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CinchonaCinchona L. C. von Linné, Species Plantarum 1: 172, 1753 In onore di Francisca Henriquez de Rivera, contessa di Chinchon Se ne parla nel post La leggenda della contessa di Chinchon Cinchona è un genere della famiglia delle Rubiaceae che comprende una ventina di specie di alberi e arbusti originari delle foreste "nebulose" d'altura delle Ande amazzoniche, soprattutto in Perù, Bolivia e Ecuador. Sono sempreverdi, con foglie cerose, simili a quelle del caffè, e fiori bianchi, rosa, rossi, raccolti in racemi, con corolla tubolare, impollinati da farfalle e colibrì. La corteccia di alcune specie è ricca di chinino, un alcaloide naturale, con proprietà antimalariche, antipiretiche, antinfiammatorie, che ne ha fatto per quasi tre secoli il principale presidio sanitario contro la malaria.
Oggi largamente soppiantato come antimalarico da prodotti di sintesi (anche se è ancora utilizzato in erboristeria e nella medicina omeopatica e in molti paesi del terzo mondo) trova ancora impiego nell'industria farmaceutica per l'estrazione della chinidina, un alcaloide utilizzato nella cura delle aritmie cardiache. Nell'industria alimentare, è utilizzato per la produzione di liquori (noti come china, elixir china) e per aromatizzare le cosiddette acque toniche. Uno sguardo su...
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Breve storia del genere Cinchona
Gli indios...
Gli studiosi discutono se la malaria fosse presente nelle Americhe prima dell'arrivo degli europei; l'opinione più comune è che la zanzara Anophele, e con essa il temibile morbo, sia giunta nel Nuovo mondo tramite le acque infette delle sentine delle navi. Quanto all'Europa, era endemica in molte zone, dall'agro romano, alle Fiandre, a vaste aree della penisola iberica. I medici la curavano con salassi, emetici e purganti (la medicina del tempo, ancora condizionata alla teoria dei quattro umori, considerava le febbri segno di un eccesso di sangue, oltre che influenzate dagli astri, nella loro periodicità). Nessuno di questi rimedi era efficace e la mortalità era molto alta.
Prima dell'arrivo degli Europei, le piante del genere Cinchona non rientravano nella farmacopea indigena, il che è ben spiegabile se si accetta l'ipotesi che la malaria fosse sconosciuta in America fino al 1500. Tuttavia gli indios ne potrebbero aver notato le proprietà antisettiche e febbrifughe; nella letteratura i primi cenni alle sue proprietà - ma ancora senza alcun riferimento alla malaria - si trovano nella Historia medicinal di Monardes (1574). Bisogna attendere però gli anni '30 del secolo successivo perché compaiono le prime notizie del suo uso nel trattamento delle febbri malariche; la prima notizia certa risale al monaco agostiniano Antonio de Calancha che intorno al 1630 parla dei suoi effetti miracolosi a Lima. Qualche anno più tardi il gesuita Bernabé Cobo (1653) testimonia come la cura a base di corteccia di Cinchona fosse ormai diffusa e si fosse affermata non solo in America, ma anche in Europa. Nessuna di queste fonti parla della viceregina, la contessa di Chinchon, come prima paziente guarita dalla magica polvere, dimostrando, insieme ad altre prove, il carattere leggendario della storia che lega la nobildonna alla scoperta e alla diffusione del nuovo rimedio.
... e i gesuiti
I maggiori promotori di quella diffusione erano stati invece i gesuiti, primo fra tutti il cardinale Juan de Lugo. Negli anni '60, istruzioni sull'uso della corteccia "peruviana" vennero inclusi nel prontuario farmaceutico ufficiale dello Stato della Chiesa, la Schedula Romana. Da Roma, i delegati gesuiti che presero parte ai concili generali dell'ordine (tenutisi nel 1646, 1650 e 1652) riportarono il medicinale con sé nei diversi paesi europei, cominciando a diffonderlo nelle farmacie e negli ospedali gestiti dalla Compagnia di Gesù. Grazie alla loro presenza in Sud America, i gesuiti potevano con maggiore facilità procurarsi la corteccia giusta e assicurarne l'uso corretto nelle farmacie annesse alle missioni; in tal modo, la china raggiunse anche altri paesi, tra cui la corte di Pechino.
L'identificazione tra Cinchona e gesuiti era così forte che la medicina era nota come "polvere dei gesuiti", un legame che ne rallentò l'adozione nei paesi protestanti. Altri fattori alimentavano le diffidenze: applicata a febbri non malariche, la medicina era inefficace; molto spesso, alla corteccia del vero albero della china venivano fraudolentemente mescolate cortecce di specie meno efficaci, o anche di altri alberi; il lungo viaggio poteva danneggiare il prodotto, peggiorandone il rendimento o rendendolo inutilizzabile. Ma soprattutto, i medici, che consideravano le febbri un eccesso di umore da "rinfrescare", erano restii ad usare come cura una tisana calda e amara, anziché un emetico, un purgante o un salasso.
Diffidenze e teste coronate
Le resistenze furono in gran parte vinte quando la cura fu applicata a pazienti illustri. Un ruolo importante lo giocò Robert Talbot. Era un semplice farmacista, che a suo dire aveva messo a punto una formula segreta capace di curare in modo efficace le febbri malariche. Si trattava essenzialmente di un vino medicinale a base di corteccia di Cinchona e oppio, ma, vista l'ostilità del pubblico inglese, nel suo Pyretologia, A rational Account of the Cause and Cure of Agues (1672), egli astutamente evitò ogni accenno alla temuta "polvere dei gesuiti", anzi ne denunciò l'inefficacia e la pericolosità. Il successo del suo farmaco lo arricchì rapidamente e ne assicurò il prestigio, tanto che prima fu nominato medico del re, poi fu fatto cavaliere. Quando il delfino di Francia si ammalò, il re d'Inghilterra Carlo II inviò Talbot in Francia; fu l'inizio di una prestigiosa carriera europea che lo portò a curare la regina di Spagna e centinaia di membri delle famiglie reali e dell'aristocrazia, tra cui gli stessi Carlo II e Luigi XIV. Alla sua morte, portò però con sé il segreto della formula, che venne tuttavia rivelata nel 1712 da Francesco Torti, professore di medicina di Modena, che svelò che si trattava essenzialmente di una forte infusione della "polvere dei gesuiti". Da quel momento le resistenze caddero, e le proprietà antimalariche della corteccia di Cinchona furono universalmente riconosciute.
Gli studiosi discutono se la malaria fosse presente nelle Americhe prima dell'arrivo degli europei; l'opinione più comune è che la zanzara Anophele, e con essa il temibile morbo, sia giunta nel Nuovo mondo tramite le acque infette delle sentine delle navi. Quanto all'Europa, era endemica in molte zone, dall'agro romano, alle Fiandre, a vaste aree della penisola iberica. I medici la curavano con salassi, emetici e purganti (la medicina del tempo, ancora condizionata alla teoria dei quattro umori, considerava le febbri segno di un eccesso di sangue, oltre che influenzate dagli astri, nella loro periodicità). Nessuno di questi rimedi era efficace e la mortalità era molto alta.
Prima dell'arrivo degli Europei, le piante del genere Cinchona non rientravano nella farmacopea indigena, il che è ben spiegabile se si accetta l'ipotesi che la malaria fosse sconosciuta in America fino al 1500. Tuttavia gli indios ne potrebbero aver notato le proprietà antisettiche e febbrifughe; nella letteratura i primi cenni alle sue proprietà - ma ancora senza alcun riferimento alla malaria - si trovano nella Historia medicinal di Monardes (1574). Bisogna attendere però gli anni '30 del secolo successivo perché compaiono le prime notizie del suo uso nel trattamento delle febbri malariche; la prima notizia certa risale al monaco agostiniano Antonio de Calancha che intorno al 1630 parla dei suoi effetti miracolosi a Lima. Qualche anno più tardi il gesuita Bernabé Cobo (1653) testimonia come la cura a base di corteccia di Cinchona fosse ormai diffusa e si fosse affermata non solo in America, ma anche in Europa. Nessuna di queste fonti parla della viceregina, la contessa di Chinchon, come prima paziente guarita dalla magica polvere, dimostrando, insieme ad altre prove, il carattere leggendario della storia che lega la nobildonna alla scoperta e alla diffusione del nuovo rimedio.
... e i gesuiti
I maggiori promotori di quella diffusione erano stati invece i gesuiti, primo fra tutti il cardinale Juan de Lugo. Negli anni '60, istruzioni sull'uso della corteccia "peruviana" vennero inclusi nel prontuario farmaceutico ufficiale dello Stato della Chiesa, la Schedula Romana. Da Roma, i delegati gesuiti che presero parte ai concili generali dell'ordine (tenutisi nel 1646, 1650 e 1652) riportarono il medicinale con sé nei diversi paesi europei, cominciando a diffonderlo nelle farmacie e negli ospedali gestiti dalla Compagnia di Gesù. Grazie alla loro presenza in Sud America, i gesuiti potevano con maggiore facilità procurarsi la corteccia giusta e assicurarne l'uso corretto nelle farmacie annesse alle missioni; in tal modo, la china raggiunse anche altri paesi, tra cui la corte di Pechino.
L'identificazione tra Cinchona e gesuiti era così forte che la medicina era nota come "polvere dei gesuiti", un legame che ne rallentò l'adozione nei paesi protestanti. Altri fattori alimentavano le diffidenze: applicata a febbri non malariche, la medicina era inefficace; molto spesso, alla corteccia del vero albero della china venivano fraudolentemente mescolate cortecce di specie meno efficaci, o anche di altri alberi; il lungo viaggio poteva danneggiare il prodotto, peggiorandone il rendimento o rendendolo inutilizzabile. Ma soprattutto, i medici, che consideravano le febbri un eccesso di umore da "rinfrescare", erano restii ad usare come cura una tisana calda e amara, anziché un emetico, un purgante o un salasso.
Diffidenze e teste coronate
Le resistenze furono in gran parte vinte quando la cura fu applicata a pazienti illustri. Un ruolo importante lo giocò Robert Talbot. Era un semplice farmacista, che a suo dire aveva messo a punto una formula segreta capace di curare in modo efficace le febbri malariche. Si trattava essenzialmente di un vino medicinale a base di corteccia di Cinchona e oppio, ma, vista l'ostilità del pubblico inglese, nel suo Pyretologia, A rational Account of the Cause and Cure of Agues (1672), egli astutamente evitò ogni accenno alla temuta "polvere dei gesuiti", anzi ne denunciò l'inefficacia e la pericolosità. Il successo del suo farmaco lo arricchì rapidamente e ne assicurò il prestigio, tanto che prima fu nominato medico del re, poi fu fatto cavaliere. Quando il delfino di Francia si ammalò, il re d'Inghilterra Carlo II inviò Talbot in Francia; fu l'inizio di una prestigiosa carriera europea che lo portò a curare la regina di Spagna e centinaia di membri delle famiglie reali e dell'aristocrazia, tra cui gli stessi Carlo II e Luigi XIV. Alla sua morte, portò però con sé il segreto della formula, che venne tuttavia rivelata nel 1712 da Francesco Torti, professore di medicina di Modena, che svelò che si trattava essenzialmente di una forte infusione della "polvere dei gesuiti". Da quel momento le resistenze caddero, e le proprietà antimalariche della corteccia di Cinchona furono universalmente riconosciute.
Descrizione scientifica e colonialismo
I gesuiti prima, la corona spagnola poi, mantennero segreta l'origine della miracolosa corteccia. Nel 1704 Fagon, il medico del Re Sole, decise di inviare Charles Plumier in Perù perché ne ricercasse e ne studiasse le piante in natura; ma il frate morì a Cadice, prima ancora di imbarcarsi per il Sud America. La prima spedizione europea a esplorare le zone di origine fu la missione geodetica franco-iberica, il cui membro più noto è l'esploratore francese Charles de la Condamine; nel 1737 ne vide alcuni esemplari e ne diede la prima descrizione. Deciso a importare la pianta in Europa, alla sua partenza ne raccolse alcuni esemplari e molti semi; con un viaggio epico attraverso l'Amazzonia, riuscì a trasportarli fino alla costa e a produrre molti semenzali che imbarcò su una nave diretta in Francia; durante il viaggio in mare, tuttavia, morirono tutti. Furono tuttavia la sua descrizione e i suoi esemplari essiccati a permettere nel 1741 a Linneo di descrivere e pubblicare il genere Cinchona (dedicato alla mitica contessa di Chinchon).
La corona spagnola mantenne rigorosamente il monopolio della miracolosa corteccia, mentre la richiesta cresceva, stimolata anche dall'espansione coloniale. La disponibilità di corteccia di china era essenziale per paesi come la Gran Bretagna per proteggere dalla malaria i propri soldati e i propri funzionari. Però soltanto nella seconda metà dell'Ottocento l'instabilità politica del Sud America rese possibile l'esportazione in grande stile della preziosa pianta. Le potenze più interessate erano la Gran Bretagna e l'Olanda, entrambe con una forte presenza coloniale in zone malariche (l'India per la prima, l'Indonesia per la seconda). Nel 1839, William Dawson Hooker, figlio del grande botanico William Jackson Hooker, dedicò la sua tesi alla Cinchona, attirando l'attenzione anche ai metodi di raccolta tradizionali, che rischiavano di indebolire le piante e portarle alla morte. Nel 1860, Clements Robert Markham su incarico del governo inglese organizzò una spedizione alla ricerca di piante di Cinchona, presentata come un "salvataggio", mentre i realtà si trattava dell'equivalente di un furto in grande stile. Grazie ai suoi sforzi, e soprattutto alla dedizione del cacciatore di piante Richard Spruce, migliaia di plantule di Cinchona furono esportate in modo più o meno clandestino dalla Bolivia e trasferite in India, dove vennero impiantate grandi piantagioni. Si scoprì poi, con delusione, che si trattava di una specie a basso contenuto di chinino, C. pubescens (= C. succirubra), una varietà robusta e adattabile che poté essere impiantata con successo, ma di scarsa resa.
Il monopolio olandese
Nonostante il parlamento boliviano avesse imposto il divieto di esportazione delle preziose piante, nel 1865 Charles Ledger, un inglese che viveva in Perù, ottenne una notevole quantità di semi da un fedele servitore (che fu imprigionato per questo) e li vendette agli Olandesi. La varietà in questione era questa volta la migliore in assoluto, quella con la più alta concentrazione di chinino, C. calsaya var. ledgeriana. I semi germinarono bene, ma i semenzali attecchirono con difficoltà rivelandosi particolarmente sensibili agli attacchi fungini. A salvare la nascente industria olandese del chinino fu l'idea di innestare la delicata C. ledgeriana sulla robusta C. pubescens: in questo modo le piantagioni olandesi di Giava soppiantarono ben presto la produzione sudamericana, giungendo a coprire nell'arco di pochi anni l'80% del mercato mondiale. Un effetto positivo fu il crollo del prezzo del chinino, che divenne accessibile anche ai più poveri.
Mentre gli scienziati scoprivano il legame tra malaria e zanzara Anophele, e si intraprendevano azioni di bonifica delle zone paludose, l'uso del chinino per la prevenzione e la cura del paludismo era supportato da filantropi illuminati e dagli stessi governi. Ad esempio in Italia (dove la malaria infestava vaste zone, dall'agro romano al Polesine alla Maremma alle isole), alcuni industriali, come Anselmo Fortunato (fratello del meridionalista Giustino), distribuivano il chinino ai propri lavoratori; nel 1895 venne approvata una legge sul chinino, che istituì il Monopolio di Stato e la distribuzione capillare del chinino in tutto il paese. In tal modo la mortalità da malaria si ridusse notevolmente, passando da circa 16000 morti nel 1865 a 7832 decessi nel 1905. D'altro canto, la disponibilità di chinino fu uno degli strumenti della penetrazione imperialistica europea in Africa e in Asia. Il monopolio olandese durò fino alla Seconda guerra mondiale e terminò in modo drammatico. Nel maggio 1940, occupando Amsterdam, i tedeschi si impadronirono delle riserve di chinino olandesi; nel 1942 i Giapponesi occuparono le piantagioni olandesi in Indonesia e a Giava. Prima che i Giapponesi riuscissero a occupare anche le Filippine, gli Americani organizzarono il salvataggio di migliaia di semi di C. pubescens, che vennero fatti germinare nel Maryland e trapiantati in Costa Rica e altri paesi centro e sudamericani. Inoltre la situazione drammatica, che rischiava di lasciare gli alleati privi del prezioso chinino, essenziale soprattutto per i soldati che combattevano nel Pacifico, stimolò la ricerca di farmaci di sintesi che aveva già ottenuto qualche risultato fin dall'Ottocento, ma si era sviluppata a rilento. Si giunse così al perfezionamento della clorochina, che da allora ha di fatto largamente soppiantato come antimalarico il chinino (che tuttavia è ancora oggi usato in molte parti del mondo dove è più difficile l'accesso ai più costosi farmaci di sintesi).
I gesuiti prima, la corona spagnola poi, mantennero segreta l'origine della miracolosa corteccia. Nel 1704 Fagon, il medico del Re Sole, decise di inviare Charles Plumier in Perù perché ne ricercasse e ne studiasse le piante in natura; ma il frate morì a Cadice, prima ancora di imbarcarsi per il Sud America. La prima spedizione europea a esplorare le zone di origine fu la missione geodetica franco-iberica, il cui membro più noto è l'esploratore francese Charles de la Condamine; nel 1737 ne vide alcuni esemplari e ne diede la prima descrizione. Deciso a importare la pianta in Europa, alla sua partenza ne raccolse alcuni esemplari e molti semi; con un viaggio epico attraverso l'Amazzonia, riuscì a trasportarli fino alla costa e a produrre molti semenzali che imbarcò su una nave diretta in Francia; durante il viaggio in mare, tuttavia, morirono tutti. Furono tuttavia la sua descrizione e i suoi esemplari essiccati a permettere nel 1741 a Linneo di descrivere e pubblicare il genere Cinchona (dedicato alla mitica contessa di Chinchon).
La corona spagnola mantenne rigorosamente il monopolio della miracolosa corteccia, mentre la richiesta cresceva, stimolata anche dall'espansione coloniale. La disponibilità di corteccia di china era essenziale per paesi come la Gran Bretagna per proteggere dalla malaria i propri soldati e i propri funzionari. Però soltanto nella seconda metà dell'Ottocento l'instabilità politica del Sud America rese possibile l'esportazione in grande stile della preziosa pianta. Le potenze più interessate erano la Gran Bretagna e l'Olanda, entrambe con una forte presenza coloniale in zone malariche (l'India per la prima, l'Indonesia per la seconda). Nel 1839, William Dawson Hooker, figlio del grande botanico William Jackson Hooker, dedicò la sua tesi alla Cinchona, attirando l'attenzione anche ai metodi di raccolta tradizionali, che rischiavano di indebolire le piante e portarle alla morte. Nel 1860, Clements Robert Markham su incarico del governo inglese organizzò una spedizione alla ricerca di piante di Cinchona, presentata come un "salvataggio", mentre i realtà si trattava dell'equivalente di un furto in grande stile. Grazie ai suoi sforzi, e soprattutto alla dedizione del cacciatore di piante Richard Spruce, migliaia di plantule di Cinchona furono esportate in modo più o meno clandestino dalla Bolivia e trasferite in India, dove vennero impiantate grandi piantagioni. Si scoprì poi, con delusione, che si trattava di una specie a basso contenuto di chinino, C. pubescens (= C. succirubra), una varietà robusta e adattabile che poté essere impiantata con successo, ma di scarsa resa.
Il monopolio olandese
Nonostante il parlamento boliviano avesse imposto il divieto di esportazione delle preziose piante, nel 1865 Charles Ledger, un inglese che viveva in Perù, ottenne una notevole quantità di semi da un fedele servitore (che fu imprigionato per questo) e li vendette agli Olandesi. La varietà in questione era questa volta la migliore in assoluto, quella con la più alta concentrazione di chinino, C. calsaya var. ledgeriana. I semi germinarono bene, ma i semenzali attecchirono con difficoltà rivelandosi particolarmente sensibili agli attacchi fungini. A salvare la nascente industria olandese del chinino fu l'idea di innestare la delicata C. ledgeriana sulla robusta C. pubescens: in questo modo le piantagioni olandesi di Giava soppiantarono ben presto la produzione sudamericana, giungendo a coprire nell'arco di pochi anni l'80% del mercato mondiale. Un effetto positivo fu il crollo del prezzo del chinino, che divenne accessibile anche ai più poveri.
Mentre gli scienziati scoprivano il legame tra malaria e zanzara Anophele, e si intraprendevano azioni di bonifica delle zone paludose, l'uso del chinino per la prevenzione e la cura del paludismo era supportato da filantropi illuminati e dagli stessi governi. Ad esempio in Italia (dove la malaria infestava vaste zone, dall'agro romano al Polesine alla Maremma alle isole), alcuni industriali, come Anselmo Fortunato (fratello del meridionalista Giustino), distribuivano il chinino ai propri lavoratori; nel 1895 venne approvata una legge sul chinino, che istituì il Monopolio di Stato e la distribuzione capillare del chinino in tutto il paese. In tal modo la mortalità da malaria si ridusse notevolmente, passando da circa 16000 morti nel 1865 a 7832 decessi nel 1905. D'altro canto, la disponibilità di chinino fu uno degli strumenti della penetrazione imperialistica europea in Africa e in Asia. Il monopolio olandese durò fino alla Seconda guerra mondiale e terminò in modo drammatico. Nel maggio 1940, occupando Amsterdam, i tedeschi si impadronirono delle riserve di chinino olandesi; nel 1942 i Giapponesi occuparono le piantagioni olandesi in Indonesia e a Giava. Prima che i Giapponesi riuscissero a occupare anche le Filippine, gli Americani organizzarono il salvataggio di migliaia di semi di C. pubescens, che vennero fatti germinare nel Maryland e trapiantati in Costa Rica e altri paesi centro e sudamericani. Inoltre la situazione drammatica, che rischiava di lasciare gli alleati privi del prezioso chinino, essenziale soprattutto per i soldati che combattevano nel Pacifico, stimolò la ricerca di farmaci di sintesi che aveva già ottenuto qualche risultato fin dall'Ottocento, ma si era sviluppata a rilento. Si giunse così al perfezionamento della clorochina, che da allora ha di fatto largamente soppiantato come antimalarico il chinino (che tuttavia è ancora oggi usato in molte parti del mondo dove è più difficile l'accesso ai più costosi farmaci di sintesi).