scaduto e alla fine del 1797 Sessé scrisse in tal senso a Longinos, ordinandogli di rientrare con i suoi compagni a Città del Messico. Mentre attendeva i salvacondotti necessari per il viaggio di ritorno, su sollecitazione dei commercianti locali, Mociño trovò ancora il tempo di redigere una memoria sulle potenzialità del commercio tra Messico e Guatemala. Infine, mentre Longinos, malato, si tratteneva ancora in Guatemala, Mociño e de la Cerda si incamminarono alla volta del Messico, muovendosi questa volta più all'interno. Toccata Huehuetenango, a giugno erano in Chapas, dove Mociño venne trattenuto dalle autorità locali, che gli chiesero aiuto prima per fronteggiare un'epidemia (forse di lebbra), poi per valutare la natura e il potenziale economico di alcuni minerali, mentre de la Cerda veniva sollecitato a rientrare a Città del Messico con gli esemplari e i disegni, in vista del ritorno a Madrid che si credeva imminente. Sarebbe arrivato a destinazione nel dicembre 1798; Mociño sarebbe stato di ritorno invece solo a febbraio dell'anno successivo, dopo un'assenza di oltre 4 anni. Portava con sé il manoscritto di una Flora de Guatemala, che tuttavia sarebbe stata pubblicata solo nel 1996. Epilogo: triste, solitario y final Contrariamente alle attese, dovevano ancora passare diversi anni prima che i membri superstiti della spedizione potessero lasciare il Messico, trattenuti dalla guerra e, nel caso di Mociño, anche da un complicato divorzio. Egli trascorse quegli anni sia a riordinare e classificare le collezioni in vista della pubblicazione, sia soprattutto lavorando come medico negli ospedali di Città del Messico, dove fu attivo sperimentatore degli effetti terapeutici delle piante indigene nei laboratori voluti da Sessé presso i principali nosocomi della capitale. Fu solo nel 1803 che Sessé si trasferì a Madrid, portando con sé l'immenso patrimonio delle collezioni naturalistiche e delle migliaia di tavole eseguite da de la Cerda e Echevarría. Mociño lo seguì poco dopo, e Sessé lo ospitò a casa sua. Pur continuando a lavorare con lui (e dopo la sua morte, avvenuta nel 1808, con l'allievo la Llave) alla redazione della Flora della Nuova Spagna e della Flora messicana, proprio come in Sud America, Mociño si lasciò coinvolgere in crescenti impegni medici e scientifici: nel 1804 lo troviamo a fronteggiare un'epidemia di febbre gialla nel sud del paese; divenne poi ispettore sanitario, professore e direttore del Gabinetto di storia naturale (tra i suoi allievi, appunto il botanico messicano Pablo de la Llave), presidente della Real Academia Medica Matritense. Benché fossero istituzioni prettamente scientifiche, bastò perché nel 1812, quando i francesi si ritirarono, fosse coinvolto nella caccia alle streghe contro i "collaborazionisti infranciosati". A settembre fu arrestato e rimase in carcere per circa due mesi; tornato a Madrid, riprese il suo lavoro al Gabinetto di Storia naturale, ma nel 1813, con la definitiva cacciata dei francesi dovette prendere la strada dell'esilio, portando con sé, in condizioni difficilissime, quanto poté salvare di disegni e manoscritti della Flora messicana. Con la salute rovinata per sempre, semicieco, raggiunse infine Montpellier dove strinse amicizia con il grande botanico Augustin Pyramus de Candolle. Disperando di poter rientrare in Spagna e di giungere mai a veder pubblicati i frutti di tanti anni di ricerche, decise di affidare allo svizzero i manoscritti e i meravigliosi disegni di de la Cerda e Echevarría. Nel 1816, quando a sua volta de Candolle cadde in disgrazia e dovette lasciare Montpellier per rientrare a Ginevra, avrebbe voluto restituirli all'amico messicano, ma Mociño rifiutò, convinto di essere troppo vecchio e malato per riuscire a pubblicarli. L'anno dopo, tuttavia, quando finalmente gli fu concesso di rientrare in Spagna, scrisse a de Candolle perché gli restituisse i materiali. Lo svizzero, che aveva già cominciato a lavorare alla Flore du Mexique, ne fu desolato. Gli pesava soprattutto essere privato delle tavole, uno strumento di lavoro insostituibile e di altissima qualità; gli vennero in soccorso le sue amiche, le "dame ginevrine"; in una vera e propria lotta contro il tempo, le signore riuscirono a realizzare le copie di circa 1300 tavole. E' per questo che l'opera di de Candolle, uscita nel 1819, è nota anche con il soprannome "Flore de Dames de Génève". Quanto a Mociño, nel 1818 ritornò in Spagna e visse ancora due anni, cieco, infermo e in grande povertà a Barcellona, dove morì nel 1820. Era stato il primo e il più grande naturalista ispano-americano della sua epoca e aveva pagato cara la sua fede nella scienza e nell'umanità. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Mocinnodaphne ovvero Mociño sugli allori Scopritore di dozzine di specie di animali e piante inediti per la scienza, Mociño ha lasciato il suo nome a specie come Croton mocinoi, Columnea mocinoana, Calceolaria mocinoana. Per volontà dell'amico la Llave, ha dato il nome specifico alla perla dell'avifauna messicana, il quetzal, Pharomachrus mocinno. Più sfortunate invece le vicende tassonomiche dei diversi generi che gli sono stati via via dedicati. Il primo giunse addirittura già nel 1798, da parte di Casimiro Gomez Ortega che battezzò Mozinna (la grafia del cognome del nostro protagonista era assai oscillante) un'Euphorbiacea, pochi decenni dopo confluita in Jatropha. Nel 1816 fu la volta di Mariano Lagasca che denominò Mocinna un genere di Asteraceae, poi confluito in Galinsoga. Lo stesso nome (non valido per la regola della prorità) fu proposto nel 1832 da la Llave per un genere di Caricaceae, oggi Jarilla e nel 1839 da Bentham (è una semplice variante grafica del genere di Ortega). Non più fortunata fu la denominazione Mocinia, proposta nel 1838 da de Candolle (nome non valido perché sinonimo del precedente Stifftia J.C. Mikan). Insomma, già nella seconda metà dell'Ottocento, il più grande dei botanici messicani rischiava di trovarsi senza un genere celebrativo valido. Un'ingiustizia, che per altro condividerebbe con alcuni dei più grandi - i primi che mi vengono in mente sono Ghini e Siebold, ma perché no anche Menzies, recentemente scippato di Menziesia - se non fosse per uno scatto di orgoglio nazionalista del botanico messicano F.G. Lorea-Hernández che nel 1995 nell'ambito della revisione delle Lauraceae messicane ha creato il nuovo genere Mocinnodaphe ("lauro di Mociño"). Bella infatti la dedica di Lorea-Hernández all'illustre predecessore: "Il nuovo genere è dedicato a José Mariano Mociño, illustre botanico messicano, che con impegno e dedizione diede impulso, ormai due secoli fa, all'importante progetto che anche noi perseguiamo: la conoscenza della flora messicana. Questo nome, con un gioco di parole, serva come riconoscimento degli allori che ha sempre meritato". Questo genere monotipico comprende un'unica specie, M. cinnamomoidea, un arbusto o piccolo albero sempreverde che vive come altre Lauraceae messicane nella foresta nebulosa, in una piccola area della Sierra Madre del Sud nello stato di Guerrero. Piccole differenze nelle caratteristiche degli stami lo distinguono da altri generi affini, come Ocotea o Cinnamomum. Differenze dunque minuscole, la cui validità come criterio distintivo è stata messa in discussione da altri studiosi. Ma al momento il genere resiste, almeno finché il destino di sventura che accompagna il grande Mociño non ritornerà a colpire. Qualche approfondimento nella scheda.
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Per Maya e Aztechi, il gioco del pallone era una cosa seria, molto seria: connesso con il mito, la religione e i riti di fertilità, veniva giocato in cortili lastricati annessi ai templi, e la partita terminava con un sacrificio umano (a perdere letteralmente la testa per il pallone era, si presume, il capo della squadra sconfitta). Nel corso dei secoli e da una cultura all'altra, variarono le tipologie e le regole di gioco, la forma e le dimensioni del campo, ma ovunque si giocava con una palla di gomma naturale, ricavata dal lattice di vari alberi, primo fra tutti Castilla elastica. Gli aztechi lo chiamavano olicuàhuitl, "albero della gomma"; nell'assegnargli un nome botanico, il capo della Real Expedicion Botanica Martin de Sessé e il suo collaboratore Vicente Cervantes vollero invece onorare la prima vittima della spedizione, il botanico e farmacista Juan Diego del Castillo. Un pallone... elastico Nel 1493, ad Haiti, Cristoforo Colombo notò un gruppo d'indigeni che giocava "con un pallone che rimbalzava estremamente bene"; quanto a Hernàn Cortés, fu così impressionato dai giocatori di pallone aztechi da portarne alcuni con sè in Spagna, dove diedero spettacolo di fronte a Carlo V. A stupire, oltre all'abilità dei giocatori, erano proprio le stesse palle: quelle che si usavano all'epoca in Europa erano un involucro di cuoio, imbottito con capelli (donde la parola spagnola pelota, da pelo "capello") oppure vesciche vuote e rigonfie; quelle mesoamericane erano tanto elastiche, rimbalzavano tanto bene perché erano di gomma naturale, ricavata da lattice di alcuni alberi. A scoprire e a imparare come sfruttare questa risorsa naturale erano stati gli Olmechi (che ne hanno addirittura ricevuto il nome: in nahuatl, la lingua degli Aztechi, la parola per indicare il caucciù è ulli o olli, da cui Olmeca "popolo del caucciù"). In effetti, le foreste dell'area attorno al golfo del Messico erano ricche di alberi che secernono un lattice elastico, atto a fabbricare la gomma; le più importanti per l'abbondanza della secrezione e la qualità del materiale sono due specie del genere Castilla: in primo luogo C. elastica, distribuita dal Messico al Sud America settentrionale, ma anche, nelle aree più meridionali dove vivevano i Maya, C. tunu. I giochi di palla presso i popoli mesoamericani avevano un significato religioso e rituale. Venivano giocati anche per puro passatempo, ma i campi principali sorgevano presso i templi e le partite facevano parte di complesse cerimonie che si concludevano con un sacrificio umano. Gli alberi della gomma (in nauhatl olicuàhuitl) erano considerati un sacro dono degli dei; sacre erano le stesse palle di gomma, che, magari ornate con una preziosissima piuma del quetzal, l'uccello sacro al dio Quetzalcoatl - egli stesso non di rado raffigurato mentre gioca a palla; e quella palla, evidentemente, è il Sole - erano una comune offerta votiva; è così che nei depositi sacri ne sono stati trovati molti esemplari, presumibilmente modellini di dimensioni inferiori al reale. Qualche anno fa hanno fatto scalpore i risultati di una ricerca di alcuni studiosi del MIT di Boston che, esaminando questi reperti e interpretando i resoconti degli scrittori spagnoli del Cinquecento, sono giunti alla conclusione che non solo gli Olmechi avevano cominciato ad usare il lattice di Castilla elastica per ricavarne la gomma naturale (i reperti più antichi risalgono al 1800 a.C.), ma avrebbero anche scoperto un procedimento che in qualche modo avrebbe anticipato di secoli la vulcanizzazione, unendo al lattice di Castilla il succo di Ipomoea alba, una liana che spesso si arrampica proprio sui fusti di questi alberi. Benché manchino prove definitive, si tratta senza dubbio di un'ipotesi suggestiva. E' certo invece che il palo de hule (questo il nome spagnolo di C. elastica, un calco del nome azteco; hule è anche la parole che in spagnolo designa la gomma naturale o caucciù) era albero ben noto e l'estrazione del lattice continuò ad essere praticata anche nel periodo coloniale, quando era usato per scopi diversi, in particolare per produrre tele cerate; gli erano anche attribuite proprietà medicamentose, e come pianta medicinale, la specie non sfuggì ai primi studiosi della flora messicana, a cominciare da Francisco Hernandez. Tuttavia bisogna attendere la Real Expedición Botánica a Nueva España perché l'albero fosse descritto scientificamente e ricevesse un nome botanico. Per decisione comune del capo della spedizione, Martin de Sessé, e di Vicente Cervantes, professore di botanica presso l'orto botanico di Città del Messico, venne dedicato alla prima vittima della grande spedizione, il botanico e farmacista Juan Diego del Castillo. Una partecipazione intensa pagata con la vita Poche senza dubbio le notizie che ci sono giunte su questo personaggio. E' possibile che quando si aggregò alla spedizione fosse già una vecchia conoscenza di Martin de Sessé, dato che entrambi erano aragonesi del circondario di Jaca. Anche la sua formazione e la sua carriera ricordano quelle del conterraneo (tuttavia più giovane di lui di parecchi anni). Tutte e due, infatti, dopo gli studi in patria, l'uno come medico, l'altro come farmacista, erano entrati al servizio dell'esercito, praticando nell'America coloniale, dove erano divenuti eminenti membri della società scientifica locale. Juan Diego José del Castillo y López, nato presumibilmente a Jaca, aveva studiato prima filosofia, poi farmacia, esercitando la professione dapprima nella città natale e a Almudévar; divenuto farmacista militare, aveva quindi prestato servizio a Cadice, per poi essere trasferito nel 1771 a Porto Rico, dove venne nominato farmacista capo presso dell'Ospedale Reale. Nei quasi vent'anni trascorsi nell'isola, studiò a fondo la flora portoricana e nel 1785 divenne corrispondente estero dell'Orto botanico di Madrid, cui inviò anche numerosi esemplari, conquistando la stima di Casimiro Gomez Ortega. Fu così che nel 1788 quest'ultimo decise di aggregarlo alla Real Expedición Botánica come botanico e farmacista, lodandone le conoscenze botaniche, l'intelligenza e la lunga esperienza di vita ai tropici. Castillo arrivò a Città del Messico nel luglio 1788 e già ad agosto prese parte alla cosiddetta "prima campagna" nella valle del Messico, che si prolungò fino alla fine dell'anno. L'anno successivo, prese parte alla seconda campagna, con meta finale Acapulco; di questo viaggio, Castillo ha lasciato una relazione manoscritta di una ventina di pagine che contiene la descrizione delle piante raccolte, con denominazione linneana, sinonimi, luogo di raccolta, data di fioritura; conservato presso l'Orto botanico di Madrid, fu pubblicato solo nel 1887 in Plantae Novae Hispaniae. Tra il 1790 e il 1792, fu tra i partecipanti della terza lunga e faticosa campagna nel Messico settentrionale; quando il gruppo si divise, insieme a Mociño e Echeverría, percorse le province di Querétaro, Guanajuato, Michoacán, Valladolid e Patzcuaro. Dopo aver attraversato gli attuali stati di Jalisco, San Luis de Potosí e Nayarit, i tre si soffermarono diversi mesi nell'area del Tepic, per poi spostarsi verso Sinaloa, Durango e Sonora. Giunsero fino a Alamos, all'epoca un minuscolo villaggio, sede di una missione quasi abbandonata, al confine tra gli attuali stati di Sinaloa e Sonora. Il viaggio, lungo e faticoso, in mezzo a montagne impervie e deserti, aveva messo a dura prova i tre naturalisti; durante il viaggio di ritorno, mentre attraversavano la Sierra Madre occidentale nella regione di Tarahuamara, Castillo si ammalò. Quando raggiunsero Aguascalientes, il punto di ritrovo con l'altro troncone della spedizione, era ormai prostrato. Fu così che si separò da Mociño e Echeverría, che insieme a Maldonado partirono alla volta di Nootka; egli invece, insieme a Sessé e agli altri, rientrò a Città del Messico, con un viaggio che si faceva sempre più penoso mano a mano che le sue condizioni peggioravano. Neppure in città poté recuperare la salute, morendo il 16 luglio 1793. Nel suo testamento, dimostrò ancora una volta la sua dedizione alla scienza con un lascito testamentario di 4000 pesos per la pubblicazione di Flora mexicana, l'opera collettiva dei botanici e dei disegnatori della spedizione; confermando quell'intelligenza e quella conoscenza del mondo che tanto lo aveva fatto apprezzare da Gomez Ortega, aggiunse però una clausola: se l'opera non fosse stata pubblicata entro sei anni, la somma doveva essere devoluta alla costruzione di un deposito di cereali nella città di Jaca, a vantaggio dei lavoratori poveri. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Castilla, un genere molto elastico La morte dell'amico e compagno colpì profondamente tanto Sessé quanto Cervantes, che avevano inutilmente cercato di curarlo (non giungendo, per altro, neppure alla stessa diagnosi: il primo attribuiva la malattia e la morte allo scorbuto, il secondo a un'ostruzione del piloro); di comune accordo, decisero di dare il suo nome a una pianta importante tra quelle raccolte durante la spedizione; forse proprio per il fascino della sua storia e il suo legame con le civiltà preispaniche, la scelta cadde sul palo de hule. Pochi giorni dopo la morte di Castillo, il 22 giugno 1793 Cervantes inaugurò l'anno accademico con una prolusione dedicata a “El Árbol del Ule”, che ribattezzò Castilla elastica in omaggio all'amico scomparso. Divisa in tre parti, dopo una trattazione delle piante che producono gomma, sulla scorta delle informazioni raccolte da Sessé, esponeva alcuni esperimenti sul lattice e i suoi usi noti, concludendo con un esame delle proprietà medicinali (che, detto per inciso, successivamente non hanno trovato conferma scientifica). L'anno successivo, il discorso venne pubblicato come supplemento della Gazeta de literatura de Mexico, segnando la nascita ufficiale del genere Castilla. Si trattava di una pubblicazione di difficile reperimento, oltretutto scritta in spagnolo; fu così che nel 1805 Charles Koenig del British Museum ne pubblicò una traduzione in inglese; commise però un errore, trascrivendo il nome generico come Castilloa, E come Castilloa fu descritto nell'edizione di Genera Plantarum curata da Endlicher (1837); il nome errato fu in uso per quasi un secolo, finché ne venne riconosciuta l'illegittimità. Il genere Castilla, della famiglia Moraceae, comprende tre specie di alberi di imponenti dimensioni, originari delle foreste pluviali di bassa quota dell'America centrale e meridionale: Sono spesso sorretti da robuste radici a contrafforte; una caratteristica peculiare è poi l'autopotatura dei ramoscelli, che cadono lasciando cicatrici lungo il tronco; secondo alcuni studiosi, si tratterebbe di un meccanismo di autodifesa contro il troppo affettuoso abbraccio dei rampicanti (come appunto Ipomoea alba). C. elastica e C. tunu hanno distribuzione più settentrionale (dal Messico all'Ecuador), mentre C. ulei è più meridionale (dalla Colombia al Brasile). La più importante dal punto di vista economico è C. elastica, che in Messico e in altri paesi dell'area è stata sfruttata a lungo per la produzione della gomma, che oggi permane a livello locale soprattutto per realizzare piccoli oggetti d'artigianato. Introdotta in altri paesi tropicali, in concorrenza con il più noto albero della gomma, Hevea brasiliensis, in alcune zone della Tanzania, come anche nelle isole del Pacifico, è diventata infestante, venendo inclusa nella lista delle specie invasive globali. Qualche approfondimento nella scheda. |
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November 2024
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