Il medico alsaziano Gustav Mülhenbeck per quasi trent'anni esplorò la flora della sua regione, condivise generosamente le sue raccolte, si fece un nome come esperto di crittogame. Tuttavia non scrisse mai nulla di botanica, e la morte gli impedì di scrivere l'opera sui funghi che progettava. Il suo vero lascito è un enorme erbario, perfettamente montato e accuratamente classificato secondo gli standard dell'epoca, oggi parte dell'erbario dell'Università di Strasburgo. A ricordarlo provvede anche il variabile genere Muehlenbeckia, di cui almeno una specie (o forse due) è coltivata anche nei nostri giardini. ![]() Un raccoglitore generoso, modesto e instancabile Con oltre mezzo milione di esemplari, l'erbario dell'Università di Strasburgo è uno dei più grandi d'oltralpe. Oltre alla collezione generale ed erbari specifici per la flora alsaziana e le crittogame, conserva separatamente anche una serie di erbari storici. Tra i più importanti l'erbario H. G. Mülhenbeck, risalente alla prima metà dell'Ottocento e qui depositato dalla Société Industrielle de Mulhouse. A crearlo fu l'alsaziano Henri Gustave Mulhenbeck (in tedesco Heinrich Gustav Mülhenbeck, 1798-1845), medico di professione e botanico e micologo per passione. Nato a Sainte-Marie-aux-Mines, una cittadina mineraria a ridosso dei Vosgi e rimasto presto orfano, Mülhenbeck studia medicina e chirurgia a Strasburgo e Parigi, dove si laurea nel 1822. La scoperta della botanica avviene negli anni universitari a Strasburgo, quando è allievo di Christian Gottfried Nestler, che gli trasmette la passione per le erborizzazioni, le crittogame e gli erbari. Da diversi anni, Nesteler affianca Jean-Baptiste Mougeot nella creazione di una grande collezione di exsiccata di crittogame (Stirpes cryptogamae vogeso-rhenanae) i cui fascicoli di cento esemplari o centuriae sono via via pubblicati anche in una versione a stampa a partire dal 1810. Il giovane allievo viene coinvolto nelle ricerche e stringe amicizia con Mougeot che sarà per lui un punto di riferimento e un modello di vita: proprio come più tardi Mülhenbeck, egli si divideva infatti tra la medicina e le scienze naturali, e per più di sessant'anni percorse instancabilmente i Vosgi alla ricerca di fossili e piante. Simile è anche la vita di Mülhenbeck, quando, fresco di laurea, si stabilisce come medico generico a Guebwiller, una cittadina ai piedi del Ballon d'Alsace all'imbocco della Valle del Florival. Nell'agosto 1823 così scrive proprio a Mougeot: "Percorrendo la valle per visitare i malati, si trova la strada meno lunga grazie alla diversità dei prodotti di Flora"; e una volta a casa, nel proprio gabinetto medico "non si può trovare società migliore dell'erbario, che è dunque il mio migliore amico e diventa di giorno in giorno più caro: si tra tranquilli con lui!". Nel tempo libero, le passeggiate si allungano per esplorare la flora delle colline calcaree dei dintorni, dove scopre diverse piante segnalate per la prima volta nella regione. Non che il giovane dottore sia un asociale. Nel 1828 viene iniziato alla loggia massonica La Parfaite armonie di Mulhouse, dove incontra un medico dalle idee progressiste, Pierre Paul Jaenger, che più tardi aderirà alle idee socialiste di Fourier. La loggia è soprattutto l'espressione della borghesia imprenditoriale della città, un importante centro tessile, i cui membri, quasi tutti protestanti calvinisti di idee liberali, negli anni napoleonici avevano avuto un ruolo di primo piano nella vita politica locale e ora, negli anni della restaurazione, promuovono iniziative economiche, educative, assistenziali. Nel 1825 viene fondata la Societé industrielle de Mulhouse (SIM); tra i 22 soci fondatori, 12 sono membri della loggia. L'obiettivo principale della SIM è "fare passere l’industria dallo stato empirico al rango di una vera scienza"; per perseguirlo, nel 1829 la società si doterà di un Comitato di scienze naturali (Comité des sciences de la Nature), che con gli anni diventerà una vera e propria società scientifica, con tre sezioni dedicate alla botanica, all'ornitologia e alla paleontologia. Mülhenbeck ne diventa il segretario e nel 1831 è tra i membri fondatori della Société médicale du Haut-Rhin. Ormai molto riconosciuto nella sua professione, nel 1833 egli si traferisce a Mulhouse, dove vive ed esercita fino alla morte. Si interessa di storia locale e nei primi anni '30 pubblica diversi articoli sulla Revue d'Alsace. Anche se la botanica non è mai dimenticata, per qualche anno passa un po' in secondo piano. Ritorna prepotentemente al centro della sua vita grazie all'amicizia con Wilhelm Philippe Schimper, che nel 1836 pubblica insieme a Philipp Bruch il primo dei sei volumi di Bryologia europea; i due lo coinvolgono nelle loro ricerche; Mülhenbeck erborizza con loro, condivide le sue raccolte e nel 1839 li accompagna in una lunga escursione attraverso le Alpi; nel 1844, sarà di nuovo con loro nei Grigioni. Con Schimper, Bruch e Mougeot, ormai anziano ma sempre attivo, scopre diverse specie di muschi precedentemente mai segnalate in Svizzera, appartenenti alla flora nordica, da considerare relitti della flora preglaciale. Esplora anche l'area di Basilea e comunica diversi ritrovamenti a Carl Meissner e Karl Friedrich Hagenbach, che lo cita ripetutamente nel secondo volume di Tentamen florae basileensis. Come Schimper, oltre che ai muschi, si interessa ai fossili e alla paleontologia, ma non scrive nulla né di questi argomenti né di botanica, accontentandosi di condividere generosamente le sue raccolte con amici e corrispondenti. Progetta invece di scrivere un libro sui funghi e inizia addirittura a farne disegnare e dipingere un gran numero; ma il progetto non si concretizzerà, perché muore prima dei cinquant'anni, nel 1847. ![]() Un genere variabile... con qualche confusione Della sorte delle illustrazioni di funghi, che dopo la sua morte secondo Kirschleger furono acquistate dal banchiere Édouard Vaucher, non sappiamo nulla. Rimane invece come maggiore lascito proprio "l'amico erbario". Mülhenbeck non aveva mai cessato di arricchirlo fin da quando, studente universitario, partecipava alle prime escursioni con Nestler e Mougeot; alla sua morte, contava ben 20.000 esemplari, accuratamente montati e classificati secondo il sistema che andava alla maggiore ai suoi tempi, quello di de Candolle. Le sue raccolte personali erano considerevoli, molto l'ottenne con scambi con altri botanici, ma soprattutto non lesinò spese per acquistare esemplari messi in vendita da altri raccoglitori. Così quell'erbario, che nel 1857 Kirschleger, autore di Flore d'Alsace, definì "magnifico", oltre a specie della flora dell'Alsazia e della Svizzera o più un generale europea, comprende anche exsiccata di piante esotiche: tra le altre, piante raccolte in Algeria da Bové; in Medio Oriente da Boissier, Kotschy e Pinard ; nel Caucaso da Hohenacker; in varie parti dell'Asia da Helfer; in Indonesia da Kollman; in Sudafrica da Ecklon, Zehyer e Drège; in Australia da Preiss; nelle Americhe da Hartweg, Hostmann, Blanchet e von Martius. In tal modo costituisce un'importante testimonianza dell'attività di alcuni dei principali raccoglitori della prima metà dell'Ottocento. Alla morte di Mülhenbeck , l'erbario fu messo in vendita dagli eredi; con un notevole sforzo finanziario e ricorrendo a una sottoscrizione, riuscì ad aggiudicarselo per 10.000 franchi la Societé industrielle de Mulhouse; ospitato in un'intera stanza della sede dell'istituzione, il prezioso lascito riuscì a superare indenne le vicissitudini e i bombardamenti di due conflitti mondiali, finché, non avendo né le risorse finanziarie né le strutture per assicurarne l'adeguata conservazione, la società decise di depositarlo presso l'Università di Strasburgo. Nel 2007 ne è iniziata la digitalizzazione, compito non facile vista l'ingentissima mole. Come tappa preliminare, si è provveduto all'inventario delle famiglie e dei generi rappresentati, inizialmente sotto la nomenclatura usata dallo stesso Mühlenbeck. Si passerà poi all'allineamento con la nomenclatura attuale, anche allo scopo di scegliere le famiglie o i generi da digitalizzare in modo prioritario. A ricordare il medico alsaziano, oltre al gigantesco erbario, ha provveduto da tempo la dedica di alcune piante, come il muschio Bryum muehlenbeckii, e il genere Muehlenbeckia. A dedicarglielo nel 1841, dunque quando Mühlenbeck era ancora in vita, fu uno dei suoi corrispondenti, lo svizzero Carl Meissner, professore di botanica dell'Università di Basilea, che così scrive: "Ho dedicato questo genere al chiarissimo amico Gustav Mühlenbeck, dottore in medicina, medico a Mulhouse, esploratore e osservatore instancabile della flora alsaziana, specie di quella crittogamica, autore di un'opera micologica che sarà presto pubblicata". Meissner scrisse tra l'altro una monografia sulle Polygonaceae e pubblicò molte piante australiane. E infatti creò il genere a partire da due specie del continente australe, M. australis, originaria della Nuova Zelanda, e M. adpressa, originaria dell'Australia meridionale. Oggi al genere sono assegnate circa 25 specie distribuite tra la Papuasia e l'Australasia e dall'nord America subtropicale al Sud America. La sua caratteristica saliente è la variabilità: raccoglie infatti erbacee perenni, arbusti eretti più o meno legnosi, liane tanto rampicanti quanto tappezzanti. Tutte hanno radici rizomatose, ma differiscono in tutto il resto: nella forma delle foglie, dotate o meno di picciolo, sempreverdi o decidue; nelle dimensioni dei fiori, verdastri e insignificanti in alcune specie, relativamente vistosi in altre; alcune specie sono dioche, altre ginodioche, altre monoiche. Nei nostro giardini la più coltivata è M. complexa, anche se non di rado è commercializzata sotto il nome arbitrario di M. axillaris. Le due specie, in effetti, entrambe originarie della Nuova Zelanda (M. complexa è presente anche in Tasmania e nell'Australia meridionale), si assomigliano, anche se non al punto di confondersi. M. axillaris è una tappezzante bassa che forma densi tappeti anche di un metro di diametro, espandendosi sia tramite rizomi sia radicando ai nodi. In estate produce masse di minuscoli fiori bianco crema, portati in gruppi fino a tre all'ascella fogliare. M. complexa ha fusti volubili molto più sottili, che possono ricedere o arrampicarsi sulle rocce o sulla vegetazione circostante e forma molti rami che tendono a intrecciarsi strettamente. Porta foglie picciolate sempreverdi (possono però cadere negli inverni più rigidi), lucide, più o meno arrotondate, ma variabili nella forma e nelle dimensioni anche sulla stessa pianta. I piccoli fiori a stella, raccolti in spighe lunghe circa 2 cm che emergono all'ascella dei rami, sono profumati e seguiti da bacche traslucide. Ottima come ricadente da muretti, è adatta anche alla coltivazione in vaso. Forse perché limitatamente rustiche, le Muehlenbeckia da noi non hanno finora manifestato le potenzialità invasive delle sorelle Fallopia e Reynoutria. Ma non è ovunque così: in California M. complexa è diventata così problematica da essere sottoposta a programmi di eradicazione. Per un approfondimento sulle specie neozelandesi, in tutto cinque, due delle quali endemiche, nonché su qualche altra specie interessante o curiosa, si rinvia alla scheda.
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In questa storia si incontrano due misteri a prima vista senza connessioni. Il primo: chi era lo sfuggente "signore di Reynoutre" cui il botanico olandese Maarten Houttuyn dedicò il genere Reynoutria? Il secondo: chi ha creato o commissionato i bellissimi Libri picturati A16-30, uno dei massimi capolavori dell'illustrazione botanica del Rinascimento? E ancora: c'entra qualcosa Carolus Clusius? E come sono finiti alla Staatsbibliothek di Berlino? Le risposte convergono verso un luogo, un'epoca e una persona: le Fiandre meridionali della seconda metà del Cinquecento e il nobile Charles de Saint Omer, il primo mecenate di Clusius. ![]() Sulle tracce dei Libri picturati: Berlino, anni 30 Prima storia e primo mistero. Nel 1777 ad Amsterdam il botanico olandese Maarten Houttuyn pubblica il settimo tomo del secondo volume della sua Natuurlyke historie. Nel capitolo dedicato all'annuale acquatica Callitriche verna (oggi si chiama Callitriche palustris subsp. palustris) riassume quanto ne hanno scritto i botanici preceedenti e, a proposito di Mathias de Lobel, scrive: "E' stata descritta e raffigurata sotto il nome Stellaria da Lobel, il quale dice che il signore di Reynoutre, un grande amante delle piante a lui noto, non badò a spese per fare raffigurare dopo la vita piante tanto straniere quanto autoctone, tra cui questa specie". Nell'ottavo tomo, pubblicato lo stesso anno, si ricordò del signore di Reynoutre per dedicargli il nuovo genere Reynoutria con queste parole: "Per un certo signore di Reynoutre, che, secondo la testimonianza di Lobel, ha dato grandi servizi alla scienza delle erbe, come ho già segnalato". Houttuyn non ne sa di più; e continuano a non sapere altro molti siti, in cui si legge "in onore del Barone van Reynoutre (sec. XVI), grande amante delle piante" oppure "in onore del Barone van Reynoutre (sec. XVI) che, secondo Lobelius, era un appassionato estimatore delle piante". Genaust ne sa anche meno: "Nome di Houttuyn per una Polygonacea dell'Asia orientale; etimo non chiaro". Seconda storia anche più misteriosa, nonché intricata. Nel 1941, in seguito a pesanti bombardamenti, viene deciso di evacuare i più preziosi manoscritti della Biblioteca nazionale di Berlino, tra cui l'inestimabile raccolta nota come Libri picturati: ben 144 volumi di migliaia di illustrazioni di piante, animali, persone, provenienti dalle collezioni personali del re di Prussia. La raccolta viene smembrata in lotti che vengono trasportati in diversi luoghi ritenuti sicuri. Uno viene inizialmente ricoverato nel castello di Fürstenstein in Slesia, quindi nel 1943 nuovamente trasferito nel monastero benedettino di Grüssau (oggi Krzeszów). Poi per anni e anni non se ne sa più nulla. Solo nel 1977 lo zoologo Peter Whitehead ritrova i manoscritti nella Biblioteka Jagiellońska di Cracovia, dove erano stati portati nel 1947 senza che la notizia fosse trapelata in Occidente, e dove si trovano tuttora. I Libri picturati della Jagellonska possono essere divisi in due nuclei principali, di data e provenienza diversa; i volumi A32-A38 contengono materiali iconografici relativi all'esplorazione del Brasile olandese promossa da Giovanni Maurizio di Nassau Siegen, che ne fu governatore dal 1636 al 1644; quando tornò in Europa, il principe, in cambio di titoli e proprietà, ne fece dono all'elettore Federico Guglielmo di Prussia che incaricò di selezionarli e riunirli in volume il suo medico personale Christian Mentzel; questi, nel volume A 38, noto come Miscellanea Cleyeri, incluse anche rappresentazioni etnografiche e acquarelli di piante asiatiche che gli erano state inviate dal suo corrispondente Andreas Cleyer. Il mistero riguarda le origini e la vicenda degli altri volumi del lotto, i Libri picturati A16-31. Al contrario di quelli "brasiliani", non hanno né titolo né frontespizio, né ci sono ex-libris o altre note di possesso. I 15 volumi in folio contengono oltre 1400 acquarelli di piante e animali; lo stile dei disegni e dettagli delle annotazioni rimandano alle Fiandre della seconda metà del Cinquecento; la rilegatura però risale a circa il 1660 o anche dopo, ed alcune immagini furono presumibilmente inserite in un secondo tempo. Chi abbia dipinto gli acquarelli, chi abbia ordinato o messo insieme la raccolta, quale mano abbia scritto le note che accompagnano molte immagini, per quali vie il manoscritto sia giunto a Berlino, è ancora oggetto di dibattito, anche se, come vedremo, orami sono noti glie elementi essenziali. La qualità delle immagini è eccezionale e si tratta senza dubbio di una delle più importanti collezioni di acquarelli naturalistici del Rinascimento; eppure hanno attirato l'attenzione degli studiosi solo dopo il loro "miracoloso ritrovamento" (la definizione è di Whitehead). Unica eccezione il bibliotecario tedesco Hans Wegener che negli anni '30 lavorava nel dipartimento dei manoscritti della Biblioteca statale di Berlino; studiando attentamente le immagini, notò che diverse avevano una stretta affinità con le xilografie di opere di Carolus Clusius stampate da Plantin tra il 1574 e il 1576; trovò corrispondenze anche con xilografie della prima edizione del Kruydtboeck di Lobel (1581) e con la prima parte di Rariorum plantarum historia di Clusius (1601). Osservò poi che nelle annotazioni erano citate regioni come la Provenza e città come Salamanca, Montpellier e Marsiglia, tutte località visitate da Clusius; c'erano parecchi riferimenti a località fiamminghe, e in particolare a Moerkerke, dove Clusius trascorse un lungo periodo nel castello di Charles de Saint Omer. Comparivano anche i nomi dei fratelli Laurin, di Jacobus van den Eede di Bruges e del farmacista di Anversa Peeter van Coudenberghe, tutti noti amici di Clusius. Sulla base di tutti questi elementi, Wegener giunse a una conclusione che gli sembrava tanto chiara quanto inappuntabile: a predisporre quella raccolta non poteva essere stato che il grande botanico fiammingo, e in un suo articolo del 1936 fin dal titolo non esitò a definire il manoscritto Das grosse Bilderwerk des Carolus Clusius, ovvero "La grande opera pittorica di Carolus Clusius". Inoltre, nel catalogo della biblioteca dell'elettore compilato nel 1668, individuò la menzione di "XVI tomi tam Animalium quam Plantarum ex Bibliotheca Cancellarii Weinmanni" (16 tomi sia di animali sia di piante, provenienti dalla biblioteca del cancelliere Weinmann). Si trattava senza dubbio dei Libri picturati A16-31, giunti a Berlino o come dono del cancelliere di Kleve Daniel Weinmann o come acquisto di Federico Guglielmo. Molto rimaneva da scoprire, ma ostacoli burocratici prima, lo scoppio della Seconda guerra mondiale poi gli impedirono di continuare le ricerche. ![]() Clutius versus Clusius? No, Saint Omer! Il ritrovamento dei manoscritti riaccese l'interesse degli studiosi. Nel 1989, Whitehead, van Vliet e Stearn pubblicarono un'accurata descrizione dell'intero lotto, in cui distinsero segmenti risalenti a periodi compresi tra il XVI e addirittura il XIX secolo. Per quanto riguarda i Libri picturati A16-30 (A31 non fa parte della serie, perché fu prodotto nel XVII secolo ed è per lo più costituito da copie di disegni di piante dei volumi A18-A30), suggerirono che i contenuti dei volumi fossero stati riordinati e fatti rilegare da un altro medico di Federico Guglielmo, Johann Elsholz. Il volume A16 contiene immagini di pesci e mammiferi, A 17 di uccelli, A18-30 circa 1500 acquarelli di piante, relativi a 1860 taxa (alcuni fogli raffigurano infatti più di una specie). In genere accettavano la conclusione di Wegener che Clusius avesse avuto un ruolo chiave nella creazione della raccolta, ma pensavano anche che non tutti i disegni fossero stati commissionati o ispirati da lui. A puntare in tutt'altra direzione pensò la storica statunitense Claudia Swan che in un saggio del 1995 sostenne che la raccolta non andava attribuita a Clusius, ma a Clutius, ovvero non a Charles de l'Ecluse, ma al suo amico Dirck Outgaertsz. Cluyt, primo hortulanus dell'orto botanico di Leida. L'ipotesi di Swan non ha trovato seguito, ma ebbe il merito di riaccendere il dibattito. In un saggio pubblicato l'anno successivo, la storica dell'arte belga Helena Wille respinse in poche righe la tesi di Swan, per suggerire una propria ipotesi diversa da quella del "libro di Clusius". Le evidenze raccolte da Wegener dimostravano senza dubbio che c'era un legame tra Clusius e la raccolta, "ma ciò che non significava che egli fosse colui che l'aveva commissionata". Sappiamo che Clusius possedeva una biblioteca, una piccola raccolta di curiosità, un erbario, ma non una collezione di acquarelli; inoltre, sempre squattrinato com'era, non avrebbe certo potuto permettersela. Non avendo né un giardino proprio, né adeguate risorse finanziare, la soluzione ideale per studiare piante esotiche e averne le illustrazioni per i suoi libri era ricorrere a un mecenate appassionato di piante. Quando viveva in Austria, l'aveva trovato nel nobile Boldiszar de Batthyani, che l'aveva più volte invitato nel suo castello ungherese e aveva fatto dipingere piante per lui. Un mecenate c'era anche nelle Fiandre, e lo abbiamo già incontrato: Charles de Saint Omer, membro di una delle più illustri casate del paese, appassionato di piante, amico di Clusius, che aveva ospitato sia a Bruges sia nel suo castello di Moerkerke. Anzi, lo abbiamo già incontrato due volte, sotto nomi diversi. I Saint Omer erano originari dell'Artois, ma alcuni rami avevano signorie nelle Fiandre, e il nostro poteva indifferentemente chiamarsi in francese Charles de Saint Omer, in fiammingo Karel van Sint Omaars, ma anche, usando i titoli nobiliari com'era d'uso per un gentiluomo, Charles de Saint Omer, detto di Moerbeke, signore de Moerkercke, Dranoutre (ovvero Ranoutre o Reynoutre), o ancora Mijnheer de Reynoutre. Ovvero il personaggio citato da Lobel, che ci ha già informato che il nobiluomo non aveva lesinato spese per fare ritrarre le sue amate piante. Anzi è proprio sulla base di puntuali corrispondenze tra alcuni acquarelli dei Libri picturati e le corrispondenti immagini del Kruydtboeck di Lobel (1581), nel cui testo viene esplicitamente citato Mijnheer de Reynoutre, che Wille dimostra il ruolo di Charles de Saint Omer come committente della collezione. Inoltre, individua il probabile autore degli acquarelli, o almeno di buona parte di essi, nel valente pittore Jacques (o Jacob) Corenhuyse, membro della Gilda di San Luca di Bruges. Una lettera, inviata nel 1595 a Clusius da Carlo di Arenberg, un altro gentiluomo appassionato di piante, le permette infine di trovare un anello di collegamento tra Charles de Saint Omer, morto nel 1569, e il cancelliere Weinmann che quasi un secolo dopo fece giungere i volumi a Berlino. Arenberg informa il botanico di aver acquistato "le livre de feu Monsieur Ranoutre", (il libro del fu signor Ranoutre), che come abbiamo visto è uno dei tanti modi per designare il defunto Charles de Saint Omer. La lettera era stata già pubblicata qualche anno prima da un archivista, che però non aveva identificato il personaggio. Wille osserva che è comprensibile: il fatto stesso che fosse designato in modo diversi dimostra che "questo eminente amante delle piante era stato davvero dimenticato". Dalla lettera di Arenberg, la studiosa belga ricava un ultimo dettaglio importante: Clusius è stato direttamente coinvolto nella confezione dei Libri picturati, non come committente, ma come esperto: è sua la mano che ha scritto le annotazioni che accompagnano molti acquarelli. Queste dunque le sue conclusioni: "Abbiamo in realtà a che fare con il catalogo dipinto della collezione di oggetti naturali riuniti nello studio e nel giardino di Karel van Sint Omaars, successivamente riordinato e integrato da Karel van Arenberg, anch'egli grande amante delle piante, dipinto per la maggior parte da Jacques van Corenhuyse e annotato da Clusius". ![]() Mijnherr de Reynoutre svelato L'articolo di Wille ha costituito la base per gli studi successivi, che, seppur discostandosi dalle sue conclusioni in alcuni particolari, ne hanno sostanzialmente confermato l'impianto. Di particolare importanza i contributi di Luis Ramón-Laca, che nel 2011 sulla base dei marchi della carte ha dimostrato che la maggior parte degli acquerelli formavano già una raccolta nel XVI secolo; su 1400 fogli, più di 1100 utilizzano una carta prodotta a Fabriano a partire dal 1554. In 625 di questi fogli gli acquerelli sono accompagnati da annotazioni "di una mano professionale", mentre i restanti in genere non sono terminati e spesso corrispondono a xilografie delle opere di Clusius. Le due serie differiscono anche per lo stile: da una parte ci sono acquarelli molto realistici, dipinti dal vivo, quasi sempre annotati, dall'altra disegni molto più schematici, per lo più non terminati e tratti da esemplari d'erbario. Nel 2008 Florike Egmond, una specialista di Clusius di cui ha curato la pubblicazione dell'epistolario, ha fatto il punto sullo stato delle ricerche in un ampio articolo in cui, dopo aver demolito la tesi di Swan con un'ampia argomentazione, analizza in modo puntuale i luoghi e le persone citati nelle annotazioni, la corrispondenza tra le immagini e opere a stampa coeve, le informazioni in nostro possesso su Charles de Saint Omer, le sue collezioni e la sua relazione con Clusius e con i possibili artisti coinvolti, per concludere con un approfondimento sul contesto culturale in cui è nata l'opera, il circolo umanistico di Bruges. E così conclude: "La conclusione appare inevitabile: il nucleo centrale dei Libri picturati A16-30 [...] fu messo insieme e posseduto da Charles de Saint Omer con l'assistenza e la consulenza di Clusius negli anni '60 (probabilmente tra il 1562-63 e il 1568). Clusius stimolò o forse innescò l'interesse di Saint Omer per gli oggetti naturali ed è probabile che lo abbia incoraggiato a far pubblicare i suoi acquarelli botanici [...]. Un considerevole numero di acquarelli appartenenti a questo nucleo sono stati probabilmente dipinti da Corenhuyse e possibilmente da Van der Bosch. Le annotazioni della 'mano professionale' su un gruppo di 625 acquarelli botanici in tutta probabilità sono state fatte da Clusius. Nel corso del XVI secolo alla collezione sono state fatte aggiunte, certamente da Aremberg, possibilmente da Clusius stesso, e probabilmente da altri". Contrariamente a Wille, non ritiene però che i Libri picturati 16-30 siano un catalogo del giardino e della Wunderkammer del castello di Moerkerke, ma piuttosto "una specie di enciclopedia di casa, in cui potevano essere inclusi dipinti, copie di opuscoli su animali curiosi e piante esotiche inviate a Saint Omer, a Clusius o a uno dei loro amici". Nel 2008 l'editore Brill ha pubblicato lo spettacolare volume Drawn after Nature: The Complete Botanical Watercolours of the 16th-Century Libri Picturati, che contiene tutte le immagini botaniche dei Libri picturati 18-30, introdotte da un team internazionale cui si devono anche numerosi saggi che indagano la storia, il contesto e il valore artistico e scientifico di quello che ormai potremmo chiamare "il libro di botanica di Charles de Saint Omer". E' dunque ora di conoscere meglio questo appassionato di piante che ha rischiato di essere totalmente dimenticato. Charles de Saint Omer (1533-1569) alias Karel van Sint Omaars alias Mijnherr de Reynoutre, era il secondogenito di Josse (Joos) de Saint Omer, signore di Oudeneem, Merris e Dranouter, e di Anna van Praet, dama di Moerkerke. Tra i suoi antenati troviamo uomini d'arme e di potere, come il bisnonno Josse, consigliere e ciambellano ordinario prima di Carlo il Temerario poi dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo. Dopo aver forse frequentato l'università a Lovanio, intraprese il mestiere delle armi che però presto dovette abbandonare a causa della salute malferma. Molto ricco e colto, si ritirò a vivere nella tenuta e nel castello di Moerkerke non lontano da Bruges, che aveva ereditato dalla madre (morta nel 1559), dove si dedicò agli studi umanistici, forse alla poesia, e soprattutto alle scienze naturali. Possedeva anche una casa a Bruges, dove in genere trascorreva i mesi invernali, ma Moerkerke era la residenza principale della famiglia. Conosceva diverse lingue: il francese, la sua lingua madre, il fiammingo, il latino, e probabilmente aveva qualche nozione di greco, tedesco e italiano. Come ha sottolineato Florike Egmond, faceva parte del circolo umanistico di Bruges ed era strettamente legato ai fratelli Mathias e Guido Laurin (o Laurinus), che condividevano i suoi interessi naturalistici. Si sposò due volte, prima con Françoise de Blois, detta Trèslong, poi con Anne d'Oingnies, ma non ebbe figli. Della sua vita personale in realtà conosciamo pochissimo. Sappiamo invece qualcosa di più sulle sue collezioni e soprattutto sul suo giardino. Nel castello di Moerkerke c'erano una biblioteca, con opere in greco, latino, francese e italiano, e due gabinetti di curiosità, uno attiguo alla camera del signore, l'altro alla camera della moglie; il primo conteneva oggetti considerati più maschili, come una collezione di armi, il secondo le vere e proprie rarità, compresi "un cofanetto con dentro quattro libri di erbe dipinte", "l'inizio di un libro degli uccelli", "l'inizio di un libro sui pesci e altri animali", "una scatola di minerali". come leggiamo nell'inventario che fu redatto dopo la sua morte. In base al contratto matrimoniale, gli oggetti contenuti nel gabinetto di Anne rimasero di sua proprietà anche dopo la morte del marito. I futuri Libri picturati probabilmente furono venduti dopo la sua morte nel 1577, fino a finire nelle mani di Arenberg, ma non conosciamo i passaggi intermedi. Quanto al giardino, era considerato uno dei più raffinati della regione. E' ricordato anche da Lodovico Guicciardini che ebbe modo di visitarlo e nella sua Descrizione dei Paesi Bassi scrive: "Anche il signor Carlo di Sant'Omero nella signoria di Moerkerke, a un miglio e mezzo da Bruges, ha un giardino con innumerevoli varietà eccellenti e mille altre cose belle che faranno sì che questo luogo, ma anche il Signore, sia famoso e lodato per sempre". Forse esisteva già in precedenza, ma Charles lo rimodellò secondo il gusto del tempo, avvalendosi dei consigli (e delle piante) di Clusius. Si trovava all'esterno della corte superiore del castello, sui lati sud ed est, ed era diviso in due parti: il giardino di piacere e il giardino delle erbe; inoltre c'era un grande frutteto. Nel giardino delle erbe si coltivavano piante sia autoctone sia esotiche, alcune delle quali procurate da Clusius: "sedotto dall'amore per le piante dell'illustre signore di Dranoutere" dalla Spagna gli inviò semi attraverso il comune amico Guido Laurinus; nel 1566 gli donò semi di pepe brasiliano (Schinus terebinthifolia) di cui Saint Omer riuscì a coltivarne un esemplare che fiorì nell'autunno dello stesso anno; gli donò anche uno dei due germogli di Aloe americana che aveva prelevano in un giardino di Valencia e aveva portato con sé nelle Fiandre. E' probabile dunque che ci fosse qualche struttura per proteggere le esotiche dai rigori invernali. Dall'inventario dei beni risulta che nei gabinetti di Charles e Anne c'erano anche "un couffre pour y mectre les semences" (un cofanetto per riporre i semi) e 'ung grand ormaire pour garder sementes', un grande armadio per conservare i semi. Questi ultimi venivano raccolti e conservati per riseminarli nel giardino, ma anche per scambiarli con altri collezionisti, come sappiamo dalla corrispondenza di Clusius. Vengono menzionati anche i nomi dei due giardinieri che si occupavano l'uno del giardino, l'altro del frutteto, rispettivamente Paul de Witte e Zegher de Wever. Inoltre, a Moerkerke c'era anche un piccolo zoo, con animali da fattoria ma anche qualche rarità esotica o curiosa. Secondo la testimonianza di Lobel, Charles de Saint Omer coltivava piante esotiche anche nel giardino della sua casa di Bruges: nel suo Kruydtboeck infatti egli scrive che intorno al 1567 vi cresceva il grano dei turchi, cioè il mais, quasi introvabile nei Paesi Bassi. Per concludere, due parole su Charles de Saint Omer come mecenate di Clusius. Il botanico dovette incontrarlo prima di partire per la Spagna, come si evince dal già citato invio di semi. Al suo ritorno in patria, venne ospitato da Saint Omer dal settembre 1565 al novembre 1567. Egli poté così dedicarsi alla stesura della sua prima opera, la traduzione dei Coloquios dos simples di Garcia da Orta (Aromatum et simplicium aliquot medicamentorum apud Indos nascentium historia, 1567). Ma per il suo lavoro di "consulente botanico" riceveva, oltre a vitto e alloggio, anche un salario di 200 lire. Principale frutto dei due anni di coabitazione e collaborazione con Saint Omer, come già sappiamo furono i Libri picturati, che però non vennero né completati né stampati, sia per la morte precoce del nobiluomo, a soli 36 anni, sia per la situazione politica delle Fiandre spagnole, in rivolta dal 1566. Secondo Jacques de Groote, che nel suo sito ha raccolto una grande massa di informazioni su Charles de Saint Omer, egli si ricordò del suo protetto lasciandogli in eredità i suoi libri greci e latini, anche se probabilmente Clusius non riuscì mai a recuperarli (secondo altri, si trattava di libri suoi che aveva lasciato a Moerkerke). Quanto al botanico, nella sua prima opera così ricorda il suo primo protettore: "Un uomo non solo espertissimo in materia di piante e che fece dipingere le piante stesse, gli uccelli e i quadrupedi con eccezionale abilità in colori vivaci, ma anche molto interessato alla natura di ogni sorta di cose meravigliose". ![]() Reynoutria, un pericolo venuto da Oriente Ed eccoci ritornati a Reynoutria, il genere dedicato da Houttuyn al signore di Reynoutre, ovvero a Charles de Saint Omer, separandolo da Polygonum. Una scelta presto messa in discussione: nel 1848 la sua Reynoutria japonica fu riclassificata come Polygonum sieboldii, per poi essere inserita nel genere Fallopia. Le ricerche filogenetiche basate sul DNA ne hanno invece confermato l'indipedenza, anche se vari autori continuano a considerarlo una sezione del genere Fallopia. Ne è derivata una certa confusione terminologica, con la stessa pianta denominata da autori diversi Polygonum, Fallopia o Reynotria. Inteso come genere indipendente, Reynoutria comprende cinque specie accettate, tutte originarie dell'Asia orientale, più un ibrido naturale, R. x bohemica, originato dall'incrocio tra R. japonica e R. sachalinensis. La specie più nota (o famigerata) è R. japonica, originaria di Giappone, Cina e Corea; portata in Europa dal Giappone da von Siebold, incominciò ad essere commercializzata negli anni '40 dell'Ottocento. Entro il 1850, Siebold ne donò un esemplare ai Kew Gardens; il dono fu molto apprezzato e determinò il successo della pianta, che piaceva ai giardinieri perché i suoi fusti assomigliavano ai bambù e "facevano oriente", senza contare che era facile da coltivare e cresceva dappertutto. Verso la fine del secolo si era naturalizzato in varie parti d'Europa, ma dato che nel nostro continente (e in America) non si riproduce per seme, non causava problemi. Le cose sono cambiate nel Novecento, quando la creazione di infrastrutture, i movimenti di terra e le inondazioni ne hanno scatenato le potenzialità invasive. Basta infatti un frammento di rizoma perché attecchisca e incominci a formare una colonia, che diventerà così fitta da escludere ogni altra pianta, inclusa l'erba. Oggi è inserita nella lista delle piante aliene invasive più aggressive e difficili da controllare. E' tuttavia molto bella; chi l'apprezza, può ripiegare sulla cultivar 'Variegata', con foglie cuoriformi spruzzate di giallo, di crescita rapida, ma non considerata invasiva. Lo sono invece anche le altre due specie ampiamente introdotte in Europa. R. sachalinensis, una specie simile alla precedente ma di dimensioni molto maggiori, fu originariamente introdotta (1864) dall'orto botanico di San Pietroburgo per poi diffondersi soprattutto verso la fine dell'Ottocento, quando una prolungata siccità ne favorì l'impiego come foraggio. Introdotta in Italia nel 1897 come ornamentale a Roma, oggi è presente in quasi tutte le regioni settentrionali, in Toscana e in Lazio. Presenta gli stessi problemi di R. japonica e si espande soprattutto lungo i corsi d'acqua, per il trasporto da parte della corrente dei rizomi delle piante che crescono lungo gli argini. L'ibrido tra le due specie R. x bohemica era già coltivata nei giardini inglesi nel 1872, ma è stata individuata e descritta per la prima volta solo nel 1983, per la Repubblica ceca (da cui l'eponimo); è infatti difficile da distinguere dai genitori, con cui è stata a lungo confusa. E' dunque problematico determinare con precisione la data della sua introduzione. Oggi in Italia anch'essa è classificata come aliena invasiva in quasi tutte le regioni dell'Italia settentrionale e in Toscana. Ha probabilmente potenzialità invasive anche R. multiflora (nota anche con il sinonimo Pleuropterus multiflorus), che, a differenza delle altre specie, tutte erbacee perenni decidue, è una rampicante; diffusa dalla Cina all'Indocina, è una specie officinale, uno dei tonici più importanti della medicina traduzionale cinese. Da queste specie aggressive sembra distinguersi R. compacta, una specie di piccole dimensioni con fiori femminili rossastri e fiori maschili biancastri, talvolta coltivata come ornamentale. L'ultima specie, R. cilinervis, originaria della Cina e della Corea, sembra non sia mai stata introdotta nei giardini occidentali. E, viste le sue parentele, verrebbe da aggiungere: per fortuna! Il nome di Gabriele Falloppio probabilmente è noto anche a chi non ha particolari conoscenze né di anatomia umana, né di storia della medicina, per aver prestato il suo nome alle trombe uterine o tube di Falloppio. Egli fu infatti un grande anatomista, il primo ad aver descritto con precisione l'apparato sessuale femminile, tanto che si devono proprio a lui anche termini come placenta e vagina. Ma le sue scoperte riguardano anche molte altre parti del corpo umano, e in particolare la testa e i suoi organi. Professore prima a Ferrara, poi a Pisa, infine per un decennio a Padova, fu anche un medico ricercato da pazienti altolocati. Era un grande sperimentatore e, anche se i suoi contributi che hanno fatto la storia riguardano soprattutto l'anatomia, era un buon conoscitore dei "semplici" e aveva una notevole fama come farmacologo, tanto che dopo la sua morte precoce uno stampatore veneziano pubblicò sotto il suo nome un ricettario con 400 "segreti", sicuro che avrebbe attirato l'interesse di un vasto pubblico. Che l'opera sia davvero di Falloppio è discusso, ma è certamente un documento interessante e curioso. Non è invece certo, ma assai probabile che Adanson pensasse a lui creando il genere Fallopia, che tra le sue dodici specie annovera due piante native della nostra flora e una notissima rampicante ornamentale, forse fin troppo esuberante. ![]() La breve vita di grande anatomista Il 9 ottobre 1562 moriva a Padova, a soli 39 anni, uno dei più illustri professori dello studio, l'anatomista Gabriele Falloppio (1523-1562). A stroncarlo fu una malattia polmonare, la tisi secondo alcuni, una pleuropolmonite secondo altri. Nato a Modena da un uomo d'arme di pessima fama morto di sifilide che lo lasciò orfano quando aveva solo dieci anni, dal padre ereditò solo una salute malferma e una situazione economica precaria che lo costrinse ad abbandonare gli studi. La famiglia lo spinse ad abbracciare lo stato ecclesiastico, contando che ereditasse il beneficio di uno zio canonico; così a 19 anni fu ordinato sacerdote, ma presto abbandonò una carriera che gli garantiva qualche entrata ma per la quale non aveva alcuna vocazione. Fin da bimbo l'aveva infatti trovata nella medicina: si racconta che a soli sei anni già annotasse mentalmente i decorsi di un'epidemia di peste. Incominciò a studiare anatomia, farmacologia, botanica da autodidatta, quindi la sua formazione proseguì nell'ambito del Collegio medico di Modena, dove divenne allievo di Niccolò Machella. Avido lettore e proprietario di una biblioteca notevole per l'epoca, Machella era un medico erudito e dalle posizioni eterodosse, uno dei principali animatori dell'accademia informale che si riuniva presso la bottega dello speziale Antonio Grillenzoni, cui partecipavano anche umanisti come il celebre filologo Ludovico Castelvetro. Gli accademici dibattevano con grande libertà e spirito critico di letteratura e scienza, ma anche - più pericolosamente - di religione, tanto che nel 1543 furono costretti a sottoscrivere un formulario di accettazione dei dogmi della chiesa cattolica. Tra il firmatari il ventenne Falloppio, accusato di essere "un pessimo eretico luterano". Falloppio si perfezionò nella dissezione di animali e raggiunse una tale abilità nel 1544 il suo maestro gli affidò la pubblica dissezione anatomica del cadavere di una giovane donna impiccata come criminale. Ottenne anche la licenza di praticare la chirurgia, ma intorno al 1545 il miglioramento della situazione economica della famiglia gli permise di trasferirsi a Ferrara per studiare anatomia e medicina con Gianbattista Canano e Antonio Musa Brasavola. Forse seguì come uditore anche le lezioni di Gianbattista da Monte e Matteo Realdo Colombo a Padova, ma non ne abbiamo la certezza. E' probabile che già affiancasse i suoi maestri come dimostratore di anatomia e per l'anno 1547-48, sebbene non avesse ancora conseguito la laurea, fu incaricato di insegnare "la scienza delle erbe, delle piante e delle altre cose che nascono dalla terra", ovvero di commentare Dioscoride. L'anno successivo fu chiamato ad insegnare medicina all'Università di Pisa, incarico che mantenne fino al 1551. Il duca Cosimo I gli permise di sperimentare veleni e oppiacei sui condannati, fino a provocarne la morte, per poi anatomizzarli, cosa che gli procurò pressi i posteri l'accusa di aver praticato la vivisezione. Meno discutibili le sue ricerche sulla causa e le possibili cure della sifilide, di cui fu tra i primi a comprendere correttamente l'origine contagiosa. Nel fecondo ambiente del recente ateneo pisano, Falloppio allargò i suoi interessi alle scienze naturali e strinse amicizia con Luca Ghini, il fondatore del primo orto botanico, e il suo allievo Bartolomeo Maranta. Ci è noto che erborizzò nelle campagne pisane, alla ricerca delle piante degli antichi. Fu così che riconobbe nella salsapariglia la Smilax di Dioscoride e prese a utilizzarla anche per curare la sifilide. La sua competenza di "simplicista" era tale che, dopo la morte di Ghini, Maranta inviò a lui il manoscritto del suo Methodi cognoscendorum simplicium, pregandolo di verificarne l'esattezza e di correggerlo. All'epoca Falloppio era già a Padova, dove nel 1551 fu chiamato a reggere la doppia cattedra di "Lettura dei semplici e chirurgia, con l'obbligo di anatomia", anche se avrebbe conseguito la laurea solo l'anno dopo (si addottorò a Ferrara con Brasavola nell'ottobre 1552). Per dieci anni, tenne lezioni seguitissime, in cui profondeva la sua competenza nei campi dell'anatomia, della chirurgia, della medicina generale, della farmacologia e più in generale delle scienze naturali; così nel 1555 trattò del morbo gallico, ovvero della sifilide, nel 1556 delle acque termali e dei tumori, nel 1557 di metalli e fossili, di fratture e lussazioni, nel 1558 delle ulcere provocate o meno dal morbo gallico e dei purganti, nel 1560 del libro di Ippocrate sulle ferite alla testa, nel 1561 del primo libro di Dioscoride, nel 1562 (l'ultimo della sua vita) nuovamente di morbo gallico e ulcere. Avendo fatto della "sua meravigliosa scientia prove soprahumane", come scrive un biografo contemporaneo e conterraneo, F. Panini, divenne un medico noto e ricercato. Tra i suoi pazienti più illustri, il papa Giulio II, Alfonso II e Isabella d'Este, il duca di Parma Ottavio Farnese, il tipografo Aldo Manuzio che guarì di una malattia agli occhi. Uomo noto per la sua gentilezza, la pacatezza, la rettitudine morale, i poveri li curava gratis, fin da ragazzo, quando addirittura chiedeva la carità per loro. Forse intorno al 1554 (non conosciamo con precisione la data) nella sua vita entrò Melchiorre Guilandino; non era raro che Falloppio ospitasse e aiutasse gli studenti indigenti e meritevoli, ma nel medico tedesco, coetaneo, con alle spalle una travagliata storia familiare, fondamentalmente autodidatta, trovò un alter ego e un inseparabile compagno di vita, con il quale amava erborizzare sui colli euganei. Il legame tra i due giovani medici non mancò di suscitare la malignità di Mattioli, un tempo amico di Falloppio; quando Guilandino osò criticare i suoi Commentari a Dioscoride, a suo parere con il consenso e la complicità di Falloppio, non potendo attaccare direttamente quest'ultimo, troppo celebre e prestigioso, l'irascibile senese incominciò a diffondere insinuazioni scurrili sulla loro relazione, che, se fossero giunte alle orecchie dell'inquisizione, avrebbero potuto diventare molto pericolose. Lo stesso Falloppio , a malincuore, consigliò l'amico di accompagnare in Oriente il bailo veneziano in partenza per Costantinopoli. Quando seppe che Guilandino era stato catturato da corsari turchi ed era prigioniero ad Algeri, mise insieme 200 scudi e, nonostante la salute traballante, non esitò a partire per la Grecia per consegnare il riscatto. Sappiamo che soffriva di una debolezza polmonare, probabilmente da identificare come tubercolosi. Mano a mano che il suo fisico si indeboliva diventò sempre più difficile per lui far fronte ai tanti impegni, ed in particolare alle lezioni nelle stanze fredde e umide dell' ateneo patavino; fin dal 1556-57, tramite un altro amico, Ulisse Aldrovandi, entrò in trattative segrete con l'Università di Bologna per trasferirsi in quell'ateneo. Ma le trattative andarono per le lunghe e solo nel 1562 sembrò certa la sua nomina per l'anno accademico 1562-63; ma prima che potesse assumere la cattedra bolognese, all'inizio di ottobre si ammalò di una forma acuta di "mal di punta" che in meno di una settimana lo portò alla morte. Sconsolato, Guilandino (che da un anno, certo anche grazie all'interessamento del suo compagno, era diventato prefetto dell'orto botanico) pose sulla sua tomba una commossa epigrafe: «Falloppio, in questa tomba non verrai sepolto da solo / con te viene sepolta anche la nostra casa». Nel 1589, alla morte di Guilandino, le ossa di Falloppio vennero traslate nella sua tomba "da una mano pietoso". ![]() Grandi scoperte anatomiche e ricette pratiche Intorno al 1557 Falloppio incominciò a esporre le proprie scoperte anatomiche in un trattato che pubblicò a Venezia nel 1561 con il titolo Observationes anatomicae. Si tratta della sua unica opera edita in vita. Consapevole dell'importanza delle sue scoperte, che in molti casi superavano e correggevano quelle dello stesso Vesalio, temendo che qualcun altro se ne attribuisse il merito, si affrettò a pubblicare il suo trattato senza figure (certo pensava a una seconda edizione illustrata, ma ne fu impedito dalla morte); è però stato scritto che le sue descrizioni sono così accurate e precise da rendere quasi superflue le immagini. La sua scoperta più famosa è certamente quella delle trombe uterine, comunemente note come trombe o tube di Falloppio. Da lui prende il nome anche il legamento inguinale, o legamento di Falloppio. Oltre agli organi riproduttivi di entrambi i sessi, studiò molte altre parti del corpo umano, e in particolare l'anatomia della testa e dei suoi organi. Diede importanti contributi alla conoscenza dell'anatomia dell'orecchio e dell'occhio, diede un'accurata descrizione dei muscoli del capo e del collo, analizzò la struttura dei denti e descrisse il processo di sostituzione dei denti da latte con quelli permanenti, dimostrò la funzione dei muscoli intercostali, descrisse accuratamente i nervi oculo-motori, l'ipoglosso e il trigemino. Notevoli furono anche i suoi contributi alla medicina generale e alla farmacologia, ma li conosciamo solo in modo indiretto, attraverso numerose opere postume, non scritte direttamente da lui, ma basate sugli appunti presi durante le sue lezioni dai suoi allievi e forse su sui manoscritti. La più nota di queste opere "indirette" è probabilmente De morbo gallico tractatus, pubblicato a Padova nel 1563, che contiene anche la prima descrizione di un antenato del preservativo inventato dallo stesso Falloppio. Per passare all'argomento che più interessa questo blog, ovvero la botanica farmaceutica, la "materia medica" come si chiamava allora, le sue lezioni sui purganti furono pubblicate nel 1565 come De simplicibus medicamentis purgantibus tractatus. Ma forse il lascito più curioso è una raccolta di ricette, pubblicata inizialmente dallo stampatore veneziano Marco di Maria nel 1563 sotto il titolo Secreti diversi, et miracolosi e poi ripubblicata nel 1565 in edizione ampliata, con le ricette riordinate e riviste da alcuni allievi di Falloppio; il libro ottenne abbastanza successo da essere successivamente ristampato tre volte entro il 1602 da altri tipografi. La curiosa opera, che dovrebbe presentare le ricette messe a punto e sperimentate da Falloppio in vent'anni di carriera medica, raccoglie 400 "segreti", divisi in tre libri. Il primo, dedicato al "modo di fare cerotti, unguenti, pillole e altri medicinali", è quello più propriamente medico; vi compaiono ad esempio rimedi contro la peste, per combattere o prevenire la quale vengono anche suggeriti gli alimenti più opportuni. Falloppio prescrive ricette per curare le malattie polmonari, cui egli stesso era soggetto, il mal di testa, il mal di denti, i calcoli renali. Non mancano antidoti contro il morso dei serpenti e ricette per eliminare i vermi, curare la rogna, guarire le ferite da taglio. Molte le ricette per curare la sifilide, di cui, come abbiamo già visto, Falloppio era uno specialista. Il secondo libro è dedicato a "diverse sorti di vini e acque molto salutifere". Vi troviamo un vino "per il core, et per molti altri casi, miracoloso, et salutifero" che, oltre a fluidificare il sangue, combatte la malinconia e un altro che facilita e mantiene le gravidanze; acque per guarire le malattie della pelle e una per sciogliere i calcoli renali, a base di varie erbe tra cui la sassifraga. Infine il terzo libro, dedicato a "secreti di Alchimia, et altri dilettevoli, e curiosi", esce dalla medicina vera e propria per occuparsi dell'igiene della persona e della casa, con ricette per cacciare mosche, zanzare, pulci e pidocchi, trucchi per lavare e pulire i vestiti, pomate cosmetiche per la pelle, ricette contro la calvizie, per rendere i capelli biondi o migliorare la memoria. Tra la chimica, l'alchimia e la magia, le ricette per preparare il sale d'ammonio, l'acqua borica, il cinabro, l'ambra e il corallo, trasformare il piombo in oro, trovare il cadavere di un annegato. Potrebbe invece risalire alle esperienze degli anni di Pisa il metodo per estrarre oppio finissimo per fare dormire: "con un poco di questo farai dormire uno quanto tu vuoi, ma ci bisogna buona discretione". Non sappiamo quanto di queste ricette risalga davvero a Falloppio; alcuni studiosi considerano il libro del tutto spurio, altri lo ritengono almeno in parte risalente all'esperienza del medico modenese, che però qui si rivolge non ai dotti o agli studenti di medicina, ma alle persone comuni, alla ricerca di rimedi pratici con ingredienti semplici e facili da reperire. Per il suo ampio ventaglio di argomenti, la raccolta è comunque un documento significativo della pratica medica e farmacologica del tempo. ![]() Rampicanti assai esuberanti, con qualche confusione Nel 1763, nel secondo volume di Familles de plantes Michel Adanson separò da Polygonum il nuovo genere Fallopia. Benché egli non fornisca alcuna indicazione sull'origine della denominazione, si ritiene generalmente abbia così voluto rendere omaggio a Gabriele Falloppio, il cui cognome latinizzato era appunto Fallopius, con una sola p. Esplicita è invece la dedica al nostro del secondo genere Fallopia (Malvaceae), creato da Loureiro nel 1790: "L'ho nominato in memoria del celebre Gabriele Falloppio, professore di botanica a Padova". Per la legge della priorità, il genere di Loureiro è illegittimo, mentre è valido quello di Adanson (famiglia Polygonaceae). Valido ma con una storia piuttosto travagliata. Nell'Ottocento, i botanici per lo più lo includevano in un più ampio genere Polygonum: così fecero sia Meissner nel 1856 sia Bentham e Hooker nel 1880. Il genere è stato universalmente accettato solo nella seconda metà del Novecento, a volte inteso in senso più ristretto, a volte in senso più ampio, a includere anche l'affine Reynoutria. Le analisi basate sul DNA hanno confermato sia l'indipendenza di Fallopia, sia la sua stretta affinità con Reynoutria e Muhelenbeckia, con le quali forma un'unica clade nota con la signa RMF (Reuynoutria, Muhelenbeckia, Fallopia). Sono noti anche ibridi intergenerici con Reynoutria (x Reyllopia) e Muhelenbeckia (x Fallenbeckia). La situazione è comunque ancora fluida. Per fare solo due esempi POWO riconosce Reynoutria e Fallopia come generi indipendenti, mentre INaturalist include tutte le specie di Reynoutria in Fallopia. Senza dimenticare i botanici che ancora optano per un vastissimo Polgygonum. Da qui incertezze di denominazione: ad esempio. il poligono giapponese è classificato come Reynoutria japonica nell'edizione più recente di Flora d'Italia, ma è ancora denominato Fallopia japonica in molti libri e repertori. Qui, seguendo la linea prevalente, considereremo Fallopia e Reynoutria come generi separati. Ne ricordiamo le differenze principali: Fallopia comprende specie rampicanti, annuali o perenni, con infiorescenze ascellari ad asse semplice; i fiori hanno perianzio carnoso e stimmi capitati; i frutti sono talvolta muniti di ali. Reynoutria comprende specie non rampicanti con infiorescenze ascellari ad asse ramificato; i fiori hanno perianzio sottile e stimmi flabellati; i frutti non sono alati. Purtroppo, i due generi hanno in comune una caratteristica spiacevole: varie specie dell'uno come dell'altro, introdotte nei giardini come ornamentali, si sono rivelate aliene invasive di straordinario successo e difficili da combattere, anche se da questo punto di vista Reynoutria ha la fama del peggiore. Fallopia in senso stretto comprende una dozzina di specie originarie dell'emisfero boreale (Eurasia, Nord America, Africa settentrionale), ma largamente introdotte anche altrove. Sono per lo più liane e rampicanti noti per il grande vigore e la rapida crescita, decidui, tanto annuali quanto perenni. Il genere è soprattutto eurasiatico, con nove specie, e centro di diversità in Cina con cinque specie, tre delle quali endemiche; due specie sono nordamericane; una di amplissimo areale si spinge anche in Africa. E' F. convolvulus, diffusa dalla Macaronesia all'Asia orientale, passando per il Nord Africa e l'Europa; è presente anche in tutte le regioni italiane, dove cresce come infestante delle culture di cereali e negli ambienti ruderali; è già citata negli erbari del rinascimento, incluso quello di Mattioli. Si ritiene tuttavia non sia originaria del nostro territorio, ma vi sia giunto in un'epica molto antica. Della flora italiana fa parte anche l'eurasiatica F. dumetorum, ugualmente presente in tutte le regioni eccetto la Sardegna; come la precedente è un'erbacea annuale e cresce preferenzialmente sulle siepi e ai margini delle foreste di latifoglie decidue. Sono invece largamente coltivate F. aubertii e F. baldschuanica, la prima di origine cinese, la seconda proveniente dall'Asia centrale, che POWO tratta come specie diverse, mentre molte fonti autorevoli le considerano sinonimi. Il problema non è semplice, trattandosi di specie altamente variabili. F. aubertii fu raccolta nel 1899 nel Tibet cinese dal padre missionario francese Georges Aubert, che ne inviò i semi al Muséum national di Parigi, che la distribuì già l'anno successivo; nel 1907 fu descritta da Louis Henry come Polygonum aubertii e riclassificata nel 1971 dal botanico ceco Holub come F. aubertii. Fallopia baldschuanica fu invece raccolta per la prima volta nell'attuale Turkestan nel 1883 da August von Regel che la introdusse nell'orto botanico di San Pietroburgo e l'anno successivo la pubblicò come Polygonum baldschianicum; il nome deriva dal toponimo latino Baldschuan, una località della zona orientale del kanato di Bukhara. Anch'essa fu riclassificata come F. baldschuanica da Holub nel 1971. Se si tratta della stessa specie, la priorità spetta a questa denominazione, mentre F. aubertii è sinonimo. F. baldschuanica è rampicante estremamente vigoroso, capace di crescere anche di 30 cm al giorno, raggiungendo un'altezza di 15 metri. E' in grado di coprire rapidamente una facciata (perciò la chiamano Consolazione dell'architetto), ma si arrampica anche su alberi e altri rampicanti, ed è difficile da rimuovere per le radici molto forti. In Italia è stata introdotta per la prima volta in Piemonte nel 1900; oggi è presente in tutto il territorio nazionale tranne la Calabria, è naturalizzata nella maggior parte delle regioni e classificata come alloctona invasiva in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Campania. F. aubertii, se si tratta di un'entità diverse, è molto simile; forse la principale differenza sono le infiorescenze pelose anziché glabre, e forse un vigore appena minore. Sono piante di grande bellezza (al momento della fioritura si trasformano in una cascata di fiori candidi), ma può essere imprudente coltivarle, a meno di controllarne strettamente la crescita. All'inizio della botanica inglese c'è - e non poteva essere diverso - un plantsman, un uomo di piante. Non un botanico accademico, ma un barbiere-chirurgo che era forse soprattutto un giardiniere. Era anche un collezionista che nel suo giardino di Holborn coltivava piante esotiche, che fu tra i primi a far conoscere: tra di esse, la patata e la bella di notte Mirabilis jalapa. Nella storia della botanica, è celebre soprattutto come autore di The Herball, or General Historie of Plants che rimase il testo di riferimento in Inghilterra per tutto il Seicento (e oltre), ma gli attirò anche accuse di plagio che ne hanno screditato la figura agli occhi dei posteri. Nonostante queste polemiche, Plumier e Linneo vollero ricordarlo con il genere Gerardia, oggi non più accettato, come non lo sono la maggior parte dei piccoli generi, che, modificando un poco il nome linneano, vennero creati da altri botanici; a ricordare in modo indiretto Gerard rimangono solo due piccoli generi di Orobanchaceae africane, Gerardiina e Graderia (anagramma di Gerardia). ![]() Il primo catalogo di un giardino John Gerard (1545-1612) divide con William Turner l'onore di essere uno dei padri fondatori della botanica inglese. Ma mentre Turner era un medico con una formazione accademica e aveva persino studiato in Italia, dove era stato allievo di Ghini, Gerard è un tipico plantsman, un uomo di piante, una persona che ha imparato a conoscere (e ad amare) le piante coltivandole con le sue mani. Era un barbiere-chirurgo, una formazione professionale che non si acquisiva frequentando un corso universitario, ma con l'apprendistato in bottega; ma poi per molti anni fu un giardiniere, e forse anche un vivaista e un progettista di giardini. In tal modo riunì in sé le due figure che, in un'Inghilterra dove ancora non esistevano né cattedre universitarie di botanica né orti botanici, si dividevano l'interesse per lo studio più o meno empirico delle piante: da una parte medici, chirurghi, farmacisti, dall'altra giardinieri, vivaisti, collezionisti e proprietari di giardini. La sua biografia è in molte parti oscura, come ben si conviene a un contemporaneo di Shakespeare. Ci è noto che nacque a Nantwich nel Cheshire, ma nulla sappiamo dei genitori; nell'antiporta dell'Herball, Gerard fece stampare lo stemma dei Gerard of Ince, rivendicando - a torto o ragione - origini nobili. Frequentò la scuola del vicino villaggio di Willaston e nel 1562, diciassettenne, si trasferì a Londra per iniziare l'apprendistato presso Alexander Mason, un barbiere-chirurgo di Londra che aveva un'ampia clientela e per due volte fu Maestro della Compagnia. Sette anni dopo, nel 1569, come d'uso, fu ammesso alla Compagnia e poté praticare la professione. Poi abbiamo un buco di otto anni, che forse riempì viaggiando come chirurgo di bordo sulle navi della Company of Merchant Adventurers di Londra che commerciavano sulle rotte del Baltico. Nei suoi scritti vanta infatti di aver viaggiato e fa riferimento a Scandinavia, Polonia, Estonia e Russia. Entro il 1577 fu assunto come sovrintendente dei giardini di William Cecil, primo lord Burghley; dunque nel frattempo in qualche modo si era qualificato come herbarist, ovvero esperto di piante e giardini (da non confondere con herbalist, erborista ed esperto di piante medicinali, anche se una cosa non esclude l'altra). Lord Burghley, custode del sigillo reale, due volte segretario di stato, gran tesoriere, era niente meno che l'uomo politico più vicino alla regina Elisabetta, quindi il più potente del regno; patrono delle arti, era interessato all'orticultura e i suoi giardini, che considerava la più grande delle sue felicità, erano ricchi di piante rare e dettavano la moda. Lavorare per lui - Gerard fu al suo servizio per un ventennio, fin quasi alla morte del ministro - oltre a dargli grande reputazione professionale, permise al nostro chirurgo-giardiniere di entrare in contatto con personaggi di primo piano come Lancelot Browne, il medico personale della regina, e George Baker, Maestro della compagnia dei barbieri chirurghi, che poi firmeranno due delle lettere prefatorie dell'Herball. Era a tutti gli effetti un membro riconosciuto del circolo di appassionati che ricercavano e scambiavano piante rare. Tra i suoi contatti troviamo "colleghi" come Master Huggens, curatore del giardino di Hampton Court, Master Fowles, curatore del giardino reale di Saint James e abile coltivatore di meloni zuccherini, il botanico fiammingo Mathias de L'Obel, curatore del giardino di lord Zouche, e i farmacisti James Garrett, Hugh Morgan e Richard Garth, proprietari di ben giardini nella City. Garth, che importava piante dal Sud America, era amico di Clusius, e forse lo presentò a Gerard (il botanico visitò Londra tre volte tra il 1571 e il 1581). Curare i giardini dell'uomo politico più influente d'Inghilterra, che fu anche segretario di stato, ovvero ministro degli esteri, garantì a Gerard un accesso privilegiato alle piante esotiche che giungevano nel paese grazie a mercanti, diplomatici ed avventurieri. Ad esempio, nell'Herball, a proposito di Lillie of Constantinople (variamente identificato come Lilium martagon o L. chalcedonicum) scrive "fu inviato al mio onorevole e buon signore il lord Tesoriere d'Inghilterra, insieme a molti altri bulbi e fiori rari e delicati da Master Harbran, ambasciatore a Costantinopoli". Anche se scritto in modo scorretto, identifichiamo nel personaggio William Harborne, mercante e diplomatico, che rappresentò Elisabetta presso la corte ottomana dal 1582 al 1588. Lord Burghley possedeva due giardini: quello della residenza ufficiale londinese, nello Strand, e quello della tenuta di campagna, a Theobalds nello Hertfordshire. Di quello londinese conosciamo la pianta: si trovava a nord della casa e delle sue dipendenze e comprendeva un labirinto a spirale, un parterre con quattro quadranti e un vasto frutteto. Di quello di Theobalds ci è giunta invece solo una descrizione molto più tarda, addirittura di fine Settecento, quando aveva già subito molte trasformazioni, soprattutto dopo che era diventato di proprietà reale e Giacomo I ne aveva fatto la sua residenza; sappiamo che era molto vasto, comprendeva un lago con isolotti, labirinti, canali e nove giardini a nodi, almeno qualcuno dei quali potrebbe risalire all'epoca di lord Burghley e Gerard. Il ministro teneva molto alla tenuta di campagna, che doveva rappresentare anche visivamente la potenza e la gloria d'Inghilterra ed essere degna di ospitare la regina, che in effetti la visitò otto volte tra il 1572 e il 1592. Per il palazzo e gli appartamenti egli si affidò ai migliori artigiani e per il giardino appunto a Gerard, che disegnò il giardino formale in stile francese, a quanto pare ispirandosi ai giardini di Fontainebleau (non come li vediamo oggi, ma quelli rinascimentali della corte di Francesco I e Caterina de' Medici); ci saranno stati dunque almeno una fontana, giochi d'acqua, uno stagno, parterre a nodi. Con un protettore così influente, la fortuna di Gerard era fatta. Grazie a un'ampia rete di contatti e alla generosità del suo signore, che non di rado gli donò le piante rare che egli coltivava per lui, John Gerard creò anche un proprio giardino, situato a Fetter Lane nel quartiere di Holborn, alla periferia occidentale di Londra (anche questo terreno e il cottage annesso dovevano essere di proprietà del generiso lord Burghley). Ricchissimo di piante rare, quello di Holborn era anche un giardino sperimentale, dove Gerard tentava - a volte con successo, a volte meno - la coltivazione di specie esotiche. Ed è come esperto di esotiche che nel 1586 il Collegio dei medici di Londra gli affidò la gestione del proprio giardino, all'epoca situato a Knightrider Street,a sud della cattedrale di St Paul. Negli annali della Compagnia si legge: "John Gerard, chirurgo, ha promesso che si prenderà cura del giardino della Compagnia, e consente di rifornirlo con tutte le piante più rare a un prezzo ragionevole". Quali fossero queste "piante più rare" non sappiamo, ma sicuramente egli avrà attinto al giardino-vivaio di Holborn, che invece ci è noto grazie al catalogo che Gerard pubblicò nel 1596. Si tratta niente meno del primo catalogo di un giardino giunto fino a noi: gli unici precedenti sono De hortis Germaniae di Conrad Gessner (1561) che, anche se contiene un elenco di piante consigliate, non è il catalogo di un giardino, ma una rassegna di giardini; e Hortus Lusatiae di Johannes Franke (1594), che però, insieme alle specie coltivate nei giardini della Lusazia, tratta anche piante selvatiche. Preceduto da una dedica "Agli eccellenti e diligenti indagatori delle piante", e intitolato semplicemente "Catalogus horti Johannis Gerardi londinensis", l'opuscolo di 24 pagine elenca in ordine alfabetico, da Abies e Zyziphus, circa ottocento specie, indicate con il nome latino; solo la voce Iucca è corredata da un breve testo sull'origine e le caratteristiche della piante. A concludere la lista, una dichiarazione di Mathieu de L'Obel: "Attesto che le erbe, le stirpi, gli arbusti, i suffrutici, gli alberetti recensiti in questo catalogo, in gran parte anzi quasi tutti li ho visti a Londra nel giardino di John Gerard, chirurgo e botanico più che ottimo (infatti non germogliano, spuntano e fioriscono tutti nello stessa stagione, ma in vari tempi dell'anno). 1 giugno 1596". Era un'opera alla buona, pensata per gli amici (che saranno stati anche clienti, se quello di Gerard era anche un vivaio), piena di refusi. Nel 1599, quando Gerard aveva già pubblicato l'Herball e la sua fama aveva travalicato i confini dei circoli di appassionati, ne pubblicò una seconda edizione ampliata e corretta, con il più pomposo titolo Catalogus arborum fruticum ac plantarum tam indigenarum quam exoticarum, in horto Ioannis Gerardi civis et Chirurgi Londinensis nascentium e la dedica a sir Walther Raleigh. In una copia, presumibilmente passata per le mani di L'Obel, la dichiarazione finale è cancellata da un rabbioso tratto di penna, ed è seguita dalla nota manoscritta "Questo è falsissimo. Mathias de l'Obel". Entrambe le edizioni, di cui ci sono giunte pochissime copie, sono state ripubblicate nel 1876 dal botanico Benjamin Daydon Jackson, precedute da una biografia di Gerard (basata su ricerche accurate e ancora largamente valida); i nomi latini di Gerard sono accompagnati da quelli volgari tratti dall'Herball e dai nomi botanici in uso a fine Ottocento e talvolta da brevi note e citazioni tratte sempre dall'Herball. In questo modo, incrociando il laconico elenco con quanto Gerard stesso dice nell'erbario, ci premette una visita guidata nel favoloso giardino di Holburn, dove egli coltivava letteralmente di tutto, comprese piante di alto fusto. Moltissime era specie native, raccolte da Gerard nelle sue frequenti erborizzazioni, o introdotte in Inghilterra da secoli; tra di esse c'erano ovviamente le piante officinali ricercate da medici e farmacisti, piante aromatiche (pescando qua e là, troviamo molte salvie, il basilico a foglia grande e a foglia piccola, il cerfoglio, Anthriscus cerefolium, che egli dice di aver seminato una sola volta, perché successivamente si seminava da sé, e così via), molte orticole, di cui Gerard ricercava le varietà più nuove e produttive, come una barbabietola molto grande e vivacemente rossa che gli fu portata "attraverso i mari" dal cortese mercante Master Lete, o ancora rare, come la melanzana che nel suo giardino riuscì a fiorire, ma non a fruttificare per il sopraggiungere dell'inverno. Moltissimi erano gli alberi da frutto: trenta varietà di pruni, dieci di peschi, albicocchi, meli, ma anche un corniolo a frutti bianchi, gelsi bianchi e gelsi neri, un fico nano molto produttivo, un arancio e un melograno. Grande era la varietà di piante ornamentali: spiccano le numerosissime bulbose (anemoni e ranuncoli, Allium, gigli, crochi, narcisi, scille, iris, giacinti, Muscari, ornitogali e asfodeli, Fritillaria meleagris e F. imperialis, nonché tulipani "in numero e varietà di colori infiniti", nonostante fossero arrivati in Inghilterra da pochissimi anni); e poi peonie, garofani (compresa una varietà gialla "mai vista né sentita in queste contrade", portatagli dalla Polonia ancora dal servizievole Lete), varie specie di primule, sedici varietà di rose semplici e doppie, campanule e violette, e via elencando. A suscitare il massimo orgoglio di Gerard erano le novità esotiche, che era riuscito a procurarsi grazie agli amici farmacisti o a mercanti inglesi che operavano all'estero, come il già citato Nicholas Lete (membro della Compagna della Turchia, importava piante dal Mediterraneo orientale ed è citato anche da Parkinson come "ricco mercante e amante di tutti i bei fiori") e John Franqueville (che, sempre secondo Parkinson, possedeva il negozio di fiori "più grande che ora fiorisce in questo paese"); come abbiamo già visto, diverse specie gli furono donate dal suo signore lord Burgley; altre gli arrivarono da un altro gentiluomo appassionato di piante, lord Zouche, che nella sua tenuta di Hackney possedeva un giardino che univa le funzioni di giardino di piacere e di physic garden e, come abbiamo già visto, era presieduto da da Mathias de L'Obel. Più volte è citato anche "il mio caro amico Robin", ovvero il giardiniere del re di Francia Jean Robin, che gli inviò tra l'altro semi di Periploca graeca, Epimedium alpinum, Fritillaria meleagris, Geranium lucidum. Corrispondeva anche con l'ormai anziano Camerarius, citato per l'invio di Poterium spinosum, che prosperò per due anni e poi morì "per qualche accidente". Per i giardini inglesi d'epoca elisabettiana, il Mediterraneo era ancora un giacimento di inesplorate ricchezze floricole. Per procurarsene il maggior numero possibile, Gerard spedì in Grecia il domestico William Marshall, che a Lepanto raccolse per lui un ramo di Platanus orientalis con tanto di frutti; a Zante invece trapiantò in grandi vasi diverse piante di fico d'India, che arrivarono sane, salve e verdeggianti a Londra, dove Gerard dispiegò grandi sforzi e grande denaro "per proteggerle dalle ingiurie del nostro freddo clima" e riuscì infine a fare fiorire. Introdotta in Europa dagli Spagnoli dal Messico nei primissimi tempi della conquista, evidentemente Opuntia ficus-indica in mezzo secolo aveva già fatto in tempo a naturalizzarsi sulle coste mediterranee. E lo stesso avevano fatto i Tagetes, che Gerard crede originari della Tunisia e portati in Europa all'epoca della presa di Tunisi da parte di Carlo V. Non sono le sole americane: a Holborn Gerard coltivava "pomi d'amore" (ovvero pomodori) a frutti rossi e gialli, e due tipi di patate: la patata comune o spagnola, ovvero la batata Ipomoea batatas, e la patata bastarda, ovvero quella che per noi è la vera patata, Solanum tuberosum, che sembra sia stato il primo a coltivare in Inghilterra. Erano novità anche il "grande fiore del sole" ovvero il girasole Helianthus annuus e la "meraviglia del Perù", ovvero Mirabilis jalapa, che all'epoca creava sensazione con i suoi fiori di diverso colore sulla stessa pianta; Gerard possedeva anche due pianticelle del nordamericano Liquidambar styraciflua, forse uno delle prime settembrine (Symphyotrichum novi-belgii), non si fece mancare i tabacchi Nicotiana rustica e Nicotiana tabacum, e tentò di coltivare il "cero del Perù" Cereus peruvianus che gli fu portato "dalle coste della Barbaria", ma soccombette ai primi freddi. Nel 1593 ricevette una pianta che gli fu indicata erroneamente come cassava e come tale l'avrebbe pubblicata nell'Herball; si trattava invece di Yucca gloriosa. ![]() Un best seller che ha fatto discutere Negli ultimi anni del secolo, Gerard (per altro ignoriamo se, tra tanti impegni, praticasse ancora l'attività di chirurgo) fece carriera nella corporazione dei barbieri e chirurghi. Nel 1595 entrò a far parte della Court of Assistants, ovvero del comitato direttivo, nel 1597 fu nominato Custode minore (Junior Warden), nel 1598 entrò a far parte del collegio che esaminava i candidati all'ammissione alla professione ed infine nel 1607 completò l'ascesa come Maestro della Compagnia. Il suo contributo maggiore alla corporazione fu probabilmente la proposta di istituire un Physic Garden, ovvero un giardino dove gli apprendisti potessero studiare le erbe medicinali; nel 1596 gli fu anche commissionato di "cercare un posto migliore per un frutteto di quello di East Smithfields o Fetter Lane". Ignoriamo se però il giardino venne effettivamente creato. Sappiamo invece che nel 1604 la regina Anne (consorte di Giacomo I) concesse a Gerard, citato come chirurgo e erborista del re, l'affitto di un terreno a giardino adiacente Somerset House, a condizione che lo rifornisse di erbe, fiori e frutti. In quegli anni era ormai famoso come autore di The Herball, or Generall historie of plantes, che per oltre un secolo sarebbe stata l'opera di riferimento in Inghilterra. L'idea della pubblicazione non risaliva a lui, ma all'editore John Norton che nel 1596 commissionò al medico Robert Priest una nuova traduzione di Stirpium historiae pemptades sex di Dodoens, che a sua volta era la versione latina del suo Cruydeboeck che nel 1578 era già stato tradotto da Henry Lyte sotto il titolo A Niewe Herball. Vedendo il successo di quest'ultimo, Norton pensava ci fosse un mercato per una nuova traduzione accompagnata da illustrazioni di qualità, e si era accordato con l'editore Nicholaus Bassaeus per affittare le matrici xilografiche di Eicones plantantum di Tabernaemontanus, uscito a Francoforte nel 1590. Tuttavia, prima di completare il lavoro Priest morì e l'editore chiese a Gerard di completare l'opera. Egli dovette lavorare abbastanza in fretta; uno dei suoi biografi, R. H. Jeffers, suggerisce che egli lavorasse già a un proprio erbario, forse fin da quando era entrato al servizio di lord Burghley. La poderosa opera (un in foglio di 1392 pagine, più preliminari e indici, illustrato da 1292 xilografie) poté essere stampata entro il 1597, nonostante gli enormi problemi tecnici - e gli enormi costi. L'editore aveva visto giusto: benché non fosse certo per tutte le tasche, l'erbario di Gerard fu un immediato successo: fu ristampato due volte e nel 1633 ne fu predisposta una seconda edizione, affidata al farmacista Thomas Johnson. Diviso in tre sezioni o libri, ciascuno dedicato a un gruppo di piante (il primo a graminacee, giunchi, iris, bulbose; il secondo alle erbacee alimentari, medicinali e profumate; il terzo a alberi, arbusti, fruttiferi, rose, eriche, muschi, coralli e funghi), e in 167 capitoli, l'erbario tratta un migliaio di piante. Ogni capitolo ha un titolo, dato dal nome volgare della pianta (o del gruppo di piante affini) ed è suddiviso in paragrafi contraddistinti da un titoletto, secondo una struttura ricorrente: i tipi; la descrizione, eventualmente suddivisa in più paragrafi numerati, se i tipi sono più di uno; il luogo (l'habitat, l'origine, ma anche, per le piante da lui stesso coltivate, da chi l'ha ottenuta o i luoghi in cui l'ha vista), l'epoca di fioritura, i nomi (in latino, nei classici, nelle lingue volgari), la natura, secondo la teoria degli umori, le virtù (ovvero le proprietà medicinali e gli usi). Ogni capitolo è solitamente illustrato da almeno due xilografie, con il nome delle specie in latino e in inglese. Era una struttura familiare al pubblico inglese, perché era già stata adottata nel rifacimento di Lyte, ma l'opera si qualificava come del tutto nuova per i chiari caratteri di stampa, gli elaborati capilettera e l'apparato iconografico; non solo le xilografie sono molto più numerose, ma, come abbiamo visto, non derivano dall'opera di Dodoens, ma da quella di Tabernaemontanus, le cui immagini però a loro volta raramente erano originali; provenivano infatti dalle opere di Fuchs, Brunfels, Mattioli e dei botanici fiamminghi pubblicati da Plantin, ovvero lo stesso Dodoens, L'Obel e Clusius. Solo 16 sono nuove. Quanto ai testi, che attirarono a Gerard l'accusa di plagio, la questione è complicata, e per dirimerla non basta sentire una sola campana. Partiamo da quanto ne dice lo stesso Gerard. Nella prefazione egli scrive: "Il dottor Priest, uno del nostro Collegio di Londra, ha (come ho saputo) tradotto l'ultima edizione di Dodonaeus, con l'intenzione di pubblicarla; ma essendo stato preceduto dalla morte, la sua traduzione è parimenti andata perduta; infine, io stesso, uno dei minori fra tanti, ho ritenuto di portare all'attenzione del mondo il primo frutto dei miei propri lavori". Egli dunque, pur riconoscendo il precedente di Priest, non ammette di averne utilizzato la traduzione e presenta l'opera come propria e indipendente. La seconda campana è quella di Mathias de L'Obel, ed è anche quella che ha suonato più forte, imponendosi come vulgata. L'Obel era stato amicissimo di Gerard e, come abbiamo visto, testimoniò questa amicizia nella nota finale del Catalogo del giardino di Holborn, poi cassata nella seconda edizione, quando l'amicizia si trasformò in rancore. Il motivo è spiegato in un'opera postuma, Stirpium illustrationes, un'antologia di scritti basati su un manoscritto terminato da L'Obel poco prima della morte (1616) e pubblicato molti anni dopo (1655). Egli racconta che, mentre in tipografia sia stava componendo il testo di Gerard, vi capitò il farmacista Garrett che, data un'occhiata alle bozze, si accorse che erano piene di errori. Lo fece notare a Norton, che incaricò L'Obel di rivedere il testo. Il fiammingo non solo rilevò più di mille errori, ma soprattutto si accorse che molte parte erano copiate da opere sue o di Clusius. Quando Norton fece presente la cosa a Gerard, questi si giustificò dicendo che L'Obel, essendo fiammingo, non capiva bene l'inglese ed aveva equivocato. L'editore, avendo già investito molto denaro, decise di pubblicare il testo così com'era e Gerard si affrettò a completare la terza parte, che in effetti è la più breve e appare affrettata. La terza campana è quella di Thomas Johnson, il curatore dell'edizione del 1633, che aggiunse alla trattazione di Gerard altre 800 piante e 700 illustrazioni; per lo più si tratta di specie esotiche come il banano Musa × paradisiaca. Nella prefazione incluse una biografia di Gerard (non sempre esatta; ad esempio, riferisce che egli morì nel 1607 anziché nel 1612) e riassunse le vicende editoriali dell'erbario, precisando che l'iniziativa del volume venne dall'editore che affidò la traduzione delle Pemptades di Dodoens al dottor Priest, ma questi morì "subito prima o immediatamente dopo aver finito la traduzione"; a questo punto qualcuno "che conosceva sia il Dr. Priest sia Mr. Gerard" diede il manoscritto a questo ultimo. L'innominato sarà senza dubbio l'editore Norton. Si pose però un problema; dato che le xilografie erano tratte dal testo di Tabernaemontanus, e non da quello di Dodoens, furono necessari adattamenti per far collimare testo e immagini. Sempre secondo Johnson, fu questo il motivo che spinse Gerard ad abbandonare l'ordine e la classificazione di Dodoens, per adottare quella di L'Obel. Inoltre, in molti casi non riuscì ad identificare correttamente le immagini e diede loro una didascalia errata. Dunque, tanto L'Obel quanto Johnson accusano Gerard di essere un plagiario. La loro versione è senz'altro adottata da Anne Pavord che scrive "In effetti, Gerard piratò la sua [di Priest] traduzione, riordinò i materiali per adattarli alla pionieristica organizzazione di Lobelius, e poi presentò il libro come proprio" e lo definisce senza mezzi termini "un plagiario e un truffatore". Insiste poi sul fatto che non era né uno studioso né un botanico, ma un praticone, capace persino di prendere per vera la storia dell'albero delle oche o barnacle, che "spunta tra marzo e aprile; le oche si formano tra maggio e giugno e raggiungono la pienezza del piumaggio un mese dopo". Eppure riconosce che, oltre a far conoscere molte nuove piante che era riuscito a procurarsi per primo grazie ai suoi molti contatti, sapeva scrivere descrizioni vivide e, includendo indicazioni molto precise sui luoghi dove crescevamo le piante, "ha contribuito alla graduale costruzione di una mappa della flora britannica e alla comprensione della sua distribuzione". Completamente opposta la posizione di Sarah Neville, che ha intitolato un capitolo del suo Early Modern Herbals and the Book Trade "John Norton and the Redemption of John Gerard". Per Neville, bisogna fare la tara alle accuse tanto di L'Obel quanto di Johnson. Quando scrisse il suo atto d'accusa, il fiammingo era ormai un vecchio amareggiato che aveva mal digerito che, pur pieno d'errori e approssimativo, l'Herball di Gerard fosse diventato un best seller, mentre il suo dotto e innovativo Stirpia adversaria nova era riuscita a stento, in vent'anni, a vedere un migliaio di copie. Quanto a Johnson, sminuire il suo predecessore era il modo migliore per valorizzare e distinguere il proprio contributo, senza dimenticare la rivalità tra i barbieri-chirurghi e i più colti farmacisti. Ma soprattutto, al di là della credibilità di L'Obel e Johnson, accusare Gerard di plagio è anacronistico; tutti gli erbari del tempo erano largamente intertestuali. Non solo le xilografie transitavano disinvoltamente da un volume all'altro, ma capitava spesso che "le opere scritte da scrittori precedenti fossero il punto di partenza di quelle successive". Mentre le piante da descrivere aumentavano vertiginosamente ed era necessario riorganizzare continuamente le informazioni, per i primi botanici "copiare era più la norma che l'eccezione". La maggioranza dei botanici e degli editori del Cinquecento "riprendevano il materiale dei loro predecessori, mantenendo le informazioni che ritenevano rilevanti e scartavano o respingevano il resto". Ed era anche normale "denigrare il lavoro degli altri e citare i loro errori per giustificare i propri lavori che li aggiornavano e li correggevano". E così conclude: "John Gerard era dunque un ladro, un plagiario? Il passato e la botanica scolastica l'hanno spesso raccontato così; ma ora il tempo e studi più approfonditi sugli agenti che producevano e vendevano gli erbari nella Londra della prima età moderna sembrano raccontarla in modo diverso". Aggiungo solo un particolare: una delle lettere dedicatorie che precedono il testo dell'Herball è scritta da L'Obel, che si esprime in termini affettuosi ed lusinghieri nei confronti di Gerard. Se davvero avesse scoperto la soperchieria del barbiere-chirurgo, si può pensare che avrebbe impedito che la lettera fosse pubblicata. Che Gerard avesse attinto a piene mani alla sua opera è un fatto, ma sembra che la collera del fiammingo sia scoppiata con qualche ritardo. ![]() Gerardia & friends, un rompicapo tassonomico Accettiamo dunque l'invito di Neville di non giudicare il passato con l'occhio e la morale di oggi. Del resto, non l'hanno fatto i tantissimi che ancora nel Settecento consideravano il libro di Gerard un testo di riferimento, lo lasciavano in eredità tra gli oggetti più preziosi, lo citavano a loro volta. Né lo fecero il padre Plumier e Linneo, che vollero onorarlo con il genere Gerardia. Le vicende di questo genere linneano, oggi non più accettato, sono complicate, e hanno lasciato una traccia nella storia della botanica, generando ben sei altri generi, due soli dei quali oggi validi. Tutto inizia con Plumier che, creando il genere Gerardia in Nova plantarum americanarum genera offre una sintetica biografia di Gerard, limitandosi ai fatti oggettivi, senza esprimere giudizi di merito: "L'inglese John Gerard (come riferisce Johnson nella prefazione dell'edizione emendata), nato a Nantwich nella contea del Cheshire, donde si trasferì a Londra, dove si dedicò alla chirurgia, nella quale progredì tanto da essere eletto maestro di quella corporazione. Pubblicò a Londra nel 1597 una storia delle piante inglesi con le stesse figure di Tabernaemontanus e parecchie di Lobelius, e solo 16 nuove". E' interessante notare che, benché non lo sia affatto, al francese Plumier l'Herball apparisse una flora inglese; del resto, l'attenzione alla flora nativa, almeno dell'area londinese, che Gerard ricercava e raccoglieva nelle sue erborizzazioni, è uno dei meriti dell'opera. Linneo cita già il genere Gerardia in Critica botanica (dove si limita a collegarlo a Gerardus Joh. aglus 1597) e lo ufficializza nella prima edizione di Species plantarum, ma all'unica specie di Plumier (Gerardia tuberosa, oggi Stenandrium tuberosum) fa seguire incongruamente altre specie che non corrispondono alla sua stressa diagnosi. Ciò indusse Bentham a ricreare un nuovo genere Gerardia (1846) limitato a questo secondo gruppo, creando in tal modo una confusione che di fatto è stata risolta invalidando entrambi i generi; quello di Linneo è sinonimo di Stenandrium (Acanthaceae), quello di Bentham di Agalinis (in passato Scrophulariaceae, oggi Orobanchaceae). Il genere Gerardia nel senso di Bentham però fu accettato per decenni e nel frattempo ne furono separati diversi piccoli generi affini, che, riprendendone e modificandone il nome, divennero di fatto omaggi indiretti a Gerard. Iniziamo dai tre oggi non più validi: Dargeria (1843), creato da Ducaisne ricorrendo a un anagramma, sinonimo di Leptorhabdos (Orobanchaceae); Gerardianella, creato da Klotzsch nel 1861, sinonimo di Micrargeria (Orobanchaceae); Gerardiopsis, creato da Endlicher nel 1895, sinonimo di Anticharis (Scrophulariaceae). Veniamo infine ai due generi validi, iniziano da Graderia, stabilito da Bentham nel 1846, contemporaneamente al suo Gerardia. Anche questo nome si basa su un anagramma. Come la maggior parte dei generi fin qui citati, appartiene alla famiglia Orobanchaceae e comprende quattro specie con distribuzione discontinua. G. fruticosa è infatti endemica dell'isola di Socotra, mentre le altre specie vivono nell'Africa meridionale. Sono erbacee perenni o suffrutici con i fusti che emergono da un rizoma legnoso, con foglie opposte o alternate e fiori solitari con calice campanulato e corolla tubolare con cinque ampi lobi arrotondati. Il frutto è una capsula appiattita. Sono considerate emiparassite perché, pur essendo in grado di effettuare la fotosintesi, ricavano nutrienti da altre piante. Le loro radici posseggono infatti piccoli austori con i quali si attaccano alle radici di altre piante, assorbendone acqua e sali minerali. Concludiamo con Gerardiina, stabilito da Endlicher nel 1897, ancora un piccolo genere della famiglia Orobanchaceae; gli sono assegnate due sole specie dell'Africa tropicale, G. angolensis, diffusa dal Burundi al Sudafrica nord-orientale, e G. kundelungensis, endemica dello Zaire. Sono erbacee annuali o perenni, con foglie opposte intere e fiori raggruppati in infiorescenze racemose, con calice pentalobato e corolla campanulata, stretta alla base, quindi dilatata e divisa in cinque lobi. Il frutto è un capsula ovoidale, talvolta più lunga del calice. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
February 2025
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