Le splendide orchidee del genere Sobralia devono il loro nome al primo medico del re di Spagna Carlo IV, Francisco Martinez Sobral, che raggiunse questo ruolo in tarda età, dopo una lenta carriera al servizio della real casa. E' una figura un po' opaca, ricordata soprattutto per l'amicizia giovanile con Celestino Mutis, con il quale rimase poi in corrispondenza per tutta la vita, e per il ruolo che giocò nella decisione del re di Spagna di sottoporre i propri figli all'innesto del vaiolo, con esiti non felicissimi. Questa pratica, che nel Settecento precedette e in qualche modo preparò la vaccinazione, non era infatti esente da rischi, come il povero Sobral poté constare di persona sui suoi reali pazienti. Una scelta difficile Nel 1794, al vecchio dottor Sobral, decano dei medici di camera e protomedico del re Carlo IV di Spagna, toccò una difficile scelta. L'ennesima epidemia di vaiolo che infuriava nella capitale aveva raggiunto anche il palazzo reale dell'Escurial; tra i colpiti, la piccola infanta Maria Luisa, che era sopravvissuta ma era rimasta sfigurata. Il re rimase molto toccato, tanto più che qualche anno prima, nel novembre 1788, nell'arco di pochi giorni erano morti di vaiolo suo fratello Gabriel, la moglie di lui e a un figlio neonato. Temendo per gli altri figli, incluso l'erede al trono, il re chiese consiglio al dottore: era il caso di tentare di immunizzarli, innestando loro il vaiolo? Noto da secoli in Oriente e giunto in Europa attraverso l'impero ottomano, l'innesto del vaiolo o variolizzazione consisteva nell'iniettare in una persona sana materiale prelevato dalle pustole di un malato che avesse contratto la malattia in forma blanda; solitamente, il paziente si ammalava in modo leggero, divenendo poi immune. Benché fosse un enorme progresso rispetto al decorso normale della malattia, che aveva una mortalità oscillante tra il 20 e il 40%, la pratica non era tuttavia esente da rischi; talvolta si presentavano complicazioni, con circa il 3% di esiti letali. A partire dall'Inghilterra negli anni '20 del Settecento, l'innesto del vaiolo aveva cominciato a diffondersi in Europa e aveva via via conquistato il favore degli illuministi e dell'opinione pubblica colta; anche molti sovrani si erano decisi a far innestare se stessi e i propri eredi, a partire da Giorgio I che, visti gli esiti positivi della sperimentazione condotta su alcuni condannati nel carcere di New Gate, nel 1722 permise la variolizzazione di due nipoti. D'altra parte, proprio l'esperienza inglese stava a dimostrare che i rischi erano gravi: in seguito all'innesto del vaiolo erano morti due principini, nel 1782 Alfred di 2 anni e nel 1783 Octavius di 4 anni. L'ambiente medico spagnolo era stato a lungo fortemente ostile all'innesto del vaiolo. Nel 1757 il Tribunale del protomedicato vietò la diffusione della Memoria sulla inoculazione del vaiolo di La Condamine, argomentando che "non si può permettere la stampa di questo opuscolo perché la pratica di questo rimedio è nociva alla salute pubblica". Tuttavia, anche nella penisola iberica, di fronte alle dimensioni sempre più devastanti delle ricorrenti epidemie di vaiolo, divenuto la prima causa di morte, nella seconda metà del secolo diversi medici incominciarono a sperimentarlo. Nel 1784 il Tribunale del protomedicato e l'Accademia reale di medicina approvarono la pubblicazione del saggio del chirurgo irlandese naturalizzato spagnolo Timoteo O'Scanlan Ensayo apologético de la inoculación o demostración de lo importante que es al particular y al Estado ("Saggio apologetico sulla inoculazione ovvero dimostrazione della sua importanza tanto per i singoli quanto per lo Stato"). Ma la posizione del Protomedicato continuava ad essere cauta: nel 1793 autorizzò la pubblicazione delle opere a stampa sull'inoculazione, ma allo stesso tempo sconsigliava di praticarla come rimedio generale preventivo e di ricorrere ad essa solo in caso di epidemie. La decisione di Sobral, dunque, non era facile. Infine, egli diede il suo assenso e i chirurghi reali, sotto la sua supervisione, inocularono il vaiolo ai principi. Purtroppo, i timori del vecchio dottore erano giustificati; l'erede al trono, il futuro re Ferdinando VII, si ammalò in modo grave e per otto giorni fu tra la vita e la morte, e non recuperò mai del tutto la salute; una delle principesse, Maria Amalia, fu danneggiata nella vista. Sobral ne fu talmente scosso che confidò a un amico: "Il malato si è salvato, ma il medico ha fatto naufragio: non vivrò ancora a lungo". In realtà sarebbe vissuto fino al 1799, sfiorando la settantina. Come il collega (e rivale) Galinsoga, Sobral si era formato come chirurgo (cirujano latino), per poi laurearsi in medicina a Salamanca. Aveva poi perfezionato gli studi presso il reale Collegio di chirurgia di Cadice, all'epoca all'avanguardia in Spagna, dove si legò d'amicizia con uno dei suoi compagni, Celestino Mutis. Nel 1758, Pedro de Virgili, il direttore del Collegio di Cadice, fu nominato chirurgo reale e si trasferì a Madrid, portando con sé come assistenti i suoi migliori allievi, tra cui Sobral e Mutis. Entrambi furono nominati professori supplenti della cattedra di anatomia dell'Hospital general. Per Sobral era l'inizio di una lenta ma sicura carriera che lo avrebbe portato ai vertici delle istituzioni mediche spagnole; trasferitosi all'Escorial, lavorò dapprima all'ospedale del convento di San Lorenzo; nel 1767 fu nominato medico della famiglia reale per i servizi di palazzo; nel 1780 divenne medico di camera e nel 1791 decano dei medici di camera e protomedico. Come tale, era presidente del Tribunale del Protomedicato e dell'Accademia medica di Madrid, di cui era già vicepresidente dal 1784. Dal 1795 fu anche presidente del Collegio reale di medicina. Dopo la morte di Galinsoga nel 1797, assunse anche la funzione di medico della regina e di protomedico dell'esercito. Nonostante questa sfilza di titoli, non ha lasciato molte tracce di sé, eccetto una bella casa che fece costruire nel borgo di San Lorenzo de l'Escurial, non per sé o la propria famiglia, visto che come medico del re aveva diritto a un appartamento nel palazzo reale, ma come forma di investimento; infatti Sobral la affittava alla corona per ospitare gli alti dignitari per prendevano parte alle udienze reali. Una sintesi biografica nella sezione biografie. Bellissimi fiori effimeri Come primo medico del re e presidente del tribunale del protomedicato, Sobral era indubbiamente un uomo di potere, al vertice delle strutture sanitarie della monarchia iberica. Scontata dunque la dedica di uno dei loro generi peruviani da parte di Ruiz e Pavon, che anzi vollero rimarcare il loro rispetto per tanto personaggio battezzando Sobralia un'orchidea dalle fioriture spettacolari. Sobralia è un vasto genere di orchidee per lo più terrestri, o più raramente litofite o epifite, cui oggi sono assegnate oltre 150 specie, distribuite tra Messico, centro America, sud America settentrionale, in vari ambienti tropicali o subtropicali. In alcune aree, soprattutto di montagna, sono abbastanza comuni e formano dense comunità; molto variabili per aspetto e dimensioni, hanno sottili fusti a nodi simili a canne di bambù, foglie bilobate profondamente venate esse stesse decorative, e grandi fiori simili a quelli di Cattleya con un grande labello dai margini arricciati; talvolta sono chiamate con il nome comune "orchidee bambù". Nonostante la loro bellezza, sono coltivate soprattutto da collezionisti perché ogni fiore dura molto poco, anche meno di un giorno. Molte specie sono piuttosto alte, anzi S. altissima detiene il record della famiglia, potendo superare i tredici metri. Tra le specie più note, S. decora che era molto apprezzata in epoca vittoriana non solo per i fiori, meno grandi rispetto ad altre specie, ma anche per la bellezza dei fusti e del fogliame e S. macrantha, con grandissimi fiori da rosa a lavanda. Più rara, ma stupefacente per il colore delle fioriture S. warszewiczii, con profumatissimi fiori azzurro lavanda. Qualche informazione in più nella scheda.
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Diverse specie del genere Galinsoga rientrano indubbiamente nel novero delle piante viaggiatrici, o anche in quello delle piante vagabonde. Originarie delle aree montuose del centro America e dell'America tropicale, nell'arco di pochi secoli sono riuscite a colonizzare tutti i continenti (eccetto l'Antartide), sfuggendo dagli orti botanici dove erano state introdotte come curiosità per intrufolarsi ovunque trasportate dal vento e dall'acqua, infiltrate negli imballaggi e in veicoli di ogni genere, mescolate a terricci, sementi e prodotti agricoli. A donare il suo nome a queste infaticabili viaggiatrici dall'aspetto apparentemente innocente, oggi tra le infestanti più temute, è stato un medico e uomo di potere della Spagna di fine Settecento, Ignacio Mariano Martinez de Galinsoga, primo medico della regina Maria Luisa e intendente dell'orto botanico di Madrid. Morto piuttosto giovane, si segnala soprattutto per essere stato uno dei primi specialisti di ginecologia; come tale lanciò i suoi strali contro un aggeggio di moda, o meglio di tortura: il corsetto, che donava alle dame un vitino di vespa a prezzo di gravi menomazioni fisiche. Insomma, nel suo nome si incrociano due storie di effetti collaterali. L'inarrestabile viaggio di Galinsoga All'interno della loro numerosissima famiglia (sono Asteraceae, la più vasta tra le fanerogame) le specie del genere Galinsoga non possono certo aspirare al primato per bellezza o vistosità, ma in qualcosa sono indubbiamente delle campionesse: la capacità di viaggiare e diffondersi in ogni dove, con mezzi propri, ma soprattutto con l'aiuto più o meno incauto degli esseri umani. Originarie dell'America tropicale e subtropicale, con centro di diversità nelle aree montuose del centro America, sono annuali con semi privi di dormienza che germinano rapidamente, fioriscono molto presto, completano il ciclo vitale in circa cinquanta giorni, il che permette molteplici generazioni nell'arco di una stagione e, ovviamente, producono semi copiosissimi con una straordinaria vitalità (oltre il 90%). Poco esigenti, possono vivere ovunque, ma danno il meglio (o il peggio) di sé in suoli umidi e dove possono godere di lunghe giornate di luce. Tra i luoghi preferiti, i terreni disturbati, i giardini, gli orti e coltivi di ogni tipo, incluso grano, granoturco, tabacco, cotone, patate, e ogni altra coltivazione da reddito che riuscite ad immaginare. Dalle loro sedi originarie due specie (le altre sono endemismi poco diffusi e se ne stanno tranquille) sono partite alla conquista del mondo verso la fine del XVIII secolo, quando i botanici si sono accorti di loro, hanno dato loro un nome (ne parliamo tra poco) e le hanno tanto entusiasticamente quanto incautamente seminate negli orti botanici. Per prima è arrivata Galinsoga parviflora, approdata all'orto botanico di Madrid nel 1795 e ai Kew Gardens nel 1796; tempo pochi decenni, aveva già conquistato l'Inghilterra meridionale, tanto da guadagnarsi il nome di Kew weed, l'erbaccia di Kew. Nel corso dell'Ottocento, di orto botanico in orto botanico, si è diffusa nel continente europeo; poi ha continuato il suo cammino, trasportata dal vento, dalle acque, da animali, da veicoli di ogni tipo, dai vestiti e dalle suole delle scarpe, nascosta in scatole e imballaggi, mescolata a terriccio, ammendanti, sementi e ortaggi. Oggi è presente in tutti i continenti eccetto l'Antartide e in moltissimi paesi è considerata una infestante tra le peggiori. Qualche dato sulla sua attuale diffusione nel mondo in questa pagina di CABI (Centre of Agricolture and Bioscience international). Un po' più lenta ma non meno trionfale la marcia di Galinsoga quadriradiata (spesso nota con il sinonimo G. ciliata). Nel 1836 la troviamo a Filadelfia nel Bartram Botanical Garden; ne sfugge presto, si naturalizza prima nei dintorni e poi prosegue verso nord; oggi è naturalizzata in gran parte degli Stati Uniti e in Canada ed è arrivata persino in Alaska. Il primo approdo in Europa è forse l'orto botanico di San Pietroburgo, nel 1846; in Germania la prima segnalazione è del 1892, ad Amburgo; nel corso del Novecento si diffonde a macchia d'olio in tutto il continente. Oggi gli unici paesi europei in cui non sembra arrivata sono l'Islanda, le isole Faroe e la Groenlandia. Anche per questa specie, diffusa anche nel resto del mondo, rinvio alla scheda di CABI. Anche nel nostro paese, dove entrambe le specie sono naturalizzate e presenti in tutte le regioni, la prima ad essersi diffusa risulta G. parviflora, segnalata per la prima volta in un orto di Tezze Valsugana nel 1820; da qui si diffuse prima nella Valsugana, quindi nella provincia, e così via. Non abbiamo dati così precisi per G. quadriradiata che potrebbe essere arrivata nella seconda metà dell'Ottocento, anche se per molte regioni le prime segnalazioni risalgono al secolo scorso. Ha fatto però in fretta a recuperare e oggi sembra più diffusa della prima arrivata. Una carriera di successo e una battaglia igienico-sanitaria Il nome di questa vigorosissima ed inarrestabile erbaccia è un omaggio dei soliti Ruiz e Pavon a un personaggio all'epoca assai influente, Ignacio Mariano Martinez de Galinsoga, primo medico della regina di Spagna e intendente dell'orto botanico di Madrid. Nel 1794, quando i due botanici crearono il genere sulla base delle loro raccolte in Perù, la sua posizione a corte era seconda solo a quella del protomedico Francisco Martinez Sobral. Galinsoga la doveva in parte a una solida preparazione professionale, ma ancor più alla alla protezione della regina Maria Luisa. Aveva iniziato la carriera a 21 anni come chirurgo, o meglio come cirujano latino. il titolo che distingueva gli abilitati in chirurgia con formazione universitaria, inclusa la conoscenza del latino, dagli illetterati cirujanos romancistas con formazione pratica attraverso l'apprendistato. Laureatosi in medicina all'Università di Valladolid, dove serviva come chirurgo militare, era poi passato nella capitale, dove frequentò gli ambienti accademici e incominciò a farsi conoscere come specialista in malattie femminili (noi oggi diremmo in ginecologia). Fu così che fu più volte incaricato di selezionare le balie per i nuovi nati della coppia regale; un incarico che svolse con scrupolo, visitando i villaggi che avevano fama di maggiore salubrità, alla ricerca di gestanti di eccellente salute e sani principi morali. Si dimostrò così abile ed efficiente, che nel 1789 fu nominato medico della famiglia reale, dando inizio a un'ascesa quasi inarrestabile come la marcia della Galinsoga. Nel 1790 era medico di camera e nel 1791 primo medico di camera della regina; come tale, nell'ambito della ristrutturazione del Tribunale del Protomedicato, l'istituzione che regolava tutte le professioni sanitarie e esaminava i futuri medici, ne fu nominato vicepresidente, con salario, prerogative e incarichi equivalenti a quelli del presidente, il medico di camera del re, don Francisco Martinez de Sobral, con il quale avrebbe dovuto alternarsi nella direzione effettiva. Inutile dire che il medico più anziano (all'epoca Sobral era sessantenne, mentre il rampante Galinsoga aveva appena 34 anni) non la prese affatto bene, tanto più che mai in precedenza il medico della regina aveva avuto tali privilegi. Ne seguirono tensioni e conflitti di competenza, che il re cercò di risolvere rafforzando la posizione di Galinsoga, che alla fine del 1791 fu nominato intendente dell'Orto botanico di Madrid e protomedico dell'esercito (incarichi fino ad allora tradizionalmente affidati al medico del re). Una decisione destinata ad aumentare le tensioni, più che a sopirle. Era questa la situazione a corte quando Ruiz e Pavon in Florae Peruvianae, et Chilensis Prodromus (1794) pubblicarono i 149 nuovi generi raccolti nella spedizione in Perù, dedicandoli prevalentemente a glorie della scienza e della medicina iberica, di cui volevano dimostrare l'eccellenza. Per non fare torto a nessuno, uno toccò a Galinsoga, un altro a Sobral. Ma se guardiamo alle piante assegnate rispettivamente ai due protomedici rivali, forse non si tratta di una scelta di equidistanza: Galinsoga, lo abbiamo visto, comprende piccole annuali dalle fioriture insignificanti, Sobralia raffinate orchidee dalle fioriture spettacolari. Poco dopo, fu la morte precoce del più giovane (una sintesi biografica nella sezione biografie) a mettere fine alla rivalità e alla vita di Galinsoga, morto a solo quarant'anni nel 1797. Oltre che medico di successo, fu anche insegnante universitario, membro di innumerevoli società scientifiche, membro fondatore della Real Academia nacional de Medicina; tra i suoi meriti, la creazione presso l'Ospedale generale di Madrid dello Studio reale di medicina pratica (1795) dove i futuri medici avrebbero svolto i due anni di praticantato prescritti, che in precedenza erano costretti a svolgere privatamente sotto la supervisione di un medico. Quanto alla sua gestione del Reale orto botanico, non sembra aver lasciato molte tracce; ma la carica di intendente era amministrativa e politica, mentre la reale direzione era nelle mani del primo professore di botanica, all'epoca Casimiro Gomez Ortega. Prima di congedarci da Galinsoga, vale la pena di dedicare qualche riga alla sua unica opera a stampa, il curioso opuscolo Demostración mecánica de las enfermedades que produce el uso de las cotillas, pubblicato nel 1784. Tra gli accessori indispensabili delle dame dell'epoca c'era il corsetto (il modello spagnolo si chiamava cotilla, letteralmente "piccola corazza") in stoffa e stecche di balena, che aveva lo scopo di modellare la figura assottigliando il punto vita e spingendo verso l'alto il seno; stretto da una serie di lacci, obbligava a una postura rigida e impediva parzialmente i movimenti. Nel corso del Settecento, con l'Illuminismo e il Preromanticismo, cominciò tuttavia a diffondersi anche nella moda l'esigenza di una maggiore naturalezza e praticità e il corsetto finì sotto attacco. Ne è un esempio l'articolo scritto nel 1785 da Jean Jacques Rousseau per The lancet. In questa polemica si inserisce perfettamente l'opuscolo di Galinsoga, che, rispetto ad altri critici, i quali fanno spesso appello a considerazioni moralistiche, si muove su un piano strettamente medico. Nella prefazione, egli afferma di poter provare che molte delle infermità di cui soffrono le madrilene sono causate da questa moda funesta; basta paragonare la costituzione debole e asfittica delle dame della corte con la salute robusta, briosa e costante delle popolane delle campagne; la colpa è tutta del corsetto che "tormenta tutte le viscere del basso ventre, le strangola, ne disloca la posizione, e ne muta la forma, tanto che tutte le operazioni di questi organi ne diventano imperfette". Tra le conseguenze, trombosi a causa della cattiva circolazione venosa; neuriti per compressione; sincopi, svenimenti e letargia per difficoltà cardio-respiratorie; ernie e prolassi genitali; difficoltà digestive, nausee, vomiti e indigestioni. Galinsoga si spinge addirittura a accusare i corsetti di provocare alcune malattie veneree: "La leucorrea e la gonorrea semplice sono cattivi inquilini di Madrid, e non si vedono mai tra i contadini". Non parliamo poi delle conseguenze per la prole, decimata dagli aborti o contraffatta nella figura, nuovamente con gli alti e gagliardi montanari contrapposti ai miserevoli madrileni, rattrappiti nel ventre materno dai malefici corsetti a detrimento della nazione iberica. Soldati galanti in marcia Per concludere, torniamo brevemente sul genere Galinsoga. cui sono assegnate dodici specie diffuse spontaneamente tra Messico, Antille e Sud America. Sono erbacee annuali dal fusto gracile, con foglie opposte da lanceolate a quasi romboidali, con margini interi o serrati, glabre oppure pelose. Le infiorescenze sono capolini di piccole dimensioni, con fiori del disco solitamente gialli, con corolle tubolari a cinque denti, che formano un bottoncino dorato, tutto sommato più appariscente dei fiori del raggio tridentati, bianchi o gialli, minuti e piuttosto radi. A parte le ormai onnipresenti G. parviflora e G. quadriradiata, le altre specie sono solitamente endemismi diffusi in aree circoscritte: ad esempio, G. caligensis è una specie peruviana presente solo nelle regioni desertiche della regione di Lima; G. durangensis è invece originaria degli stati di Durango e Sinaloa nel Messico nordoccidentale; G. formosa vive solo nello stato messicano di Oaxaca. Quest'ultima specie è la miss del genere: i numerosissimi fiori del disco (circa cento) formano una cupola molto rilevata, circondata da 5-15 fiori del raggio gialli, talvolta soffusi di porpora. Tradizionalmente usate nella medicina popolare fresche o in decotto, le galinsoga sono anche commestibili, anzi proprio l'umile G. parviflora è l'irrinunciabile protagonista di alcuni piatti della cucina sudamericana, cui dona un particolarissimo aroma. Un'ultima curiosità: il nome comune inglese di questa specie è gallant soldier, "soldato galante" o "coraggioso", un'etimologia popolare ovvero una reinterpretazione ad orecchio del nome botanico, incomprensibile per i britannici. Per analogia, l'altra specie naturalizzata, la villosa G. quadriradiata, è diventata shaggy soldier, "soldato capellone". Non sembra esserci molto di militaresco nelle Galinsoga, ma è innegabile che questi soldatini più o meno capelluti e ben poco galanti, ma indubbiamente coraggiosi, si sono inesorabilmente messi in marcia. Qualche approfondimento nella scheda. E' piuttosto inconsueto che un botanico affermato, professore universitario e membro dell'Accademia delle scienze del proprio paese, a cinquant'anni suonati parta per una pericolosa spedizione scientifica ai tropici. Eppure il professor de Vriese, quando il parlamento olandese gli chiede di andare in missione in Indonesia, non esita a partire, forse affascinato dalla prospettiva di vedere nel loro ambiente naturale le piante che studia da sempre in erbari e serre. Non sa ancora che il prezzo da pagare sarà la sua stessa vita. Rivolgetegli un pensiero quando ammirate la fioritura delle piante che lo celebrano, le bellissime Vriesea. L'uomo giusto al momento giusto Impressionato dalle rivoluzioni che scuotono l'Europa, nel marzo 1848 il re d'Olanda Guglielmo II decide di trasformare il paese in una monarchia costituzionale. A capo della commissione che dovrà elaborare il testo della nuova costituzione, non esista a nominare Johan Rudolph Thorbecke, il leader dei liberali; proclamata il 3 novembre dello stesso anno, la costituzione prevede tra l'altro elezioni dirette con voto segreto, limitazioni del potere del sovrano, maggiore autonomia delle province, libertà di religione. Per la prima volta, il parlamento ottiene la giurisdizione sulle colonie, fino ad allora sotto l'esclusiva autorità del re. In Indonesia, i liberali al potere, fautori del liberismo economico, vorrebbero spezzare il sistema delle coltivazioni forzate, introdurre un'economia basata sul lavoro libero e aprire le Indie olandesi al capitale privato. Al di là delle petizioni di principio, devono muoversi con cautela perché dal batig slot, ovvero dai proventi versati al tesoro da quelle colonie, dipende larga parte del bilancio statale. Una soluzione per alleggerire le terribili condizioni dei contadini giavanesi, senza mandare in crisi il bilancio olandese, potrebbe essere l'introduzione di coltivazioni coloniali più redditizie, come sta facendo in quegli anni l'Impero britannico in India. E' in questo contesto che il governo olandese nel 1852 invia in Perù il botanico J.C. Hasskarl per cercare di procurarsi pianticelle di Cinchona, la pianta da cui si ricava il chinino, da introdurre a Giava; nel 1854 egli è di ritorno in Indonesia con un carico di virgulti che trapianta nell'orto botanico di Bogor/Buitenzorg. Non è un'iniziativa isolata. Nel 1857 il parlamento olandese decide di inviare in Indonesia un esperto di agronomia tropicale per studiare l'economia agricola delle isole e valutare le strategie migliori per affrancarla dal regime delle coltivazioni forzate. La scelta cade su Willem Hendrik de Vriese, professore di botanica dell'università e direttore dell'orto botanico di Leida. Come leggiamo nell'atto di nomina, approvato dal re, egli dovrà individuare le produzioni esotiche più adatte ai diversi climi delle isole e ricercare le piante native più utili per "le arti e il commercio". De Vriese era la persona perfetta per questo compito, per la sua profonda conoscenza della flora indonesiana e per i numerosi studi dedicati alle piante esotiche utilitarie. Medico, aveva insegnato botanica dapprima ad Amsterdam, poi a Leida, dove era succeduto a Reiwardt. Già esperto di piante esotiche, aveva particolare dimestichezza con la flora indonesiana per aver catalogato le piante raccolte dal suo predecessore e aver curato la pubblicazione del suo diario di viaggio in Plantae Indiae Batavae Orientalis : quas, in itinere per insulas archipelagi indici Javam, Amboinam, Celebem, Ternatam, aliasque, annis 1815-1821 exploravit Casp. Georg. Carol. Reinwardt (1856). Tra il 1855 e il 1856 pubblicò anche un'opera illustrata in tre volumi di orticultura e floricoltura (Tuinbouw-flora van Nederland en zijne overzeesche bezittingen) in cui le piante esotiche hanno larga parte. Gli si devono anche due importanti monografie su Rafflesia e sulle Marattiaceae (con Pieter Harting); era anche un esperto di felci e orchidee. Negli anni cinquanta, egli dedicò poi una serie di saggi a importanti piante tropicali di cui propugnava l'introduzione nelle colonie olandesi: nel 1855 Cinchona, nel 1856 Vanilla e Cinnamomum camphora. Un faticoso periplo tra le isole Il 28 ottobre 1857 de Vriese si imbarcò a Marsiglia alla volta dell'oriente; lo accompagnava il chimico de Vry, incaricato di studiare i principi attivi della Cinchona coltivata a Bogor. La prima tappa fu Ceylon, dove il botanico olandese studiò le piantagioni di caffè, all'epoca tra le più importanti del mondo; solo qualche anno più tardi, devastate da Hemileia vastatrix, sarebbero state sostituite dal tè. All'inizio dell'anno, via Singapore, si spostò a Giava, che visitò quasi per intero nel corso del 1858 e della prima metà del 1859; a questo punto si unì a Johannes Elias Teijsmann, il capo giardiniere di Buitenzorg/Bogor, con il quale visitò la parte orientale dell'isola e la desolata Madura. Teijsmann sarà ancora il suo compagno di viaggio in una impegnativa spedizione nelle Molucche, sulla quale siamo più informati grazie alla relazione che ce ne ha lasciato. Imbarcatisi a Surabaya il 15 dicembre, all'inizio del 1860 i due viaggiatori fecero scalo per qualche giorno a Makassar nell'isola di Celebes (oggi Sulawesi); si spostarono subito a Timor, dove si trattennero appena un giorno a Kupang, per poi passare a Dili e alle isole Banda: una visita doverosa, anche se ormai avevano perso l'importanza strategica che avevano rivestito per gli olandesi nell'arco di due secoli. Dal 1621 al 1810, come unico luogo al mondo dove si coltivava Myristica fragrans, avevano garantito all'Olanda il lucroso monopolio della produzione di noce moscata e macis. Un monopolio infranto dall'occupazione britannica del 1810: restituendo le isole dopo il Congresso di Vienna, gli inglesi si erano premurati da fare incetta delle preziose pianticelle, trapiantate con successo a Ceylon e in altre colonie. Ormai più importante la tappa successiva, Ambon, antico centro del commercio delle spezie, promettente per il suolo fertile e la varietà di ambienti naturali. Nei primi mesi del 1860, i due botanici vi stabilirono il loro quartier generale per l'esplorazione delle Molucche settentrionali. La prima spedizione fu dedicata alla piccola isola di Saparua ma soprattutto a Ceram (oggi anche Seram), dove de Vriese e Tejismann poterono dismettere i panni di agronomi e ispettori per tornare ad essere botanici. Ancora in gran parte ricoperta dalla foresta pluviale, questa isola dove gli animali e le piante dell'Asia si incontrano con quelli dell'Australia, con un clima caldo umido e un'intricata topografia montagnosa, dovette essere per de Vriese quasi il luogo dei sogni, dove studiare nel loro ambiente naturale le piante che amava di più: in primo luogo le felci, una delle sue specialità (oggi nell'isola si calcola ne vivano oltre 700 specie), ma anche le orchidee e le piante officinali, la cui ricognizione era uno degli obiettivi della sua missione. Nei mesi successivi fu la volta di Buru, quindi Ternate (in entrambe queste isole scalarono anche alcune cime), Tidore, Halmahera e numerosi isolotti. Ad aprile erano a Bacan, quindi, ormai sulla via del ritorno si spostarono a Celebes, dove si trattennero fino a giugno, visitando molte località delle regioni settentrionali. Alla fine del mese, erano di ritorno a Surabaya. Dato che da questo momento si separò da Tejismann, conosciamo meno dettagliatamente i viaggi successivi di de Vriese. Nella seconda parte del 1860 fu in Borneo e poi di nuovo a Giava, dove visitò le regioni centrali trascurate l'anno precedente; poi si spostò a Sumatra, dove si trovava all'inizio del 1861. Fu da Sumatra che probabilmente si imbarcò per l'Olanda, con la salute ormai compromessa da un'avventura tanto faticosa per un uomo che aveva superato la cinquantina. Al suo rientro in patria, nel marzo 1861, ebbe il dolore di perdere la moglie; ormai gravemente malato, non poté né riprendere la carriera universitaria né pubblicare i risultati della sua missione, morendo dieci mesi dopo il ritorno. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Intanto, il progetto di valorizzare le Indie orientali olandesi con l'introduzione di nuove specie andava avanti. Pur tra polemiche e mille difficoltà, la sperimentazione della coltivazione di Cinchona proseguì con successo e entro fine secolo l'Olanda si era assicurata il monopolio della produzione mondiale di chinino; intorno al 1860, a Sumatra arrivò il cacao e all'inizio del Novecento l'albero della gomma, Hevea brasiliensis. A guadagnarci, però, non furono certo i contadini indonesiani. Vriesea, bellezza tropicale Molto prima della faticosa missione che gli sarebbe costata la salute e la vita, il professor de Vriese si era già fatto un nome negli ambienti della botanica europea. Infatti, nel 1843, quando egli insegnava ancora a Amsterdam, John Lindley, separando da Tillandsia una specie brasiliana, T. psittacina, creò il genere Vriesea in suo onore con la seguente dedica: "Ho così colto l'opportunità di onorare i meriti del dottor W. de Vriese, professore ad Amsterdam, un eccellente botanico e fisiologo". Vriesea è oggi uno dei generi più importanti e il secondo per numero di specie della famiglia Bromeliaceae (circa 250). Per lo più epifite, vivono in foreste umide anche d'altura dal Messico al Brasile. Dato che si adattano bene alla limitata luminosità delle nostre case, sono anche una tra le più popolari piante d'appartamento, grazie alla bellezza della foglie, spesso elegantemente variegate, e delle infiorescenze a forma di spiga, che si fanno notare per le brattee dai colori squillanti da cui sporgono i fiori tubolari, spesso in colore contrastante; un'accoppiata frequente è data dal rosso e dal giallo. Anche se alcune specie (come V. carinata o V. hieroglyphica) sono abbastanza coltivate, a dominare il mercato sono soprattutto gli ibridi; da questo punto di vista, del resto, tra le Bromeliaceae Vriesea vanta un duplice primato: è stato il primo genere ad essere ibridato con successo, ed attualmente è quello con un maggior numero di ibridi. Per la cronaca, il primo fu prodotto in Belgio nel 1879 da Eduard Morren, curatore dell'Orto botanico di Liegi incrociando V. psittacina e V. carinata. Altre notizie nella scheda. Talvolta, la giustizia poetica è concessa anche ai nomi botanici. Che a ricordare il grande Michel Adanson, autore di un'opera impossibile per il suo stesso gigantismo, per perseguire la quale egli rinunciò a fama, riconoscimenti materiali e alle stesse elementari necessità della vita per chiudersi nel suo lavoro solitario, sia proprio il baobab, albero gigante che si erge sulla arida savana, vive per migliaia di anni e supera le peggiori siccità accumulando acqua nel fusto e rinunciando alle foglie, ne è la dimostrazione. A guidare la mano dell'inconsapevole Linneo e a ispirargli la creazione del genere Adansonia, molto prima che il destino di Adanson si palesasse, è uno scherzo della sorte o, appunto, un atto di giustizia poetica. Primo atto: un viaggio in Senegal L'incontro tra i due protagonisti della nostra storia avviene nell'agosto del 1749, nel villaggio senegalese di Sor. Michel Adanson è arrivato in Senegal da circa sei mesi ed è ancora pieno di entusiasmo e di stupore per la ricchezza della natura tropicale. Ha già imparato abbastanza la lingua wolof (tra i suoi tanti talenti c'è anche quello linguistico) da muoversi da solo; chiede indicazioni su un buon terreno da caccia e viene indirizzato sulle tracce di un branco di gazzelle. Ma una visione stupefacente spegne ogni interesse venatorio: è un albero immenso, il più grande che abbia mai visto. Non per l'altezza (forse una ventina di metri), ma per la circonferenza straordinaria; incredulo, Adanson gli gira intorno tredici volte. Cerca di misurarla allargando le braccia, poi con una corda. Calcola una circonferenza di 20 metri, e un diametro di quasi 7. Ciascuno dei rami che forma la chioma, alcuni dei quali toccano terra, è più lungo e spesso del tronco di uno dei maggiori alberi monumentali d'Europa. L'albero in sé non è raro, aggiunge Adanson, appartiene anzi a una delle specie più comuni nel paese, che i francesi chiamano calebassier, o anche pain-de-singe ("pane delle scimmie") e i locali goui. Noi lo conosciamo con il nome di origine araba baobab, ma anche - grazie a Bernard de Jussieu e a Linneo - come Adansonia digitata. Nel momento in cui incontrò l'albero destinato a preservare il suo nome, Adanson aveva 22 anni, ma era già un naturalista ambizioso e singolare. La famiglia lo aveva destinato alla chiesa e durante gli anni di collegio si era distinto come allievo solerte e brillante; quattordicenne, aveva attirato l'attenzione del biologo inglese John Needham che gli donò un microscopio con queste parole: "Dato che avete imparato così bene a conoscere le opere degli uomini, è ora che studiate quelle della natura". Fu una folgorazione. Il ragazzo incominciò a frequentare il Jardin du Roy e le lezioni di Réaumur e Bernard de Jussieu. A diciotto anni conosceva migliaia di specie vegetali e sapeva classificare tutte le piante del giardino. Gli era anche chiaro che il suo destino non era nella Chiesa, ma nello studio della natura. Rinunciò al beneficio ecclesiastico che aveva coperto i costi degli studi e insisté con il padre - scudiero del vescovo di Parigi - perché trovasse il modo di farlo partire per un paese tropicale, se possibile inesplorato. Grazie a Pierre-Barthélemy David, direttore della Compagnia delle Indie, ottenne infine un modesto posto di commesso a Saint-Louis, l'emporio della compagnia sulla costa del Senegal. Malfamato per il suo clima insalubre, era praticamente sconosciuto ai naturalisti. Senza alcun incarico ufficiale, senza alcun titolo di studio formale, fu dunque come "impiegato incaricato di tenere i registri" che Adanson il 3 marzo 1749 si imbarcò a Lorient sul Chevalier marin. Si era preparato con scrupolo al viaggio, raccogliendo tutte le informazioni possibili sul clima, gli animali, le piante, le lingue, i costumi locali. Aveva imparato i metodi più all'avanguardia per conservare piante e animali. Nel suo bagaglio, telescopi, barometri, termometri e altri strumenti scientifici. Il soggiorno di Adanson in Senegal si prolungò per cinque anni (fino al febbraio 1754), fu ricchissimo di risultati scientifici, ma difficile da ogni punto di vista. Si ammalò ripetutamente e la Compagnia si dimostrò ostile; anche se lui cercava di convincere i suoi capi dell'utilità anche economica delle sue ricerche, per loro questo impiegato che si dava troppo da fare e faceva di tutto tranne quello per cui era pagato, era davvero meno che inutile. Solo grazie alle insistenze dei suoi protettori parigini (in particolare Jussieu e Réaumur) riuscì ad ottenere il permesso di coltivare un piccolo giardino, dove sperimentava incroci e coltivava piante rare da introdurre in Francia. Eppure, era attivissimo: oltre a St. Louis e ai suoi dintorni, visitò l'isola di Gorée, Podor, e il bacino del Gambia; annotò dati meteorologici e astronomici, disegnò mappe, imparò lingue e compilò dizionari, raccolse ogni sorta di dati etnografici, geografici, economici. E, ovviamente, campioni di minerali, animali, piante. Spedì centinaia di esemplari ai corrispondenti parigini, e molte migliaia lo avrebbero accompagnato nelle casse che portò con sé nel viaggio di ritorno, insieme a 300 piante vive da acclimatare al Jardin du Roy. Secondo atto: un'opera pionieristica Provato dal clima tropicale, privo di mezzi e di relazioni, l'uomo che sbarca infine in Francia nel 1754 è molto diverso dal ventunenne di quasi sei anni prima. Da quell'esperienza, oltre all'enorme mole di materiali, ha portato indietro una convinzione profonda: per comprendere la natura, la scienza deve cambiare paradigma. Tutti i sistemi che si è finora data per classificarla, di fronte alla sterminata esuberanza dei tropici, dimostrano la loro inconsistenza: "Appena lasciamo i nostri paesi temperati per entrare nella zona torrida, la botanica sembra mutare totalmente volto: sono sempre piante, ma sono così particolari nelle loro loro forme, hanno caratteristiche così nuove che eludono la maggior parte dei nostri sistemi, i cui limiti non vanno al di là delle piante dei nostri climi". Ma il primo compito è studiare e pubblicare le raccolte senegalesi. Ospitato generosamente dai Jussieu, Adanson elabora il primo dei suoi grandiosi progetti: una storia naturale del Senegal in otto volumi. In realtà, ne scriverà solo il primo: Histoire naturelle du Sénegal (1757) comprende il vivace racconto del suo viaggio e le descrizione delle conchiglie senegalesi, che egli classifica in modo del tutto originale, non più basandosi sulle conchiglie stesse, come si faceva all'epoca, ma sui molluschi che vivono all'interno e le loro strutture. E' il primo saggio di quel metodo globale che tra poco vedremo in azione con le piante. Benché parziale, l'opera gli assicura fama immediata. Adanson è ammesso all'Accademia delle Scienze parigina, seguita qualche anno dopo dalla Royal Society. Ottiene una pensione con il titolo (praticamente una sinecura) di censore reale. Ma ormai sta perseguendo un nuovo progetto. Dal 1759, collabora con il maestro Bernard de Jussieu alla creazione del giardino botanico del Trianon, con le piante disposte in famiglie naturali e incomincia a lavorare a un proprio metodo di classificazione, che esporrà nella sua opera maggiore, Familles naturelles des Plantes (1763). Quando essa uscì, Adanson viveva ancora a casa dei Jussieu ed è impossibile che la frequentazione quotidiana e il lavoro comune non abbiano influito sul suo pensiero; eppure, Adanson cercò di minimizzare il debito con il suo maestro. A suo dire, aveva concepito il progetto di una classificazione naturale fin da ragazzo al Jardin du Roy e la spinta decisiva era venuta dal viaggio in Senegal, con la sua natura tanto diversa da quella europea; quanto a Bernard, lo descriveva come un linneano ortodosso, incapace di allontanarsi dal fallace sistema di Linneo. Di parere opposto sarà Antoine-Laurent de Jussieu, secondo il quale il metodo di Adanson era un plagio delle elaborazioni di suo zio, il solo vero inventore della classificazione naturale. Come avviene quasi sempre, anche in questo caso la verità starà nel mezzo: Bernard aveva cominciato a lavorare a una classificazione naturale e a insegnarla ai suoi allievi quando il giovanissimo Michel seguiva le sue lezioni al Jardin du Roy e sicuramente alla fine degli anni cinquanta era giunto a definire un proprio sistema (non sappiamo quanto coincidente con quello esposto da Antoine-Laurent in Genera Plantarum); d'altra parte, la ricerca di Adanson, se fu stimolata da quella di Bernard de Jussieu, dovette poi seguire un proprio percorso e un proprio metodo. Terzo atto: manie classificatorie Il primo volume di Familles naturelles des Plantes si apre con un'ampissima disamina di tutti i sistemi di classificazione proposti in precedenza, tutti quanti considerati incapaci di rendere conto del vero ordine della natura. Per giungere a individuarlo, lo studioso non deve concentrasi su uno o pochi elementi, scelti in modo più o meno arbitrario, ma deve analizzare tutte le caratteristiche possibili, senza stabilire una gerarchia: "Non c'è dubbio che in botanica c'è un solo metodo naturale, ed è quello che considera tutte le parti, qualità, proprietà e facoltà delle piante". Adanson individua quindi 595 categorie di caratteri che raggruppa in 66 sistemi "artificiali", fondati ciascuno su un gruppo di caratteri omogenei (ad esempio, caratteristiche delle foglie, delle radici, delle corolle, ecc.); inserendo tutte le piante note in ciascun sistema, è possibile individuare la loro maggiore o minore affinità. Le piante che, in tutti i sistemi, ricadono nella stessa classe, hanno un alto grado di affinità; quelle che si ritrovano insieme solo in alcune classi sono meno prossime; quelle poi che in tutti i sistemi stanno in classi diverse non hanno alcuna affinità. Come si vede, è un metodo altamente complesso che implica un enorme numero di comparazioni, che difficilmente Adanson avrà utilizzato davvero per classificare nel secondo volume ben 1615 generi, assegnati a 58 famiglie naturali (52 delle quali sono piante da fiore), in un'epoca in cui i computer e il calcolo combinatorio erano al di là da venire. Anche lui, non diversamente da Bernard de Jussieu, avrà condotto le sue comparazioni "par tatonnement", per usare le parole di Augustin de Candolle. In ogni caso, il risultato è imponente; il concetto di "famiglia" entra ormai nella storia della botanica e molte delle sue famiglie sono riconosciute ancora oggi, spesso proprio con i nomi che lui stesso diede loro. Fu infatti Adanson a introdurre la convenzione di nominare le famiglie sulla base di un genere tipico, anche se non usava ancora il suffisso che oggi le contraddistingue: ad esempio, Papavera (oggi Papaveraceae), Ranunculi (oggi Ranunculaceae), Cisti (oggi Cistaceae), Solana (oggi Solanaceae). Nel Congresso internazionale di botanica del 1987, Familles naturelle des plantes fu addirittura scelto come punto di partenza per i nomi delle famiglie (attualmente, tuttavia, non lo è più: dal 2003 è sostituito da Genera plantarum di Jusseu). Di Linneo, Adanson rifiutò anche la nomenclatura binomiale, vista a sua volta come un'imposizione. A suo parere i nomi delle piante dovrebbero cambiare il meno possibile e non dovrebbero essere motivati: bisognerebbe evitare sia i nomi figurati sia i termini che rimandano a una qualche etimologia. I nomi migliori sono quelli che esistono già, quindi in primo luogo quelli indigeni. Coerentemente, gli spiacque persino che Linneo avesse dato il suo nome al baobab. Insieme alla personalissima grafia fonetica che Adanson volle adottare per la sua opera (ad esempio scrive Botanik anziché Botanique), anche questa scelta contribuì all'insuccesso dell'opera che la comunità scientifica apprezzò per l'erudizione, ma non per il metodo; fu ovviamente avversata dai linneani; quanto a Linneo, il suo commento fu che non aveva mai visto un simile ammasso di sciocchezze. Da parte sua, Adanson stava già pensando a un nuovo progetto, ancora più ambizioso. Il metodo induttivo e combinatorio da lui scoperto non era forse universale, applicabile all'intero mondo naturale, anzi ad ogni sapere umano? Ci lavorò almeno una dozzina di anni, e nel 1774 (l'anno prima aveva finalmente ottenuto il sospirato titolo accademico, come botanico aggiunto dell'Accademia delle scienze) presentò all'Accademia stessa lo schema del suo L'Ordre universel de la Nature. La commissione incaricata di analizzare la proposta, sgomenta, si trovò di fronte 27 volumi manoscritti dedicati alle relazioni tra tutte le entità; 150 volumi manoscritti con la descrizione di 40.000 specie in ordine alfabetico; un vocabolario di 200.000 parole; 40.000 illustrazione; 24.168 esemplari; in più, note e osservazioni. I commissari gli consigliarono di espungere tutta la parte compilatoria, limitandosi ai suoi contributi originali, da presentare in una serie di memorie separate. Adanson rifiutò, ostinandosi fino alla fine della vita nel suo folle progetto. Il rifiuto lo amareggiò, e lo spinse a chiudersi in se stesso, a sacrificare tutto alla sua "enciclopedia". Non aveva più né amici né allievi, e neppure una famiglia. Nel 1784 lasciò addirittura la moglie, da cui aveva avuto una bambina (Aglaé Adanson, a sua volta botanica), perché la sua presenza lo distraeva dal lavoro. Divenne un eremita; si ritirò in periferia, in una casa sempre più ingombra di collezioni e manoscritti, dove lavorava accanitamente sedici, diciotto ore al giorno; unica pausa dallo studio e dalla scrittura, il piccolo giardino dove sperimentava incroci e coltivava alberi di gelso. Già in condizioni economiche precarie, fu totalmente rovinato dalla Rivoluzione, che soppresse le pensioni reali di cui godeva. Perse anche l'amatissimo giardino e fu ridotto a vivere in condizioni di miseria estrema. Nel 1798, invitato a prendere parte alle sedute dell'Institut national (la nuova denominazione "rivoluzionaria" dell'Accademia delle scienze), rifiutò, dicendo che gli era impossibile andarci perché non aveva neppure un paio di scarpe. Se non altro, il ministro dell'interno provò vergogna e gli assegnò una pensione, poi raddoppiata da Napoleone. Nel testamento, espresse un solo desiderio: che la sua bara fosse ornata da una ghirlanda formata dai fiori delle sue 58 famiglie. Una sintesi di questa vita tutta occupata dallo studio e da progetti sempre più giganteschi e più impossibili nella sezione biografia. Boabab, giganti minacciati Tra le scoperte di Adanson in Senegal, sicuramente quella che destò maggiore interesse fu proprio l'albero gigante che tanto aveva ammirato. Poco dopo il suo ritorno, nel 1757, egli lesse all'Accademia delle scienze una memoria in cui lo descriveva e ne ricostruiva la storia. Prima di allora, nessun europeo l'aveva mai visto, anche se se ne conoscevano i frutti, che venivano venduti nei mercati egiziani, dove li vide Alpini. Jussieu ritenne che sarebbe stato un doveroso omaggio dedicare allo scopritore il nuovo genere e si affrettò a scrivere in proposito a Linneo. Il tempo dell'inimicizia e delle polemiche era ancora lontano, e lo svedese lo accontentò volentieri, ufficializzando la denominazione nella decima edizione di Systema naturae (1759). Così, con dispetto del dedicatario, il baobab (parola di origine araba che significa "padre di molti semi"), divenne Adansonia digitata. E' la più nota delle otto-nove specie del genere Adansonia, della famiglia Malvaceae (precedentemente Bombacaceae). Uno dei suoi esemplari, il baobab di Glencoe, un albero monumentale della provincia di Limpopo in Sud Africa, era considerato l'essere vivente più grande del mondo, con una circonferenza di 47 metri e un diametro di 15,9. Purtroppo nel novembre del 2009 si è spaccato in due parti e il primato è passato al baobab di Sunland, sempre in Sud Africa, con una circonferenza di 34 metri. Nativi di aree stagionalmente aride, i baobab africani sono in grado di immagazzinare nel tronco enormi quantità di acqua (fino a 120.000 litri); inoltre nella stagione secca, riducono la dispersione lasciando cadere le foglie. Tuttavia, oggi in varie zone dell'Africa sono in grande pericolo: a partire dall'inizio del secolo, proprio gli esemplari maggiori, che vantano un'età tra 1000 e 2500 anni, hanno incominciato a collassare e a morire uno dopo l'altro. Secondo gli studiosi, è una conseguenza del cambiamento climatico, in particolare della combinazione tra siccità e innalzamento della temperatura: gli alberi si disidratano e non riescono più alimentare i loro enormi tronchi. E non possiamo neanche sperare in un Napoleone che sollevi questi giganti dalla loro miseria. Ma non c'è solo A. digitata. Il Madagascar ospita ben sei specie endemiche, tra cui A. grosdidieri, considerata la più bella per il tronco slanciato. Vive invece in Australia A. gregorii, non meno affascinate delle cugine africane. Qualche approfondimento nella scheda. Per circa centocinquanta anni, l'orto botanico parigino, prima Jardin du Roy poi Jardin des Plantes, fu dominato da esponenti della famiglia Jussieu, nelle vesti di professori di botanica e dimostratori. Abbiamo già incontrato uno dei membri della prima generazione, Joseph de Jussieu, nel ruolo di botanico della spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. E' ora di conoscere più da vicino i suoi celebri fratelli, gli accademici Antoine e Bernard, soprattutto quest'ultimo, cui si deve un decisivo passo avanti nell'elaborazione di un metodo di classificazione naturale delle piante, poi perfezionato da un altro Jussieu, suo nipote Antoine-Laurent. L'ultima generazione è poi rappresentato dal figlio di questi, Adrien. Non più validi i generi che furono dedicati all'intera famiglia, a celebrare almeno Bernard e Adrien rimangono due generi di Euphorbiaceae, Bernardia e Adriana. I Jussieu, linneani riluttanti Nel maggio del 1738, prima di tornare definitivamente in Svezia, Linneo passò da Parigi per visitare il Jardin du roy e le sue collezioni. Per preparare il soggiorno, aveva scritto ai padroni di casa, i due Jussieu: Antoine, il titolare della cattedra di botanica, e Bernard, il dimostratore delle piante. Si racconta che arrivasse al Jardin senza annunciarsi, unendosi a un gruppo di studenti che seguiva una dimostrazione di Bernard. A un certo punto, questi chiese di identificare una pianta sconosciuta. Dal gruppo si levò una voce dall'accento straniero: "Haec planta facem americanam habet" (Questa pianta ha le caratteristiche di una pianta americana). Bastò perché Bernard capisse con chi aveva a che fare, replicando "Tu es diabolus aut Linnaeus" (O sei il diavolo o sei Linneo"). Fu l'inizio di una duratura amicizia. Bernard condusse Linneo a visitare il giardino, gli aprì le porte dell'erbario e della biblioteca, erborizzò con lui nelle campagne parigine, lo introdusse nei circoli scientifici della capitale. Più tardi, ne fece il suo corrispondente all'Accademia delle Scienze e fu determinante per la sua ammissione all'istituzione come membro estero. Linneo ricambiava con una profonda stima per Bernard, con cui continuò a scambiare lettere per quasi un trentennio; nel 1747 così scrisse a un corrispondente: "E' l'astro del nostro secolo; lo metto al di sopra di tutti, perché è ricchissimo di osservazioni solide e ben fondate". Nella sua famosa lista degli "ufficiali del Regno di Flora", assegnò a Bernard il ruolo di generale maggiore, secondo solo a lui, il generale in capo. Candolle riferisce che lo ammirava tanto da dire ai suoi allievi: "Non c'è nessuno in grado di spiegare così bene le piante. Aut Deus aut magister noster Jussiaeus, o Dio o il nostro maestro Jussieu". Al contrario di Buffon, il sovrintendente del Jardin, che espresse critiche feroci al sistema linneano, i Jussieu ne vedevano con equilibrio pregi e limiti. Nel 1744 Bernard curò la pubblicazione francese della quarta edizione di Systema naturae, integrando le denominazioni linneane con quelle di Tournefort e i nomi volgari francesi. Nel 1774, per volontà di Bernard e suo nipote Antoine-Laurent, la denominazione binomiale fu adottata nel Jardin des Plantes. I Jussieu riconoscevano anche i vantaggi pratici del sistema sessuale linneano, tanto che Antoine-Laurent scrisse: "La botanica gli deve una parte dei suoi progressi. Il suo sistema occuperà sempre uno dei primi ranghi tra i metodi artificiali, e faciliterà lo studio delle piante". Tuttavia, si trattava appunto di un metodo artificiale, comodo e facile da usare per identificare e nominare le piante, ma incapace di dare conto delle affinità reali e di cogliere l'ordine naturale del mondo. Naturalmente, Linneo stesso ne era perfettamente consapevole e, a parole, ammetteva la superiorità del metodo naturale, che definì "il compito ultimo della botanica", un compito, però, a suo parere non ancora accessibile ai botanici della sua generazione. Alla ricerca di un metodo naturale Pur nella sua infinita modestia, Bernard la pensava diversamente. Probabilmente poco dopo il fatidico incontro con Linneo, intorno al 1740, incominciò a elaborare un proprio metodo, basato non su un singolo criterio, ma sul maggior numero di criteri possibili, riprendendo la strada percorsa da Ray, Tournefort e Magnol. Gli erano di stimolo le acquisizioni dei suoi colleghi zoologi del Jardin du Roi, primo fra tutti Buffon, che molto prima dei botanici stavano individuando con successo validi criteri di classificazione degli animali. Nella sua ricerca Bernard si basò sull'osservazione continua e diretta delle piante, acquisendone una conoscenza profonda, direi intima. Era un osservatore, non un teorico, con un approccio olistico in cui molto contava l'istinto; il sistema dovette emergere poco a poco, per tentativi, "par tatonnement", con scriverà Candolle. Purtroppo egli era un grande studioso e un grande didatta che trasmetteva generosamente le sue acquisizioni agli allievi, ma non ha lasciato nulla di scritto sul suo lavoro. Come per ricostruire il pensiero di Socrate dobbiamo affidarci a (e fidarci di) Platone, per ricostruire il metodo di questo Socrate della botanica dobbiamo basarci su quanto ce ne racconta il nipote e allievo, Antoine-Laurent (un testimone tutt'altro che disinteressato). Nel 1759, il re chiese a Bernard di creare un orto botanico nel giardino del Trianon; il botanico accettò, e sistemò le piante nelle parcelle suddivise sulla base di ordini naturali (equivalenti grosso modo alle nostre famiglie). Non scrisse una riga per spiegare i criteri seguiti nei raggruppamenti, che però possiamo almeno in parte dedurre dalla lista manoscritta dei generi suddivisi in ordini, che fu pubblicata trent'anni dopo da Antoine-Laurent, nel 1789. Nel raggruppare le piante, Bernard prese in considerazione elementi come le caratteristiche dell'embrione, la posizione dell'ovario, la presenza o l'assenza di petali, la fusione o la libertà dei petali. La classificazione venne strutturata gerarchicamente in tre gruppi principali, 14 classi e 65 ordini. Cominciando dalle crittogame, proseguiva con le monocotiledoni, quindi le dicotiledoni, per finire con le conifere. Dal 1763, Bernard fu affiancato dal nipote Antoine-Laurent, che l'avrebbe poi sostituito come dimostratore e avrebbe concluso la carriera come direttore post rivoluzionario del Museo nazionale di scienze naturali. Nel fatidico 1789, oltre al manoscritto sulla disposizione del giardino del Trianon, egli diede alle stampe Genera Plantarum, secundum ordines naturales disposita. In questo testo importantissimo, oggi considerato il vero inizio della classificazione naturale come noi la concepiamo, egli presenta il proprio metodo come la continuazione, o meglio l'attualizzazione e il perfezionamento, delle acquisizioni dello zio. Non sappiamo se dobbiamo credergli fino in fondo; in questa affermazione c'è infatti l'intento polemico di assicurare la primogenitura alla propria famiglia, sminuendo il contributo di Adanson, che di Bernard era stato allievo, e aveva pubblicato la sua Familles de plantes a partire dal 1763. Non sappiamo dunque se davvero risalisse già a Bernard, o si debba interamente a Antoine-Laurent, l'introduzione di quella che Cuvier (che fu profondamente influenzato da quest'ultimo) avrebbe chiamato "legge di subordinazione degli organi". Per ritrovare l'ordine che presiede alla natura è necessario, è vero, osservare ogni parte delle piante, tenere conto dell'insieme delle caratteristiche, ma non tutte hanno la stessa importanza gerarchia. Per prime vengono le caratteristiche costanti, comuni a tutte le piante dell'ordine, ricavate dagli organi essenziali (prime fra tutte il numero dei cotiledoni o la loro mancanza); quindi le caratteristiche quasi costanti, ricavate da organi non essenziali, in particolare la corolla e gli stami, che nel loro insieme contribuiscono a individuare le caratteristiche di una famiglia, ma singolarmente servono unicamente a determinare un genere; infine le caratteristiche variabili, ricavate da qualsiasi organo, distintive di ciascuna specie. E' questa la maggiore novità del sistema di Jussieu, che lo distingue dai precedenti metodi naturali e apre la strada ai rapidi progressi della classificazione naturale, portata avanti nell'Ottocento tra gli altri dal maggiore discepolo di Antoine-Laurent, Augustin Pyrame de Candolle. Una famiglia di botanici per le famiglie di piante Prima di lasciare questa importantissima famiglia di botanici, che dominò il Jardin du Roy, poi Jardin des plantes per tre generazioni e quasi un secolo e mezzo, dal 1709, quando vi approdò Antoine, al 1853, quando morì Adrien, il suo ultimo esponente, è ora di conoscerne meglio i membri. I Jussieu erano originari di Lione, dove esercitavano da generazioni la professione di farmacista. Antoine (1686-1758) andò a studiare medicina a Montpellier, dove si appassionò di botanica; le sue spedizioni botaniche in Normandia e Bretagna attirarono l'attenzione di Fagon, che nel 1709, alla morte di Tournefort, lo chiamò al Jardin du Roy a insegnare botanica. Già due anni dopo fu ammesso all'Accademia delle Scienze. Nel 1716 fu inviato in missione in Spagna e prese con sé il fratello minore Bernard (1699-1777), all'epoca ancora adolescente. Nel 1722 anche Bernard arrivò al Jardin du Roy, come sottodimostratore, e nel 1725 anch'egli fu ammesso all'Accademia delle Scienze. Tra i due fratelli, legatissimi, ci fu subito una netta divisione di ruoli: Antoine era il professore titolare, ricopriva ruoli ufficiali anche amministrativi e inoltre era un medico reputato, con una vasta clientela. Bernard, sempre modesto, poco propenso ad apparire, era l'appartato studioso e il prestigioso didatta che svelava i segreti delle piante a uno stuolo di allievi riverenti. Si occupava anche dell'erbario e delle collezioni del Jardin, che incrementò (sembra di tasca propria) anche con due viaggi in Inghilterra, da uno dei quali riportò due plantule di Cedrus, che secondo un aneddoto forse apocrifo fecero il viaggio nel suo cappello. Da questa posizione defilata non volle discostarsi neppure dopo la morte di Antoine, rifiutando di succedergli nella cattedra di botanica per rimanere sottodimostatore come era sempre stato. Ai vecchi, diceva, non piacciono i cambiamenti. Ma ci sono ancora due fratelli; Christophe, rimasto a Lione a gestire la farmacia di famiglia, e Joseph (1704-1779) che abbiamo già incontrato parlando della Spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. Rimasto in America 35 anni a raccogliere piante e ad assistere i poveri, ritornò in Francia solo nel 1771, ormai privo di senno, e fu amorevolmente assistito da Bernard, ormai divenuto capo famiglia dopo la scomparsa di Antoine. Come ho già anticipato, dal 1763 era arrivato a Parigi anche Antoine-Laurent (1748-1836), figlio di Christophe. Divenuto l'assistente e il migliore allievo di Bernard, nel 1770 succedette a Le Monnier come professore al Jardin du Roy. Per almeno un quindicennio fu impegnato nella stesura di Genera Plantarum, che, come ho anticipato, uscì proprio nell'anno d'inizio della rivoluzione francese. Con la quale il nostro riuscì a destreggiarsi a sufficienza da essere nominato nel 1804 direttore del Museo Nazionale di Scienze naturali, sorto dalle ceneri del Jardin du Roy, ormai Jardin des Plantes. Fu una delle principali figure della botanica europea della prima metà dell'Ottocento. Nel 1826, divenuto quasi cieco (un destino che toccò a molti botanici, affaticati dall'eccessivo uso del microscopio, compreso suo zio Bernard), lasciò la cattedra al figlio Adrien. Siamo così arrivati all'ultima generazione: Adrien (1797-1853) fu a sua volta professore sia al Jardin des Plantes sia alla facoltà di scienze. Il suo contributo più importante è Cours élémentaire de botanique, un'opera didattica di grande diffusione. Gli si devono anche alcuni saggi su varie famiglie di piante, che andavano ad aggiungere un mattoncino all'edifico della botanica sistematica di cui Bernard aveva gettato le fondamenta. Due Euphorbiaceae esotiche per due Jussieu A questa famiglia così illustre non potevano mancare le dediche di generi botanici. Nel 1753 Linneo cercò di pagare il suo debito di riconoscenza verso i fratelli Jussieu dedicando loro Jussaea, oggi confluito in Ludwigia insieme a Isnardia. Nel 1781, in Reliquiae Houstonianae, lo scritto di Houstoun edito postumo da Banks, seguì Jussieuia, oggi sinonimo di Cnidoscolus. E così anche Antoine, Joseph e Antoine-Laurent si aggiungono alla lunga lista di grandi botanici non ricordati da alcun genere valido. Non è così né per Bernard né per Adrien. Si dove ancora a Houstoun (in questo caso la proposta fu accolta e fatta propria da Philip Miller, che il botanico lionese aveva conosciuto durante il viaggio a Londra) la dedica a Bernard de Jussieu del genere Bernardia della famiglia Euphorbiaceae. Bernardia è un vasto genere che comprende almeno una settantina di specie di arbusti ed erbacee perenni originari dell'America tropicale e subtropicale, tipiche soprattutto degli ambienti semiaridi, dalla California al Brasile. Morfologicamente molto vario, nonostante il grande numero di specie, è relativamente poco studiato. Sono piante monoiche o dioiche, con foglie per lo più dentate, usualmente con ghiandole basali e piccole stipole solitamente persistenti. I fiori unisessuali, privi di petali, sono raccolti in infiorescenze in forma di spiga o di racemo all'ascella dei rami. Quelli staminati (maschili) presentano solitamente tre brattee simili a foglie, mentre quelli pistillati sono globosi e ricoperti di peli. I frutti sono delle capsule con tre lobi o tre angoli. Tra le specie più note, B. incana, originaria dei deserti tra California e Messico settentrionale, con stipole persistenti che essudano una resina scura e foglie biancastre per la presenza di una densa peluria; B. myricifolia, che fa parte delle comunità di macchie di arbusti su roccia calcarea di Texas e Messico, è simile alla precedente, ma con stipole caduche e prive di essudato. Un riconoscimento, infine, è toccato anche all'epigono Adrien, che nel 1825 ricevette da Gaudichaud-Beaupré la dedica di un altro genere di Euphorbiaceae, il piccolissimo Adriana, con solo due specie originarie dell'Australia, A. quadripartita e A. urticoides, il primo endemico dell'Australia meridionale, il secondo presente in tutta l'isola, ad eccezione della Tasmania. Sono fitti arbusti eretti, dioici, anch'essi adattati ad habitat aridi. Di A. quadripartita, nota come bitter-bush, esistono due forme: una con foglie glabre, l'altra con foglie pubescenti. Quest'ultima viene anche utilizzata per formare siepi costiere antivento. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
October 2024
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