Gian Vincenzo PinelliGian Vincenzo Pinelli (1535-1601) nacque a Napoli da una facoltosa famiglia di origine genovese; il padre, Cosmo, un ricco mercante, si era infatti trasferito nella città partenopea per meglio curare i suoi affari. Nato insieme a una sorella gemella, fin da bambino fu di salute cagionevole, aggravata da un incidente a un occhio. Il padre, che lo destinava alla carriera ecclesiastica, lo affidò a prestigiosi maestri; per le lettere latine e greche l'umanista napoletano Gian Paolo Vernaglione, per la musica Filippo de Monte, per la medicina e la botanica Bartolomeo Maranta. Frutto della sua passione per le piante, fu la costruzione di un giardino dei semplici, importante nella storia della botanica napoletana, come si è visto nel post. Nel 1558, dopo un iniziale rifiuto, riuscì ad ottenere l'assenso del padre a proseguire gli studi di diritto all'Università di Padova. Da quel momento, si sarebbe stabilito a Padova, senza più tornare a Napoli se non per brevi soggiorni. Non conseguì la laurea, ma proseguì i suoi studi in molte materie diverse in modo autonomo.
Ben presto circondato da grande fama di erudito, strinse rapporti di amicizia con altri studiosi, mentre la sua casa divenne punto di incontro dei maggiori intellettuali della città e meta obbligata degli studiosi forestieri. Tra i suoi amici e i suoi ospiti si annoverano Justus Lipsius, Girolamo Mercuriale, Sperone Speroni, Melchiorre Guilandino, Nicolas-Claude de Peiresc, Torquato Tasso, Giovanni Botero, Roberto Bellarmino e Federico Borromeo. Il più famoso di tutti è Galileo Galilei che visse a casa sua all'inizio del soggiorno padovano e poté giovarsi della sua biblioteca (che comprendeva anche libri di matematica e fisica, in particolare di ottica). Coltissimo e versato in molti campi, Pinelli non pubblicò mai nulla, anche se lesse, studiò, annotò fittamente volumi e manoscritti. Convogliò tutte le sue energie nel favorire gli scambi tra i suoi dotti amici e nel trasformare la sua stessa casa in un ambiente concepito per la ricerca. Gli strumenti principali da lui creati furono in primo luogo la ricchissima biblioteca (che arrivò a comprendere 10000 tra volumi a stampa e manoscritti), quindi una serie di raccolte, non concepite come mere curiosità, ma come oggetti di studio, che comprendevano fossili e minerali, carte geografiche e globi, strumenti astronomici, ottici e geometrici, monete antiche, ritratti di personaggi illustri. Come già nella sua giovinezza a Napoli, anche a Padova creò anche un giardino ricco di piante rare e una raccolta di semi. A tale scopo, fu in contatto con i principali botanici del tempo, italiani e stranieri; anzi, divenne un importante intermediario tra di essi, tanto che la sua casa divenne uno dei principali nodi della fitta rete di studiosi che faceva viaggiare per tutta Europa lettere, informazioni, libri, pacchi di semi, piante vive e essiccate. Insieme alla biblioteca, il suo maggiore contributo alla cultura europea consiste proprio nell'aver posto le basi di una duratura rete di relazioni tra intellettuali di molti paesi, che permise di far circolare le conoscenze in modo libero dai condizionamenti della censura, al di fuori di ogni istituzione formale. Va sottolineato che per Pinelli (ma in generale, per gli intellettuali del tardo Rinascimento) non esistevano "due culture"; la cultura umanistica e la ricerca scientifica nella sua biblioteca e nelle sue raccolte si integravano alla pari. La sua casa era uno spazio libero, in cui i suoi ospiti - di levatura internazionale, introdotti da una presentazione autorevole e dotati della necessaria discrezione - potevano anche accedere a testi censurati o proibiti, grazie all'appoggio e alla benevolenza di importanti esponenti della controriforma (come Bellarmino e Borromeo). A partire dal 1572, Pinelli strinse un sodalizio umano e intellettuale con il giovane medico Paolo Aicardi, che nel 1573 si stabilì nella sua casa padovana e vi visse fino alla morte (avvenuta nel 1597); le sue raccolte confluirono in quelle pinelliane. A partire dal 1599, accolse il giovane erudito francese Nicola-Claude Fabri de Peiresc, che visse presso di lui fino alla morte di Pinelli avvenuta nel 1601. E' grazie alla testimonianza di Peiresc che sappiamo che la biblioteca di Pinelli comprendeva oltre 700 manoscritti e circa 10000 volumi, di cui 8440 a stampa, il 60% provenienti dall'estero. Con criteri che anticipano la moderna biblioteconomia, erano collocati in 21 armadi suddivisi in sezioni in base al soggetto o all'autore, con un'ulteriore suddivisione per lingua. La consultazione dei manoscritti era facilitata da otto cataloghi. Era una biblioteca di tipo universale, ma con fondi più consistenti di teologia, filosofia, genealogia, politica e diplomatica, scritture della Repubblica di Venezia, matematica, geometria, testi dei professori padovani. Pinelli aveva destinato la sua biblioteca all'amico Paolo Aicardi, ma, poiché questi morì prima di lui, la lasciò al nipote Cosmo Pinelli, duca di Acerenza e marchese di Galatina. Dopo la sua morte, la biblioteca e le collezioni furono imballate in 130 casse e nel 1602 a bordo di tre navi partirono per il porto di Fortore in Puglia, da dove avrebbero proseguito via terra per Napoli. A largo di Ancona il convoglio fu assalito dai pirati che si impadronirono di una delle navi; seguì anche un naufragio, con la perdita di circa 2000 volumi. In seguito alla morte improvvisa di Cosmo Pinelli, avvenuta quello stesso anno, la biblioteca passò al figlio minorenne Giovanni Francesco; dopo alcuni anni di abbandono (che provocarono ulteriori perdite), nel 1608 venne venduta all'asta e fu acquistata dal cardinal Borromeo, entrando a far parte della Biblioteca Ambrosiana. |
Fonti
Pinelli, Gian Vincenzo, http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-vincenzo-pinelli_(Dizionario-Biografico)/
Pinelli, Gian Vincenzo, http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-vincenzo-pinelli_(Dizionario-Biografico)/