La loro è davvero una strana coppia. Lei è una star internazionale, nata in Africa ma oggi di casa in tutto il mondo, una bellezza statuaria richiestissima in matrimoni e altre cerimonie, soggetto seducente e sensuale di grandi artisti, al centro di un giro d'affari miliardario; lui è un medico condotto di provincia, appagato dal suo piccolo mondo, che divide le giornate tra la cura dei pazienti, lo studio e le passeggiate in montagna. A unirli, è stata la tassonomia botanica. Sono il genere Zantedeschia (che i profani chiamano sbrigativamente calla) e il suo patrono, il dottor Giovanni Zantedeschi, botanico italiano del primo Ottocento. Una schiva vita in provincia La vera calla, Calla palustris L., è una rusticissima pianta palustre presente in tutta la fascia temperata boreale, dall'Europa al Giappone all'America settentrionale. Linneo vi accostò una specie sudafricana descritta da Caspar Commelin nel catalogo del Giardino botanico di Amsterdam, che egli forse aveva vista nel giardino del suo protettore Clifford. La chiamò dunque Calla aethiopica (l'epiteto significa genericamente "africana"). Commelin l'aveva ricevuta da un suo corrispondente nel 1687, ma era già stata ritratta nel 1664 per il Jardin du Roi di Parigi. A separarla da Calla e ad attribuirla a un nuovo genere fu il botanico tedesco Curd Sprengel, sulla base di varie differenze, in particolare la forma della spata, piatta nella specie europea, avvolta su sé stessa ("cucullata") in quella africana. Nell'assegnarle un nome, decise di onorare un medico e botanico italiano, Giovanni Zantedeschi. Era nato il genere Zantedeschia, anche se il danno ormai era fatto: tutti (o quasi) continuano imperterriti a chiamarle calle. L'accoppiata Zantedeschi / Zantedeschia, del resto, è davvero singolare. Da una parte, lo vedremo meglio tra poco, c'è un medico di provincia, innamorato dei piccoli tesori botanici dei suoi monti; dall'altra un fiore statuario dalla bellezza sontuosa e innegabilmente sensuale, fonte di ispirazione per gli artisti, senza dimenticare l'importanza economica della sua coltivazione, con un giro d'affari miliardario. Giovanni Zantedeschi era nato nel 1773 a Molina, una frazione di Fumane nel Veronese, ai piedi dei Monti Lessini ; questo luogo di grande bellezza, nei cui pressi oggi sorge un parco con numerose cascate, nutrì il suo amore per la natura, per la montagna e i suo fiori. Laureatosi in medicina a Padova, dove strinse amicizia con il giovane botanico Ciro Pollini (1782-1833), divenne medico condotto prima a Tremosine sul lago di Garda, poi a Bovegno nella alta Val Trompia; questo villaggio già alpestre, circondato da monti dolomitici e posto alla convergenza di una serie di valli minori, all'epoca ancora semi isolato (vi arrivò nel 1804, quattro anni prima che fosse costruita la carrozzabile per Brescia) sembrava fatto su misura per lui. Non lo avrebbe più lasciato fino alla morte, quarant'anni dopo. Si sposò con una ragazza del posto e, oltre che come medico condotto, esercitò la professione come anatomo-patologo presso l'ospedale locale. I suoi variegati interessi scientifici (che spaziavano dall'anatomia alla micologia, dalla meteorologia all'analisi delle proprietà fisico-chimiche e terapeutiche delle acque locali) gli crearono tra i valligiani la fama di "duturù" (dottorone, gran dottore). Ma la passione dominante era la botanica, cui dedicò una decina di saggi, per lo più presentati ai soci dell'Ateneo bresciano e spesso rimasti manoscritti; si occupò di botanica applicata, studiando le piante tossiche e progettando una Flora medico-economica, ma fu soprattutto un attivo esploratore della flora delle montagne della sua piccola provincia. Cedo la tastiera all'alata prosa del suo primo biografo, Antonio Schivardi: "a tutto ardore portavasi sugli erti monti, nelle selve, in orridi dirupi e burroni ad osservare, dal rovere gigante che con l'annoso capo saluta le nubi al muschio pigmeo che tutto al suolo aderisce, per sorprendere al loro nascere, alla loro germinazione e per isvellere dal tuo regno, o natura, i misteri". Percorrendo e ripercorrendo quelle montagne (ci rimangono i racconti di due ardue escursioni nelle Alpi bresciane e bergamasche, rispettivamente nel 1825 e nel 1836) incontrò molte piante rare e non pochi endemismi, che poi inviava perché fossero conosciuti e descritti ai suoi corrispondenti: all'amico Ciro Pollini, a Giuseppe Moretti prefetto dell'Orto di Pavia, a Antonio Bertoloni, autore della celebre Flora italica. A una sola ebbe in sorte di dare il nome, Laserpitium nitidum Zant., il laserpizio insubrico; ma fu anche il primo - o tra i primi - a segnalare Ranunculus bilobus Bertol., Campanula elatinoides Moretti, Moehringia glaucovirens Bertol., Silene elisabethae Jan, Saxifraga arachnoidea Sternb., Arabis pumila Jacq, (primo rinvenimento in Italia), Campanula raineri Perpenti, Physoplexis comosa (L.) Schur (primo rinvenimento in questo settore delle Alpi). Tutte specie rare, per lo più rupicole, molte delle quali bellissime, che potete ammirare nella gallery. Rimase manoscritta la progettata Flora bresciana. Dopo una lunga vita trascorsa attivamente nel borgo montano che era divenuto la sua patria d'elezione, Zantedeschi si spense dopo breve malattia nel 1846. Lascio nuovamente la parola a Schivardi, che lo ritrae come un ottocentesco filosofo stoico: "Beato nella solitudine di Bovegno, superiore alle lusinghe e all'ira dell'instabile diva [ovvero la fortuna], straniero ad ogni pubblico e privato avvenimento, lontano dal rammaricarsi per le male opere degl'invidi, degli scioperati e dei detrattori dell'altrui fama; d'indole franca, confidente, pacifica; d'umor gioviale, di tratto cortese, dignitoso, libero, percorse la sua lunga carriera nel costante uso delle sociali virtù, nelle utili discipline, tutto raccolto nella scienza, che per dieci lustri professò ed onorò". Molina di Fumane, il suo paese natale, ho voluto onorarlo con il Museo Botanico della Lessinia, che espone circa 300 specie della Lessinia e della Valpolicella. Una star internazionale Più del suo contributo alla conoscenza della flora di un lembo della catena alpina, a immortalare il dottor Zantedeschi è il notissimo genere che gli è stato dedicato. Non sappiamo perché Sprengel (che non ha lasciato alcuna nota in proposito) abbia scelto proprio lui; diverse fonti sostengono che fosse tra i suoi corrispondenti, ma non sono riuscita a verificare questa informazione. In ogni caso le sue scoperte dovettero dargli una modesta fama tra i botanici del tempo. Fu così che lo schivo dottore diede il nome a piante lontanissime, sotto ogni aspetto, dalle sue adorate specie rupicole. Il genere Zantedeschia Spreng, appartenente alla famiglia Araceae, comprende otto specie di erbacee con radici rizomatose provenienti soprattutto dal Sud Africa, con una sola specie che si spinge più a nord fino alla Tanzania e all'Angola; sono caratterizzate da una vistosa spata, ovvero una brattea che simula un petalo, che avvolge lo spadice, la vera infiorescenza. Molto a lungo in Europa si è conosciuta una sola specie, Z. aethiopica, che come ho anticipato arrivò negli ultimi decenni del Seicento. Piuttosto rustica, adattabile e di non difficile coltivazione, divenne presto popolare, tanto che il Dizionario di Miller (1768) la definisce "un vecchio abitante dei giardini inglesi". Dall'Europa giungerà poi nelle Americhe, in Asia e in Australia, tanto che oggi risulta naturalizzata in molti paesi a clima mite o subtropicale, divenendo in alcuni casi anche un'attiva infestante. Coltivata soprattutto per la produzione di fiori recisi, nella seconda metà dell'Ottocento diventa anche uno dei soggetti preferiti della pittura: la dipingono Henri Matisse, Emil Nolde, Diego Rivera (che la ritrae molte volte), Tamara de Lempicka e tanti altri. Il liberty ne fa un motivo ricorrente e si ispira alle sue forme avvolgenti per gioielli, vasi, lampadari. Il successo delle altre specie, che hanno rivoluzionato anche il mercato floricolo, è molto più recente. Al contrario di Z. aethiopica, che se trova le condizioni giuste è sempreverde, esse si comportano come bulbose stagionali e vanno in riposo dopo la fioritura. Molto meno rustiche, di dimensioni più contenute, portano però in regalo agli ibridatori i loro colori: non solo il bianco candido della sorella più nota, ma anche il giallo, il rosa, il rosso, il viola profondo. Grazie al lavoro assiduo degli ibridatori di Stati Uniti (che coprono circa il 50% del mercato), Paesi Bassi e Nuova Zelanda (che si contendono il 45%, lasciando a tutti gli altri le briciole), negli ultimi trent'anni sono state create centinaia di nuove varietà, vendute sempre più, oltre che come fiori recisi, come piante da interno e da aiuole. Qualche approfondimento nella scheda.
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La famiglia Begoniaceae ha una curiosa particolarità: comprende due soli generi, opposti per ampiezza e diffusione. Da una parte c'è l'enorme (e notissimo) genere Begonia, con circa 1400 specie, di casa in una vastissima area tropicale che spazia dall'Asia all'America all'Africa; dall'altra il minuscolo genere Hillebrandia, con una sola specie, raro endemismo di alcune isole dell'arcipelago delle Hawaii. Da quando è stata scoperta nel 1865, Hillebrandia sandwichensis ha destato curiosità per diverse ragioni, non ultima il fatto che è tre volte più antica delle isole dove vive. Anche il suo dedicatario, il medico Wilhelm Hillebrand, è una figura fuori del comune: arrivato nell'arcipelago alla ricerca di un clima propizio alla sua salute, vi visse vent'anni e vi lasciò un'eredità che ha contribuito non poco a riplasmarne la demografia, l'economia e la stessa storia naturale. Pioniere dello studio delle piante delle Hawaii, è autore di una monumentale flora che ancora dopo oltre un secolo è considerata un testo di riferimento. Vent'anni nelle isole Nell'Ottocento la tubercolosi, di cui non si conoscevano ancora né le cause né la cura, era tanto diffusa da essere soprannominata "male del secolo". Uno dei pochi rimedi per provare a sfuggirvi era, letteralmente, cambiare aria: nei sanatori in montagna, nel clima mediterraneo (come fece inutilmente Chopin a Maiorca), nei mari del sud (come fece, anch'egli senza successo, Stevenson). Tra questi "viaggiatori della salute" c'è anche il medico tedesco Wilhelm Hillebrand (1821-86); dopo aver esercitato qualche anno la professione in patria, essendo appunto malato di tubercolosi lasciò la Germania per cercare salvezza in un clima più caldo e propizio. Provò in Australia, nelle Filippine, in California, finché alla fine del 1850 arrivò alle Hawaii. Notando un immediato giovamento, decise di fermarsi. Ci sarebbe rimasto vent'anni. Divenne un medico di successo, che contava tra i suoi pazienti la stessa famiglia imperiale, medico capo del Queen Hospital, membro del Dipartimento della Sanità, studioso di malattie tropicali, primo vicepresidente dell'Hawaiian Medical Society. Il suo coinvolgimento nella vita dell'arcipelago non si limitò al campo sanitario; dopo aver dato una costituzione al paese, il re Kamehameha V lo volle nel proprio Consiglio segreto. Nel 1865, quando con la famiglia intraprese un viaggio di piacere in Asia orientale, Hillebrand venne nominato Commissario all'immigrazione, con l'incarico di facilitare l'immigrazione di lavoratori asiatici che potessero sostituire i nativi decimati delle epidemie. Grazie al suo impegno, arrivarono così nelle isole le prime decine di cinesi (oggi gli asiatici costituiscono il 38,6% della popolazione delle isole, una delle più multietniche del globo). Durante questo viaggio, durato circa un anno, per incarico della Hawaiian Agricultural Society, che aveva deliberato un finanziamento di 500 dollari, ricercò piante e animali da introdurre nelle isole. Fu così che da Calcutta, Singapore e Ceylon, al sicuro nelle scatole di Ward, arrivarono pianticelle di arance, mandarini, litchi, jackfruit, Prunus mume, plumerie, banyan, eugenie, canfora, cinnamomo. Come gli esseri umani che Hillebrand contribuì a far giungere nelle Hawaii, anche le piante dal lui introdotte hanno mutato il volto dell'arcipelago; molte vi sono oggi largamente coltivate, come il litchi di cui le Hawaii sono uno dei massimi produttori mondiali o la plumeria, che delle isole è addirittura diventata il simbolo; altre si sono naturalizzate a discapito della flora nativa. Molte essenze tropicali Hillebrand le acquistò per il suo stesso giardino, che sorgeva alle porte di Honolulu in un terreno che nel 1853 gli era stato ceduto dalla regina Kalama perché vi costruisse la sua casa. Il medico tedesco lo trasformò in un raffinato giardino botanico, dove accanto alle piante native crescevano quelle portate dai suoi viaggi, con boschi, cascatelle, spazi per gli animali esotici. Nel 1884, quando capì che non sarebbe più tornato alle Hawaii, Hillebrand lo vendette alla famiglia Foster, che continuò a sviluppare il giardino. Nel 1930, l'ultima proprietaria, Mary E. Foster, lo lasciò in eredità alla città a condizione che diventasse un parco pubblico. Oggi, con il nome Foster Botanical Garden, è il più antico degli orti botanici delle Hawaii, famoso soprattutto per la sua collezione di orchidee. Nell'estate del 1871, per permettere al figlio maggiore di seguire una scuola preparatoria negli Stati Uniti e poi l'università in Germania, Hillebrand lasciò le Hawaii con la famiglia; trascorse l'inverno successivo a Cambridge Massachussets dove Asa Grey lo aiutò a identificare le specie che aveva raccolto nel ventennale soggiorno nell'arcipelago, in vista della pubblicazione di quella che sarebbe diventata la sua Flora of Hawaiian Islands. Dopo qualche anno tra Svizzera e Germania, la salute malferma della moglie lo spinse a trasferirsi per qualche tempo a Madeira quindi a Tenerife. Nel 1877 ritornò definitivamente in Germania, continuando fino alla morte a lavorare alla sua opera. Rimase comunque in contatto con le Hawaii; in particolare, trovandosi a Madeira proprio mentre imperversava l'epidemia di peronospora, che aveva lasciato centinaia di viticoltori sul lastrico, promosse il trasferimento nelle Hawaii di molte famiglie. Lo stesso fece poi anche dalla Germania. Una sintesi della sua vita nella sezione biografia. La monumentale opera di una vita Fin dal suo arrivo nell'arcipelago, Hillebrand, che già si interessava di botanica e aveva raccolto piante durante il breve soggiorno in Australia, fu colpito dalla ricchezza e dalla diversità della flora dell'arcipelago. Incominciò così a raccogliere campioni di erbario, che inizialmente inviò all'orto botanico di Melbourne (alcuni sono preziosissimi perché costituiscono l'unica testimonianza di specie che nel frattempo si sono estinte), quindi a Berlino (in gran parte purtroppo perduti durante la Seconda Guerra Mondiale). Decise quindi di esplorare in modo sistematico l'arcipelago, con l'obiettivo di scrivere una flora il più possibile completa delle specie autoctone e introdotte. Nell'arco di vent'anni, spesso accompagnato dal figlio maggiore William Francis - che sarebbe divenuto un chimico di fama mondiale - visitò tutte isole maggiori dell'arcipelago (Hawaii, Kauai, Oahu, Molokai, Lanai, Maui). Era anche in contatto epistolare con molti botanici, soprattutto statunitensi, che grazie al suo esempio furono stimolati ad interessarsi di questa flora così peculiare. Dopo vent'anni di ricerca sul campo e altrettanti di studio dei materiali raccolti, Hillebrand riuscì a completare il suo opus magnum proprio alla vigilia della morte, intervenuta, inattesa, nel 1886. In quel momento, parte del manoscritto si trovava nelle mani dello stampatore, che ne aveva tirato qualche foglio di prova. Ad assumersi il compito di curane la pubblicazione postuma fu così il figlio William Francis, con l'aiuto di un amico del padre, il professor Askenasy di Heidelberg. Rimase in parte incompleta proprio l'introduzione, un interessantissimo saggio in cui Hillebrand analizza le peculiarità della flora hawaiiana, frutto dell'isolamento, del vulcanismo e di un clima quanto mai favorevole; non mancano i paralleli con altre due flore insulari ricche di endemismi, quelle di Madeira e delle Canarie. Secondo i suoi calcoli, su 999 specie recensite, ben 653 erano endemiche (una percentuale quasi senza paragoni), 207 native ma presenti anche altrove, 24 introdotte dagli hawaiani in tempi remoti, 115 di recente introduzione; proprio queste ultime si sarebbero rivelate un pericolo mortale per le specie autoctone, molte delle quali, da quando Hildebrand le segnalò, sono scomparse proprio a causa della pressione antropica, inclusa l'introduzione di piante aliene (e, come abbiamo visto, il nostro ben intenzionato dottore diede il suo contributo forse più di ogni altro). Benché privo di figure, se si escludono le mappe delle isole, il ponderoso volume fu una pietra miliare nello studio della flora hawaiana, un'opera di riferimento imprescindibile per tutti gli studiosi successivi, tanto da essere ancora ristampata (con l'aggiunta di immagini e previa la modernizzazione della nomenclatura) nella seconda metà del Novecento. I misteri di Hillebrandia E' ovvio che questo pioniere dello studio della flora delle Hawaii sia ricordato da diverse piante di quelle isole, come Embelia hillebrandii, Isodendrion hillebrandii, Suttonia hillebrandii, Pritchardia hillebrandii. Nel 1865 nell'isola di Maui egli raccolse una curiosa Begoniacea; ne informò il direttore di Kew, W.J. Hooker; fu così che Daniel Oliver, curatore dell'erbario di quel giardino botanico, poté studiarla e assegnarla non solo a una specie nuova, ma a un nuovo genere con il nome Hillebrandia sandwichensis. Si tratta dell'unica rappresentante di questa famiglia a non appartenere al genere Begonia (che di specie ne comprende più di 1400). Le differenze principali riguardano l'ovario libero nel suo terzo superiore, la presenza di tepali raccolti in due serie di verticilli nei fiori femminili, nonché alcune particolarità dei frutti e del polline. Un tempo era presente nelle isole di Kaui, Maui e Molokai, oggi è limitata alle prime due, dove sta diventando sempre più rara. Il suo habitat - simile a quello di molte Begoniae - sono gli ombrosi e umidi burroni della foresta pluviale di montagna, tra 900 e 1800 m. Nota nelle isole con il nome aka'aka'awa', è un'erbacea rizomatosa di raffinata bellezza, alta oltre un metro con grandi foglie palmate e grappoli di delicati fiori bianco-rosati, con 8-10 tepali a simmetria radiale. Recenti studi filogenetici hanno confermato la sua appartenenza a un genere proprio. A fare discutere è la sua origine: è l'unica rappresentante della sua famiglia a vivere nell'arcipelago e, per la sua struttura, risulta più arcaica delle sue sorelle Begoniae, da cui si ritiene si sia separata tra 51 e 65 milioni di anni fa. Da dove, quando e come è arrivata nelle Hawaii, che, almeno nel loro stadio attuale, sono di 20 milioni di anni più giovani? Considerando che le isole di oggi sono il risultato di sollevamenti della crosta terrestre e di eruzioni vulcaniche relativamente recenti, ma devono essere state precedute da isole più antiche, oggi livellate e scomparse, l'ipotesi più verosimile è che la nostra pianta relitta, dopo essere giunta dall'area Maleso-Pacifica, dove era nata ed oggi è scomparsa, vivesse in isole del Pacifico oggi sommerse e sia riuscita a sopravvivere a tanti sconvolgimenti e catastrofi trasportata da un'isola all'altra sulle ali (o meglio sulle zampe) degli uccelli che anche oggi provvedono alla dispersione dei suoi semi. Qualche approfondimento nella scheda. Gli spagnoli li chiamavano semplicemente amapola, "papavero" o copa de oro. Ogni anno, a milioni rivestono di un tappeto d'oro le praterie della California che li ha scelti come proprio simbolo floreale. A questi fiori così semplici, così campagnoli, è stato assegnato uno dei nomi botanici dalla grafia più terroristica, Eschscholzia californica. Eppure a ideare questa mostruosità è stato un poeta. La colpa, più che sua, è di una duplice trascrizione: dal tedesco al russo, quindi dal russo al latino della botanica. A farne le spese anche il buon dottor Eschscholtz (nato altrove, si sarebbe chiamato Escholz): lo abbiamo incontrato come membro della prima spedizione Kotzebue insieme all'amico Adelbert von Chamisso (il poeta in questione); ora ci farà da guida nella seconda. Scopriremo poi che Eschscholzia californica ha tante sorelle, bellissime e ardimentose foglie dei deserti. Un fiore semplice dal nome terroristico Nell'ottobre 1816, quando i russi gettarono l'ancora nella baia di San Francisco, Adelbert von Chamisso fu piuttosto deluso; in quella stagione ormai autunnale le fioriture erano ben poche e la maggior parte delle piante apparivano disseccate dal sole estivo; gli sembrava di vedere solo cadaveri vegetali, tanto che parlò di "botanica forense". A rallegrare lui e l'amico Eschscholtz, lo zoologo e medico di bordo della Rjurik, le ultime tardive fioriture di una papaveracea dai fiori d'oro, che Chamisso avrebbe poi battezzato Eschscholzia californica. Esuberanti e generose, in primavera fioriscono a milioni, ma le fioriture possono prolungarsi sporadicamente fino all'autunno. Fu così che a questo fiore dalla bellezza semplice fu associato un nome dalla grafia terroristica. Scopriamo perché. Johann Friedrich Gustav von Eschscholtz era un tedesco baltico, nato a Dorpat (oggi Tartu), di lingua tedesca ma suddito russo. La grafia originaria del suo cognome era Escholtz (o anche Escholz), che nella trascrizione in cirillico diventa Эшшольц, ripetendo due volte il carattere corrispondente al trigramma tedesco sch. Ritraducendo in alfabeto latino, il tutto produce appunto Eschscholtz, la forma adottata in tutte le sue opere a stampa dal nostro dottore. Chamisso si adeguò, denominando il genere che celebra l'amico Eschscholzia (se non altro, risparmiò una t). Eschscholtz aveva studiato medicina e chirurgia all'Università di Dorpat, divenendo il più promettente allievo e l'assistente di von Ledebour. Quando fu scelto come medico di bordo e zoologo della Rjurik aveva appena ventidue anni. Era un naturalista entusiasta, appassionato soprattutto di insetti, ma pronto a estendere le sue osservazioni a tutti i campi della natura. Tra l'altro, fu il primo a segnalare il fenomeno del ghiaccio fossile (o permafrost), che poté studiate nella penisola di Seward in Alaska. Come quelle di Chamisso, le sue collezioni botaniche furono pubblicate in diverse riviste e in appendice alla relazione di viaggio di Kotzebue, A voyage of discovery into the South Sea and Beering's Straits … undertaken in the years 1815-1818 … under the command of the Lieutenant … Otto von Kotzebue (1821). Al suo rientro a Dorpat, si sposò con la sorella del maestro e iniziò una promettente carriera accademica; nel 1819 fu nominato aggiunto di anatomia e nel 1822 direttore del gabinetto zoologico. Pubblicò anche le sue scoperte entomologiche in Entomographien (1822). Intanto in Russia si andava preparando una terza circumnavigazione del globo. Nuovamente affidata al comando di Kotzebue (che nel frattempo era stato promosso capitano), avrebbe dovuto riprendere gli obiettivi di quella precedente, ma con mezzi maggiori, a partire dalla nave, la Predpriatie, una fregata con un equipaggio di 145 persone (la Rjurik ne ospitava 32). A bordo ci sarebbe stata anche un'équipe scientifica, interamente formata da giovani studiosi dell'Università di Dorpat; a capeggiarla fu chiamato proprio il nostro Eschscholtz, che era anche il medico di bordo. Gli altri erano l'astronomo Ernst Wilhelm Preuss, il geologo Ernst Hoffmann e il chimico e fisico Emil Lenz. Come si vede, nessun botanico; evidentemente, l'ammiragliato condivideva il punto di vista di Kotzebue e di tanti capitani, a cominciare da Cook: in una spedizione oceanografica, i botanici non servivano a niente e creavano solo guai. La Predpriatie avrebbe anche dovuto scortare una flotta di rifornimenti per l'America russa. Ma all'ultimo momento gli obiettivi furono cambiati; vista la sempre più agguerrita concorrenza di cacciatori di pellicce di altre nazioni, avrebbe dovuto soprattutto proteggere gli interessi russi, scoraggiando la penetrazione altrui lungo la costa nordoccidentale dell'Alaska. La seconda spedizione Kotzebue La Predpriatie salpò da Kronstadt il 28 luglio 1823 e seguendo la rotta ormai consueta il 23 dicembre doppiava Capo Horn; dopo una breve sosta a Talcahuano in Cile, si diresse a Tahiti, passando per l'arcipelago delle Tuamotu, dove toccò diverse isole scoperte in spedizioni precedenti e ne scoprì una nuova, battezzata appunto Predpriatie. Kotzebue giunse a Tahiti il 14 marzo 1824 e, dopo aver incontrato diversi membri della London Missionary Society, ne ripartì il 24. Proseguendo verso nord, incontrò varie isole degli arcipelaghi della Società e delle Sottovento, scoprendo l'atollo di Motu Onu (ribattezzato Bellingshausen in onore del celebre esploratore russo). La rotta proseguì attraverso le Samoa, dove furono scambiati maiali e altre provviste con gli indigeni, la catena Radak e le Marshall, già toccate durante il primo viaggio. Dopo una breve sosta a Petropavlovsk in Kamčatka, i russi raggiunsero le Aleutine e l'avamposto di Novoarchangelsk (Sitka) in Alaska, dove trascorsero i mesi estivi, impegnati in operazioni di pattugliamento. Scendendo a sud per svernare, il 27 settembre gettavano l'ancora nella Baia di San Francisco; rispetto alla visita della Rjurik, la situazione politica era totalmente mutata. Ora sul forte sventolava la bandiera messicana (nel 1822 l'Alta California si era infatti resa indipendente dalla Spagna). Il soggiorno si protrasse fino alla fine di novembre; grazie all'ospitale comandante della piazza, Eschscholtz ebbe l'opportunità di viaggiare in battello fino a Santa Clara e soprattutto di visitare l'avamposto russo di Fort Ross, nei pressi di Sonora, che era stato creato nel 1812 dalla compagnia russo-americana. Fu un viaggio avventuroso nel corso del quale poté incrementare le sue raccolte di insetti e osservare molte specie di uccelli; emozionante il viaggio di ritorno con una flottiglia di baidarke, i kayak degli Aleutini al servizio della compagnia. A novembre, insieme al comandante (con cui cui si intendeva molto di più di Chamisso) risalì il fiume Sacramento in una piacevole gita di più giorni; osservarono molti animali selvatici e fecero una scorpacciata degli acini, piccoli ma dolcissimi, delle viti selvatiche che si arrampicavano sugli alberi lungo le rive, predicendo un sicuro futuro vinicolo alla California. Con molto sangue freddo, Eschscholz rese inoffensivo e catturò un piccolo serpente a sonagli; conseguenze più sgradevoli ebbe l'incontro con una puzzola. Il secondo soggiorno californiano di Eschscholtz fu molto più produttivo del primo: circa duecento specie di insetti, tutti ignoti alla scienza tranne uno; una vasta collezione di molluschi; numerosi uccelli e anfibi; una quarantina di specie di uccelli; in tutto, registrò circa 2400 animali. Raccolse anche qualche nuovo esemplare di pianta, anche se queste collezioni sono difficili da distinguere da quelle del 1816; le pubblicò infatti insieme in Descriptiones plantarum novae Californiae, adjectis florum exoticorum analysibus (1826) che è anche la prima pubblicazione scientifica nel cui titolo si menziona la California. Lasciata la quale, il 12 dicembre Kotzebue era di nuovo a Honolulu, dove fece omaggio al ministro Kalaimoku di una copia calcografica del ritratto del re Kamehameha dipinto da Choris. Alla fine di gennaio, lasciate le Hawaii, si tornò a nord, puntando direttamente sull'Alaska; i mesi da marzo a agosto 1825 vennero di nuovo trascorsi a Novoarchangelsk. Con la fine dell'estate, giunse il momento del ritorno; di nuovo a Honululu il 13 settembre, dopo una sosta di appena sei giorni, la Predpriatie, attraverso le Marshall e le Marianne, si diresse a Manila per le riparazioni necessarie ad affrontare l'Oceano aperto. Ne ripartì il 10 gennaio 1826 e, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, era di ritorno a Kronstadt il 10 luglio. Rispetto alla spedizione della Rjurik, quella della Predpriatie, che si mosse in gran parte lungo rotte già percorse e si trattenne per molti mesi in Alaska, fu molto meno ricca di scoperte geografiche, limitate ad alcuni atolli nelle Tuamotu, nelle isole della Società e nelle Marshall; uno fu dedicato proprio al nostro Eschscholtz, ma noi siamo abituati a chiamarlo con il nome locale Bikini. Rilevanti furono invece i risultati oceanografici, in particolare le misure delle temperature delle acque oceaniche profonde condotte da Emil Lenz (destinato a diventare un importantissimo scienziato). Di grande importanza per la storia della zoologia anche il lavoro di Eschscholtz, che, oltre che in California, fece raccolte significative di insetti anche in Alaska e nelle Hawaii. Nel 1825 nelle Marshall scoprì il primo esemplare di Balanoglossus. Di ritorno a Dorpat, fu nominato professore di zoologia e contribuì per le parti naturalistiche alla relazione di Kotzebue, nell'edizione inglese A new voyage round the world in the years 1823, 24, 25, and 26. Cominciò a lavorare a un grande atlante illustrato delle specie da lui scoperte; per identificare e classificare le numerose specie nuove di insetti (soprattutto coleotteri e lepidotteri), andò a Parigi a consultare l'esperto di coleotteri Pierre François Dejean. Purtroppo, morì improvvisamente ad appena 37 anni e il suo Zoologischer Atlas (1829-1833) uscì parzialmente postumo. Molte delle specie da lui raccolte furono descritte da altri, tra cui lo stesso Dejean, lo svedese Carl Gustaf Mannerheim e il tedesco naturalizzato russo Gotthelf Fischer von Waldheim. Una sintesi della vita troppo breve di questo grande zoologo nella sezione biografie. Eschscholzia, sognando California Il genere Eschscholzia, creato da Chamisso nel 1820, è strettamente legato alla California. Eccetto due, tutte le sue quattordici specie vi sono presenti; le spettacolari fioriture di Eschscholzia californica, la specie di nota e diffusa, in primavera trasformano le praterie della penisola in tappeti d'oro. La distesa più impressionante è la riserva dell'Antelope Valley nel deserto del Mojave, dove i "papaveri della California" coprono 1.745 acri; altre fioriture notevoli si possono godere nella Bear Valley, nel Carrizo Plain e a Point Buchon. Niente da stupirsi che siano stati scelti come simbolo floreale dello Stato di California. Piante adattabili, sono presenti in diversi habitat, dal livello del mare fino a 2000 metri, lungo la costa come nei deserti interni; prediligono le praterie aperte, ma crescono anche lungo le strade e in luoghi sassosi e sabbiosi. La fioritura è lunghissima, con un periodo che varia di anno in anno in base al regime delle piogge; può iniziare a febbraio e protrarsi fino a settembre (o oltre: come abbiamo visto, Chamisso e Eschscholtz la raccolsero a ottobre). E' anche piuttosto variabile, con varietà annuali e perenni; varia anche il colore dei petali: oltre al giallo aranciato prevalente, ci sono varietà giallo più o meno chiaro, bianche, rosate o rossastre. Ne hanno approfittato i vivaisti per creare numerose cultivar, alcune delle quali a fiori doppi. Diffusa nelle aree temperate di tutto il mondo come pianta da giardino, è arrivata anche dove non avrebbe dovuto. Si dice che quando finì la corsa all'oro, i minatori che andarono a cercare fortuna in Cile, in Nuova Zelanda e in Australia portarono con sé involontariamente i semi di E. californica mescolati alla sabbia della California usata come zavorra delle navi. Sia come sia, oggi in Cile i papaveri della California formano distese ancora più grandi e vigorosi di quelle della loro terra natale, a scapito delle piante native. Ma non c'è solo E. californica. C'è almeno una dozzina di altre specie, molte delle quali sono annuali degli ambienti desertici della California e degli stati adiacenti. Per conoscerle più da vicino, leggete la scheda, dove troverete anche informazioni sulle più interessanti cultivar di E. californica. Adelbert von Chamisso è uno dei più importanti scrittori della prima generazione romantica tedesca, noto soprattutto per il romanzo fantastico "Storia meravigliosa di Peter Schlemihl" ma anche per poesie che ebbero l'onore di essere musicate da Schumann. Meno nota al grande pubblico la sua attività di botanico, culminata con la nomina a curatore dell'orto botanico di Berlino. Ma soprattutto, proprio in questa veste partecipò alla seconda circumnavigazione russa, molto più ricca di scoperte naturalistiche della prima. Seguiamolo dunque lungo le tappe di quel viaggio in Brasile, Polinesia, Micronesia, Alaska, California; a tenere saldo il timone il capitano Kotzebue, che di un poeta era figlio; a ritrarre piante, animali e paesaggi esotici il notevole pittore Louis Choris; a raccogliere insetti e a collaborare nella raccolta di piante con Chamisso, cui lo legò un'amicizia fraterna, il medico di bordo e grande zoologo Johann Friedrich von Eschscholtz. L'importanza delle ricerche del nostro poeta-botanico è testimoniata dalle numerose piante che lo ricordano nel nome specifico e dai molti generi che gli furono dedicati, tre dei quali attualmente validi: Camissonia, Chamissoa, Camissoniopsis. Da Peter a Adalbert: come un poeta divenne naturalista Nato in una nobile famiglia francese con il chilometrico nome Louis Charles Adélaïde de Chamissot de Boncourt, la burrasca della rivoluzione francese lo priva del suo status e di una patria, e lo deposita a Berlino, dove diventa Adelbert von Chamisso. Gli anni dell'adolescenza e della giovinezza sono travagliati e solitari; figlio di due patrie l'una contro l'altra armate, è ovunque straniero: da militare nell'esercito prussiano, da insegnante mancato in Francia, da intellettuale in Svizzera alla corte di Mme de Stael e a Berlino tra i giovani esponenti del romanticismo. Vuole essere con tutte le sue forze un poeta, e un poeta tedesco, ma ancora gli manca la voce. Sotto forma di fiaba questo travaglio, questa instabilità trovano espressione della sua opera più nota, il romanzo breve "Storia meravigliosa di Peter Schlemiel", che iniziò a scrivere per divertire i figli di un amico e pubblicò nel 1814. La storia è semplice: Peter per conquistare la donna amata vende la sua ombra a un misterioso personaggio, che in realtà è il demonio. Diverrà ricco, ma, privo di ombra, sarà rigettato dal consesso umano, perdendo anche colei che ama. Alla fine, inaspettatamente, dopo aver donato in beneficenza quel denaro mal guadagnato, verrà per caso in possesso degli stivali delle sette leghe e si trasformerà in viaggiatore e scienziato; lasciamogli la parola: "Un antico errore mi precludeva ogni contatto umano e in compenso ero indirizzato alla Natura, oggetto da parte mia di incessante amore. La Terra sarebbe stato il mio giardino, lo studio il sostegno della mia vita, la scienza il mio traguardo!" E' l'allegoria del percorso esistenziale di Chamisso in quegli anni; in Svizzera ha iniziato a studiare scienze naturali, soprattutto botanica, e ha continuato quegli studi a Berlino, dove è tornato nel 1813. E qui i suoi stivali delle sette leghe si materializzano sotto forma di un articolo di giornale; legge che in Russia si sta preparando una grande spedizione intorno al mondo. Per dare ancora la parola a Peter, "Non si trattava di prendere una decisione, ma di accettare un'offerta". Adelbert muove tutte le sue pedine per cogliere questa occasione, sollecitando tra l'altro la mediazione del celebre drammaturgo August von Kotzebue. Che altri non è che il padre dell'ufficiale che comanderà la spedizione, Otto von Kotzebue. Sarà il caso di fare un passo indietro. Proprio mentre la spedizione Krusenstern ritornava in patria, in Europa riprendevano le guerre, rendendo impossibile per l'Impero russo finanziarne altre. Gli unici a continuare a crederci erano proprio Krusenstern e il ministro Rumjancev, soprattutto dopo la sua caduta in disgrazia e il ritiro dalla vita politica. Insieme elaborarono un nuovo progetto, più limitato ma non meno ambizioso. Cinquant'anni di sforzi avevano dimostrato che tutte le vie sperimentate fino ad allora per rifornire le colonie dell'America russa erano fallimentari: impossibile raggiungerle attraverso il mare Artico per l'impraticabilità di quel mare; troppo lunghe, costose e piene di insidie sia la via di terra attraverso la Siberia sia la via di mare, circumnavigando il globo. Rimaneva una quarta possibilità: trovare il passaggio a Nord ovest che, mettendo in collegamento il Pacifico con l'Atlantico, dimezzasse d'un tratto la distanza tra la Russia e l'Alaska. L'avevano già cercato inutilmente Cook, Vancouver e molti altri; ciò non di meno, lo sperimentato uomo di mare e il vecchio ministro ci credevano davvero. La spedizione, integralmente finanziata da Rumjancev, sarebbe stato limitata negli obiettivi, nei mezzi e negli uomini. Una sola piccola nave, il brigantino Rjurik, armato con 8 cannoni e costruito sotto la supervisione dello stesso Krusenstern; 32 uomini tra ufficiali, marinai e scienziati; istruzioni precise: raggiungere lo stretto di Bering ripercorrendo la rotta della spedizione Krusenstern; in una prima campagna estiva, trovare punti d'ancoraggio adeguati a nord dello stretto; in una seconda campagna, cercare il possibile imbocco del passaggio a nord-ovest. Sarebbe stata una spedizione oceanografica, ma anche naturalistica; a bordo, una piccola équipe di scienziati. C'era un abile disegnatore, Louis Choris, che benché avesse appena vent'anni aveva già partecipato a una spedizione in Caucaso; due i naturalisti inizialmente previsti, il botanico Carl Friedrich von Ledebour dell'Università di Dorpat/Tartu e il suo allievo Johann Friedrich Eschscholtz (o Escholtz) come zoologo e medico di bordo. La rinuncia di Ledebour per motivi di salute aprì le porte al nostro Adelbert von Chamisso, che avrebbe servito anche come interprete. Durante la sosta a Copenhagen si aggiunse come volontario il botanico danese Morten Wormskjold. Merita due parole di presentazione anche il comandante Otto von Kotzebue; al momento della partenza aveva 27 anni, ma era già un veterano dei viaggi transoceanici. Il padre, come si è detto, era il celebre drammaturgo August, la madre un'esponente di un'importante famiglia della nobiltà tedesco-baltica; entrato all'accademia militare a sette anni, alla morte della madre, aveva incominciato ad appassionarsi di mare e di viaggi; a sedici anni non ancora compiuti, insieme a suo fratello Moritz, di due anni più giovane, aveva servito come guardiamarina sulla Nadežda, l'ammiraglia della spedizione Krusenstern (cugino della sua matrigna). Promosso luogotenente, era la persona ideale per raccogliere il testimone del suo vecchio comandante e guidare la seconda circumnavigazione russa intorno al globo. Alla ricerca del passaggio a nord-ovest Con la benevola approvazione dello zar Alessandro (che non ci mise un rublo ma concesse l'uso della bandiera militare russa), la Rjurik partì da Kronstadt il 30 luglio 1815 e inizialmente si attenne alla rotta della spedizione Krusenstern, con brevi soste a Copenhagen, Plymouth, Tenerife, Santa Catarina in Brasile. Il passaggio di Capo Horn fu difficile, con una tempesta durata sei giorni durante la quale il comandante stesso rischiò di cadere fuori bordo; fu così necessaria una sosta nel porto cileno di Talcahuano (raggiunto il 13 febbraio 1816); il governatore, che all'inizio li aveva scambiati per pirati, li ricevette con grandi onori. Ripartiti il 28 marzo, toccarono l'isola di Pasqua (dove furono molto delusi di non vedere i moai, che si trovavano sull'altro lato dell'isola). Kotzebue decise di puntare direttamente a nord, per raggiungere al più presto la Kamčatka . Lungo la rotta, vennero avvistati e mappati diversi atolli, tra cui le isole Krusenstern nelle Tuamotu. Già il 7 giugno 1816 la Rjurik attraccava a Peterpavlosk, dove venne rivestita di rame, per resistere all'urto dei ghiacci. Il 3 luglio riprendeva il mare, lasciando a terra uno dei tenenti, malato, e il botanico Wormskjold, che si era messo in conflitto con il comandante (esce così dalla nostra spedizione cui non ebbe modo di offrire molti contributi). Con a bordo due soli ufficiali (il comandante Kotzebue e il primo ufficiale Grigorij Šišmarev), durante l'estate la Rjurik esplorò e mappò il grande spazio di mare compreso tra l'isola di San Lorenzo e la costa dell'Alaska; alla metà di agosto, virò verso sud e il 26 agosto era nella baia di Illyuk, nell'isola di Unalaska. Finalmente una sosta per i frustrati naturalisti, che fino ad allora avevano avuto ben poche occasioni di scendere a terra; Eschscholtz era talmente eccitato che si attardò nelle raccolte finché fu sorpreso dal tramonto e rischiò di essere lasciato a terra dal poco paziente comandate. Era infatti ora di lasciare quelle latitudini settentrionali per andare a svernare a sud. Partita da Unalaska il 14 settembre, il 1 ottobre la Rjurik gettava l'ancora nella baia di San Francisco. Rispetto allo scopo principale della spedizione, le raccolte naturalistiche erano solo secondarie, e il comandante non aveva mancato di farlo notare. Lo spazio su quella piccola nave era molto scarso; tutti i materiali dovevano essere immagazzinati il prima possibile in casse nella stiva, e non lasciati a ingombrare il ponte, pena essere gettati quando prima fuori bordo. A consolare Chamisso dalla relazione non idilliaca con il burbero comandante, c'era l'amicizia con Eschscholtz, in cui aveva trovato un'anima gemella (di lui disse "Era riservato ma sincero e nobile come l'oro"). Era uno zoologo di grande talento, soprattutto un entomologo, ma collaborava con entusiasmo anche alla raccolta delle piante. Dopo l'aspra natura del Nord, la California appariva ricca di promesse. Anche se ormai era autunno e poche piante erano in fioritura, non mancavano le specie interessanti e nuove per la scienza. Alla fine il bottino fu di due nuovi generi (Lessingia e Escscholzia) e trentatré nuove specie, tra cui Lupinus chamissonis, Plagiobothrys chorisianus (in onore del pittore Choris), Lonicera ledebourii (dedicato da Eschscholtz al suo maestro), Frankenia salina, Carex pachystachya, e la più famosa di tutte, Eschoscholzia californica. Lasciata San Francisco il 20 ottobre, la Rjurik proseguì per Honolulu (15 novembre-2 dicembre) dove il capitano incontrò il re Kamehameha per risolvere una crisi diplomatica causata dal tentativo di penetrazione nelle isole di altre navi russe. Facendo rotta verso nord, toccò poi nuovamente le Marshall già visitate l'anno precedente e mappò altre isole nella catena Rodak; in una di queste volle unirsi a loro un isolano di nome Kadu, che divenne presto amico di Chamisso e suo informatore sui costumi dei suoi conterranei. Il 1 aprile, mentre si dirigeva verso Unalaska, la Rjurik incappò in una tempesta che spezzò il bompresso; diversi marinai furono feriti, ma il più grave era proprio il capitano, che non riuscì più a lasciare il letto. Anche la nave aveva subito gravi danni. Nonostante ciò, giunto a Unalaska il 12 aprile, Kotzbue era deciso a riprendere l'esplorazione estiva utilizzando piccole imbarcazioni manovrate da Aleutini ingaggiati allo scopo. Ma quell'anno il disgelo era in ritardo e la salute del comandante andava peggiorando, tanto che Eschscholtz il 10 luglio, quando fu raggiunto il capo orientale dell'isola di San Lorenzo, lo pregò di desistere, se non voleva rischiare la vita. Il 12 luglio Kotzebue ordinò di rientrare a Unalaska; da qui si proseguì verso sud per le Hawaii, le Marshall, dove fu sbarcato Kadu, e Manila (gennaio 1818) dove la Rjurik venne riparata per affrontare il viaggio di ritorno, attraverso l'Oceano Indiano, il Capo di Buona Speranza (30 marzo) e l'Oceano Atlantico. Dopo un viaggio di 3 anni e 5 giorni, il 3 agosto giungeva infine a Kronstadt. Durante il viaggio, Chamisso e Eschscholtz avevano dovuto sperimentare la frustrazione comune a tutti i naturalisti coinvolti nelle grandi navigazioni: lunghi tratti di mare, soste brevi, l'impazienza degli ufficiali per i quali i "signori naturalisti" erano quasi un peso, l'ignoranza dei marinai (più di una volta le loro preziose erbe divennero imbottiture per i cuscini o furono gettate in mare), ma non si scoraggiarono mai, mettendo insieme una collezione imponente: nelle Aleutine, in California, alle Hawaii, nelle Filippine dovettero raccogliere circa 2500 specie di piante, almeno un terzo delle quali all'epoca ancora non descritte . Per lo studio e la pubblicazione, quelle di Chamisso furono affidate all'orto botanico di Berlino, quelle di Eschscholtz all'Università di Tartu/Dorpat. Riconoscimenti botanici Alla fine del viaggio, Adelbert-Peter aveva ritrovato la sua ombra. Come desiderava, aveva conosciuto il mondo; una grande amicizia aveva infranto il suo muro di solitudine; le scoperte scientifiche gli avevano restituito un ruolo e uno status. L'università di Berlino gli concesse la laurea honoris causa e lo nominò secondo curatore dell'orto botanico; fu ammesso all'Accademia delle Scienze; pubblicò diversi lavori botanici e un piacevolissimo resoconto del suo viaggio (Reise um die Welt, 1836); si sposò e mise su famiglia. Tanti impegni che lo distolsero da quella che in giovinezza aveva sentito come la sua vocazione più profonda, la poesia. Ricominciò a scrivere alla soglia dei cinquant'anni; a partire dal 1829, prese a pubblicare qualche lirica in Deutsche Musenalmanach ("Almanacco Tedesco delle Muse") e nel 1831 diede alle stampe la sua opera più apprezzata, Frauenliebe und -leben ("L'amore e la vita delle donne"), celebre soprattutto per essere stato musicata da Schumann. Ne potete ascoltare qui l'angelica interpretazione di Elly Ameling. Un profilo biografico del nostro poeta-naturalista nella sezione biografie. Per l'indubbio valore delle sue scoperte ma sicuramente anche per la sua duplice condizione di naturalista e poeta, Chamisso ricevette numerosi riconoscimenti nella tassonomia botanica. Sono parecchie decine le specie che si fregiano dello specifico chamissonis, dalla californiana Arnica chamissonis all'hawaiana Cyrtosperma chamissonis, dall'artica Campanula chamissonis alla tropicale Vanilla chamissonis. Gli sono stati dedicati almeno sei generi, di cui tre attualmente riconosciuti. Iniziamo da quelli che non lo sono: Adelbertia (sinonimo di Meriania), dedicatogli da C.D.F. Meisner nel 1837; Chamissomneia (sinonimo di Schlechtendalia), da Kuntze nel 1891; Chamissoniophila (sinonimo di Antiphytum), da Brand nel 1929. La prima dedica tuttora valida arrivò da Kunth, il collaboratore di Bompland e di Humboldt (che possiamo considerare l'eroe e il grande ispiratore di Chamisso) già nel 1817. E' Chamissoa, che include due specie di Amarantaceae native delle Americhe. La più nota è C. altissima, una grande liana diffusa nelle foreste tropicali umide di centro e sud America, con pannocchie di piccoli fiori bianchi e foglie dalle proprietà officinali. Qualche notizia in più nella scheda. L'anno successivo Johann Friedrich Link, superiore di Chamisso in quanto direttore dell'orto botanico di Berlino, gli dedicò Camissonia (nella grafia latinizzata senza acca), sulla base di una graziosa Onagracea che Adelbert aveva raccolto in California. La regione floricola californiana è infatti il centro di biodiversità di questo genere con una storia tassonomica travagliata; oggi gli sono assegnate una dozzina di specie, tutte degli Stati Uniti sud-occidentali, ad eccezione di una sola specie centro e sudamericana. Sono piccole annuali delle aree desertiche con semi capaci di attendere anni la prima pioggia; quando arriverà, germoglieranno e dopo qualche mese trasformeranno quelle plaghe aride in una distesa di fiorellini d'oro. Qualche approfondimento qui. Questo genere, che è arrivato a comprendere oltre 60 specie, è stato ripetutamente sottoposto a revisione finché recentemente è stato smembrato in ben nove generi più piccoli. Uno di essi è Camissoniopsis,W.L. Wagner & Hoch 2007, letteralmente "simile a Camissonia", che comprende quattordici specie di annuali e perenni di breve, tutte presenti in California, anche se alcune di esse si spingono in Oregon, Nevada, Arizona, Baja California. Sono molto simili a Camissonia, ma assai più ramificate e con portamento prevalentemente prostrato. Anch'esse di adornano di piccoli ma deliziosi fiori dorati, che è valso a loro e alle consorelle il nome volgare suncup. Per una selezione delle specie più interessanti si rimanda alla scheda. Altri protagonisti: Wormskjold e Choris Per concludere, due parole sugli altri protagonisti di questa storia che sono stati celebrati da un genere botanico. Tanto onore è toccato, oltre a Chamisso, a Eschscholtz, Wormskjold e Choris. Eschscholtz e il magnifico genere Eschscholtzia meritano un post tutto per loro. Quanto a Morten Wormskjold (1783-1845), nel 1827 il connazionale Peter Thonning gli dedicò Wormskioldia, oggi sinonimo di Tricliceras (Turneraceae). Fu un botanico di un certo rilievo; prima della spedizione Kotzebue, aveva partecipato a viaggi botanici in Norvegia e Groenlandia. Dopo essere stato lasciato in Kamčatka, vi rimase fino al 1818, raccogliendo molti esemplari (sfortunatamente andati perduti in un incendio insieme ai suoi appunti). Gli furono dedicati anche l'alga Urospora wormskioldii e alcune piante come Trifolium warmskioldii. Anche il pittore Louis o Ludwig Choris (1795-1825) fu un personaggio di notevole interesse. Nato in Ucraina da genitori tedeschi, andò a Pietroburgo a studiare arte, ricevendo una formazione anche in scienze naturali. Diciottenne, fu l'artista della spedizione Biberstein in Caucaso; nel 1815 fu scelto tra diversi concorrenti come artista della spedizione Kotzebue, nel corso della quale produsse numerosi acquarelli di grande qualità, in cui ritrasse con realismo e grande vivacità paesaggi, scene di vita quotidiana, indigeni nei loro costumi, animali e piante. Dopo la spedizione, andò a Parigi dove studiò litografia e fu allievo di importanti artisti come Regnault. A partire dai suoi disegni, preparò le tavole che illustrano i diari di viaggi di Kotzebue e Chamisso. Nel 1822 pubblicò in francese il proprio, Voyage pittoresque autour du monde, che contiene anche testi di Cuvier e Chamisso. Nel 1826 comparvero altre 24 litografie sotto il titolo Vues et paysages des régions équinoxiales. Nel 1827 il Jardin des Plantes di Parigi lo inviò in centro e sud America; poco dopo il suo arrivo in Messico, nel 1828 fu assassinato da banditi di strada. Nel 1822 Kunth, che come abbiamo visto aveva reso omaggio anche a Chamisso, creò in suo onore il genere Chorisia (Bombacaceae/Malvaceae), un nome probabilmente ben noto agli appassionati perché ne facevano parte due tra le più belle specie di alberi di fiore, C. speciosa e C. insignis. Ho usato il passato perché il genere è stato sottoposto a revisione nel 1998 da Ravenna, che ha proposto di farlo confluire in Ceiba. Ne sono seguite discussioni, con prese di posizioni diverse, ma oggi prevale la confluenza in Ceiba, anche se nell'uso comune e in molti manuali di giardinaggio Chorisia è tuttora ben presente. Aver partecipato a un viaggio intorno al mondo non bastava a spegnere la sete di conoscenza di Georg Heinrich von Langsdorff, uno dei naturalisti della spedizione Krusenstern. Così, invece di completare la circumnavigazione con i suoi compagni, al ritorno dal Giappone preferì andarsene in Alaska, e da lì in California, da dove rientrò in Russia due anni dopo gli altri, non senza aver attraversato a piedi la Siberia. Ce n'era abbastanza per gettare le basi di una brillante carriera accademica, ma quando gli si presentò l'occasione di andare in Brasile come rappresentante diplomatico dell'Impero russo, sentì irresistibile il richiamo di quel paradiso dei naturalisti che durante la spedizione Krusenstern aveva appena potuto intravvedere. In Brasile, dove sarebbe rimasto 17 anni, fondò una fazenda e la trasformò in un centro d'attrazione per i numerosi naturalisti che visitavano il paese; sostenne e sponsorizzò alcune spedizioni, ad altre partecipò di persona, come quella che lo vide esplorare lo stato di Minas Gerais insieme a Augustin de St. Hilaire. Ma soprattutto organizzò e diresse un'epica spedizione da Sao Paulo a Parà, sul Rio delle Amazzoni (1822-28), che purtroppo gli costò la salute fisica e mentale. Riportato dai suoi in Germania, visse ancora a lungo, ma, privo di senno, non ricordava neppure di essere stato in Brasile. Purtroppo per la scienza, ciò significò che le sue enormi collezioni giacquero dimenticate e inedite nei magazzini di varie istituzioni russe per oltre un secolo. Non era stato dimenticato però nella tassonomia botanica, dove lo ricorda il singolare genere parassita Langsdorffia. Fame in Alaska e una deludente visita a San Francisco La nostra storia inizia in un albergo di Copenhagen, in una giornata di fine agosto 1803. L'albergatore informa un cliente appena arrivato che proprio lì alloggiano alcuni ufficiali delle navi Nadežda e Neva. Quel viaggiatore è il medico tedesco Georg Heinrich von Langsdorff; qualche mese prima, quando ha saputo della spedizione, ha presentato la sua candidatura come naturalista, ma, nonostante le raccomandazioni, essa è stata respinta. Gli è stato detto che un naturalista c'è già (lo conosciamo, è Wilhelm Gottlieb Tilesius). Ma Langsdorff non è tipo da rassegnarsi; si è precipitato a Copenhagen per perorare la sua causa e ora il caso l'ha condotto nel posto giusto. Gli sembra un auspicio fortunato che lo incoraggia a presentarsi all'ambasciatore Rezanov il quale lo ascolta benevolo e lo accompagna dal comandante Krusenstern. Anche il capitano si convince, e Langsdorff diventa il secondo naturalista della prima circumnavigazione russa del globo. Al momento, aveva sono 29 anni, ma non era un novellino; era stato in Portogallo come medico militare, aveva visitato Londra e Parigi. Come il suo contemporaneo Humboldt, era posseduto dal sacro fuoco della ricerca e quel viaggio intorno al mondo sembrava fatto per lui. La realtà però si dimostrò inferiore alle aspettative: pochi soggiorni a terra, nessun aiuto nelle ricerche, difficoltà a preparare e conservare adeguatamente gli esemplari in quei climi estremi, la rivalità latente con il più anziano Tilesius. Così, quando si presentò l'occasione di abbandonare la spedizione per nuovi orizzonti, non ebbe molte esitazioni. Come ho già raccontato in questo post, dopo sei mesi di semi prigionia in Giappone (Langsdorff li aveva passati a studiare e descrivere pesci), nel giugno 1805 la Nadežda giunse in Kamčatka dove l'ambasciatore Rezanov trovò l'ordine di recarsi ad ispezionare gli avamposti russi in Alaska. Chiese dunque a Langsdorff di accompagnarlo come medico personale; il tedesco, nonostante temesse di offendere l'ottimo comandante Krusenstern, non poté resistere alla prospettiva di visitare quelle regioni remote, selvagge e quasi ignote alla scienza. Si imbarcò così con Rezanov e i suoi accompagnatori sulla Maria, alla volta prima delle Aleutine, poi di Sitka (o Novoarchangelsk). Nell'America russa trovarono una situazione allarmante, peggiorata dal loro stesso arrivo; le provviste incominciavano a scarseggiare e sempre più persone si ammalavano di scorbuto. Nel porto di Sitka giunse però, in cerca di acqua e del legname necessario per riparazioni, il mercantile americano Juno. Rezanov e il governatore Baranov lo acquistarono completo di tutte le attrezzature e lo inviarono a Kodiak per provvedere alle esigenze più immediate. Ma non bastò. Ormai la situazione era drammatica e peggiorava di giorno in giorno. Rezanov decise così di andare a cercare provviste a San Francisco, in California, che all'epoca consisteva di una missione francescana e di un presidio militare spagnolo. Ovviamente, Langsdorff lo accompagnò. Partita da Sitka alla fine di febbraio 1806, un mese dopo la Juno faceva il suo ingresso nel Golden Gate e, grazie al fascino e all'abilità diplomatica di Rezanov, a maggio ne ripartiva con le stive piene di provviste. La colonia era salva, ma Langsdorff ne aveva avuto abbastanza dell'America russa. Durante la sosta in California, aveva dovuto limitarsi a visitare i dintorni della missione; l'unica volta che era riuscito ad allontanarsi per un'escursione di tre giorni, al suo ritorno aveva trovato gli animali da lui catturati morti e tutte le piante spazzate via dalle onde. Obbligato a trascorre quasi tutto il suo tempo a bordo, senza alcun aiuto nelle ricerche naturalistiche, venne boicottato in tutti i modi (alcune pelli che aveva posto a seccare sul ponte furono gettate vie e la carta usata per essiccare le piante finì inavvertitamente nel fuoco). Alle sue proteste, gli era stato obiettato che era lì per fare il medico e l'interprete (grazie al portoghese e al latino, che gli permetteva di comunicare con i frati). Decise così che, appena rientrato a Sitka, avrebbe chiesto di andarsene sulla prima nave. Cosa che fece imbarcandosi il 18 giugno sulla Rostislav insieme al capitano Wolfe, l'ex comandante della Juno, con cui aveva stretto amicizia. L'imbarcazione era molto piccola e lenta ed arrivò in Kamčatka solo a settembre. Langsdorff dovette rassegnarsi a trascorrervi l'inverno. Nel frattempo, anche Rezanov aveva lasciato Sitka a bordo della Juno, molto più veloce, ed era arrivato a Okhotsk a settembre, proseguendo immediatamente per San Pietroburgo; gli premeva di arrivare al più presto perché a San Francisco si era innamorato, ricambiato, della figlia del comandante del presidio spagnolo, e per sposarla era necessario il permesso dello zar. Ma durante il viaggio si era ripetutamente ammalato e a marzo dell'anno successivo era morto a Krasnojarsk. Non appena sbarcato a sua volta a Okhotsk a giugno, Langsdorff ne fu informato e probabilmente si pentì di aver abbandonato il suo protettore quando aveva più che mai bisogno di lui, tanto che volle andare a rendere omaggio alla sua tomba. Dopo aver attraversato la Siberia a piedi, nel marzo 1808 era finalmente a San Pietroburgo, dove avrebbe potuto intraprendere una tranquilla vita di accademico. Brasile: una fazenda modello Il destino e la sua sete di avventure e conoscenza decisero altrimenti. Nel 1808, quando il suo paese fu invaso dai francesi, il re del Portogallo Giovanni VI aveva trovato rifugio con la sua corte in Brasile, stabilendosi a Rio. Nel 1812 lo zar decise di inviare un console a Rio de Janeiro e la sua scelta cadde su Langsdorff, che parlava perfettamente il portoghese e oltre che medico e naturalista era anche barone, e ormai suddito russo, con il nome russificato Grigorij Ivanovič Langsdorf. Era un'opportunità favolosa. Le frontiere del Brasile fino ad allora erano rimaste chiuse agli stranieri e i suoi immensi tesori naturalistici erano quasi totalmente sconosciuti alla scienza. Langsdorff, che ne aveva avuto un misero assaggio durante lo scalo della spedizione Krusenstern a Santa Catalina, era al settimo cielo. Deciso ad unire ai doveri diplomatici l'esplorazione scientifica, fece venire a San Pietroburgo come suo assistente il giovane zoologo Georg Wilhelm Freyreiss e partì con lui per il Brasile; obbligati a passare l'inverno in Svezia, giunsero a Rio solo nel 1813. Nel 1816 Langsdorff acquistò una proprietà a nord della capitale, nei pressi di Porto Estrella, con l'intenzione di trasformarla in una piantagione modello; chiamata Mandioca, era basata sulla policoltura di manioca, caffè (fu tra i primi a coltivarlo), miglio, batate, indaco e noce moscata e sull'impiego di tecniche agricole d'avanguardia. All'inizio era lavorata da schiavi, ma Langsdorff, deciso a sostituirli con salariati europei, tra il 1820 e il 1821 fece un viaggio in Europa per promuovere l'emigrazione di coloni in Brasile. A Mandioca portò poi con sé un gruppo di tedeschi, che ebbero difficoltà ad adattarsi e finirono per rivoltarsi e furono sostituiti da coloni svizzeri. Dopo la partenza di Langdsdorff per la sua grande spedizione, nel 1826, la piantagione fu espropriata, ma nei suoi dieci anni di vita fu un centro d'attrazione per i numerosi naturalisti europei che visitarono il paese, spesso proprio su invito o stimolo di Langsdorff, che l'aveva dotata di una eccellente biblioteca naturalistica, di un museo della flora e della fauna locale e di un curatissimo giardino botanico. A visitarla furono tantissimi: oltre alla coppia reale costituita dall'imperatore Pedro I e da sua moglie Leopoldina d'Asburgo, protettrice delle scienze, tra loro troviamo Friedrich Sellow, von Martius e von Spix, il Principe Maximilian Alexander Philipp zu Wied-Neuwied, William Swainson, Augustin Saint-Hilaire. Inoltre, alternava all'attività diplomatica e alla gestione della piantagione brevi spedizioni nei dintorni di Rio. Finanziò la spedizione di Freyreiss e Sellow nel Nordeste e tra il dicembre 1816 e il marzo 1817 esplorò insieme a Saint Hilaire la provincia di Minas Gerais. Il suo sogno era però una grande spedizione nelle inesplorate regioni dell'interno. Nel giugno 1821, al termine del viaggio europeo, andò a San Pietroburgo a presentare il suo progetto al vice cancelliere Nasselrode e allo zar Alessandro I, che garantì il suo appoggio e larghi mezzi finanziari. Una grandiosa e sfortunata spedizione A Langsdorff venne lasciata carta bianca nella scelta dell'itinerario e nell'organizzazione; rimase in Europa fino alla fine dell'anno, per acquistare l'equipaggiamento necessario e ingaggiare un'équipe di eccellenti specialisti. Ne facevano parte il botanico prussiano Ludwig Riedel, l'ufficiale cartografo russo Nester Gavrilovič Rubcov, lo zoologo francese Edouard Ménétries e il pittore bavarese Johann Moritz Rugendas. Tra i partecipanti, anche Karl von Drais, l'inventore della bicicletta, in qualità di agrimensore. Preceduto da Riedel, che si trovava già in Brasile, e da Rubcov, giunto a Rio in avanscoperta nel febbraio 1822, Langsdorf partì da Brema alla fine del 1821, insieme a Ménétries, Rugendas e 85 coloni tedeschi e giunse a Rio a marzo dell'anno successivo. Trattenuto nella capitale per i suoi doveri diplomatici in un momento delicato della vita politica brasiliana, poté dedicarsi all'organizzazione della spedizione solo all'inizio del 1824. Ottenuta l'autorizzazione imperiale a febbraio, la spedizione si mise in cammino all'inizio di maggio. Il progetto iniziale di Langsdorff era viaggiare in direzione nord seguendo il fiume Paraiba nella regione mineraria di Minas Gerais, per poi proseguire verso le province di Goais e Mato Grosso. Ma la strada diretta tra Minas Gerais e Mato Grosso risultò impraticabile per una spedizione di quelle proporzioni; inoltre Rugendas e Ménétries rifiutarono di continuare, per dissensi personali con Langsdorff. Fu gioco forza ritornare a Rio; qui i defezionisti furono sostituiti dal giovane zoologo prussiano Christian Friedrich Hasse e da due artisti francesi, Aimé-Adrien Taunay e Antoine-Hércule Florence. La spedizione poté ripartire solo nella seconda metà del 1825; mentre Riedel e Hasse si dirigevano a Sao Paulo via terra, gli altri si imbarcarono per il Porto di Santos, da dove avrebbero raggiunto Sao Paulo. Dopo diversi mesi trascorsi a esplorare quella provincia, nel giugno 1826 gli esploratori si imbarcarono a Porto Feliz per risalire il fiume Tietê fino a Cuiabá, la capitale del Mato Grosso, dove giunsero a gennaio 1827 e stabilirono il quartier generale fino a novembre. A questo punto si divisero in due gruppi: il primo, che comprendeva Langsdorff, Rubcov e Florence, si mosse verso nord per raggiungere Santarém sul Fiume delle Amazzoni, dove in effetti giunsero il 1 giugno 1828. Ma lungo la strada tutti si ammalarono di febbri tropicali, compreso il barone, che incominciò a dare segni crescenti di follia e nel maggio 1828, mentre si trovavano sul fiume Juruena, perse la memoria. L'altro gruppo, con Riedel e Tauney, risalì il fiume Guaporé, dove Tyaney annegò nel gennaio 1828; quindi continuarono lungo i fiumi Mamoré e Madeira fino a Manaus, dove li raggiunse l'ordine di andare al porto di Belem, sull'Atlantico, dove i due gruppi si ricongiunsero e si imbarcarono per Rio. Vi arrivarono nel marzo 1829, dopo aver percorso oltre 6000 km. Il barone Langsdorff versava in uno stato di estrema prostrazione fisica e di disordine mentale; mentre Pieter Kielchen, il viceconsole russo, provvedeva a spedire a San Pietroburgo i materiali raccolti (i più interessanti sono le testimonianze etnografiche sui numerosi popoli indigeni incontrati), insieme alle collezioni e ai manoscritti di Langsdorff, egli fu ricondotto in Germania da un amico. Visse ancora vent'anni, senza mai recuperare il senno e la memoria. Non ricordava neppure un giorno di quelli passati in Brasile. Per una sintesi della vita, si rimanda come al solito alla sezione biografie. Il frutto delle sue ricerche subì lo stesso destino. La sua spedizione e il suo contributo alla conoscenza della natura brasiliana furono dimenticati. Le raccolte finirono a Pietroburgo, disperse tra i magazzini del Museo Etnografico, del Museo Navale, del Museo Zoologico e dell'Accademia delle Scienze, i manoscritti non furono pubblicati fino al 1948, quando ne uscì una parziale edizione russa. Solo il bicentenario della nascita, nel 1974, celebrato con un convegno internazionale, ha portato alla riscoperta di questa eccezionale figura. Da quel momento l'interesse per l'opera di Langsdorff non ha fatto che crescere, come dimostra anche una splendida mostra tenutasi a Brasilia nel 2010, che ha permesso per la prima volta di vedere molti degli spettacolari acquarelli realizzati dai tre pittori della spedizione. E' una pianta o un fungo? Certamente non lo avevano dimenticato i tanti botanici di cui fu mentore e generoso ospite a Mandioca. Due di loro vollero ricordarlo con la dedica di un genere Langsdorffia (o Langsdorfia): nel 1814 von Martius, che visitò la tenuta insieme a von Spix prima di partire per l'Amazzonia; nel 1820 l'italiano Raddi, che lo incontrò alla fine del 1817 e forse esplorò con lui i dintorni di Rio. Si aggiunsero nel 1821 il frate Leandro do Sacramento, futuro direttore dell'orto botanico di Rio; nel 1832 Willdenow, nel 1836 Rafinesque, nel 1863 Regel. Ovviamente ad essere valido è solo il primo, Langsdorffia Mart., un genere davvero singolare della curiosa famiglia di piante parassite Balanophoraceae. A prima vista, le infiorescenze della specie tipo, Langsdorffia hypogea, ricordano singolarmente la cappella di un fungo color rosso vino sorretto da un gambo terroso; come la Rafflesia, che appartiene a una famiglia diversa ma vive nel medesimo habitat, il sottobosco delle foreste umide, è visibile solo in fioritura, quando dal tubero sotterraneo emergono i fiori unisessuali; le infiorescenze maschili e femminili hanno una struttura simile, un corpo semisferico circondato da brattee, ma le prime sono più grandi. Incapaci di sintetizzare la clorofilla, traggono i nutrienti dalle radici di altre piante, installandosi anche piuttosto in profondità; infatti, nello stato di Manais Gerais, oltre che nelle foreste, sono reperibili anche in caverne e miniere abbandonate. Un'altra curiosità di questo genere singolare è la distribuzione disgiunta: due specie sono americane, una vive in Madagascar, una in Papua-Nuova Guinea (dove convive appunto con Rafflesia). Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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