Lo svizzero Albrecht von Haller fu una delle personalità più eminenti del secolo dei Lumi. Come poeta, ha mutato il modo di vedere la montagna, ha influenzato il sentimento romantico della natura e lanciato la moda delle escursioni alpine; come medico, ha distinto le funzioni dei nervi da quella dei muscoli e dato la prima descrizione completa delle funzioni del corpo umano; genio universale, poligrafo, giornalista e polemista, i suoi scritti si contano a migliaia, incluse le 9000 recensioni di pubblicazioni su argomenti che vanno dalla filosofia alla religione alla politica alla letteratura alle scienze naturali; ha influenzato il pensiero di personalità tanto diverse tra loro come Kant, Schiller e Hegel. Come botanico, ha donato alla Svizzera la flora più completa del suo tempo. Non era né amabile né modesto, anzi adorava la polemica, e Linneo era uno dei bersagli preferiti dei suoi strali; tuttavia non gli ha fatto mancare la dedica del vistoso genere Halleria. Poeta, fisiologo, bibliografo... Nel luglio 1777, di ritorno da Parigi, dove si era recato anche per risolvere l'imbarazzante situazione matrimoniale della sorella Maria Antonietta (a sette anni dalle nozze, mancava ancora un erede, per una ragione molto semplice: il matrimonio non era mai stato consumato), l'imperatore Giuseppe II passò da Berna. Viaggiava in incognito, sotto il nome di conte di Falkestein, e fece visita a una sola persona: il medico e scienziato Albrecht von Haller (1708-1777); tralasciò invece Ferney, con grande disappunto di Voltaire. Haller era da tempo malato (sarebbe morto pochi mesi dopo) e ricevette l'augusto e inatteso il visitatore in veste da camera e berretto da notte, semisdraiato su una bergère. L'imperatore conversò con lui per oltre un'ora, riconoscendo in quel vecchio piegato dalla malattia almeno lo spirito che l'aveva reso uno degli uomini più ammirati dell'Europa dei Lumi. A commento dell'episodio, nella mostra che il Museo storico di Berna dedicò al più illustre dei bernesi in occasione del trecentenario della nascita leggiamo: "Il segno di ammirazione più prestigioso gli fu tributato dall'imperatore d'Austria Giuseppe II che andò a fargli visita nella sua casa di Berna". E prosegue: "Un erudito universale e enciclopedico: Albrecht von Haller fu uno degli ultimi a poter abbracciare tutte le conoscenze del suo tempo". La sua cultura era vastissima e la sua opera ha lasciato un'impronta profonda nei campi più disparati: come poeta e cantore delle Alpi, mutò la concezione della montagna e lanciò la moda del turismo alpino in Svizzera; come medico, gettò le basi della moderna fisiologia del corpo umano; come botanico, scrisse la prima flora completa della Svizzera. Ma si occupò anche politica, della relazione tra scienza e fede, scrisse tre romanzi, creò una delle biblioteche più importanti d'Europa (ben 23.000 volumi). La sua corrispondenza conta quasi 17.000 lettere, scambiate con 1.139 corrispondenti. Haller (per quarant'anni non ci sarà alcun von davanti al suo cognome) era figlio di un avvocato e funzionario; dopo la formazione iniziale nella città natale, adolescente iniziò gli studi di medicina a Tubinga, poi li continuò a Leida dove fu allievo del grande Boerhaave, che gli trasmise un metodo strettamente sperimentale. A Leida incontrò un altro svizzero affamato di conoscenza, lo zurighese Johannes Gessner, con il quale strinse una fervida amicizia. Dopo la laurea nel 1727, approfondì gli studi di medicina a Londra e a Parigi; qui assistette a molti interventi chirurgici, praticamente tutti mortali, e decise che non sarebbe stato chrirugo, ma anatomista. A Parigi ritrovò anche Gessener, con il quale andò a Basilea per seguire i corsi di matematica di Bernoulli e nell'estate fece un memorabile viaggio a piedi nel Giura e nelle Alpi. Reduce dal soggiorno parigino, fu profondamente colpito dalla maestosità delle Alpi e dalla semplicità della vita dei loro abitanti, che contrapponeva a quella artificiosa e corrotta dei cittadini; sono i sentimenti che ispirarono il più celebre dei suoi poemi, Die Alpen ("Le Alpi"), scritto nel 1729. Come vedremo meglio più avanti, l'incontro con le montagne fu anche quello con la flora alpina. Per qualche anno fu attivo come medico a Berna, dove creò un teatro anatomico, ma non ebbe molto successo; dal 1735 fu bibliotecario della città. Anche se aveva già iniziato le ricerche di fisiologia e botanica che lo avrebbero reso famoso, in questi anni era noto soprattutto come poeta (è del 1732 la raccolta Versuch schweizerischer Gedichte): la sua è una poesia filosofica, in cui riflette sulla fede e sui limiti della ragione, sull'origine del male, sull'eternità. Aspirava a una carriera politica e polemizzò ferocemente contro la corruzione e la degenerazione oligarchica del governo della sua città; ciò finì per chiudergli tutte le porte. Nel 1736, quando le sue candidature a medico cittadino e professore di eloquenza furono respinte, decise di accettare la cattedra di anatomia, chirurgia e botanica all'Università di Gottinga. L'università Georg-August era appena nata (era stata fondata due anni prima dall'elettore di Hannover, ovvero dal re d'Inghilterra Giorgio II), Gottinga era ancora una cittadina di provincia, non mancarono le difficoltà e i lutti privati (la morte delle prime due mogli), ma si respirava un'atmosfera aperta di libera ricerca. Haller creò il teatro anatomico, l'orto botanico e la prima clinica ostetrica di Germania. Come insegnante, attirò frotte di studenti da tutta la Germania. All'insegnamento poté affiancare un'ampissima attività sperimentale; grazie a non meno di 350 autopsie e a esperimenti sistematici sugli animali (purtroppo sì, su di essi praticava la vivisezione) diede una descrizione completa del sistema arterioso, approfondì le conoscenze sulla respirazione e lo sviluppo del feto e dimostrò che l'irritabilità è dovuta ai muscoli e la sensibilità ai nervi. Cominciarono a susseguirsi una serie di opere monumentali, a cominciare dai sette volumi di Erläuterungen zu Boerhaaves Institutiones (1739-1744) e dagli otto fascicolo delle Icones anatomicae (1743-1756), per culminare con gli otto volumi di Elementa physiologiae corporis humani (1757-1766). In questo testo di riferimento fondamentale, riedito fino all'inizio del Novecento, che lo fece salutare "padre della fisiologia", diede una descrizione completa delle strutture del corpo umano e delle loro funzioni. Non meno importante il suo ruolo come organizzatore culturale. Nel 1747 fu nominato direttore scientifico della rivista Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen, che nel 1752 mutò il titolo in Göttingische Gelehrte Anzeigen e dal 1753 divenne l'organo della Società reale delle Scienze di Gottinga. Di quest'ultima, fondata nel 1751 per volontà di Giorgio II, fu uno dei soci fondatori e presidente a vita. La rivista, seguitissima anche al di fuori della Germania, aveva (anzi ha, visto che ancora esiste ed è la più antica rivista scientifica di lingua tedesca ancora in attività) carattere universalistico e pubblicava recensioni critiche delle pubblicazioni tedesche e straniere in campo letterario, scientifico, economico, storico, ecc. Per Haller divenne la palestra dove esercitare il suo sapere enciclopedico e il suo spirito critico (e non di rado la sua vis polemica). Continuò a scrivervi anche dopo il ritorno a Berna, pubblicando più di 9000 recensioni. Inoltre collaborava con moltissime altre riviste scientifiche, sulle quali pubblicava soprattutto articoli di medicina e botanica. La fama e gli onori incominciarono a moltiplicarsi. Nel 1743 fu ammesso alla Royal Society, nel 1747 all'Accademia delle Scienze svedese; le università di Oxford e Utrecht gli offrirono una cattedra, le rifiutò così come l'invito di Federico II a trasferirsi a Berlino. Accolse invece con soddisfazione il cavalierato e il titolo onorifico di medico di corte conferitogli da Giorgio II e il titolo nobiliare che venne dall'imperatore Francesco. Ma il suo vero sogno era tornare in patria e ottenere il meritato riconoscimento di una carriera pubblica. Fin dal 1745, benché risiedesse a Gottinga, era membro del Gran consiglio della città e nel 1753, rifiutato per la seconda volta l'invito di Federico II, tornò a Berna. Come si sa, nemo profeta in patria. I maggiorenti della città non aveva dimenticato le satire politiche dell'età giovanile. Ottenne solo incarichi di secondo piano: dal 1753 al 1757 fu intendente di palazzo della città (Rathausammann); fu eletto presidente della Società economica e cofondatore dell'orfanatrofio. Nel 1758 fu nominato direttore delle saline di Roche nel Vaud e dal 1762 vicegovernatore d'Aigle; fino al 1764, quando l'incarico terminò, visse a Roche, dove ebbe modo di estendere i suoi studi ai modi più economici per ricavare il sale e poté riprendere le ricerche sulla flora alpina. Nel 1764 acquistò la signoria de Goumoens-le-Jux e assunse il nome di Haller von Goumoens. Fece poi ritorno a Berna. Tra il 1764 e il 1773, per ben nove volte, si candidò al Piccolo consiglio, ma non fu mai eletto. Nel 1769, fu richiamato a Gottinga nella veste di cancelliere, ma rifiutò in seguito alla nomina ad assessore perpetuo del Consiglio della sanità di Berna. A trattenerlo a Berna era anche la salute ormai compromessa. Da ragazzo, era stato malaticcio, ma poi le camminate e le scalate lo avevano reso un agile e vigoroso alpinista. A Göttingen, con il superlavoro, vennero l'insonnia, i mal di testa feroci, lo stomaco in disordine. Con l'età si aggiunsero verigini, artrite, gotta, obesità, una tormentosa infezione delle vie urinarie. Per ritrovare il sonno ed alleviare il dolore incominciò a ricorrere all'oppio; ne divenne dipendente e dovette assumerme quantità sempre maggiori. I suoi ultimi anni furono quelli di un valetudinario, precocemente invecchiato. Eppure riuscì ancora a scrivere un'altra opera gigantesca, la quattro Bibliothecae, in parte pubblicate postume: Bibliotheca botanica (1771-72), Bibliotheca anatomica (1774-1777), Bibliotheca chirurgica (1774-1775), Bibliotheca medicinae practicae (1788). Si tratta di una bibliografia completa, e spesso di un esame critico, di tutto ciò che era stato pubblicato su queste materie dall'antichità ai suoi tempi, per un totale di 52.000 titoli. Nei suoi ultimi anni, la maggiore preoccupazione di von Haller andava alla sorte della sua immensa biblioteca. Dopo la sua morte, gli eredi la vendettero al governo austriaco, a condizione che fosse mantenuta intatta; destinata alla Lombardia, fu invece smembrata tra varie biblioteche. I due fondi più consistenti sono conservati alla Braidense di Milano e alla biblioteca universitaria di Pavia, con circa 3000 volumi e altrettante dissertazioni. A Pavia era giunto anche l'immenso erbario di Haller; durante la Campagna d'Italia nel 1796 i francesi se ne appropriarono e fu portato a Parigi; dopo la caduta di Napoleone, il governo austriaco non lo reclamò (scarso interesse per la botanica?) e lì è rimasto. I suoi 59 volumi in folio sono oggi conservati all'Herbier national presso il Museum d'Histoire naturelle. E botanico! Quel gigantesco erbario era frutto degli invii dei suoi numerosissimi corrispondenti, ma in larga parte anche delle raccolte dirette di van Haller che nella sola Svizzera compì almeno 25 escursioni botaniche. Infatti la botanica, dopo la fisiologia e l'anatomia, fu il campo scientifico cui più applicò il suo genio. Egli aveva trascorso l'infanzia in una piccola proprietà a circa cinque km da Berna, sulla riva dell'Aar, tra una collina e una foresta, un paesaggio amato che indirizzò i suoi futuri sentimenti verso la natura. All'epoca la botanica (dalle piante si ricavano gran parte dei medicamenti) faceva parte del bagaglio professionale di ogni medico, e certo Haller l'avrà studiata già a Tubinga, ma il primo contatto documentato avvenne a Leida, dove il venerato maestro Boerhaave nella stagione propizia aveva l'abitudine di iniziare ogni giornata didattica con una rituale visita all'orto botanico, circondato dai suoi studenti. La botanica era già una passione per l'amico Gessner, che prima di spostarsi a Leida aveva raccolto un erbario nello zurighese e sulle Alpi. È possibile che, quando studiavano insieme a Basilea, sia stato lui a proporre di percorrere a piedi i distretti alpini della Svizzera occidentale e centrale durante le vacanze accademiche, anche e soprattutto per raccogliere piante. Se fino ad allora per Haller il loro studio aveva fatto parte del necessario bagaglio professionale, quel viaggio fatidico ebbe il senso di una duplice scoperta: delle Alpi e dei loro abitanti, cantati nel suo celebre poema, e delle piante alpine. Dopo il ritorno a Berna nella primavera del 1729, Halle rcominciò a dedicare il tempo libero agli studi botanici; fece molte spedizioni, brevi o lunghe, in diverse valli alpine e fino alla sua partenza per Gottinga ogni anno dedicò a questi viaggi botanici almeno un mese delle vacanze estive. Per quest'uomo iperattivo e fondamentalmente asociale, che oggi definiremmo senza mezzi termini workaholic, le lunghe escursioni, le scalate anche impegnative, il contatto con la gente semplice della montagna, la raccolta e la metodica preparazione delle piante alpine aveva anche un forte valore terapeutico. Lettore compulsivo, accompagnava la ricerca sul campo con lo studio metodico di tutto ciò che era stato scritto e si andava scrivendo sulla scienza delle piante; aveva grande venerazione per i grandi botanici del passato, e in particolare per Tournefort, la cui opera a suo parere segnava un tale spartiacque che in Bibliotheca botanica intitolerà il primo tomo "Epoche prima di Tournefort" e il secondo "Da Tournefort ai nostri tempi". Tuttavia il suo approccio era totalmente diverso; anche in botanica era essenzialmente un empirico e rifiutava una netta gerarchia tra classi, ordini, generi. Il suo stesso concetto di specie era aperto e sfumato (e sorprendentemente moderno): al contrario di Linneo, che credeva nella fissità delle specie, immutate dal momento della creazione, egli aveva invece constatato che in natura la variabilità è la norma: non solo la vegetazione muta con l'ambiente e l'altitudine, ma la stessa pianta cresciuta in ambienti diversi, oppure in natura o in coltivazione, assume caratteristiche differenti. Strumento essenziale per studiare questa variabilità era l'erbario, dove raccoglieva molti esemplari della stessa pianta in diversi stadi di sviluppo raccolti in più località e habitat. Mentre andava preparando un'opera complessiva sulla flora svizzera, pubblicò su varie riviste scientifiche brevi articoli di argomento botanico o monografie su generi specifici, come De alii genere naturali (1745); infine nel 1742, diede alle stampe la prima versione della sua flora svizzera, Enumeratio methodica stirpium Helvetiae indigenarum, in due volumi, corredati da 24 eccellenti tavole disegnate dal pittore ginevrino Jean Huber e incise dall'artista di Gottinga G.D. Heumann. Mentre il suo amico Johannes Gessner fu uno due primi ad adottare il sistema linneano, Haller lo considerava del tutto lontano dalla natura; si sforzò dunque di creare un proprio sistema "naturale" basandosi su un insieme di caratteristiche, e in particolare la mancanza o la presenza di fiori e semi, le caratteristiche dei fiori e quelle dei semi. A inaugurare l'opera sono le tre classi delle "piante apetale prive di stami", ovvero alghe, funghi, licheni, "piante apetale prive di stami cospicui", ovvero muschi, licopodi, marsilie, "piante con semi prive di fiori e apici cospicui", ovvero le felci. Seguono le piante "dotate di petali e stami cospicui", suddivise in un numerose classi, generi e ordini (una categoria inferiore al genere, corrispondente grosso modo al sottogenere). Di ogni specie è data una breve diagnosi, che ne è anche il nome polinomiale, seguita dai sinonimi degli autori precedenti, una descrizione più dettagliata, informazioni sulla localizzazione e l'habitat (mai così attente e dettagliate in nessun autore precedente); concludono, ove noti, gli eventuali usi medici e economici. Rilevante per il gran numero di specie descritte e per l'attenzione riservata a distribuzione e habitat, l'opera è particolarmente notevole per le crittogame, molte delle quali descritte per la prima volta. Essa fu pubblicata a Gottinga, che Haller aveva trasformato in un importante centro di studi botanici con la creazione di un orto botanico che si ispirava a quello di Leida. Presto si arricchì di piante fatte venire dai quattro angoli del mondo e divenne una delle principali attrazioni della città. Haller ne diede anche il catalogo; inoltre completò e pubblicò Flora jenensis di Heinrich Bernhard Ruppius. Intanto continuava ad arricchire il suo erbario grazie agli invii dei suoi corrispondenti, perfezionava il suo sistema e meditava una seconda edizione della sua flora. A dare nuovo impulso alle sue ricerche sulla flora elvetica fu però la nomina a sovrintendente delle saline e il trasferimento a Roche, nel cuore delle montagne del Vaud. Riprese a percorrere le montagne, ma soprattutto ingaggiò, perché raccogliessero per lui, le guardie forestali delle saline; i più attivi ed abili si rivelarono Pierre e Abraham Thomas. Anche altri raccoglievano per lui; citiamo almeno il giovane Horace Bénédict de Saussure che fece la sua prima escursione nella Valle di Chamonix proprio come raccoglitore di von Haller. Il risultato non fu una semplice seconda edizione, ma una nuova opera fortemente ampliata, Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata, in tre volumi, pubblicata a Berna nel 1768. Secondo Cuvier, "a quei tempi era la più ricca flora d'Europa". Arricchito era anche l'apparato iconografico, con 25 tavole aggiuntive. Complessivamente, tra piante da fiore, felci, muschi, licheni, alghe e funghi, le specie trattate sono circa 2000; le specie descritte per la prima volta, prevalentemente alpine, sono circa 300. Il primo volume si apre con una prefazione di enorme importanza storica, De plantis Helveticis, in cui von Haller illustra le caratteristiche geografiche, climatiche, geologiche del paesaggio elvetico, individua una serie di ambienti naturali e analizza la distribuzione delle specie in base all'altitudine e al clima, giungendo anche a definire diverse associazioni vegatali. È insomma un vero saggio di fitogeografia che non mancherà di influenzare Humbold. Rispetto all'ancora incerto sistema di Enumeratio methodica, Haller ha fatto enormi passi nella ricerca di un sistema naturale; ora le piante sono raggruppate in diciannove classi, a partire da quelle dotate di petali e stami fino ai funghi ("plantae staminibus nullis"), procedendo quindi in ordine inverso rispetto all'opera precedente. Siamo ancora lontani dal sistema naturale basato sul concetto di famiglia (anche se qualche famiglia naturale fa qua e là capolino), ma il sistema di Haller non mancò di esercitare qualche influenza su de Candolle. De Candolle ruppe con il sistema sessuale di Linneo a favore di sistema naturale, ma mantenne la nomenclatura binaria. Invece von Haller rimase ostinatamente legato alla tradizionale nomenclatura polinomia. Le motivazioni sono molteplici; c'entravano il rispetto per la tradizione e i grandi botanici del passato, la rivalità personale con Linneo, ma soprattutto per lui era inaccettabile una nomenclatura basata sui concetti di genere e specie; abbiamo già visto che concepiva le specie in modo diverso da Linneo; quanto al genere, a parte qualche caso evidente, distaccandosi anche dall'ammirato Tournefort, lo riteneva un'unità artificiale, una creazione speculativa dei botanici. Non comprendendo l'importanza di separare la denominazione dalla determinazione, riteneva i nomi binomi inadeguati e imprecisi. Questa scelta gli costò cara: dato che la nomenclatura binomiale è diventata lo standard, le specie da lui scoperte, prive di un nome binomiale valido, oggi portano nomi stabiliti da altri; qualcuno lo recuperò, adattandolo, il suo discepolo de Saussure. Alle offese, si risponde con un fiore Fin dalla gioventù, quando si alienò i maggiorenti di Berna con le sue satire, von Haller non si tirava indietro quando si trattava di polemizzare. Polemizzò con Voltaire, di cui lui, luterano profondamente religioso, detestava l'irriverenza, il teismo e la filosofia pessimistica della storia; con il materialismo di La Mettrie, che riduceva il corpo umano a una macchina; con le idee politiche di Rousseau, che pure era un grande ammiratore della sua flora. E soprattutto, polemizzò instancabilmente contrò Linneo, il suo sistema, i suoi nomi, la sua pretesa di essere il "principe dei botanici" e il "nuovo Adamo" che aveva ribattezzato piante e animali. Nelle sue lettere a de Saussure, lo chiamava sarcasticamente "il tiranno del Nord". Al di là delle concezioni profondamente diverse della botanica, contavano molto anche tratti caratteriali e il desiderio di entrambi di imporre la propria supremazia sulla "repubblica delle lettere". Un contemporaneo svedese ebbe a dire: "Assomigliavano a Cesare e Pompeo. Uno, il nostro Linneo, non tollerava uguali, e l'altro, Haller, non tollerava superiori. E vice versa". Per qualche anno i due avevano manifestato reciproca stima, furono addirittura amici di penna e corrisposero a lungo. Nonostante le critiche di Haller alla sua Flora svecica (1743), Linneo manifestò grande apprezzamento per la trattazione della crittogame di Enumeratio methodica e nel 1747 favorì l'ammissione di Haller all'Accademia svedese delle scienze. Poi le cose incominciarono a guastarsi, tra insinuazioni e pettegolezzi dei reciproci entourages, e nel 1749 le relazioni si interruppero definitivamente. Nelle sue recensioni per la rivista di Gottinga, lo svizzero demolì sistematicamente le opere dello svedese e addirittura tra il 1750 e il 1753 incaricò il figlio Gottlieb Emanuel di scrivere una serie di pamphlet contro Linneo. Bisogna ammettere che in questo scontro il più signorile fu quest'ultimo: come aveva promesso al comune maestro Boerhaave non interveniva mai di persona nelle polemiche, e in Species plantarum fu abbastanza magnanimo da confermare la dedica al rivale di un genere che aveva istituito ai tempi della loro amicizia, in Hortus Cliffortianus, Halleria "in onore del dottissimo botanico Albrecht Haller, professor di botanica a Gottinga. E non si tratta di una pianta sgradevole e puzzolente, come la Siegesbeckia affibiata all'odiato Siegesbeck, o di un ritratto vegetale per lo meno ambiguo come Milleria per un altro pervicace oppositore delle denominazioni binomiali, Philip Miller. Le sudafricane Halleria lucida e H. elliptica, le due specie note a Linneo, sono infatti piante di sontuosa bellezza, potremmo dire un omaggio regale. Il genere Halleria (Stilbaceae, in precedenza Scrophulariaceae) comprende cinque specie di alberi e arbusti diffusi nell'Africa tropicale e meridionale e in Madagascar. Per i loro fiori spettacolari in inglese sono dette Tree fuchsia, fuchsia arborea, anche se con le vere fucsie non hanno alcuna parentela. Il centro di diversità è il Sudafrica, dove sono presenti tre specie su cinque, una delle quali (H. ovata) endemica; H. ligustrifolia e H. parviflora sono endemiche del Madagscar; H. lucida ha un ampio areale che va dall'Etiopia al Sudafrica, mentre H. elliptica ha distribuzione digiunta ( Malawi, Sudafrica, Madagascar). La specie di maggiore diffusione è anche probabilmente la più attraente. H. lucida è un piccolo albero dalla chioma arrotondata, con rami elegantemente arcuati e foglie lucide persistenti; diventa spettacolare al momento della fioritura, quando si ricopre di fiori tubolari da arancio a rosso mattone, raccolti in infiorescenze a grappolo alle ascelle delle foglie o portate direttamente sul tronco. Molto attraenti anche i frutti, bacche dapprima verdi poi nere a maturazione, eduli, di sapore dolce ma tendenzialmente allappanti. I fiori sono ricchi di nettare e sono impollinati da uccelli nettarini.
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I maggiori risultati della spedizione "nuziale" in Brasile non furono raggiunti dagli scienziati austriaci (con l'eccezione del ribelle Natterer, che disobbedì agli ordini e rimase nel paese sudamericano quasi vent'anni), ma dai naturalisti bavaresi Spix e Martius. La loro fu una delle più fortunate e celebri spedizioni dell'epoca, seconda solo a quella di Bompland e Humboldt. Non solo i due amici ritornarono in patria con straordinarie collezioni, ma i loro studi successivi diedero un contributo eccezionale alla conoscenza della fauna e della flora del Sud America. Martius divenne uno dei botanici più importanti della sua generazione; la sua squisita Storia naturale delle palme è stata definita "la più superba trattazione delle palme che sia mai stata prodotta" e gli ha guadagnato il soprannome "padre delle palme". Quanto all'immensa Flora Brasiliensis, di cui fu il primo curatore e che coinvolse oltre sessanta botanici di diversi paesi, ancora oggi è il testo di riferimento per la flora brasiliana ed una delle opere più importanti della storia della botanica. I colleghi gli dedicarono molti generi, creando un nodo gordiano di sinonimi e omonimi che è stato risolto solo nel Novecento con la creazione del genere Martiodendron. Un viaggio epico Verso la fine del 1816, il re di Baviera Massimiliano I Giuseppe fu invitato a un matrimonio: le nozze per procura dell'arciduchessa Maria Leopoldina d'Austria con l'erede al trono del Portogallo. A Vienna seppe che si stava preparando una grande spedizione scientifica che avrebbe accompagnato la principessa in Brasile. Il sovrano bavarese era di idee progressiste (era stato il principale alleato di Napoleone in Germania) ed era un grande ammiratore di Humboldt. Già da tempo pensava a una spedizione in Sud America che, partita da Buenos Aires, avrebbe dovuto dirigersi in Cile e in Perù, per poi rientrare in Europa imbarcandosi in Venezuela o in Messico. La situazione politica e difficoltà finanziarie lo avevano costretto a desistere. Ora si presentava l'occasione di riprendere quel progetto su nuove basi, aderendo all'iniziativa austriaca. Fu così che sull'Austria, salpata da Trieste il 10 aprile 1817, si imbarcarono anche due scienziati bavaresi, lo zoologo Johann Baptist Spix e il botanico Carl Friedrich Philipp Martius. Al momento della partenza, Spix aveva 35 anni ed era già uno studioso riconosciuto, allievo di Cuvier a Parigi e curatore delle collezioni zoologiche dell'Accademia delle scienze di Monaco di Baviera. Martius, che avrebbe compiuto 23 anni pochi giorni dopo la partenza da Trieste, era assistente all'orto botanico monacense. I due si erano conosciuti a Erlangen, la città natale di Martius, quando questi era uno studente diciottenne. Figlio del farmacista di corte, era stato introdotto alla botanica da un amico del padre, Johann von Schreber, uno degli ultimi allievi di Linneo. Dopo la morte di Schreber, la famiglia propose l'acquisto delle sue collezioni naturalistiche al re di Baviera; nel 1812, per condurre la trattativa venne inviata a Erlanger una commissione formata dal botanico ed entomologo Franz Paula von Schrank e da Spix. Entrambi furono colpiti dal giovane Martius, un brillante ragazzo prodigio, e ne raccomandarono l'ammissione come allievo all'Accademia delle Scienze di Monaco. Martius si trasferì nella capitale, dove nel 1814 si laureò in medicina e chirurgia e divenne assistente di Schrank all'orto botanico. Poco prima di partire per il Brasile pubblicò il suo primo lavoro scientifico, una monografia sulle crittogame dell'area di Erlangen. Il gruppo di Spix e Martius, insieme al professor Mikan, fu il primo a giungere in Brasile, nel luglio 1817. Nell'attesa dell'arrivo del resto della spedizione, i naturalisti incominciarono a prendere confidenza con la natura tropicale e incontrarono diversi membri della comunità tedesca di Rio, primo fra tutti il barone Langsdorff, la cui casa ai piedi delle colline alla periferia della città si trasformò nel loro quartier generale. Subito dopo aver assistito alle nozze di Leopoldina e don Pedro, Martius e Spix iniziarono le raccolte nelle immediate vicinanze della capitale, quindi trascorsero qualche giorno a Mandioca, la tenuta di Langsdorff a nord della baia di Guanabara; a novembre tornarono a Rio, dove appresero che il governo austriaco aveva deciso di dividere la spedizione in piccoli gruppi; da Monaco arrivò l'ordine di non protrarre il soggiorno in Brasile oltre due anni. L'otto dicembre, accompagnati dal pittore Thomas Ender, dal direttore delle miniere del Brasile Wilhelm von Eschwege e da un certo Dürming, console tedesco ad Anversa, i due bavaresi lasciarono Rio alla volta di Sao Paulo, dove arrivarono l'ultimo giorno dell'anno. Nel primi mesi del 1818 il gruppo esplorò il sud dello stato di Bahia, poi si spostò verso nordest per raggiungere la zona mineraria; a maggio, Ender, in seguito a una caduta da cavallo, si fratturò una gamba e fu costretto a rientrare a Rio in compagnia di Dürming. Il trio Martius, Spix e Eschwege continuò per Diamantina, Minas Novas e Montes Claros. Secondo gli accordi con gli austriaci, a questo punto avrebbero dovuto tornare a Rio, ma i due bavaresi decisero di continuare da soli. Salutato Eschwege, penetrarono nell'interno in direzione nord-nordovest fino a Carinhanha, punto di partenza per un ampio giro della Serra Geral, una delle catene costiere della Mata Atlantica; tornati a Carinhanha, raggiunsero la costa a el Salvador, dove si trovavano alla fine dell'anno. A febbraio 1819 ripartirono verso nord, percorrendo la parte settentrionale degli Stati di Bahia, Pernambuco e Piaui; l'attraversamento di questa zona estremamente arida fu uno dei momenti più duri dell'intero viaggio. All'inizio di maggio, a São Gonçalo do Amarante, nello stato di Cearà, Martius si ammalò gravemente. Una settimana dopo, Spix, che aveva contratto la bilharziosi, rischiò di morire. Appena si furono ripresi, si spostarono nel Maranhão e navigando lungo il Rio Itapicuru raggiunsero São Luis, la prima vera città che vedevano da mesi. Qui poterono spedire le collezioni a Rio, riscuotere le lettere di credito e mettere insieme i rifornimenti per la parte più eccitante dell'impresa: l'esplorazione del bacino del Rio delle Amazzoni. Il 20 luglio si imbarcarono per Belem. Dopo qualche giorno dedicato ad esplorare i dintorni della città e l'isola di Marajó, il 21 agosto erano pronti a ripartire. Viaggiando parte a dorso di mulo, parte in canoa, raggiunsero un ramo del Rio delle Amazzoni a Gurupà. Risalirono poi il fiume toccando Porto de Moz e Santarém e il 22 novembre erano a Manaus, alla confluenza con il Rio Negro. Navigarono poi lungo il Rio Solimões fino a Tefé, dove decisero di separarsi. Spix risalì il corso del Solimões fino a Tabatinga e rientrò a Manaus nel febbraio 1820, mentre Martius esplorava il Rio Japorà e a marzo si riuniva all'amico. Qualche giorno prima, la sua canoa si era rovesciata e aveva rischiato di morire annegato. Ad aprile i due ardimentosi naturalisti erano di nuovo a Belem e a giugno si imbarcarono per l'Europa con le casse delle raccolte e una coppia di ragazzi indios; il 23 agosto erano a Lisbona e prima di Natale a casa, a Monaco. Avevano percorso oltre 10.000 km, a piedi, a cavallo, a dorso di mulo, in canoa e raccolto oltre 3500 di esemplari di animali, da 25 a 30000 esemplari d'erbario ripartiti su oltre 7300 specie. La loro collezione mineralogica andò a costituire le basi della Mineralogische Staatssammlung di Monaco, così come le collezioni etnografiche quelle del Museum für Völkerkunde, oggi "Museo dei cinque continenti". Due opere monumentali I due naturalisti furono ricevuti con grande onore dal re di Baviera. Entrambi furono nobilitati e ricevettero une pensione vitalizia. Nel 1826 Martius divenne professore di botanica all'Università di Monaco e dal 1832 direttore dell'Orto botanico. Intanto, i due amici lavoravano alacremente alla pubblicazione delle loro raccolte. A quattro mani scrissero il resoconto del loro viaggio, Reise in Brasilien, in tre volumi (1823, 1828, 1831). Spix morì mentre stavano preparando il secondo, ma Martius poté completare l'opera utilizzando le note proprie e del compagno. Morto a soli 45 anni nel 1826, Spix aveva fatto in tempo a scrivere quattro monografie, dedicate rispettivamente alle scimmie e ai pipistrelli, alle testuggini e agli anfibi, agli uccelli e ai serpenti raccolti durante la spedizione. Complessivamente descrisse da 500 a 600 specie, dando il nome a numerose specie nuove; alcune portano il suo nome, come la rarissima ara di Spix Cyanopsitta spixii che gli fu dedicata dallo zoologo Wagler. Gli furono dedicati anche due generi botanici Spixia (da Leandro e da Schrank) ma nessuno dei due è oggi valido. Diversamente dal compagno di viaggio, Martius ebbe lunga vita e poté diventare uno dei più eminenti botanici della sua generazione, autore di opere che superano in importanza persino la sua prodigiosa attività di raccoglitore. Oltre al resoconto del viaggio, pubblicò saggi sull'economia, la medicina, la cultura degli indigeni del Brasile, scrisse un romanzo rimasto inedito e, ovviamente, una lunga serie di articoli e monografie sulle piante raccolte durante la spedizione. Esordì nel 1823 con Genera et species palmarum quas in itinere per Brasiliam [...] collegit [...] C.F.P. Martius: le palme, esplorando il bacino del Rio dell'Amazzoni, la regione del globo più ricca di Arecaceae, erano diventate le sue piante preferite; seguì Nova genera et species plantarum, quas in itinere per Brasiliam [...] collegit C.F.P. Martius, in tre volumi (1824–1832); nel 1827 uscì un'opera dedicata al primo amore di Martius, le crittogame, Icones selectae plantarum cryptogamicarum. Ma intanto l'attivissimo botanico stava lavorando al suo capolavoro, Historia naturalis palmarum, in tre spettacolari volumi in folio pubblicati a Lipsia tra il 1823 e il 1850. E' un'opera monumentale con più di 550 pagine di testo e 240 cromolitografie, una tecnica all'epoca appena agli esordi; molti dei disegni del secondo volume si devono allo stesso Martius. Nel primo volume il botanico getta le basi della prima classificazione sistematica delle palme e fornisce una mappa della distribuzione geografica della famiglia; nel secondo descrive le palme del Brasile; nel terzo, intitolato Expositio Systematica, descrive tutte le specie allora note, basandosi sia sulle proprie raccolte sia su tutto ciò che era stato scritto da altri botanici. Questa pietra miliare dello studio delle palme ha guadagnato a Martius il soprannome di "padre delle palme" e ha fatto dire a Humboldt: "Finché le palme saranno apprezzate e conosciute, il nome di Martius sarà famoso". L'opera suscitò anche l'ammirazione di Goethe, che probabilmente ne fu influenzato nelle sue ricerche sulle metamorfosi delle piante; del resto, l'ammirazione era reciproca: lo stesso Martius durante il viaggio in Brasile scriveva poesie, inviò diversi esemplari brasiliani al poeta e si recò a fargli visita a Weimar. Ancora più grandiosa l'impresa cui Martius si accinse a partire dal 1839: la pubblicazione di una flora complessiva del Brasile. Per realizzarla, chiamò a raccolta i più importanti botanici europei. Si tratta infatti di un'opera collettiva, che andò molto oltre la vita del suo promotore, impegnando tre generazioni di studiosi e 65 collaboratori. E' considerata una delle opere botaniche più importanti di tutti i tempi ed è ancora oggi il testo di riferimento per la flora del Brasile; fino al 2004, quando uscì Flora Rupublicae popularis Sinicae, rimase la più ampia flora mai pubblicata. La gigantesca opera fu finanziata dall'imperatore d'Austria Ferdinando I, dal re di Baviera Ludovico I e dall'imperatore del Brasile Pietro II; inizialmente fu diretta da Martius e Endlicher, che però morì già nel 1849. Martius ne rimase il solo curatore fino alla morte (1868) e curò la pubblicazione di 46 fascicoli su 130; alla sua morte gli succedettero prima August Wilhelm Eichler quindi Ignatz Urban. Completata nel 1906, Flora Brasiliensis comprende più di 20.000 pagine con la trattazione di 22.767 specie, per lo più angiosperme, non solo brasiliane, ma anche dei paesi limitrofi (Venezuela, Ecuador e Perù). Quasi 6000 all'epoca erano nuove per la scienza. Il testo è arricchito da disegni, incisioni e acquarelli di artisti come Thomas Ender, Benjamin Mary e Johan Jacob Steinmann e dalle fotografie di George Leuzinger, che ne fanno una vera opera d'arte. Membro di innumerevoli società scientifiche, Martius divenne anche una figura piuttosto nota dell'ambiente culturale monacense. Era in contatto con scienziati di tutto il mondo, che ospitava volentieri a casa sua. Ogni anno, in occasione del compleanno di Linneo (il 23 maggio) vi organizzava un festival in onore del principe dei botanici, con discorsi, poesie e canzoni. Tra i suoi lasciti, non possiamo dimenticare l'erbario. Già prima che partisse per il Brasile era ragguardevole; l'avventura brasiliana gli fruttò circa 12.000 esemplari. Anche se dopo il ritorno a Monaco non viaggiò più, continuò ad arricchire l'erbario grazie ad acquisti, invii di altri botanici e scambi. Alla sua morte, con circa 300.000 esemplari e 65.000 specie, era uno degli erbari privati più importanti del mondo. Acquistato dal Belgio, è oggi custodito nell'Orto botanico di Bruxelles ed è oggetto di un importante progetto di digitalizzazione, The Martius Project. Martius riposa nel cimitero di Monaco di Baviera. Sulla sua tomba una lastra con due palme e l'epigrafe latina In palmis semper virens resurgo, "Tra le palme risorgo sempreverde". Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Martiodendron, un'esplosione di fiori d'oro Molti colleghi dedicarono a Martius un genere botanico; si contano non meno di sei Martia, due Martiusia, cui vanno aggiunti Martiusella e Suitramia (dallo pseudonimo Suitram che Martius usava con gli amici e in alcuni documenti). Si venne così a creare un intrico di omonimi e sinonimi e si generò una confusione che rischiava di privare il grande botanico del giusto riconoscimento; per rimediare a tanta ingiustizia nel 1935 lo statunitense H.A. Gleason rinominò Maritiodendron un genere di Fabaceae sudamericane che nel 1818 Bentham aveva battezzato Martia e nel 1840 aveva rinominato Martiusia. Martiodendron riunisce cinque specie di alberi presenti in vari habitat del Sud America atlantico : dalla foresta pluviale alle foreste stagionalmente inondate alla savana; molto opportunamente, tra le zone di diffusione (Guyane, Venezuela meridionale, Brasile amazzonico, nord-est brasiliano) ci sono anche le due principali aree visitate da Martius, il bacino del Rio delle Amazzoni e gli Stati brasiliani di Bahia, Piauí, Maranhão. Sono alberi da medi a grandi la cui chioma svetta nello strato superiore della foresta, con robusti tronchi che in alcune specie si allargano in contrafforti; hanno foglie imparipennate con foglioline da ovate a ellittiche, da coriacee a membranacee. A farsi notare sono soprattutto le infiorescenze panicolate, fitte di fiori giallo oro con cinque petali imbricati alla base, corolla lievemente zigomorfa e lunghi stami. Le due specie più diffuse sono le amazzoniche M. parvifolium e M. elatum; si dice che la fioritura di quest'ultimo lungo le rive del fiume Tapajós, nello stato di Pará, all'inizio della stagione delle piogge, offra uno spettacolo senza uguali. Se Martius lo vide in tanta gloria, sicuramente sarà contento di questa complicata, ma più che meritata dedica. Qualche informazione in più nella scheda. La pubblicazione di Flora Danica prosegue fin quasi alla fine dell'Ottocento, sotto sette curatori. Solo tre di loro sono ricordati da un genere botanico: Drejer, Schouw, Jens Vahl. E così scopriamo i minuscoli generi Drejera, Schouwia, Vahlodea e Mostuea (da dove salta fuori? leggete il post per saperlo). 7 curatori, 77 anni di lavoro Trascurata da Martin Vahl, la grande impresa di Flora danica era stata di fatto interrotta fin dal 1799. Le pubblicazioni ripresero solo nel 1806, due anni dopo la morte di Vahl. Per completare l'opera sarebbero stati necessari altri 77 anni e l'impegno di altri sette curatori. Solo tre di loro hanno avuto l'onore di essere ricordati da un genere celebrativo, e stranamente quelli che vi contribuirono in modo più episodico. L'immediato successore di Vahl, Jens Wilkens Hornemann (1770-1841), diede uno dei contributi più significativi: diresse l'opera per 34 anni, pubblicò 18 fascicoli (con più di mille tavole); successore di Vahl anche alla cattedra di botanica e alla direzione dell'Orto botanico di Copenhagen, fu un botanico non particolarmente innovativo, ma di solida preparazione, che si impegnò a fondo nella pubblicazione di Flora danica proprio perché non distratto da impegni scientifici più stimolanti, al contrario di Müller e Vahl. Per quanto riguarda l'onore postumo di dare il proprio nome a un genere botanico, fu insolitamente sfortunato: nel 1809 Willdenow gli dedicò il genere Hornemannia; a causa della priorità di quest'ultimo, vennero considerati non validi gli omonimi generi creati da Vahl (pubblicato postumo nel 1810) e da Bentham nel 1846. Ma per ironia della sorte anche Hornemannia Willd. è oggi un nome non valido: le due specie che ne facevano parte sono state assegnate una al genere Mazus, l'altra al genere Lindernia; il povero Hornemann deve accontentarsi di legare il suo nome all'Epilobium hornemanni (oltre che a un fungo agarico e una specie di cardellino). Da questo punto di vista, miglior sorte toccò ai suoi successori immediati, Drejer, Schouw e Jens Vahl (figlio di Martin) che nel 1843 curarono congiuntamente un unico fascicolo. Ma su di loro torneremo. Vediamo prima velocemente le vicende editoriali successive e citiamo i curatori, nessun dei quali è onorato da un nome celebrativo. Dal 1845 al 1853 l'opera fu affidata a Frederik Liebmann, che pubblicò tre fascicoli (240 tavole) e un volume di supplementi. In gioventù aveva viaggiato a Cuba e in Messico; anch'egli tenne la cattedra di botanica dell'Università di Copenhagen e la direzione dell'Orto botanico. Dopo la sua morte e una nuova lunga interruzione, un singolo fascicolo uscì nel 1848 grazie a Japetus Steenstrup e Johan Lange. Steenstrup (1813-1897) fu un importante zoologo, corrispondente di Darwin, non particolarmente interessato a un'opera come Flora danica. Sarà dunque il solo Johan Lange (1818-1898) a portarla finalmente a termine, facendo uscire tra il 1861 e il 1883 gli ultimi sette fascicoli e due volumi di supplementi, seguiti nel 1887 dagli indici alfabetici, sistematici e cronologici. Lange era un botanico di notevole spessore, che aveva compiuto studi approfonditi sulla flora danese, groenlandese e europea, in particolare spagnola; la sua revisione del sistema linneano ebbe una rilevante influenza nella nascita del Codice di nomenclatura botanica, il sistema oggi in uso. Nonostante tutti questi meriti, anche il suo ricordo è affidato unicamente a nomi specifici, come Armeria langei o Dianthus langeanus. Tre botanici per un fascicolo Curiosamente, come abbiamo anticipato, sono invece ricordati da almeno un nome di genere (sebbene si tratti di generi piccolissimi e poco noti) i tre curatori del fascicolo 40, uscito nel 1843. E' ora di fare la loro conoscenza. Salomon Drejer (1813-1842) morì giovanissimo proprio mentre ne stava preparando la pubblicazione; talentosa promessa della botanica danese, era un esperto di Cyperaceae e aveva già pubblicato alcuni notevoli lavori. La sua morte precoce destò grande commozione; gli vennero dedicati poemi, numeri monografici di riviste e un canto funebre per coro maschile, composto in occasione del suo funerale da Niels Gade, il maggior musicista danese dell'Ottocento; Drejer era stato a sua volta musicista e aveva fondato una società corale studentesca. Qualche informazione in più nella biografia. Dopo la sua morte, fu chiamato a completarne il lavoro Joakim Frederik Schouw (1789-1852), che di Drejer era stato professore. Schouw, di professione avvocato, si era appassionato alla botanica quando nel 1812 aveva avuto occasione di accompagnare Christen Smith e Hornemann in una spedizione in Norvegia destinata alla raccolta di esemplari per Flora Danica. Era stato grandemente colpito dalla relazione tra vegetazione e altitudine; pur continuando ad esercitare la professione forense, aveva incominciato a studiare a fondo la distribuzione geografica delle piante e si era laureato in botanica proprio con una tesi sull'argomento (Dissertatio de sedibus plantarum originariis) in cui tra l'altro sostenne teorie evoluzionistiche. Lasciata ormai la carriera legale, divenne un botanico a tutti gli effetti: fece viaggi in Europa, visitando colleghi come de Candolle; a Copenhagen venne creata apposta per lui una seconda cattedra di botanica. Il suo principale contributo scientifico fu Grundtræk til en almindelig Plantegeographie ("Fondamenti di fitogeografia generale", 1822). Grazie a questi contributi, egli fu uno dei pionieri della fitogeografia, riconosciuto in tutta Europa. Tuttavia a partire dagli anni '30, benché la sua carriera accademica proseguisse (diventò anche direttore dell'Orto botanico di Copenhagen), i suoi interessi scientifici passarono in secondo piano di fronte al crescente impegno politico che lo vide prima difensore della libertà di stampa, quindi leader del partito liberale, infine presidente dell'assemblea costituente nel movimentato '48 e candidato a un ministero. Per approfondire questo poliedrico personaggio, si rinvia alla biografia. La molteplicità degli impegni, oltre a una salute precaria, spiegano perché nella pubblicazione del fascicolo 40 di Flora danica fu affiancato da un altro curatore, Jens Vahl (1796-1854), figlio maggiore di Martin. Laureato in farmacia, ma con una formazione articolata anche come chimico e botanico, Vahl junior fu un importante specialista della flora artica: esplorò nel corso di lunghi viaggi la Groenlandia (1828-30; 1829-36); nel 1838-39 partecipò a una spedizione francese a Capo Nord e all'isola Spitsbergen. I suoi viaggi gli consentirono di raccogliere un grande erbario, con note particolarmente accurate sulle circostanze della raccolta, la localizzazione e l'habitat. Al suo rientro a Copenhagen nel 1840 divenne assistente all'Orto botanico; progettò una Flora groenlandica, che tuttavia non riuscì a completare a causa della morte. Qualche notizia in più nella biografia. Drejera, Schouwia, Vahlodea e... Mostuea (?) Sfortunato in vita come negli onori postumi Solomon Drejer vede appeso a un filo il suo genere celebrativo. Drejera fu istituito qualche anno dopo la sua morte (1847) dal botanico tedesco Nees von Esenbeck separandolo da Justicia (famiglia Acanthaceae). Oggi quasi tutte le sue undici specie sono stati riassegnate ad altri generi; rimane ancora da risolvere lo status di due specie brasiliane, D. polyantha e D. ramosa, forse da includere nel genere Thyrsacanthus. Un secondo genere, Drejerella, creato da Lindau qualche anno più tardi, è oggi considerato una sezione di Justicia. Proprio come Hornemann, dunque, Drejer rischia di perdere il suo genere celebrativo. Qualche notizia in più sullo sfuggente (e molto probabilmente non valido) genere Drejera nella scheda. A ricordare l'amico Schouw provvide invece il grande tassonomista de Candolle nel 1821. Schouwia (Brassicacae) è un genere monotipico che comprende la sola specie S. purpurea, un'erbacea annuale o perennante con foglie semisucculente e fiori violetti, diffusa dal Nord Africa alla penisola arabica, in ambienti deserti montani, che era stata descritta per la prima volta da Forsskål con il nome di Subularia purpurea. Qualche notizia in più, soprattutto sull'habitat e sulla sua importanza ecologica nella scheda. A fare la parte del leone è però Jens Vahl, che di generi se n'è visti assegnare ben due. Il primo è Vahlodea (il nome Vahlia era già "occupato", in celebrazione del padre Martin), una graminacea (Poacea), stabilita come genere dal botanico svedese Fries nel 1842. Anche in questo caso si tratta di un genere monotipico, rappresentato da V. atropurpurea, un'erba perenne circumboreale e sudamericana dei pascoli umidi della zona artica e subartica e dell'alta montagna (in inglese è chiamata Mountain hairgrass). Presente anche in Scandinavia e Groenlandia, è una scelta particolarmente adatta per ricordare un grande esperto di flora artica. Spesso viene assegnata al genere Deschampsia, ma in questo caso gli studi più recenti ne confermano l'indipendenza. Qualche approfondimento nella scheda. L'altro genere dedicato a Jens Vahl è formato a partire dal suo secondo nome, affine al secondo nome dell'onomastica anglosassone (il nome completo era Jens Laurentius Moestue Vahl): si tratta di Mostuea, della minuscola famiglia Gelsemiaceae, che comprende solo due generi, recentemente separata dalla famiglia Loganiaceae, creato nel 1853 dal botanico danese Didrichsen. Con le sue quattro-otto specie, è anche il genere più cospicuo tra i piccolissimi generi dedicati ai nostri tre protagonisti; si tratta di piccoli arbusti o rampicanti legnosi, con infiorescenze con graziosi fiori bianchi o lilla imbutiformi a cinque petali e curiosi frutti cuoriformi, con una distribuzione transoceanica in Africa e Sud America. E' piuttosto ironico che sia praticamente impossibile, a meno di fare una ricerca accurata, risalire dal nome del genere al suo dedicatario. E non si tratta di un caso unico. Anche per Mostuea, qualche notizia in più nella scheda. All'inizio la botanica fu al servizio della medicina e si studiarono le piante officinali; poi se ne scopersero le valenze economiche, e si studiarono le piante utili; ma dalla fine del Settecento, alcuni scienziati iniziano a studiare la natura di per se stessa. E il microscopio apre orizzonti sconosciuti. Una pagina non insignificante di questa storia l'ha scritta Otto Friedrich Müller, secondo curatore di Flora Danica, e dedicatario - grazie al figlio di Linneo - dell'elusiva Muellera. Uno zoologo armato di microscopio Nel 1772, a continuare la grande impresa di Flora Danica, interrotta dl licenziamento di Oeder, fu chiamato Otto Friedrich Müller. Una scelta forse discutibile, dettata da motivazioni politiche: Müller, essenzialmente uno zoologo, era lo scienziato danese più noto all'estero e soprattutto non era tedesco, o, per lo meno, era nato in Danimarca. Infatti, anche se suo padre era un musicista di corte di origine tedesca, era nato a Copenhagen nel 1730; aveva studiato teologia e legge all'Università, poi, prima di laurearsi era passato al servizio della potente famiglia nobile Schulin, come precettore del piccolo Frederik Ludwig detto Fritz. Inspirato dalla splendida natura che circondava la tenuta degli Schulin, Fridrichsdalin, Müller incominciò a studiare scienze naturali da autodidatta, per insegnare a se stesso e al proprio allievo. Si servì in particolare dei libri di Linneo, che a partire dagli anni '60 divenne anche uno dei suoi corrispondenti. All'inizio, a interessarlo fu soprattutto la botanica, ma ad affascinarlo erano anche gli insetti. Nel 1761 si procurò il primo microscopio e incominciò a specializzarsi nello studio degli animali piccolissimi. Tra il 1765 e il 1767, accompagnò il suo pupillo in un grand tour che portò i due in Germania, Svizzera, Italia, Francia, Olanda. Visitarono musei, palazzi e teatri; ovunque, Müller ebbe cura di prendere contatto con gli ambienti scientifici e, in un certo senso, promuovere se stesso; grazie alle nuove conoscenze e alla stesura di brevi opuscoli, divenne così membro di molte accademie europee. Con molti importanti scienziati strinse duraturi rapporti scientifici e corrispose per tutta la vita; citiamo tra gli altri von Haller, Scopoli e Allioni. Fu quest'ultimo, nel 1766, a pubblicare un'opuscolo di Müller, Manipulus insectorum taurinensium, in cui il danese descrisse 185 insetti raccolti a Torino, tra la collina e l'area della Dora. Nel 1767, durante una sosta di cinque mesi a Strasburgo, Müller pubblicò la sua unica opera di botanica, Flora Fridrichsdalina, un catalogo delle piante che vivevano nei pressi della tenuta degli Schulin. Per un breve periodo, tra il 1771 e il 1772, egli lavorò poi come archivista del dipartimento norvegese dello Schacchiere, incarico che fu soppresso dopo la caduta di Struensee. Ma proprio allora per lo scienziato, sposatosi nel 1773 con una ricchissima vedova norvegese, grazie alla sicurezza economica, iniziò il periodo più proficuo. Gli anni 1774-1784 furono segnati da uno stupefacente numero di pubblicazioni, in particolare nei campi della zoologia trascurati da Linneo e dalla sua scuola; oltre a insetti, vermi, molluschi, si dedicò in particolare allo studio degli animali unicellulari con un importante libro sugli infusori. Quando uscirono i primi volumi di Flora Danica, concepì il progetto di realizzarne il contraltare nel campo della fauna, raccogliendo in Fauna Danica le tavole illustrative e le descrizioni di tutti gli animali del regno di Danimarca-Norvegia. Mentre già lavorava a questo progetto, gli venne assegnato l'incarico di continuare la pubblicazione di Flora Danica: due opere mastodontiche di cui ovviamente non era destinato a vedere la fine. Benché il suo interesse prioritario andasse all'opera zoologica (riuscì a scriverne l'introduzione, il Prodromus, importantissimo per la sua classificazione innovativa degli invertebrati, e due dei quattro volumi), il suo intervento su Flora Danica non fu di semplice routine. Anche se a sfogliare le tavole non avvertiamo alcuna discontinuità (la mano di pittore e incisore è ancora quella dei Rössler), in realtà sta cambiando sottilmente il focus dell'opera: dalle piante di interesse economico, secondo il progetto originale del botanico-economista Oeder, al mondo vegetale in tutte le sue manifestazioni, anche le più umili (i funghi, all'epoca, erano ancora considerati vegetali). Ecco allora farsi via via più numerosi, nei cinque fascicoli curati da Müller, le alghe, i funghi, i licheni. Alcune tavole destarono persino l'indignazione di un anonimo recensore: sono quelle che rappresentano le muffe che crescono sulla frutta marcia e su una mosca morta; chi avesse acquistato il libro per conoscere le piante utili e nocive nella produzione dei foraggi, fa notare l'anonimo, a vedersi davanti frutta marcia e mosche schifose, l'avrebbe gettato via per sempre! Ai nostri occhi meravigliati, invece, il fungo saprofita che avvolge la mosca, ingrandito molte volte, appare quasi una flora fantastica, degno di un artista visionario come Leo Lionni. In un'altra tavola, viene ritratta una diatomea: la scoperta e la descrizione della prima diatomea (Bacillaria paradoxa) si deve infatti a Müller, che la scoprì in una delle esplorazioni delle acque del golfo di Oslo a cui si dedicava ogni estate. Esausto dal superlavoro, Müller morì poco più che cinquantenne, nel 1784. Come sempre, qualche notizia in più nella biografia. Muellera: frutti come collane Al grande scienziato danese il figlio di Linneo aveva voluto dedicare nel 1782 un nuovo genere di leguminose sudamericane, Muellera. Nei secoli successivi, esso darà del filo da torcere ai tassonomisti; appartenente alla tribù Millettieae delle Fabaceae (il genere più noto di questo gruppo è Wisteria, quello del glicine), fino a qualche anno fa le si assegnavano per lo più due specie, una più meridionale, un albero delle foreste umide dalla Colombia al Brasile, M. denudata; una più settentrionale, un albero o arbusto delle foreste aride dal Messico al sud America settentrionale, M. frutescens (oggi sinonimo di M. monilis). Elemento più caratteristico gli strani baccelli, detti "moniliformi": i restringimenti e le dilatazioni ricordano le perle di una collana. La maggior parte degli studiosi propendeva anzi per considerare Muellera un sinonimo di Lonchocarpus. A rivoluzionare questa situazione, nel 2012 uno studio basato sul DNA, condotto da un gruppo di botanici brasiliani, ha confermato l'indipendenza del genere Muellera, al quale dovrebbero anzi essere assegnate ben 26 specie, in parte prima attribuite a Lonchocarpus, in parte ad altri generi affini. La proposta ha faticato un po' ad imporsi; nell'estate del 2016, quando ho redatto questo post, Plant list gli attribuiva ancora solo tre specie (due delle quali diverse da quelle citate). Oggi (estate 2019) la situazione si è capovolta: Plants of the world on-line accetta pienamente il genere, cui attribuisce 32 specie distribuite nelle regioni tropicali dell'America centrale e meridionale. Una delle più interessanti tra queste "nuove" specie è M. sericea (sin. Bergerona sericea), un albero nativo della foresta pluviale di Argentina, Bolivia e Paraguay, a volte usato anche come ornamentale per i bei fiori rosa porpora. Rinvio alla scheda per qualche approfondimento. Per un ventennio, il medico tedesco Oeder è l'attivissimo factotum della botanica danese; è lui, tra l'altro, a ideare e a varare la magnifica Flora Danica, uno dei testi più imponenti e belli della storia della botanica. Ma il suo zelo riformatore gli costò molto caro. Grazie a Linneo, gli rimase se non altro la dedica della poco nota Oedera. Un botanico molto impegnato Nel Settecento, con la nascita della dottrina fisiocratica, che lega all'agricoltura la prosperità della nazione, cresce l'interesse per lo sfruttamento economico delle piante. E' in questa atmosfera che nel 1752 J. H. E. Bernstorff, ministro degli esteri danesi, chiama un giovane medico e botanico bavarese, Georg Christian Oeder, a rivestire la neonata cattedra di "Economia sociale" all'Università di Copenhagen; la levata di scudi dell'ambiente accademico danese, ostile alla nomina di uno studioso straniero, fa fallire il progetto. Tuttavia, con l'appoggio del re Federico V e del primo ministro Moltke, Bernstorff rilancia: nasce l'Istituzione Botanica Reale, modellata sul Jardin des Plantes di Parigi, del tutto autonoma dall'università, finanziata dalla Corona, con lo scopo di istituire un giardino botanico e una biblioteca. Oeder diventa così curatore del Giardino botanico e lettore di botanica applicata, con il titolo di Professor botanices regius. Oltre alle lezioni, attivissimo, Oeder si impegna su tre fronti. Il primo luogo, l'allestimento del Giardino Botanico. Fin dal Seicento l'Università di Copenhagen si era dotata di un orto dei semplici ma l'istituzione, priva di fondi, aveva finito per declinare. Il nuovo giardino, fondato nel 1752, era situato a nord dell'Ospedale Frederik, diviso in due parti da Amaliegade: la parte occidentale, con una serra, fu aperta al pubblico nel 1763; la parte orientale non venne mai realizzata. In effetti, già nel 1778 il giardino fu trasferito nei pressi di Charlottenborg, dove si trova ancora oggi. Il secondo impegno fu la realizzazione di una biblioteca specializzata, con particolare attenzione alla botanica applicata. Grazie ai fondi messi a disposizione dal sovrano e ai contatti esteri, nel 1754 venne acquistata l'intera biblioteca del medico britannico Richard Mead, con oltre 1300 volumi; altri testi inglesi e americani furono procurati da Philip Miller, direttore del Chelsea Physic Garden. Il terzo progetto fu il più ambizioso. Nel 1753 Oeder propose di studiare e documentare la flora del regno di Danimarca-Norvegia e dei possedimenti della corona (Schleswing-Holstein, Oldenburg-Dalmenhorst, Islanda, isole Faroe e Groenlandia), pubblicando i risultati in una serie di volumi in folio con descrizione e usi di ciascuna specie, corredate da grandi tavole realizzate in calcografia. Lo scopo era duplice: individuare piante utili in medicina, orticultura, agricoltura e giardinaggio; diffondere la conoscenza della botanica e delle proprietà economicamente utili delle piante. Nasce così Flora Danica, un monumento della botanica e un capolavoro dell'illustrazione botanica, destinato a impegnare Oeder per quasi vent'anni e tre o quattro generazioni di botanici danesi per oltre un secolo: il primo volume uscirà infatti nel 1761, l'ultimo 123 anni dopo, nel 1883. Per raccogliere le piante, Oeder si impegna in diversi viaggi, in particolare tra il 1758 e il 1760 visita le montagne della Norvegia, dove rinnova la conoscenza con Gunnerus, vescovo di Trondheim, che sarà suo corrispondente negli anni successivi. A partire dal 1761, riesce a pubblicare un fascicolo all'anno (per un totale di 10 fascicoli, con 600 tavole). All'inizio degli anni '70, tuttavia, l'energico e abile botanico, come economista, si trovò coinvolto in una delle pagine più discusse della storia danese. Dal settembre 1770, per circa sedici mesi, in seguito alla grave malattia mentale del re Cristiano VII, il potere fu di fatto nelle mani del medico personale del re, il tedesco Johann Friedrich Struensee, convinto illuminista, che varò a ritmo febbrile una serie di riforme invise alla corte e alla nobiltà danese: tra le altre, l'emancipazione dei servi, l'abolizione della tortura, la cancellazione del carcere per debiti. Oeder, a sua volta un riformatore illuminista, convinto sostenitore della necessità di una riforma agraria e dell'emancipazione dei contadini, sui quali gravavano ancora vincoli feudali, diventò uno dei suoi più ascoltati consiglieri ed entrò a far parte di molte commissioni. Quando venne varato un catasto, base indispensabile per una tassazione più equa, fu Oeder a predisporre i dati delle parrocchie di varie aree del paese. Fece parte anche della commissione che doveva elaborare la riforma universitaria. Tuttavia nel gennaio 1772, una congiura di corte portò alla caduta di Struensee che venne arrestato, processato per alto tradimento - con l'accusa, fondata, di essere l'amante della regina - e condannato a morte. Seguì una reazione feroce, che portò alla cancellazione di tutte le riforme e al siluramento dei collaboratori di Struensee. Tra loro, anche Oeder che perse il posto di professore (quindi anche gli incarichi di curatore dell'orto botanico, della biblioteca e di Flora danica). Da quel momento, visse una vita oscura di piccolo funzionario a Oldenburg, località presto ceduta a un duca tedesco - di fatto un esilio mascherato; solo due anni prima della morte (avvenuta nel 1791) venne nobilitato da un altro convinto riformatore, l'imperatore Giuseppe II. Quale informazione in più nella biografia. Dalla botanica alla mensa reale Ma torniamo a Flora Danica. Il progetto varato da Oeder si rivelò ambiziosissimo ed è improbabile che, anche se non fosse stato silurato, egli sarebbe riuscito a realizzarlo. Tanto che, in corso d'opera, l'impresa cambiò natura: poiché i testi che avrebbero dovuto accompagnare le tavole (le descrizioni delle piante e le indicazioni dei loro usi economici e medici) non furono mai scritti, si trasformò in uno spettacolare album illustrato. Oeder riuscì unicamente a scrivere un'introduzione alla botanica e una lista parziale delle piante (relativo alle sole crittogame). Il licenziamento gli impedì di scrivere altri testi e i suoi successori vi rinunciarono definitivamente. Flora Danica si presenta dunque come una raccolta di splendide tavole calcografiche in folio (ben 3240), il catalogo completo della flora spontanea danese; in via di principio, le piante, ritratte dal vero, sono a grandezza naturale (tranne le piante grandi, riprodotte in scala con particolari a grandezza naturale) e occupano una tavola ciascuna - ad eccezione di alcuni muschi. I particolari che permettono di distinguere una specie dall'altra sono disegnati a parte; per le piante più piccole e i particolari minuti, venne utilizzata una lente d'ingrandimento. Gli artisti di cui si servì Oeder erano anch'essi tedeschi, padre e figlio: Michael Rössler (1705-77), il padre, era l'incisore e Martin Rössler (1727-82), il figlio, il pittore. Come si è detto, l'opera aveva anche un fine divulgativo. Per questo, ne vennero predisposte due versioni: una di base, con le tavole stampate in bianco e nero, una di lusso con le tavole colorate a mano; grazie al sostegno del re, vennero vendute a un prezzo "politico": ciascun fascicolo di 60 tavole costava 4 rix-dollari nella versione economica, 6 in quella di lusso. Inoltre per la diffusione si coinvolse la chiesa: copie dell'edizione base vennero inviate ai vescovi che avrebbero provveduto a distribuirle ai pastori, alle scuole parrocchiali e alle persone colte; in effetti, nella Danimarca del Settecento, non esistevano scuole pubbliche laiche, l'istruzione passava totalmente attraverso la chiesa luterana, che d'altra parte, in quanto chiesa di stato, dipendeva dal re. Dopo il siluramento di Oeder, l'opera rischiò di essere a sua volta abbandonata. Tuttavia, dopo qualche anno di interruzione, fu affidata a Otto Friedrich Müller, uno zoologo di chiara fama, scarsamente interessato alla botanica, tanto che in otto anni (1775-1782) pubblicò soltanto cinque fascicoli. Con il terzo curatore l'opera tornò nelle mani di un botanico, il grande Martin Vahl (1787-1799) e proseguì, tra interruzioni e riprese, fin quasi alla fine del XIX secolo, con J. W. Hornemann (1806-1840), S. Drejer, J. F. Schouw e Jens Vahl (1843), F. Liebmann (1845-1853), J. Steenstrup e Johan Lange (1858), Johan Lange da solo (1861- 1883), che concluse l'opera e ne scrisse gli indici. Giunta alla fine, l'enorme pubblicazione era costituita da 51 parti e 3 supplementi. Grazie alla biblioteca nazionale danese, è possibile non solo conoscerne meglio la storia, ma sfogliare la spettacolare opera, che è stata integralmente digitalizzata nel sito Flora danica on-line. Non perdetevi una visita: la bellezza artistica e la precisione scientifica hanno qui raggiunto uno dei loro vertici. Ma nel frattempo Flora Danica conosceva una nuova incarnazione, quella che probabilmente l'ha resa più nota. Nel 1790 il principe ereditario Federico ordinò alle manifattura di Copenhagen un servizio da tavola decorato con disegni tratti dalle tavole di Flora Danica, che avrebbe dovuto essere donato alla zarina Caterina II; in finissima ceramica, completamente dipinto a mano, a realizzarlo fu chiamato Johan Christoph Bayer, uno dei pittori botanici che aveva lavorato per i volumi sotto la supervisione di Martin Vahl. Lo splendido servizio, che comprendeva 1802 pezzi, però non giunse mai in Russia; rimase in possesso della corona danese, che ancora oggi se ne serve in occasione di ricevimenti di stato. Diventato uno dei più prestigiosi servizi di porcellana di ogni tempo, è tuttora in produzione alla Royal Copenhagen (dipinto rigorosamente a mano, scegliendo tra oltre 3000 motivi decorativi tratti dalle illustrazioni di Flora Danica). Oedera, un'asteracea sudafricana Quanto a Oeder, poco prima di essere silurato fece in tempo a ricevere l'omaggio di Linneo che nel 1771 (Mantissa Plantarum altera) gli dedicò il genere sudafricano Oedera separandolo dall'europeo Buphthalmum. Oedera, della famiglia Asteraceae, è un genere endemico del Sud Africa, con circa 18 specie delle Province del Capo orientale e del Capo orientale. Si tratta di piccoli arbusti eretti, di portamento che può ricordare quello dell'erica, con foglioline spesso strette, aghiformi, adatte a sopportare l'aridità, e capolini gialli, singoli in alcune specie, raccolti in dense infiorescenze in altre. Una dozzina di specie è caratteristica di un ambiente molto particolare, il fynbos, la vegetazione arbustiva che riveste una piccola striscia costiera del Capo Occidentale, soprannominato Cape Floral Kingdom per l'abbondanza di piante (almeno 8000 specie) e la ricchezza di endemismi (circa 4000 specie). Similmente alla macchia mediterranea, che ne è l'equivalente nelle nostre latitudini, è una formazione vegetale xerofita dominata da arbusti. Tra i gruppi più importanti, si annoverano anche numerose Asteraceae, appartenenti a generi affini tra loro, Relhania, Rosenia, Nestlera, Leysera, e appunto Oedera, che si distingue dagli altri per alcune caratteristiche, ad esempio per le foglie prive di tomento. Alcune di esse, come O. genistifolia e O. squarrosa possono talvolta assumere il ruolo di specie dominanti. Qualche informazione in più nella scheda. Per dare lustro al titolo regale appena conquistato, Vittorio Amedeo II fonda l'Orto botanico di Torino. Qualche anno dopo Carlo Allioni ne farà un'istituzione scientifica di prestigio europeo, guadagnandosi la stima di Linneo. A lui - tra i primi ad adottare la denominazione binomiale e più tardi autore di un'opera fondamentale della botanica illuminista - lo svedese dedicherà il genere Allionia. Un nuovo orto botanico per un nuovo re Nel 1703, allo scoppio della guerra di successione spagnola, Vittorio Amedeo II di Savoia, infido alleato di Luigi XIV, decide di cambiare campo e si schiera con l'Impero e l'Inghilterra. La vendetta del Re Sole non si fa aspettare: lo stato sabaudo è devastato, la capitale Torino subisce un terribile assedio. Ma la "volpe sabauda" dimostra di aver visto giusto: non solo i francesi sono disfatti nella battaglia di Torino (7 settembre 1706), ma alla fine della guerra, con la pace di Utrecht, i Savoia entrano finalmente nel salotto buono della storia, accedendo al sospirato titolo reale. Adesso che Torino è la capitale di un regno (dal 1713 al 1714 di Sicilia, quindi di Sardegna) deve dotarsi di tutte le strutture che danno lustro a una monarchia degna di questo nome, comprese le istituzioni scientifiche. Immancabile tra queste un Orto botanico, dove studiare e coltivare le piante utili, ma anche collezionare le nuove specie esotiche, vanto dei Giardini reali di Parigi o di Londra. D'altra parte l'esplorazione e la conoscenza delle risorse del territorio per ogni stato nazionale è sempre più importante dal punto di vista economico, demografico e strategico. Così nel 1729 nasce l'Orto botanico di Torino, diretto dapprima dal medico Bartolomeo Caccia (morto nel 1747) quindi da Vitaliano Donati (1717-1762), eclettico scienziato, viaggiatore ed esploratore che fu anche all'origine del Museo Egizio. Il terzo direttore sarà Carlo Allioni (1728-1804), che lo gestì per un quarantennio e lo inserì nel circuito dei maggiori orti botanici europei, trasformandolo in una reputata istituzione di ricerca e incrementando enormemente le raccolte (sotto la sua gestione le specie coltivate salgono da 317 a 4500). Una visita all'eccellente sito dell'Orto botanico di Torino offre un panorama delle collezioni coltivate nei suoi spazi (giardino, boschetto, alpineto e tre serre) e molte informazioni di approfondimento sulla storia e le attività dell'istituzione piemontese. Caro Carlo, ti scrivo.... Quando diventa direttore dell'orto botanico, Allioni ha già al suo attivo un'opera importante, Rariorum Pedemontium Stirpium. Specimen primum, del 1755, in cui le specie, ancora indicate con il nome polinomiale, sono accompagnate da dodici splendide tavole disegnate da Francesco Peyrolery. Il libro è anche all'origine della corrispondenza e si può dire dell'amicizia con Linneo. Infatti, dopo qualche esitazione, Allioni, incoraggiato dal danese Peter Ascanius in visita a Torino, ne invia un esemplare all'illustre collega, che gli risponde con una lettera colma da gentilezza ed apprezzamento scientifico. Per un ventennio le lettere dei due Carli viaggeranno da Torino a Uppsala e da Uppsala a Torino, accompagnando libri, pacchetti di semi, fogli di erbario, campioni di minerali e esemplari essiccati. Il Carlo svedese apprezza la flora alpina, il Carlo piemontese le piante esotiche che potranno arricchire le aiuole dell'Orto botanico. I due discutono dell'identificazione delle piante, ma si scambiano osservazioni anche sui minerali e gli animali, essendo entrambi naturalisti dai vasti interessi. Linneo non lesina le lodi al più giovane amico: a proposito di Auctarium Horti Tauriniensis (lettera dell'8 novembre 1774) giunge a dire che le descrizioni della flora italiana di Allioni superano ciò che è stato scritto prima di lui quanto nella notte la luce della luna supera quella delle piccole stelle. A sua volta, Allioni farà proprie le tesi di Linneo, adottando tra i primi la nomenclatura binomiale, tanto da essere soprannominato il Linneo piemontese. I curiosi possono ora leggere questa corrispondenza nel sito The linnean Corrispondence nell'originale latino, accompagnato da una sintesi in inglese. E ovviamente non poteva mancare la dedica di un nuovo genere: Linneo provvide nel 1759, nella decima edizione del Systema naturae, intitolando all'amico Allionia, una deliziosa Nyctaginacea del Nord America. Il capolavoro di Allioni è Flora Pedemontana, sive enumeratio methodica stirpium indigenarum Pedemontii, frutto di 25 anni di lavoro, pubblicata nel 1785 (due volumi di testo e un volume di tavole), in cui vengono descritte 2813 piante delle Alpi occidentali. Questo trattato - notevole anche per la cura editoriale - è considerato uno delle opere botaniche più significative dell'Illuminismo. Altre notizie su Carlo Allioni nella biografia. Allionia, allionii Allionia è un'annuale o perenne di breve vita dal portamento strisciante, originaria del Sud degli Stati Uniti (dalla California al Texas dal Nevada all'Oklaoma), dai graziosi fiori rosa vivo. Non sappiamo perché Linneo abbia scelto proprio questa pianta per onorare l'amico piemontese, ma possiamo proporre qualche ipotesi. Intanto ha proprietà medicinali, e Allioni era un medico insigne. Inoltre ha un fiore davvero particolare: in realtà si tratta di tre fiori separati che sembrano formarne uno solo. Un'allusione alla poliedrica attività del naturalista subalpino, botanico, zoologo, geologo? Infine il piemontese è descritto dai contemporanei come un uomo di grande modestia, che univa all'immensa scienza la semplicità di cuore: la bella ma modesta Allionia non potrebbe essere il suo ritratto vegetale? Nella scheda qualche approfondimento sul genere Allionia e sulle sue due specie. Nato e morto a Torino, Allioni non può essere considerato un botanico sedentario. Mentre i suoi contemporanei esploravano le Americhe, l'Asia, l'Africa, le isole del Pacifico e l'Australia, percorreva instancabilmente il piccolo stato sabaudo, esplorandone palmo a palmo le montagne. Così raccolse un erbario composto da 11.000 esemplari e descrisse circa 400 nuove specie. Forse memore della morte del suo predecessore Vitaliano Donati - perito in mare mentre si dirigeva a Goa - non attraversò il mare neppure per esplorare la flora sarda, delegando la raccolta al collaboratore Michele Plazza. Diverse tra le nuove specie descritte da Allioni lo ricordano nel nome specifico: Arabis allionii, Veronica allionii, Campanula allionii, Sempervivum globiferum subsp. allionii (già Jovibarba allionii), ecc. Tra di esse una perla per rarità e bellezza, la Primula allionii, un endemismo delle Alpi Marittime. Per goderne la bellezza, si può dare un'occhiata alla gallery dedicata alla specie e alle sue cultivar orticole sul sito dell'American Primrose Society. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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