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CamelliaCamellia L. C. von Linné, Species Plantarum 2: 698, 1753 Camellia è un genere della famiglia delle Theaceae che, secondo le stime più recenti, comprende 200-260 specie di arbusti o piccoli alberi originari dell'Asia sud-orientale, dall'Himalaya orientale al Giappone e all'Indonesia, con maggior centro di biodiversità in Cina, dove vive il 90 % delle specie, in particolare nella regione meridionale a cavallo del Tropico del Cancro. La distribuzione è quindi essenzialmente tropicale o temperato-calda, mentre solo poche specie più settentrionali sono più resistenti al freddo. Tra di esse, proprio la prima ad essere introdotta in Europa, e la più importante nei nostri giardini, Camellia japonica.
Sono piante sempreverdi, con foglie semplici, alternate, con margini lisci o crenati, solitamente di consistenza coriacea, lucide, e coperte da una patina cerosa. I fiori, più o meno vistosi a secondo della specie, solitari, attinomorfi (ovvero con simmetria raggiata) hanno da 5 a 9 petali, con un denso ciuffo di stami giallo brillante che contrasta con il colore dei petali (bianco, rosa, rosso); un piccolo gruppo di specie, originarie del Sud della Cina e del Nord Vietnam, ha fiori gialli. Il frutto è una capsula, spesso suddiviso in più carpelli (fino a 5). Molte specie di Camellia sono piante acidofile e richiedono un alto tasso di umidità. Tra le numerosissime specie del genere, solo poche sono largamente coltivate, come piante industriali o ornamentali:
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Il tè alla conquista dell'Asia e dell'Europa
Nella storia del tè, si intrecciano fatti reali e leggende, fin da quella delle sue origini. I cinesi ne attribuiscono la scoperta al mitico imperatore Shen Nung, vissuto cinquemila anni fa; nel 2737 a.C. avrebbe scoperto per caso le proprietà del tè, quando alcune foglie secche di un cespuglio caddero casualmente in un calderone dove stava bollendo dell'acqua. Che qualcosa di vero ci sia, lo dicono gli archeologi, che nelle montagne Tianluo hanno rinvenuto le radici di piante del genere Camellia, residuo di un'antichissima piantagione. I primi riferimenti scritti certi risalgono però a un'epoca ben più recente (III secolo d.C.). Grazie al contenuto di caffeina e teina, che mantengono la mente sveglia e attiva, il tè fa adottato come bevanda rituale dai monaci buddisti; e all'ambiente buddista è legata la sua diffusione - di nuovo storia e leggenda si mescolano - in India (per opera del monaco buddista Bodhidharma, nel VI sec. d.C.) e in Giappone (sempre grazie ai monaci: Saicho, detto anche Dengyo Dashi, nell'805 d.C. l'avrebbe portato con sé dalla Cina, iniziandone la coltivazione sul monte Hiei; Eisai, uno dei fondatori del buddismo zen, nel 1191 d.C. avrebbe portato dalla Cina i semi della pianta e la nuova tecnica del consumo del tè in polvere). Per quanto riguarda l'Occidente, il primi a parlarne sono G. B. Ramusio (1559) e il gesuita portoghese Jasper de Cruz (1560). In effetti furono presumibilmente i Portoghesi, che fin dal 1557 avevano aperto una base commerciale a Macao, i primi a importarlo in Europa, anche se il primo carico documentato approdò a Amsterdam all'inizio del Seicento, grazie alla Compagnia olandese delle Indie Orientali. Da quel momento, l'uso della nuova bevanda incominciò a diffondersi irresistibilmente in Europa. A lanciarne la moda in Inghilterra, fino a trasformarla in bevanda nazionale, sembra sia stata la regina Caterina di Braganza, figlia del re di Portogallo e sposa di Carlo II, che ne impose il consumo prima a corte e poi nell'alta società; da quel momento si diffuse in tutte le classi sociali, tanto che nel 1717 T. Twinings aprirà a Londra il primo negozio dedicato esclusivamente alla vendita del tè. La sua diffusione fu anche dovuta al fatto che le condizioni igieniche erano tali che non si poteva bere l'acqua senza farla bollire e il tè divenne un'ottima alternativa all'insipida acqua bollita o alle bevande alcooliche (soprattutto birra) che prima prevalevano tra i consumatori britannici. Secondo alcune stime, nella Gran Bretagna di oggi se ne bevano 165 milioni di tazze al giorno (quasi tre tazze a persona, compresi i neonati!). Dalla conoscenza scientifica alle piantagioni Ovviamente anche i botanici incominciarono a interessarsi alla pianta da cui si ricava questa bevanda di successo; la prima monografia gli fu dedicata proprio da Wilhelm ten Rhijn, il corrispondente di Kamel, un medico olandese che tra il 1674 e il 1676 aveva lavorato come medico della Compagnia Olandese delle Indie orientali nell'isola artificiale di Deshima nella baia di Nagasaki (l'unico luogo in cui gli occidentali, anzi esclusivamente gli olandesi, potevano soggiornare per commerciare con il Giappone). Qualche anno più tardi, la pianta del tè fu descritta dettagliatamente da Engelbert Kaempfer nel terzo fascicolo di Amoenitates Exoticae, 1712; fu sulla base della sua descrizione che Linneo, prima in Hortus Cliffortianus, quindi in Species Plantarum, stabilì il genere Thea, battezzando la pianta Thea chinensis. Tanto Kaempfer (che pure aveva visto entrambe le piante dal vivo) quanto Linneo non colsero la parentela tra la pianta del tè e la camelia ornamentale (battezzata da Linneo Camellia japonica, come si è visto nel post). Mano a mano che il consumo del tè si faceva popolare, crescevano i tentativi degli europei di importarne la pianta o i semi, per rompere il monopolio cinese, che tanto incominciava a pesare sulla bilancia dei pagamenti dei paesi europei. Gli astuti cinesi stornarono il tentativo rifilando agli occidentali camelie ornamentali (che in tal modo arrivarono in Europa prima della desiderata consorella). Sembra che il primo occidentale a importare una pianta di tè sia stato un tale capitano Geoff, direttore della Compagnia inglese delle Indie, che nel 1740 ne portò in dono alla moglie un esemplare che tuttavia morì ben presto. Linneo desiderava spasmodicamente averne una pianta e chiese ripetutamente di procurargliela agli "apostoli" che inviava in Cina; ma nessuno di loro poté accontentarlo: qualcuno perché morì prima di fare ritorno, altri perché a morire furono le piante che si erano procurati. La storia più buffa capitò a Pehr Osbeck: quando la nave che doveva riportarlo in Svezia partì dalla Cina, l'entusiasmo di tutti fu così grande che, mentre i cannoni sparavano a salve, saltando di gioia sul ponte fecero finire in mare la pianta di tè destinata al caro maestro. Finalmente fu C. G. Eckberg che nel 1763 riuscì a fare giungere alcune piante vive a Linneo che, stranamente, si illudeva di creare piantagioni di tè nella fredda Svezia; pochi inverni svedesi bastarono per disilluderlo. Più realisticamente, gli inglesi pensarono invece di importare la pianta in qualcuna delle loro colonie dal clima più propizio. Il primo tentativo venne fatto in Bengala, ma le piante non sopravvissero. Nel 1823, nelle colline dell'Assam, venne scoperta la varietà locale Camellia sinensis var. assamica, ma il suo peculiare gusto maltato - oggi apprezzatissimo dagli intenditori - non piacque. A riuscire nell'impresa di importare piante vive di Camellia sinensis in India fu il notissimo cacciatore di piante Robert Fortune. Egli aveva già erborizzato in precedenza in Cina, aveva appreso la lingua, si vestiva come un cinese e quindi fu il primo botanico occidentale a esplorare aree vietate agli europei. Poté inoltre approfittare dei prodromi della rivolta dei Taiping, che allentavano la sorveglianza. Nel 1848 riuscì così a procurarsi molte piante, moltissimi semi e convinse tre giardinieri cinesi ad accompagnarlo in India; la maggior parte delle piante morirono, ma i giardinieri cinesi riuscirono a mettere le basi della coltivazione del tè in India (oggi il maggior produttore mondiale). In Italia sembra che la prima pianta di tè sia stata coltivata nell'Orto botanico di Padova verso la fine dell'Ottocento. Negli anni '30 del Novecento - in piena autarchia fascista - il botanico Gino Pollacci creò una varietà che chiamò Camellia thea ticinensis, capace di superare i rigori invernali dell'Italia settentrionale, e ne tentò la coltivazione su larga scala; il gusto non fu apprezzato dai consumatori e il tentativo di creare un tè "italiano" fallì. Sorte migliore sembra invece arridere al più recente esperimento di coltivazione di Camellia sinensis, intrapreso a partire dagli anni '80 a Capannori nei pressi di Lucca (nel cuore di una delle aree italiane più note per la coltivazione delle camelie ornamentali) da Guido Cattolico. Si tratta di una piccola piantagione sperimentale di circa 800 piante, che assicura una piccola produzione di qualità. |
Alla ricerca delle più antiche camelie d'Europa
Come si è visto nel box precedente, le prime camelie ornamentali giunsero in Europa "per sbaglio", al posto della ricercata pianta del tè. Presumibilmente i primi esemplari arrivarono in Portogallo; non abbiamo alcuna documentazione diretta, ma fin dal XVI secolo le raffigurazioni di camelie incominciano a moltiplicarsi nelle arti decorative portoghesi (stoffe, maioliche, incisioni, ecc.). Si deve sempre a Kaempfer la prima descrizione scientifica di una camelia ornamentale, C. japonica, e anche l'equivoco del nome specifico japonica: la specie è di origine cinese, ma da secoli era coltivata in Giappone, dove il medico tedesco la conobbe. La prima fioritura documentata di una camelia avvenne però in Inghilterra: nel 1739 due piante di Camellia japonica di colore rosso fiorirono nelle serre di Thorndon Hall, appartenenti al ricco botanofilo Robert James, lord Petre. Dopo pochi anni, a causa delle condizioni inadatte, le piante morirono; ma fortunatamente il suo giardiniere, James Gordon, era riuscito a moltiplicarle e qualche anno dopo incominciò a sfruttarle commercialmente, vendendole nel suo vivaio. Con grande delusione degli animi romantici, è una leggenda che lord Petre sia morto per il dolore della perdita delle amatissime camelie: morì effettivamente giovanissimo, ma a causa del più prosaico vaiolo. Storia e leggenda si intrecciano anche nelle vicende delle tre camelie che si contendono il primato di essere le più antiche d'Europa, che si trovano rispettivamente nella Quinta de Campo Belo a Villa Nova de Gaia, nei pressi di Oporto; nel parco del castello di Pillnitz, nei dintorni di Dresda; nel giardino all'inglese del parco della Reggia di Caserta. Nel nord del Portogallo si trovano molte camelie centenarie, appartenenti alla cultivar giapponese 'Orandako' (rosa striato di bianco), che sembrano risalire alla fine del Settecento. Alla stessa epoca potrebbero risalire anche i due esemplari di Campo Belo, a fiori semidoppi rosa carico, che invece secondo altri risalgono al XVI secolo (avrebbero dunque più di 400 anni). La spettacolare camelia di Pillnitz, secondo la leggenda, sarebbe una delle quattro che Carl Peter Thunberg riportò con sé dal Giappone nel 1779, affidandole ai Kew Gardens. Una rimase a Kew, le altre tre sarebbero state inviate nei giardini di Herrenhausen presso Hannover (di proprietà del re d'Inghilterra, che era anche principe elettore di Hannover), a Schoenbrunn presso Vienna e appunto a Pillnitz. Quest'ultimo sarebbe l'unico esemplare sopravvissuto. In realtà, sappiamo che fu trapiantato a Pillnitz nel posto dove si trova tuttora non prima del 1801. Oggi, protetto nei mesi invernali da una avveniristica serra che si muove su rotaie, è in ogni caso la camelia più grande d'Europa, alta quasi 9 m, larga 11, con una produzione annua di 35000 fiori (identici a quelli di Campo Belo). Non meno leggendaria la camelia di Caserta, nota come "Celebratissima". Si dice che sia stata piantata nel 1760, grazie a Horatio Nelson, come dono d'amore a lady Hamilton, grande amica della regina Carolina. In questo caso, smontare la leggenda è facile: Nelson nel 1760 aveva due anni, Carolina ne aveva otto e viveva ancora a Vienna, lady Hamiton non era neppure nata. Secondo una variante meno incredibile, Nelson avrebbe avuto la camelia dall'amico lord Petre (il figlio del nostro lord Petre, evidentemente, anche se non risultano particolari rapporti tra i due) e l'avrebbe donata alla regina di Napoli intorno al 1786. Una data non documentata, che corrisponde però all'inizio dei lavori per la realizzazione del giardino all'inglese voluto da Carolina su suggerimento di lord Hamilton (l'ambasciatore inglese, marito della futura amante di Nelson che arrivò a Napoli soltanto nel 1793). Quindi, ancora una volta, la realtà è più prosaica: senza tirare in ballo Nelson, lady Hamilton e lord Petre, la camelia fu semplicemente impiantata, in una data imprecisata degli ultimi anni del Settecento, da John A. Graeffer, il giardiniere inglese che realizzò il giardino. A conoscere meglio questo personaggio, il legame con le camelie è evidentissimo: in primo luogo, egli fu un importante introduttore di piante esotiche (ad esempio, Aucuba japonica); ma soprattutto, prima di trasferirsi a Napoli, Graeffer era stato socio di James Gordon, l'ex giardiniere di lord Petre che per primo aveva moltiplicato Camellia japonica e l'aveva messa a disposizione di tutti vendendola nel suo vivaio. D'altra parte, nel 2009, una ricerca basata su osservazioni fenotipiche e genetiche ha rivelato che le tre camelie centenarie derivano dalla stessa pianta, ovvero sono state ottenute per via vegetativa da talee dello stesso progenitore; non arrivano né dal Giappone né dall'Inghilterra, ma dal Portogallo, e il progenitore potrebbe essere proprio uno degli esemplari di Campo Belo. In ogni caso, la reggia di Caserta (nel giardino inglese vennero piantate anche altre varietà) fu il centro d'irradiazione della coltivazione della camelia in Italia; nel 1808 Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, ottenne dal fratello Giuseppe (al momento re di Napoli) alcuni esemplari provenienti dal giardino di Caserta per la sua reggia di Lucca; grazie al clima mite e al terreno acido, la Lucchesia si rivelò particolarmente adatta e a partire dall'Ottocento fu uno dei grandi poli della coltivazione della camelia in Italia. Nella regione dei laghi prealpini, altra zona vocata alla sua coltivazione, è giunta invece nel corso dell'Ottocento. |
L'Ottocento fu il secolo della Camellia, che alimentava collezionismi (e fanatismi). Come si è accennato, inizialmente fu conosciuta solo C. japonica. Tuttavia, poiché era coltivata già da secoli in Cina e in Giappone, erano disponibili molte varietà; infatti, le camelie presentano una notevole variabilità e inoltre alcune di esse hanno la tendenza a sviluppare sport, ovvero la comparsa di uno o più rami con nuove caratteristiche (in particolare, nella forma, nella dimensione e nei colori dei fiori). In entrambi i paesi asiatici gli sport erano molto ricercati: in Cina venivano donati ai mandarini, ai conventi o all'imperatore; in Giappone era costume farne dono al sovrano. In tal modo, nei secoli vennero selezionate molto diverse varietà, ottenute sia da seme, sia da sport. Nella tradizione cinese, ad essere privilegiate erano quelle con fiori grandi, petali doppi, con l'apparato riproduttivo nascosto o atrofizzato (ovviamente si tratta di esemplari sterili), magari con variegature di colore. Al contrario, la moda giapponese ricercava piuttosto fiori semplici con pistillo evidente e moltissimi stami (sono i progenitori delle camelie Higo).
All'inizio dell'Ottocento, il sindaco di Nantes Ferdinand Favre incominciò a coltivare le camelie da seme e scoprì che potevano vivere fuori dalle serre; ottenne anche una nuova varietà, che in onore di suo fratello chiamò 'Henry Favre' (1841), progenitrice della coltivazione delle camelie in Francia. Molte nuove varietà vennero realizzate in altre paesi, in particolare in Portogallo e in Italia (ad esempio la celebre 'Lavinia Maggi', 1850). Nel 1820 il capitano Richard Rawes importò la prima C. reticulata, nota appunto come 'Captain Rawes'; importò anche una varietà di C. sasanqua, a fiori striati. Tuttavia la diffusione di questa specie iniziò solo a partire dal 1869, grazie a importatori olandesi. Dopo la grande voga ottocentesca, la diffusione della camelia, pianta costosa e schizzinosa, non alla portata di tutte le tasche, a fine secolo ebbe una battuta d'arresto. A risollevane le sorti fu l'inglese J. C. Williams, che nel suo castello in Cornovaglia incrociò C. japonica con C. saluenensis, ottenendo i noti ibridi C. x williamsii, più rustici, adattabili e in nuovi colori. Grazie a Williams, la camelia, da aristocratica, divenne democratica. Un ulteriore allargamento della coltivazione della camelia anche a zone con inverni molto freddi viene dagli ibridi noti come "Hardy Winter Camellias". Tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli anni '80, negli USA si susseguirono diversi inverni particolarmente rigidi che distrussero la collezione di camelie del National Arboretum statunitense. Notando che, al contrario di C. japonica e C. sasanqua, gli esemplari di C. oliefera non avevano subito alcun danno, W. L. Ackerman iniziò un programma di incrocio tra questa specie, C. sasanqa e C. hiemalis. Ne nacque appunto una serie di ibridi particolarmente resistenti alle basse temperature (fino a -20°), le cui prime sei varietà furono introdotte nel 1991; altre furono realizzate negli anni successivi di C. Parks. A fiore semplice, con petali un po' scompigliati e stami molto evidenti (a parte la doppia 'April Rose') uniscono la rusticità alla bellezza delle fioriture. La serie Winter (quella prodotta da Ackerman) è a fioritura invernale, la serie April (quella introdotta da Parks) a fioritura primaverile. |