La più antica testimonianza su quanto sapessero gli antichi dei veleni (e dei loro rimedi) non è costituita da un trattato, ma da una coppia di poemi del poeta ellenistico Nicandro di Colofone (II sec. a.C.): Theriaca, dedicato agli animali dal morso velenoso, e Alexipharmaca, dedicato ai veleni di varia natura assunti per ingestione. Proprio la forma in versi, che ne favoriva la memorizzazione, potrebbe aver contribuito a farli giungere fino a noi, mentre sono andate perdute le opere in prosa che li precedettero, cui probabilmente Nicandro attinse. Forse senza troppa fantasia, Adanson gli dedicò il genere Nicandra, la cui specie più nota gode fama di tossicità. Due poemi... tossici L'epoca ellenistica fu caratterizzata da una ricca produzione scientifica; dovette farne parte anche il più antico trattato greco sui veleni di cui abbiamo memoria, Perì therion ("Sugli animali venefici") di Apollodoro d'Alessandria (III sec. a.C.) che probabilmente poté attingere alla secolare tradizione egizia. Perduta quest'opera, la prima testimonianza della scienza tossicologica antica è costituita da due poemi didascalici del poeta Nicandro di Colofone (II sec. a.C.): Theriaca, "Gli animali venefici", e Alexipharmaca, "Gli antidoti". Nella sezione biografie, una sintesi delle poche notizie che abbiamo di lui. Oggi può apparire curioso che un argomento scientifico venga esposto sotto forma di poema; eppure, poemi didascalici sui più vari argomenti furono assai in voga fino a un passato relativamente recente. I poeti ellenistici erano degli sperimentatori, che si rivolgevano a un selezionato pubblico di élite e miravano a rinnovare la poesia nelle forme, nel linguaggio, negli argomenti. Una delle modalità per perseguire questo rinnovamento fu mettere in versi temi scientifici, apparentemente aridi e lontani dal poetabile, ma proprio per questo una sfida eccitante per quei poeti innovatori; il più famoso dei poeti didascalici ellenistici è Arato di Soli che espose l'astronomia nei suoi Fenomeni. E' la strada percorsa anche dal nostro Nicandro che forse, oltre che poeta e sacerdote di Apollo, fu anche medico. La sua è una poesia ricercatissima anche nelle scelte lessicali: scritta in esametri epici (il verso dei poemi omerici), abbonda da una parte di arcaismi attinti appunto da Omero, dall'altra di termini tecnici della farmacologia e della medicina. Ma l'idea più innovativa sta proprio nel soggetto: invece di offrire ai suoi lettori cittadini quadretti di amena e nostalgica vita agreste, come aveva fatto Teocrito nei suoi Idilli, Nicandro vuole attirarli con il piacere della paura e del mostruoso. E ciò che più terrorizzava e faceva orrore all'uomo antico erano i serpenti, grandi protagonisti del primo dei due poemi. Ecco che in Theriaca sfilano serpenti velenosi e innocui, ragni, scorpioni, seguiti da insetti e altri invertebrati; del morso di ciascuno Nicandro descrive gli effetti con precisione di medico e compiacimento di scrittore dell'orrore; ad innalzare il tono, la narrazione di miti (come quello stesso della nascita dei serpenti) e le similitudini epiche. In questo primo trattato le piante entrano nella composizione dei rimedi. In primo luogo i repellenti, da spalmare sul corpo per tenere lontane le immonde bestiacce, come quello gradevolissimo composto da una dozzina di erbe aromatiche o quello inquietante che prevede la carne di una coppia di serpenti in amore raccolti in un crocicchio, midollo di cervo, olio di rose, olio illuminante e cera, Poi gli antidoti per il morso di un animale specifico, soprattutto cataplasmi; infine un antidoto di efficacia universale, composto da moltissimi ingredienti. E' l'antenato di quella panacea di tutti i mali che qualche secolo dopo assumerà il nome di teriaca o triaca. Le piante tossiche sono invece le protagoniste della prima parte di Alexipharmaca, seguite da animali e sostanze minerali che causano avvelenamento per ingestione. Nicandro tratta nell'ordine aconito, coriandolo (che oggi non consideriamo affatto tossico, mentre egli lo accusa di provocare la follia), cicuta, colchico, stramonio, giusquiamo, papavero da oppio; di ciascuno descrive puntigliosamente i sintomi dell'avvelenamento, per poi passare a lunghe liste di rimedi specifici. Tra gli ingredienti il più comune è il latte (considerato fino ad epoca recente il più potente degli antiveleni); seguono il vino e l'olio, usati sia come eccipienti sia come emetici. Moltissime sono poi le sostanze vegetali che entrano nelle ricette; e qualcuna per noi è tossica essa stessa: ad esempio, per soccorrere chi ha ingerito lumache di mare vengono prescritti elleboro e resina di scammonia (Convolvolus scammonia), un violento irritante gastro-intestinale; in alternativa, si suggerisce un più mite infuso di malva e latte d'asina. Presso gli antichi, l'opera di Nicandro godette di vasta fama; Plinio la cita molte volte e Dioscoride, pur senza citarla espressamente, ne dipende senza dubbio; poeta prolifico, Nicandro scrisse anche molte altre opere, tutte perdute, tra cui delle Georgiche che potrebbero aver influenzato Virgilio. Le due opere di tossicologia forse si conservarono proprio grazie alla forma in versi, che facilitava la memorizzazione rendendoli popolari tra medici e terapeuti; è possibile che già in epoca antica ne circolassero versioni illustrate, cui potrebbe risalire il magnifico manoscritto bizantino che ce ne ha trasmesso il testo. In epoca moderna, Nicandro non ha goduto di molta fama al di fuori degli ambienti specialistici. Nell'Ottocento, si mise in dubbio che fosse un medico, considerandolo un puro (e incompetente) versificatore dell'opera di Apollodoro; nel Novecento ne è stato rivalutato il valore scientifico, ma per lo più l'attenzione si è spostata sullo sperimentalismo e la qualità poetica. Fiori azzurri e tossine Nicandro entra nella nostra galleria di dedicatari di generi botanici grazie a Michel Andanson, che nel 1763 crea Nicandra; egli non spiega le ragioni della dedica, ma probabilmente pensava alla tossicità di queste piante, una caratteristica piuttosto comune nella loro famiglia, le Solanaceae. A lungo, Nicandra è stato considerato un genere monotipico, limitato alla sudamericana Nicandra physalodes. Si tratta di un'erbacea annuale di origine peruviana che tuttavia è stata introdotta come ornamentale nei giardini, per diffondersi largamente come avventizia nei terreni disturbati di molti paesi, incluso il nostro. E' una bella pianta dalla crescita vigorosa, con grandi foglie lucide dai margini ondulati, fiori campanulati azzurro-lilla con gola bianca, seguiti da frutti anch'essi ornamentali; sono bacche globose ricoperte da una membrana cartacea, simili a quelle degli alchechengi, ma angolate, che persistono a lungo e possono essere usate come decorazioni invernali. La pianta contiene nicandrenoni, composti chimici steroidei del gruppo dei witanolidi (tipici della famiglia Solaneaceae, presenti ad esempio in Solanum belladonna). La sua ingestione provoca lievi intossicazioni e può essere psicotropa; in Australia si sono registrati alcuni casi sospetti di morte di ovini che ne avevano ingerito grandi quantità. Recentissima è la scoperta di due nuove specie: N. john-taykeriana, endemica del Perù settentrionale, pubblicata nel 2007; N. yacheriana, originaria del sud del Perù, pubblicata nel 2010. Qualche approfondimento nella scheda.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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