Il genere Vigna, cui appartengono almeno una decina di specie di legumi alimentari molti coltivati (tra cui il nostro fagiolo dell'occhio V. unguiculata) non ha nulla a che fare con vigne e vigneti. Anch'esso deve il suo nome a una persona, il medico e botanico toscano Domenico Vigna, più volte ma sempre per breve tempo prefetto del giardino dei semplici di Pisa, che ha ricevuto tanto onore da uno dei suoi successori, anche se non sembra vantare particolari meriti botanici. Un prefetto tappabuchi Gaetano Savi, prefetto dell'orto botanico di Pisa dal 1814, si propose di fare uscire dall'oblio diversi esponenti anche minori della botanica toscana dedicando loro un genere botanico. Probabilmente il più importante di questi generi (molti dei quali non più accettati) è Vigna (Fabaceae) che raggruppa una grande quantità di fagioli diffusi un po' in tutti i continenti, dal nostro fagiolo dell'occhio (V. unguiculata) agli orientali azuki (V. angularis). Il personaggio che dà loro il nome è Domenico Vigna, che insegnò botanica a Pisa e fu a più riprese prefetto dell'orto botanico pisano nella prima metà del Seicento. Gran parte delle scarse notizie che abbiamo su di lui si devono sempre a Savi, che le riprese in parte da Giovanni Targioni Tozzetti. Vigna era fiorentino, ma non ne conosciamo la data di nascita. Medico, dovette essersi formato proprio a Pisa, dato che Savi lo dice allievo di Baldelli, Malocchi e Rovezzani. Nominato medico condotto a Vico Pisano, acquistò una notevole reputazione professionale. Nel 1608, alla morte di Orazio Rovezzani, gli succedette come Professore di medicina con lettura di botanica, cattedra che mantenne fino alla morte nel 1647. Non lasciò per tanto la più redditizia professione medica, tanto che Savi commenta "in conseguenza non poteva aver tempo per badare alla Botanica". Nel 1614 fu per qualche mese prefetto dell'orto pisano, una posizione che tornò ad occupare ad interim, quasi come tappa buchi, ancora tra 1632 e il 1634. Sembra che come professore, pur non essendo un luminare, se la cavasse onorevolmente; dice infatti di lui Giovanni Targioni Tozzetti: "contuttoché non fosse un gran Botanico, pure per istruire i Giovani, e mostrare loro le piante utili, era più che sufficiente". Almeno di erbe medicinali doveva intendersi abbastanza; sappiamo che erborizzò nelle campagne di Agnano, nella Valle di Calci, presso San Giuliano, Ripafratta, Corliano, Avane e Vecchiano e, secondo Targioni Tozzetti, fu il primo a pubblicare alcune piante locali. Le sue lezioni dovevano essere piuttosto tradizionali, ovvero consistere nella lettura e nel commento a Teofrasto e Dioscoride. La sua unica opera edita è infatti Animadversiones, sive observationes in libros de historia, et de causis plantarum Theophrasti (1625), libro che Savi giudica severamente, definendolo "superficialissimo, con interpretazioni strane, ed erronee, e che non mostra gran dottrina". Ritiene però di qualche utilità la parte storica, per le notizie sui suoi predecessori all'Università e all'orto pisano, per i nomi vernacolari delle piante e la loro corretta localizzazione nonché per l'origine delle piante esotiche. Più drastico di lui Targioni Tozzetti, che dice l'opuscolo scritto in "latino barbaro" e aggiunge "in esso libro ha eseguito il suo assunto in maniera da far pietà". Anch'egli riconosce l'utilità delle sue notizie storiche, quindi ci informa che aveva tenuto lezioni su certe gomme e resine e che intendeva fare un indice di Dioscoride, progetto al quale presumibilmente rinunziò. Meritò comunque che il suo ritratto fosse esposto, insieme a quello dei suoi colleghi, nel vestibolo dell'orto botanico. Fagioli per tutti i gusti Il genere associato da Savi a questo non indimenticabile botanico è decisamente importante, perché gli appartengono alcuni dei legumi più coltivati al mondo. Linneo aveva riunito i fagioli del vecchio e del nuovo mondo nei generi Phaseolus o Dolichos; nel 1822 Savi ne staccò i due generi Malocchia e Vigna, dedicati a due dei prefetti del giardino dei semplici di Pisa, il frate Francesco Malocchi e appunto Domenico Vigna. Mentre Malocchia oggi non è più valido (è sinonimo di Canavalia), Vigna (famiglia Fabaceae) è un vasto genere di oltre 100 specie, diffuso nelle aree tropicali e subtropicali di tutti i continenti; almeno una decina hanno notevole importanza alimentare. Iniziamo dal nostro continente con Vigna unguiculata, ovvero il fagiolo dell'occhio, originario dell'Africa ma già ampiamente coltivato da Greci e Romani. Sembra sia stato domesticato in Africa forse già intorno al 2000 a.C., sia come foraggera sia come tessile, per poi diffondersi in India, in Cina e in Europa, dove forme coltivate sono note almeno dal 300 a.C. Nel Medioevo costituiva la principale fonte di proteine da legumi; fu soppiantato a partire dal Cinquecento dai più produttivi fagioli americani, divenendo una coltivazione a carattere locale. Ancora oggi è il principale legume alimentare in Africa; in Nigeria, che ne è il maggiore produttore mondiale, è coltivato anche per le fibre tratte dai lunghi peduncoli del gruppo textilis. In Cina invece è stata selezionata la sottospecie sequipedalis, con baccelli lunghi anche più di un metro: si tratta dei cosiddetti fagiolini a metro, di cui si consumano appunto i baccelli immaturi. In Africa è molto coltivato anche il fagiolo Bambara V. subterranea, originario dell'Africa occidentale, ma introdotto in altre regioni africane e in America centrale e meridionale, usato sia nell'alimentazione umana sia come mangime per gli uccelli da cortile. Come le arachidi, dopo la fecondazione il fiore si piega a terra e i frutti maturano sottoterra. Diverse specie di Vigna sono coltivate in India; tra le più apprezzate l'urad o fagiolo nero o gram neroV. mungo, che, oltre ad essere consumato stufato o in curry, viene utilizzato anche sotto forma di farina nella preparazione di pani, frittelle e dolci. Nativo dell'India è anche V. aconitifolia, noto come matki o fagiolo farfalla, anch'esso usato nei curry, ma anche come foraggio; per la sua resistenza alla siccità è stato identificato come una delle colture del futuro. Largamente coltivata non solo in India, ma in tutta l'Asia orientale è V. radiata, noto come azuki verde, mungo verde o gram verde. Nel subcontinente è usato essiccato e per lo più privo decorticato in molte preparazioni salate e dolci ma anche sotto forma di farina. Se ne ricava la farina con la quale vengono preparati i cosiddetti spaghetti di soia. I germogli, noti impropriamente come germogli di soia verde, sono consumati crudi in alternativa ai veri germogli di soia. Nel nostro giro del mondo attraverso il genere Vigna siamo così giunti in Giappone, dove V. angularis, ovvero l'azuki o fagiolo rosso è la verdura più consumata dopo la soia. Nativo della Cina o della regione himalayana, è stato domesticato intorno al 1000 a.C. per poi diffondersi in tutta l'Asia orientale. Nelle cucine di questa area è l'ingrediente di molte preparazioni, incluse quelle dolci, a base di una pasta o confettura in Giappone detta anko a base di azuki bolliti con lo zucchero. Alcune specie sono così diffuse che è difficile stabilirne l'origine; è il caso di V. luteola, presente nelle aree tropicali di tutto il mondo: alcuni studiosi la ritengono originaria dell'Africa, altri del Sudamerica. Questa specie cresce in acque basse ed è utilizzata soprattutto come foraggio. Infine, una curiosità; come la maggior parte delle specie americane, sono state spostate in altri generi due specie dai fiori molto decorativi: V. caracalla oggi è Cochliasanthus caracalla, unica specie di questo genere, mentre V. speciosa è Sigmoidotropis speciosa.
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Lo storico della scienza D. Sutton l'ha definito "una delle opere di storia naturale più durature che siano mai state scritte [...] che ha formato le basi del sapere occidentale per i successivi 1500 anni". E' innegabile: con la Materia medica del greco Dioscoride, che aveva già alle spalle quasi un millennio di storia, hanno fatto i conti tutti gli studiosi che tra Quattrocento e Seicento hanno fondato la botanica moderna. Ripercorriamo le tappe della storia di questo long seller e scopriamo anche il genere che ne celebra l'autore, Dioscorea. Prima vita: la composizione In un momento imprecisato della terza metà del primo secolo (tra il 50 e il 70 d.C.) un medico greco, nato in Cilicia, Dioscoride Pedanio, scrive il trattato Περὶ ὕλης ἰατρικῆς Peri hules iatrikēs, più noto con il titolo latino De materia medica ("Sulle sostanze medicinali"). L'argomento è l'illustrazione delle sostanze vegetali, animali, minerali utilizzate in campo medico; il testo, distribuito presumibilmente in cinque volumi, tocca oltre 800 sostanze, tra cui 583 piante, delle quali vengono forniti la denominazione, se possibile la distribuzione geografica, una breve descrizione della parte utilizzata, il procedimento di raccolta, preparazione, somministrazione, le indicazioni terapeutiche e la posologia. Dioscoride aveva a lungo viaggiato e nella sua opera confluiscono le conoscenze degli autori che lo avevano preceduto, la sapienza popolare e le sue stesse esperienze come medico-erborista. Polemizzando con i contemporanei che esponevano le sostanze in ordine alfabetico, adotta per il suo trattato un ordine logico, difficile da cogliere per noi, ma che doveva basarsi sulle loro proprietà mediche. Il primo libro tratta le sostanze aromatiche e oleose; il secondo gli animali, i cereali, le erbe orticole e piccanti; il terzo radici, succhi, erbe e semi usati come cibo o medicamento; il quarto i narcotici e i veleni; il quinto i vini e le sostanze minerali. Il focus è sull'uso medico; le descrizioni quindi sono essenziali e, presumibilmente, non erano accompagnate da illustrazioni. Una sintesi delle poche informazioni biografiche pervenuteci su Dioscoride nella biografia. Seconda vita: il Dioscoride greco Soprattutto nella parte orientale dell'impero, l'opera di Dioscoride si afferma come testo di riferimento; lo attestano le citazioni in altri autori, come Galeno, medico di M. Aurelio, e i relativamente numerosi manoscritti. Ma il successo vuol dire anche rimaneggiamenti. L'ordine scelto da Dioscoride rendeva l'opera difficile da consultare; nel IV secolo Oribase, medico dell'imperatore Giuliano, ne predispose un indice. Forse in Italia venne confezionato un estratto, che comprende una parte delle notizie sulle piante, riorganizzate in ordine alfabetico. Accompagnato da miniature che ritraevano le piante, questo Erbario alfabetico è la fonte di due spettacolari codici: il Dioscoride di Vienna e il Dioscoride napoletano. Il Dioscoride di Vienna è considerato da molti il più bel manoscritto antico a noi pervenuto; fu donato alla principessa bizantina Anicia dal popolo di Costantinopoli verso il 512-513; è il più antico erbario figurato della cultura occidentale, con 383 disegni di piante. Dopo complesse vicende, fu acquistato e portato a Vienna dall'ambasciatore imperiale a Costantinopoli, Ogier Ghiselin de Busbecq. Il Dioscoride di Napoli, più recente ma dipendente dallo stesso archetipo (ovvero dal medesimo manoscritto precedente, oggi perduto), comprende 170 pagine illustrate. E' stato recentemente oggetto di una importante pubblicazione a cura dell'Università di Napoli e della casa editrice Aboca. Molti materiali nel sito della Biblioteca nazionale di Napoli. Entrambe sono opere spettacolari, più pensate come oggetti di lusso che come libri di studio o consultazione, in cui le illustrazioni prevalgono sul testo. Terza vita: il Dioscoride latino Anche nella parte occidentale dell'impero, l'opera di Dioscoride circolò dapprima nella versione greca; tuttavia nella tarda antichità incominciarono ad esserne tratte traduzioni in latino; ce ne sono pervenuti alcuni manoscritti, risalenti al VII-X secolo (senza figure). Ma anche in Occidente abbondano i rimaneggiamenti. Uno dei più antichi è il Liber medicinae ex herbis foemininis, un testo anonimo forse del III secolo, che estrae la descrizione di una settantina di piante, accompagnate da illustrazioni. Intorno al XII secolo, forse in connessione con la scuola di Salerno, viene approntata una versione in ordine alfabetico (Dioscorides alfabeticus), che interpola all'opera di Dioscoride notizie tratte da molte altre fonti. Questa edizione diventerà quella più diffusa (non ci sono manoscritti della vecchia traduzione latina posteriori al X secolo) e sarà glossata intorno al 1300 da Pietro da Abano. La versione glossata da Pietro sarà anche il primo Dioscoride stampato (nel 1478 da Medemblik, a Colle Val d'Elsa). Citato anche da Dante, nel Medioevo dunque Dioscoride è conosciuto attraverso questa versione spuria ed ampiamente citato - o meglio copiato - nelle enciclopedie come lo Speculum naturae di Vincenzo da Beauvais, nei manuali medici e nei ricettari farmaceutici. Le miniature che accompagnano i manoscritti medioevali sono spesso di grande qualità artistica, ma molto fantasiose. Quarta vita: il Dioscoride arabo Anche più vitale si rivelava intanto Dioscoride in un'altra area, quella dell'Oriente islamizzato. Il testo è trasmesso attraverso una complessa trafila di traduzioni, dal greco al siriano, dal siriano all'arabo, dall'arabo al persiano. Anche nel mondo islamico abbondano le opere più o meno rimaneggiate, tra cui erbari con illustrazioni non molto più attendibili di quelle occidentali. Ma Dioscoride è anche un autore di prestigio, che ispira molte opere originali in campo medico, a partire dal IX secolo. Tutti i grandi nomi della medicina araba gli pagano un debito. Ad esempio, per limitarci a un nome noto anche in Occidente, Ibn Sina (da noi chiamato Avicenna) trae da De Materia medica gran parte del capitolo sui semplici del suo Canone di medicina. Quinta vita: il Rinascimento E' stato sostenuto che il Rinascimento non aveva bisogno di riscoprire Dioscoride perché non era mai stato dimenticato. Ma, come abbiamo visto, quello che circolava nel Medioevo occidentale era un Dioscoride di seconda o terza mano. Era ora di tornare al testo autentico: come diceva Leonhardt Fuchs, perché bere l'acqua inquinata quando si può attingere alla fonte? Due generazioni di studiosi sono impegnate a ritrovare il vero De Materia medica liberandolo dalle parti spurie. La prima è rappresentata dai filologi come Ermolao Barbaro che nel 1481 predispone una nuova traduzione partendo dal testo greco, corredata di un commento; pubblicata molto più tardi, sarà seguita nel secondo decennio del Cinquecento da nuove traduzioni come quella di Ruel in Francia o di Marcello Adriani in Italia. La seconda, dopo il 1530, è quella dei medici e dei naturalisti, che intendono tornare a Dioscoride per rivitalizzare la pratica medica e lo studio delle piante. De materia medica diventa un testo canonico dell'insegnamento della medicina e tutto il gotha della medicina (e della botanica, che al tempo erano la stessa cosa) del '500 tiene lectiones su Dioscoride: tra gli altri, Francesco Frigimelica, Gabriele Falloppio, Ulisse Aldrovandi, Luca Ghini in Italia; Guillaume Rondelet in Francia; Valerius Cordus in Germania; Caspar Bauhin in Svizzera. Il culmine di questo filone sono probabilmente i Commentari a Dioscoride di Pietro Andrea Mattioli (1544). Vista l'importanza assunta da Dioscoride nella formazione dei futuri medici, l'obiettivo fondamentale dei medici-botanici della generazione di Fuchs è identificare correttamente, descrivere e classificare le specie trattate dal medico greco, mentre cresce l'interesse per le piante in sé, non solo per il loro uso farmaceutico. Su questa via, anche se Dioscoride è ancora un punto di riferimento, incominciano ad emergerne i limiti in modo sempre più clamoroso: i botanici tedeschi o olandesi hanno molta difficoltà a ritrovare la flora dell'Europa centro-settentrionale in un manuale di farmacologia nato nel Mediterraneo orientale; non parliamo poi delle nuove piante che arrivano grazie alle scoperte geografiche. Brasavola (1500-55) dirà esplicitamente che Dioscoride avrà forse descritto l'1 per cento delle piante del pianeta (era molto, molto ottimista!); Monardes si chiederà retoricamente come avrebbe potuto conoscere le piante del Nuovo Mondo. Ma, prima di finire definitivamente nello scaffale dei classici, ancora all'inizio del Settecento, quando ormai la strada maestra della botanica passa attraverso le ricognizioni sul campo, Dioscoride ha ancora un sussulto: tra il 1701 e il 1702, Joseph Pitton de Tournefort parte appositamente alla volta del Levante per una spedizione sulle sue orme, allo scopo di identificare correttamente le piante descritte nel De Materia medica (ne identificherà circa 400, intorno al 45%); ancora alla fine del secolo, John Sibthorp riprenderà la ricerca con due spedizioni botaniche il cui frutto sarà uno dei capolavori della botanica di primo Ottocento, la Flora Graeca (1806-40). Finalmente, la Dioscorea Sarebbe strano se un personaggio di tale importanza nella storia della botanica non fosse celebrato da un nome di genere. Infatti, ci pensò il solito Plumier, che gli dedicò il genere Dioscorea, confermato poi da Linneo. E' un genere molto importante, tanto che le specie di uso alimentare sono ben note con il nome volgare igname. Detta anche yam, è una pianta alimentare essenziale per la sopravvivenza di oltre 100 milioni di persone, la cui coltura occupa 5 milioni di ettari in 47 paesi dell fascia tropicale e subtropicale. Ricco di carboidrati e povero di proteine, secondo B. Laws (autore di 50 piante che hanno cambiato il corso della storia) il suo consumo è tuttavia anche una delle concause della sottoalimentazione dei paesi più poveri del mondo. Dal punto di vista botanico, Dioscorea è un grande genere con oltre 600 specie (alcune delle quali di uso ornamentale), che ha anche dato il proprio nome alla famiglia delle Dioscoreaceae. Come sempre, altri approfondimenti nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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