A più riprese, trasportati dalle navi della Compagnia svedese delle Indie orientali che fanno scalo al Capo di Buona Speranza di ritorno dalla Cina, arrivano a Linneo cesti e cassette con il gradito dono di piante, bulbi, insetti sudafricani. Il donatore è il governatore Ryk Tulbagh, abile e solerte funzionario coloniale appassionato di scienza. E Linneo lo ricambierà con la dedica dell'odorosa ma bellissima Tulbaghia. ![]() Dalla gavetta a padre della Colonia Il 22 febbraio 1751, la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) nominò governatore della Colonia del Capo il cinquantenne Ryk Tulbagh (1699-1771) che assunse il suo incarico il seguente 15 aprile. Era il culmine di una carriera partita dalla gavetta. Nato in una modesta famiglia di Utrecht, che durante la sua infanzia si era trasferita a Bergen-op-Zoom, vi frequentò le scuole e imparò il suo latino; quindi a sedici anni si imbarcò su una nave della VOC diretta al Capo, con un contratto di cinque anni come apprendista, che poteva comportare di "imbracciare un moschetto o impugnare una penna". Diligente, industrioso e di buone maniere, si fece presto notare dai superiori; a diciannove anni fu nominato assistente segretario del Consiglio di Polizia, e tre anni dopo fu promosso impiegato capo e segretario del Consiglio. Era un compito di responsabilità che comportava una stretta relazione sia con il governatore, che presiedeva quell'organismo, sia con la direzione della VOC (i famosi, o famigerati, 17 signori). Nel 1725 sposò Elizabeth Swellengrebel, sorella di un membro del Consiglio, Hendrik Swellengrebel. Nel 1728 ottenne il rango di mercante junior (al di là del nome, si trattava di un grado gerarchico che non implicava necessariamente compiti di compravendita), un seggio nella corte di giustizia ed entrò a fare parte del Consiglio con diritto di voto. Nel 1732, fu promosso mercante senior. Nel 1737 alla morte del governatore Adriaan van Kervel, il Consiglio dovette affrontare una decisione difficile. La consuetudine voleva che fosse nominato governatore il secunde, ovvero il funzionario di più alto rango dopo il governatore stesso; a rivestire questo ruolo era Hendrik Swellengrebel, il cognato di Tulbagh. Tuttavia il fiscale Daniël van den Henghel rivendicava per sè l'incarico, in quanto mercante senior da un numero maggiore di anni. Quando si passò ai voti, i due candidati risultarono in parità. Si decise perciò di ricorrere al sorteggio, che favorì van den Henghel. La decisione definitiva però spettava ai 17 signori; appena furono informati, censurarono l'operato del Consiglio e stabilirono che van den Henghel tornasse al ruolo precedente, Hendrik Swellengrebel fosse promosso governatore e Ryk Tulbagh secunde, ruolo che ne faceva il presidente dell'Alta corte e gli apriva la strada di futuro governatore. Tulbagh affiancò il cognato per 14 anni e quando questi lasciò l'incarico per stabilirsi in Olanda, gli succedette puntualmente. Fu poi governatore per un ventennio (fino alla morte, avvenuta nel 1771), segnando profondamente la vita della Colonia. Con trent'anni di esperienza amministrativa, conosceva perfettamente tutti i problemi di affrontare. Privo di figli, e rimasto vedovo fin dal 1753, poteva dedicare tutto il suo tempo e le sue energie ai suoi amministrati, che presero a chiamarlo affettuosamente "papà Tulbagh ". La più celebre delle sue iniziative, tuttavia, certo non fu gradita a tutti: sul modello già imposto a Batavia, introdusse una legge suntuaria che vietava gli abiti di velluto, di seta o con strascico, le carrozze ornate con stemmi, le ostentazioni durante i funerali e l'uso di ombrelli parasole retti da schiavetti (erano uno status symbol). Né tutti avranno approvato il Codice Tulbagh emanato nel 1754, che rendeva meno dura la condizione dei neri: quelli nati liberi (Fryswartes) ottenevano la parità legale, mentre agli schiavi era concesso di praticare un mestiere per mantenersi ed acquistare la propria libertà; la pena di morte rimaneva solo per chi avesse ucciso il proprio padrone, mentre per reati minori era previsto il lavoro forzato. A conquistare l'affetto degli abitanti della colonia furono invece certamente la costruzione di nuove strade e di nuove aree urbanizzate, l'installazione di prese d'acqua nelle vie cittadine per combattere tempestivamente gli incendi, la creazione di una stazione di polizia, le misure sanitarie contro le ricorrenti epidemie di vaiolo, l'apertura della prima biblioteca pubblica. Durante il suo mandato, riprese anche l'esplorazione del territorio. Nel 1752 ricorreva il centenario della creazione della Colonia, Oltre a celebrarlo con una solenne cerimonia e con un banchetto cui furono invitati i borghesi della città e gli ufficiali delle navi straniere che in quel momento erano all'ancora nella Baia, Tulbagh volle solennizzarlo con una spedizione, la più vasta dai tempi di Simon van der Stel nel 1685. Il primo scopo era comprendere meglio la situazione ai confini orientali della colonia, che non erano mai stati definiti con esattezza. In teoria il confine era il Great Fish River, ma da tempo gruppi di cacciatori e allevatori lo avevano superato e non erano mancati tragici scontri popolazioni locali, soprattutto con i Bantu, che a loro volta muovevano verso sud e verso occidente alla ricerca di nuovi pascoli. La spedizione si svolse tra il febbraio e il novembre 1752 e coinvolse ben 71 persone e un convoglio di undici carri, sotto il comando dell’insegna August Frederik Beutler; oltre a un cartografo, un diarista ufficiale e un chirurgo, c’era anche un addetto alla raccolta delle piante, il sorvegliante del granaio della compagnia Hendrik Beenke. Muovendosi verso nord est, il gruppo esplorò i territori dei Thembu e degli Xhosa fino al Qora River. Una spedizione anche più imponente avvenne una decina di anni dopo. Nel 1760 il fattore Jakobus Coetse fu autorizzato a una spedizione di caccia agli elefanti; dopo aver attraversato le Copper Mountains, piegò a nordest e dopo dodici giorni giunse al Gariep, o “Grande fiume” (qualche anno dopo sarebbe stato ribattezzato Orange River) e ne seguì il corso per un tratto. Al ritorno, ne parlò con il capitano Hendrik Hop. Questi propose a Tulbagh di inviare una spedizione ad esplorare il territorio scoperto da Coetse. Diretta dallo stesso Hop, essa si svolse tra il luglio 1761 e l’aprile 1762 e vide la partecipazione sia di una trentina di coloni volontari (tra cui Coetse) sia della VOC, che fornì tre carri, armi, materiali e una cinquantina di portatori ottentotti e personale tecnico: un topografo, un esperto di metallurgia e il capo giardiniere Johann Andreas Auge. Il gruppo si mosse lungo l’itinerario già percorso l’anno prima da Coetse e dopo aver attraversato il fiume, si spinse a nord fino all’attuale Warmsbad in Namibia dove giunse in dicembre; l’estrema aridità di questa regione li costrinse a ritornare sui loro passi. In seguito a queste spezioni, nel 1770 Tulbagh fissò i confini della colonia al distretto di Swellendam a est e ai monti Swartberg a nord. Di fatto, non furono mai rispettati né dai coloni né dai Bantu, Veniamo ora alla politica culturale di Tulbagh che, nonostante la sua limitata formazione, era un uomo colto che padroneggiava perfettamente il latino e il francese; di mente aperta, abbandonò il tradizionale atteggiamento di chiusura e di sospetto con il quale la VOC guardava agli stranieri. Poco dopo la sua nomina, arrivò dalla Francia l’abate Louis-Nicolas de Lacaille (o La Caille, 1716-1772), inviato dall’Accademia delle Scienze a fare osservazioni astronomiche e geodetiche. Tulbagh fece costruire per lui un osservatorio, attrezzato con gli strumenti che questi aveva portato dalla Francia. Nell’arco di circa due anni (aprile 1751-marzo 1753), l'abate fece straordinarie osservazioni: catalogò circa 10.000 stelle del cielo australe, determinò la longitudine dell’insediamento, misurò la lunghezza di un grado di latitudine e corresse la carta del territorio fino a St Helena Bay. Durante il suo soggiorno, mandò periodicamente a Parigi esemplari naturali, inclusi semi e bulbi, e al suo ritorno portò con sé un erbario per il Jardin des Plantes. Come abbiamo visto, durante le spedizioni, e certamente anche al di fuori di esse, venne promossa la raccolta di esemplari di piante e animali; gli archivi attestano che membri della Compagnia erano regolarmente inviati alla ricerca di piante, erbe e insetti. Il più attivo di questi raccoglitori era certamente Johann Andreas Auge (1711-ca. 1805) che Tulbagh promosse sovrintendente del giardino della VOC al Capo. Le raccolte erano destinate al giardino stesso, ma anche agli orti botanici di Leida e Amsterdam, nonché a scienziati europei. Il più noto di questi corrispondenti è indubbiamente Linneo, con il quale il governatore probabilmente entrò in contatto intorno al 1760 attraverso il capitano Ekeberg. Nel 1761 gli inviò circa 200 piante, diversi uccelli impagliati, una collezione di bulbi e una cinquantina di tipi di semi, presumibilmente raccolti da Auge. Linneo espresse la sua soddisfazione con una lettera di ringraziamento che purtroppo non ci è pervenuta. Tulbagh replicò con l'invio di una cassa con 63 tipi di bulbi da fiore, un cesto con 82 tipi di semi e una cassetta dei "migliori insetti che offre questo paese" (lettera del 25 aprile 1763). La risposta di Linneo (lo vedremo meglio più avanti) fu la dedica del genere Tulbaghia, annunciata con una lettera datata 30 giugno 1764. La corrispondenza continuò negli anni successivi, ma tutte le lettere sono andate perdute, tranne quella inviata da Tulbagh il 20 marzo 1769 in cui promette l'invio di altri bulbi e di un "libro di piante secche", ovvero un erbario. Forse esso non avvenne mai: Tulbagh sarebbe morto poco più di un anno dopo, e anche la salute di Linneo aveva cominciato a declinare. Poté però approfittare degli invii del governatore per descrivere numerose piante sudafricane in Mantissa plantarum altera (1771), una delle quali è appunto quella dedicata al generoso governatore, T. capensis. ![]() Bulbose in technicolor Torniamo dunque a quella lettera del 1764 in cui Linneo annuncia la creazione del genere Tulbaghia, accludendo anche un disegno della pianta che, confida, "sarà un monumento duraturo a Vostro Onore finché perdurerà la tribù dei vegetali"; chiede poi di inviargliene qualche bulbo, "affinché possa essere propagata e diffusa in tutti i giardini d'Europa, così da rendere il vostro nome familiare a tutti gli amanti delle piante rare e belle". Quindi si congratula con Tulbagh per abitare (e governare) un vero paradiso terrestere, e conclude: "Se potessi scambiare il mio destino con quello di Alessandro Magno, di Salomone, di Creso o di Tulbagh, senza esitazione preferirei quest'ultimo". Oggi il genere Tulbaghia (famiglia Amaryllidaceae) comprende 28 specie di bubose, distribuite principalmente nella Provincia del Capo orientale. La loro caratteristica più evidente è il pronunciato odore agliaceo delle foglie, da cui il nome comune wild garlic, o anche society garlic, forse perché tendono a formare gruppi fitti e compatti, oppure perché il loro odore, meno pungente di quello dell'aglio, li rende adatti ad essere consumati in società. Sono per altro piante molto belle, spesso con fiori dal colore insolito e con una struttura singolare, data da sei tepali più o meno stretti e da una piccola "corona centrale", a volta in colore contrastante. La specie più rustica e più frequentemente coltivata da noi è T. violacea che nel corso dell'estate produce splendidi fiori viola ametista che, a dispetto dell'odore delle foglie, sono anche piacevolmenti profumati. Vale però la pena di menzionare almeno T. acutiloba, con fiori a tromba con tepali bianco-verdastro e corona aranciata, la candida T. cominsii, la gialla T, dregeana, la rossa T. capensis che profuma di notte. Qualche approfondimento nella scheda.
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Ad aprire a Linneo e ai suoi allievi il ricco terreno di raccolta della Colonia del Capo, fino ad allora gelosamente riservato ai botanici olandesi, furono l'intraprendenza e l'abilità diplomatica del capitano Carl Gustav Ekeberg, che riuscì a instaurare eccellenti contatti con il governatore Tulbagh. Grazie a lui le navi della Compagnia svedese delle Indie orientali poterono fare scalo a Table Bay e all'apostolo di Linneo Anders Sparrmann fu concesso di stabilirsi per qualche tempo al Capo. Proprio Sparmann volle ringraziarlo con la dedica del genere Ekebergia. ![]() Un capitano scienziato e artista La triangolazione Svezia - Cina - Capo di Buona Speranza, che abbiamo incontrato a proposito della raccolta di piante sudafricane donata da Grubb a Bergius fu resa possibile dall'intraprendenza di un capitano della Compagnia svedese delle Indie orientali (SOIC). In precedenza, poiché la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) non ne vedeva di buon occhio la concorrenza, le navi della SOIC in rotta per e dalla Cina, non facevano scalo al Capo, preferendo piuttosto Sant'Elena o il Madagascar. A mutare la situazione, fu in primo luogo nel 1751 la nomina a governatore della colonia del Capo di Rijk Tulbagh (1699-1771), che mise fine all'"autarchia naturalistica", accogliendo volentieri scienziati europei in visita in Sudafrica. Di questa nuova disponibilità poté approfittare appunto il capitano Carl Gustav Ekeberg (1716–1784), accreditandosi agli occhi di Tulbagh come scienziato e cartografo. Ma andiamo con ordine. Ekeberg è celebre come capitano e cartografo, ma ebbe una formazione insolitamente ampia e varia. Tra il 1726 e il 1729 studiò chimica all'università di Uppsala; in questo periodo potrebbe aver conosciuto Linneo, che vi arrivò a come studente nel 1728, ma la loro amicizia probabilmente iniziò qualche anno dopo. Infatti già nel 1730 Ekeberg si trasferì a Västerås per iniziare l'apprendistato di sei anni come farmacista presso G. Wessel; completò poi l'apprendistato a Turku, dove poi fu farmacista per due anni. Contemporaneamente studiò anche medicina all'università di Turku, tanto che nel 1738 lo troviamo nelle vesti di medico di bordo in due viaggi su navi mercantili dirette in Spagna. Avido di assorbire nuove conoscenze, ebbe così modo di imparare le tecniche di navigazione. Nel 1742 passò al servizio della SOIC per la quale avrebbe lavorato per oltre trent'anni, partecipando a non meno di dieci viaggi sulla rotta cinese e divenendone il capitano più celebre. Il suo primo ingaggio fu come quarto ufficiale della Drottningen af Swerige; fu un viaggio difficile che ebbe il sapore di una vera e propria iniziazione. Lasciata Göteborg il 10 gennaio 1742, dopo appena due settimane di navigazione la nave urtò uno scoglio sulla costa norvegese. La falla fu riparata, ma rallentò la navigazione. A Cadice, dove abitualmente le navi svedesi facevano scalo per scambiare il ferro e altre merci con l'oro necessario per gli acquisti in Cina, il secondo ufficiale disertò mentre il primo ufficiale fu arrestato. Tutti questi contrattempi rallentarono il viaggio; solo a novembre, la Drottningen af Swerige raggiunse l'isola di Hainan nel mar cinese meridionale, dove fu costretta a sostare per sei mesi; a marzo ripartì, ma mancò la rotta, finendo nelle isole Marianne. Solo ad aprile raggiunse Macao e da qui Canton. Le disavventure non erano finite: in un incendio, scoppiato nei magazzini della compagnia parte delle merci già scaricate andò perduta; ad agosto il capitano Peter von Utfall morì e il nostro Ekeberg venne promosso sul campo secondo ufficiale, ricoprendo questo ruolo nel viaggio di ritorno, finalmente senza contrattempi. Il 25 luglio 1744 la nave toccava le coste svedesi; nonostante tanti guai, il carico di tè e altre merci cinesi diede agli azionisti un dividendo del 105% sul capitale investito. Fu invece come terzo ufficiale che nel 1745 Ekeberg si imbarcò sulla Stockholm; fu un viaggio brevissimo e sfortunato: partita il 9 gennaio, tre giorni dopo la nave, insieme alla Drottningen af Swerige, naufragò al largo delle isole Shetland. Ekeberg riuscì a raggiungere la riva aggrappandosi a parti del relitto, ma al mattino i suoi capelli erano diventati bianchi; quindi rimase nelle isole per tre mesi e ne approfittò per fare osservazioni naturalistiche e etnologiche. La terribile avventura non era tale da scoraggiare il nostro, che il 27 dicembre 1746 era di partenza per il suo terzo viaggio, nelle vesti di secondo ufficiale della Götha Leijon; la SOIC, per incrementare le entrate, aveva deciso di saggiare le potenzialità del mercato indiano; così, prima di raggiungere Canton, la nave fece un lungo scalo a Surat; anche se non ci furono incidenti, il viaggio si protrasse dunque per quasi tre anni, concludendosi nel giugno 1749. Nel 1750 Ekeberg ebbe finalmente il suo primo comando sulla Freden; il suo compito era però un po' triste: dopo due viaggi in Cina, la nave non teneva più bene il mare e si trattava di portarla a Cadice per essere venduta. Così fu; quindi, conclusa la vendita Ekeberg e l'equipaggio tornarono a casa a bordo di un'altra nave. Nel dicembre 1751, Ekeberg riparti per il suo terzo viaggio cinese, come primo ufficiale della Hoppet. Nel 1755 fu promosso tenente dell'Ammiragliato. Lo stesso anno lo ritroviamo sulla rotta cinese come primo ufficiale della Princessan Sophia Albertina (gennaio 1755-agosto 1756) e finalmente come comandante della Prins Friedric Adolph (febbraio 1759- agosto 1760). Nel frattempo aveva cominciato a farsi conoscere negli ambienti scientifici; a partire dal 1749, presentò all'Accademia delle scienze il diario del viaggio a Canton del 1746-49, quindi i diari dei viaggi a Cadice del 1750-51 e a Canton del 1751-54 e del 1755-56. Le sue osservazioni furono giudicate utili dall'Accademia delle scienze che nel 1757 lo premiò con una medaglia d'oro. Per cinque volte ancora avrebbe percorso la rotta per la Cina, ormai sempre come comandante, anzi come il più reputato e mitico dei comandanti della SOIC: della Finland dal febbraio 1762 all'agosto 1763 (durante questo viaggio, la nave rimase incagliata in un banco di sabbia nello Stretto di Bangka, ma Ekeberg riuscì a risolvere l'incidente con abilità); della Stockholms Slott dal dicembre 1765 all'agosto 1767; ancora della Finland dal dicembre 1769 al giugno 1771; infine della Drottning Sophia Magdalena dal gennaio 1774 al giugno 1775 e dal gennaio 1777 al giugno 1778. Oltre ad essere un abilissimo marinaio, era reputato per il buon umore, le battute pronte e la capacità di trattare i suoi uomini in modo severo ma umano, evitando le punizioni corporali. Intorno al 1760, Ekeberg investì i proventi dei viaggi in Cina nell'acquisto di una proprietà terriera nell'Uppland; si trovava in questo modo ad essere vicino di Linneo, con cui condivideva anche l'appartenenza all'Accademia delle scienze, alla quale fu ammesso nel 1761. Gli si rese utile da una parte portandogli piante e altri oggetti naturali dalla Cina (tra cui le prime desideratissime piante di tè, che purtroppo non superarono i rigori del primo inverno svedese); dall'altra favorendo l'imbarco di allievi di Linneo come pastori o medici di bordo sulle navi della SOIC. Così, a bordo della Stockholms Slott troviamo il giovanissimo Anders Sparmann, come aiuto medico o assistente dello stesso Ekeberg. Ma forse ancora più importante fu aver aperto a Linneo e ai suoi apostoli le porte della Colonia del Capo. Forse fin dal viaggio della Prins Friedric Adolph Ekeberg cominciò a fare regolarmente scalo a Table Bay, contrariamente alle abitudini degli altri comandanti della SOIC. A renderglielo possibile fu la sua abilità di cartografo, altamente apprezzata da Tulbagh; egli disegnò per lui diverse mappe, inclusa una di False Bay. Inoltre il governatore era un ammiratore di Linneo e Ekeberg si trasformò in una sorta di corriere tra lui e il luminare svedese, suo ottimo amico; in almeno due occasioni, nel 1761 e nel 1763, Tulbagh gli affidò lettere, insetti, piante, bulbi e semi per Linneo, in totale circa 200 specie. Fu sempre grazie alla mediazione di Ekeberg che nel 1772 le autorità olandesi concessero a Anders Sparrman di fermarsi in Sudafrica. Ekeberg era un uomo di vasti interessi scientifici, Probabilmente il suo contributo maggiore è dato dalle misurazioni dell'inclinazione magnetica in mare, effettuate durante il viaggio da e per Canton nel 1766-67 con un inclinatorium per uso marittimo, costruito da J. C. Wilcke. Il risultato fu pubblicato negli Atti dell'Accademia nel 1768; inoltre, grazie alle sue osservazioni, Wilcke poté pubblicare la prima mappa dell'inclinazione magnetica. E' possibile che questi studi siano stati ispirati a Ekeberg dai contatti con Tulbagh; a interessarsi del problema, e a fare analoghe misurazioni durante il suo viaggio per e da Città del Capo era stato prima di lui l'abate Lacaille, che tra il 1750 e il 1754 visse al Capo dove il governatore fece costruire per lui un osservatorio astronomico. Tra un viaggio l'altro, e poi definitivamente dopo il ritiro nel 1778, Ekeberg divise il suo tempo tra la conduzione di una fattoria e la scrittura. Come proprietario terriero era aperto alla sperimentazione ed era in corrispondenza, tra l'altro, con i fratelli Bergius sulla coltivazione di cereali e foraggio. A partire dal 1760, acquistò tre fattorie che riunì in un'unica grande fattoria detta Altomta. L'edificio principale, con quattro ali, esiste ancora; al piano terra, la "Sala Ekeberg" ha conservato l'aspetto che aveva al tempo del capitano, con i colori, i serramenti di legno e la stufa di maiolica originali; incastonati in pannelli murali, ci sono sette dipinti a olio che raffigurano eventi e luoghi dei suoi viaggi. Dato che era un abile pittore, potrebbero essere di mano dello stesso Ekeberg. Non ci sono più le collezioni di carte, oggetti naturali e cineserie che davano un carattere orientale a questa casa dell'Uppland. Come scrittore, la sua opera più importante è il diario di viaggio Ostindisk resa 1770-71 (pubblicato nel 1773), illustrato con incisioni calcografiche di Olof Årre, ricavate da suoi disegni. Il suo dipinto più drammatico raffigura la Finland alle prese con una tempesta. Intorno al 1820 Jacob Hägg ne trasse ispirazione per il suo quadro "La Finland durante la tempesta". L'episodio è stato raccontato in toni altamente emozionanti dal mercante Jacob Wallenberg che era a bordo e riferì il viaggio in Min son på galejan ("Mio figlio in galera"), divenuto un classico dei libri di viaggio svedesi, rendendo popolare la figura del vecchio capitano che, con i suoi capelli d'argento, camminava avanti e indietro sul ponte sfidando gli elementi. ![]() Alti alberi africani Fu Sparmann, per riconoscenza verso colui che aveva reso possibile la sua avventura africana, a dedicare al capitano Ekeberg il genere Ekebergia, ricordandone i viaggi dalla Cina e il contributo alla botanica, in particolare come introduttore in Svezia delle prime piante di tè. Appartenente alla famiglia Meliacee, questo genere comprende quattro specie di alberi o arbusti distribuiti nell'Africa tropicale e meridionale. Dioiche, hanno foglie composte imparipennate e piccoli fiori dal dolce profumo raccolti in cime panicolate. La specie di più ampia diffusione è E. capensis (dal Sudan e dall'Etiopia al Capo occidentale in Sudafrica). E' un alto albero che può raggiungere i 30 metri di altezza e un metro di diametro, con corteccia quasi nera, fortemente fessurata, e forti radici a contrafforte; vive in ambienti stagionalmente aridi, per lo più ai margini delle foreste montane, tra 600 e 2600 metri. Trova uso anche come ornamentale in parchi e giardini. Fiorisce in estate, producendo cime pendule di piccoli fiori bianchi o lievemente rosati dolcemente proumati. Le bacche che fanno seguito ai fiori sono apprezzate da uccelli, scimmie e altri mammiferi. Le foglie di diverse specie hanno usi officinali. In una storia di Esopo, si parla di una cornacchia che per farsi bella provò a rivestirsi con penne di pavone, finendo per venire scacciata tanto dai pavoni quanto dalle cornacchie. Almeno per un po', il gioco riuscì invece benissimo al mercante svedese Michael Grubb, che riuscì a gabellare per sua una collezione di piante sudafricane che sia era limitato a comprare. Per questo un botanico sudafricano l'ha soprannominato "il perfido Grubb". Ma, come scopriremo, aveva fatto ben di peggio. ![]() Come fare soldi in Cina Come abbiamo visto in questo post, per Descriptiones plantarum ex Capite Bonae Spei Jonas Peter Bergius si basò su una raccolta di piante sudafricane che gli era stata donata dal mercante Michael Grubb (1728-1808). Non solo gli dedicò l'opera, ma lo elogiò con lodi sperticate, e ovviamente gli dedicò uno dei suoi nuovi generi, Grubbia. Era certo convinto che quelle piante Grubb le avesse raccolte di persona, spinto dal suo amore per la scienza. La verità emerse qualche anno dopo, quando, durante il suo soggiorno sudafricano, Carl Peter Thunberg conobbe Johann Andreas Auge, il sovrintendente del giardino della Compagnia olandese delle Indie a Città del Capo, che gli avrebbe fatto da guida nella spedizione del 1772-73. Egli infatti scoprì che a raccogliere le piante era stato lo stesso Auge e che Grubb si era limitato ad acquistarle, senza farne parola né con Bergius né con altri. Per questo inganno, il botanico Peter MacOwan lo avrebbe definito "il perfido Grubb". In realtà, Grubb si era macchiato di perfidie ben peggiori. Egli apparteneva a una famiglia di mercanti e imprenditori (una delle sue sorelle, Catharina Elisabet Grubb, è celebre per aver creato una delle principali miniere di ferro dello Finlandia). La morte del padre, il mercante Nils Grubb, gli lasciò un capitale molto modesto, ma ottimi contatti sia a Stoccolma sia a Turku. Decise così di tentare la fortuna entrando al servizio della SOIC (Compagnia svedese delle Indie orientali) che da una ventina d'anni effettuava uno o due viaggi annuali in Cina. La rotta era ormai collaudata e alla fine degli anni '40, i mercanti di Stoccolma avevano incominciato ad interessarsene. Così Grubb nel 1750 arrivò per la prima volta a Canton a bordo della Adolph Fredrich, probabilmente come semplice passeggero o mercante di basso livello. Negli anni successivi - non tutti i registri sono conservati, e figurano solo gli ufficiali - dovette fare altri viaggi; verso la metà degli anni '50, fu tra i primi svedesi a rimanere in Cina tra un viaggio e l'altro, prolungando il suo soggiorno per oltre un anno. In questa prima fase, che potremmo definire esplorativa, incominciò a stringere relazioni sia a Canton sia a Macao, e a fare carriera nella SOIC. Nel 1758 lo troviamo nelle vesti di supercargo - l'ufficiale responsabile degli aspetti commerciali - della Prins Carl, comandata da Baltzar Grubb, presumibilmente uno dei suoi parenti. Da quel momento fino al 1764, quando sarebbe ritornato definitivamente in Svezia, rimase in Cina, spostandosi tra Canton (dove era possibile rimanere solo quando le navi straniere erano in porto) e Macao e stringendo molteplici contatti: mercanti cinesi in entrambi i porti, protestanti e cattolici, portoghesi, olandesi, britannici, persino armeni. Divenne un intermediario d'affari tra i diversi gruppi e si inserì nel commercio che legava la Cina all'Asia meridionale, a Giava, alle Filippine e al Giappone. Di fatto creò una propria compagnia commerciale privata, cosa all'epoca non ancora vietata - o almeno non espressamente vietata - dal regolamento della SOIC. Le sue giunche - di costruzione e con marinai cinesi - commerciavano seta giapponese, pigmenti, fili d'oro e d'argento, perle, oggetti di lacca. Ma la merce più richiesta e redditizia era l'oppio; l'importazione in Cina era vietata, ma bastava qualche mazzetta per fare chiudere ai funzionari tutti e due gli occhi. Accanto a questi traffici privati, Grubb continuava ad essere il principale agente della SOIC a Canton. Nel 1761, come supercargo della Fredric Adolph, arrivò dalla Svezia il più giovane Jean Abraham Grill (1736–1792); Grubb lo introdusse agli affari cinesi, quindi ne fece il suo socio. Gli affari andavano a gonfie vele, soprattutto grazie all'oppio: è stato calcolato che negli anni '60 Grubb e Grill siano stati responsabili del 20% delle loro importazioni. Ma c'erano anche altre modalità di guadagno. Durante la stagione morta, quando non c'erano navi e mercanti europei, i prezzi delle merci più richieste, in particolare del tè, crollavano, per poi risalire non appena la prima nave europea gettava l'ancora nel Fiume delle Perle. I due soci - e probabilmente non solo loro - grazie ai loro contatti locali acquistavano le merci durante la bassa stagione, per poi rivenderli attraverso intermediari alla SOIC a prezzi maggiorati. A Göteborg i vertici della compagnia incominciavano a nutrire qualche sospetto sulla fedeltà dei due; forse per stornarli, essi stessi proposero di istituire un fondo permanente per gli acquisti in bassa stagione. La proposta fu approvata dalla SOIC nel 1764, e contemporaneamente vennero formalmente vietati i commerci privati che entrassero in concorrenza con gli interessi della Compagnia. Ciò non impedì a Grill di rimanere in Cina fino al 1768 come supercargo permanente, divenendo ancora più ricco. Invece Grubb si era imbarcato per la Svezia nell'autunno del 1763. Ad aprile la nave su cui viaggiava gettò l'ancora al Capo di Buona Speranza; forse ne approfittò per qualche raccolta, ma soprattutto investì qualche soldo nell'acquisto di una collezione di piante sudafricane raccolte da Auge. Il munifico dono a Bergius, medico notissimo e stimatissimo, membro dell'Accademia delle Scienze nonché allievo di Linneo, faceva parte di una strategia ben pianificata per inserirsi nell'alta società svedese. All'inizio, le cose funzionarono. Nel 1766 Grubb divenne uno dei tre direttori della SOIC. Nel 1767 fu ammesso all'Accademia delle Scienze, che si era ingraziato con la donazione di uccelli del paradiso. Fu nominato consigliere commerciale e nobilitato con il titolo di cavaliere Grubbens. Poi il nostro si lanciò in una serie di investimenti meno abili dei suoi traffici cinesi. Nel 1769 fallì una prima volta, e fu costretto a dimettersi dalla direzione della SOIC. Con l'aiuto di un consorzio formato dalla società commerciale Anthoni Grill & Söner di Amsterdam, investì in una cartiera e una miniera d'allume, ma nel 1774 fece bancarotta per la seconda volta. Seguirono altri affari poco riusciti e una terza bancarotta negli anni '90. Nel 1783 fu cancellato anche dall'Accademia delle Scienze, insieme ad altri membri ritenuti "inutili". Morì nel 1808, ormai in povertà. Meglio che a lui andò al vecchio socio Jean Abraham Grill, che, tornato in patria nel 1776, investì i suoi milioni in modo molto più oculato, come proprietario terriero e industriale del ferro; anche lui fu ammesso all'Accademia delle Scienze, cui contribuì con comunicazioni sulla Cina, venendo eletto anche presidente per un mandato; membro dei più alti circoli sociali, era noto come collezionista di porcellane e fine musicista, tra i fondatori della Reale accademia svedese di musica. Morì però relativamente giovane, "in circostanze misteriose". ![]() Endemismi del fynbos Torniamo alle piante che, finora, in questa storia hanno avuto ben poca parte. Bergius nulla sapeva della vera origine della collezione donatagli da Grubb; non poteva che dimostrare la sua riconoscenza dedicando all' "uomo generoso e nobilissimo signore" tanto Descriptiones plantarum ex Capite Bonae Spei quanto uno dei suoi nuovi generi, Grubbia. E Auge? A risarcirlo pensò Thunberg, che ne aveva grande stima, con il genere Augea e la specie A. capensis; purtroppo il genere è stato ridotto a sinonimo di Zygophyllum, ma il ricordo del meritevole capo giardiniere rimane affidato all'eponimo di Z. augea. Dato che non c'è giustizia neppure in botanica, non Grubbia è invece validissimo, ma dà anche il nome a una famiglia propria, le Grubbiaceae. A dire il vero piccolissima, visto che ne è l'unico genere e comprende appena tre specie, tutte endemiche del Capo. Sono tipici arbusti del fynbos, la formazione sudafricana analoga alla nostra macchia mediterranea, ovvero arbusti con strette foglie sempreverdi aghiformi; quelle di G. rosmarinifolia, la specie tipo e anche la più diffusa, ricordano quelle del rosmarino; quelle di G. tomentosa, rivestite di un tomento biancastro, richiamano invece piuttosto quelli della lavanda. I piccoli fiori, in vari colori, sono raccolti in infiorescenze a cono. Tutte le specie hanno radici forti e profonde che le rendono adatte a prosperare nel suolo povero e arido del fynbos. G. rourkei è una specie rara, ristretta a cinque siti; si trovano però in un'area protetta e la popolazione è stabile. Non così alcune varietà di G. rosmarinifolia, una specie altamente variabile, in particolare G. rosmarinifolia subsp. gracilis è ristretta a tre siti e minacciata dall'espansione di piante aliene. L'orto botanico di Stoccolma ha una storia molto particolare. E' amministrato congiuntamente dall'Università e dalla Reale Accademia delle Scienze, alla quale nel 1790 fu donato con lascito testamentario dal medico Peter Jonas Bergius, che era stato allievo di Linneo, e l'aveva creato presso la sua casa di campagna insieme al fratello, il bibliofilo e storico Bengt Bergius. Lasciò anche un cospicuo capitale e la raccomandazione che a dirigere il giardino fosse un professore nominato dall'accademia che sarebbe stato allo stesso tempo un ricercatore. Dal 1791 al 2014 l'orto botanico è stato dunque diretto dal Professor Bergianus, a cominciare dal grande tassonomista Olof Swartz. Dato che non viaggiò al di fuori della Svezia, Bergius non è considerato un apostolo di Linneo, ma era molto stimato dal maestro che gli dedicò il genere Bergia. ![]() Un medico di successo appassionato di botanica I fratelli Bengt (1723-1784) e Peter Jonas Bergius (1730-1790) erano figli del governatore distrettuale Bengt Bergius e di sua moglie Sara Maria Dryselia. Quando il primo aveva sette anni e il secondo era un neonato, il padre morì, ma l'energica madre riuscì a tenere a galla la numerosa famiglia (c'erano altri cinque figli), fino a quando non morì anch'essa. I ragazzi vennero dispersi e affidati a diversi parenti, ma, grazie ad alcuni di essi, Bengt però poté studiare e laurearsi in filosofia all'università di Lund, dove insegnò per qualche tempo. Fin da studente, incominciò a raccogliere documenti sulla storia svedese, che divenne il suo campo di studi; celebre per la sua erudizione, fu autore di cronache su Carlo IX e su Gustavo Adolfo e di una imponente raccolta di documenti originali. Membro dell'Accademia delle scienze, ne fu per due volte presidente. Affidati a parenti diversi, per qualche tempo Bengt e Peter Jonas furono separati, finché si ritrovarono a Lund, dove il primo all'epoca era professore associato di storia e il secondo si iscrisse all'università sedicenne, ancora incerto sul proprio futuro. Avrebbe potuto diventare prete o avvocato, ma la balbuzie sconsigliava queste carriere basate sulla parola. Fu così che, su consiglio di Bengt, decise di trasferirsi a Uppsala per studiare medicina. Vi arrivò diciannovenne e scoprì la sua vera vocazione, grazie a un professore carismatico, ovvero il grande Linneo. Seguiva le sue lezioni private e pubbliche e partecipava alle celebri escursioni naturalistiche settimanali. Si appassionò di botanica e nel 1750 discusse la tesi preliminare De seminibus muscorum sulle spore dei muschi, eccezionalmente scritta almeno in parte da lui. Forse Linneo, che ne stimava grandemente l'intelligenza e la dedizione allo studio, pensava di farne uno dei suoi apostoli. Organizzò per lui due brevi spedizioni, la prima nel Dalarna, la seconda nel Gotland, con l'incarico di raccogliere coralli e fossili per il conte Tessin (era anche un modo per assicurare qualche guadagno all'allievo, promettente ma senza mezzi). Nelle sue intenzioni, erano forse il preludio a una spedizione nelle Indie Orientali, finanziata dalla regina Lovisa Ulrika, Il progetto però non si concretizzò. Anche se era interessato alle scienze naturali, Bergius desiderava essere soprattutto un medico e fu profondamente influenzato anche dall'altro professore di Uppsala, Rosén von Rosenstein, che indirizzò il suo interesse verso le malattie infettive. Proprio con lui nel 1755 concluse gli studi di medicina con una tesi sul vaiolo. Si trasferì quindi a Stoccolma dove iniziò una carriera medica di straordinario successo. Entrò a far parte del Collegium medicum e nel 1758 fu ammesso all'accademia delle scienze, di cui fu presidente tre volte. Nel 1761, quando il Collegium medicum istituì una cattedra di storia naturale e farmacologia, fu chiamato a ricoprirla. Come medico, era stimato e richiestissimo, e ciò gli permise di accumulare una discreta fortuna. La investì nell'acquisto di una residenza estiva, detta Bergielund, con un parco che nel 1777 fu ampliato a sette ettari. C'era ampio spazio per la biblioteca e la collezione di documenti di Bengt e per l'erbario di Peter Jonas che trasformò il parco in un vero e proprio orto botanico e in un giardino modello, soprattutto per gli alberi da frutto. Nei loro rispettivi campi, i due fratelli erano eruditi e scrittori prolifici. Si influenzarono anche a vicenda; grazie al fratello minore, Bengt incominciò ad interessarsi di agricoltura (scrisse, tra l'altro una memoria sulla gestione dei prati e delle erbe foraggere), mentre Peter Jonas non rifuggiva dal dare una dimensione storica ai suoi scritti di medicina, come la sua prolusione all'Accademia delle scienze in cui mise a confronto la Stoccolma dei suoi giorni con quella di duecent'anni prima. Peter Jonas Bergius scrisse molto sia di medicina sia di botanica. Come medico fu tra gli iniziatori in Svezia dell'inoculazione del vaiolo, suggerendo anche misure legislative per estenderne la pratica; scrisse anche diverse memorie sull'argomento. Tra le sue opere mediche più importanti, uno studio commissionatogli dal Collegium medicum sulle cause dei decessi tra il 1754 e il 1756, che è considerato l'esordio dell'epidemiologia descrittiva in Svezia. A cavallo tra medicina e botanica si situa Materia medica (1778) in cui descrisse 571 erbe medicinali usate nella farmacologia svedese dell'epoca. Tra le opere di agronomia, la più importante è un "Discorso sui frutteti e la loro promozione nel nostro Regno", che può essere considerato un vero e proprio manuale pratico di frutticoltura, basato anche sulle sue esperienze a Bergielund. Non aveva mai cessato di corrispondere con Linneo (di cui era corrispondente anche il fratello) e, su sua influenza, a interessarsi di piante esotiche. Pubblicò una trentina di lavori di botanica, per lo più dedicati ad esse. Il più importante è Descriptiones plantarum ex Capite Bonæ Spei (1767), basata su una collezione di piante sudafricane ricevuta da Michael Grubb, futuro direttore della Compagnia svedese delle Indie Orientali. Bergius vi istituì 14 nuovi generi (9 dei quali tuttora validi) e descrisse 130 specie inedite, tra le quali potremmo citare almeno Erica verticillata, Dilatris corymbosa, Disa uniflora, Pelargonium crispum. Si tratta di un notevole contributo alla conoscenza delle piante sudafricane, ma soprattutto della prima opera su questa flora pubblicata posteriormente a Species plantarum, che come è noto segna il punto di partenza delle denominazioni botaniche. Nello stesso torno di tempo, Linneo stava scrivendo Mantissa plantarum [prima], che contiene un certo numero di piante sudafricane, alcune delle quali coincidono con quelle pubblicate da Bergius; ma poiché la sua opera uscì un mese dopo quella dell'allievo, in caso di conflitto ad essere valide sono le denominazioni di quest'ultimo. La collezione di Grubb costituì il primo nucleo dell'erbario di Bergius che, costantemente arricchito con acquisti e donazioni, giunse a comprendere 9000 specie. E' di notevole importanza storica perché contiene molti tipi di piante descritte dallo stesso Bergius e dai botanici che si succedettero nella fondazione da lui istituita. Provengono soprattutto dal Sudafrica, dall'America tropicale, dall'Oriente, dalla Cina e dalla Siberia. L'altra grande opera botanica di Bergius è il suo stesso giardino. Su stimolo di Linneo, nel 1753 il Collegium Medicum aveva istituito un giardino presso l'Ospedale Seraphim, dove venivano coltivate soprattutto le piante medicinali destinate all'ospedale stesso; nel 1761, dopo la sua nomina a professore, la direzione venne affidata a Bergius che lo ampliò trasformandolo in un vero orto botanico sul modello di quello di Uppsala. Per motivi finanziari, il giardino fu chiuso nel 1774, ma l'esperienza fu utile a Bergius per l'orto botanico che creò Bergielund. Negli ultimi anni della loro vita, i fratelli, scapoli e senza eredi, incominciarono a preoccuparsi della sorte del giardino e delle collezioni. Stabilirono di comune accordo di lasciarle all'Accademia della scienze, insieme a un cospicuo lascito. Il primo a mancare nel 1784 fu Bengt, lasciando in custodia al fratello superstite la biblioteca e la raccolta di manoscritti, che comprendeva un gran numero di lettere e documenti pubblici e privati. Peter Jonas lo seguì nel 1790. Il suo testamento legava all'Accademia quasi l'intero patrimonio suo e del fratello (che, oltre a un capitale liquido, comprendeva anche una ricca miniera), la biblioteca con i documenti - con la condizione, voluta da Bengt, non fossero resa disponibili per la ricerca prima di cinquant'anni -, l'erbario, la proprietà di Bergielund. Inoltre espresse la volontà che nel giardino venisse istituita una scuola di orticoltura e che a presiedere l'orto botanico fosse uno studioso a cui l'erbario e la biblioteca avrebbero offerto opportunità di ricerca. Indicò anche il nome della persona ideale in Olof Swartz. Nel 1791 le ultime volontà di Peter Jonas Bergius si tradussero nella creazione di una Fondazione e nella nascita ufficiale dell'Hortus Bergianus (Bergianska trädgården), amministrato congiuntamente dall'Accademia reale svedese delle scienze e dall'Università di Stoccolma. A dirigerlo il Professor Bergianus. Con la sua singolare commistione tra fattoria modello, orto botanico e istituto di ricerca, da allora avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella storia della botanica svedese. ![]() Piante anfibie Nel 1771, in Mantissa plantarum altera, Linneo dedicò al suo vecchio allievo il genere Bergia; purtroppo all'epoca non aveva più l'abitudine di indicare le ragioni delle sue dediche, ma è molto probabile che pensasse all'opera di Bergius sulla flora del Capo di Buona Speranza, visto che come unica specie indicò B. capensis, scrivendo "habitat in Capite Bonae Spei". In realtà, l'informazione è errata: questa specie, di ampia diffusione in altre zone dell'Africa, in Sudamerica, nell'Asia occidentale e centrale, in India, in Indocina, proprio in Sudafrica non c'è, al punto che è stato anche suggerito di sostituirla come specie tipo (cosa non possibile secondo le regole vigenti). Bergia è uno dei due soli generi della famiglia Elatinaceae (l'altro è Elatine); comprende circa trenta specie distribuite nel nord America, nelle Antille, in gran parte dell'Africa, l'Asia tropicale e subtropicale e l'Australia, con due centri di diversità, in Africa e in Australia. Sono erbacee annuali o perenni o suffrutici; possono essere sia terrestri sia acquatiche, e alcune si adattano ad entrambi gli ambienti: ad esempio, B. capensis quando cresce in acqua sviluppa radici verdi e fluttuanti che producono fotosintesi; quando cresce in terra, ha radici bianche, forti e ramificate. Sono dunque definite erbe anfibie. L'ambiente tipico sono aree stagionalmente allagate. Sono piante solitamente di piccole dimensioni. I fusti possono essere eretti o prostrati, molto ramificati; hanno foglie opposte, con margini serrulati, e numerosi fiori, raccolti in cime ascellari o raggruppati alle ascelle fogliari, per lo più minuscoli. I frutti sono piccole capsule che contengono semi oblunghi, lievemente ricurvi. Sempre più frequentemente troviamo donne alla testa di istituzioni come orti botanici e erbari centrali. Per fare solo qualche esempio, nel 2018 Carrie Rebora Barratt è diventata la prima presidente dell'orto botanico di New York e nel 2023 Gillian Brown la prima direttrice dell'erbario del Queensland. I casi sono moltissimi anche in Italia, da Consolata Siniscalco, direttrice dell'orto botanico di Torino dal 2012 a Barbara Baldan, prefetto dell'orto botanico di Padova dal 2015, e a Lucia Amadei, curatrice del Museo botanico dell'orto botanico di Pisa. In Svezia, ci sono voluti 223 anni perché una donna ricevesse il prestigioso titolo di Professor Bergianus, che all'epoca comportava anche la direzione dell'Hortus Bergianus. E' Birgitta Bremer, tassonomista specializzata nella famiglia Rubiacae, a cui appartiene anche il genere che la celebra, Bremeria. ![]() Una ricercatrice all'avanguardia Nel 1790, con il suo testamento il medico Peter Jonas Bergius donò all'Accademia delle scienze svedese l'orto botanico che aveva creato insieme al fratello Bengt, all'epoca concepito come parte di una scuola orticola; stabilì anche che le attività di formazione e ricerca fossero dirette da un professore che avrebbe "lavorato nella storia naturale, in particolare nella botanica, per la crescita e il progresso della scienza". L'anno successivo nacque così la Fondazione Bergius e venne creata la prestigiosa cattedra di botanica presso l'Università di Stoccolma nota come Professor Bergianus. Il titolare avrebbe dovuto congiungere la ricerca con la direzione del Bergianska trädgården o Hortus Bergianus, amministrato congiuntamente dall'Accademia reale svedese delle scienze e dall'Università di Stoccolma. Così è stato per 223 anni, fino al 2014, quando è stato deciso di separare i due incarichi. L'ultima persona a ricoprire entrambi i ruoli è stata la botanica Birgitta Bremer (nata nel 1950), nominata Professor Bergianus nel 2002, nona titolare e prima donna, dopo otto illustri colleghi. La nomina ha segnato il culmine di una brillante carriera accademica. Bremer è una tassonomista; si è formata presso l'Università di Stoccolma, dove nel 1980 ha conseguito il dottorato in botanica con una tesi sulla tassonomia di un genere di muschi. Ha quindi immediatamente iniziato a insegnare presso la sua alma mater, prima come assistente poi come lettrice di botanica sistematica. Nell'anno accademico 1985-1986 è stata ricercatrice associata presso il Missouri Botanical Garden. Ha poi proseguito la carriera presso l'università di Uppsala, prima come lettrice di biologia, poi come capo del dipartimento di botanica sistematica, infine come titolare della cattedra di sistematica molecolare delle piante. E' stata professor Bergianus, capo della Bergius Foundation, prefetto dell'Hortus Bergianus e capo del dipartimento di sistematica vegetale dal 2002 al 2014. Le ricerche di Bremer riguardano soprattutto le piante tropicali e subtropicali; ha partecipato a spedizioni in Sri Lanka, Malesia, Indonesia, Ecuador, Sudafrica, Africa orientale e Madagascar. Anche se ha studiato anche altri gruppi di angiosperme, approfondendo i sistemi di impollinazione, i modi di dispersione, le forme e i tassi di diversificazione, il suo campo di specializzazione è la grande famiglia delle Rubiaceae, di cui ha studiato le relazioni filogenetiche, i meccanismi di speciazione, le relazioni ecologiche con i diversi ambienti. Nei suoi studi ha combinato le analisi morfologiche e i dati molecolari; è stata una delle prime in Svezia a introdurre i metodi di biologia molecolare nella botanica sistematica. Ha pubblicato, da sola o in collaborazione, oltre 175 articoli. Dal 2009, è membro dell'Accademia svedese delle scienze. Durante la sua carriera, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, il più prestigioso dei quali è indubbiamente la medaglia d'oro Linneo, assegnatale nel 2014 dall'Università di Uppsala per essere riuscita a conciliare la ricerca, la responsabilità accademica e la direzione di un grande orto botanico. Un compito difficile, tanto è vero che, come ho anticipato, dopo il suo pensionamento nel 2014, l'Accademia delle scienze ha deciso di svincolare il Professor Bergianus dalla direzione dell'orto botanico, considerando orami impossibile conciliare la ricerca con le responsabilità amministrative e didattiche. Come professore aggiunto dell'Università di Stoccolma, il Professor Bergianus può ora dedicarsi interamente alla ricerca, senza altri compiti; che la decisione non sia stato semplice lo dice il fatto che la posizione è rimasta vacante per ben otto anni. Solo nel 2022 la micologa Hanna Johannesson è divenuta la decima titolare. Curatrice dell'orto botanico è stata nominata Gunvor Larsson, che in precedenza era stata la botanica responsabile della serra della Victoria amazonica per un ventennio. Il pensionamento di Birgitta Bremer (che è comunque rimasta attiva come ricercatrice e membro di vari comitati) ha dunque segnato la fine di un'era, con la definitiva separazione della ricerca e della gestione dell'orto botanico. ![]() Il genere Bremeria Tra i suoi numerosi lavori dedicati alla sistematica delle Rubiaceae, nel 1998 Bremer pubblicò, insieme a Mats Thulin, un importante studio in cui veniva ristabilita la tribù Mussaendeae come gruppo monofiletico; le loro conclusioni sono state confermate nel 2005 da un équipe internazionale formata da Alejandro, Razafimandimbison e Liede-Schumann, che ha ulteriormente delimitato Mussaenda, restringendolo alle specie africane e asiatiche, e ha creato il nuovo genere Bremeria per accogliere le specie dell'Oceano Indiano, ovvero malgasce e delle isole mascarene. Come caratteri distintivi vengono indicati la disposizione degli elementi florali nella gemma e gli stili densamente pubescenti. Bremeria Razafim. & Alejandro comprende 18 specie, 17 malgasce, una (B. landia) endemica di Mauritius e Réunion. Vivono nelle foreste sempreverdi umide e subumide. Sono arbusti o alberi di medie dimensioni, con foglie opposte, solitamente pubescenti e talvolta scabre. I fiori sono solitamente uniti in infiorescenze panicolate terminali, talvolta ridotte a un singolo fiore. Questi ultimi in genere sono grandi, con un tubo calicino variamente peloso, corolla imbutiforme con lungo tubo e cinque (talvolta sei) lobi, da bianca a rosata, o, in B. landia, verde alla base e all'apice e rossastra in mezzo. I frutti sono grandi drupe o bacche carnose, coronate dai lobi persistenti del calice; contengono molti semi. La specie delle Mascarene è nota fin dal Settecento, quando fu descritta da Poiret come Mussaenda landia; il nome locale è Quinquina Pays, ovvero albero della china del paese. Appartiene infatti alla stessa famiglia della Cinchona ed è raccolta dagli erboristi per le sue proprietà astringenti, toniche e febbrifughe. Cresce dal livello del mare fino a circa 1000 metri; ha un tronco diritto e poco ramificato, tranne in alto. E' oggi rara; viene talvolta piantata in parchi e giardini per la bellezza dei suoi fiori, piacevolmente profumati. Nel 2009 è stata immortalata in un francobollo di Mauritius. Situata all'estremo confine nordorientale del paese e delimitata dai bacini dei fiumi Paraná, che la separa dal Paraguay, e Uruguay, che la separa da Uruguay e Brasile, la provincia argentina di Corrientes è caratterizzata da una flora estremamente ricca e varia. Al suo studio ha dedicato tutta la sua vita la botanica Sara Graciela Tressens, sia con le sue ricerche sul campo sia con le sue numerose pubblicazioni. A onorarla è Tressensia, un genere monotipico endemico delle foreste di quella provincia. ![]() Studiare la flora locale La parola Mesopotamia evoca immediatamente una delle culle della civiltà, il territorio posto tra i due fiumi Tigri ed Eufrate dove fiorirono le civiltà sumerica, assira, babilonese. Ma c'è un'altra Mesopotamia, un'altra terra posta tra i fiumi: è la Mesopotamia argentina, e i fiumi in questione non sono due, ma tre: il Paraná ad ovest, l'Uruguay ad est e l'Iguazú a nord. Essa costituisce il settore più orientale del Nordeste argentino ed è divisa tra tre provincie: Misiones all'estremo nordest, Corrientes a nord e Entre Ríos a Sud; la ricchezza di acque e il clima subtropicale ne fanno uno scrigno di biodiversità. Corrientes, capitale della provincia omonima, è sede di un importante istituzione botanica, l'Instituto de Botánica del Nordeste (IBONE), presso la Facoltà di scienze agrarie dell'Universidad Nacional del Nordeste (UNNE), e del suo erbario, noto con l'acronimo CTES. Tra i ricercatori che hanno animato l'IBONE fin dalla fondazione troviamo la botanica Sara Graciela Tressens; nata nel 1944, e oggi ottantenne. continua a figurare nell'organico dell'istituto come "ricercatrice volontaria". Tressens è nata a Mercedes, una cittadina della medesima provincia; si è quindi trasferita a Corrientes per frequentare l'università. Nel 1966, ventiduenne, si è laureata in biologia presso la facoltà di scienze esatte e naturali, per poi ottenere la laurea di secondo livello in botanica nel 1972. Fin da questi anni universitari, ha fatto parte del gruppo di ricerca fondato intorno al 1966 da un'eccezionale coppia di docenti e studiosi, l'agronomo Antonio Krapovickas e sua moglie, la botanica Carmen Lelia Cristóbal, che sarebbe sfociato nell'IBONE, nato ufficialmente nel 1977. Allieva di Cristóbal, Tressens ne ha assorbito il metodo di lavoro e l'entusiasmo per la flora locale; dopo la laurea, è rimasta a lavorare all'Universidad Nacional del Nordeste, dove si è svolta tutta la sua carriera accademica (docente associata dal 1980, titolare ad interim dal 1988, ordinaria dal 1990, libera docente dal 2005 al 2007); come docente, ha seguito le tesi di innumerevoli studenti e ha partecipato attivamente a conferenze e simposi in Sud America e in Spagna. L'altro versante della sua attività è quello della ricerca. Tra il 1986 e il 1999 ha preso parte a numerosi progetti sostenuti dall'equivalente argentino del CNR, il CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas), spesso a fianco di Krapovickas. Nel 1990 è stata nominata ricercatrice aggiunta del CONICET presso l'IBONE. Soprattutto negli anni '90, ha diretto team di ricerca in varie aree dell'Argentina settentrionale. Studiosa della flora del Nordeste e dell'ecologia degli ambienti subtropicali umidi, da sola o più spesso con vari coautori, ha pubblicato una trentina di articoli su argomenti che spaziano dalle piante medicinali, alla tassonomia di generi di varie famiglie, alla pubblicazione di specie nuove. Ha collaborato a diverse opere sulla flora del Nordeste e a Flora of Argentina del Missouri Botanical Garden con capitoli sulle Lauraceae e le Sapotaceae. E' coautrice di Flora Iberá con un'altra botanica dell'università di Corrientes e dell'IBONE, María Mercedes Arbo. Pioniera dell'applicazione delle tecnologie informatiche alla botanica, ha partecipato alla creazione di una base di dati della flora dell'Iberá. Tra i suoi vari ruoli istituzionali, quello di curatrice aggiunta dell'erbario CTES, prima affiancando Carmen Lelia Cristóbal, poi sostituendola per un breve periodo dopo il pensionamento della sua maestra. Dal 2003 al 2009 ha diretto "Bonplandia", la rivista dell'IBONE. ![]() Endemismi di Corrientes Quella di Sara Graciela Tressens è una carriera accademica e scientifica lenta e senza scosse, che sembrerebbe testimoniare una raggiunta parità. In realtà, non è proprio così. In Argentina le ragazze costituiscono il 66% delle matricole universitarie e il 54% dei ricercatori sono donne. Tuttavia mano a mano che avanza il livello della carriera scientifica e accademica, la presenza femminile si riduce: sono circa il 27% sia tra i ricercatori di livello superiore sia nei ruoli di autorità delle organizzazioni scientifiche e tecniche. Dunque, sebbene non più eccezionale, una carriera come quella di Tressens è ancora un caso minoritario. D'altra parte, la studiosa argentina è una delle pochissime botaniche viventi a potersi fregiare della dedica di un genere botanico valido, che nel 2017 è venuta ad aggiungersi a quella di due endemismi di Corrientes, Ruehssia tressensiae e Sida tressensiae. La dedica arriva da un ricercatore dell'IBONE con cui spesso ha collaborato e può essere considerata una specie di oscar alla carriera: "Genere dedicato alla dottoressa Sara G. Tressens, botanica originaria della provincia di Corrientes, che ha fatto parte del gruppo di ricercatori che hanno fondato l'erbario CTES e l'Instituto de Botánica del Nordeste". Del resto, lo stesso anno ricorreva il quarantennale della fondazione dell'IBONE, e Tressens è stata una dei sei pionieri premiati in quell'occasione (quattro uomini e due donne; l'altra è la già citata María Mercedes Arbo). Tressensia è un genere monotipico della famiglia Apocynaceae, rappresentato unicamente da T. viridis, una rampicante volubile rinvenuta in frammenti di selva e boschi ripari dell'estremità nordorientale e sudorientale della provincia di Corrientes. L'eponimo fa riferimento al colore verde dei fiori. Caratteristica di ambienti umidi ed endemica di questa provincia, è una dedica perfetta per celebrare la carriera quarantennale di Sara Graciela Tressens. E se, per una volta, invece di parlare di botanici maschi morti, scrivessi di botaniche vive? Ecco allora un breve ritratto della statunitense Charlotte M. Taylor, grande studiosa dei generi Psychotria e Palicourea e più in generale delle Rubiaceae dell'America tropicale. Cui appartiene anche l'anagrammatico Tromlyca. ![]() Dare un nome alle piante Nel 2018 su "Taxon" uscì il primo articolo dedicato a un'analisi statistica del contributo delle donne alla pubblicazione di nomi botanici; le autrici, basandosi sui dati di International Plant Names Index (IPNI), che registra tutte le 624,682 specie descritte come nuove per la scienza tra il 1753 e il 2013, hanno verificato che solo il 3% è stato pubblicato da donne. La prima in assoluto fu la botanica e pittrice Elizabeth Blackwell nel 1757 con Amomum verum Blackw. Nell'Ottocento, il contributo femminile rimase episodico e solo all'inizio del Novecento toccò l'1% dei nomi pubblicati, per poi crescere lentamente nel corso del secolo, toccando il 10% negli anni '90. La percentuale attuale è appena sotto il 12%. Dei 500 autori di nomi di piante più produttivi, solo otto sono donne. La più produttiva di tutte fu la sudafricana Margaret Louisa Bolus (1877-1970), che pubblicò 1,494 nuove specie, seguita da Olive Mary Hilliard (1925-2022) dell'orto botanico di Edimburgo con 522. La terza è ancora in attività: è la statunitense Charlotte Morley Taylor, nata nel 1955: nel corso della sua carriera quarantennale, ne ha pubblicate più di 500. Sarà dunque lei la prima delle botaniche viventi e se possibile in attività alle quali ho deciso di dedicare i post di questo mese. Come ha raccontato lei stessa, l'interesse per le scienze naturali, è nato in famiglia, grazie ai suoi genitori, appassionati bird watcher; tuttavia, ha scelto la botanica che le offriva maggiore libertà di ricerca. Si è formata presso l'Università del Michigan, per poi conseguire il dottorato (PhD) presso la Duke University di Durham (North Carolina). Contemporaneamente, insegnava al Colegio Universitario de Cayey a Puerto Rico. Ha avuto così modo di studiare dal vivo la flora centro americana; come risultato della ricerca post-laurea, ha pubblicato una revisione del genere Monnina (Poygalaceee) in America centrale e un sommario del genere Palicourea (Rubiaceae). E proprio a questo genere, di cui poi è diventata una grande specialista, appartiene la prima specie da lei pubblicata (1984), P. spathacea. Dopo aver lavorato per tre anni all'università del Porto Rico, dal 1990 è entrata al Missouri Botanical Garden di cui oggi è curatrice; è inoltre professoressa associata dell'università del Missouri-St Louis e ricercatrice associata del National Tropical Botanical Garden (Hawaii). Il campo privilegiato delle sue ricerche è la grande famiglia delle Rubiaceae, cui appartengono piante economicamente importanti come quelle da cui si ricava il caffè e il chinino, ma soprattutto alcuni dei generi con il maggior numero di specie del regno vegetale, in particolare Psychotria e Palicourea. In un'intervista ha così spiegato il suo fascino per questi generi: "Hanno una vasta gamma di dimensioni e colori dei fiori, e modi di presentarli, così la varietà di forme non finisce mai; la maggior parte delle specie ha fiori vistosi che vengono impollinati dai colibrì, che sono belli e affascinanti". Il suo lavoro parte dall'osservazione dei campioni d'erbario e prosegue sul campo; le sue ricerche l'hanno portata in gran parte del centro America, ma anche in Perù, Cile e Bolivia. Ama viaggiare in paesi tropicali ricchi di biodiversità, collaborare con altri botanici e gustare cibi diversi; la gioia maggiore è però trovare piante che non riesce a identificare perché sono nuove per la scienza e non hanno ancora nome. Una gioia che, come abbiamo visto, si è ripetuta finora non meno di 500 volte. Oltre a numerosi studi sui generi delle tribù Palicoureeae e Psychotrieae, ha collaborato per la trattazione delle Rubiaceae a numerose flore dell'America centrale e meridionale (ma anche della Cina); insieme al marito Roy Emile Gereau (uno specialista della flora dell'Africa orientale), ha inoltre pubblicato relazioni sulle comuni spedizioni botaniche in America centrale. Per conoscerla più da vicino, niente di meglio che la bella intervista di Carlos A. Ordóñez-Parra, da cui emergono, da una parte, tutta la sua passione, dall'altro il suo rigoroso metodo di lavoro. ![]() Un nome anagrammatico Diverse piante rendono omaggio a Charlotte Taylor: Lepidium tayloriae, Palicourea tayloriae, Rondeletia tayloriae, Rudgea tayloriae, Breonia tayloriana, Randia tayloriana. Mancava però un genere. A rimediare ha pensato il botanico ungherese Attila Borhidi; ma quale nome usare (Taylor è un cognome comunissimo e esistevano già Tayloria, Tayloriella, Tayloriophyton)? Borhidi così ha pensato a un anagramma: da C. M.Taylor ha ricavato l'enigmatico Tromlyca (gli enigmi, le cacce al tesoro piacciono alla dedicataria). Non c'è quasi bisogno di dire che il nuovo genere appartiene alla famiglia Rubiaceae, tribù Palicoureeae; la sua unica specie, T. locellata, era in effetti stata descritta in precedenza proprio da Charlotte Taylor come Palicourea locellata. Si tratta di un endemismo delle foreste umide della Cordillera Oriental delle Ande colombiane; è un arbusto o un piccolo albero che si distingue da Palicourea per varie caratteristiche ed in particolare per la peculiarità delle stipole e dei frutti (pireni). Al servizio della celebre firma Veitch, il cacciatore di piante Richard Pearce fu il protagonista di due fruttuosissime spedizioni in America latina. Tra i suoi tanti contributi, la scoperta in Bolivia e Perù di tre specie di begonie tuberose che, nelle abili mani degli ibridatori dei Veitch, divennero le antenate di quelle che ogni estate arricchiscono i nostri balconi. Lo ricorda il genere Pearcea della famiglia Gesneriaceae. ![]() Un fruttuoso viaggio in Sudamerica Se, come me, avete un balcone ombroso, con le loro lunghissime e coloratissime fioriture non ci sono piante più facili e generose delle begonie tuberose ibride Begonia x tuberhybrida. Alla loro origine ci sono tre specie scoperte in Bolivia e Perù dal cacciatore di piante Richard Pearce (ca. 1835-1868). Intorno al 1858, dopo aver lavorato per qualche tempo come giardiniere per il vivaio Potney di Plymouth, passò al servizio del celebre vivaio Veitch. Questa firma era stata la prima ad impiegare propri raccoglitori, inviando fin dagli anni '40 i fratelli Lobb alla ricerca di piante da lanciare sul mercato. Limitandoci alle Americhe, particolarmente lucrosi erano stati gli invii di William Lobb dal Cile, con la massiccia raccolta di semi di Araucaria araucana, e dalla California, con la scoperta e l'introduzione di Sequoiadendron giganteum. Tuttavia dopo il 1854 Lobb aveva gradualmente interrotto i rapporti con i Veitch fino a interromperli del tutto, ed era urgente trovare un raccoglitore altrettanto abile che lo sostituisse. La scelta cadde appunto su Pearce che all'epoca lavorava in uno dei vivai della famiglia a Mount Radford. Nel febbraio 1859 partì per Valparaiso con un contratto di tre anni alla ricerca di "piante, semi, conchiglie terrestri e altri oggetti di storia naturale". Come era abitudine della casa, aveva precise istruzioni su cosa cercare: in primo luogo, la Cupressacea Libocedrus tetragona, all'epoca ritenuto l'albero da cui si ricavava il pregiato legname di Alerce; poi Lapageria rosea e la sua varietà bianca, Araucaria imbricata e altre piante rustiche. Nel 1860 Pearce fece numerose spedizioni lungo la Cordigliera cilena e nelle montagne dell'interno, trovando tutte le piante desiderate, ma anche molte altre: Prumnopitys elegans, Podocarpus nubigenus, Eucryphia glutinosa, diverse Bomarea, Cavendishia bracteata, Ourisia coccinea, Ourisia pearcei. Ma soprattutto scoprì che il legname di Alerce non si ricava da Libocedrus tetragona, ma da Fitzroya cupressoides, che nella regione patagonica, da lui scrupolosamente visitata, formava vaste foreste. All'inizio del 1862 lasciò il Cile e si imbarcò alla volta del Perù e della Bolivia, alla ricerca di piante da serra e con belle foglie. Si spostò quindi in Ecuador. Frutto di questa tappa del viaggio, un eccellente invio da Cuenca che comprendeva Befaria ledifolia, Lisianthus magnificus, Calceolaria ericoides e diverse specie di Tacsonia. Infine si imbarcò a Guayaquil con sei grandi scatole di Ward che contenevano tra l'altro una bella collezione di Marantaceae, tra cui Calathea veitchiana (sin. di Goeppertia veitchiana). ![]() La seconda spedizione e le begonie Il viaggio era stato estremamente fruttuoso e James Veitch & Sons propose immediatamente a Pearce un secondo contratto triennale. Questa volta avrebbe dovuto recarsi direttamente a Lima e da lì spostarsi verso zone ancora poco battute, secondo le istruzioni scritte che avrebbe via via ricevuto. Egli visitò il Perù, l'Ecuador e la Bolivia, dove raccolse tra l'altro Aphelandra nitens e Sanchezia nobilis. Passò poi in Argentina per battere la provincia di Tucuman, dove trovò diverse interessanti piante da serra, tra cui Nierembergia rivularis e N. veitchii, Palaua flexuosa, Mutisia decurrens e diverse varietà di Peperomia, Ritornò poi a La Paz, da dove spedì ancora alcune specie di Hippeastrum. Riprese poi ad esplorare le Ande boliviane e peruviane, dove fece le scoperte a cui poi il suo nome è rimasto più legato: oltre alla bella Masdevallia veitchiana, detta il "re delle Masdevallie" per le enormi dimensioni della sua infiorescenza e il colore acceso, tre specie di begonia, scoperte in Bolivia tra il 1864 e il 1866: Begonia boliviensis, B. pearcei e B. veitchii. Rientrò poi in Inghilterra. Essendo terminato il suo contratto, lasciò i Veitch, tornò a Plymouth e si sposò. Non resistette però a lungo alla vita sedentaria. Nel 1867 fu contattato da un altro vivaista, William Bull, il cui vivaio di Kings Road a Chelsea era specializzato in piante tropicali e in particolare di orchidee; questi gli chiese di tornare in Sudamerica e di raccogliere per lui Masdevallia veitchiana. Pearce accettò e sbarcò a Panama; qui partì alla ricerca di una specie di Cypripedium la cui presenza gli era stata segnalata nei dintorni; non la trovò, ma la vana ricerca gli costò la vita. Fu infatti colpito da febbre gialla e morì il 17 luglio 1867 all'età di 33 anni. Questa la commemorazione di James Herbert Veitch: "come raccoglitore di piante Pearce era uno dei migliori, e la sua morte prematura fu una grande perdita per il mondo dell'orticoltura". Le sue scoperte però stavano già imprimendo una svolta nella storia dell'ibridazione delle begonie. Nel 1868 John Seden, uno degli ibridatori di Veitch, incrociando Begonia boliviensis (inviata da Pearce nel 1864) con un'altra specie sconosciuta, ottenne Begonia × sedenii, la prima begonia tuberosa ibrida nota, con grandi fiori rossol magenta. Continuò poi il suo lavoro incrociando B. boliviensis con le altre specie scoperte da Pearce, producendo la prima B. x tuberhybrida. Il suo successo aprì la strada ad altri ibridatori. Nel 1874 l'incrocio tra B. × sedenii e la sudafricana B. dregei produsse B. 'White Queen', la prima begonia tuberosa bianca. Intorno al 1880, il grande ibridatore francese Victor Lemoine incrociando B x sedenii, B. veitchii e B. pearcei ottenne la prima begonia tuberosa doppia, 'Gloire de Nancy'. Intanto alle begonie introdotte da Pearce se ne aggiungevano altre: B. froebelii, spedita nel 1874 al vivaio Froebel di Zurigo dall'Ecuador; B. davisii, raccolta in Perù e introdotta nel 1877 da un altro cacciatore di piante della scuderia Veitch, Walter Davis; insieme alla già nota B. cinnabarina ed altre specie andine, anch'esse entrarono nel pedigree di B. x tuberhybrida. Nel 1894, quando Voss la ufficializzò, le varietà erano già molte decine . ![]() Un piccolo gioiello dalle Ande L'importanza delle raccolte di Pearce è testimoniata dalle numerose specie del Sud America che portano il suo nome, non meno di una quarantina; oltre a Begonia pearcei, vorrei ricordare almeno la spettacolare orchidea Phragmipedium pearcei. Anche il genere che celebra questo solerte e sfortunato cacciatore di piante viene dal Sudamerica e risale a una delle sue raccolte; la prima specie nota, inizialmente classificata da Hooker come Gloxinia hypocyrtiflora, fu infatti raccolta da Pearce nel 1866 sui monti della regione di Quito. A lungo a questo genere (famiglia Gesneriaceae) è stata assegnato un'unica specie, appunto Pearcea hypocyrtiflora; in seguito ad analisi molecolari ha però assorbito il genere Parakohleria ed alcune specie precedentemente assegnate a Kohleria; inoltre sono state scoperte altre specie, e ora ne comprende tra 17 e 19. E' distribuito sulle pendici andine orientali, dalla Colombia settentrionale alla Bolivia nordoccidentale attraverso il Perù e l'Ecuador, dove vive in una varietà di habitat, dalle foreste pluviali di bassa quota (attorno ai 700 metri) alle foreste nebulose (attorno ai 2500 metri), anche se sono le prime ad essere particolarmente ricche di specie. Piuttosto affine a Kohleria, è caratterizzato da foglie vellutate, e piccoli fiori urceolati (cioè a forma di urna, rigonfi alla base e ristretti alla gola), da gialli a rossi, presumibilmente impollinati da colibrì. La specie più nota e coltivata è Pearcea hypocyrtiflora con belle foglie verde scuro con nervature verde chiaro o rosate e fiori arancio con apice magenta rigonfi come palloncini. Di piccole dimensioni, è adatta alla coltivazione in terrario. Il tassonomista francese Adrien Franchet è stato uno dei maggiori studiosi della flora cinese e più in generale dell'Estremo Oriente. Eppure non ha mai messo piede né in Cina né in altri paesi dell'Asia orientale. Sono state piuttosto le piante cinesi a venire da lui, sotto forma di esemplari d'erbario spediti soprattutto dai missionari delle Missions Etrangères de Paris. Quando aveva ormai superato la quarantina, fu assunto al Museo di scienze naturali di Parigi per classificare le piante di Armand David; poi arrivarono quelle di Delavay, Farges, Soulié ed altri, moltissime delle quali inedite. Fu così che Franchet classificò e descrisse migliaia di nuove piante acquisendo una conoscenza senza pari della flora di quei paesi che mai aveva visto di persona. Lo ricorda, immancabilmente, una pianta cinese, Sinofranchetia chinensis. ![]() Dalla flora della valle della Loira a quella giapponese Come ho raccontato in questo post, il missionario francese Armand David tra il 1866 e il 1874 fece tre spedizioni in Cina, dalle quali inviò ingenti materiali al Museo di scienze naturali di Parigi. Per quanto riguarda le piante, si trattava di migliaia di esemplari d'erbario da esaminare, classificare e pubblicare, considerando che in una notevole percentuale erano nuove per la scienza. Nel 1880, Édouard Bureau, professore di botanica del Muséum, decise di affidare il lavoro al botanico Adrien René Franchet (1834-1900), che aveva attirato la sua attenzione come coautore di un volume sulla flora giapponese; grazie alla sua insistenza, egli fu assunto al Muséum come botanico ausiliario e si mise alacremente all'opera. Lavorando sui materiali raccolti dal padre David e poi da altri missionari attivi in Cina, Giappone e Corea, sarebbe diventato il massimo esperto della flora dell'estremo oriente, anche se non visitò mai di persona nessuno di quei paesi. Franchet era nato a Pezou, un paesino della valle della Loira, non lontano da Blois. Il padre era giardiniere e viticultore, ma morì quanto egli era ancora piccolo. Già era appassionato di piante e a dieci anni iniziò il suo primo erbario; quando ne aveva 12, la madre pensò di collocarlo come apprendista presso un farmacista di Blois. Il ragazzino ne fu felicissimo; si alzava all'alba e, prima di prendere servizio, andava ad erborizzare nella foresta di Russy. Ma ogni giorno gli era più difficile smettere; arrivava al lavoro sempre più in ritardo, finché in capo a un mese la madre lo ritirò e lo mandò a studiare al Petit séminaire de Saint François de Sales di Blois, una scuola secondaria di ottima reputazione che formava sia futuri seminaristi sia allievi laici. Qui seguì i classici studi liceali, ma senza dimenticare la passione per la botanica, cui dedicava il tempo libero. Al termine degli studi, forse pensava di diventare insegnante. Nel 1857 insegnava come supplente al collegio di Pontlevoy. Era un giovane serio e preparato e fu segnalato al marchese Paul de Vibraye, proprietario del castello di Cheverny, che lo assunse come curatore della sua collezione archeologica, geologica e paleontologica. Franchet si trasferì a Cour-Cheverny e divenne il braccio destro del marchese, uno dei pionieri degli studi preistorici in Francia, partecipando anche a scavi archeologici in Dordogna. Mentre la collezione del marchese cresceva (tra quelle private, era una delle più ricche, con decine di migliaia di oggetti tra cui 6000 reperti preistorici), Franchet continuava a dedicare il tempo libero alla botanica; erborizzava a Cheverny e nei dintorni, e accresceva il suo erbario con le raccolte e con gli scambi con altri appassionati. Al momento, si interessava solo di flora locale. Nel 1866 pubblicò il suo primo articolo (uno studio sulla distribuzione delle fanerogame nel dipartimento del Loir-et-Cher) e fu ammesso alla Société botanique. Nel 1868 il suo primo lavoro di sistematica, dedicato al genere Verbascum, incominciò a farlo conoscere negli ambienti scientifici. Più o meno nello stesso periodo cominciò a corrispondere con Ludovic Savatier (1830-1891), che nel 1865 era stato inviato a Yokosuka in Giappone come medico di una missione francese incaricata di costruire un complesso siderurgico, per poi divenire il responsabile sanitario dell'arsenale. Nei dieci anni durante i quali rimase in Giappone (1865-1876) Savatier contribuì allo scambio botanico tra Europa e Giappone sia raccogliendo e facendo raccogliere ai suoi collaboratori piante nipponiche, sia acclimatando piante europee nel paese del Sol Levante, sia soprattutto cercando di colmare la distanza culturale tra la botanica europea e quella nipponica. In Europa erano uscite due opere complessive su quella flora, Flora japonica di Thunberg (1784) e Flora japonica di Siebold e Zuccarini (1835-1848); in Giappone erano disponibili tre opere illustrate, Kwa-wi ("Raccolta di piante") di Shimada Yonan (1759), Honzo Zufu ("Trattato illustrato di botanica") di Iwasaki Tsunemasala (1828) e Somoko Zusetsu ("Illustrazioni e descrizioni di piante") di Jinuma Yokusai (1856). Anche se in quest'ultimo le piante erano organizzate secondo il sistema linneano e talvolta erano dati i nomi latini, non c'era corrispondenza sistematica tra il modo in cui le piante erano presentate in queste opere, con i loro nomi volgari, e la nomenclatura scientifica europea. Sollecitato dai suoi amici giapponesi, Savatier si era proposto di colmare questo gap, in primo luogo traducendo Kwa-wi con l'aiuto del suo allievo Saba, poi con un'opera illustrata che familiarizzasse i botanici nipponici con la nomenclatura e i sistemi di classificazione europei. A tal fine, fece intense raccolte, arricchite dagli invii di residenti europei e collaboratori giapponesi, mettendo insieme un erbario di almeno 1600 specie, di cui un centinaio nuove per la scienza; inoltre fece disegnare numerose tavole botaniche da artisti giapponesi. Non sappiamo esattamente come e quando cominciò la sua amicizia epistolare con Franchet; ci sono rimaste 221 lettere che egli inviò al botanico francese tra l'ottobre 1866 e il 1878 (non possediamo invece le risposte). Nonostante la distanza che rendeva lenti e difficili gli scambi, l'amicizia divenne intensa e a un certo punto Savatier coinvolse Franchet nel progetto; anche se fino ad allora si era occupato solo di piante europee, anzi prevalentemente del suo dipartimento natale, egli accettò, occupandosi da una parte del riscontro con la letteratura botanica europea, dall'altro con qle piante recentemente raccolte dal botanico russo Maximowicz e custodite presso l'orto botanico di San Pietroburgo, di cui poté ottenere i doppioni. Il risultato del lavoro a quattro mani fu Enumeratio plantarum: in Japonia sponte crescentium, in due volumi, usciti tra il 1875 e il 1879 a spese dello stesso Savatier, che con suo rammarico a causa dei costi dovette rinunciare a inserirvi le illustrazioni. Come leggiamo nella prefazione, voleva essere un manuale pratico: "Questo lavoro è stato redatto su richiesta dei botanici giapponesi e nella forma che essi stessi hanno indicato come più adatta a facilitare la ricerca e la conoscenza delle piante del loro paese". Le piante (circa 2600) sono organizzate in famiglie, generi e specie e per ciascuna specie sono dati i riferimenti alla letteratura botanica europea, l'eventuale riferimento alla letteratura botanica e iconografica nipponica, l'habitat, la distribuzione, il nome giapponese. Nel secondo volume, oltre all'aggiunta di specie segnalate nel frattempo fino al 1877, vengono date la diagnosi delle specie descritte per la prima volta (circa 400), chiavi per il riconoscimento di numerosi generi e una bibliografia aggiornata sulla flora nipponica. Non si tratta ovviamente di una flora completa del Giappone, ma è di notevole valore; sul piano storico, inoltre, fu la prima ad essere pubblicata dopo l'apertura delle frontiere agli stranieri. Per Franchet, cui si deve probabilmente gran parte del lavoro tassonomico, fu l'iniziazione alla flora dell'Asia orientale e, come ho anticipato, il biglietto d'ingresso al Museo di scienze naturali di Parigi. ![]() Pubblicare le piante dei missionari Nel 1880 il marchese di Vibraye morì e Franchet, dopo più di vent'anni al suo fianco, si trovò all'improvviso disoccupato; accettò dunque di buon grado la proposta di Bureau e nel 1881 si trasferì a Parigi. Da quel momento avrebbe lavorato al Muséum fino alla morte, prima come botanico aggiunto, poi dal 1886 come ripetitore presso il laboratorio di Alti Studi della cattedra di botanica, per le classi di classificazione e famiglie naturali. Di fatto fu distaccato all'erbario e si specializzò nella flora dell'estremo oriente. Il suo primo compito fu occuparsi delle piante inviate dal padre David, che dal 1875 viveva a Parigi nella casa madre del suo ordine. Gli era dunque possibile consultare il raccoglitore in persona, con il quale nacque anche un'amicizia personale. Nacquero così i due volumi di Plantae davidianae ex sinarum imperio, pubblicati tra il 1884 e il 1888, il primo dedicato alle piante raccolte in Mongolia e nella Cina centrale, il secondo a quelle del Tibet orientale. Quest'ultimo è certamente il più importante, sia per il gran numero di specie nuove (circa 150) sia per il loro carattere himalayano. Spiccano in particolare i numerosissimi rododendri (nella sua vita, Franchet ne avrebbe studiati e classificati 193). Tra le piante più note Davidia involucrata (che però fu descritta per la prima volta da Baillon, non da Franchet), Acer davidii, Buddleja davidii, Lilium duchartrei, Viola mongolica. Nel 1881 un altro missionario attivo in Cina, il padre Jean Marie Delavay, di passaggio a Parigi tra una missione e l'altra, incontrò padre David che lo presentò a Franchet. Egli durante una prima missione in Cina aveva già raccolto alcune piante, che però aveva consegnato al console britannico per il British Museum e per Kew. Franchet lo convinse a inviare invece al Muséum le piante che avrebbe raccolto nella nuova sede. Delavay fu assegnato allo Yunnan nordoccidentale, una regione ricchissima di biodiversità e sconosciuta ai botanici prima di lui. Fu l'inizio di un incredibile flusso di piante; tra il 1882 e il 1895 egli avrebbe raccolto e inviato al museo circa 200.000 esemplari appartenenti a oltre 4000 specie, 1500 delle quali di nuova segnalazione. Molte furono pubblicate da Franchet in vari articoli e nella sua seconda grande opera dedicata alla flora cinese, Plantae Delavayanae. Plantes de Chine recueillies au Yun-nan par l'abbé Delavay (1889-1890), che contiene tra l'altro 142 piante descritte per la prima volta; purtroppo, a causa del costo elevato delle numerose illustrazioni, ne uscirono solo tre fascicoli. Intanto, incoraggiati dai loro superiori, altri missionari dalle Missions Etrangères de Paris avevano incominciato a fare raccolte ed inviarle al Muséum. Tra quelli che furono pubblicati da Franchet, possiamo citare gli invii di Jean-André Soulié che raccolse più di 7000 specie in Tibet; di Paul Guillaume Farges, attivo a Chengkou nel Sichuan nord-orientale, raccoglitore di quasi 4000 specie; di Émile-Marie Bodinier dal Guizhou; di Urbain Jean Faurie dal Giappone, dalla Corea e da Formosa. In loro onore creò i generi Delavaya, Fargesia e Souliea (quest'ultimo, oggi non più accettato). Inoltre, in collaborazione con Bureau, studiò l'erbario della spedizione in Asia centrale, Tibet e Cina condotta nel 1890 da Gabriel Bonvalot e dal principe Henri d'Orléans. Anche se occasionalmente si occupò anche di piante di altre aree (ad esempio, pubblicò le piante raccolte in Somalia durante la missione Révoil del 1884), dedicò gran parte della sua attività alla flora dell'Asia orientale, con oltre ottanta tra libri ed articoli. In molti di essi approfondì la tassonomia di generi come Delphinium, Epimedium, Primula, Syringa, Gentiana, Lilium, Adonis, maturando sempre più la convinzione della profonda analogia tra la flora alpina europea e quella dei monti asiatici e dell'importanza dello studio di quella flora per comprendere la genesi delle piante delle nostre montagne; così nel 1896, a proposito di una nuova specie di Gentiana, scrisse: "Nel nostro periodo geologico, è proprio nell'Asia centrale e più propriamente nella Cina occidentale che si trova il maggior centro specifico di gran parte dei generi considerati a ragione caratteristici della regione alpina europea". Era su questo terreno che indirizzò i suoi studi negli ultimi anni della vita, ma senza poter giungere a un'opera complessiva, a causa della morte che lo colse improvisa nel 1900, all'età di 66 anni. Nella sua operosissima attività di botanico aveva pubblicato diverse migliaia di piante, 1400 delle quali tuttora accettate, e 17 generi validi. ![]() Grappoli di bacche viola-blu Non stupisce che questo grandissimo tassonomista, in contatto con i principali orti botanici, ed in particolare con Kew e San Pietroburgo, sia ricordato da una pletora di eponimi; sono almeno 138 le piante che si fregiano della denominazione franchetii o franchetianus, la più nota delle quali è probabilmente Cotoneaster franchetii. Ben quattro furono i generi che gli furono dedicati: in ordine di tempo, Franchetia, da parte di Baillon nel 1885; Franchetella da parte di Pierre nel 1890; un'altra Franchetella da parte di Kuntze nel 1891, (1891), Sinofranchetia da parte di Hemsley nel 1907 (ma già creati come sottogenere di Holboellia da Diels nel 1900). Solo quest'ultimo è tuttora accettato. Sinofranchetia (Diels) Hemsley è un genere monotipico della famiglia Lardizabalaceae, rappresentato dalla sola S. chinensis. Franchet era stato il primo a descriverla nel 1894, come Parvatia chinensis. E' una rampicante legnosa originaria delle foreste dense e dei margini forestali della Cina centro-meridionale. E' caratterizzata da belle foglie tripennate, con fogliolina centrale largamente obovata e foglioline laterali ovato-ellittiche disposte obliquamente, glauche nella pagina inferiore. I fiori unisessuali (talvolta portati su esemplari diversi), verdastri, piccoli e poco appariscenti, sono raccolti in lunghi racemi penduli. A farsi notare sono piuttosto i frutti, bacche blu-violaceo delle dimensioni di un chicco d'uva, disposti a coppie o in fascetti di tre a ogni nodo dell'infruttescenza pendula, lunga anche una ventina di centimetri. Sono eduli, ma insipidi. A differenza di specie di generi affini come Holboellia S. chinensis è quasi rustica. Finanziato da un consorzio che comprendeva anche l'orto botanico di Liverpool, il naturalista John Bradbury andò negli Stati Uniti alla ricerca di nuove varietà di cotone. Nel 1811, insieme a Nuttall, ebbe l'occasione di unirsi alla spedizione dei cosiddetti Astorians, che stavano aprendo una via verso il Pacifico. Poté così risalire il Missouri, facendo raccolte anche in un'area inesplorata prima di lui. Per una serie di sfortunate circostanze, tuttavia, la pubblicazione delle sue scoperte gli fu scippata da Pursh. Disgustato, lasciò per sempre la botanica. Del suo viaggio ha però lasciato una cronaca vivace e piena di informazioni sulle comunità native. Lo ricorda il piccolo genere Bradburia. ![]() Tre anni negli Stati Uniti e un viaggio lungo la frontiera Nel 1809 la direzione dell'orto botanico di Liverpool decise di cofinanziare il viaggio negli Stati Uniti di John Bradbury (1768-1823); lo scopo principale era trovare migliori forniture di cotone, che in quegli anni costituiva almeno la metà dei commerci della città. Attraverso i mediatori di Liverpool, poi il cotone proseguiva non solo per i cotonifici del Regno Unito, ma per la Germania, l'Europa orientale e la Russia. Bradbury era la persona giusta perché aveva competenze sia nel campo botanico sia in quello cotoniero. Nato in una famiglia di modesti mezzi del Cheshire, aveva avuto la fortuna di studiare alla Cocker Hill Academy di Stalybridge dove aveva avuto per maestro John Taylor che lo aveva avviato alla botanica e alle escursioni sul campo. Aveva poi trovato lavoro in un cotonificio, anche se aveva continuato ad interessarsi di botanica, tanto che nel 1792 era stato ammesso alla Linnean Society, e forse ai occupava anche di progettazione di giardini. Era così entrato in contatto con la Liverpool Philosophical Society, il conte di Derby un avido collezionista di naturalia che aveva anche interessi nell'industria cotoniera, con William Roscoe e con un altro dei fondatori dell'orto botanico di Liverpool, William Bullock, proprietario del Museum of Natural Curiosity. Dai contatti con questi diversi personaggi nacque la spedizione americana di Bradbury che, oltre cercare nuove fonti di cotone grezzo, avrebbe dovuto raccogliere piante e esemplari d'erbario per l'orto botanico e oggetti naturali per i suoi sponsor. Il progetto iniziale di Bradbury era andare a New Orleans insieme a uno dei suoi figli (ne aveva ben otto) e di creare un vivaio; mentre lui avrebbe viaggiato ed esplorato la Louisiana e il Kentucky, il figlio avrebbe coltivato e moltiplicato le piante raccolte per poi spedirle in Europa (come avevano fatto André Michaux e suo figlio a Charleston). Tuttavia, poiché gli sponsor non erano disposti a sborsare più di cento sterline l'anno, decise di partire da solo. Nel settembre 1809 sbarcò a Charleston; in nave, si recò poi a Baltimora e da qui a Washington, da dove raggiunse Monticello, la tenuta di Thomas Jefferson che aveva da poco terminato il suo mandato presidenziale. L'ex presidente lo ospitò per diverse settimane e gli fornì molte informazioni utili. Lo sconsigliò di esplorare la flora del Kentucky, che era già relativamente nota in seguito ai viaggi proprio di Michaux, mentre le terre bagnate dal fiume Missouri offrivano un campo di esplorazione pressoché vergine. Anche la spedizione di Lewis e Clark, tanto voluta da Jefferson, le aveva appena sfiorate. Bradbury si fece convincere e, anziché a New Orleans, decise di stabilire la sua base a San Louis, dove giunse l'ultimo giorno del 1809. Trascorse qui l'inverno, che quell'anno fu freddissimo, raccogliendo uccelli e altri animali; quindi prese in affitto un terreno di mezzo acro in cui trapiantò alberi, arbusti e altre piante native. In estate fu in grado di spedire a Liverpool un grosso invio di piante in vaso. Nell'autunno 1810 arrivò a San Louis Thomas Nuttall che stava esplorando il bacino del Mississippi per conto del professor Barton. Nei mesi successivi i due naturalisti britannici fecero diverse escursioni insieme, una delle quali li portò a sudovest lungo il Merimac River. Nel marzo 1811 partirono insieme e poco dopo raggiunsero Wilson Price Hunt e altri membri della Pacific Fur Company che si accingevano ad esplorare il bacino del Missouri per conto del mercante e imprenditore John Jacob Astor. Quest'ultimo intendeva sfruttare la via aperta da Lewis e Clark per controllare il traffico delle pellicce; a tal fine formò due gruppi di trapper, noti come Astorians; uno fu inviato via mare alla foce del Columbia River, dove fondò il Fort Astoria; l'altro, partendo da San Louis avrebbe dovuto raggiungere la costa pacifica via terra. Era appunto il gruppo guidato da Hunt. All'inizio di aprile raggiunsero Fort Osage nell'attuale Missouri, dove alla spedizione si unì Ramsay Crooks, che più tardi sarebbe diventato presidente dell'American Fur Company. Lasciato il grosso della spedizione, questi guidò Bradbury e due cacciatori canadesi fino al Platte River. Si ricongiunsero poi agli altri l'11 maggio presso un villaggio Omaha dove ci furono intensi scambi commerciali con i nativi. A giugno incontrarono lo spagnolo Manuel Lisa, trapper della rivale Missouri Fur Company, che faceva da guida all'avvocato Henry Marie Brackenridge, che Bradbury aveva già conosciuto a Saint Louis. C'era una vecchia ruggine tra Crooks e suoi e Lisa; inoltre Hunt aveva assunto a Saint Louis l'interprete Pierre Dorion che il precedenza aveva lavorato per la Missouri Fur Company e aveva ancora un debito con la compagnia; quando Lisa glielo ricordò, il duello tra i due fu evitato per un pelo dall'intervento di Bradbury e Brackenridge. Gli Astorians stabilirono il loro quartier generale nei villaggi Arikara nell'attuale Corson County (South Dakota); non trovando però un numero sufficiente di cavalli, Hunt decise che due gruppi avrebbero risalito il Missouri per duecento miglia fino al forte della Missouri Fur Company presso i villaggi Mandan; uno avrebbe accompagnato Lisa in battello (ne facevano parte anche Nuttall e Brackenridge), mentre l'altro (con Bradbury e Crooks) l'avrebbe raggiunto a piedi. Era una zona ancora inesplorata dai botanici, e Bradbury poté raccogliere diverse specie inedite delle grandi pianure. Dopo una decina di giorni gli esploratori ritornarono nella Corson County con un'ottantina di cavalli, Ora erano pronti per affrontare la grande traversava alla volta del Pacifico. Bradbury non voleva abbandonare le sue raccolte e preferì lasciare la spedizione, approfittando di uno dei due battelli carichi di pellicce spediti a Saint Louis da Lisa, Così si imbarcò con Brackenridge e diciassette casse di piante. Il 29 giugno era di nuovo a Saint Louis dove affittò un terreno dove trapiantarle. Tuttavia si ammalò, con la conseguenza che non le poté seguire e quattro quinti morirono. All'inizio di dicembre si imbarcò con le sue raccolte alla volta di New Orleans; l'imbarcazione si trovava al largo di New Madrid quando avvenne il primo di tre devastanti terremoti, un'esperienza di cui Bradbury avrebbe lasciato la prima testimonianza scritta nel libro in cui raccontò la sua spedizione. Si trattenne a New Orleans fino al 20 gennaio per spedire le sue raccolte in Inghilterra, poi si imbarcò alla volta di New York. Qui suo malgrado fu trattenuto negli Stati Uniti dalla guerra scoppiata tra i due paesi nel 1812. Nel frattempo le piante che aveva inviato in patria erano arrivate e, forse per un equivoco del figlio di Bradbury, i doppioni della collezione vennero consegnati a Aylmer Lambert. Pursh, che era ospite di Lambert e su suo incoraggiamento stava scrivendo Flora Americae Septentrionalis, decise di includere in un'appendice quaranta piante inedite raccolte da Bradbury. Fu con grande amarezza che questi lo scoprì: questo individuo "osò esaminare la collezione di esemplari che avevo spedito a Liverpool e la descrisse quasi per intero, privandomi sia della reputazione sia del profitto che spettavano solo a me". Non si sa molto della sua vita successiva. Nel 1816 tornò per un breve periodo a Inghilterra dove pubblicò il racconto del suo viaggio, Travels in the Interior of America, in the Years 1809, 1810, and 1811, molto interessante soprattutto come testimonianza della vita delle comunità native. Nel 1817 ripartì per gli Stati Uniti, forse con la moglie e i figli. La delusione lo spinse ad abbandonare del tutto le scienze naturali. Si stabilì a Middletown nel Kentucky dove secondo la testimonianza di Rafinesque lavorava in una manifattura di cotone. Qui morì nel 1823. ![]() Il genere Bradburia Qualche anno prima proprio Rafinesque, che ne aveva grande stima, gli aveva dedicato il genere Bradburya per aver scoperto "così tante piante risalendo il corso del Missouri". Purtroppo, essendo basato su due specie appartenenti ad altri generi, non è valido. A rimediare pensarono i due "papi" della botanica americana Torrey e Gray con una dedica che ha il sapore di una riparazione: "Dedichiamo questo notevole genere a John Bradbury che nel 1811 risalì il Missouri fino ai villaggi Mandan e fece un'interessante raccolta di piante che fu in parte pubblicata da Pursh come supplemento della sua Flora. Nel 1817 pubblicò a Londra il diario dei suoi viaggi in America negli anni 1809-11 che contiene molte interessanti informazioni sulla botanica del Missouri". Bradburia Torr. & A.Gray è un piccolo genere della famiglia Asteraceae che comprende due specie, Bradburia hirtella e B. pilosa, entrambe native degli Stati Uniti meridionali. Sono erbacee annuali talvolta perennanti di medio sviluppo, con radici caudiciformi, foglie e steli pelosi, e capolini radiati solitari o raccolti in infiorescenze panicolate lasse con flosculi del disco e del raggio giallo vivo. I frutti sono acheni muniti di pappi. B. pilosa è comune dal Texas centrale al Missouri sudoccidentale, mentre B. hirtella ha limitata diffusione. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2025
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