Sempre più frequentemente troviamo donne alla testa di istituzioni come orti botanici e erbari centrali. Per fare solo qualche esempio, nel 2018 Carrie Rebora Barratt è diventata la prima presidente dell'orto botanico di New York e nel 2023 Gillian Brown la prima direttrice dell'erbario del Queensland. I casi sono moltissimi anche in Italia, da Consolata Siniscalco, direttrice dell'orto botanico di Torino dal 2012 a Barbara Baldan, prefetto dell'orto botanico di Padova dal 2015, e a Lucia Amadei, curatrice del Museo botanico dell'orto botanico di Pisa. In Svezia, ci sono voluti 223 anni perché una donna ricevesse il prestigioso titolo di Professor Bergianus, che all'epoca comportava anche la direzione dell'Hortus Bergianus. E' Birgitta Bremer, tassonomista specializzata nella famiglia Rubiacae, a cui appartiene anche il genere che la celebra, Bremeria. ![]() Una ricercatrice all'avanguardia Nel 1790, con il suo testamento il medico Peter Jonas Bergius donò all'Accademia delle scienze svedese l'orto botanico che aveva creato insieme al fratello Bengt, all'epoca concepito come parte di una scuola orticola; stabilì anche che le attività di formazione e ricerca fossero dirette da un professore che avrebbe "lavorato nella storia naturale, in particolare nella botanica, per la crescita e il progresso della scienza". L'anno successivo nacque così la Fondazione Bergius e venne creata la prestigiosa cattedra di botanica presso l'Università di Stoccolma nota come Professor Bergianus. Il titolare avrebbe dovuto congiungere la ricerca con la direzione del Bergianska trädgården o Hortus Bergianus, amministrato congiuntamente dall'Accademia reale svedese delle scienze e dall'Università di Stoccolma. Così è stato per 223 anni, fino al 2014, quando è stato deciso di separare i due incarichi. L'ultima persona a ricoprire entrambi i ruoli è stata la botanica Birgitta Bremer (nata nel 1950), nominata Professor Bergianus nel 2002, nona titolare e prima donna, dopo otto illustri colleghi. La nomina ha segnato il culmine di una brillante carriera accademica. Bremer è una tassonomista; si è formata presso l'Università di Stoccolma, dove nel 1980 ha conseguito il dottorato in botanica con una tesi sulla tassonomia di un genere di muschi. Ha quindi immediatamente iniziato a insegnare presso la sua alma mater, prima come assistente poi come lettrice di botanica sistematica. Nell'anno accademico 1985-1986 è stata ricercatrice associata presso il Missouri Botanical Garden. Ha poi proseguito la carriera presso l'università di Uppsala, prima come lettrice di biologia, poi come capo del dipartimento di botanica sistematica, infine come titolare della cattedra di sistematica molecolare delle piante. E' stata professor Bergianus, capo della Bergius Foundation, prefetto dell'Hortus Bergianus e capo del dipartimento di sistematica vegetale dal 2002 al 2014. Le ricerche di Bremer riguardano soprattutto le piante tropicali e subtropicali; ha partecipato a spedizioni in Sri Lanka, Malesia, Indonesia, Ecuador, Sudafrica, Africa orientale e Madagascar. Anche se ha studiato anche altri gruppi di angiosperme, approfondendo i sistemi di impollinazione, i modi di dispersione, le forme e i tassi di diversificazione, il suo campo di specializzazione è la grande famiglia delle Rubiaceae, di cui ha studiato le relazioni filogenetiche, i meccanismi di speciazione, le relazioni ecologiche con i diversi ambienti. Nei suoi studi ha combinato le analisi morfologiche e i dati molecolari; è stata una delle prime in Svezia a introdurre i metodi di biologia molecolare nella botanica sistematica. Ha pubblicato, da sola o in collaborazione, oltre 175 articoli. Dal 2009, è membro dell'Accademia svedese delle scienze. Durante la sua carriera, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, il più prestigioso dei quali è indubbiamente la medaglia d'oro Linneo, assegnatale nel 2014 dall'Università di Uppsala per essere riuscita a conciliare la ricerca, la responsabilità accademica e la direzione di un grande orto botanico. Un compito difficile, tanto è vero che, come ho anticipato, dopo il suo pensionamento nel 2014, l'Accademia delle scienze ha deciso di svincolare il Professor Bergianus dalla direzione dell'orto botanico, considerando orami impossibile conciliare la ricerca con le responsabilità amministrative e didattiche. Come professore aggiunto dell'Università di Stoccolma, il Professor Bergianus può ora dedicarsi interamente alla ricerca, senza altri compiti; che la decisione non sia stato semplice lo dice il fatto che la posizione è rimasta vacante per ben otto anni. Solo nel 2022 la micologa Hanna Johannesson è divenuta la decima titolare. Curatrice dell'orto botanico è stata nominata Gunvor Larsson, che in precedenza era stata la botanica responsabile della serra della Victoria amazonica per un ventennio. Il pensionamento di Birgitta Bremer (che è comunque rimasta attiva come ricercatrice e membro di vari comitati) ha dunque segnato la fine di un'era, con la definitiva separazione della ricerca e della gestione dell'orto botanico. ![]() Il genere Bremeria Tra i suoi numerosi lavori dedicati alla sistematica delle Rubiaceae, nel 1998 Bremer pubblicò, insieme a Mats Thulin, un importante studio in cui veniva ristabilita la tribù Mussaendeae come gruppo monofiletico; le loro conclusioni sono state confermate nel 2005 da un équipe internazionale formata da Alejandro, Razafimandimbison e Liede-Schumann, che ha ulteriormente delimitato Mussaenda, restringendolo alle specie africane e asiatiche, e ha creato il nuovo genere Bremeria per accogliere le specie dell'Oceano Indiano, ovvero malgasce e delle isole mascarene. Come caratteri distintivi vengono indicati la disposizione degli elementi florali nella gemma e gli stili densamente pubescenti. Bremeria Razafim. & Alejandro comprende 18 specie, 17 malgasce, una (B. landia) endemica di Mauritius e Réunion. Vivono nelle foreste sempreverdi umide e subumide. Sono arbusti o alberi di medie dimensioni, con foglie opposte, solitamente pubescenti e talvolta scabre. I fiori sono solitamente uniti in infiorescenze panicolate terminali, talvolta ridotte a un singolo fiore. Questi ultimi in genere sono grandi, con un tubo calicino variamente peloso, corolla imbutiforme con lungo tubo e cinque (talvolta sei) lobi, da bianca a rosata, o, in B. landia, verde alla base e all'apice e rossastra in mezzo. I frutti sono grandi drupe o bacche carnose, coronate dai lobi persistenti del calice; contengono molti semi. La specie delle Mascarene è nota fin dal Settecento, quando fu descritta da Poiret come Mussaenda landia; il nome locale è Quinquina Pays, ovvero albero della china del paese. Appartiene infatti alla stessa famiglia della Cinchona ed è raccolta dagli erboristi per le sue proprietà astringenti, toniche e febbrifughe. Cresce dal livello del mare fino a circa 1000 metri; ha un tronco diritto e poco ramificato, tranne in alto. E' oggi rara; viene talvolta piantata in parchi e giardini per la bellezza dei suoi fiori, piacevolmente profumati. Nel 2009 è stata immortalata in un francobollo di Mauritius.
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Situata all'estremo confine nordorientale del paese e delimitata dai bacini dei fiumi Paraná, che la separa dal Paraguay, e Uruguay, che la separa da Uruguay e Brasile, la provincia argentina di Corrientes è caratterizzata da una flora estremamente ricca e varia. Al suo studio ha dedicato tutta la sua vita la botanica Sara Graciela Tressens, sia con le sue ricerche sul campo sia con le sue numerose pubblicazioni. A onorarla è Tressensia, un genere monotipico endemico delle foreste di quella provincia. ![]() Studiare la flora locale La parola Mesopotamia evoca immediatamente una delle culle della civiltà, il territorio posto tra i due fiumi Tigri ed Eufrate dove fiorirono le civiltà sumerica, assira, babilonese. Ma c'è un'altra Mesopotamia, un'altra terra posta tra i fiumi: è la Mesopotamia argentina, e i fiumi in questione non sono due, ma tre: il Paraná ad ovest, l'Uruguay ad est e l'Iguazú a nord. Essa costituisce il settore più orientale del Nordeste argentino ed è divisa tra tre provincie: Misiones all'estremo nordest, Corrientes a nord e Entre Ríos a Sud; la ricchezza di acque e il clima subtropicale ne fanno uno scrigno di biodiversità. Corrientes, capitale della provincia omonima, è sede di un importante istituzione botanica, l'Instituto de Botánica del Nordeste (IBONE), presso la Facoltà di scienze agrarie dell'Universidad Nacional del Nordeste (UNNE), e del suo erbario, noto con l'acronimo CTES. Tra i ricercatori che hanno animato l'IBONE fin dalla fondazione troviamo la botanica Sara Graciela Tressens; nata nel 1944, e oggi ottantenne. continua a figurare nell'organico dell'istituto come "ricercatrice volontaria". Tressens è nata a Mercedes, una cittadina della medesima provincia; si è quindi trasferita a Corrientes per frequentare l'università. Nel 1966, ventiduenne, si è laureata in biologia presso la facoltà di scienze esatte e naturali, per poi ottenere la laurea di secondo livello in botanica nel 1972. Fin da questi anni universitari, ha fatto parte del gruppo di ricerca fondato intorno al 1966 da un'eccezionale coppia di docenti e studiosi, l'agronomo Antonio Krapovickas e sua moglie, la botanica Carmen Lelia Cristóbal, che sarebbe sfociato nell'IBONE, nato ufficialmente nel 1977. Allieva di Cristóbal, Tressens ne ha assorbito il metodo di lavoro e l'entusiasmo per la flora locale; dopo la laurea, è rimasta a lavorare all'Universidad Nacional del Nordeste, dove si è svolta tutta la sua carriera accademica (docente associata dal 1980, titolare ad interim dal 1988, ordinaria dal 1990, libera docente dal 2005 al 2007); come docente, ha seguito le tesi di innumerevoli studenti e ha partecipato attivamente a conferenze e simposi in Sud America e in Spagna. L'altro versante della sua attività è quello della ricerca. Tra il 1986 e il 1999 ha preso parte a numerosi progetti sostenuti dall'equivalente argentino del CNR, il CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas), spesso a fianco di Krapovickas. Nel 1990 è stata nominata ricercatrice aggiunta del CONICET presso l'IBONE. Soprattutto negli anni '90, ha diretto team di ricerca in varie aree dell'Argentina settentrionale. Studiosa della flora del Nordeste e dell'ecologia degli ambienti subtropicali umidi, da sola o più spesso con vari coautori, ha pubblicato una trentina di articoli su argomenti che spaziano dalle piante medicinali, alla tassonomia di generi di varie famiglie, alla pubblicazione di specie nuove. Ha collaborato a diverse opere sulla flora del Nordeste e a Flora of Argentina del Missouri Botanical Garden con capitoli sulle Lauraceae e le Sapotaceae. E' coautrice di Flora Iberá con un'altra botanica dell'università di Corrientes e dell'IBONE, María Mercedes Arbo. Pioniera dell'applicazione delle tecnologie informatiche alla botanica, ha partecipato alla creazione di una base di dati della flora dell'Iberá. Tra i suoi vari ruoli istituzionali, quello di curatrice aggiunta dell'erbario CTES, prima affiancando Carmen Lelia Cristóbal, poi sostituendola per un breve periodo dopo il pensionamento della sua maestra. Dal 2003 al 2009 ha diretto "Bonplandia", la rivista dell'IBONE. ![]() Endemismi di Corrientes Quella di Sara Graciela Tressens è una carriera accademica e scientifica lenta e senza scosse, che sembrerebbe testimoniare una raggiunta parità. In realtà, non è proprio così. In Argentina le ragazze costituiscono il 66% delle matricole universitarie e il 54% dei ricercatori sono donne. Tuttavia mano a mano che avanza il livello della carriera scientifica e accademica, la presenza femminile si riduce: sono circa il 27% sia tra i ricercatori di livello superiore sia nei ruoli di autorità delle organizzazioni scientifiche e tecniche. Dunque, sebbene non più eccezionale, una carriera come quella di Tressens è ancora un caso minoritario. D'altra parte, la studiosa argentina è una delle pochissime botaniche viventi a potersi fregiare della dedica di un genere botanico valido, che nel 2017 è venuta ad aggiungersi a quella di due endemismi di Corrientes, Ruehssia tressensiae e Sida tressensiae. La dedica arriva da un ricercatore dell'IBONE con cui spesso ha collaborato e può essere considerata una specie di oscar alla carriera: "Genere dedicato alla dottoressa Sara G. Tressens, botanica originaria della provincia di Corrientes, che ha fatto parte del gruppo di ricercatori che hanno fondato l'erbario CTES e l'Instituto de Botánica del Nordeste". Del resto, lo stesso anno ricorreva il quarantennale della fondazione dell'IBONE, e Tressens è stata una dei sei pionieri premiati in quell'occasione (quattro uomini e due donne; l'altra è la già citata María Mercedes Arbo). Tressensia è un genere monotipico della famiglia Apocynaceae, rappresentato unicamente da T. viridis, una rampicante volubile rinvenuta in frammenti di selva e boschi ripari dell'estremità nordorientale e sudorientale della provincia di Corrientes. L'eponimo fa riferimento al colore verde dei fiori. Caratteristica di ambienti umidi ed endemica di questa provincia, è una dedica perfetta per celebrare la carriera quarantennale di Sara Graciela Tressens. E se, per una volta, invece di parlare di botanici maschi morti, scrivessi di botaniche vive? Ecco allora un breve ritratto della statunitense Charlotte M. Taylor, grande studiosa dei generi Psychotria e Palicourea e più in generale delle Rubiaceae dell'America tropicale. Cui appartiene anche l'anagrammatico Tromlyca. ![]() Dare un nome alle piante Nel 2018 su "Taxon" uscì il primo articolo dedicato a un'analisi statistica del contributo delle donne alla pubblicazione di nomi botanici; le autrici, basandosi sui dati di International Plant Names Index (IPNI), che registra tutte le 624,682 specie descritte come nuove per la scienza tra il 1753 e il 2013, hanno verificato che solo il 3% è stato pubblicato da donne. La prima in assoluto fu la botanica e pittrice Elizabeth Blackwell nel 1757 con Amomum verum Blackw. Nell'Ottocento, il contributo femminile rimase episodico e solo all'inizio del Novecento toccò l'1% dei nomi pubblicati, per poi crescere lentamente nel corso del secolo, toccando il 10% negli anni '90. La percentuale attuale è appena sotto il 12%. Dei 500 autori di nomi di piante più produttivi, solo otto sono donne. La più produttiva di tutte fu la sudafricana Margaret Louisa Bolus (1877-1970), che pubblicò 1,494 nuove specie, seguita da Olive Mary Hilliard (1925-2022) dell'orto botanico di Edimburgo con 522. La terza è ancora in attività: è la statunitense Charlotte Morley Taylor, nata nel 1955: nel corso della sua carriera quarantennale, ne ha pubblicate più di 500. Sarà dunque lei la prima delle botaniche viventi e se possibile in attività alle quali ho deciso di dedicare i post di questo mese. Come ha raccontato lei stessa, l'interesse per le scienze naturali, è nato in famiglia, grazie ai suoi genitori, appassionati bird watcher; tuttavia, ha scelto la botanica che le offriva maggiore libertà di ricerca. Si è formata presso l'Università del Michigan, per poi conseguire il dottorato (PhD) presso la Duke University di Durham (North Carolina). Contemporaneamente, insegnava al Colegio Universitario de Cayey a Puerto Rico. Ha avuto così modo di studiare dal vivo la flora centro americana; come risultato della ricerca post-laurea, ha pubblicato una revisione del genere Monnina (Poygalaceee) in America centrale e un sommario del genere Palicourea (Rubiaceae). E proprio a questo genere, di cui poi è diventata una grande specialista, appartiene la prima specie da lei pubblicata (1984), P. spathacea. Dopo aver lavorato per tre anni all'università del Porto Rico, dal 1990 è entrata al Missouri Botanical Garden di cui oggi è curatrice; è inoltre professoressa associata dell'università del Missouri-St Louis e ricercatrice associata del National Tropical Botanical Garden (Hawaii). Il campo privilegiato delle sue ricerche è la grande famiglia delle Rubiaceae, cui appartengono piante economicamente importanti come quelle da cui si ricava il caffè e il chinino, ma soprattutto alcuni dei generi con il maggior numero di specie del regno vegetale, in particolare Psychotria e Palicourea. In un'intervista ha così spiegato il suo fascino per questi generi: "Hanno una vasta gamma di dimensioni e colori dei fiori, e modi di presentarli, così la varietà di forme non finisce mai; la maggior parte delle specie ha fiori vistosi che vengono impollinati dai colibrì, che sono belli e affascinanti". Il suo lavoro parte dall'osservazione dei campioni d'erbario e prosegue sul campo; le sue ricerche l'hanno portata in gran parte del centro America, ma anche in Perù, Cile e Bolivia. Ama viaggiare in paesi tropicali ricchi di biodiversità, collaborare con altri botanici e gustare cibi diversi; la gioia maggiore è però trovare piante che non riesce a identificare perché sono nuove per la scienza e non hanno ancora nome. Una gioia che, come abbiamo visto, si è ripetuta finora non meno di 500 volte. Oltre a numerosi studi sui generi delle tribù Palicoureeae e Psychotrieae, ha collaborato per la trattazione delle Rubiaceae a numerose flore dell'America centrale e meridionale (ma anche della Cina); insieme al marito Roy Emile Gereau (uno specialista della flora dell'Africa orientale), ha inoltre pubblicato relazioni sulle comuni spedizioni botaniche in America centrale. Per conoscerla più da vicino, niente di meglio che la bella intervista di Carlos A. Ordóñez-Parra, da cui emergono, da una parte, tutta la sua passione, dall'altro il suo rigoroso metodo di lavoro. ![]() Un nome anagrammatico Diverse piante rendono omaggio a Charlotte Taylor: Lepidium tayloriae, Palicourea tayloriae, Rondeletia tayloriae, Rudgea tayloriae, Breonia tayloriana, Randia tayloriana. Mancava però un genere. A rimediare ha pensato il botanico ungherese Attila Borhidi; ma quale nome usare (Taylor è un cognome comunissimo e esistevano già Tayloria, Tayloriella, Tayloriophyton)? Borhidi così ha pensato a un anagramma: da C. M.Taylor ha ricavato l'enigmatico Tromlyca (gli enigmi, le cacce al tesoro piacciono alla dedicataria). Non c'è quasi bisogno di dire che il nuovo genere appartiene alla famiglia Rubiaceae, tribù Palicoureeae; la sua unica specie, T. locellata, era in effetti stata descritta in precedenza proprio da Charlotte Taylor come Palicourea locellata. Si tratta di un endemismo delle foreste umide della Cordillera Oriental delle Ande colombiane; è un arbusto o un piccolo albero che si distingue da Palicourea per varie caratteristiche ed in particolare per la peculiarità delle stipole e dei frutti (pireni). Al servizio della celebre firma Veitch, il cacciatore di piante Richard Pearce fu il protagonista di due fruttuosissime spedizioni in America latina. Tra i suoi tanti contributi, la scoperta in Bolivia e Perù di tre specie di begonie tuberose che, nelle abili mani degli ibridatori dei Veitch, divennero le antenate di quelle che ogni estate arricchiscono i nostri balconi. Lo ricorda il genere Pearcea della famiglia Gesneriaceae. ![]() Un fruttuoso viaggio in Sudamerica Se, come me, avete un balcone ombroso, con le loro lunghissime e coloratissime fioriture non ci sono piante più facili e generose delle begonie tuberose ibride Begonia x tuberhybrida. Alla loro origine ci sono tre specie scoperte in Bolivia e Perù dal cacciatore di piante Richard Pearce (ca. 1835-1868). Intorno al 1858, dopo aver lavorato per qualche tempo come giardiniere per il vivaio Potney di Plymouth, passò al servizio del celebre vivaio Veitch. Questa firma era stata la prima ad impiegare propri raccoglitori, inviando fin dagli anni '40 i fratelli Lobb alla ricerca di piante da lanciare sul mercato. Limitandoci alle Americhe, particolarmente lucrosi erano stati gli invii di William Lobb dal Cile, con la massiccia raccolta di semi di Araucaria araucana, e dalla California, con la scoperta e l'introduzione di Sequoiadendron giganteum. Tuttavia dopo il 1854 Lobb aveva gradualmente interrotto i rapporti con i Veitch fino a interromperli del tutto, ed era urgente trovare un raccoglitore altrettanto abile che lo sostituisse. La scelta cadde appunto su Pearce che all'epoca lavorava in uno dei vivai della famiglia a Mount Radford. Nel febbraio 1859 partì per Valparaiso con un contratto di tre anni alla ricerca di "piante, semi, conchiglie terrestri e altri oggetti di storia naturale". Come era abitudine della casa, aveva precise istruzioni su cosa cercare: in primo luogo, la Cupressacea Libocedrus tetragona, all'epoca ritenuto l'albero da cui si ricavava il pregiato legname di Alerce; poi Lapageria rosea e la sua varietà bianca, Araucaria imbricata e altre piante rustiche. Nel 1860 Pearce fece numerose spedizioni lungo la Cordigliera cilena e nelle montagne dell'interno, trovando tutte le piante desiderate, ma anche molte altre: Prumnopitys elegans, Podocarpus nubigenus, Eucryphia glutinosa, diverse Bomarea, Cavendishia bracteata, Ourisia coccinea, Ourisia pearcei. Ma soprattutto scoprì che il legname di Alerce non si ricava da Libocedrus tetragona, ma da Fitzroya cupressoides, che nella regione patagonica, da lui scrupolosamente visitata, formava vaste foreste. All'inizio del 1862 lasciò il Cile e si imbarcò alla volta del Perù e della Bolivia, alla ricerca di piante da serra e con belle foglie. Si spostò quindi in Ecuador. Frutto di questa tappa del viaggio, un eccellente invio da Cuenca che comprendeva Befaria ledifolia, Lisianthus magnificus, Calceolaria ericoides e diverse specie di Tacsonia. Infine si imbarcò a Guayaquil con sei grandi scatole di Ward che contenevano tra l'altro una bella collezione di Marantaceae, tra cui Calathea veitchiana (sin. di Goeppertia veitchiana). ![]() La seconda spedizione e le begonie Il viaggio era stato estremamente fruttuoso e James Veitch & Sons propose immediatamente a Pearce un secondo contratto triennale. Questa volta avrebbe dovuto recarsi direttamente a Lima e da lì spostarsi verso zone ancora poco battute, secondo le istruzioni scritte che avrebbe via via ricevuto. Egli visitò il Perù, l'Ecuador e la Bolivia, dove raccolse tra l'altro Aphelandra nitens e Sanchezia nobilis. Passò poi in Argentina per battere la provincia di Tucuman, dove trovò diverse interessanti piante da serra, tra cui Nierembergia rivularis e N. veitchii, Palaua flexuosa, Mutisia decurrens e diverse varietà di Peperomia, Ritornò poi a La Paz, da dove spedì ancora alcune specie di Hippeastrum. Riprese poi ad esplorare le Ande boliviane e peruviane, dove fece le scoperte a cui poi il suo nome è rimasto più legato: oltre alla bella Masdevallia veitchiana, detta il "re delle Masdevallie" per le enormi dimensioni della sua infiorescenza e il colore acceso, tre specie di begonia, scoperte in Bolivia tra il 1864 e il 1866: Begonia boliviensis, B. pearcei e B. veitchii. Rientrò poi in Inghilterra. Essendo terminato il suo contratto, lasciò i Veitch, tornò a Plymouth e si sposò. Non resistette però a lungo alla vita sedentaria. Nel 1867 fu contattato da un altro vivaista, William Bull, il cui vivaio di Kings Road a Chelsea era specializzato in piante tropicali e in particolare di orchidee; questi gli chiese di tornare in Sudamerica e di raccogliere per lui Masdevallia veitchiana. Pearce accettò e sbarcò a Panama; qui partì alla ricerca di una specie di Cypripedium la cui presenza gli era stata segnalata nei dintorni; non la trovò, ma la vana ricerca gli costò la vita. Fu infatti colpito da febbre gialla e morì il 17 luglio 1867 all'età di 33 anni. Questa la commemorazione di James Herbert Veitch: "come raccoglitore di piante Pearce era uno dei migliori, e la sua morte prematura fu una grande perdita per il mondo dell'orticoltura". Le sue scoperte però stavano già imprimendo una svolta nella storia dell'ibridazione delle begonie. Nel 1868 John Seden, uno degli ibridatori di Veitch, incrociando Begonia boliviensis (inviata da Pearce nel 1864) con un'altra specie sconosciuta, ottenne Begonia × sedenii, la prima begonia tuberosa ibrida nota, con grandi fiori rossol magenta. Continuò poi il suo lavoro incrociando B. boliviensis con le altre specie scoperte da Pearce, producendo la prima B. x tuberhybrida. Il suo successo aprì la strada ad altri ibridatori. Nel 1874 l'incrocio tra B. × sedenii e la sudafricana B. dregei produsse B. 'White Queen', la prima begonia tuberosa bianca. Intorno al 1880, il grande ibridatore francese Victor Lemoine incrociando B x sedenii, B. veitchii e B. pearcei ottenne la prima begonia tuberosa doppia, 'Gloire de Nancy'. Intanto alle begonie introdotte da Pearce se ne aggiungevano altre: B. froebelii, spedita nel 1874 al vivaio Froebel di Zurigo dall'Ecuador; B. davisii, raccolta in Perù e introdotta nel 1877 da un altro cacciatore di piante della scuderia Veitch, Walter Davis; insieme alla già nota B. cinnabarina ed altre specie andine, anch'esse entrarono nel pedigree di B. x tuberhybrida. Nel 1894, quando Voss la ufficializzò, le varietà erano già molte decine . ![]() Un piccolo gioiello dalle Ande L'importanza delle raccolte di Pearce è testimoniata dalle numerose specie del Sud America che portano il suo nome, non meno di una quarantina; oltre a Begonia pearcei, vorrei ricordare almeno la spettacolare orchidea Phragmipedium pearcei. Anche il genere che celebra questo solerte e sfortunato cacciatore di piante viene dal Sudamerica e risale a una delle sue raccolte; la prima specie nota, inizialmente classificata da Hooker come Gloxinia hypocyrtiflora, fu infatti raccolta da Pearce nel 1866 sui monti della regione di Quito. A lungo a questo genere (famiglia Gesneriaceae) è stata assegnato un'unica specie, appunto Pearcea hypocyrtiflora; in seguito ad analisi molecolari ha però assorbito il genere Parakohleria ed alcune specie precedentemente assegnate a Kohleria; inoltre sono state scoperte altre specie, e ora ne comprende tra 17 e 19. E' distribuito sulle pendici andine orientali, dalla Colombia settentrionale alla Bolivia nordoccidentale attraverso il Perù e l'Ecuador, dove vive in una varietà di habitat, dalle foreste pluviali di bassa quota (attorno ai 700 metri) alle foreste nebulose (attorno ai 2500 metri), anche se sono le prime ad essere particolarmente ricche di specie. Piuttosto affine a Kohleria, è caratterizzato da foglie vellutate, e piccoli fiori urceolati (cioè a forma di urna, rigonfi alla base e ristretti alla gola), da gialli a rossi, presumibilmente impollinati da colibrì. La specie più nota e coltivata è Pearcea hypocyrtiflora con belle foglie verde scuro con nervature verde chiaro o rosate e fiori arancio con apice magenta rigonfi come palloncini. Di piccole dimensioni, è adatta alla coltivazione in terrario. Il tassonomista francese Adrien Franchet è stato uno dei maggiori studiosi della flora cinese e più in generale dell'Estremo Oriente. Eppure non ha mai messo piede né in Cina né in altri paesi dell'Asia orientale. Sono state piuttosto le piante cinesi a venire da lui, sotto forma di esemplari d'erbario spediti soprattutto dai missionari delle Missions Etrangères de Paris. Quando aveva ormai superato la quarantina, fu assunto al Museo di scienze naturali di Parigi per classificare le piante di Armand David; poi arrivarono quelle di Delavay, Farges, Soulié ed altri, moltissime delle quali inedite. Fu così che Franchet classificò e descrisse migliaia di nuove piante acquisendo una conoscenza senza pari della flora di quei paesi che mai aveva visto di persona. Lo ricorda, immancabilmente, una pianta cinese, Sinofranchetia chinensis. ![]() Dalla flora della valle della Loira a quella giapponese Come ho raccontato in questo post, il missionario francese Armand David tra il 1866 e il 1874 fece tre spedizioni in Cina, dalle quali inviò ingenti materiali al Museo di scienze naturali di Parigi. Per quanto riguarda le piante, si trattava di migliaia di esemplari d'erbario da esaminare, classificare e pubblicare, considerando che in una notevole percentuale erano nuove per la scienza. Nel 1880, Édouard Bureau, professore di botanica del Muséum, decise di affidare il lavoro al botanico Adrien René Franchet (1834-1900), che aveva attirato la sua attenzione come coautore di un volume sulla flora giapponese; grazie alla sua insistenza, egli fu assunto al Muséum come botanico ausiliario e si mise alacremente all'opera. Lavorando sui materiali raccolti dal padre David e poi da altri missionari attivi in Cina, Giappone e Corea, sarebbe diventato il massimo esperto della flora dell'estremo oriente, anche se non visitò mai di persona nessuno di quei paesi. Franchet era nato a Pezou, un paesino della valle della Loira, non lontano da Blois. Il padre era giardiniere e viticultore, ma morì quanto egli era ancora piccolo. Già era appassionato di piante e a dieci anni iniziò il suo primo erbario; quando ne aveva 12, la madre pensò di collocarlo come apprendista presso un farmacista di Blois. Il ragazzino ne fu felicissimo; si alzava all'alba e, prima di prendere servizio, andava ad erborizzare nella foresta di Russy. Ma ogni giorno gli era più difficile smettere; arrivava al lavoro sempre più in ritardo, finché in capo a un mese la madre lo ritirò e lo mandò a studiare al Petit séminaire de Saint François de Sales di Blois, una scuola secondaria di ottima reputazione che formava sia futuri seminaristi sia allievi laici. Qui seguì i classici studi liceali, ma senza dimenticare la passione per la botanica, cui dedicava il tempo libero. Al termine degli studi, forse pensava di diventare insegnante. Nel 1857 insegnava come supplente al collegio di Pontlevoy. Era un giovane serio e preparato e fu segnalato al marchese Paul de Vibraye, proprietario del castello di Cheverny, che lo assunse come curatore della sua collezione archeologica, geologica e paleontologica. Franchet si trasferì a Cour-Cheverny e divenne il braccio destro del marchese, uno dei pionieri degli studi preistorici in Francia, partecipando anche a scavi archeologici in Dordogna. Mentre la collezione del marchese cresceva (tra quelle private, era una delle più ricche, con decine di migliaia di oggetti tra cui 6000 reperti preistorici), Franchet continuava a dedicare il tempo libero alla botanica; erborizzava a Cheverny e nei dintorni, e accresceva il suo erbario con le raccolte e con gli scambi con altri appassionati. Al momento, si interessava solo di flora locale. Nel 1866 pubblicò il suo primo articolo (uno studio sulla distribuzione delle fanerogame nel dipartimento del Loir-et-Cher) e fu ammesso alla Société botanique. Nel 1868 il suo primo lavoro di sistematica, dedicato al genere Verbascum, incominciò a farlo conoscere negli ambienti scientifici. Più o meno nello stesso periodo cominciò a corrispondere con Ludovic Savatier (1830-1891), che nel 1865 era stato inviato a Yokosuka in Giappone come medico di una missione francese incaricata di costruire un complesso siderurgico, per poi divenire il responsabile sanitario dell'arsenale. Nei dieci anni durante i quali rimase in Giappone (1865-1876) Savatier contribuì allo scambio botanico tra Europa e Giappone sia raccogliendo e facendo raccogliere ai suoi collaboratori piante nipponiche, sia acclimatando piante europee nel paese del Sol Levante, sia soprattutto cercando di colmare la distanza culturale tra la botanica europea e quella nipponica. In Europa erano uscite due opere complessive su quella flora, Flora japonica di Thunberg (1784) e Flora japonica di Siebold e Zuccarini (1835-1848); in Giappone erano disponibili tre opere illustrate, Kwa-wi ("Raccolta di piante") di Shimada Yonan (1759), Honzo Zufu ("Trattato illustrato di botanica") di Iwasaki Tsunemasala (1828) e Somoko Zusetsu ("Illustrazioni e descrizioni di piante") di Jinuma Yokusai (1856). Anche se in quest'ultimo le piante erano organizzate secondo il sistema linneano e talvolta erano dati i nomi latini, non c'era corrispondenza sistematica tra il modo in cui le piante erano presentate in queste opere, con i loro nomi volgari, e la nomenclatura scientifica europea. Sollecitato dai suoi amici giapponesi, Savatier si era proposto di colmare questo gap, in primo luogo traducendo Kwa-wi con l'aiuto del suo allievo Saba, poi con un'opera illustrata che familiarizzasse i botanici nipponici con la nomenclatura e i sistemi di classificazione europei. A tal fine, fece intense raccolte, arricchite dagli invii di residenti europei e collaboratori giapponesi, mettendo insieme un erbario di almeno 1600 specie, di cui un centinaio nuove per la scienza; inoltre fece disegnare numerose tavole botaniche da artisti giapponesi. Non sappiamo esattamente come e quando cominciò la sua amicizia epistolare con Franchet; ci sono rimaste 221 lettere che egli inviò al botanico francese tra l'ottobre 1866 e il 1878 (non possediamo invece le risposte). Nonostante la distanza che rendeva lenti e difficili gli scambi, l'amicizia divenne intensa e a un certo punto Savatier coinvolse Franchet nel progetto; anche se fino ad allora si era occupato solo di piante europee, anzi prevalentemente del suo dipartimento natale, egli accettò, occupandosi da una parte del riscontro con la letteratura botanica europea, dall'altro con qle piante recentemente raccolte dal botanico russo Maximowicz e custodite presso l'orto botanico di San Pietroburgo, di cui poté ottenere i doppioni. Il risultato del lavoro a quattro mani fu Enumeratio plantarum: in Japonia sponte crescentium, in due volumi, usciti tra il 1875 e il 1879 a spese dello stesso Savatier, che con suo rammarico a causa dei costi dovette rinunciare a inserirvi le illustrazioni. Come leggiamo nella prefazione, voleva essere un manuale pratico: "Questo lavoro è stato redatto su richiesta dei botanici giapponesi e nella forma che essi stessi hanno indicato come più adatta a facilitare la ricerca e la conoscenza delle piante del loro paese". Le piante (circa 2600) sono organizzate in famiglie, generi e specie e per ciascuna specie sono dati i riferimenti alla letteratura botanica europea, l'eventuale riferimento alla letteratura botanica e iconografica nipponica, l'habitat, la distribuzione, il nome giapponese. Nel secondo volume, oltre all'aggiunta di specie segnalate nel frattempo fino al 1877, vengono date la diagnosi delle specie descritte per la prima volta (circa 400), chiavi per il riconoscimento di numerosi generi e una bibliografia aggiornata sulla flora nipponica. Non si tratta ovviamente di una flora completa del Giappone, ma è di notevole valore; sul piano storico, inoltre, fu la prima ad essere pubblicata dopo l'apertura delle frontiere agli stranieri. Per Franchet, cui si deve probabilmente gran parte del lavoro tassonomico, fu l'iniziazione alla flora dell'Asia orientale e, come ho anticipato, il biglietto d'ingresso al Museo di scienze naturali di Parigi. ![]() Pubblicare le piante dei missionari Nel 1880 il marchese di Vibraye morì e Franchet, dopo più di vent'anni al suo fianco, si trovò all'improvviso disoccupato; accettò dunque di buon grado la proposta di Bureau e nel 1881 si trasferì a Parigi. Da quel momento avrebbe lavorato al Muséum fino alla morte, prima come botanico aggiunto, poi dal 1886 come ripetitore presso il laboratorio di Alti Studi della cattedra di botanica, per le classi di classificazione e famiglie naturali. Di fatto fu distaccato all'erbario e si specializzò nella flora dell'estremo oriente. Il suo primo compito fu occuparsi delle piante inviate dal padre David, che dal 1875 viveva a Parigi nella casa madre del suo ordine. Gli era dunque possibile consultare il raccoglitore in persona, con il quale nacque anche un'amicizia personale. Nacquero così i due volumi di Plantae davidianae ex sinarum imperio, pubblicati tra il 1884 e il 1888, il primo dedicato alle piante raccolte in Mongolia e nella Cina centrale, il secondo a quelle del Tibet orientale. Quest'ultimo è certamente il più importante, sia per il gran numero di specie nuove (circa 150) sia per il loro carattere himalayano. Spiccano in particolare i numerosissimi rododendri (nella sua vita, Franchet ne avrebbe studiati e classificati 193). Tra le piante più note Davidia involucrata (che però fu descritta per la prima volta da Baillon, non da Franchet), Acer davidii, Buddleja davidii, Lilium duchartrei, Viola mongolica. Nel 1881 un altro missionario attivo in Cina, il padre Jean Marie Delavay, di passaggio a Parigi tra una missione e l'altra, incontrò padre David che lo presentò a Franchet. Egli durante una prima missione in Cina aveva già raccolto alcune piante, che però aveva consegnato al console britannico per il British Museum e per Kew. Franchet lo convinse a inviare invece al Muséum le piante che avrebbe raccolto nella nuova sede. Delavay fu assegnato allo Yunnan nordoccidentale, una regione ricchissima di biodiversità e sconosciuta ai botanici prima di lui. Fu l'inizio di un incredibile flusso di piante; tra il 1882 e il 1895 egli avrebbe raccolto e inviato al museo circa 200.000 esemplari appartenenti a oltre 4000 specie, 1500 delle quali di nuova segnalazione. Molte furono pubblicate da Franchet in vari articoli e nella sua seconda grande opera dedicata alla flora cinese, Plantae Delavayanae. Plantes de Chine recueillies au Yun-nan par l'abbé Delavay (1889-1890), che contiene tra l'altro 142 piante descritte per la prima volta; purtroppo, a causa del costo elevato delle numerose illustrazioni, ne uscirono solo tre fascicoli. Intanto, incoraggiati dai loro superiori, altri missionari dalle Missions Etrangères de Paris avevano incominciato a fare raccolte ed inviarle al Muséum. Tra quelli che furono pubblicati da Franchet, possiamo citare gli invii di Jean-André Soulié che raccolse più di 7000 specie in Tibet; di Paul Guillaume Farges, attivo a Chengkou nel Sichuan nord-orientale, raccoglitore di quasi 4000 specie; di Émile-Marie Bodinier dal Guizhou; di Urbain Jean Faurie dal Giappone, dalla Corea e da Formosa. In loro onore creò i generi Delavaya, Fargesia e Souliea (quest'ultimo, oggi non più accettato). Inoltre, in collaborazione con Bureau, studiò l'erbario della spedizione in Asia centrale, Tibet e Cina condotta nel 1890 da Gabriel Bonvalot e dal principe Henri d'Orléans. Anche se occasionalmente si occupò anche di piante di altre aree (ad esempio, pubblicò le piante raccolte in Somalia durante la missione Révoil del 1884), dedicò gran parte della sua attività alla flora dell'Asia orientale, con oltre ottanta tra libri ed articoli. In molti di essi approfondì la tassonomia di generi come Delphinium, Epimedium, Primula, Syringa, Gentiana, Lilium, Adonis, maturando sempre più la convinzione della profonda analogia tra la flora alpina europea e quella dei monti asiatici e dell'importanza dello studio di quella flora per comprendere la genesi delle piante delle nostre montagne; così nel 1896, a proposito di una nuova specie di Gentiana, scrisse: "Nel nostro periodo geologico, è proprio nell'Asia centrale e più propriamente nella Cina occidentale che si trova il maggior centro specifico di gran parte dei generi considerati a ragione caratteristici della regione alpina europea". Era su questo terreno che indirizzò i suoi studi negli ultimi anni della vita, ma senza poter giungere a un'opera complessiva, a causa della morte che lo colse improvisa nel 1900, all'età di 66 anni. Nella sua operosissima attività di botanico aveva pubblicato diverse migliaia di piante, 1400 delle quali tuttora accettate, e 17 generi validi. ![]() Grappoli di bacche viola-blu Non stupisce che questo grandissimo tassonomista, in contatto con i principali orti botanici, ed in particolare con Kew e San Pietroburgo, sia ricordato da una pletora di eponimi; sono almeno 138 le piante che si fregiano della denominazione franchetii o franchetianus, la più nota delle quali è probabilmente Cotoneaster franchetii. Ben quattro furono i generi che gli furono dedicati: in ordine di tempo, Franchetia, da parte di Baillon nel 1885; Franchetella da parte di Pierre nel 1890; un'altra Franchetella da parte di Kuntze nel 1891, (1891), Sinofranchetia da parte di Hemsley nel 1907 (ma già creati come sottogenere di Holboellia da Diels nel 1900). Solo quest'ultimo è tuttora accettato. Sinofranchetia (Diels) Hemsley è un genere monotipico della famiglia Lardizabalaceae, rappresentato dalla sola S. chinensis. Franchet era stato il primo a descriverla nel 1894, come Parvatia chinensis. E' una rampicante legnosa originaria delle foreste dense e dei margini forestali della Cina centro-meridionale. E' caratterizzata da belle foglie tripennate, con fogliolina centrale largamente obovata e foglioline laterali ovato-ellittiche disposte obliquamente, glauche nella pagina inferiore. I fiori unisessuali (talvolta portati su esemplari diversi), verdastri, piccoli e poco appariscenti, sono raccolti in lunghi racemi penduli. A farsi notare sono piuttosto i frutti, bacche blu-violaceo delle dimensioni di un chicco d'uva, disposti a coppie o in fascetti di tre a ogni nodo dell'infruttescenza pendula, lunga anche una ventina di centimetri. Sono eduli, ma insipidi. A differenza di specie di generi affini come Holboellia S. chinensis è quasi rustica. Finanziato da un consorzio che comprendeva anche l'orto botanico di Liverpool, il naturalista John Bradbury andò negli Stati Uniti alla ricerca di nuove varietà di cotone. Nel 1811, insieme a Nuttall, ebbe l'occasione di unirsi alla spedizione dei cosiddetti Astorians, che stavano aprendo una via verso il Pacifico. Poté così risalire il Missouri, facendo raccolte anche in un'area inesplorata prima di lui. Per una serie di sfortunate circostanze, tuttavia, la pubblicazione delle sue scoperte gli fu scippata da Pursh. Disgustato, lasciò per sempre la botanica. Del suo viaggio ha però lasciato una cronaca vivace e piena di informazioni sulle comunità native. Lo ricorda il piccolo genere Bradburia. ![]() Tre anni negli Stati Uniti e un viaggio lungo la frontiera Nel 1809 la direzione dell'orto botanico di Liverpool decise di cofinanziare il viaggio negli Stati Uniti di John Bradbury (1768-1823); lo scopo principale era trovare migliori forniture di cotone, che in quegli anni costituiva almeno la metà dei commerci della città. Attraverso i mediatori di Liverpool, poi il cotone proseguiva non solo per i cotonifici del Regno Unito, ma per la Germania, l'Europa orientale e la Russia. Bradbury era la persona giusta perché aveva competenze sia nel campo botanico sia in quello cotoniero. Nato in una famiglia di modesti mezzi del Cheshire, aveva avuto la fortuna di studiare alla Cocker Hill Academy di Stalybridge dove aveva avuto per maestro John Taylor che lo aveva avviato alla botanica e alle escursioni sul campo. Aveva poi trovato lavoro in un cotonificio, anche se aveva continuato ad interessarsi di botanica, tanto che nel 1792 era stato ammesso alla Linnean Society, e forse ai occupava anche di progettazione di giardini. Era così entrato in contatto con la Liverpool Philosophical Society, il conte di Derby un avido collezionista di naturalia che aveva anche interessi nell'industria cotoniera, con William Roscoe e con un altro dei fondatori dell'orto botanico di Liverpool, William Bullock, proprietario del Museum of Natural Curiosity. Dai contatti con questi diversi personaggi nacque la spedizione americana di Bradbury che, oltre cercare nuove fonti di cotone grezzo, avrebbe dovuto raccogliere piante e esemplari d'erbario per l'orto botanico e oggetti naturali per i suoi sponsor. Il progetto iniziale di Bradbury era andare a New Orleans insieme a uno dei suoi figli (ne aveva ben otto) e di creare un vivaio; mentre lui avrebbe viaggiato ed esplorato la Louisiana e il Kentucky, il figlio avrebbe coltivato e moltiplicato le piante raccolte per poi spedirle in Europa (come avevano fatto André Michaux e suo figlio a Charleston). Tuttavia, poiché gli sponsor non erano disposti a sborsare più di cento sterline l'anno, decise di partire da solo. Nel settembre 1809 sbarcò a Charleston; in nave, si recò poi a Baltimora e da qui a Washington, da dove raggiunse Monticello, la tenuta di Thomas Jefferson che aveva da poco terminato il suo mandato presidenziale. L'ex presidente lo ospitò per diverse settimane e gli fornì molte informazioni utili. Lo sconsigliò di esplorare la flora del Kentucky, che era già relativamente nota in seguito ai viaggi proprio di Michaux, mentre le terre bagnate dal fiume Missouri offrivano un campo di esplorazione pressoché vergine. Anche la spedizione di Lewis e Clark, tanto voluta da Jefferson, le aveva appena sfiorate. Bradbury si fece convincere e, anziché a New Orleans, decise di stabilire la sua base a San Louis, dove giunse l'ultimo giorno del 1809. Trascorse qui l'inverno, che quell'anno fu freddissimo, raccogliendo uccelli e altri animali; quindi prese in affitto un terreno di mezzo acro in cui trapiantò alberi, arbusti e altre piante native. In estate fu in grado di spedire a Liverpool un grosso invio di piante in vaso. Nell'autunno 1810 arrivò a San Louis Thomas Nuttall che stava esplorando il bacino del Mississippi per conto del professor Barton. Nei mesi successivi i due naturalisti britannici fecero diverse escursioni insieme, una delle quali li portò a sudovest lungo il Merimac River. Nel marzo 1811 partirono insieme e poco dopo raggiunsero Wilson Price Hunt e altri membri della Pacific Fur Company che si accingevano ad esplorare il bacino del Missouri per conto del mercante e imprenditore John Jacob Astor. Quest'ultimo intendeva sfruttare la via aperta da Lewis e Clark per controllare il traffico delle pellicce; a tal fine formò due gruppi di trapper, noti come Astorians; uno fu inviato via mare alla foce del Columbia River, dove fondò il Fort Astoria; l'altro, partendo da San Louis avrebbe dovuto raggiungere la costa pacifica via terra. Era appunto il gruppo guidato da Hunt. All'inizio di aprile raggiunsero Fort Osage nell'attuale Missouri, dove alla spedizione si unì Ramsay Crooks, che più tardi sarebbe diventato presidente dell'American Fur Company. Lasciato il grosso della spedizione, questi guidò Bradbury e due cacciatori canadesi fino al Platte River. Si ricongiunsero poi agli altri l'11 maggio presso un villaggio Omaha dove ci furono intensi scambi commerciali con i nativi. A giugno incontrarono lo spagnolo Manuel Lisa, trapper della rivale Missouri Fur Company, che faceva da guida all'avvocato Henry Marie Brackenridge, che Bradbury aveva già conosciuto a Saint Louis. C'era una vecchia ruggine tra Crooks e suoi e Lisa; inoltre Hunt aveva assunto a Saint Louis l'interprete Pierre Dorion che il precedenza aveva lavorato per la Missouri Fur Company e aveva ancora un debito con la compagnia; quando Lisa glielo ricordò, il duello tra i due fu evitato per un pelo dall'intervento di Bradbury e Brackenridge. Gli Astorians stabilirono il loro quartier generale nei villaggi Arikara nell'attuale Corson County (South Dakota); non trovando però un numero sufficiente di cavalli, Hunt decise che due gruppi avrebbero risalito il Missouri per duecento miglia fino al forte della Missouri Fur Company presso i villaggi Mandan; uno avrebbe accompagnato Lisa in battello (ne facevano parte anche Nuttall e Brackenridge), mentre l'altro (con Bradbury e Crooks) l'avrebbe raggiunto a piedi. Era una zona ancora inesplorata dai botanici, e Bradbury poté raccogliere diverse specie inedite delle grandi pianure. Dopo una decina di giorni gli esploratori ritornarono nella Corson County con un'ottantina di cavalli, Ora erano pronti per affrontare la grande traversava alla volta del Pacifico. Bradbury non voleva abbandonare le sue raccolte e preferì lasciare la spedizione, approfittando di uno dei due battelli carichi di pellicce spediti a Saint Louis da Lisa, Così si imbarcò con Brackenridge e diciassette casse di piante. Il 29 giugno era di nuovo a Saint Louis dove affittò un terreno dove trapiantarle. Tuttavia si ammalò, con la conseguenza che non le poté seguire e quattro quinti morirono. All'inizio di dicembre si imbarcò con le sue raccolte alla volta di New Orleans; l'imbarcazione si trovava al largo di New Madrid quando avvenne il primo di tre devastanti terremoti, un'esperienza di cui Bradbury avrebbe lasciato la prima testimonianza scritta nel libro in cui raccontò la sua spedizione. Si trattenne a New Orleans fino al 20 gennaio per spedire le sue raccolte in Inghilterra, poi si imbarcò alla volta di New York. Qui suo malgrado fu trattenuto negli Stati Uniti dalla guerra scoppiata tra i due paesi nel 1812. Nel frattempo le piante che aveva inviato in patria erano arrivate e, forse per un equivoco del figlio di Bradbury, i doppioni della collezione vennero consegnati a Aylmer Lambert. Pursh, che era ospite di Lambert e su suo incoraggiamento stava scrivendo Flora Americae Septentrionalis, decise di includere in un'appendice quaranta piante inedite raccolte da Bradbury. Fu con grande amarezza che questi lo scoprì: questo individuo "osò esaminare la collezione di esemplari che avevo spedito a Liverpool e la descrisse quasi per intero, privandomi sia della reputazione sia del profitto che spettavano solo a me". Non si sa molto della sua vita successiva. Nel 1816 tornò per un breve periodo a Inghilterra dove pubblicò il racconto del suo viaggio, Travels in the Interior of America, in the Years 1809, 1810, and 1811, molto interessante soprattutto come testimonianza della vita delle comunità native. Nel 1817 ripartì per gli Stati Uniti, forse con la moglie e i figli. La delusione lo spinse ad abbandonare del tutto le scienze naturali. Si stabilì a Middletown nel Kentucky dove secondo la testimonianza di Rafinesque lavorava in una manifattura di cotone. Qui morì nel 1823. ![]() Il genere Bradburia Qualche anno prima proprio Rafinesque, che ne aveva grande stima, gli aveva dedicato il genere Bradburya per aver scoperto "così tante piante risalendo il corso del Missouri". Purtroppo, essendo basato su due specie appartenenti ad altri generi, non è valido. A rimediare pensarono i due "papi" della botanica americana Torrey e Gray con una dedica che ha il sapore di una riparazione: "Dedichiamo questo notevole genere a John Bradbury che nel 1811 risalì il Missouri fino ai villaggi Mandan e fece un'interessante raccolta di piante che fu in parte pubblicata da Pursh come supplemento della sua Flora. Nel 1817 pubblicò a Londra il diario dei suoi viaggi in America negli anni 1809-11 che contiene molte interessanti informazioni sulla botanica del Missouri". Bradburia Torr. & A.Gray è un piccolo genere della famiglia Asteraceae che comprende due specie, Bradburia hirtella e B. pilosa, entrambe native degli Stati Uniti meridionali. Sono erbacee annuali talvolta perennanti di medio sviluppo, con radici caudiciformi, foglie e steli pelosi, e capolini radiati solitari o raccolti in infiorescenze panicolate lasse con flosculi del disco e del raggio giallo vivo. I frutti sono acheni muniti di pappi. B. pilosa è comune dal Texas centrale al Missouri sudoccidentale, mentre B. hirtella ha limitata diffusione. Dedicandogli il genere Shepherdia, Nuttall definì John Shepherd "orticultore scientifico". Molto si deve a lui se l'orto botanico di Liverpool, di cui fu il primo curatore, crebbe rapidamente, arrivando a competere persino con Kew nell'arco di pochissimi anni. A cinque-sei anni dalla fondazione la collezione superava 4000 specie, poi crebbe ancora, tanto che fu necessario spostare il giardino in una sede più ampia. Fu l'ultimo compito di questo abile giardiniere, morto subito dopo il trasferimento. ![]() Un orto botanico in grande espansione Al momento della fondazione dell'orto botanico di Liverpool, nel 1802 o nel 1803, venne assunto come curatore, ovvero capo giardiniere, John Shepherd (1763/64 - 1836); secondo alcune fonti, ma senza prove definitive, in precedenza avrebbe lavorato per John Leigh Philips, un imprenditore e collezionista di oggetti naturali di Manchester, che lo avrebbe consigliato a Roscoe. In realtà non si sa nulla di lui prima dell'arrivo a Liverpool, ma certamente la scelta si rivelò felicissima. Shepherd era un professionista molto preparato e sotto la sua cura il giardino crebbe rapidamente. Mentre l'impianto generale, con una serie di ordinate aiuole didattiche rettangolari, divise in parcelle con le piante erbacee collocate secondo il sistema linneano, è solitamente attribuito a Roscoe, si ritiene si debba a Shepherd la creazione della roccera, posta tra l'ingresso e le serre. Le rocce sarebbero state ricavate dalla zavotta delle navi che faceano scalo nel porto di Liverpool, il più importante del paese per il commercio triangolare, con collegamenti con l'Africa, le Antille, il Nord America, ma anche l'India e il Sudest asiatico. Certamente ebbe voce in capitolo anche nella creazione delle due serre, il grande conservatory lungo 73 metri e alto 7, con cinque ambienti separati con temperature diverse, e la stove, la stufa per le tropicali. I costi per queste strutture si rivelarono maggiori del previsto, e le 300 quote di sottoscrizione insufficenti; per far fronte ai debiti, vennero innalzare prima a 375, poi a 450, acquistabili però solo dai "proprietors", ovvero dai sottoscrittori iniziali. Ciò permise di completare i lavori e di creare una collezione notevole, come attesta il primo catalogo, pubblicato nel 1808; è anonimo, ma probabilmente fu scritto a quattro mani da Shepherd e Roscoe. Le specie elencate sono 4269; nell'introduzione un lungo ringraziamento chiarisce come sia stato possibile raggiungere un simile numero in appena cinque anni; le piante arrivarono dai sottoscrittori e da altri collezionisti; dai capitani delle navi; da appassionati che avevano raccolto le piante native più rare nelle loro escursioni; dalle università di Oxford, Cambridge e Dublino e dal sovrintendente dei Kew Gardens, ovvero William Townsend Aiton, che fornirono "molte valide aggiunte a questa collezione". Non mancarono gli acquisti da "alcuni dei più eminenti coltivatori commerciali di piante." Le piante, ordinatamente classificate nelle classi linneane proprio come nelle aiuole, sono divise in quattro categorie: alberi e arbusti (594 specie), distribuiti lungo il perimetro e nei boschetti ad est e sud del giardino; piante erbacee (2268 specie), coltivate sia nelle aiuole "didattiche" sia nella roccera sia ai lati dello specchio d'acqua; piante da serra (1046), coltivate nella grande serra “adatta a conservare piante da ogni parte del mondo”; piante da serra calda (461). Colpiscono per ricchezza alcune collezioni: tra gli arbusti, le azalee e i rododendri, le rose (34 specie e varietà); tra le erbacee, le iris (36 varietà), gli aster (61 varietà), le Poaceae (molte decine) e i carici (34), le felci (35); tra le piante da serra, le molte bulbose sudafricane, le eriche (ben 193 specie), le Proteaceae, i Pelargonium (79); tra le piante da serra calda, stapelie, cactacee, aloe, bromeliacee, palme e orchidee, qualcuna tropicale, ma per lo più nordamericane. Venivano davvero da tutto il mondo, ma sembrano prevalere le sudafricane e le nordamericane. Negli anni successivi i contatti di Roscoe con l'India, la missione di Bradbury, sponsorizzata proprio dall'orto botanico, gli scambi con altri giardini dovettero incrementare ancora più le collezioni, ma purtroppo non abbiamo cataloghi ad attestarlo. Le testimonianze d'epoca ci parlano di un giardino che era diventato una vera attrazione e aveva superato anche Kew per la ricchezza di piante e la cura con cui erano disposte e coltivate. Il nome di Shepherd ricorre una ventina di volte in "Botanical Cabinet" per aver fornito altrettante piante di nuova introduzione al vivaio Loddiges; arrivavano dalla Russia, dalla Cina e soprattutto dal Sudamerica; anche se alcune erano piante rustiche, si fanno notare le piante "da stufa" e in particolare le orchidee, di cui il giardino di Liverpool incominciava ad avere una delle migliori collezioni del paese: Cymbidium latifolium, forse dalla Cina, Epidendrum polybulbon dalla Giamaica, Paphiopedilum insigne raccolto in Nepal da Wallich. A Shepherd non mancarono i riconoscimenti personali: nel luglio 1824 fu invitato dalla Preston Horticultural Society come giudice della loro esposizione annuale in quanto "qualificato da ogni punto di vista per decidere i meriti delle piante". Nel 1827 l'Horticultural Society lo premiò con una medaglia d'argento, dichiarando: "Nessun giardino pubblico nel Regno Unito possiede piante meglio coltivate né piante da serra e serra calda così sane e vigorose". Tra il 1820 e il 1823, l'orto botanico di Liverpool, insieme a quelli di Kew, Chiswick, Chelsea, Edimburgo e Glasgow, fornì un'ampia collezione di piante all'orto botanico di San Pietroburgo, e nel 1824 fu tra i giardini visitati dal direttore di quest'ultimo, F. E. L. Fischer, prima di tornare in Russia con molte altre piante; il contributo di Liverpool fu così soddisfacente che nel 1828 Shepherd fu convocato dall'ambasciatore russo per ricevere un anello di diamanti da parte dello zar in persona. Oltre che un bravissimo giardiniere, Shepherd era un botanico competente, come attestano le note manoscritte sulle Scitamineae utilizzate da Roscoe per il suo libro (ma anche da altri, come Ker Gawler per la sua descrizione di Hedychium gardnerianum), nonché un valido progettista. Progettò alcuni giardini privati e nel 1825 collaborò con l'architetto John Foster Junior alla realizzazione del cimitero di St James, uno dei primi cimiteri-giardino; più tardi si occupò della sistemazione paesaggistica del giardino zoologico. Ma ormai a Mount Plaisant mancava lo spazio; la città era cresciuta tumultuosamente e gli edifici assediavano l'orto botanico, mentre l'aria sempre più inquinata danneggiava le piante. Nel 1831 la società proprietaria decise di trasferire il giardino in una località fuori città, infine individuata in Edge Lane a Wavertree. Shepherd progettò il nuovo giardino e diresse il trasferimento delle piante, che fu completato nel 1836. Anche gli alberi maturi vennero spostati a bordo di carri trainati da cavalli. Era l'ultima fatica del vecchio giardiniere, che morì subito dopo. Nel suo necrologio, Loudon lo definì infaticabile nei suoi sforzi di rendere l'orto botanico di Liverpool uno dei migliori d'Europa; la sua collezione di erbacee perenni era insuperabile, così come quella di Scitamineae. A succedergli come curatore fu un parente, Henry Shepherd (1836-1858), forse un cugino di secondo grado, che già lavorava al suo fianco come aiuto giardiniere fin dal 1808, quando aveva 24 anni. Anche lui era un eccellente professionista e divenne famoso per essere stato il primo a riprodurre le felci dalle spore, come riferisce J. E. Smith in una comunicazione del marzo 1819, “Directions for raising ferns from seed as practiced by Mr Henry Sheppard of Liverpool”; diede a Smith 60 vasi di felci ottenute in questo modo; riuscì addirittura a far germinare le spore di alcune felci dell'erbario di Forster, vecchie di 50 anni. Diresse l'orto botanico fino alla morte, per oltre vent'anni, mantenendo gli altri standard del suo parente e predecessore. Fu amico e corrispondente di Hooker cui comunicò tra l'altro diverse felci per il suo Genera Filicum. Purtroppo, durante la sua gestione, e non certo per colpa sua, il giardino conobbe crescenti difficoltà finanziarie, finché nel 1846 la società si decise a cederlo al Comune che lo trasformò in un parco pubblico. ![]() Shepherdia, le bacche dei bisonti Il più giovane degli Shepherd è ricordato dall'eponimo di alcune specie coltivate per la prima volta nell'orto botanico di Liverpool, come Adiantum shepherdii e Rhododendron shepherdii (ora R. kendrickii), mentre a onorare John Shepherd c'è il genere Shepherdia, dedica di Nuttall che prima di esplorare l'America settentrionale aveva lavorato a Liverpool. In The genera of North American plants leggiamo: "In onore di Mr. John Shepherd, curatore dell'orto botanico di Liverpool, un orticultore scientifico, grazie ai cui sforzi e al patronato del celebrato Roscoe questa istituzione deve i suoi presenti meriti". Shepherdia (famiglia Elaeagnaceae) è un piccolo genere di tre specie di arbusti, distributi esclusivamente nell'America settentrionale, dall'area subartica al Colorado. Dioci, portano fiori maschili e femminili su piante diverse. Ovviamente solo quelle femminili producono le bacche rosse ed eduli, benché amarognole e acidule, che ne sono la più evidente caratteristica. Sono utilizzate per gelatine, dolci, marmellate e una salsa utilizzata per accompagnare la carne, compresa quella di bisonte, da cui il nome popolare buffaloberry. Shepherdia argentea è la specie con maggior areale (dal Canada occidentale agli Stati Uniti centro- settentrionali); è un arbusto deciduo, alto fino a 5 metri, con foglie ovali con apice arrotondato, coriacee, ricoperte da un tomento grigio-argento, più fitto nella pagina inferiore. I fiori giallo chiaro hanno quattro sepali e sono privi di petali; i frutti sono drupe rosso brillante, dal diamentro di 5 mm. Le cultivar 'Xanthocarpa' e 'Goldeneye' hanno frutti gialli. Questa specie cresce in una varietà di habitat ed ha un importante ruolo ecologico come cibo per lepidotteri e diversi erbivori, nonché come rifugio per piccoli animali. La più settentrionale S. canadensis è un arbusto più basso (1-4 metri) con foglie dai margini lievemente arricciati, verdi nella pagina superiore, bianco-brunastre in quella inferiore. Il frutto è edule, ma ricco di saponine, tossiche in alte quantità. La più meridionale S. rotundifolia è un arbusto sempreverde, endemico dell'altopiano del Colorado, dove cresce in diverse comunità: gli arbusteti desertici misti, le boscaglie piñon-ginepro e le foreste di Pinus ponderosa fino a 2400 metri di altitudine. Ha foglie persistenti argentate, con margini retroflessi, e pagina inferiore tomentosa. Anche i frutti, singoli o in grappoli, sono ricoperti di peli stellati. A Liverpool, William Roscoe è una specie di genius loci. A cavallo fra Settecento e Ottocento, fu avvocato, bonificatore di una palude, banchiere, poeta, storico del Rinascimento italiano. Ma soprattutto fu l'anima di molte iniziative culturali, tra cui la fondazione dell'orto botanico, nato non dall'università o dallo stato, ma da un gruppo di sottoscrittori privati. Lo beneficiò con un erbario di notevole valore storico e vi creò una eccezionale collezione di piante ottenute dai suoi corrispondenti in India. Grazie ad essa poté scrivere e far illustrare la sua maggiore opera botanica, una monografia sulle Scitamineae, oggi grosso modo corrispondenti all'ordine delle Zingiberales. A ricordarlo proprio un genere della famiglia Zingiberaceae, la bella Roscoea. ![]() Un intellettuale banchiere per sbaglio L'orto botanico di Liverpool nasce nel 1802 per iniziativa di un gruppo di intellettuali e notabili, il più noto dei quali è oggi l'avvocato, banchiere, poeta e uomo politico William Roscoe (1753-1831). Già questa sfilza di epiteti ci dice di una personalità non comune. Il padre era l'oste del Bowling Green Inn di Mount Pleasant, ma faceva anche il giardiniere. William frequentò la scuola fino a dodici anni, poi la lasciò, ritenendo di aver appreso tutto quello che il maestro aveva da insegnargli. Andò a lavorare con il padre, dividendo le sue giornate tra il lavoro in giardino e lo studio come autodidatta. A quindici anni per un mese vendette libri, ma senza successo, poi entrò come praticante nello studio di un avvocato. Ora alternava allo studio della legge quello dei classici e incominciò a scoprire la lingua e la letteratura italiane. A sedici anni scrisse il suo primo poema, Mount Plaisant. Divenuto avvocato, si fece notare per le sue posizioni antischiaviste, non certo popolari in una città come Liverpool che doveva gran parte della sua prosperità al commercio triangolare. La denuncia dello schiavismo è espressa in vari pamphlet e nel poema The Wrongs of Africa (1787-88). Lasciata l'avvocatura, fu coinvolto nella bonifica di parte di Chat Moss, una vastissima torbiera situata tra Manchester e Salford, e nel salvataggio di una banca appartenente a un amico che viveva in Italia, e da quel momento - per sua sfortuna - divenne un uomo d'affari. Era però soprattutto un intellettuale, Nel 1797 fu uno dei soci fondatori del Liverpool Athenaeum, un club privato nato dall'esigenza di provvedere i soci (mercanti, professionisti, intellettuali) di periodici locali e nazionali. Oltre che come poeta, divenne noto come storico grazie a una biografia di Lorenzo de' Medici (1796), tradotta in molte lingue, seguita da una vita di Leone X (1805), che ebbe meno successo. Nel 1806 fu eletto alla Camera dei comuni, ma dopo un anno si dimise; se non altro, aveva avuto il piacere di votare la legge che aboliva il traffico degli schiavi. Nel 1814 fu tra i fondatori della Liverpool Royal Institution, una società scientifica che si proponeva di diffondere la letteratura, la scienza e le arti attraverso pubbliche letture, e ne fu il primo presidente. Appassionato di libri e dipinti (fu tra i primi ad apprezzare e raccogliere i pittori italiani cosiddetti "primitivi"), fu costretto a vendere la sua vasta collezione quando, a partire dal 1816, la banca cui era legato incominciò a trovarsi in difficoltà. Dopo cinque anni, la banca fece fallimento e Roscoe rischiò l'arresto. Molti libri che avevano fatto parte della sua biblioteca furono acquistati da amici e collocati nelle sale dell'Athenaeum, e almeno qualcosa della vendita andò a lui. Uno dei suoi amici, Thomas Coke, gli affidò la sistemazione della biblioteca di Holkham Hall, incarico che gli lasciava il tempo di dedicarsi a un'altra delle sue passioni, la botanica, come vedremo meglio tra poco. E' ora infatti di tornare sulla fondazione dell'orto botanico di Liiverpool. L'idea nacque da due medici, Bostock e Rutter, entrambi soci dell'Athenaeum; essi coinvolsero appunto William Roscoe, il reverendo William Shepherd (amico di Roscoe, era anch'egli un abolizionista e uno studioso del Rinascimento italiano) e William Bullock, fondatore di un gabinetto di curiosità, il Museum of Natural Curiosities che comprendeva anche un erbario di alcune migliaia di piante, curato da Thomas Nuttall (futuro esploratore della flora nordamericana). La prima riunione ebbe luogo nel novembre 1800 nel Liverpool Dispensary. dove entrambi i medici lavoravano, e risvegliò immediatamente un certo interesse. Erano molti i commercianti, gli uomini di affari e gli industriali ad avere un giardino, e i più ricchi potevano permettersi una serra per le piante esotiche. Fu fondata una società a sottoscrizione e stabilito un massimo di trecento quote (nessuno ne poteva sottoscrivere più di due); quasi la metà dei sottoscrittori erano anche membri dell'Athenaeum; 102 erano commercianti o bianchieri, ed erano molto variegati quanto a idee politiche e religiose: c'erano dissidenti religiosi e antischiavisti, ma anche anglicani e schiavisti e persino qualche mercante ebreo. Otto dei primi sottoscrittori erano donne. L'orto botanico di Liverpool fu così l'espressione dell'orgoglio cittadino in un momento di tumultuosa crescita sociale ed economica. A presiedere la società fu eletto un comitato di dodici membri, con Richard Walker presidente e William Roscoe vicepresidente. Una prima riunione dei sottoscrittori, nel maggio del 1801, stabilì di chiedere un terreno al Comune, che concesse in locazione per 21 anni rinnovabili un terreno di 10 acri sito presso Mount Pleasant. La seconda riunione dei sottoscrittori si tenne un anno dopo; dato che nel frattempo Walker era morto, ora il presidente era Roscoe che tenne una prolusione tanto dotta quanto verbosa sull'utilità della botanica. Si procedette quindi all'installazione del giardino, con le piante erbacee ordinatamente sistemate in aiuole rettangolari in base alla classificazione linneana; per quelle delicate c'erano una serra calda (stove), un'aranciera (conservatory), serre con cinque distinte temperature. C'era inoltre uno laghetto per le piante acquatiche, un'area per le piante palustri e una roccaglia. Un edificio disposto accanto all'entrata principale, oltre a locali di servizio, ospitava la casa del capo giardiniere, la biblioteca, cui contribuirono sia Joseph Banks sia lo stesso Roscoe, e l'erbario, Nel 1799 Roscoe aveva acquistato 3000 esemplari dell'erbario di Johann Reinhold Forster, morto l'anno precedente, che, oltre alle piante raccolte da quest'ultimo e da suo figlio durante il secondo viaggio di Cook, comprendeva esemplari raccolti da Pallas in Siberia e nella Russia centrale, da Carl Peter Thunberg in Sud Africa, Giappone e Indonesia, Johan Gerhard Koenig in India e Ceylon, Pehr Forsskal in Egitto e Yemen, Olov Swartz nelle Antille. Roscoe ne fece dono all'orto botanico. Inoltre tra il 1806 e il 1808 James Edward Smith decise di donare diverse migliaia di duplicati delle collezioni di Linneo. Così l'erbario assunse subito un'importanza nazionale; fu poi arricchito dalla raccolte di John Bradbury e dall'erbario di Thomas Velley, che comprendeva in particolare piante marine. I duplicati furono scambiati con Banks e Lambert. L'orto botanico aprì i battenti nel 1803 e crebbe rapidamente. Secondo Loudon, nel 1811, almeno come pianificazione e sistemazione generale, era già superiore a Kew e Chelsea; tra il 1820, l'anno della morte di Banks, e il 1840, l'anno del trasferimento dei Kew Gardens allo stato, l'orto botanico di Liverpool, che pure apparteneva a una società privata, divenne il più eminente del paese. Merito certamente del Comitato direttivo, di cui Roscoe era la personalità di maggior spicco, e dell'abile capo giardiniere John Shepherd (su cui tornerò in un altro post). I doni di James Edward Smith erano anche il frutto della sua calorosa corrispondenza con Roscoe, che nel 1804 fu ammesso alla Linnean Society. Fu probabilmente in seguito alle sollecitazioni di Smith che egli concentrò i suoi studi botanici su un gruppo di piante all'epoca dette Scitamineae (corrispondente all'attuale ordine delle Zingiberales e alle famiglie Musaceae, Cannaceae, Zingiberaceae, Marantaceae). Il primo frutto del suo lavoro fu "A new arrangement of the plants of the Monandrian Classe usually called Scitamineae", letto alla Linnean Society nel 1807, in cui analizzò 30 specie, tutte quelle conosciute all'epoca. Ma non era che l'inizio; più di vent'anni dopo, nel 1828, concluse una ricerca trentennale con la monografia Monandrian Plants, con la descrizione e l'illustrazione di 120 specie; secondo la stima dello stesso Roscoe, le specie note erano ora valutabili in 180. Questa crescita esponenziale si doveva soprattutto alle ricerche condotte in India da Carey, Roxburgh e Wallich. Tutti botanici con i quali Roscoe fu in corrispondenza, ricevendo da loro informazioni, materiale d'erbario e piante vive, che vennero coltivate all'orto botanico di Liverpool in un'apposita serra, per un totale di 38 specie, certo la più importante collezione inglese di questo gruppo di piante prevalentemente tropicali. Grazie ad essa, nella sua monografia Roscoe poté introdurre numerose innovazioni rispetto alla classificazione precedente, che si rifaceva fondamentalmente a Linneo (che da parte sua si era dovuto basare quasi esclusivamente su esemplari d'erbario o addirittura disegni); all'interno della prima classe linneana (Monandria, cioè le piante con un solo stame), separò le piante Scitamineae aromatiche dalle altre (Cannae e Marantae), quindi ridefinì i generi, ridistribuendo diversamente le specie al loro interno. Di grande aiuto per la descrizione di queste ultime furono le note del capo giardiniere John Shepherd e di amici che coltivavano a loro volta queste piante, come lady Amelia Hume (proprio la stessa della rosa di cui ho raccontato in questo post). Monandrian Plants fu pubblicato con il metodo della sottoscrizione tra il 1824 e il 1828 in 15 parti in grande formato, ciascuna delle quali conteneva da sette a otto tavole a colori e costava una sterlina; la tiratura era di appena 150 esemplari. Quasi tutti i disegni furono eseguiti dal vero all'orto botanico di Liverpool da artisti locali, tra cui la nuora Margaret Roscoe e la sorella Mrs. James Dixon, ma qualcuno fu tratto da raccolte di acquarelli cinesi e indiani. A trasformarli in incisioni litografiche (una tecnica relativamente nuova) e presumibilmente a provvedere alla stampa fu l'incisore londinese Charles Hullmandel; le tavole vennero colorate a mano da un altro artista londinese, George Grave. Invece la stampa dei testi avveniva a Liverpool. Le immagini sono 112; ciascuna è accompagnata da un testo di una o due pagine con il nome binomiale, una sintetica diagnosi (non però in latino, ma anch'essa in inglese), una descrizione più ampia, "osservazioni" sull'origine della pianta e la sua storia botanica, legenda dei particolari anatomici. Sono un centinaio le denominazioni botaniche introdotte da Roscoe, di cui un quarto quelle ancora valide; tra di esse, piante notissime come Zingiber officinale, Costus spiralis, Hedychium flavescens. ![]() Roscoea, esotiche ma rustiche Tra i generi riconosciuti e trattati da Roscoe c'è anche Roscoea, che gli era stato dedicato da Smith nel 1806. Ecco come il botanico racconta come nacque questa dedica: "Trovando nella raccolta del dr. Buchanan un disegno e esemplari di questo nuovo genere dell'ordine delle Scitamineae, non potevo che dedicarlo a Mr. Roscoe che ha così peculiarmente concentrato la sia attenzione su questo ordine portandovi così tanta luce". All'epoca se ne conosceva una sola specie, R. purpurea, raccolta in Nepal appunto da Buchanan. Oggi questo genere della famiglia Zingiberaceae comprende 25 specie di erbacee perenni originarie dell'Himalaya, della Cina e dell'Indocina. A differenza della maggior parte delle specie di questa famiglia, molte di esse non sono piante tropicali, essendo native di più fresche aree montane. Insieme alla taglia più ridotta, ciò ne fa perfette piante da giardino anche nei nostri climi. Dai rizomi corti e compatti emergono sia radici carnose sia le foglie basali; come tutte le piante della famiglia, non sono dotate di un vero e proprio fusto, ma di uno pseudostelo, formato dalle guaine sovrapposte delle foglie. I fiori, grandi e vistosi, sono portati in spighe terminali alla sommità degli psudosteli; ogni fiore ha un calice tubolare, diviso lateralmente e terminante con due o tre denti. La corolla è formata da tre petali uniti alla base e divisi in tre lobi, uno centrale verticale, più grande e solitamente formante un cappuccio, quelli laterali più stretti; alla base dell petalo centrale vediamo quelli che sembrano altri tre petali, ma in realtà sono quattro staminoidi, ovvero stami modificati, i due centrali fusi a formare un labello prominente. Anche la struttura degli organi sessuali è particolare, ed ha fatto pensare che questi fiori si siano coevoluti per essere fecondati da insetti con una lunga tromba, in realtà non esistenti nell'attuale area di diffusione. Fioriscono in estate, in autunno perdono la parte aerea, in inverno vanno in riposo per riemergere in primavera. Amanti del fresco e di posizioni semiombrose, possono resistere a temperature fino a -9. Le specie più coltivate da noi, reperibili presso buoni venditori di bulbose, sono R. purpurea, originaria dell'Himalaya centrale e occidentale (Tibet) con fiori viola-porpora; R. auriculata (Nepal, Sikkim, Tibet centrale) con fiori viola con occhio bianco; R. cauteloydes, originaria della Cina, con fiori giallo crema; tutte comunque sono piuttosto variabili e disponibili in diverse forme e cultivar. R. × beesiana èun ibrido orticolo (R. auriculata × R. cautleyoides) con corolle bianco crema e labello più meno intensamente striato di malva. Tra il 1812 e il 1831, numerosi esemplari di piante cinesi arrivarono in Europa grazie alla solerzia dell'ispettore del tè della Compagnia delle Indie a Canton John Reeves. La più celebre delle sue introduzioni è il glicine, ma attraverso di lui giunsero peonie, camelie, azalee, crisantemi e rose (anche se non necessariamente tutte quelle che gli sono attribuite). Come membro del Chinese Commette della Horticultural Society ebbe un ruolo propulsivo nell'invio in Cina di Fortune. Altro merito, aver fatto conoscere piante e animali cinesi in Occidente con una notevole collezione di acquarelli dipinti da artisti cinesi seguendo le sue indicazioni. Lo ricorda il singolare genere Reevesia. ![]() Piante e acquarelli cinesi Abbiamo già incontrato l'ispettore del tè John Reeves (1774-1856) a proposito dello sfortunato viaggio in Cina del giardiniere Potts. E' ora di conoscerlo meglio, visto che grazie a lui arrivarono in Europa alcune delle prime piante ornamentali cinesi. Figlio del reverendo Jonathan Reeves, rimase orfano in giovane età e fu educato presso il Christ's Hospital, per poi lavorare per un mercante di tè. Grazie alla competenza così acquisita, nel 1808 fu assunto dalla Compagnia delle Indie come ispettore del tè e nel 1812 fu inviato a Canton come ispettore assistente, per poi diventare ispettore capo. Rimase in Cina per vent'anni (1812-1831), servendo per tre mandati di cinque anni, interrotti da brevi ritorni in Inghilterra (1816-18; 1824-26). Come gli altri stranieri, gli era concesso di soggiornare a Canton solo nei periodi in cui c'erano navi della Compagnia in porto per caricare il té; per il resto dell'anno, viveva a Macao. Gli rimaneva presumibilmente abbastanza tempo per i suoi interessi culturali, che toccavano molti aspetti della cultura e della natura cinese. I movimenti degli europei a Canton erano limitati entro i confini dell'enclave europea, ma Reeves riuscì a stabilire relazioni cordiali con eminenti mercanti cinesi; a Macao e a Canton, in primavera e in autunno raccoglieva piante che trapiantava accuratamente in modo che fossero nelle migliori condizioni per affrontare il lungo viaggio verso l'Europa. Non desiderava infatti creare una collezione personale, ma contribuire alla conoscenza con i suoi invii in patria, diretti a personalità eminenti come Joseph Banks, il suo primo corrispondente, o a una delle numerose società scientifiche di cui era membro; nel 1817 fu ammesso sia alla Linnean Society sia alla Horticultural Society; fece parte anche di Royal Astronomical Society, Asiatic Society, Zoological Society e Society of Art. Almeno dal 1814, si può dire che non ci fu nave della Compagnia delle Indie che durante il viaggio di ritorno non portasse con sè qualcuno dei suoi invii: azalee, camelie, peonie, crisantemi, rose, che egli riusciva a procurarsi nei vivai Fa Tee o attraverso i suoi contatti cinesi. La sua introduzione più celebre è indubbiamente il glicine Wisteria sinensis. Intorno al 1814 ottenne da Tinqua, nipote del mercante Consequa, due talee di una vecchia pianta che viveva nel giardino dello zio. Le trapiantò e le affidò separatamente a due navi dirette in Inghilterra: la prima alla fine del 1815 fu imbarcata sulla nave della Compagnia Cuffnells e affidata alla cure del capitano Welbank, insieme a un centinaio di altre piante acquistate nei vivai di Canton (erano preparate così bene che novanta arrivarono vive in Inghilterra e andarono ad arricchire il giardino della Horticultural Society); la seconda la accompagnò di persona, imbarcandosi all'inizio del 1816 sulla Warren Hastings, comandata dal capitano Rawes. Entrambe le piante arrivarono sane e salve in Inghilterra, a pochi giorni di distanza, quella della Cuffnells il 4 maggio e l'altra l'11; furono quindi consegnate a due abili appassionati, Charles Hampden Turner di Wood Lodge, nei dintorni di Londra, e Thomas Carey Palmer di Bromley. L'esemplare coltivato da Turner fu anche il primo a fiorire e fu ritratto da John Curtis e descritto da John Sims nel "Curtis’s Botanical Magazine" (1819). Deriva dalla stessa pianta un esemplare che intorno al 1820 venne consegnato al vivaio Loddiges di Hackney e fu raffigurato nel "Botanical Cabinet" del 1823. Una pianticella ricavata dall'altro esemplare venne invece data al vivaio Lee e Kennedy di Hammersmith. Erano le prime in Europa e i due vivai ne assicurarono la commercializzazione. A Reeves è generalmente attribuita anche l'introduzione di 'Hume's Blush Tea Scented China Rose' (Rosa odorata), una delle prime rose cinesi ad arrivare in Europa, che egli avrebbe acquistato nei famosi vivai Fa Tee di Canton e inviato a lady Amelia Hume nel 1809. L'informazione, spesso ripetuta, è certamente errata; infatti Reeves arrivò in Cina solo nel 1812, mentre la rosa in questione fu piantata a Wormleybury, il giardino di lord e lady Hume nel 1810. A spedirla in Inghilterra fu dunque un altro agente della Compagnia, forse Alexander Hume, cugino di Sir Abraham, presente a Canton in quel periodo. Sicuro è invece il coinvolgimento di Reeves nell'introduzione di un'altra rosa. Egli commissionò ad artisti locali una serie di acquarelli di piante cinesi reperibili nei vivai di Canton, che tra il 1817 e il 1830 inviò alla Horticultural Society. In un album di una quarantina di acquarelli sciolti giunto a Londra nel 1823 era illustrata tra l'altro una rosa gialla. Procurarsela fu uno degli obiettivi principali del secondo raccoglitore di piante inviato in Cina dalla Horticultural Society, John Damper Parks (ca. 1791-1866). Nel 1823 egli si imbarcò sul Lowther Castle, un clipper della Compagnia delle Indie, accompagnando un invio di piante da frutto per Canton, imballate in speciali scatole progettate da Lindley; purtroppo non furono sufficienti a proteggerle dalla salsedine e quasi tutte morirono. A Canton incontrò Reeves e con la sua assistenza fece ottimi acquisti; diverse varietà di crisantemi e di camelie e soprattutto la desiderata rosa gialla a fiori doppi che ancora oggi è conosciuta con il suo nome, ‘Parks Yellow Tea-scented China’. Poi tornò in Inghilterra con le piante accuratamente imballate e quasi tutte superarono il viaggio. Dal punto di vista scientifico, il maggiore contributo di Reeves fu una collezione di acquarelli di pesci (circa 500), eseguiti da artisti locali tra il 1828 e il 1830, che furono utilizzati da Sir John Richardson per il suo On the Ichthyology of the Seas of China and Japan (1845). La collezione di acquarelli di Reeves, oltre che piante e pesci, comprende anche altri animali; di grande interesse sia scientifico sia estetico, oggi è custodita al British Museum. Una parte degli acquarelli botanici si trova invece alla Lindley Library della Royal Horticultural Society Nel 1831 Reeves tornò in Inghilterra e si stabilì a Clapham; mantenne però un legame con la Cina attraverso il figlio John Russell Reeves, che viveva a Canton come assistente ispettore del tè e come il padre inviò in Inghilterra piante e fogli d'erbario. Reeves padre era molto attivo nella Horticultural Society, di cui continuava ad essere un riferimento per le piante cinesi, Nel 1842, in seguito al trattato di Nanchino che mise fine al sistema delle factories di Canton e aprì almeno parzialmente la Cina al commercio europeo, fu lui a proporre la creazione del Chinese Committee, il cui scopo era organizzare la missione di un raccoglitore di piante da inviare in Cina quanto prima. La scelta del comitato cadde su Robert Fortune, che sarebbe partito per il suo primo viaggio nel 1843. Reeves non scrisse molto: ha lasciato lettere (12 quelle scritte a Banks), un diario, un breve saggio sulle piante medicinali cinese pubblicato nel 1828 sulle "Transactions" della società di medicina botanica; inoltre collaborò al Dictionary del sinologo Morrison con liste di nomi cinesi di stelle e piante. ![]() Il genere Reevesia Reeves è commemorato dal nome di alcuni animali che i suoi acquarelli fecerono conoscere in occidente, come il fagiano di Reeves Syrmaticus reevesii, da piante come Philadelphus reevesianus e Skimmia reevesiana, e soprattutto dal genere Reevesia, che gli fu dedicato nel 1829 da Lindley con queste parole: "In onore di John Reeves, Esq., attualmente residente a Canton, al quale siamo indebitati per la conoscenza di questa pianta; grazie ai cui instancabili sforzi per la causa della scienza la botanica della Cina ha ricevuto assistenza materiale; e al quale il nostro giardino è indebitato per molti dei più bei ornamenti che contiene". Un ramo fiorito di Reevesia thyrsoidea era in effetti arrivato a Londra in una collezione di exsiccata spedita dalla Cina di Reeves, colpendo Lindley per la sua singolarità. Lo stesso Reeves ne aveva poi inviato un disegno cinese e una descrizione, che furono utilizzati da Lindley per pubblicare la pianta prima sul "Brande's journal", poi sul "Botanical cabinet". Oggi il genere (famiglia Malvaceae, in precedenza Sterculiaceae) comprende una dozzina di specie con distribuzione disgiunta; infatti alle specie asiatiche, distribuite nell'Asia sudortientale dall'Himalaya alla Cina, all'Indocina e a Giava, nel 2013 si è aggiunta la messicana R. clarkii, in precedenza assegnata al genere monotipico Veeresia (che di Reevesia è anagramma). Sono alberi o più raramente arbusti sempreverdi, con foglie alternate intere, da glabre a densamente pubescenti. I fiori bianchi, riuniti in infiorescenze panicolate, cimose o tirsoidi, hanno calice imbutiforme o campanulato, irregolarmente lobato, e corolla rotata con petali unguicolati, solitamente bianchi. Dalla corolla protrude un lungo androginoforo che sorregge 15 stami fusi a gruppi di tre e un ovario globoso. Il frutto è una capsula legnosa che si apre in dieci valve separate. La specie più diffusa è R. thyrsoidea, distribuita dalla Cina meridionale all'Indocina, dove vive nella foresta pluviale o lungo i corsi d'acqua tra 500 e 1500 metri, ma è anche usata come ornamentale. E' un alberello molto ramificato, con corteccia grigio-bruna, ramoscelli parsamente stellati. Le foglie hanno lamina da oblunga a ellittica, di consistenza coriacea, con base arrotondata e apice acuto e nervatura evidente. I piccoli fiori bianchi sono uniti in una densa infiorescenza e sono piacevolmente profumati. Le fibre della corteccia sono utlizzate per fabbricare corde, mentre il legname trova uso nella fabbricazione di mobili. A inizio Ottocento, la crescente richiesta di esemplari naturalistici da parte di istituzioni e privati apre nuovi spazi ai raccoglitori indipendenti, diversi dalla tradizionale dipendenza da un patrono. Così, quando non sopporta più lo sponsor iniziale, il tedesco Ferdinand Deppe decide di mettersi in proprio. Convince poi a unirsi a lui un amico, il botanico Christian Julius Wilhelm Schiede. All'inizio con un certo successo, ma poi l'avventura finirà piuttosto male per Deppe, malissimo per Schiede. I due amici sono ricordati dai generi Deppea, Schiedea, Schiedeella. ![]() A caccia di animali e piante in Messico Nel 1821, il Messico divenne ufficialmente indipendente. Ciò apriva nuove possibilità per la ricerca naturalistica. Fino ad allora, la corona spagnola era stata gelosissima delle sue colonie americane e solo a pochissimi naturalisti, tra cui spicca il nome di Humboldt, era stato concesso di varcare la frontiera messicana. Quasi immediatamente, il conte Albert von Sack, ciambellano del re di Prussia e Secondo maestro della caccia reale, inziò a progettare una spedizione che, iniziata in Messico, proseguisse in Guatemala e poi ancora in Sudamerica. Era un personaggio piuttosto eccentrico, con precedenti esperienze di viaggio in contrade lontane: tra il 1805 e il 1807, poi di nuovo tra il 1810 e il 1812 era stato in Suriname raccogliendo "ogni genere di rarità naturali" per la recentemente fondata università di Berlino; tra il 1818 e il 1820 aveva viaggiato in Grecia, Cipro, Egitto, raccogliendo oggetti naturali e archeologici per varie istituzioni berlinesi. Egli avrebbe finanziato la spedizione a beneficio del Museo di storia naturale di Berlino; oltre a lui, vi avrebbero preso parte un suo servitore, uno zoologo del museo e il giardiniere Ferdinand Deppe (1795-1861), da lui scelto e imposto. Nato a Berlino in una famiglia di origini francesi, quest'ultimo si era formato presso i giardini di Graz, Vienna, Kassel e Monaco e al momento lavorava come giardiniere a Charlottenburg. Attivo e serio, si preparò con cura, leggendo ogni opera disponibile sulla flora, la fauna e la geografia del Sudamerica e imparando a preparare le pelli degli animali. La preparazione della spedizione tuttavia si trascinò per le lunghe e fu pronta a partire solo nell'ottobre 1824, previa una lunga tappa a Londra per visitare le collezioni del British Museum e l'esibizione messicana di William Bullock, un avventuriero inglese che aveva fatto qualche fortuna nel settore minerario. Lasciata Londra all'inizio di ottobre, via Barbabados e Giamaica il gruppo raggiunse Alvarado nello stato di Veracruz a metà di dicembre, ma durante il viaggio il servitore del conte morì di febbre gialla. Dopo un'escursione alla laguna di Tlaticalpán, proseguirono poi per Città del Messico via Xalapa. Ad aprile un'escursione portò Deppe a Temascaltepec, dove egli conobbe William Bullock jr., figlio del citato Mr. Bullock, che era tornato in Messico con la famiglia sperando. Fu forse questo incontro o la crescente insofferenza per i modi del conte che spinsero Deppe a lasciare la spedizione e a proseguire da solo a proprie spese. A giugno e a luglio visitò diverse località dello Stato del Messico, ad agosto raggiunse Bullock a Tehuantepec, quindi i due intrapresero una lunga spedizione che a settembre li portò a Oaxaca via Puebla, quindi nuovamente a Tehuantepec e alla costa del Pacifico. Tornati a Oaxaca, i due amici si separarono; per raggiungere Bullock la famiglia a Città del Messico, Deppe Alvarado dove averebbe spedito le ingenti raccolte. Per venderle contava sul fratello minore Wilhelm, contabile del Museo di storia naturale, e su Hinrich Lichtenstein, direttore del Museo zoologico di Berlino, che infatti acquistò e pubblicò le raccolte zoologiche. L'anno successivo fu dedicato a ampie escursioni negli stati di Veracruz, Messico e Oaxaca, intervallati da visite alla famiglia Bullock. William Bullock senior aveva fondato una compagnia mineraria e tornando a Londra nel settembre 1826 prese con sè le pelli di molti uccelli preparate da Deppe; furono in parte vendute all'ornitologo William Swainson che ne descrisse diverse. Anche per Deppe era ora di tornare in Europa dopo tre anni di assenza; imbarcatosi a Veracruz nel gennaio 1827, raggiunse Amburgo ad aprile. Le raccolte zoologiche del triennio messicano erano imponenti: 958 pelli di uccelli di 315 specie, molte delle quali ancora ignote alla scienza, migliaia di insetti, e ancora mammiferi, rettili, anfibi, pesci. Gli animali erano il prodotto più richiesto dai clienti, ma Deppe non trascurò le piante; di particolare interesse alcuni cactus raccolti verso la fine della spedizione. A Berlino riuscì a vendere con successo le sue raccolte, ma andò delusa la speranza di un posto una delle istituzioni scientifiche della capitale. Decise così di tornare in Messico come raccoglitore freelance, contando che la vendita di esemplari zoologici e botanici gli avrebbe permesso di vivere. Lo accompagnava il medico e botanico Christian Julius Wilhelm Schiede (1798 – 1836). Quest'ultimo era nativo di Kassel, dove era tornato ad esercitare la professione dopo aver studiato a Berlino ed essersi laureato a Gottinga. E forse proprio a Kassel i due si erano conosciuti, quando vi lavorava anche Deppe. A differenza del "pratico" Deppe, aveva all'attivo almeno due pubblicazione: la tesi di laurea dedicata agli ibridi spontanei e un articolo sullo stesso argomento pubblcato nel 1824 su "Flora". Nel luglio del 1828 i due amici si stabilirono a Xalapa, che divenne la loro base per un'ampia esplorazione dello stato di Veracruz. Tra l'altro scalarono il Pico de Orizaba, raggiungendo quasi la cima. Le loro raccolte, anche botaniche, erano sensazionali, ma i risultati finanziari meno. Il loro principale cliente Hinrich Lichtenstein non poteva più permettersi di acquistare gli esemplari a prezzi ragionevoli e, anche se molto fu venduto ai musei di Vienna e Berlino, non bastava per vivere. Sperando di raggiungere una clientela più vasta, il fratello di Deppe Wilhelm fece stampare un catalogo e un prezzario delle raccolte zoologiche, ma non fu sufficiente. Nel 1830 Deppe e Schiede furono costretti ad abbandonare l'attività di raccoglitori; Schiede lavorò come medico a Città del Messico, dove morì di tifo nel 1836; Deppe trovò lavoro come agente di una compagnia commerciale e si trasferì prima ad Acapulco poi a Monterray in California, che all'epoca faceva ancora parte del Messico. Qui fece ancora qualche raccolta, visitò le missioni dell'interno e almeno una la dipinse in quadro ad olio, collezionò oggetti etnografici. Nel 1836, rovinato finanziariamente da una truffa, decise di tornare in patria. Durante il lungo viaggio di ritorno, toccò le Hawaii, le Filippine, Canton e la Malesia, facendo raccolte di oggetti naturalistici e etnografici. Di ritorno a Berlino nel 1838, si scontrò nuovamente con l'indifferenza degli ambienti scientifici. Non gli restò che tornare agli inizi: nel 1840 acquistò una proprietà sul lago Lietzen, non troppo lontano dal parco di Charlottenburg dove aveva iniziato la sua carriera come giardiniere del re di Prussia, e vi fondò un apprezzato vivaio, famoso per le sue dalie e le sue rose; si sposò ed ebbe dei figli. Vi lavorò fino alla morte nel 1861. ![]() Una delle piante più rare del mondo Anche se Deppe si segnalò soprattutto per le raccolte di animali, e in particolare di uccelli, anche le sue raccolte botaniche, soprattutto quando si associò con Schiede, sono di notevole importanza per la conoscenza della flora messicana. A partire dal 1830, le loro raccolte botaniche furono oggetto di numerose pubblicazioni su "Linnea" da parte di Schlechtendal e Chamisso; si tratta di diverse centinaia di specie. Sempre a Schlechtendal e Chamisso si deve la dedica del genere Deppea "in onore dello scopritore, lo stimato Deppe, instancabile nell'esplorazione della fauna e della flora". Sono numerosi anche gli eponimi che gli rendono omaggio, a cominciare dalla più nota delle sue scoperte Oxalis deppei (oggi Oxalis tetraphylla var. tetraphylla). Per limitarci alle denominazioni ancora accettate, aggiungiamo la bellissima orchidee Lycaste deppei, Struthanthus deppeanus, Eryngium deppeanum, Monochaetum deppeanum, Juniperus deppeana, Sinclairia deppeana, Tillandsia deppeana, Euphorbia deppeana, Moussonia deppeana, Aegiphila deppeana, Peperomia deppeana, Arundinella deppeana. Deppea (famiglia Rubiaceae) comprende da 25 a 39 specie di arbusti o piccoli alberi, con distribuzione disgiunta: Messico e America centrale da una parte, con la grande maggioranza delle specie, Brasile e Argentina settentrionale dall'altra con un'unica specie; l'ambiente tipico sono le foreste nebulose di montagna al confine tra Messico e Guatemala. La tassonomia del genere non è ancora del tutto chiara. Alcuni autori lo intendono in senso più largo, includendovi generi più piccoli come Bellizinca, Csapodya ed Edithea, altri in senso più ristretto. Si tratta spesso di endemismi puntiformi con in areale estremamente ridotto, il che ne mette a rischio la sopravvivenza. È il caso della specie più nota, Deppea splendens, chiamata in inglese Golden fuchsia, per suoi fiori penduli a campana, anche se non ha alcuna parentela con le fucsie. La sua diffusione era limitata a una gola del versante merdionale del Cerro Mozotal nel Chapas. dove cresceva nella foresta nubilosa mista di pini e querce. Qui fu raccolta nel 1972 per la prima volta sotto forma di esemplari d'erbario da Dennis Breedlove che stava preparando un lavoro sulla flora del Chapas. Negli anni successivi furono raccolti altri campioni, ma solo nel 1981 Breedlove e Bruce Bartholomew raccolsero dei semi che furono affidati all'orto botanico dell'universtà della California e agli Huntington Botanical Gardens. I semenzali prosperarono e furono distribuiti ad altre istituzioni e vivai; anche se molti perirono per il freddo nel dicembre 1990, almeno alcuni sopravvissero. Fortunamente! Infatti nel frattempo il loro habitat originario era stato disboscato e trasformato in terreno agricolo, causandone l'estinzione in natura. E' una pianta bellissima, considerata una delle più rare al mondo. ![]() Piante rare (o che fingono di esserlo) Numerose sono anche le piante dedicate a Schiede, dei due il vero botanico, sebbene raccogliessero insieme e Deppe fosse l'inizatore e l'anima della ditta. Lo ricordano nell'eponimo circa una sessantina di specie, numerose delle quali sono orchidee che Schiede e Deppe contribuirono a far conoscere in Europa agli albori dell'interesse per le orchidee tropicali, e due generi: Schiedea e Schiedeella. Il primo è in un certo senso una dedica di augurio e speranza: Schlechtendal e Chamisso glielo dedicarono nel 1826, dunque prima della partenza per il Messico, come auspicio di raccogliere nei suoi futuri viaggi una messe fecondissima delle piante più rare. Per l'occasione Chamisso scelse una delle piante raccolte da lui stesso alle Hawaii durante il suo giro intorno al mondo, Schiedea ligustrina. Sono infatti endemiche di quell'arcipelago le 35 specie di questo genere della famiglia Dianthaceae. Erbacee o arbustive, sono spesso endemiche di una sola isola, e non di rado presenti in popolazioni limitatissime; non poche rischiano di fare la stessa fine di Deppea splendens ed essendo più modeste e meno vistose, non possono neppure sperare che la loro bellezza venga a salvarle. A minacciarle sono la restrizione dell'ambiente naturale e il cambiamento climatico. Schiedeella (famiglia Orchidaceae) fu dedicata a Schiede molti anni dopo la sua morte da Schlechter, a partire da otto orchidee diffuse nelle steppe aride d'altura in Messico e Guatemala, alcune delle quali furono segnalate proprio da Schiede. Oggi al genere sono assegnate una ventina di specie, diffuse dall'Arizona e dal Texas al centro America passando per i Caraibi. Sono piccole orchidee terrestri erbacee, modeste nelle dimensioni come nella foritura. L'unica specie statunitense Schiedeella arizonica, classificata come vunerabile, è stata considerata rara finché i ricercatori si sono resi conto che in realtà è relativamente abbondante, ma è difficile da osservare perché si confonde nella vegetazione e ogni anno ne fiorisce solo dal 10% al 15%. E la fioritura stessa è tutt'altro che vistosa. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2025
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