Nel febbraio 1787, William Curtis pubblica il primo numero di The Botanical Magazine, una rivista illustrata di botanica e giardinaggio di nuova concezione. Da allora le pubblicazioni non sono mai cessate; strettamente associato con i Kew Gardens che ne sono tuttora l'editore, è il periodico botanico più longevo e, dopo più di due secoli, continua ad essere un luogo d'incontro privilegiato tra scienza, passione per le piante ed arte. Innumerevoli le piante che sono state descritte e pubblicate la prima volta nelle sue pagine; le sue illustrazioni costituiscono la più vasta serie di illustrazioni botaniche mai prodotta. Dal 1801 la rivista porta il nome Curtis's Botanical Magazine in ricordo del suo fondatore cui è anche stato dedicato il genere monotipico Curtisia. Come un farmacista diventò botanico In Gran Bretagna, l'ultimo quarto del Settecento fu segnato da un profondo mutamento delle pubblicazioni di scienze naturali. Mentre fino ad allora erano scritte per lo più in latino e si rivolgevano a un pubblico di addetti ai lavori (scienziati, medici, farmacisti) che si era via via allargato a un'élite di gentiluomini amatori, quasi sempre con notevoli disponibilità economiche, ora c'erano molte altre persone interessate a leggere di argomenti scientifici: donne, artigiani, membri della classe media. A colmare le loro attese fu un fiorente mercato di pubblicazioni divulgative accessibili e spesso esteticamente curate. Uno dei protagonisti di questa svolta fu senza dubbio William Curtis (1746-1799). Nato in una famiglia quacchera di Alton (Hampshire), come non conformista era escluso dagli studi universitari. In famiglia c'era però una forte tradizione medica: il nonno, uno zio, due fratelli e un cugino erano chirurghi e farmacisti. William avrebbe dunque seguito le loro orme, inizialmente sotto la guida del nonno, di cui fu apprendista per cinque anni. Già allora però si faceva sentire l'interesse per la natura, grazie a Thomas Legg, oste e naturalista dilettante, in compagnia del quale egli percorreva la campagna alla ricerca di piante e insetti, con disapprovazione del nonno. Fu forse per allontanarlo dalle distrazioni della campagna che questi decise di spedirlo a completare il tirocinio a Londra, per un anno nella bottega di George Vaux e per due in quella di Thomas Talwin; intanto seguiva i corsi di chirurgia al St. Thomas Hospital e continuava a coltivare botanica e entomologia con i nuovi amici londinesi, come John Coakley Lettsom che lo mise anche in contatto con un altro medico quacchero, John Fothergill. Nel dicembre 1771 fu ammesso alla corporazione dei farmacisti ed aprì una propria bottega in società con il chirurgo William Wawell. Secondo diverse fonti, sarebbe subentrato a Talwin alla morte di questi, ma poiché Talwin nel 1774 era ancora vivo e risulta tra gli esaminatori per l'ammissione alla corporazione, la notizia è certamente errata. All'epoca, infatti, Curtis aveva già abbandonato la farmacia per seguire la sua vera vocazione. Così descrive la circostanza James Edward Smith: "I doveri di un praticante su e giù per le strade cittadine mal si accordavano con le escursioni di un naturalista; il farmacista fu presto offuscato dal botanico, e la bottega sostituita da un giardino". Infatti nel 1771 Curtis cedette impulsivamente il negozio al socio per fondare il suo primo orto botanico, situato in un terreno di appena un acro a Bermondsey, non lontano dall'attuale Old Vic, e dedicato principalmente alla flora britannica. È dello stesso anno il suo primo libro, Instructions for collecting and preserving insects. Rivolto esplicitamente ai principianti, fornisce istruzioni pratiche per catturare, montare e conservare esemplari di insetti, "in particolare falene e farfalle". L'anno successivo seguì un lavoro più ambizioso, Fundamenta Entomologiae: or, an Introduction to the Knowledge of Insects, ovvero la traduzione della tesi omonima di Andreas Johan Bladh, pubblicata da Linneo nel settimo volume di Amoenitates Academicae. Le tesi, all'epoca, erano per lo più scritte dai professori, e possiamo concordare con la prefazione che "se non si tratta interamente di un'opera di Linneo, ha avuto la sanzione della sua approvazione". Per avvicinare all'entomologia un pubblico più ampio, Curtis mirò a un linguaggio piano e scorrevole e aggiunse due tavole calcografiche. Ormai cominciava ad essere conosciuto negli ambienti dei naturalisti e nel dicembre 1772 fu nominato dimostratore di botanica del giardino dei farmacisti di Chelsea, prendendo servizio all'inizio del 1773. Tra i suoi compiti, coordinare il mantenimento del giardino, supervisionare il lavoro del capo giardiniere William Forsyth, tenere lezioni di botanica agli apprendisti farmacisti, organizzare le escursioni o herborizing, predisporre 50 esemplari d'erbario da consegnare ogni anno alla Royal Society. Dopo un buon inizio, le inadempienze di Curtis e gli ammonimenti del Comitato direttivo incominciarono a moltiplicarsi, fino alle dimissioni presentate nel 1777. In effetti a distogliere l'attenzione di Curtis dai suoi compiti a Chelsea era il progetto, secondo le parole del suo primo biografo R.J. Thornton, di dare al paese "una storia naturale completa delle isole britanniche con tavole illustrate per ciascun oggetto, [...] non in una scala minuscola e inadeguata, ma giusta, nobile e magnifica, come il nostro Impero, davvero degna della nazione britannica". Come primo atto, si trattava di descrivere nel modo più completo possibile le piante indigene che crescevano in un raggio di dieci miglia dalla capitale. Nacque così Flora londinensis; era un'opera in formato in folio con illustrazioni estremamente accurate a grandezza naturale, affidate principalmente a William Kilburn, Sydenham Edwards, James Sowerby, Francis Sansom e forse altri (nessuna tavola è firmata). Per realizzarla, Curtis fece accurate ricerche spingendosi anche oltre le dieci miglia dichiarate, tanto che Flora londinensis è considerato di fatto la prima flora dell'Inghilterra meridionale. Per ogni specie viene indicato il nome latino e quello inglese, seguiti dai sinonimi edei principali autori, da una diagnosi in latino e in inglese, da una nota in inglese sull'habitat, la distribuzione, il mese di fioritura e elementi utili a facilitare l'identificazione. Commercializzata con il metodo della sottoscrizione (il primo volume riporta una lista di 321 sottoscrittori) era venduta in fascicoli, ciascuno dei quali conteneva la trattazione di sei specie e altrettante tavole; dodici fascicoli formavano un volume. Il primo fascicolo (costava 2 scellini e mezzo in bianco e nero, 5 scellini a colori, 7 scellini e mezzo se colorato con maggior accuratezza) uscì nel 1775, il primo volume fu concluso nel 1777, l'ultimo nel 1798, un anno prima della morte dell'autore, per un totale di 72 fascicoli, 6 volumi, 432 incisioni. La nascita di una rivista mitica Era un'opera magnifica, che fu immediatamente lodata per la bellezza e la precisione delle tavole, ma anche per la completezza delle ricerche botaniche. Tuttavia era anche costosissima e non fu un successo commerciale, anche se per arrotondare le entrate le tavole colorate a mano venivano anche vendute separatamente; il numero dei sottoscrittori non si allargò e di ogni fascicolo non furono mai stampate molto più delle 330 copie iniziali. Nonostante l'eredità paterna, il soccorso finanziario di lord Bute cui l'opera è dedicata e di altri amici, Curtis si trovò in ristrettezze finanziarie e dovette rallentare il ritmo di pubblicazione. Abbiamo visto che fin dal 1771 egli aveva creato un piccolo orto botanico a Bermondsey; nel 1778 lanciò una sottoscrizione per creare un orto botanico aperto al pubblico battezzato London Botanic Garden; in effetti, non esisteva nulla di simile. Anche se ammettevano selezionati visitatori, il giardino di Chelsea era riservato ai farmacisti e i Kew Gardens al sovrano; l'orto botanico concepito da Curtis era invece pensato per "l'uso del medico, del farmacista, dello studente di medicina, dell'agricoltore scientifico, del botanico (particolarmente del botanico inglese), dell'amante dei fiori e del pubblico in generale". Sarebbe dunque stato aperto a tutti, dietro pagamento del biglietto d'ingresso, e avrebbe raccolto piante native, piante officinali, piante agricole e alimentari, piante belle per soddisfare un pubblico così vasto e variegato. Grazie a numerosi sottoscrittori (amici, collezionisti, vivaisti, lo stesso giardino di Kew) Curtis ottenne circa 6000 piante che, insieme a quelle trasferite da Bermondsey, vennero piantate in un terreno più vasto situato a Lambeth Marsh in un'area posta tra gli attuali Westminster Bridge e Waterloo Station. Il London Botanic Garden aprì i battenti il 1 gennaio 1779; il biglietto d'ingresso non era modico (una ghinea), ma dava anche accesso alla biblioteca. Le piante era sistemate in aiuole dove, etichettate secondo il sistema di Linneo, erano contrassegnate da bastoni colorati: blu per le piante alimentari e orticole, neri per quelle velenose, rossi per le tintorie, verdi per le agricole e gialli per le officinali. Più che a un orto botanico, assomigliava dunque a un museo all'aria aperta. Era però anche un vivaio dove era possibile acquistare semi e talee delle piante esposte. Curtis vi teneva anche periodicamente lezioni o conferenze di botanica. Fu grazie ai visitatori del giardino che Curtis concepì infine l'idea vincente. Molti appassionati lamentavano che mancassero opere autorevoli che fornissero informazioni aggiornate sulle piante esotiche che da ogni parte affluivano sempre più numerose e che essi coltivavano nelle loro serre e nelle loro aiuole. Spesso seguiva la più grande delusione perché quelle straniere, in mancanza di cure adeguate, morivano. La risposta di Curtis fu la pubblicazione di The Botanical Magazine; il primo numero, rivolto "alle signore, ai signori e ai giardinieri che desiderano acquisire una conoscenza scientifica delle piante che coltivano", uscì il 1 febbraio 1787; secondo il modello sperimentato in Flora londinensis semplificato e adattato al nuovo scopo, di ogni pianta era fornito il nome latino, il nome inglese, la classificazione nel sistema di Linneo, una breve diagnosi in latino (distinta in generica e specifica), qualche referenza bibliografica, un breve testo inglese con provenienza, habitat e dettagliate indicazioni di coltivazione (per lo più ricavata dal Gardeners Dictionary di Miller), un'illustrazione a grandezza naturale, anche se dall'imponente in folio si era passati al più maneggevole ottavo. La rivista sarebbe uscita a cadenza mensile (ogni numero costava uno scellino), presentando ogni volta tre nuove piante; quelle scelte per il numero d'esordio sono Iris persica (una pianta notoriamente di difficile coltivazione), Rudbeckia purpurea (oggi Echinacea purpurea), Helleborus hyemalis (oggi Eranthis hyemalis). Bellissima è soprattutto la delicatissima tavola di Iris persica, disegnata da James Sowerby, che anche in seguito fu uno degli artisti principali, insieme a Sydenham Edwards. Le incisioni si devono invece Francis Sansom. Il successo fu travolgente: le sottoscrizioni arrivarono da appassionati, da persone colte ma anche del tutto digiune di botanica, e moltissime da giardinieri e vivaisti, che vi trovarono uno strumento di lavoro utilissimo. La tiratura di ogni numero presto superò le 2000 copie, garantendo a Curtis quel successo finanziario che era mancato a Flora londinensis; spiritosamente commentò che la rivista gli aveva procurato tanto lodi quanto pudding. Mentre la rivista proseguiva il suo cammino a gonfie vele, Curtis continuava a lavorare a mille progetti. Prendeva note per la progettata Flora britannica (nel 1782 trascorse sei settimane a botanizzare nello Yorkshire), l'invasione di un bruco irritante gli offrì l'occasione per tornare all'entomologia, lanciò (con esiti finanziari disastrosi, tanto che la pubblicazione fu sospesa dopo appena due fascicoli) un'opera illustrata sulle piante e gli animali usati in medicina, cercò di lanciare sul mercato foraggere e ortaggi di cui produceva i semi nel suo orto botanico, accompagnandoli con opuscoli informativi. Il suo vero successo rimaneva dunque la rivista, anche se a partire dal 1789 non mancò qualche critica. I lettori avevano notato con disappunto che delle 72 piante dei primi tre anni, ben 40 erano europee, mentre il loro interesse principale andava alle novità esotiche. Contro le loro preferenze, invece per Curtis le piante native erano state e continuavano ad essere il vero amore. Ne approfittò anche la concorrenza: nel 1797 Henry C. Andrews, botanico e illustratore, lanciò il periodico Botanist's Repository for New and Rare Plant, sottolineando che la maggior parte delle piante presentate dalla rivista di Curtis consisteva in "piante ben note e comuni, da lungo tempo coltivate nei nostri giardini". Furono piuttosto i successori di Curtis a trasformare il periodico nell'araldo delle piante esotiche. Inoltre nel 1790 Sowerby, che fino a quel momento aveva dipinto per The Botanical Magazine 56 tavole, lasciò la rivista per lavorare alla sua immensa English Botany, con testi di James Edward Smith, che in un certo senso è la realizzazione del progetto di una flora britannica concepito ma mai realizzato da Curtis. Nel 1789, allo scadere del contratto d'affitto, anche per sfuggire all'inquinamento urbano, Curtis trasferì il suo orto botanico a Brompton, una zona dove sorgevano diversi vivai. Per qualche tempo, pensò di associarsi con Haworth, riunendo alle sue collezioni e alla sua biblioteca quelle di quest'ultimo, ma il progetto naufragò. Nel 1798 divenne invece suo socio Salisbury, che era stato suo allievo e continuò a gestire il Brompron Botanical Garden anche oltre la morte di Curtis, avvenuta nel 1799, dopo di che trasferì il giardino a Chelsea. Al momento della morte di Curtis erano già usciti 13 volumi della rivista e la tiratura di ciascuna uscita si aggirava sulle 3000 copie. Della pubblicazione del volume 14 si occupò il fratello di Curtis Thomas; a partire dal 15, se ne prese carico il medico John Sims che in onore del fondatore mutò il titolo in Curtis's Botanical Magazine; da allora non ha mai cessato le pubblicazioni, divenendo il più longevo periodico di botanica; fino dall'Ottocento fu strettamente legato ai Royal Botanic Gardens di Kew che ne sono tuttora l'editore. Un albero sudafricano Nonostante la sua predilezione per le piante native, avrà certamente fatto piacere a Curtis la dedica da parte di Aiton, il capo giardiniere dei Kew Gardens, della sudafricana Curtisia faginea (ora C. dentata). E' l'unica specie di questo genere, anzi l'unica rappresentante di un'intera famiglia: inizialmente classificata nelle Cornaceae, è ora sistemata in una famiglia propria, Curtisiaceae. Curtisia dentata è un albero sempreverde di medie dimensioni (solitamente fino a 12 metri, ma può raggiungere 20 metri) che cresce in gran parte delle foreste del Sudafrica e dello Swaziland, dal livello del mare fino a 1200 metri, in diverse condizioni, ma con una predilezione per quelle mediamente umide, dove si trova insieme a Podocarpus latifolius e Olea capensis. Cresce anche nelle foreste aride, ma qui le sue dimensioni rimangono minori. E' un albero elegante che in Sudafrica è ampiamente utilizzato anche come ornamentale, come esemplare isolato o per formare siepi sempreverdi. Il suo nome afrikaans è assegaai "lancia" perché gli zulu lo capitozzavano alla base per raccoglierne i ricacci diritti e duri usati appunto come lance. Negli esemplari giovani, la corteccia è liscia e grigia o color cannella, ma con l'età diventa ruvida, dal marrone scuro al nero e profondamente fessurata. I giovani germogli e le nuove foglie sono vellutate e bronzo dorato. Le foglie adulte, sempreverdi, coriacee. ovate con apici acuti, margini profondamente dentati (da cui l'epiteto), disposte lungo i rami in coppie opposte, hanno pagina superiore liscia, verde scuro e lucida, mentre la pagina inferiore è grigio-verde con nervatura cospicua. Mentre i fiori sono insignificanti, oltre al bel fogliame un ulteriore elemento decorativo è costituito dai frutti, grappoli di bacche da arrotondante a ovali, carnose, da bianco crema a rosate, che rimangono a lungo sulla pianta. Sono eduli, ma amare. La corteccia è usata nella medicina tradizionale per curare diarrea e problemi di stomaco. Gli sono anche attribuite proprietà afrodisiache, cosa che ha portato ad un eccessivo sfruttamento e alla sua scomparsa in alcune parti del paese. Oggi è una specie protetta.
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Tra secondo Settecento e primo Ottocento, a Londra operano due vivaisti omonimi: si chiamano entrambi William Malcolm, non sono padre e figlio come spesso si legge, ma probabilmente parenti, visto che gestirono successivamente lo stesso vivaio. Dapprima situato a Kennington, poi a Stockwell, ai tempi del primo William Malcolm divenne uno dei principali vivai del paese, specializzato in piante esotiche da serra e "stufa", il primo in assoluto ad usare i nomi linneani per il proprio catalogo. Poi la concorrenza aumentò e all'epoca del secondo William Malcolm era solo uno dei tanti vivai dell'area londinese. A ricordarli entrambi (non sappiamo di preciso chi fosse il dedicatario) il genere Malcolmia (Brassicaceae), che vanta tra l'altro un raro endemismo italiano e una splendida benché da noi poco nota annuale da giardino. Due vivaisti al prezzo di uno Nel 1771 William Malcom, proprietario di un vivaio nel sobborgo londinese di Kennington, pubblicò il suo primo catalogo, A catalogue of hot-house and green-house plants, fruit and forest trees [...]. I motivi d'interesse sono diversi. Non solo si tratta di uno dei primi cataloghi a stampa sopravvissuti, ma è il primo in assoluto in cui le piante offerte non sono elencate sotto il loro nome comune, ma sotto il nome botanico binomiale, imposto da Linneo da pochissimo (Species plantarum è del 1753). Inoltre, il cuore dell'offerta non sono più le piante da giardino, le orticole o le piante da frutto coltivate da tempo e ormai più o meno naturalizzate, ma le piante esotiche, come è evidente fin dal frontespizio. Nella pomposa immagine (l'unica per il resto sobrio catalogo) si vede sulla destra, sotto una specie di baldacchino disposto attorno a un albero, una donna assisa (presumibilmente la Britannia) che tiene in mano una pianticella e in grembo un calamaio; la assistono tre figure femminili, una delle quali regge un termometro. Ai suoi piedi, un volume con la scritta Linnaeus Syst. (Sistema di Linneo). Al centro tre figure maschili le offrono cornucopie colme di fiori e frutti: sono l'America che porge un ananas, l'Asia e l'Africa. In alto a sinistra, adagiati tra le nuvole sotto un arco di zodiaco, vediamo il Tempio e la Verità. Sotto, a fare da sfondo, si intravvede un angolo di giardino con una serra e una pianta in vaso. Sotto, racchiuse in un cartiglio rococò, vediamo il prospetto laterale e frontale di due serre. Il messaggio è chiaro: tutto il mondo offre le sue ricchezze botaniche alla Britannia, ma per goderne bisogna vincere l'ostacolo del clima freddo; a soccorso, ecco le serre ma anche la scienza botanica. Nella prefazione (To the reader), oltre a rivendicare la propria ampia esperienza di coltivatore di piante esotiche ("la raccolta di piante e semi dalle varie parti del globo e la loro propagazione è stato il mio studio preferito, e in esso non ho risparmiato né esperienza, né fatica, né cura"), Malcolm spiega e difende la sua decisione di usare i nomi scientifici: in molti libri, specialmente nei cataloghi, le piante sono disposte in modo confuso, la stessa pianta compare in capitoli diversi, ed è presentata sotto nomi differenti, secondo questo o quel sistema, o anche nessun sistema; ne nascono continue dispute e i clienti lamentano di ricevere piante con il nome sbagliato e di aver acquistato una pianta per l'altra. A tutta questa confusione, non vede altro rimedio che "abolire una buona volta tutti i sinonimi e i termini e nomi astrusi degli antichi scrittori e adottare quelli del più corretto e esplicito autore moderno come standard per un catalogo generale"; nella sua opinione, nessun sistema da ogni punto di vista è più indicato di quello linneano, per la sua correttezza e universalità. Dunque ha deciso di elencare le piante con il nome di genere e specie, cui ha affiancato il nome inglese "più intelligibile e noto". Malcolm spiega poi la disposizione delle piante nel catalogo: trattandosi di piante provenienti da paesi diversi e da vari climi, possono essere ricondotte a tre categorie: quelle che, provenendo dai climi più caldi, devono essere coltivate in una serra riscaldata (hot-house o stove); quelle che non sopportano il freddo ma si accontentano della protezione invernale di una serra fredda (green-house); quelle che possono vivere all'aperto. Queste ultime sono ulteriormente divise in alberi e arbusti rustici, erbacee perenni, piante da frutto e bulbose; a terminare il catalogo "i semi più utili per l'orto e il giardino dei fiori o per il miglioramento del terreno". Così organizzato, segue un catalogo di una settantina di pagine, che offre in vendita 650 specie tra esotiche ed erbacee più 250 specie di alberi e arbusti da fiore. Nell'edizione del 1778 le pagine saliranno a 90, le erbacee a 1100 e le legnose a 650 (un numero ineguagliato fino ai cataloghi di Loddiges un quarto di secolo dopo) e l'offerta si allargherà agli utensili da giardino. William Malcom era il creatore e il direttore di uno dei vivai leader dell'area londinese. Della sua vita personale non sappiamo molto, tanto che ignoriamo il luogo e la data di nascita. Come si desume dal cognome, era di origini scozzesi, del resto come la maggior parte dei giardinieri e dei vivaisti britannici dell'epoca. Intorno alla metà degli anni '50 del Settecento prese in affitto un terreno a Kennington, non lontano dall'area dove anni dopo sarebbe sorto il campo di cricket noto come "Oval". Il contratto prevedeva parte del pagamento in natura, con la fornitura di 100 asparagi, segno che, almeno all'inizio, Malcolm - come molti colleghi - doveva soprattutto coltivare ortaggi; successivamente però si specializzò in piante esotiche, destinate anche al mercato internazionale, come testimonia la sua corrispondenza con David van Royen, professore di botanica a Leida, iniziata nel 1768 e protrattasi fino al 1773. Forse il suo interesse per le esotiche iniziò con la coltivazione degli ananas, uno status symbol immancabile nelle collezioni degli aristocratici, visto che a Kennington Malcolm aveva anche un negozio di sementi intitolato The Pine Apple e nel catalogo del 1771 sono elencate sei diverse varietà di ananas. Malcolm allargò sempre più il giro di affari; nel 1769 fornì piante alla principessa Augusta del Galles per i giardini di Kew e dal quel momento si fregiò del titolo di Royal Nurseryman; nel 1779 è citato tra i donatori che fornirono piante a William Curtis per aiutarlo a creare un orto botanico a Londra. Si occupava anche di progettazione di giardini come quello di Woodhall Park nell'Hertfordshire, disegnato intorno al 1782. Certamente a Kennington Malcolm possedeva una o più serre, ma con l'arricchirsi del catalogo e il crescente numero di clienti dovettero divenire insufficienti. Nel 1788 il vivaio fu trasferito a Stockwell in un terreno di 50 acri, dove Malcolm fece costruire un'elegante casa in mattoni grigi ed estese serre fredde e riscaldate. William Malcolm morì l'anno dopo. Nel suo testamento vengono nominati tre figli: James, Marmaduke George Russell e Jacob. Nessuno di loro però dopo la sua morte si occupò del vivaio di Stockwell. La gestione passò a un altro William Malcolm (1768 - 1835), di cui non conosciamo l'esatta parentela con William senior. Poiché suo fratello Alexander lavorava già nel vivaio, si suppone fosse un nipote (figlio di un fratello). Sotto la sua direzione, il vivaio continuò a godere di prestigio e di una buona clientela, ma con un successo probabilmente ridimensionato rispetto all'epoca del primo Malcolm. Negli anni '90 il vivaio Malcolm & son (il son era James, la cui attività principale dovette essere quella di agrimensore) fu incaricato di ristrutturare il giardino di Soho Square; furono piantati una doppia siepe viva e diversi nuovi alberi e arbusti (mandorli, peschi, ciliegi, lillà, maggiociondoli, caprifogli e gelsomini), forse scelti di persona da sir Joseph Banks, la cui casa si affacciava sulla piazza. Come si vede, niente di particolarmente esotico; segno che Stockwell non era più il vivaio leader delle esotiche, ma si stava spostando verso produzioni più abituali e consolidate; purtroppo però non abbiamo cataloghi di questi anni. Nel 1794 i Board of Agriculture del Sussex e del Buckinghamshire commissionarono a padre e figlio indagini sull'andamento dell'agricoltura e sulle migliori pratiche delle loro contee, che però lasciarono scontenti i committenti. Negli anni successivi James dovette continuare l'attività di agrimensore, come dimostrano alcune sue mappe, e nel 1805 pubblicò A compendium of modern husbandry, in cui si occupa soprattutto del miglioramento dei concimi. Forse ormai aveva lasciato il vivaio di Stockwell. Il padre continuò a dirigerlo e cercò di rilanciarlo associandosi con altri vivaisti. Tra il 1805 e il 1810 il suo socio fu un certo Doughty e dal 1811 il celebre giardiniere ed autore di testi di giardinaggio Robert Sweet. Ma non funzionò, e il vivaio di Stockwell chiuse definitivamente nel 1815. Sopravvisse invece la ragione sociale Malcolm & Co. Malcolm infatti affittò un terreno più piccolo a Kensington (una zona assai alla moda) e presumibilmente lo gestì fino alla morte nel 1835, quando lo stabilimento passò a Richard Forrest. Nel 1824 fu convocato come testimone della difesa nel processo contro Sweet, che lodò come persona e come professionista. Del vivaio Malcolm & Co. a Kensington possediamo anche un catalogo (purtroppo senza data): per numero e tipo di piante (essenzialmente limitato a specie ormai ben stabilite nel vivaismo britannico) il confronto con quelli del primo William Malcolm è impietoso. Una bella annuale da (ri)scoprire Il genere Malcolmia venne pubblicato nel 1812 nella seconda edizione del catalogo dei Kew Gardens Hortus kewensis (dove è scritto scorrettamente Malcomia); il volume compare sotto il nome del capo giardiniere (e poi direttore) di Kew William Townsend Aiton, ma è noto che le descrizioni dei generi si devono a Robert Brown; tuttavia, in questo caso, non è automatico che la paternità vada attribuita a lui piuttosto che a Aiton, prevalentemente indicato come autore. Come che sia, né Brown né Aiton hanno indicato chi intendessero onorare. Certo il primo William Malcolm era morto da diversi anni, ma era stato un personaggio di grande rilievo, mentre il secondo era ancora in piena attività e, se pur su scala minore, era comunque stimatissimo. Dunque non sappiamo chi sia il dedicatario di Malcolmia: l'uno o l'altro dei William Malcolm o entrambi. Aiton inizialmente attribuì al nuovo genere tre specie, ciascuna delle quali era stata già descritta da Linneo e collocata in un genere diverso e allo stato attuale è assegnata altri generi ancora, solo la specie tipo rimanendo in Malcolmia (famiglia Brassicaceae). E' una chiara testimonianza della sua eterogeneità e difficoltà tassonomica. Nel corso dell'Ottocento e della prima metà del Novecento la sua delimitazione è stata variamente trattata dai botanici, giungendo a comprendere una trentina di specie. A partire dagli anni '60 del Novecento se ne è riconosciuta l'eterogeneità e, soprattutto in seguito agli studi molecolari, le specie attribuite sono state via via ridistribuite in ben sette generi: Maresia, Neotorularia, Sisymbrium, Strigosella, Zuvanda, il neo creato Marcus-Kochia e appunto Malcolmia in senso stretto. Quest'ultimo attualmente comprende undici specie ed è geograficamente ristretto dal Mediterraneo centrale al Pakistan, con centro di diversità in Grecia (quattro specie), mentre le specie del Mediterraneo occidentale sono passate ad altri generi. Delle sette specie segnalate per il territorio italiano, quattro sono state trasferite ad altri generi; M. flexuosa, una specie balcanica, in passato è stata segnalata per la Puglia, ma è oggi ritenuta estinta; M. maritima, originaria dei Balcani, è presente in Puglia ed è stata segnalata come avventizia, presumibilmente sfuggita dai giardini, in altre regioni; M. orsiniana è invece un raro endemismo dell'Appennino, la cui presenza è stata rilevata unicamente sul Monte Nerone per le Marche, su Majella e Gran Sasso per l'Abruzzo e sulle Montagne della Duchessa per il Lazio. Le Malcolmia sono erbacee annuali o più raramente biennali con stelo eretto, ascendente o decombente, foglie basali spesso raccolte a rosetta e foglie cauline più o meno rade e di dimensioni minori, intere, dentate, più raramente sinuate, spesso di colore grigio per la presenza di tricomi; i fiori, raccolti in racemi di pochi-molti, hanno calice tubolare e quattro petali da rosa a viola, arrotondati, con una leggera insenatura all'apice. I frutti sono silique. Alcune sono eccellenti piante da giardino, in particolare M. maritima, originaria di Albania e Grecia, ma naturalizzata altrove; è un'annuale bassa, che può essere facilmente coltivata da seme e fiorisce rapidamente, producendo racemi di fiori fragranti rosa, viola, bianchi; seminandola scalarmente, può garantire fioriture dalla primavera all'estate. Stranamente da noi non è molto diffusa, mentre potrebbe affiancare validamente altre annuali più popolari. I Pelargonium, nativi per lo più del Sudafrica, incominciarono ad arrivare in Europa a fine Seicento, ma a lungo le specie note e coltivate furono meno di una decina. Poi tutto cambiò grazie a Francis Masson che dal suo primo viaggio in Sudafrica ne riportò non meno di quaranta. Erano belli, diversi tra loro, facili da coltivare e si ibridavano con facilità. Tra i pionieri della loro ibridazione spicca Robert Sweet che, giardiniere specializzato fin dall'adolescenza nella coltivazione delle piante esotiche, fu anche il prolifico autore di pubblicazioni che univano a un certo rigore scientifico un taglio pratico. Tra di esse, per la sua importanza storica spicca Geraniaceae, or The natural order of Gerania, in cui Sweet prestò particolare attenzione ai nuovi Pelargonium ibridi di creati da lui stesso e da altri giardinieri britannici: sono gli antenati degli attuali gruppi Regal e Angel. Sweet godeva di enorme reputazione; eppure, nonostante questo (o forse proprio per questo) fu trascinato in tribunale, accusato di aver acquistato piante rubate ai Kew gardens, nonostante ne conoscesse la provenienza illecita. Lo ricorda il genere monospecifico sudamericano Sweetia. Furto ai Kew Gardens Tra le sette e le otto del mattino del 29 gennaio 1824 John Smith, l'aiuto giardiniere dei Royal Botanic Gardens di Kew addetto alla serra delle esotiche, notò una finestra semiaperta; un esemplare di Banksia grandis che avrebbe dovuto essere presso la finestra mancava. Esaminò allora la serra e constatò che mancavano altre sette piante, tutte rare e una addirittura non ancora identificata. Informò immediatamente il suo superiore, il direttore William Townsend Aiton, e poco dopo i due si recarono a porgere denuncia alla più vicina stazione di polizia. Purtroppo i furti ai Kew Gardens erano all'ordine del giorno e certamente avvenivano con la complicità del personale. Aiton additò il colpevole materiale in Michael Hogan, un altro aiuto giardiniere che dal giorno 26 non si era più presentato al lavoro e ora risultava irreperibile; fu probabilmente sempre lui a insinuare che il mandante fosse il noto giardiniere e autore di testi botanici Robert Sweet. Così la sera stessa Mr, Ruthven, l'agente incaricato dell'indagine, e Smith si recarono a casa di Sweet; il poliziotto, convinto che egli fosse colpevole, lo investì con modi molto aggressivi ingiungendogli di consegnare la cassa che doveva aver ricevuto quella stessa mattina dall'ufficio postale di Kew Bridge o di Brentford. Sweet cadde dalle nuvole e disse di non saperne nulla. L'agente lo costrinse ad accompagnarlo nel vivaio Covill, di cui Sweet era sovrintendente. Qui dovette mostrare esemplari delle specie rubate, che in gran parte Smith riconobbe come quelli di Kew, anche se erano piantati in vasi e terricci differenti. Nel negozio di sementi annesso fu anche trovata una scatola indirizzata a Sweet che secondo il commesso era arrivata nella tarda mattinata. Nel frattempo Sweet, che durante la perquisizione era spesso apparso confuso ed esitante, era già stato ammanettato. Venne quindi condotto in arresto alla stazione di polizia; Covill - immediatamente riconosciuto estraneo ai fatti - offrì di pagare una cauzione per il prigioniero, ma questa rifiutata. Il fattaccio fece molto rumore. Sweet non era infatti uno qualunque. Oltre ad essere un giardiniere di provata abilità, era l'autore di molte importanti pubblicazioni (le vedremo meglio tra poco) e godeva della stima universale. Lo dimostra il gran numero di amici e colleghi che si mobilitò in occasione del processo, tenutosi il 24 febbraio di fronte all'Old Bailey. L'accusa non era di ricettazione, ma di fellonia: le piante di Kew appartenevano infatti a sua Maestà il re. Durante il dibattimento, emersero molte incongruenze; Smith ammise che poteva anche essersi sbagliato nel riconoscere in quelle piante quelle sottratte a Kew; Ruthven, pur continuando ad insistere sulle esitazioni e a suo parere reticenze di Sweet, ammise di non aver trovato le prove che Hogan avesse spedito un pacco da Kew Bridge o Brentford e che il pacco rinvenuto era troppo piccolo per le piante (ma i vasi originali erano più piccoli, aggiunse). Furono poi sentiti la moglie del direttore dell'ufficio postale di Brentford e uno dei corrieri, che testimoniarono di aver ricevuto e consegnato un pacco per Sweet da parte di un certo Charles Noyce la sera del 28. Provato dall'arresto e da quasi un mese di reclusione, Sweet fece leggere una memoria difensiva dal suo avvocato; seguì poi una sfilza di testimoni a difesa. Molte le voci di giardinieri e vivaisti; dalle loro testimonianze emerse che inviare scatole di piante, talee e semi era pratica comune (a volte addirittura per divertimento), che le piante sparite da Kew non erano né affatto uniche né così preziose come pretendevano Aiton e Smith; William Anderson, sovrintendente di Chelsea, scodellò un elenco di prezzi che costituisce per noi un documento prezioso. Una decina tra giardinieri e vivaisti testimoniò poi l'onesta e l'onorabilità dell'imputato: "lo ritengo un uomo onesto e onorevole", dichiarò Joseph Knight; "non esiste un uomo più onesto" rincarò William Malcolm, e così via. Nella sua requisitoria il giudice si schierò per la colpevolezza, soprattutto sulla base del supposto comportamento esitante e reticente di Sweet al momento dell'arresto, ma invitò anche la giuria a non trascurare i dubbi. E infatti la giuria non li trascurò: dopo un'ora e mezza di discussione, dichiarò Sweet non colpevole. Oggi diremmo che fu assolto per insufficienza di prove. La convinzione attuale è che fosse davvero innocente e che Aiton, incastrando Sweet, avesse voluto dare una lezione e un avvertimento ai vivaisti che, certamente con la complicità dei giardinieri, si procuravano surrettiziamente piante rare da Kew, per poi moltiplicarle nei loro vivai e metterle in vendita. Insomma, colpirne uno per ammonirne cento. Nuove piante per i giardini britannici Così il povero Robert Sweet (1783-1835) se la cavò con un mese di carcere che non intaccò la sua reputazione e il suo prestigio tra giardinieri e botanici, del resto attestato anche dai numerosi colleghi che si erano presentati in tribunale a difenderlo. E' pur vero che, difendendo lui, difendevano sé stessi, ma Sweet era certamente una figura di primo piano del giardinaggio britannico. La sua carriera era iniziata a sedici anni, come aiuto giardiniere sotto il fratellastro James Sweet, all'epoca capo giardiniere di Ham Green, la tenuta del medico Richard Bright presso Bristol. Qui aveva lavorato nove anni, poi era passato al servizio dell'uomo d'affari e collezionista John Julius Angerstein, come curatore della collezione di esotiche della tenuta di Woodlands. Nel 1810 entrò nel vivaismo come socio del vivaio Malcolm di Stockwell e quando questo fu chiuso nel 1815, passò al servizio come capo giardiniere e sovrintendente prima del vivaio Whitley, Brames, & Milne, poi del vivaio Covill, posizione che occupava come abbiamo visto al momento della sua disavventura. La lasciò nel 1826, per concentrarsi maggiormente nella scrittura; contemporaneamente coltivava un numero limitato di piante prima in un piccolo giardino a Parson's Green (Fulham), poi dal 1830 in uno più grande a Chelsea. Tuttavia a partire dal 1831 soffrì di febbri cerebrali; la sua salute precipitò, portandolo alla morte nel 1835. Sweet, che fin dal 1812 era membro della Linnean Society, affiancò al lavoro di giardiniere una copiosa attività pubblicistica. La sua prima opera è Hortus suburbanus londinensis; si tratta di un catalogo delle piante coltivate nei dintorni di Londra. Come leggiamo nella prefazione, era il frutto della congiunzione tra l'esperienza pratica e ottime conoscenze teoriche: "Il compilatore del presente [libro], dall'infanzia fino ad oggi, è stato costantemente impegnato nella coltivazione delle piante esotiche come mezzo di sostentamento; e, per quanto glielo hanno permesso gli impegni di lavoro e le opportunità che gli si sono offerte, si è sforzato industriosamente di coniugare la parte scientifica con quella pratica della sua vocazione". E' una semplice lista, senza né descrizioni né note di coltivazione, ma risulta ugualmente ricca di informazioni. Per ogni specie, disposte secondo le classi linneane, vengono infatti indicati il nome botanico, quello inglese, in molti casi l'ordine naturale (di cui Sweet nella prefazione sottolinea l'utilità pratica per la corretta coltivazione, le ibridazioni e gli innesti), l'origine geografica, l'anno di introduzione, il periodo di fioritura, la forma biologica, una referenza iconografica. Il tutto in forma di tabella. Nel 1820 incominciò ad uscire il primo volume dell'opera forse più importante di Sweet Geraniaceae, or The natural order of Gerania; ne sarebbero seguiti altri quattro, fino al 1830. Splendidamente illustrata, con 500 figure a piena pagina colorate a mano (incise da S. Watts da disegni di Edwin Dalton Smith), è una delle prime monografie dedicate a questo gruppo di piante, cui solo recentemente L'Heritier de Brutelle aveva portato chiarezza, separando da Geranium Pelargonium e Erodium. Ci sono anche questi "cugini poveri", ma a fare la parte del leone sono soprattutto i Pelargonium. Il numero delle specie disponibili in Gran Bretagna dopo le raccolte di Masson era enormemente aumentato, offrendo molto materiale agli ibridatori. In questo campo Sweet fu un vero pioniere; così nell'opera hanno grande spazio i "mules", ovvero gli ibridi, molti dei quali di sua creazione; da questi esperimenti nacquero i progenitori dei gruppi Regal e Angel. Grazie al suo sovrintendente, Covill, che in precedenza era specializzato in bulbose sudafricane, poté offrire ai suoi clienti un catalogo di quasi 500 varietà. Il libro di Sweet, con le sue descrizioni accurate e le magnifiche illustrazioni contribuì enormemente alla popolarità di queste piante. Geraniaceae dovette richiedere un forte impegno, anche finanziario; eppure Sweet lavorò contemporaneamente ad altre opere. Nel 1821 pubblicò The Botanical Cultivator, poi ripubblicato in seconda edizione accresciuta sotto il titolo A Hothouse and Greenhouse Manual, un manuale pratico dedicato principalmente alla coltivazione delle piante in serra che riscosse tanto successo da giungere alla quinta edizione vivente l'autore. Nel 1825, in concorrenza con pubblicazioni come il Curtis's o il Botanical Register di Edwards, Sweet cominciò a pubblicare The British Flower Garden, in cui presentava "le piante erbacee rustiche più ornamentali e curiose"; secondo il modello introdotto dal Curtis's, di ogni pianta, illustrata a piena pagina da Edwin Dalton Smith, veniva fornita una breve diagnosi in latino e una più ampia descrizione in inglese; tuttavia i testi di Sweet si distinguevano da quelli della concorrenza per le accurate istruzioni per la coltivazione e la moltiplicazione. Sweet tra il 1823 e il 1829 ne pubblicò una prima serie in tre volumi; nel 1831 iniziò una seconda serie di cui, nostante fosse ormai gravamente malato, uscirono altri quattro volumi più un addendum postumo. Ma non è ancora tutto. Mentre era ancora intento a completare Geraniaceae Sweet si interessò a un'altra famiglia caratterizzata da fiori vistosi e ornamentali. Il risultato fu Cistineæ, The Natural Order of Cistus, Or Rock-rose, inizialmente pubblicato tra il 1825 e il 1829 in 28 fascicoli venduti a 3 scellini l'uno, poi riuniti in un volume. La formula è la stessa di The British Flower Garden, ma i disegni non sono più di E. D. Smith, bensì di una certa signora Brown e di J., M. e W. Hart. Contemporaneamente, Sweet diede mano al Sweet's Hortus Britannicus (1826-27): è l'evoluzione della sua prima opera Hortus suburbanus londinensis, di cui mantiene il formato a tabella e l'assenza di illustrazioni, ma ora l'ambito dai giardini dei dintorni di Londra si è allargato all'intera Gran Bretagna, le piante non sono più presentate secondo il sistema linneano, ma per famiglie (ordini) naturali; il repertorio dovette essere apprezzato se ne uscirono altre due edizioni, l'ultima delle quali postuma. Nacque invece ancora dalla collaborazione tra Sweet e E. D. Smith Flora Australasica (1827-1828) dedicata a una "selezione di piante belle o curiose native della Nuova Olanda o delle Isole dei Mari del Sud"; la formula è sempre la stessa, ma ora si tratta per lo più di piante delicate da coltivare in serra o in ambiente protetto. Formula e autori si ritrovano in The Florist's Guide, and the Cultivator's Directory, uscita a fascicoli tra il 1827 e il 1831 e poi riunita in due volumi; il soggetto ora sono "i fiori più scelti coltivati dai fioristi, inclusi ranuncoli, garofani e garofanini, fiori variegati, dalie, auricole e primule, giacinti e tulipani". Prima che le "febbri celebrali" mettessero fine a questa prodigiosa produzione, venne ancora il primo volume di British Botany, in collaborazione con H. Weddell (1831). Sweet era anche ornitologo: nel 1825 pubblicò The British Warblers, dedicati ai piccoli uccelli canori britannici. Il formidabile insieme delle opere botaniche di Sweet, che si rivolgevano chiaramente a un pubblico allargato di media cultura, attratto sia dalle magnifiche illustrazioni sia dalle precise indicazioni di coltivazione, diede un grande contributo a popolarizzare il giardinaggio nel momento storico in cui esso si stava trasformando da status symbol riservato a pochi ricchi a passione nazionale condivisa dalle classi medie. Grande esperto e appassionato i piante esotiche, spesso riuscì ad anticipare i botanici professionisti; gli si deve dunque la pubblicazione di centinaia di specie e di decine di generi, anche se solo in piccola parte sono rimasti validi; forse più con l'occhio del vivaista, che deve offrire ai suoi clienti piante sempre nuove che con quello del botanico, tendeva infatti a moltiplicare le entità, ad esempio istituendo nuovi generi anche per piccole differenze: così nella sua monografia sulle Geraniaceae istituì i generi Ciconium, Grenvillea, Hoarea, Isopetalum, Jenkinsonia, Phymatanthus, Seymouria, tutti rientranti in Pelargonium. Per limitarci ai generi, rimangono però validi Herbertia, Hoodia, Hunnemannia, Luculia, Orthosanthus, Piptanthus, Polyspora e Sphenotoma. Eresse poi a genere Agonis, Chaetonychia e Sarcocaulon, già creati da de Candolle ma come sottogeneri o sezioni. Tra le sue centinaia di specie, mi limito a citarne le assai colitivate Coreopsis grandiflora e Lablab purpureus. Un omaggio dal Sud America Nel 1825, circa un anno dopo la sua disavventura giudiziaria, due illustri botanici, de Candolle e Sprengel offrirono al malcapitato Sweet il riscatto di un genere Sweetia; ad essere valido è quello creato dal secondo. Né de Candolle né Sprengel però esplicitarono le motivazioni della dedica. Sweetia Spreng. è un genere monotipico della famiglia Fabaceae, rappresentato unicamente da S. fruticosa. Nativa di Bolivia, Paraguay, Brasile e Argentina nord orientale, dove vive per lo più ai margini della foresta pluviale in ambienti stagionalmente aridi, è un grande arbusto o più spesso un piccolo albero deciduo caratterizzato da un tronco dritto e cilindrico, una chioma molto aperta e globosa, foglie composte, piccoli fiori bianchi. I legumi, appiattiti, irregolari ed asimmetrici, hanno forma simile a una samara (legume samaroide). Può raggiungere un'altezza di 10-18 metri. Ne viene talvolta utilizzato il legname che, essendo durevole e inattaccabile dagli insetti, si presta a lavori di falegnameria, ma anche a traversine e pali. Nella medicina tradizionale sempre il legame trova impiego come febbrifugo. Per molto tempo il genere Sweetia è stato assegnato alla tribù Sophoreae, soprattutto sulla base della morfologia dei fiori; tuttavia recentemente analisi filogenetiche molecolari lo hanno trasferito nella clade informale detta vataireoidi, che raggruppa i generi Vatairea, Vataireopsis, Luetzelburgia e appunto Sweetia, distribuiti soprattutto nel Sud America settentrionale, principalmente in Brasile. Schiller ne fece il protagonista di una novella romantica, Carl Peter Thunberg lo ebbe a compagno delle sue escursioni naturalistiche a Giava, la Società delle Scienze e delle arti di Batavia lo ebbe come primo segretario. E' Friedrich von Wurmb, nobiluomo tedesco e funzionario della VOC a Batavia, promettente naturalista morto troppo presto lasciando una manciata di articoli, uno dei quali dedicato alle palme, con la prima pubblicazione di un nuovo genere e due nuove specie. A ricordarlo provvide Thunberg con l'interessante genere Wurmbea, Eroe romantico o naturalista? Nel 1782 nella rivista Wurtembergisches Repertorium der Literatur comparve un racconto anonimo intitolato Eine großmütige Handlung, aus der neuesten Geschichte (Un gesto magnanimo, da una storia recente). La trama racconta di due fratelli che amano la stessa donna. Quando se ne rendono conto, grande è la costernazione loro e della fanciulla, che rifiuta di scegliere l'uno piuttosto che l'altro. I fratelli fanno allora un patto: il maggiore andrà all'estero e se riuscirà a resistere lontano dall'amata, il minore sarà libero di sposarla. Egli va ad Amsterdam, ma presto si ammala ed è costretto a tornare. Ora è l'altro fratello a partire: va addirittura a Batavia in Indonesia, e da lì scrive che si sente abbastanza forte per superare la separazione e rinunciare al suo amore. Il fratello maggiore e la ragazza si sposano, ma appena un anno dopo lei muore e sul letto di morte rivela che il suo preferito era il fratello minore. Il marito si risposa mentre l'amato promette che rimarrà per sempre celibe. L'autore del racconto era lo scrittore Friedrich Schiller che si era ispirato a una storia vera, quella dei fratelli Ludwig e Friedrich von Wurmb, che gli era stata riferita dall'unica sorella dei due, sua suocera Louise von Lengefeld nata von Wurmb. Anche se la fonte era diretta e il racconto rispettava a grandi linee lo svolgimento dei fatti (i fratelli von Wurmb si erano davvero innamorati della stessa donna, Christiane von Werthern, Friedrich era davvero immigrato a Batavia, Ludwig aveva davvero sposato Christiane, ne era rimasto presto vedovo e si era risposato) ma Schiller si era permesso qualche licenza poetica. A spingere Christoph Carl Friedrich von Wurmb (1742-1781, questo il suo nome completo), a lasciare la Germania ed ad arruolarsi della VOC (la Compagnia olandese delle Indie orientali) forse più che l'amore impossibile, furono gli scarsi mezzi della famiglia, nobile ma impoverita. Non era inconsueto che giovani tedeschi cercassero fortuna nelle file della VOC come militari o come funzionari civili, tanto che, dopo gli olandesi, costituivano il gruppo nazionale più numeroso sia in Sudafrica sia in Indonesia. Dopo il suo arrivo a Batavia, Friedrich mantenne una regolare corrispondenza con Ludwig, a cui spedì anche qualche materiale naturalistico, ricevendone in cambio libri e riviste. In una di queste lettere, che furono pubblicate dal fratello dopo la sua morte, espresse il desiderio di tornare in patria e di risposarsi. Friedrich von Wurmb arrivò a Batavia via Amsterdam nel giugno 1775; all'epoca aveva 33 anni. Inizialmente era sotto mercante, il rango più basso nella gerarchia dei funzionari civili della VOC; poi fece una modestissima carriera: per due anni (1776-1778) fu contabile presso l'ospedale, quindi dal 1779 fino alla morte secondo amministratore del Waterpoort. Era dunque uno dei funzionari più umili tra coloro che prestavano servizio a Batavia e come tale figura all'ultimo posto nella lista dei membri della Società delle scienze e delle arti di Batavia, di cui nell'aprile del 1778 fu uno dei soci fondatori. Le sue competenze come naturalista (botanico ma anche zoologo) dovettero emergere in occasione del secondo soggiorno di Thunberg a Giava (dicembre 1776-giugno 1777); il tedesco gli fu compagno in una serie di escursioni nelle zone montuose dell'interno, muovendo da Batavia e Buitenzorg. Fu forse tramite lo svedese che von Wurmb entrò in contatto con il presidente della futura società Jacobus Cornelis Mattheus Radermacher, che lo volle nel comitato direttivo ristretto; inoltre lo raccomandò come membro corrispondente della Società delle scienze e delle arti di Haarlem e lo scelse come secondo segretario, accanto al reverendo Joshua van Iperen; alla morte di questi nel 1780 von Wurmb gli subentrò come primo segretario. In questo ruolo svolgeva compiti amministrativi; seguiva la preparazione e la stampa del bollettino della Società; teneva in ordine e classificava le collezioni; inoltre, quando l'assessore Sirardus Bartlo donò una parte del suo giardino, venne incaricato di allestirvi un piccolo orto botanico. Nei primi tre numeri dei rendiconti della società Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen furono pubblicati sette suoi articoli; grazie al fratello Ludwig dopo la sua morte furono ripubblicati in tedesco sulla rivista di Gotha Magazin für das Neueste aus der Physik und Naturgeschichte dove comparvero anche due articoli postumi. Tralasciando un articolo su un minuscolo nano di Bali, domina la zoologia con brevi testi su un esemplare di orango del Borneo ucciso di recente, sul kahau o scimmia dal lungo naso (Nasalis larvatus) che von Wurmb fu probabilmente il primo a descrivere, sul cervo nano di Giava, su alcune specie di uccelli, sui nidi di rondine e altri nidi commestibili. Wurmb scrisse invece un solo articolo di botanica, De orde der palmboomen (L'ordine delle palme), comparso nel 1779 nel primo numero dei rendiconti. Egli vi tratta 17 generi e una ventina di specie di palme; i riferimenti più diretti sono Systema naturae e Species plantarum di Linneo, nonché la trattazione di Houttuyn nel primo volume della seconda parte di Natuurlyke Historie, ma ampi sono i riferimenti a Rumphius, Hortus malabaricus e altre pubblicazioni di autori olandesi. Il merito maggiore è aver introdotto il genere Licuala e due nuove specie Nypa fruticans e Saguerus pinnatus, oggi Arenga pinnata. Come succedeva a una percentuale impressionante di funzionari della VOC, il clima e le pessime condizioni igieniche di Batavia ebbero presto la meglio su Friedrich von Wurmb che morì nel marzo 1781, meno di cinque anni dopo essere arrivato a Giava. Non aveva ancora compiuto 39 anni. La sua morte fu un colpo durissimo per Radermacher, che contava su di lui per studiare sistematicamente la natura di Giava. Si rivolse così a Thunberg chiedendogli di inviare a Batavia uno dei suoi allievi come degno successore. Ciò non avvenne mai e lo stesso Radermacher sarebbe morto tragicamente appena due anni dopo, determinando quasi una paralisi della Società scientifica di Batavia che tanto si era battuto per creare. Bellezze non sempre profumate Qualche mese prima di venire informato della morte di Friedrich von Wurmb Thunberg aveva già provveduto a celebrarlo con la dedica di uno dei nuovi generi da lui scoperti in Sudafrica, Wurmbea, con parole di grande elogio: "Gli ho dato il nome in onore del sig. barone Friedrich von Wurmb, ora mercante della Compagnia delle Indie orientali e segretario della celebre Società delle scienze di Batavia, espertissimo conoscitore della storia naturale e di altre scienze e generoso patrono dei loro cultori". Il genere Wurmbea (famiglia Colchicaceae) con una cinquantina di specie, è caratterizzato da un areale nettamente disgiunto: circa metà delle specie sono distribuite nell'Africa subsahariana, con centro di diversità in Sudafrica, l'altra metà tra Australia e Nuova Zelanda. Sono erbacee perenni geofite dotate di cormi tunicati simili a bulbi, con foglie lineari e fiori a stella riuniti in infiorescenze a spiga. In Sudafrica sono presenti sia nell'area con piogge invernali, sia in quella con piogge estive. La specie probabilmente più diffusa è W. stricta (in precedenza Onixotis stricta), che vive in paludi e stagni stagionalmente allagati del Capo occidentale e del Namaqualand, dove forma comunità molto numerose che fioriscono in massa tra il tardo inverno e la primavera per due o settimane. Poi la pianta perde le foglie e durante la stagione estiva arida va in riposo, per risvegliarsi alle prime piogge autunnali. I fiori, da bianchi a rosati, con due ghiandole nettarifere alla base, sono impollinati da api e piacevolmente profumati, al contrario di quelli di altri rappresentanti del genere che sono impollinati da mosche ed emanano un odore sgradevole. È il caso di W. marginata, una specie dei flats calcarei e limosi del Capo occidentale, che produce impressionanti spighe di fiori viola scuro quasi nero che contrastano con le antere gialle. Poco piacevole anche l'odore di sterco (ma è stato paragonato anche a mischio) dei fiori di W. elatior, che cresce lungo i margini dei corsi d'acqua e nelle paludi di Capo orientale, KwaZulu Nathal e Lesotho intorno ai 1200 metri, dunque nell'area a piogge estive; fiorisce a fine estate va in riposo in inverno. I fiori, bellissimi, hanno tepali bianchi macchiati al centro di rosso o di viola. Per venire alle specie australiane, vorrei segnalare almeno W. dioica, comune in gran parte del paese; che come dice il nome porta fiori maschili e femminili (e occasionalmente bisessuali) su individui diversi. Ha dimensioni molti più contenute delle cugine africane e fiori bianchi con una macchia viola alla base del nettario. Qualche approfondimento nella scheda. Il mercante e alto funzionario della VOC (Compagnia olandese delle Indie orientali) Jacobus Cornelis Mattheus Radermacher si rese benemerito come fondatore e animatore di una delle prime società erudite dell'Asia orientale, la Reale società delle Arti e delle Scienze di Batavia, alla quale donò la prima sede, la propria biblioteca e la propria collezione di curiosità naturali, oggetti etnografici, strumenti musicali, opere d'arte. Anche se non sono giunti fino a noi, c'erano sicuramente anche fogli d'erbario, dato che sappiamo che ricevette campioni dal Giappone da Thunberg ed egli stesso fece raccolte a Giava e inviò exssiccata a Houttuyn. Tra i suoi vasti e variegati interessi c'era infatti anche la botanica, come testimonia una delle sue opere, una lista delle piante dell'isola. A ricordarlo il genere Radermachera, che fu inizialmente descritto proprio sulla base di una specie presente anche in Indonesia. Un dilettante curioso e la nascita di una società scientifica Quando lasciò per la prima volta l'Olanda alla volta dell'Indonesia (le Indie orientali olandesi, come le chiamavano allora), Jacobus Cornelis Mattheus Radermacher (1741-1783) aveva appena sedici anni. Se non fosse rimasto orfano di padre a sette anni forse non avrebbe avuto bisogno di cercare fortuna in Oriente. La sua era una infatti famiglia influente. Il bisnonno Johan Radermacher era stato balivo di Middelburg e direttore della WIC (la Compagnia olandese delle Indie Occidentali), il padre Johan Cornelis tesoriere generale del principe e primo grande maestro della loggia massonica L'Union. La decisione di mandarlo a Batavia ad imparare il mestiere di mercante nonostante la giovanissima età probabilmente fu presa dallo zio Samuel Radermacher che era uno dei direttori della VOC, come lo sarebbe stato dopo di lui il figlio Daniel. Così il 30 dicembre Jacobus (d'ora in avanti lo chiameremo con il primo nome, come del resto era d'uso) si imbarcò con il grado di sottomercante sulla nave "Middelburg" diretta a Batavia. Qui fece rapidamente carriera, certamente anche grazie alla protezione dello zio e del cugino: un anno dopo era secondo amministratore del Groote Winkel ("grande negozio") e pochi mesi dopo secondo amministratore del Graanmagazijn (il magazzino principale). Il 10 gennaio 1761 gli fu conferito il grado di mercante e il 6 aprile 1762, quando aveva appena 21 anni, fu nominato capo commerciante e contemporaneamente capitano di porto per la popolazione nativa non cristiana. Lo stesso anno, seguendo la tradizione familiare, fondò la loggia massonica La Choisie, la più antica dell'Asia orientale. Nel frattempo si era sposato con Margaretha Verijssel, figlia di un consigliere delle Indie Orientali, e di Sophia Francisca Westpalm, che, rimasta vedova, si era risposata con Reinier de Klerk, all'epoca consigliere straordinario del Consiglio delle Indie. Nonostante la rapida e brillante carriera, Jacobus doveva essere insoddisfatto e chiese di rientrare in patria. Ottenuta l'autorizzazione, nell'ottobre 1763 si imbarcò alla volta dell'Olanda con la moglie. Si stabilì all'Aja e incominciò a studiare legge privatamente; per conseguire la laurea, si iscrisse all'Università di Harderwijk, un diplomificio noto per per conferire diplomi lampo (lo stesso dove una trentina di anni prima si era laureato Linneo): nel suo caso, dall'iscrizione alla laurea passò appena un giorno! Quindi prestò giuramento all'avvocatura di Arnheim, ma qualcosa dovette andare storto e dopo appena sei mesi incominciò a fare pressione sulla direzione della VOC per essere richiamato a Batavia. Incontrò ripetuti rifiuti, forse dovuti all'ostilità che gli aveva procurato il suo scritto "Riflessioni sullo stato attuale dei Paesi Bassi", in cui prendeva atto della crisi della Compagnia, ne criticava le scelte nei confronti dei dipendenti e dei nativi e proponeva una serie di riforme. Aveva idee progressiste anche in altri campi: era contrario alla pena di morte, con l'argomentazione "economicista" che uccidere un reo non portava vantaggio a nessuno, mentre un reo rieducato avrebbe potuto essere utile alla società anche per mezzo secolo. Infine gli fu accordato il permesso di partire, ma a proprie spese e senza alcun incarico ufficiale. Il 20 dicembre la famiglia Radermacher (nel frattempo erano nati due bimbi) si imbarcò sulla nave "Tulpenburg"; il giorno di Natale, mentre erano ancora nella rada di Texel in attesa di un tempo più propizio, il più piccolo dei bimbi morì. Era il mesto inizio di un viaggio difficile, che si protrasse per più di otto mesi e fu segnato dalla morte di un quinto dei passeggeri. Al suo arrivo a Batavia il 21 agosto 1767, Radermarcher, che aveva annotato scrupolosamente gli eventi nel proprio diario di viaggio e aveva incominciato ad interessarsi di cartografia come reazione alle ripetute perdite di rotta, scoprì che nel frattempo era stato nuovamente assunto dalla VOC. La seconda parte della sua carriera non fu più quella di un mercante, ma di un amministratore e alto funzionario. Nel 1768 fu nominato balivo di Batavia, ufficiale giudiziario e curatore della chiesa; nel 1775 consigliere straordinario delle Indie orientali; nel 1777 presidente degli assessori, colonnello della borghesia, presidente del consiglio di amministrazione delle scuole cittadine e commissario delle Terre Alte. Contemporaneamente era diventato uno degli animatori della vita culturale di Batavia; si interessava di tutto (amministrazione, cartografia, geografia, letteratura e linguistica, religione, navigazione, scienze naturali), collezionava curiosità naturali e possedeva una biblioteca aggiornata con libri in varie lingue, un Dictionaire Encyclopedique in 17 volumi e 68 volumi delle opere di Voltaire, di cui evidentemente era ammiratore. Fin dagli anni '60 con alcuni amici, ispirandosi al modello della Koninklijke Hollandsche Maatschappij der Wetenschappen (Reale società olandese delle scienze e delle arti) di Haarlem, la più antica e prestigiosa società scientifica olandese, propose di creare a Batavia una società erudita, ma il progetto fu messo da parte per il totale disinteresse dei vertici della società e dei governatori van der Parra e van Riemsdijk. Una svolta si ebbe nel 1777, anno in cui si celebrava il 25esimo anniversario della società di Haarlem; probabilmente grazie al cugino Daniel, che presiedeva diverse società, sia Radermacher sia Reinier de Klerk, il patrigno della moglie Margharete, ne furono nominati amministratori. Poco dopo il governatore van Riemsdijk morì e fu sostituito proprio da de Klerk, che condivideva gli interessi culturali del genero. La strada per la fondazione della Reale società delle scienze e delle arti Batavia (Koninklijk Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen) era spianata. Essa nacque ufficialmente il 24 aprile 1778, con il motto "A beneficio della comunità"; non era un ramo della società di Haarlem, ma una società scientifica indipendente, interessata "alla storia naturale, alle antichità, alla morale e ai costumi del popolo". Ne facevano parte di diritto il governatore generale e alti ufficiali della VOC, tra i quali venne scelto un comitato che si riuniva il primo lunedì di ogni mese al casa di Radermacher. Un anno dopo nel palazzo del governatore si tenne la prima riunione generale in cui Radermacher annunziò tra l'altro la sua intenzione di donare alla società un edificio, i propri libri e le proprie collezioni per allestire una biblioteca e un museo. Suggerì anche di acquistare un giardino dove coltivare le piante native: è considerato il precursore dell'orto botanico di Buitenzorg. La società si diede anche un organo, la rivista Verhandelingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen, che iniziò le pubblicazioni nel 1779. Lo stesso anno il museo venne aperto al pubblico, anche se solo per due ore la settimana, la mattina del mercoledì. Radermacher era il vero animatore sia della società sia della rivista, sulla quale pubblicò una serie di articoli sugli argomenti più diversi; per fare un solo esempio, nel numero del 1780, oltre alla relazione sulle attività annuali, leggiamo suoi saggi sul Borneo, sulla cura della gotta, sulle carte nautiche. Intanto egli aveva raggiunto il culmine della carriera: nel marzo del 1781 in occasione dello scoppio della guerra con l'Inghilterra fu nominato commissario delle opere difensive (ovvero responsabile della difesa di Batavia in caso di attacco inglese) e poco dopo commissario della flotta e dell'esercito, Lo stesso anno subì il grave lutto della perdita della moglie; tuttavia già nel 1783 si risposò con l'adolescente Anna Bosch (lui aveva 42 anni, lei 15). Poco dopo gli giunse la notizia che era stato nominato consigliere ordinario del Consiglio delle Indie orientali. Ma Jacobus aveva altri piani: sempre più sofferente per la gotta che lo tormentava da anni, aveva chiesto di tornare in patria, dove contava di vivere di rendita grazie alla dote della ricca moglie. Il permesso gli venne accordato, anzi venne nominato ammiraglio della flotta di ritorno. Così lui e Anna si imbarcarono sulla nave "Java"; il 24 dicembre, mentre si trovavano al largo, una ventina di marinai cinesi assalì gli ufficiali. Jacobus venne accoltellato a morte, Anna fu ferita ma si salvò. La rivolta fu quasi immediatamente soffocata, gli ammutinati furono rinchiusi nella stiva e il giorno di Natale eliminati uno dopo l'altro con un atto di giustizia sommaria. Per sua fortuna, Frans Reinier, l'unico figlio superstite di Radermacher, era rimasto a Batavia. Una lista di piante di Giava e una pianta cinese Tra i molteplici interessi di Radermacher c'era anche la botanica. Come commissario delle Terre alte visitò diverse aree dell'isola; conosciamo l'itinerario di due di queste ispezioni: nell'agosto 1776 da Batavia mosse per Krawang, Klapanungal, Buitenzorg, Pondokgede, Tjipanas; nel novembre dell'anno successivo ripercorse la medesima via, per poi proseguire per Megamendung, Telaga Warna, Tjiandjoer e rientrare via Tangerang; nel maggio 1777 fu la volta delle regioni occidentali. Sicuramente approfittò di questi viaggi nell'interno per fare raccolte botaniche e raccogliere informazioni sui nomi e sugli usi tradizionali delle piante di Giava. Anche se non ci è giunto, certamente creò un erbario che entrò a far parte delle collezioni del museo della Società batava delle scienze e delle arti; non a caso, nel primo volume della rivista volle includere istruzioni su come essiccare e conservare i vegetali. Oltre alle raccolte fatte da Radermacher a Giava (e forse a Sumatra), l'erbario presumibilmente comprendeva campioni inviati da Thunberg dal Giappone. Radermacher e Thunberg si erano conosciuti nell'estate del 1775, quando lo svedese era arrivato a Batavia dal Sudafrica; aveva poi proseguito quasi immediatamente per il Giappone, non senza aver preso accordi con Radermacher perché facesse da intermediario con uno dei suoi sponsor, il naturalista Martinus Houttuyn. Il primo di questi invii, spedito da Thunberg a Radermacher a Batavia e da questi inoltrato a Houttuyn ad Amsterdam, dovette raggiungere i Paesi Bassi nel maggio-giugno 1777, come dimostra la nota editoriale dell'ottavo volume della seconda parte di Natuurlijke historie (31 Dicembre 1777) di Houttuyn dove compaiono le prime specie giapponesi. Altre raccolte Thunberg le consegnò di persona quando tornò a Giava da Dejima, nel dicembre 1776. Tra l'altro gli affidò una collezione di pesci, che Radermacher si affrettò a inoltrare ad Houttuyn il quale nel 1782 avrebbe pubblicato 36 specie di pesci giapponesi (21 dei quali nuovi per la scienza) nell'articolo Beschrijving van eenige japansche visschen en andere zee-schepselen (Descrizione di alcuni pesci giapponesi e di alcune altre creature marine). Al secondo passaggio, Thunberg si trattenne a Giava per circa sei mesi e fece estese esplorazioni dell'interno; Radermacher cercò inutilmente di convincerlo a rimanere nell'isola. Anche se non accettò, lo svedese fu profondamente colpito dalla sua personalità e generosità, tanto da dedicargli il genere Radermachia (oggi sinonimo di Artocarpus) con parole di sincera riconoscenza: "Il nome è in onore del sommo mecenate, patrono e massimo fautore delle scienze naturali Jacobus Cornelis Matteus Radermacher, consigliere del Consiglio delle Indie e illustre presidente dell'Accademia delle Scienze di Batavia". Non sappiamo se Radermacher e Houttuyn si conoscessero già in precedenza (è possibile, visto che entrambi erano membri delle società scientifiche di Haarlem e di Vlessingen), ma, oltre a fare "da postino" per gli invii di Thunberg, Radermacher ne aggiunse anche di propri, permettendo al suo corrispondente di pubblicare per primo piante indonesiane come l'albero della canfora di Sumatra Dryobalanops aromaticus. Il suo interesse per la botanica per altro andava oltre i ruoli di mecenate e raccoglitore-collezionista; gli si deve infatti almeno un'opera di botanica, Naamlijst der planten die gevonden worden op het eiland Java (Elenco delle piante trovate sull'isola di Giava) in tre volumi. Il primo, dopo un'introduzione di carattere generale che è anche un omaggio a Linneo di cui viene illustrato sinteticamente il sistema, è costituito dalla descrizione di 99 piante giavanesi, in ordine alfabetico secondo il nome locale. Le descrizioni sono sempre molto sintetiche, ma abbastanza precise. Ad esempio, alla voce Sampar o Tinguli (una delle poche per le quali è fornito anche il nome botanico Cassia fistula), si legge: "Un grande albero con foglie ovali lunghe quattro pollici; fiore con calice a cinque sepali, cinque petali gialli, dieci stami; frutto retto da un gambo rotondo marrone lungo 30 cm che contiene una polpa bianca usata in medicina. Appartiene alla 1a classe Decandria. Il Tingulong descritto da Rumphius è un'altra pianta". Segue un indice in cui, salvo eccezioni, ad ogni specie si fa corrispondere il genere botanico. Da indici sono costituiti anche il secondo e il terzo volume che elencano le piante in olandese, latino, malay (trascritto in caratteri latini). C'è anche una lista dei nomi di Rumphius con i supposti equivalenti latini. Stampata a Batavia nella tipografia della VOC tra il 1780 e il 1782, l'opera ebbe scarsa circolazione ed è stata quasi totalmente ignorata dai botanici successivi. Era tuttavia nota a H. Zollinger e A. Moritzi che proprio in ragione di quest'opera gli dedicarono il genere Radermachera scrivendo: "In onore del sig. J. C. M. Radermacher, che scrisse Naamlyst der planten op het eiland Java e altre opere simili, Batavia 1780-4, amico e protettore di Thunberg, membro del Consiglio delle Indie". La specie sulla base della quale i due botanici svizzeri crearono il genere è R. stricta, oggi R. glandulosa, in precedenza descritta da Blume come Spathoidea glandulosa. È una delle poche specie presenti anche in Indonesia. Infatti il centro di diversità di questo genere dell'Asia tropicale di circa 17 specie delle famiglia Bignoniaceae è la Cina, con sette specie. E alla Cina (anche se il suo areale è molto più vasto) fa riferimento l'eponimo della specie più nota, R. sinica, che da qualche anno ha incominciato ad acquisire in certa popolarità come pianta da appartamento magari in forma di bonsai. Le Radermachera in effetti sono alberi, anche di grandi dimensioni (alcune specie possono raggiungere in 40 metri) con foglie composte sempreverdi e grandi fiori a tromba bianchi, viola o gialli, raccolti in infiorescenze a pannocchia. R. sinica però si adatta anche alla coltivazione in vaso; in queste condizioni mantiene dimensioni contenute (al massimo mezzo metro) e si fa apprezzare per il bellissimo fogliame lucido verde smeraldo, mentre raramente fiorisce. Invece in natura è un albero che può raggiungere i 30 metri con grandi fiori bianchi che si aprono al tramonto e al mattino già sfioriscono. È a questi fiori candidi che deve uno dei suoi numerosi nomignoli "bambola di porcellana"; si riferisce invece ai frutti, lunghe e strette capsule che possono ricordare serpentelli, il soprannome "albero serpente" e al colore delle foglie "albero smeraldo". Per la vastità e la diversità degli argomenti toccati, la Storia naturale (Natuurlyke Historie) dell'olandese Martinus Houttuyn, con i suoi 37 volumi, può essere paragonata solo all'Histoire naturelle di Bouffon, che ne comprende 36. Certamente è meno originale e brillante, ma è stato osservato che, per quanto riguarda gli animali, il francese non andò oltre gli uccelli e i quadrupedi e omise le piante, mentre l'olandese trattò in modo completo il regno animale, inclusi gli insetti e altri invertebrati, e non trascurò quello vegetale. Inoltre, mentre Buffon poté avvalersi dell'assistenza di Daubenton e Gueneau de Montbeillard, Houttuyn lavorò completamente da solo, realizzando uno straordinario one's man work, che lo impegnò per un trentennio. Senza dimenticare che, per le sue ricerche, il conte di Buffon poteva disporre delle raccolte del Jardin du Roi, delle collezioni, delle biblioteche e dei laboratori della capitale culturale d'Europa, nonché di un notevole patrimonio personale, mentre Martinus Houttuyn viveva in una Amsterdam orami relativamente provinciale e poteva contare solo sui gabinetti di curiosità di alcuni amici, e soprattutto sul suo, messo insieme barcamenandosi tra un lavoro editoriale e l'altro. Membro di due società scientifiche e corrispondente di diversi naturalisti di primo piano, tra cui Carl Peter Thunberg, in vita Houttuyn godette di una certa fama, ma poi fu quasi totalmente dimenticato. Il motivo principale è che aveva scritto in olandese, limitando fortemente la diffusione di quell'opera gigantesca, già di per sé costosa e adatta a poche tasche. Al di fuori degli specialisti, a mantenere vivo il suo ricordo è dunque soprattutto il genere Houttuynia che gli fu dedicato appunto da Thunberg. L'one man's work di un naturalista olandese Dopo trent'anni di lavoro, dovette essere certamente con sollievo che Martinus Houttuyn (1720-1798) scrisse l'ultima parola della sua Natuurlyke Historie of uitvoerige Beschryving der Dieren, Planten en Mineraalen, volgens het Samenstel van den Heer Linnaeus (Storia naturale o descrizione dettagliata di animali, piante e minerali, secondo la classificazione del signor Linneo). Un sollievo che traspare nei versi commossi (e commoventi) che chiudono il 37esimo e ultimo volume; l'opera di una vita è terminata e il sessantacinquenne Houttuyn può pensare all'eternità: "O Creatore della natura la cui meravigliosa mano ha portato il mondo a una condizione così bella, ha ornato il Regno terrestre di persone, animali e piante e il suo interno di metalli e diamanti preziosi, tu che tutto mantieni, tu, o buon Signore, che hai avuto la compiacenza di assistermi per più di trent'anni dedicati ad osservare le tue creature per rafforzare il sapere dei miei connazionali, ora che - sei volte dieci più cinque - il ciclo dei miei anni si chiude, concedi che, dopo questo, il mio nobile spirito nell'eternità si avvicini meglio alla tua sapienza, si diverta con le creature celesti nel coro degli angeli, mentre il Paradiso mi offre i suoi frutti". Traspare anche una profonda religiosità, che Martinus (Maarten nella forma olandese, che però il naturalista non usò mai nei suoi scritti) dovette assorbire fin dalla nascita nella piccola congregazione mennonita di Hoorn, di cui il padre Willem era allo stesso tempo medico e predicatore laico. Fu il padre ad impartirgli una accurata educazione, che, oltre alla medicina, comprendeva matematica, geometria, fisica, astronomia, botanica sistematica (secondo il sistema di Tournefort) e "l'enorme diversità della natura". Nel 1647, a 27 anni, si iscrisse alla facoltà di medicina di Leida e conseguì la laurea due anni dopo; era un'età avanzata per l'epoca, probabilmente spiegata dalla scarsa disponibilità economica della famiglia, e quindi dal desiderio di abbreviare il più possibile il soggiorno nella costosa città universitaria. Dopo la laurea Martinus Houttuyn tornò per breve tempo ad Hoorn, per poi trasferirsi con la famiglia (nel frattempo si era sposato e aveva un figlio) a Amsterdam dove dal 1753 risulta registrato come cittadino e medico; secondo alcune fonti, prestò servizio come medico della comunità mennonita di Amsterdam, ma presto il suo lavoro principale divenne quello editoriale. Incominciò infatti a lavorare per il secondo cugino Frans Houttuyn, un editore stampatore che, probabilmente proprio approfittando del talento linguistico e delle vaste competenze di Martinus, a partire dal 1755 cominciò pubblicare "Uitgezogte Verhandelingen" (Articoli selezionati), una rivista trimestrale che presentava al pubblico olandese traduzioni o recensioni delle migliori e più importanti pubblicazioni delle principali società scientifiche straniere. Come capo redattore Martinus Houttuyn, oltre a coordinare il lavoro degli altri collaboratori (non tutti sono stati identificati, visto che firmavano solo con l'iniziale; uno di loro però era lo zoologo Cornelius Nozeman), forniva la maggior parte delle traduzioni e anche qualche articolo originale; all'inizio si concentrò sui testi medici, ma poi allargò sempre più il suo interesse alle scienze naturali. La rivista proseguì le pubblicazioni per dieci anni, fino al 1765, quando lo stesso Houttuyn decise di mettervi fine, sia in seguito alla morte del cugino (gli ultimi numeri furono pubblicati dagli eredi - De erven van F. Houttuyn - o meglio dai tutori o dagli esecutori testamentari dei figli bambini di Frans) sia per l'ingentissimo impegno della pubblicazione di Natuurlyke Historie, di cui nel frattempo erano usciti i primi volumi. Fu certamente l'esperienza della rivista a convincere Martinus Houttuyn dell'urgenza di un'ampia trattazione enciclopedica che presentasse in lingua olandese l'intero campo delle scienze naturali a un pubblico di media cultura che non leggeva il latino. Si imbarcò così nell'impresa di descrivere animali, piante, minerali, usando come punto di riferimento la dodicesima e ultima edizione di Systema naturae di Linneo. Il primo volume di Natuurlyke Historie "Sull'uomo e alcuni mammiferi" uscì per i tipi di Frans Houttuyn nel 1761; i volumi successivi uscirono con cadenza regolare nell'arco di quasi 25 anni (il volume 37 uscì infatti nel 1785). Dopo la morte di Frans Houttuyn, avvenuta come abbiamo già detto nel 1765, la pubblicazione fu continuata dai suoi eredi, per poi essere completata dall'editore J. van der Burgh che stampò gli ultimi quattro volumi (1784-85). Come vedremo meglio più avanti, quell'opera monumentale non fu certo un successo commerciale. Per mantenere sé stesso e la famiglia, Houttuyn dovette continuare a lavorare come traduttore (tradusse tra l'altro dal francese Description des expériences de la machine aérostatique de MM. Montgolfier et celles auxquelles cette découverte a donné lieu di Barthélemy Faujas de Saint-Fond, facendolo precedere da un'ampia introduzione e arricchendolo con numerose note); continuava anche a collaborare a diverse riviste e a scrivere contributi di varia estensione e argomento. La pubblicazione di Natuurlyke Historie e il possesso di un ricco gabinetto di curiosità, che aveva creato essenzialmente come strumento di studio per la compilazione della sua enciclopedia, gli diedero una certa fama in patria e all'estero. Nel 1775 fu ammesso alla Società scientifica della Zelanda di Vlissingen e nel 1780 alla Società scientifica olandese di Haarlem. Corrispondeva regolarmente con la prima, frequentava attivamente le riunioni della seconda e collaborava alle riviste di entrambe con articoli di zoologia, botanica e mineralogia e traduzioni di articoli di scienziati stranieri (tra cui Carl Peter Thunberg, che aveva conosciuto quando questi viveva in Olanda, divenendo probabilmente uno degli sponsor del suo viaggio in Sudafrica e Giappone). Dopo la conclusione di Natuurlyke Historie, Houttuyn fu coinvolto in un'altra importante impresa editoriale: nel 1786 gli fu richiesto di continuare Nederlandsche Vogelen (Gli uccelli olandesi), rimasto incompleto per la morte dell'autore Cornelius Nozeman; sfortunatamente neppure lui poté ultimarlo; morì infatti nel 1798 senza aver concluso il compito. Il suo ricco gabinetto di curiosità era già stato venduto qualche anno prima, in due aste tenutesi rispettivamente nel 1787 e nel 1789. Non solo "divulgatore" di Linneo Riccamente illustrata (le tavole calcografiche, di eccellente qualità, si devono a Jan Caspar e Caspar Philips) e graficamente curata, Natuurlyke Historie era un'opera di proporzioni monumentali estremamente costosa. Da questo punto di vista mancò l'obiettivo di Houttuyn di divulgare la storia naturale presso il largo pubblico, che non poteva permettersi di acquistarla e incominciava a trovare anche in lingua olandese opere molto più maneggevoli ed economiche. Incontrò invece una discreta accoglienza e giudizi positivi da parte degli addetti ai lavori. Tuttavia il fatto che fosse scritta in olandese ne limitò la diffusione al di fuori dei Paesi Bassi. Unica eccezione, la Germania, dove a partire dal 1777 ne venne pubblicata una traduzione riveduta e corretta a cura di Statius Müller per la parte zoologica e di Christmann & Panzer per quella botanica. Gli editori tedeschi, per ragioni puramente commerciali, la presentarono non come un'opera originale ma come una riedizione di Systema naturae: nel frontespizio Linneo figura come autore, mentre Houttuyn come semplice curatore: "Del cavaliere Carl von Linné Sistema naturale completo preparato secondo la dodicesima edizione e secondo le istruzioni dell'opera olandese di Houttuyn". D'altra parte, anche nel frontespizio dell'edizione olandese figurava solo il nome di Linneo e bisognava andare a cercare il nome del modestissimo Houttuyn nelle pagine interne, in calce alle prefazioni ai singoli volumi. Ciò ha fatto sì che anche oggi il naturalista olandese sia conosciuto più come divulgatore di Linneo che come studioso indipendente, contro ogni evidenza: Natuurlyke Historie comprende 21.500 pagine di testo e 296 tavole calcografiche, contro 2370 pagine e 3 tavole della dodicesima edizione di Systema naturae. Del resto, l'intento era totalmente diverso: non classificare l'intero mondo naturale in ordine gerarchico, ma illustrare approfonditamente un numero ridotto di specie significative, raccogliendo tutte le informazioni disponibili nella letteratura scientifica, se possibile integrandole con l'osservazione diretta. Così, per limitarci al regno vegetale, contro le 6000 specie elencate da Linneo e descritte con una succinta diagnosi che raramente supera le dieci parole, ecco le 275 specie esaminate da Houttuyn in capitoli che quasi sempre si dilungano per più pagine, con puntuali riferimenti e spesso citazioni della letteratura botanica contemporanea, che ci riportano al taglio enciclopedico e al sapere erudito dei naturalisti rinascimentali. Houttuyn divise il suo magnum opus in tre parti: zoologia (prima parte, 18 volumi), botanica (seconda parte, 14 volumi), mineralogia (terza parte, 5 volumi). La parte (Deel) di botanica uscì tra il 1773 e il 1783. Estesa per 8600 pagine e illustrata da 105 tavole calcografiche, presenta 275 specie, un centinaio delle quali nuove o poco note. Il primo volume inizia con una estesa trattazione dei principi generali della botanica, seguita da un profilo storico che dà ampio spazio ai sistemi di classificazione, da quello classico di Tournefort a quello recente di Michel Adanson. Si passa poi al primo gruppo di piante, le palme (anche in Linneo sono una categoria tassonomica a sé) con 12 specie. Nei volumi successivi le piante sono sì classificate nelle 24 classi linneane, ma anche raggruppate in più vaste e tradizionali categorie: ecco dunque gli alberi (vol. 2-3), gli arbusti (vol. 4-6), le erbacee (vol. 7-11), le bulbose (vol. 12), le graminacee (vol. 13) e, a concludere il tutto, le crittogame (felci, alghe, muschi e funghi). Come sappiamo dai cataloghi che Houttuyn redasse per le aste del 1787 e del 1789, lo studioso olandese possedeva un vasto erbario di piante esotiche (oggi in parte conservato pressoml'erbariomdi Ginevra); anche se egli stesso non si era mai allontanato dai Paesi Bassi, poté arricchirlo grazie a campioni raccolti da altri e in particolare da Carl Peter Thunberg, di cui, nonostante le scarse disponibilità economiche, dovette essere uno dei finanziatori se lo svedese si premurò di fargli arrivare esemplari di piante inedite dal Sudafrica, da Ceylon, dal Giappone e da Giava, spesso accompagnati da qualche nota e talvolta da un nome. Un altro dei fornitori di Houttuyn fu l'alto funzionario della VOC e botanico dilettante Jacobus Cornelius Matheus Radermacher che, oltre a fare da tramite tra Houttuyn e Thunberg (gli inviò piante giapponesi che lo svedese aveva mandato a Batavia), contribuì egli stesso con almeno due invii di piante raccolte a Giava. In Natuurlyke Historie Houttuyn propose 11 nuovi generi e circa 140 nuove specie o combinazioni. Anche se la loro pubblicazione precede le descrizioni dello stesso Thunberg o del figlio di Linneo, vista la scarsa circolazione dell'opera, poche delle sue denominazioni furono accolte dai botanici successivi. Tra i generi l'unico accettato è Reynoutria; venti invece sono le specie, e tra di esse piante notevoli come le sudafricane Massonia depressa, Ornithogalum dubium, Ixia campanulata, le giapponesi Leonuros japonicus e Reynoutria japonica, e soprattutto Myristica fragrans, l'albero che produce le noci moscate. La pianta camaleonte La morte di Houttuyn (avvenuta, come si è detto, nel 1798), coincise con il tramonto della potenza mercantile dei Paesi Bassi e con la perdita della stessa indipendenza politica, con la trasformazione in uno dei paesi satelliti della Francia rivoluzionaria prima, napoleonica poi. Anche queste circostanze contribuirono ad offuscare la memoria del naturalista olandese, che nell'Ottocento era al massimo ricordato - come abbiamo visto, a torto - come divulgatore di Linneo. A ricordarlo è dunque rimasto soprattutto il genere Houttuynia, pubblicato da Thunberg in Flora japonica nel 1784, con una dedica laconica: "Ho imposto al genere questo nome in onore del sig. Houttuyn, olandese, botanico meritevole e dottore in medicina". Houttuynia Thunb. (famiglia Saururaceae) è un genere monospecifico rappresentato da una nota pianta da giardino, H. cordata. Originaria del sudest asiatico (e in particolare della Cina e del Giappone), è una vigorosa tappezzante amante dei terreni umidi e delle posizione ombrose. Più che per i modesti fiori bianchi, è apprezzata per le belle foglie cordate, soprattutto nella varietà 'Chameleon' (nota anche con i sinonimi 'Variegata' e Tricolor'), con vivaci variegature crema e rosso-rosate più vivide se esposta al sole. Le foglie sono aromatiche e in Giappone e in Corea sono usate secche per preparare tisane, mentre fresche sono un ingrediente della cucina vietnamita. Anche i rizomi sono eduli e sono particolarmente apprezzati nella cucina della Cina sudorientale. Talvolta i nomi botanici di piante diversissime sono così simili che si tende a confonderli. È il caso di Hottonia e Houttuynia, tanto più che la prima è una pianta acquatica e la seconda non disdegna i terreni intrisi d'acqua. La confusione è anche maggiore se guardiamo ai dedicatari: Hottonia ricorda Petrus Hotton o Hottonus, noto anche come Pieter Houttuyn, mentre Houttuynia è dedicata a Martinus Houttuyn. Entrambi olandesi, sono vissuti a circa un secolo di distanza e, a quanto risulta, non hanno alcuna parentela. In ordine di apparizione, iniziamo dunque con Petrus Hotton e la sua Hottonia. Un botanico illustre, ma quasi dimenticato In un passo della prolusione con la quale inaugurava il corso di botanica all'università di Leida, il medico, botanico e professore universitario Petrus Hotton (1648-1709), a proposito dell'antico rizotomo Crateva, lamenta che "il tempo vorace ci invidia gli scritti degli uomini più celebri", tanto che di quell'uomo citato con elogio dai maggiori scittori antichi non rimane neppure un frammento. A Crateva Hotton doveva essere affezionato, visto che ne prese il nome quando fu eletto all'Accademia leopoldina, e, a posteriori, possiamo dire che quelle parole calzano perfettamente anche a lui. Celebre al suo tempo, anch'egli è oggi quasi dimenticato, anche se ce n'è giunta almeno qualche riga. Era figlio di Godefroy Hotton, un predicatore ugonotto di origine francese o vallona, e di sua moglie Anna Maria Ros. Non conosciamo il luogo di nascita di Hotton padre; il cognome ci riporta o alla Francia del Nord o alla Vallonia. Sappiamo invece che studiò a Heidelberg, quindi fu successivamente predicatore a Frankenthal, Aquisgrana e Brema; quando il Limburgo fu riconquistato dai Paesi Bassi, fu nominato predicatore prima delle comunità rurali poi della città di Limburgo. Intorno al 1634 si trasferì ad Amsterdam, dove divenne pastore della comunità vallona, i cui sinodi presiedette più volte. Ha lasciato una raccolta di omelie, tradotte in francese, e l'interessante De Christiana inter Europaeos Evangelicos concordia, in cui propugna la necessità di superare i contrasti tra le diverse confessioni riformate. Alla nascita del figlio Pieter (forse in famiglia sarà stato chiamato Pierre) aveva già superato la cinquantina, e il bimbo rimase orfano di padre ad appena otto anni. Della sua educazione si sarà occupata la madre, o anche la comunità vallona. In ogni caso nel 1665, a diciassette anni, lo troviamo immatricolato alla facoltà di medicina di Leida, dove nel 1672 divenne dottore in medicina con la tesi Positiones quaedam medicae. Tornò quindi ad Amsterdam dove lavorò come medico; trascorso anche qualche tempo in Danimarca, in viaggio di studio. Allievo di Arnold Syen, che probabilmente lo avviò all'uso del microscopio e orientò il suo interesse per le piante esotiche, era profondamente interessato alla botanica. Dopo la morte del maestro, fu chiamato per breve tempo (1678-1680) a insegnare botanica e dirigere l'orto botanico di Leida come supplente di Paul Hermann, che al momento si trovava ancora a Ceylon. Ritornò poi al suo lavoro medico ad Amsterdam e per qualche tempo non sappiamo nulla della sua attività come botanico. Intorno al 1684 gli fu offerta la cattedra di botanica a Groninga che rifiutò. Nel 1692 il consiglio cittadino di Amsterdam lo nominò assistente di Frederik Ruysch, che affiancava nelle lezioni di botanica farmaceutica presso l'Hortus della città (l'altro assistente era Caspar Commelin, che si occupava delle piante esotiche), con il titolo di Horti Medici botanicus. Mantenne l'incarico fino al 1696, quando, in seguito alla morte di Paul Hermann, fu nominato professore di botanica e direttore dell'orto botanico di Leida, incarico che resse fino alla morte nel 1709. Questa la sua carriera accademica. Era stimato dai suoi contemporanei, frequentava i circoli eruditi olandesi, aveva una vasta rete di corrispondenti (tra gli altri, Anton van Leeuwenhoek, John Ray, Joseph Pitton de Tournefort e gli italiani Giorgio Baglivi, Michelangelo Tilli e Giovan Battistia Trionfetti) e fu membro della Royal Society e dell'Accademia curiosorum leopoldina, nonché socio corrispondente dell'Academia delle scienze parigina. Eppure scrisse pochissimo. A parte la tesi di laurea e qualche lettera, di lui ci rimane come maggiore opera certa proprio la già citata prolusione, pronunciata il 9 maggio 1695 al momento di assumere la cattedra di botanica a Leida. Intitolata Sermo accademicus quo rei Herbariae historia et fata adumbrantur, nella prima parte è una sintetica storia della botanica, dagli antichi fino ai contemporanei che dimostra di conoscere bene, nella seconda un elogio della botanica e delle sue "magnifiche sorti e progressive". È datato marzo 1701 il suo unico contributo alle "Transactions della Royal society", De acemella et ejus facultate lithontriptica, sotto forma di lettera in cui presenta una pianta i cui semi era giunti da Ceylon all'orto botanico di Amsterdam nel 1691 (oggi Acmella paniculata, un'annuale con proprietà mediche e insetticide). Hotton conosceva bene e ammirava l'opera di Rumphius e del suo predecessore Hermann ed era entusiasta dalle prospettive mediche, farmaceutiche, economiche delle piante esotiche che sempre più copiose giungevano dai quattro angoli del mondo agli orti botanici di Leida e Amsterdam, e scambiava volentieri i loro semi con i suoi corrispondenti. Coltivava però anche interessi teorici e tassonomici e tra tutti i botanici contemporanei ammirava in massimo grado John Ray, di cui curò l'edizione olandese di Methodus plantarum emendata et aucta, rifiutata dagli editori britannici. L'interesse per la tassonomia è confermato da Hermann Boerhaave, suo allievo e successore, che ne traccia un commosso elogio nella breve storia dell'orto botanico di Leida inclusa nella sua seconda edizione del catalogo del giardino (Index alter plantarum quae in Horto Academico Lugduno-Batavo aluntur, 1719). Secondo la sua testimonianza, Hotton avrebbe elaborato un proprio metodo (che egli definisce "Syntaxis herbaria perfectissima") che, pur movendo dalla lezione di Pitton de Tornefort, la integrava con una profonda conoscenza della letteratura botanica. Uomo prudente e metodico, secondo Boerhaave Hotton si muoveva con lentezza, tutto esaminando e considerando, senza fermarsi alla prima impressione. Con tanta lentezza che, ucciso a soli sessant'anni dal freddissimo inverno del 1709, non poté né completare né pubblicare il proprio metodo "con sommo detrimento della botanica". Qualche mese dopo la sua morte la sua vasta biblioteca fu messa all'asta. Contava più di 4000 volumi; oltre metà era costituita da testi di medicina ed anatomia, ma erano ricchissime anche le sezioni di scienze naturali e botanica, dove non sembra mancare nessuna opera significativa; la presenza di opere costosissime come Hortus eystettensis o i tredici volumi di Hortus malabaricus attesta poi una notevole disponibilità economica. Ma la biblioteca di Hotton non si limitava a quella che potremmo considerare letteratura professionale; troviamo infatti copiose sezioni di filosofia (ma all'epoca sotto questa etichetta finivano anche la fisica, l'astronomia, la matematica e la chimica), teologia, diritto, lessicografia, poesia e storia, che ci parlano di un uomo colto e di vasti e variegati interessi. Nonché poliglotta (sempre che quei libri li abbia letti davvero): la maggior parte delle opere è ovviamente scritta in latino (all'epoca ancora la lingua universale della scienza e della cultura), ma, tra le lingue moderne, oltre all'olandese e al francese (che, viste le origini familiari, forse era la sua lingua madre) non mancano testi in italiano (compresa la Gerusalemme liberata di Tasso e le opere complete di Machiavelli), inglese e tedesco. Quasi trent'anni dopo la morte di Hotton, proprio in Germania e in lingua tedesca uscì un'opera postuma attribuita al botanico olandese. Al piede del frontespizio di Thesaurus phytologicus, pubblicato a Norimberga nel 1738, leggiamo infatti: "di Petrus Hotton, dottore in medicina e prefetto dell'orto botanico dell'Università di Leida". Come chiarisce il chilometrico sottotitolo, è un Kräuterbuch, un erbario farmaceutico, che offre ai lettori la descrizione dettagliata e le "strane qualità, virtù ed eccellenti capacità" delle erbe medicinali provenienti dalle quattro parti del mondo, ma specialmente dall'Europa, con il modo più sicuro di usarle, rivolgendosi non solo a medici e farmacisti, ma anche a guaritori, giardinieri, padri di famiglia, casalinghe e "quei malati che vivono in campagna". Insomma, quanto di più divulgativo possibile, e anche quanto di più lontano dall'immagine di Hotton prudente, lento e metodico autore di una perfettissima Synthaxis herbaria presentatoci da Boerhaave. Più che a Ray o Tournefort e agli altri tassonomisti ammirati da Hotton, l'opera sembra guardare alla tradizione rinascimentale, se non medievale, dei Kräuterbücher, anche se rinnovata con l'inserimento di qualche esotica, come il tabacco e il caffé, con le piante elencate in ordine alfabetico e l'unica divisione in erbacee (prima parte) e arboree o arbustive (seconda parte). Che l'abbia scritta davvero Hotton non è affatto certo; come ipotizza Wijnands, egli potrebbe essere il responsabile dei soli indici, latino e tedesco; in tal caso, il suo nome in copertina è una semplice operazione pubblicitaria dei disinvolti editori-stampatori Johan Leonhard Buggel e Johann Seitz. Piante acquatiche in pericolo Il nostro è talvolta noto con il nome olandesizzato Pieter Houttuyn, ma si firmò sempre Petrus Hotton o alla latina Hottonus. E come tale Boerhaave gli rese omaggio con la dedica del genere Hottonia, accompagnata da parole commosse: "È giusto affidare con animo pio la memoria, a me sacra, dell'uomo illustre Petrus Hotton, mio predecessore, a tutti coloro che amano e coltivano la sapienza, la virtù e la botanica. Fu infatti egli stesso quanto mai illustre in tutte queste cose. Sottratto ai loro occhi, possano i Mani percepire che sopravvive il grato ricordo di un uomo buono ed insigne". Il genere fu recepito da Linneo fin da Hortus Cliffortianus e poi ufficializzato in Species plantarum. Questo piccolo genere della famiglia Primulaceae comprende solo due specie di piante acquatiche: l'europea ed asiatica H. palustris e la nord americana H. inflata. Chiamata volgarmente violetta d'acqua per i fiori bianchi sfumati di lilla, H. palustris è l'unica primulacea completamente acquatica della nostra flora. Cresce principalmente sommersa, con fusti verde pallido che immettono ad intervalli regolari lunghe radici bianco-argentee che fluttuano nell'acqua e si radicano nel fango del fondo. Le foglie lineari, anch'esse sommerse, si dispongono a pettine su verticilli molto ravvicinati; tra maggio e giugno, emerge dall'acqua lo scapo florale eretto, alto da 20 a 40 cm, che reca un'infiorescenza con verticilli sovrapposti di 3-9 fiori; piuttosto grandi e vistosi, hanno corolle con breve tubo e cinque lobi fusi alla base, da bianche a lilla, con una macchia gialla alla fauce. È presente prevalentemente nell'Europa centrale e settentrionale e ai margini dell'area mediterranea, con colonie disgiunte in Siberia. Vive in acque stagnanti, poco profonde e povere di sostanze nutritive; ovunque è minacciata dalla riduzione dell'habitat naturale, dal drenaggio e dall'eutrofizzazione delle acque. Altro fattore negativo è la distanza tra le diverse colonie, che spesso sono formate da cloni della medesima pianta; in assenza di impollinazione incrociata, garantita da bombi, api o sirfidi, H. palustris può autofecondarsi, ma tende a produrre pochi semi. In Italia è rara e presente occasionalmente nelle regioni centro-settentrionali; è inclusa nella liste delle piante a protezione assoluta delle regioni Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia. È in corso un progetto di reintroduzione in alcune aree piemontesi promosso da A.Di.P.A. Piemonte, che al momento incontra difficoltà per i danni provocati dalle nutrie o castorini. H. palustris è talvolta coltivata come pianta da acquario. Per quest'uso è più frequente la specie americana H. inflata, che sopporta temperature più elevate, essendo originaria degli Stati Uniti sudorientali. Ha fiori minuscoli portati al sommo di una rachide rigonfia, da cui l'epiteto; a differenza della specie europea, che come abbiamo visto è può essere impollinata da vari insetti, è probilmente esclusivamente autogama, con conseguente impoverimento della varietà genetica. Anch'essa è fortemente minacciata dalla distruzione di gran parte dei suoi habitat storici. Si spera tuttavia che, con la reintroduzione dei castori negli Stati uniti orientali, possa esserci una ripresa anche per H. inflata che trova il suo habitat di elezione negli stagni di castori, caratterizzati da acque poco profonde con un livello di acqua costante. Si ritiene anche che i castori, raccogliendo per loro tane il fango di fondo che ne contiene i semi, ne facilitino la dispersione. Nel 1626, poco dopo essersi insediata a Batavia, di fronte alle malattie e alle epidemie che decimavano i suoi uomini nelle Indie orientali, la VOC decise di inviare in Indonesia un medico capo che coordinasse tutto il settore saniatario. La scelta cadde su Jacob de Bondt (Jacobus Bontius). Prima di cadere vittima egli stesso delle malattie che affliggevano la colonia olandese, lavorò a Giava per appena quattro anni, molto fruttuosi per le sue ricerche sulle malattie tropicali e sulla storia naturale dell'isola. Lo si ricorda soprattutto per aver descritto per primo malattie come il beriberi e la framboesia e animali come il rinoceronte di Giava e l'orango. Plumier e Linneo gli dedicarono il genere montipico Bontia, che però, dalle Indie orientali, ci porta in quelle occidentali. Un medico olandese nell'insalubre Batavia Nel 1619 la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) prende il controllo della regione di Jayakarta, nel settentrione dell'isola di Giava, e sulle rovine dell'antica capitale edifica un insediamento fortificato che da quel momento ospiterà il suo quartier generale. All'inizio del 1621, con una solenne cerimonia, viene battezzato Batavia (in ricordo dei Batavi, l'antica tribù che abitava l'Olanda all'epoca romana, in cui gli olandesi riconoscono i propri antenati). Per la sua posizione, Batavia era perfetta per essere il centro amministrativo, mercantile e militare della VOC, ma pessima dal punto di vista sanitario. È stato calcolato che nel periodo che va dalla fondazione al 1739 ogni anno tra 500 e 700 dipendenti della Compagnia vi soccombessero di tifo, malaria, dissenteria, beriberi e altre malattie; la cifra si accrebbe drammaticamente dopo questa data, con 2000-3000 perdite annue. Inizialmente l'assistenza sanitaria fu affidata ai chirurghi di bordo delle navi della Compagnia e furono anche inviati alcuni medici nelle stazioni commerciali più grandi, ma nel 1626 i "17 signori" (ovvero la direzione della VOC) decisero di inviare a Batavia un medico capo che dirigesse e coordinasse tutto il settore. La scelta cadde su Jacob de Bondt (o alla latina Jacobus Bontius, 1592-1631). Bondt aveva tutte le carte in regola per assolvere pienamente il compito di medico, farmacista e ispettore dei chirurghi delle Indie orientali. Laureato in medicina all'università di Leida nel 1614, apparteneva a una famiglia di medici e docenti universitari. Suo padre Geraert de Bondt (Gerardus Bontius) fu il primo professore di medicina, matematica e astronomia dell'ateneo, e dal 1587 fu il primo titolare della cattedra di anatomia e botanica, cui nel 1598 si aggiunse la direzione dell'orto botanico. Celebre per la sua erudizione, dell'università di Leida fu anche rettore. Tre dei suoi quattro figli maschi, Reiner, Johannes e Jacob, furono medici. Il maggiore Reiner (o Reynerius Bontius) fu a sua volta professore di medicina e rettore dell'Università di Leida, nonché medico personale di Maurizio d'Orange. Il quarto fratello Willem era invece un giurista ed ebbe ruoli pubblici, incluso quello di borgomastro di Leida e si rese celebre, più che per le sue posizioni religiose ostili ai rimostranti, per aver inscenato un solenne funerale del suo cane che causò grave scandalo. Ma ciò avvenne alcuni anni dopo la morte del nostro Jacob. Quest'ultimo era il più giovane degli otto figli (c'erano anche quattro sorelle) del professor Geraert, e accettò con entusiasmo la proposta dei 17 signori, deluso delle sue prospettive di carriera in patria e convinto che un soggiorno di qualche anno nelle Indie gli avrebbe aperto la strada di una cattedra universitaria. Era talmente fiducioso di questo brillante futuro che decise di portare con sè in Indonesia la moglie e i due figli bambini. Nel marzo 1627 la famiglia Bondt si imbarcò per Giava; sulla stessa nave viaggiava in incognito, a sua volta accompagnato dalla moglie, da un figlio neonato e da altri parenti, il governatore generale delle Indie olandesi Jan Pieterszoon Coen. Bondt portava con sè anche la sua biblioteca di oltre 2000 volumi. Durante il viaggio, che si protrasse fino al 13 settembre, la moglie di Bondt morì. Era il primo dei lutti che avrebbero funestato l'avventura del medico nelle Indie olandesi. Risposatosi poco dopo l'arrivo a Batavia, nel giugno 1630 perse anche la seconda moglie, morta di colera; all'inizio del 1631, fu la volta del figlio maggiore, morto di una malattia infantile (forse morbillo). La menzione della morte di amici e conoscenti punteggia le sue opere ed egli stesso, soprattutto durante i due assedi di Batavia del 1628 e del 1629, si ammalò gravemente e per due volte fu in punto di morte. Indebolito nel corpo e nello spirito, si spense infine a soli 39 anni il 30 novembre 1631. I compiti professionali affidati a Bondt erano gravosi: come medico capo, doveva soprasiedere all'ospedale di Batavia, verificare l'equipaggiamento medico delle navi della Compagnia, ispezionare l'attività di medici e chirurghi (è possibile che a tal fine abbia fatto un viaggio di ispezione nelle Molucche e a Timor), praticare autopsie, prestare assistenza medica ai dirigenti della VOC, a cominciare dal governatore Coen (questi morì di colera durante il secondo assedio di Batavia, e Bondt nella sua opera ne descrive la malattia e la morte). Inoltre durante i due assedi fu nominato membro della corte di giustizia, nel 1630 fu advocaat fiscal e dal 1630 alla morte balivo di Batavia. Nonostante tutti questi impegni, la cattiva salute e i lutti, dedicò moltissimo tempo a investigare la medicina e la natura delle Indie olandesi, con fini sia medici sia più generali. Poco dopo il suo arrivo a Batavia, scrisse a uno dei suoi fratelli: "Mi sto applicando per raggiungere non solo la conoscenza delle erbe che crescono qui a Giava, ma soprattutto per acquisire un'idea più perfetta delle spezie di cui la nostra parte del paese è più fruttuosa". Immediatamente dopo la conclusione del secondo assedio di Batavia (maggio-settembre 1629), completò Methodus Medendi qua in Indiis Orientalibus oportet in cui descrisse 19 malattie del ventre, del torace e della pelle comuni nelle Indie ma sconosciute nei Paesi Bassi, tra cui il beriberi e la framboesia. Dimostrò anche grande ammirazione per i guaritori locali, in particolare per la loro abilità nel curare la dissenteria e altre affezioni intestinali. Ne fece i suoi informatori per conoscere le virtù delle erbe medicinali, nelle quali riconosceva il rimedio sovrano: "Dove le malattie sono endemiche, la mano generosa della natura ha piantato a profusione erbe le cui virtù sono adatte a contrastarle". Nella dedicatoria a Methodus Medendi, dedicato ai 17 signori, egli afferma di star componendo un'opera sulla storia naturale della regione e quando sarà finita promette "un commento sugli alberi, arbusti ed erbe che crescono a Giava". Lamenta anche che la malattia, che lo ha bloccato per quattro mesi gli abbia impedito di "viaggiare nel paese per esplorare liberamente le deliziose foreste di Giava e acquisire una conoscenza esatta delle erbe più nobili che vi vivono". Per scrivere quest'opera, da tempo doveva aver cominciato a raccogliere note di campo e disegni. Nel gennaio 1631 Bondt completò una seconda opera, De conservanda valetudine; si tratta di un dialogo sul modo migliore per conservare la salute nel clima difficile delle Indie, ispirato ai Coloquios dos simples e drogas da India di Garcia da Orta, che Bondt conosceva grazie all'edizione di Clusius. Gli interlocutori sono lo stesso Bondt (Bontius) e Duraeus, ovvero lo scozzese Andrew Durie, capo chirurgo del Castello e più tardi del secondo ospedale di Batavia. Fu compagno di escursioni di Bondt che lo definisce "chirurgus expertissimus". Subito dopo aver completato questo breve lavoro, in cui in vari punti si discosta da Garcia da Orta, Bondt ne analizzò più compiutamente l'opera in Animadversiones in Garciam da Orta, in cui, secondo Cook, "offre gentili correttivi e supplementi all'opera di da Orta"; al suo predecessore si ispira come metodo, ma aggiunge molte informazoni di prima mano. Così descrive Assa foetida che il portoghese conosce solo di nome e a proposto del rinoceronte che da Orta confessa di non aver mai visto, Bondt scrive: "Non solo l'ho visto un centinaio di volte nascosto nelle sue tane, ma anche mentre vaga nella foresta", per poi raccontare un incontro alquanto pauroso. Era un assaggio della quarta e ultima opera di Bondt, quella sulla storia naturale di Giava, che considerava il suo compito principale ma non riuscì a completare a causa della morte. Più di dieci anni dopo la sua scomparsa, i tre saggi completati, preceduti dalla dedicatoria a mo' di prefazione, andarono a costituire De medicina Indorum (Leida, 1642). pubblicata a cura del fratello Willem. Più tardi. non sappiamo per quali vie, il manoscritto dell'incompleta storia naturale pervenne a Willem Piso, che decise di pubblicarlo nella sua De Indiae Utriusque re naturali et medica (Amsterdam, 1658). L'opera di Bondt ne costituisce la seconda parte, Historia naturalis et medica Indiae orientalis, in sei libri; i primi quattro sono una riedizione di De medicina indorum, il quinto ("De quadrupedibus, avibus et piscibus") e il sesto ("De plantis et aromatibus") sono tratti dal manoscritto inedito. Gli animali presentati sono 33 e le piante 62. Cook, che ha riscoperto ed esaminato il manoscritto originale, conservato tra le carte appartenute al collezionista William Sherard, ha constatato che esso contiene le descrizioni, senza ordine apparente, di 16 animali e 42 piante; molte sono accompagnate da illustrazioni, note e commenti. Presumibilmente c'era un secondo volume, oggi perduto. Confrontando il manoscritto con il testo a stampa, risulta che Piso ha dato un ordine ai materiali, ha ritoccato il latino, aggiunto poemi introduttivi e informazioni occasionali, e anche introdotto qualche argomento nuovo, basandosi su informazioni ricevute da persone che erano state nelle Indie dopo Bondt. Insomma, si comportò da editor relativamente rispettoso, come abbiamo già visto per i materiali sulla flora e la fauna brasiliane ricavati da Marcgraf. Stando alle lettere di Bondt. un certo numero di immagini dovettero essere disegnate da un suo cugino, Adriaen Minten. Altre da lui stesso, ricorrendo al metodo dell'imprinting (cioè ricalcando l'impronta del soggetto). Tra quelle di animali, alcune sono notevoli. Non solo troviamo la prima immagine credibile del rinoceronte di Giava (Rhinoceros sondaicus), diverso da quello indiano, ma anche un babirussa di Sulawesi, una tigre vista presumibilmente a Bali, e persino un dodo, non ancora estinto quando il medico, in viaggio per l'Indonesia, fece scalo a Mauritius. L'immagine più intrigante è però quella dell'organo, che chiaramente Bondt non aveva mai visto di persona, ma di cui aveva sentito parlare dai locali in termini più o meno favolosi come di un "uomo dei boschi" forse persino dotato di parola. E come un uomo selvatico è raffigurato, non sappiamo per iniziativa di chi (forse di Piso o dell'editore Elzevir). Quanto alle piante, quelle descritte sono quasi tutte medicinali, più qualcuna culinaria, per le quali Bondt raccolse informazioni da donne locali. C'è anche un capitolo sul tè e le sue virtù medicinali, ma non un'immagine, perché Bondt lo conosceva solo nella forma essiccata che era commercializzata a Giava e le informazioni che aveva raccolto da più parti, tra cui Jacques Specx, che prima di essere nominato governatore generale aveva vissuto in Giappone, erano contraddittorie. Un olivo... americano Si deve nuovamente a Plumier la dedica a Bondt di uno dei suoi generi americani, Bontia, poi fatto proprio da Linneo. Molto sobriamente, Plumier lo ricorda come "medico ordinario" della città di Batavia a Giava e come autore dei sei libri di Historia naturalis et medica Indiae orientalis, pubblicati da Piso. Egli scrive anche di conoscere una sola specie di questo genere. Ed è così anche oggi. Bontia (Scrophulariaceae) è infatti un genere monospecifico, il cui unico rappresentante è B. daphnoides, un arbusto o piccolo albero che cresce nella maggior parte delle isole dei Caraibi e lungo le coste del Venezuela e della Guyana, soprattutto nei boschi di mangrovie. Ha foglie coriacee, ellittiche, con accentuata nervatura sulla faccia inferiore, che possono ricordare quelle del genere Daphne (da qui l'eponimo), cosparse di ghiandole oleose. Ma forse l'allusiome è all'olivo, come farebbero pensare alcuni nomi volgari, come wild olive (Barbados) olivier bord de mer (Martinica) o aceituna americana (Cuba), che fanno riferimento non alle foglie, ma ai frutti, drupe grossolanamente sferiche dapprima verdi poi nere a maturazione. Curiosi i fiori, che sbocciano solitari all'ascella delle foglie. Retti da un lungo picciolo, hanno cinque sepali verdi appuntiti a forma d'uovo e cinque petali uniti alla base a formare un lungo tubo bruno-giallastro ricoperto da numerose ghiandole che poi si apre in due lobi diseguali diffusi e retroflessi. Essendo piuttosto ramificato e sempreverde, nei Caraibi è spesso utilizzato come frangivento e per siepi difensive; è stato introdotto in Florida e alle Hawaii. Decotti delle foglie sono utilizzati nella medicina tradizionale per curare varie affezione e le ricerche ne hanno confermato le proprietà antivirali, Il medico Willem Piso, che aveva scritto la sezione medica di Historia naturalis Brasiliae, dieci anni dopo pubblicò sotto il proprio nome un'opera sulla storia naturale e medica delle Indie occidentali e orientali, per la quale utilizzò tra l'altro materiali tratti dalla sezione sulla storia naturale scritta da Georg Marcgraf. Il fratello di questi lo accusò di plagio, compromettendo fortemente la sua reputazione scientifica. L'accusa era fondamentalmente infondata ma influenzò anche Linneo che, nel confermare il genere Pisonia creato da Plumier a partire da una pianta spinosissima, scrisse che quella orrida pianta ben si confaceva all'orrida fama di Piso. In realtà, è quasi l'unica specie spinosa del genere, ma, per altre ragioni, su almeno una delle sue consorelle aleggia una fama molto più sinistra. Un medico nel Brasile olandese Nel 1658, dieci anni dopo Historia naturalis Brasiliae, presso l'editore Elzevir di Amsterdam usciva De Indiae utriusque re naturali et medica, che solitamente ne è considerata la seconda edizione. In realtà non è esattamente così, anche se i due volumi hanno in comune diversi materiali e sono strettamente legati, fin dal frontespizio. Quello della seconda è ricavato da quello della prima, sostituendo la figura femminile sulla destra con un uomo che indossa un turbante e la figura allegorica al centro e vari particolari in secondo piano e sullo sfondo con animali dell'Asia e dell'Oceano indiano, per adattarlo al nuovo contenuto: non più la storia naturale del Brasile, ma la storia naturale e medica di entrambe le Indie, quelle occidentali (le Americhe) e quelle orientali (il Sudest asiatico). In entrambi i volumi il titolo è racchiuso in un ricco cartiglio, retto da due scimmie quello sul Brasile, da due uccelli (forse cigni) quello sulle due Indie. Ma la differenza più significativa è un'altra. Nel volume del 1648 leggiamo "Storia naturale del Brasile, per auspicio e beneficio dell'illustrissimo conte Maurizio di Nassau"; dunque non è indicato alcun autore, ma unicamente lo sponsor. Nel volume del 1658 invece leggiamo "Storia naturale e medica di entrambe le Indie, di Willem Piso, medico di Amsterdam". Benché continui a trattarsi di un'opera collettiva, ora c'è un autore che avoca a sè la paternità dell'intero volume. Anche se i concetti di paternità e proprietà letteraria erano all'epoca ancora molto sfumati, il fatti che Piso apparisse come unico autore gli attirò l'accusa di plagio da parte di Christian Marcgraf, che nella sua biografia del fratello Georg denunciò anche il tentativo di Piso di sminuirne la reputazione scientifica, presentandolo come un proprio servitore ("servus meus") e accusandolo di ubriachezza e di irregolarità finanziarie. Linneo sposò questa tesi e rincarò la dose, accusando il medico olandese non solo di essersi impadronito del lavoro scientifico di Marcgraf, ma di averlo rovinato infarcendolo di errori. Se questa è stata a lungo la posizione dominante tra i naturalisti, sono stati piuttosto gli studiosi di storia della medicina a rivalutare Piso, dimostrando che il suo contributo scientifico non è affatto inferiore a quello del collega e rivale. I due erano praticamente coetanei, ma differivano profondamente per background culturale e posizione accademica. Marcgraf aveva avuto una formazione molto ricca e varia, ma a Leida era solamente uno studente straniero, magari molto versato e promettente, ma privo di ogni grado accademico. Al contrario Piso, nativo della città, era un medico laureato e già ben inserito negli ambienti scientifici. Willem o Gulielmus Piso (1611-1678) è lo pseudonimo latinizzato di Willem Pies, nato a Leida da padre tedesco e madre olandese; il padre Härmen Pies, originario del ducato di Cleve, si era trasferito a Leida per studiare medicina, ma, oberato da una famiglia numerosa, aveva abbandonato gli studi per diventare cantore e organista. Willem già a 12 anni risulta iscritto alla facoltà di medicina, un'iscrizione precoce forse finalizzata a ottenere l'esenzione da alcune tasse; fu poi allievo di Otto Heurnius, acquisendo un'eccellente preparazione clinica e anatomica nonché la propensione alla verifica sperimentale. Per evitare le ingenti tasse di dottorato a Leida, concluse gli studi all'università di Caen in Normandia, dove nel 1633, all'età di 22 anni, conseguì il dottorato in medicina. Poco dopo si trasferì ad Amsterdam, dove incominciò a farsi conoscere per la sua competenza clinica. Forse già in questi anni era interessato alla medicina tropicale e potrebbe essere stato in contatto con il medico della VOC Jacobus Bontius. Nel 1638, essendo morto in Brasile poco dopo il suo arrivo il primo medico personale del governatore Johann Maurits di Nassau Siegen, la Compagnia olandese delle Indie occidentali (WIC) lo chiamò a sostituirlo. Come tale, oltre ad accompagnare il conte in pace e in guerra, doveva presiedere allo sviluppo del sistema sanitario della colonia, fungere da chirurgo dell'esercito e della WIC ed esplorare le risorse mediche e alimentari del Brasile olandese. Erano compiti complessi e gravosi per una persona sola, gli furono perciò affiancati due assistenti, prima Heinrich Cralitz, poi, dopo la morte di questi, Georg Marcgraf. È esattamente questo il significato del "servus" tanto deprecato dal fratello del naturalista. Certo tra i due dovettero sorgere rivalità e incomprensioni; non sappiamo in quale momento, Marcgraf cessò di dipendere dalla WIC come assistente di Piso, e passò direttamente al servizio del conte. Fosse paranoia, o fosse giustificato, scrisse le sue note di campo in cifra, per impedire a Piso di accedervi. Al contrario del versatile Marcgraf, l'interesse di Piso era eminentemente pratico e focalizzato sulla medicina e l'alimentazione. Era stato educato alla scuola ippocratica, secondo la quale i costumi e gli stili di vita sono influenzati dall'ambiente; studiò dunque con particolare attenzione in quale modo le condizioni ambientali influissero sulla salute e capì che la cosa più sbagliata era mantenere ai tropici le abitudini, i comportamenti e l'alimentazione di casa. Anche in Brasile, gli olandesi continuavano a costruire case in mattoni, ad indossare abiti scuri e pesanti, a indulgere al cibo e all'alcool, tutti comportamenti che logairavano la salute. Tra i coloninolandesi, la mortalità infantile era altissima, molto maggiore di quella dei neonati nativi; secondo Piso, ciò era dovuto all'abitudine di fasciare i neonati, pratica utile in Olanda, ma dannosissima ai tropici. Allo stesso modo, notò che una serie di disturbi della vista colpivano solo gli olandesi, in particolare quelli più poveri, e li collegò all'alimentazione, confrontando la loro dieta con quella dei nativi: quest'ultima era basata soprattutto su pesce fresco e vegetali, che invece spesso mancavano sulle tavole olandesi. Consigliò poi vivamente il consumo di arance e limoni per evitare lo scorbuto. Per vivere (e sopravvivere) ai tropici la ricetta giusta era adeguarsi alle abitudini della popolazione locale e fare tesoro della loro conoscenza dell'ambiente naturale, con le sue insidie e i suoi doni, in particolare per quanto riguarda le proprietà delle piante medicinali e alimentari. Anche se nella sua opera non manca una certa spocchia eurocentrica, gli era chiaro che i nativi erano depositari di un sapere la cui conoscenza era imprescindibile: "Sebbene in un ambiente tanto barbaro si possano osservare molte usanze false, rozze e indegne dell'arte di Ippocrate, ce ne sono tuttavia alcune che sono molto efficaci e meritano un posto nella medicina classica [...] Se, come si è detto, i fondamenti di molte arti ci sono pervenuti da popoli primitivi, ai quali la benevola Madre Natura diede l’innato istinto di guarigione, chi può dubitare che questi esseri umani – pur non avendo alcun legame con la dotta scienza dell'arte medica - abbiano trasmesso ai loro discendenti molte medicine e antidoti nobili e segreti, sconosciuti ai medici classici?" Fu dunque osservando le pratiche mediche indigene e sperimentandole egli stesso cure e farmaci con i suoi pazienti che Piso poté riconoscere le proprietà di molti dei medicamenti esposti nelle sue opere. Studiò poi attentamente sia le malattie importate dall'Europa e dall'Africa sia quelle endemiche del Brasile, cercando di capirne le cause e suggerendo possibili rimedi. Da questo punto di vista, il suo contributo maggiore è considerato l'introduzione dell'ipecacuana, che aveva appreso dai guaritori indigeni. Piso rimase in Brasile circa sette anni e tornò in Olanda con il conte di Nassau Siegen nel 1644, Restò al suo servizio ancora per qualche tempo e nel 1645, benché fosse già dottore in medicina, si iscrisse nuovamente all'Università di Leida, allo scopo di avere libero accesso alla biblioteca per consultare i libri necessari al completamento della prima parte di Historia naturalis Brasiliae, i quattro libri di "Medicina brasiliensis". Intorno al 1647, si trasferì ad Amsterdam dove divenne un medico di successo e un membro riconosciuto della comunità scientifica; nel 1655 fu nominato ispettore del Collegium medicum di Amsterdam, di cui più tardi divenne il decano. Era abbastanza ricco da permettersi una casa sul centralissimo Keizergracht e si inserì nell'élite cittadina anche attraverso i legami familiari: sposò la figlia di uno dei direttori della WIC e poco prima della sua morte, sua figlia Maria, l'unica dei suoi figli a raggiungere l'età adulta, a sua volta sposò Cornelis Munter, futuro direttore della VOC e sindaco di Amsterdam. Insomma, una riuscita scalata al successo sociale. Morto nel 1678, fu sepolto nella Westerkerk, dove da qualche anno riposava Rembrandt. Plagiario o editor disinvolto? Veniamo dunque all'opera incriminata, De Indiae utriusque re naturali et medica; chiariamo subito che non è propriamente la seconda edizione di Historia naturalis Brasiliae, ma un'opera in gran parte diversa, anche negli scopi. Non è più un libro sul Brasile, ma una sorta di manuale di medicina tropicale, che unisce alle esperienze di Piso in Brasile quelle del medico della VOC Jacobus Bontius in Indonesia. Come Historia naturalis Brasiliae è dunque anch'essa un'opera collettiva e il nome di Piso sul fontespizio va inteso, più che come unico autore o anche autore principale, come editor o curatore di un progetto editoriale complesso. Senza dimenticare che Marcgraf, oltre a comparire come autore di uno dei contributi, è citato nella prefazione come fonte di molte informazioni sulla flora e la fauna del Brasile. Si tratta nuovamente di un corposo in folio riccamente illustrato (oltre 500 pagine e 522 xilografie di piante e animali), diviso in tre sezioni principali più un'appendice. La prima sezione, che occupa due quinti del volume con quasi 330 pagine, è costituita da "Historia naturalis et medica Indiae occidentalis" dello stesso Piso, in cinque libri; la seconda dal "Tractatus topographicus et metereologicus Brasiliae" di Georg Marcgraf (40 pagine); la terza da "Historia naturalis et medica Indiae orientalis" di Jacobus Bontius in sei libri (160 pagine), seguita da "Mantissa aromatica, sive "De aromatum cardinalibus quatuor", nuovamente di Piso (60 pagine circa). Oltre a scrivere la prima parte e l'appendice, Piso è intervenuto come editor anche sui contributi di Marcgraf e Bontius. Nel primo caso, ha aggiunto alle osservazioni meteorologiche informazioni sulle lingue e i popoli del Brasile e del Cile attinte da Historia naturalis Brasiliae; nel secondo, ha aggiunto ai quattro libri dell'opera di Bontius De medicina Indorum due libri sulla flora e la fauna delle Indie orientali, basandosi su manoscritti lasciati dall'autore integrati con le proprie ricerche. Il plagio, se plagio c'è, potrebbe annidarsi nella prima parte, per la quale Piso ha integrato la propria "De medicina brasiliensi" (prima sezione di Historia naturalis Brasiliae) con informazioni sulla fauna e la flora attinte dalla sezione di Marcgraf. Ma da questa accusa il nostro è già stato assolto da Cuvier, che pure era un grande ammiratore di Marcgraf: "Alcuni autori, che non hanno letto entrambe le edizioni di Piso, lo hanno considerato un plagiario di Marcgraf, ma non è così perché nella prefazione e ovunque nel libro lo loda come proprio ex collega e lo cita in modo tale che è impossibile dire che abbia cercato di presentare come propria la sua opera". In effetti, Piso non ha copiato il testo di Marcgraf, ma ne ha attinto informazioni e le ha sintetizzate e riorganizzante in base al proprio disegno, che non è più una storia naturale del Brasile, ma una storia medica delle Indie occidentali. I quattro libri di "De medicina brasiliensi" (circa 120 pagine) si trasformano nei cinque di "Historia naturalis et medica Indiae occidentalis" (circa 330 pagine), in cui Piso, pur basandosi principalmente sulla propria esperienza diretta, cerca di allargare il campo di indagine dal Brasile all'intera America tropicale, facendo riferimento alla letteratura disponibile. Il primo libro continua ad intitolarsi "Sull'aria, sull'acqua, sui luoghi", ma passa da 14 a 22 pagine; il secondo libro non esamina più le malattie sia endemiche sia introdotte del Brasile, ma "La natura e la cura delle malattie comuni nelle Indie occidentali, e in particolare in Brasile" e, con l'eliminazione dei morbi importati, si riduce da 39 a 18 capitoli; il terzo libro sui veleni e gli antidoti viene spostato alla fine (diventa il quinto libro) e sostituito dall'amplissimo libro in tre sezioni "Sugli animali americani acquatici, aerei e terrestri commestibili"; il quarto libro, da analisi dei semplici e delle loro virtù, si trasforma in "Sugli alberi, gli arbusti e le erbe medicinali e alimentari che nascono in Brasile e nelle terre circostanti delle Indie occidentali". L'unico libro totalmente nuovo è dunque il terzo, quello sugli animali, per il quale Piso ha usato come fonte principale i libri 4-6 di Historia rerum naturalium Brasiliae di Marcgraf. Anche qui, nessun plagio: come fa notare Cuvier, Piso "ha organizzato [i materiali] in modo diverso; tutte le informazioni su piante e animali fornite da Marcgraf non vengono organizzate in base a classi come ha fatto Marcgraf, ma sulla base di considerazioni mediche: in una sezione, i prodotti eduli; in una seconda, quelli velenosi; in una terza le sostanze medicinali". Inoltre, ci sono anche un certo numero di animali non presenti nei libri di Marcgraf, segno che, anche se la zoologia non faceva parte dei suoi interessi principali, non gli era totalmente estranea. Veniamo ora all'accusa di Linneo, quello di aver alterato i materiali di Marcgraf con aggiunte arbitrarie commettendo molti errori. E qui c'è del vero: Marcgraf era un naturalista più completo e accurato di Piso che, non dimentichiamolo, era essenzialmente un medico ed ha dato i suoi maggiori contributi nel campo suo proprio, quello della medicina (e dell'igiene) tropicale. Indubbiamente commise errori e confusioni, ma il peggiore non è imputabile a lui e non riguarda la sezione sulle Indie occidentali, ma quella sulle Indie orientali. In quest'ultima, mentre sono eccellenti le figure dei mammiferi, quelle dei pesci e dei rettili sono riprese dal libro sulla fauna brasiliana; la colpa non è di Piso, ma dell'editore, che voleva risparmiarsi la spesa di un secondo set di xilografie, pensando erroneamente che, in fondo, pesci e rettili sono più o meno uguali dappertutto. Ma il libro di Bontius, e Bontius stesso, meritano un post tutto per loro. L'albero che uccide gli uccelli Nel suo libro Matters of Exchange, H. J. Cook ricorda che per la sua disinvolta abitudine di aggiungere materiali presi da autori diversi senza citarli in modo trasparente, molti contemporanei consideravano Piso uno scrittore poco affidabile, quindi aggiunge: "Ancora decenni dopo, Linneo venne coinvolto, chiamando Pisonia, da Piso, un genere di piante molto spinose e sottolineando quando lo fece che le loro spine erano sgradevoli quanto la reputazione di Piso". Cook si riferisce a Critica botanica (1737) in cui Linneo scrive: "Pisonia è un albero orrendo (= horridus) per le sue spine; e orrenda è certamente anche la memoria dell'uomo [da cui prende nome] se è vera l'accusa mossa a Piso da un parente di Marcgraf di essersi appropriato degli scritti di Marcgraf dopo la sua morte". Poi aggiunge, più cautamente, rivolgendosi al lettore: "Vedi e confronta tu stesso le obiezioni, confronta poi gli scritti di Marcgraf con quelli di Piso". È esattamente quello che hanno fatto Cuvier e dopo di lui altri studiosi, assolvendo pienamente Piso dall'accusa di plagio. È bene tuttavia precisare che il significato primario di horridus è "spinoso", e applicandola alla memoria del povero Piso Linneo fa un gioco di parole, usandolo nel significato traslato "sgradevole, odioso, orribile" Certo non aveva in mente niente di simile il primo creatore del genere Pisonia, il buon padre Plumier che anzi si espresse in termini pacatamente oggettivi nei confronti del medico olandese: "Gulielmus Piso di Leida percorse il Brasile con i suoi assistenti, gli studenti di medicina tedeschi Georg Marcgraf e H. Cralitz; quindi scrisse e completò quattro libri sulla medicina del Brasile, il quarto dei quali tratta delle proprietà dei semplici brasiliani [...]. È un'opera veramente utile per gli americani e degna dell'interesse dei curiosi". E subito dopo rese omaggio anche a Marcgraf con il genere Marcgravia. Linneo elenca e descrive solo due specie, la spinosissima Pisonia aculeata, che si credeva originaria delle Indie occidentali, e l'inerme Pisonia mitis originaria delle Indie orientali. Oggi sappiamo che la seconda è solo una forma senza spine della prima, una specie pantropicale diffusa in America, in Africa, in Asia e in Oceania. Via via si sono aggiunte altre specie e il genere (famiglia Nyctaginaceae) è giunto ad annoverarne una quarantina, con distribuzione prevalentemente americana, ma con rappresentanti anche in Africa, nel Sud est asiatico e nel Pacifico. Studi recenti hanno però dimostrato che il genere così inteso è polifiletico; di conseguenza ne sono state staccate una ventina di specie indo-pacifiche (genere Ceodes), una specie endemica delle Hawaii (genere Rockia)ù mentre varie specie brasiliane sono state spostate in Guapira. Pisonia in senso stretto comprende ora 27 specie, quasi tutte americane, con centro di diversità nelle Antille; fanno eccezione la pantropicale P. aculeata, P. grandis, distribuita tra Africa, Oceano indiano e Oceano Pacifico, e P. costata, endemica di Mauritius. La maggior parte delle specie ha limitata diffusione ed è strettamente endemica; ad esempio, troviamo tre specie endemiche a Cuba, tre a Portorico, due in Giamaica, una nelle Galapagos, una in Belize, ecc. Sono per lo più arbusti o piccoli alberi; P. aculeata (oltre ad essere quasi l'unica specie spinosa) può essere sia un piccolo albero sia una liana legnosa; P. grandis è un grande albero che può superare i 30 metri. Hanno foglie opposte, alternate o in verticilli terminali, piccoli fiori privi di petali raccolti in cime composte con fiori maschili e femminili su individui diversi. Ma la caratteristica più particolare è data dai frutti o meglio falsi frutti (antocarpi); da oblunghi a clavati, presentano cinque costole arrotondate o angolate con una o più file di ghiandole; estrememente appicicosi, tendono ad aderire alle penne degli uccelli, favorendo la dispersione dei semi. Talvolta però lo fanno in modo troppo efficace: se troppi frutti rimangono appiccicati, gli uccelli malcapitati, soprattutto quelli delle specie più piccole, ne possono essere appesantiti al punto da non riuscire più a volare; così intrappolati, finiscono per essere preda di ratti o altri predatori o per morire di inedia. Questo fenomeno è stato segnalato per P. grandis e per altre specie ora passate al genere Ceodes (in particolare C. umbellifera e C. brunoniana), conosciute in inglese con il nome volgare birdcatcher "uccellatore", che vivono prevalentemente o esclusivamente in isole della regione indo-pacifica che ospitano grandi colonie di uccelli marini. Gli effetti possono essere devastanti: uno studio condotto nella isola di Cousin nelle Seychelles ha dimostrato che Pisonia grandis ha causato la morte di un quarto delle sterne bianche e quasi un decimo delle berte tropicali. Anche se su scala infinitamente minore, l'intrappolamento occasionale di uccelli è stato segnalato anche per P. zapallo, una specie dell'Argentina settentrionale. Il fenomeno rimane enigmatico: per specie che vivono in piccole isole la dispersione dei semi garantita dagli uccelli è certo vantaggiosa, mentre per l'intrappolamento e la morte degli uccelli non è stato dimostrato alcun vantaggio. Esperimenti condotti alle Seychelles hanno dimostrato che è infondata l'ipotesi che la decomposizione degli uccelli morti alla base degli alberi apporti nutrimento aggiuntivo. D'altra parte, sarebbe scorretto demonizzare P. grandis: studi condotti in Australia, dove nella Grande barriera corallina le foreste dense di Pisonia sono sempre più ridotte, hanno dimostrato che la loro perdita incide negativamente sulla sopravvivenza degli uccelli marini che un tempo vi nidificavano in gran numero, Nel 1911 un secondo genere è venuto a onorare, sebbene indirettamente, Willem Piso. È il monotipico Pisoniella, creato da Standley per Pisoniella arborescens, un arbusto con distribuzione disgiunta in Messico e in Bolivia. Precedentemente faceva parte del genere Boerhavia, tuttavia Standley osservò che il suo frutto è simile a quello di Pisonia, ma la pianta ne differisce per l'aspetto generale e l'infiorescenza, un'umbella semplice anziché una cima composta. Per un periodo brevissimo, dal 1630 al 1654, gli olandesi controllarono la costa nord orientale dell'attuale Brasile, ponendo la loro capitale dove oggi si trova Recife. Ad attirarli era la ricchezza promessa dalle piantagioni di canna da zucchero, ma grazie al governatore Johan Maurits di Nassau Siegen, che aveva portato con sè un'équipe di artisti e scienziati, diedero vita a un'avvincente avventura scientifica, con la creazione del primo osservatorio astronomico, del primo orto botanico e del primo zoo del Sudamerica e la prima esplorazione organizzata della fauna e della flora brasiliane. Protagonista ne fu il poliedrico naturalista tedesco Georg Marcgraf, autore insieme al rivale Willem Piso di Historia naturalis Brasiliae, una pietra miliare dell'etnografia, della botanica e della zoologia, rimasta un testo di riferimento per circa duecento anni. Lo ricordano il genere Marcgravia e, indirettamente, Marcgraviastrum. Un po' di storia: il Brasile olandese Fu lo zucchero ad accendere l'interesse olandese per il Brasile. Fin dal Quattrocento, quando i portoghesi avevano introdotto la coltivazione della canna da zucchero a Madera e nelle Azzorre, i fiamminghi aveva giocato un ruolo importante come finanziatori e mediatori con il mercato europeo, che era continuato e si era intensificato quando, a partire dal 1530, la coltivazione era stata estesa al Brasile. Anversa si era sostituita a Venezia come maggiore centro mondiale di raffinazione dello zucchero, primato che avrebbe mantenuto fino all'assedio del 1579. In seguito a quell'evento traumatico, persone e capitali si trasferirono a nord, nella Repubblica delle Province unite, e Amsterdam ereditò da Anversa il ruolo di capitale della raffinazione della zucchero. A fare da sfondo, la "guerra degli Ottant'anni", come nei Paesi Bassi è chiamata la rivolta contro la Spagna. Per piegare la resistenza delle province ribelli, nel 1579 Filippo ll chiuse i porti della Spagna e delle sue colonie ai mercanti dei Paesi Bassi; l'anno successivo il Portogallo passò sotto la corona spagnola e i porti brasiliani furono automaticamente preclusi alle navi olandesi. Una parziale mitigazione si ebbe nel 1594, quando il commercio con il Brasile fu concesso una volta all'anno a una singola flotta olandese di non più di venti navi. La "Tregua dei dodici anni", firmata da Spagna e Repubblica delle Province unite nel 1609, permise nuovamente il libero accesso delle navi olandesi ai porti del Brasile; in cambio, gli olandesi si impegnarono a non commerciare con le altre colonie spsgnole e a sospendere la creazione di una Compagnia delle Indie occidentali, analoga alla Compagnia delle Indie Orientali. Allo scadere della tregua, i traffici olandesi si erano enormemente accresciuti; ora le navi olandesi controllavano oltre metà degli scambi tra Brasile ed Europa, e le raffinereie di zucchero dei Paesi Bassi erano passate da tre a 29. Nell'estate del 1621, appena spirata la tregua, fu creata la Compagnia olandese delle Indie occidentali (WIC), che ottenne dagli Stati generali il monopolio dei traffici nell'Atlantico. Nel 1623 la WIC varò il Groot Dessein (grande disegno), che prevedeva di impadronirsi da una parte della capitale del Brasile portoghese, San Salvador de Bahia, e dall'altra del principale forte portoghese in Angola, Luanda. In tal modo, la WIC avrebbe controllato sia le piantagioni brasiliane, sia il traffico degli schiavi neri, e tagliato fortemente le risorse economiche della monarchia spagnola. Nel maggio 1624 una spedizione olandese riuscì effettivamente ad impadronirsi di Salvador, ma poco meno di un anno dopo una flotta di soccorso riconquistò la città. Anche l'attacco a Luanda fallì. Tuttavia, nel 1628 il vice ammiraglio della WIC Piet Hein riuscì a catturare nella baia di Matanzas la flotta spagnola del tesoro, portando l'intero carico con sè in Olanda. Ciò diede alla WIC i capitali per un secondo tentativo in Brasile. Tra l'estate del 1629 e il febbraio 1630, gli olandesi riuscirono a conquistare Olinda e Recife (la capitale del Pernambuco); entro il 1634 controllavano la costa del nordest brasiliano dal Rio Grande do Norte al Cabo de Santo Agostinho. Era così nato il Brasile olandese, anche conosciuto come Nuova Olanda (Nieuw Holland). Il dominio olandese ebbe vita breve - poco più di vent'anni, fino al 1654 - ma fu ricco di conseguenze anche per la storia della scienza. Inizialmente la nuova colonia fu amministrata da commissari della WIC, finché nel 1634 venne nominato governatore il conte Johan Maurits di Nassau-Siegen (1604-1679); nipote di un fratello di Guglielmo il Taciturno, era cugino dello stadtholder Federico Enrico di Nassau-Orange e fin da giovanissimo aveva militato nell'esercito della Repubblica delle Province unite, dimostrando notevoli qualità militari. Le confermò nel nuovo incarico, sconfiggendo più volte le forze ispano-portoghesi; nel 1637 inviò in Africa una spedizione che riuscì a impadronirsi dell'importante base commerciale di Elmina (gli olandesi l'avrebbero controllata fino al 1872); fallirono invece due tentativi di prendere Salvador. Oltre che un eccellente uomo d'armi, Johan Maurits era un umanista appassionato di scienze ed arti, un politico lungimirante e un ottimo amministratore; fece costruire infrastrutture come strade e ponti, incoraggiò l'immigrazione di coloni olandesi ma allo stesso tempo cercò la collaborazione dei proprietari portoghesi creando consigli municipali cui portoghesi e olandesi partecipavano fianco a fianco. Nel 1638, sull'isola di Antônio Vaz, posta di fronte a Recife, fondò la città di Mauritsstad, che divenne la capitale del Brasile olandese, affidandone la progettazione all'architetto Pieter Post. La residenza del governatore era la sontuosa Vrijburgh (Huis Vrijburgh), nota anche come palazzo delle torri per le due alte torri che ne ornavano la facciata; una era usata come faro, mentre l'altra ospitava un osservatorio astronomico, il primo dell'emisfero sud. Le sale erano ornate di dipinti, tappezzerie, arredi raffinati e collezioni di oggetti artistici e naturali. Il palazzo era circondato da giardini con parterre formali, un'ampia peschiera, un'arboreto dove furono trapiantate 200 piante di palma da cocco e altri alberi da frutto - tanto portati dall'Europa come melograni, limoni, aranci, quanto tropicali. Per la flora e la fauna brasiliane c'era un orto botanico e uno zoo, anch'essi i primi del genere nelle Americhe. Molti degli animali che ne popolavano le gabbie e le voliere era doni di locali che desideravano in tal modo ingraziarsi il governatore, ma erano anche il frutto delle vere e proprie spedizioni scientifiche da lui promosse. Un'opera a quattro mani - anzi sei Egli infatti aveva portato con sè una piccola équipe di pittori e scienziati che mise al lavoro per esplorare e documentare le ricchezze naturali della nuova colonia. Tra i primi, troviamo Frans Post, che si specializzò in paesaggi e scene esotiche e Albert Eckhout, che dipinse scene del Nuovo mondo, ritratti di indigeni e nature morte e presumibilmente gran parte degli oli di animali e piante poi donati al Grande elettore di Brandeburgo e inclusi in Theatrum rerum naturae Brasiliae; tra i secondi il suo medico personale e chirurgo dell'esercito Willem Piso (1611-1668), il geografo e astronomo Georg Marcgraf (1610-1644) e lo studente di medicina e matematica Heinrich Cralitz che sfortunatamente morì di febbri tropicali entro un anno dal suo arrivo. Piso e Marcgraf parteciparono a diverse spedizioni nell'interno, che avevano allo stesso tempo scopi militari, economici e scientifici. Come medico, Piso era soprattutto interessato alle malattie tropicali e alle piante medicinali, la cui conoscenza era essenziale per mantenere in salute il personale della compagnia e i coloni, mentre il compito principale di Marcgraf, come astronomo e cartografo, era disegnare una mappa della colonia il più completa possibile. Oltre ad essere un eccellente disegnatore, era tuttavia uno scienziato a tutto campo, i cui interessi spaziavano dall'astronomia alla meteorologia, dalla zoologia e alla botanica e all'etnografia. Anche se scindere l'opera dei due che, come vedremo, furono coatori di Historia naturalis Brasiliae, è problematico, in questo primo post vorrei concentrarmi su Marcgraf, per poi ritornare su Piso in un secondo post. Georg Marcgraf (ma il cognome viene scritto anche Markgraff, Marggraf, in olandese Marggrafe, in inglese e francese Marcgrave e in latino Marcgravius) era tedesco, essendo nato a Liebstadt nei pressi di Meissen; iniziò gli studi all'università di Wittenberg, ma in seguito alla Guerra dei Trent'anni dovette spostarsi in vari atenei, tra cui Strasburgo e Basilea. Tornato a Wittenberg, nel 1634 ottenne il grado di "candidato in medicina" con una disputa alchemico-medica; si spostò prima a Rostock, dove seguì le lezioni di botanica di Simon Paulli, poi a Stettino, dove collaborò alla compilazione delle tavole astronomiche di Lorenz Eichstaedt. Nel 1636 decise di iscriversi alla facoltà di medicina di Leida, dove avrebbe avuto la possibilità di dedicarsi contemporaneamente alla botanica e all'astronomia (tra il 1633 e il 1634 vi era stato infatti allestito un osservatorio astronomico all'avanguardia). Allievo di Golius per l'astronomia e di Vortius per botanica, vi trascorreva le sere in osservazioni, mentre le giornate erano dedicate principalmente all'orto botanico e alle raccolte sul campo. Nel novembre 1637, dietro raccomandazione di Jan de Laet, uno dei dirigenti della WIC, fu assunto come assistente di Piso, probabilmente in seguito alla morte di Cralitz, e raggiunse Recife all'inizio del 1638. Forse fu lui a convincere Johann Maurits a trasformare in osservatorio una delle torri del Vrijburgh; qui Marcgraf, con il progetto di mappare il cielo australe, fece osservazioni astronomiche e meteorologiche fino al giugno 1643, quando il governatore, che ora lo aveva assunto al proprio servizio, gli affidò il compito di mappare il Brasile olandese. Marcgraf aveva già disegnato una mappa della città e delle sue fortificazioni, e ora mappò la regione dal Rio Saô Francisco al Cearà e al Maranhão. Durante le sue esplorazioni, raccolse esemplari di piante e animali per l'orto botanico e lo zoo del Vrijburgh, creò un erbario e scrisse osservazioni naturalistiche integrate con schizzi ed acquarelli. La precisione e l'accuratezza delle sue descrizioni botaniche e zoologiche saranno lodate da Cuvier, come l'estremo discernimento da lui mostrato nell'assegnare le specie da lui scoperte (in gran parte ignote alla scienza) al genere corretto. All'epoca, i naturalisti non usavano ancora il microscopio, e non si può attendere il successivo livello di accuratezza per particolari minuti come "gli stami e i pistilli dei fiori [...] ma tutto ciò che ha a che fare con le dimensioni, la forma, il colore e, ancor più particolarmente, agli usi domestici e medicinali, è annotato con grande accuratezza e cura". Marcgraf era dunque un eccellente osservatore, inoltre, come ricorda ancora Cuvier, gli era familiare la letteratura zoologica precedente, come dimostrano i riferimenti alle opere di Belon, Aldrovandi, Salviani, Rondolet e Gessner. Nel 1644 il conte lo inviò a Luanda, che nel 1641 era stata conquistata dagli olandesi. Poco dopo l'arrivo in Africa, il naturalista morì di qualche malattia tropicale. Prima di partire, aveva però affidato due ceste con i materiali raccolti in Brasile a Johann Maurits che nel 1644, quando fu richiamato, portò con sè in Olanda. La situazione politica era infatti profondamente mutata. Nel 1640 il Portogallo aveva recuperato l'indipendenza, mettendo fine alle minacce di intervento spagnolo contro il Brasile olandese. Con la cessazione delle ostilità, ai vertici della WIC le spese militari apparivano eccessive, e le iniziative del conte fin troppo indipendenti; pesò anche il fallimento del tentativo di impadronirsi di Valdivia in Cile (1643). Che la scelta di allontanare Nassau-Siegen, di abbandonare la sua politca di conciliazione e di sguarnire le difese fosse frettolosa lo dimostra il fatto che appena un anno dopo la sua partenza scoppiò una rivolta generale dei piantatori portoghesi, innescando il conflitto con il Portogallo che nell'arco di pochi anni avrebbe portato alla perdita della colonia. Il conte di Nassau-Siegen si stabilì all'Aja dove, mentre ancora si trovava in Brasile, aveva fatto costruire una splendida dimora nota come Mauritshuis, oggi uno dei più importanti musei dei Paesi Bassi; all'epoca, però, dato che a finanziarne la costruzione erano stati i proventi del commercio dello zucchero, era chiamata con disprezzo anche "Casa dello zucchero". Johann Maurits vi espose gli oggetti etnografici, gli animali impagliati, i dipinti che aveva fatto eseguire in Brasile. Ma utilizzò anche le sue preziose collezioni come doni diplomatici per garantirsi un futuro politico in Europa. Così, una serie di pezzi scelti finirono nelle "camere delle meraviglie" del re di Danimarca (che ricevette, oltre a oggetti etnografici, 26 splendidi quadri di Eckhout, e si sdebitò decorando Nassau-Siegen con l'Ordine dell'elefante), del re Sole e del Grande elettore, un amico di lunga data che ricompensò il munifico dono di quello che sarebbe diventato il Theatrum rerum naturae Brasiliae (ne ho parlato qui) con il governatorato di Mark e Cleves e probabilmente intercedette presso l'imperatore per fargli ottenere il titolo di principe dell'impero (concesso nel 1653). Johann Maurits non dimenticava però la scienza; donò molti esemplari tassodermici al teatro anatomico dell'Università di Leida e promosse la pubblicazione degli scritti brasiliani di Piso e Marcgraf. Mentre il primo, che era tornato in Olanda insieme al principe, poteva occuparsi di persona dell'edizione della propria opera, non così il secondo che, come abbiamo visto, era morto in Angola. Il suo lascito era complesso e non immediatemente fruibile. I documenti cartografici furono affidati a Joan Bleau, dal 1638 cartografo ufficiale della VOC, che ne trasse quattro splendide mappe pubblicate per la prima volta nel 1647 in Rerum in Brasilia et alibi gestarum del poligrafo Caspar Barlaeus, un libro sul Brasile olandese e sull'amministrazione del conte di Nassau Siegen commissionatogli dallo stesso. Le osservazioni astronomiche furono consegnate al matematico, astronomo e orientalista dell'Università di Leida Jacobus Golius (come abbiamo visto, maestro di Marcgraf) che tuttavia morì senza pubblicarle. Rimanevano i testi e i disegni di zoologia, botanica e meteorologia; era un materiale ricchissimo, ma disorganizzato, un insieme caotico di note, e soprattutto era scritto in codice. Si ritiene che Marcgraf avesse fatto ricorso a un codice segreto per evitare plagi da parte di Piso, con il quale non correva buon sangue. Ad assumersi il compito di decodificare e preparare per la stampa il manoscritto di Marcgraf fu Johannes de Laet (1581-1649) che, oltre ad essere uno dei soci fondatori della WIC, era anche un bibliofilo, un collezionista, un geografo, un cartografo e un esperto di cose americane, avendo pubblicato nel 1625 Nieuwe Wereldt ofte Beschrijvinghe van West-Indien (Storia del Nuovo mondo o descrizione delle Indie occidentali). De Laet, oltre a decifrare il manoscritto, riorganizzò il testo, lo integrò con le proprie note e un'appendice, curò la scelta e l'inserimento delle immagini, allestendo o facendo allestire quelle mancanti; insomma fu il vero e proprio editor di Historia naturalis Brasiliae, che nel 1648 fu pubblicata in edizione congiunta ad Amsterdam e Leida da Hackius e Elzevir. Si tratta di un robusto in folio, alto ben 40 cm, aperto da un sontuoso frontespizio: sullo sfondo di una foresta lussureggiante e ricca di animali, quasi a presidiarne l'accesso a mo' di guardiani, si stagliano un nativo e una nativa; ai loro piedi un vecchio, sdraiato su una conchiglia, offre un vaso da cui fuoriescono pesci e altri animali marini, presumibilmente un'allegoria del fiume Capibaribe. Seguono una dedica allo statolder Guglielmo II, scritta da Piso, e la prefazione Benevolo lectori, scritta da de Laet. Il testo vero e proprio è suddiviso in 14 libri. I primi quattro, intitolati De medicina brasiliensi, si devono a Piso; occupano circa un quarto del volume (132 fogli) e sono illustrati da 104 xilografie; la maggior parte si concentrano nel Libro IV e ritraggono 92 piante; le altre si trovano nel libro III: tre illustrano la preparazione della manioca e dello zucchero, 9 sono di animali velenosi. Dopo aver illustrato nel primo libro le condizioni generali ("l'aria, l'acqua, i luoghi"), nel secondo Piso passa in rassegna le malattie proprie del Brasile (tra di esse la framboesia - per la prima volta distinta dalla sifilide) o importate; il terzo libro, dedicato ai veleni e agli antidoti, presenta tra l'altro la prima descrizione e la prima raffigurazioni di serpenti come la boicininga (presumibilmente Crotalus durissimus) o l'ibiboboca (Macrurus ibiboboca). Propriamente botanico è il quarto libro, in cui Piso esamina 104 semplici e le loro proprietà; accanto alle piante medicinali, come l'ipecucuana Carapichea ipecacuanha, le cui proprietà emetiche sono illustrate per la prima volta, ci sono anche piante alimentari come l'anacardio Anacardium occidentale, il falso pepe Schinus terebinthifolia, la noce del paradiso Lecythis zabucajo. La seconda sezione del volume è costituita dagli otto libri di Marcgraf (Historiae rerum naturalium Brasiliae libri octo), occupa 303 pagine ed è illustrata da 429 xilografie; i primi tre libri trattano le piante, divise in erbe, piante da frutto e arbusti, alberi, per un totale di 301 piante descritte e 200 raffigurate; il quarto i pesci; il quinto gli uccelli; il sesto i quadrupedi e i serpenti; il settimo gli insetti (gli animali trattati sono i totale 367, di cui 222 illustrati); l'ottavo e ultimo libro, di argomento etnografico, è una descrizione delle diverse regioni geografiche e dei loro abitanti. La quasi totalità delle specie descritte erano nuove per la scienza. Grazie soprattutto alla profondità e all'accuratezza del lavoro di Marcgraf, Historia naturalis Brasiliae divenne una pietra miliare, insuperata fino alle opere sulla fauna e la flora brasiliane di Spix e von Martius. Molto del fascino dei capitoli sugli animali si deve alle bellissime xilografie, quasi certamente di mano dello stesso Marcgraf; un certo numero di disegni botanici fu invece presumibilmente disegnato in Olanda. Preparando il volume, de Laet si rese infatti conto che diverse piante non erano illustrate; le disegnò o le fece disegnare sulla base di campioni d'erbario raccolti dallo stesso Marcgraf o inviati da altre persone residenti in Brasile. Aggiunse poi un certo numero di note, tratte per lo più dai Quatro libros de la naturaleza del monaco Francisco Ximenez che egli stesso aveva già citato nella sua Nieuwe Wereldt ofte Beschrijvinghe van West-Indien, e un'appendice sui nativi del Cile, basata sulle relazioni della spedizione olandese a Valdivia. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1649, l'erbario di Marcgraf, che si trovava evidentemente a casa sua, fu acquistato dal danese Willum Worm, e inviato a suo padre Ole, professore di medicina dell'Università di Copenhagen e proprietario di una celebre wunderkammer (Museum Wormianum). Alla morte di Ole Wurm, le sue collezioni, incluso l'erbario di Marcgraf, furono vendute dalla famiglia al re Federico III e più tardi passarono al Museo botanico, dove esso è attualmente conservato. Consta di 173 fogli con 177 campioni; è di enorme importanza storica perché, oltre ad essere la fonte evidente di alcune delle tavole botaniche di Historia naturalis Brasiliae, è probabilmente il più antico erbario dell'America tropicale. Come farsi notare dai pipistrelli Primo studio scientifico sull'etnografia, la medicina, la flora e la fauna di una regione del Sudamerica, Historia naturalis Brasiliae ebbe un'ampia circolazione ed esercitò una profonda influenza. A suscitare ammirazione, senza nulla togliere ai libri di Piso, che ebbero comunque un ruolo pionieristico nel campo della medicina tropicale, furono soprattutto i libri di Marcgraf sulla flora e sulla fauna. Tra i loro estimatori, Linneo, che li utilizzò come testo di riferimento e ne trasse molte denominazioni, e Aublet, che se ne servì per le sue ricerche in Guiana. È di Linneo (che però, come spesso capita, si rifà al precedente di Plumier) la dedica all'astronomo e naturalista tedesco del genere Marcgravia, che è anche il genere tipo e più numeroso della famiglia Marcgraviaceae; esclusiva dell'America tropicale, quest'ultima comprende sette generi e circa 130 specie, per la maggior parte liane o rampicanti. Marcgravia comprende una sessantina di specie, distribuite dal Messico meridionale al Brasile attraverso le Antille e l'America centrale; sono liane e rampicanti terrestri delle foreste tropicali umide, caretterizzate da diverse interessanti particolarità. La prima è l'accentuata eterofillia: le Margravia si arrampicano mediante radici avventizie che si abbarbicano alla corteccia dell'albero ospite, presenti solo nella fase giovanile, durante la quale la pianta ha steli piatti o quadrangolari e piccole foglie sessili alternate distiche; nella fase adulta troviamo lunghi rami eretti, privi di radici avventizie, e foglie completamente sviluppate, molto più grandi, picciolate e disposte a spirale. Alcune specie, dopo aver perso il contatto con il suolo, possono diventare epifite, ma tendono comunque a sviluppare lunghi rami ascendenti, all'apice delle quali si sviluppano le infiorescenze, spesso a decine di metri dal suolo, emergendo dalla canopia della foresta. Un'altra particolarità riguarda appunto le infiorescenze. Come tutte le Margraviaceae, quelle del genere Marcgravia posseggono bratteole modificate in nettari; pendule, sono poste all'apice dei rami e sono rette da un lunghissimo stelo; i fiori, che irradiano da un unico punto, sono disposti in un singolo giro a umbella piatta; quelli centrali sono sterili e dotati di bratteole modificate in nettari - dalla forma simile a quella dei fiori di Nepenthes - che pendono al di sotto dei fiori periferici fertili. In tal modo, gli impollinatori, attirati dal nettare, mentre si cibano si imbrattano il dorso di polline; si tratta di colibrì, opossum e per diverse specie di piccoli chirotteri. Tra le specie impollinate da pipistrelli troviamo la stupefacente M. evenia, una rara liana delle foreste cubane; oltre alle bratteole modificate in nettari, poste al di sotto, al sopra dell'infiorescenza si trovano diverse brattee simili a una foglia concava; i ricercatori hanno dimostrato che riflettono e rimandano gli ultrasuoni emessi dai pipistrelli del genere Monophyllus aiutandoli a dirigersi velocemente verso i fiori che così vengono impollinati con maggiore frequenza. Varie specie di Marcgravia (tra le altre, M. umbellata, M. sintenisii, M. rectiflora) sono ricercate dai collezionisti come piante da terrario o da serra calda. Vengono coltivate soprattutto per il fogliame, sia in cestini appesi, sia come rampicanti su supporti in legno o sfagno, soprattutto in terrario, dato che richiedono umidità elevata e una temperatura calda e costante. Proprio per le particolarità delle foglie e delle infiorescenze differisce da Marcgravia il genere Marcgraviastrum, che ne è stato separato nel 1997. Distribuito dall'America centrale (Nicaragua e Honduras) al Brasile nelle foreste pluviali o nebulose, comprende una quindicina di specie di arbusti e liane epifite, semiepifite o terrestri; hanno foglie sessili o picciolate disposte a spirale e non differenziate in una fase giovanile e in una fase adulta e fiori raccolti in un'infiorescenza umbelliforme eretta anziché pendula; in alcune specie diventano invece pendule quando maturano i frutti. Inoltre, mentre i fiori di Marcgravia sono tetrameri, quelli di Marcgraviastrum sono pentameri e tutti sviluppano un nettario, non solo quelli centrali sterili. Tra le sue specie, vorrei segnalare almeno M. sodiroi, endemica della Colombia e dell'Ecuador, il cui epiteto ricorda il sacerdote italiano Luigi Sodiro (1836-1909), pioniere dello studio della flora dell'Ecuador. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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