In un parco della mia città, in questi giorni di inizio autunno una Koelreuteria paniculata dà spettacolo, mano a mano che i suoi inconfondibili frutti si trasformano in tante bronzee lanterne cinesi. Un nome un po' ostico, ma che ha il merito di farci conoscere un grande scienziato, Joseph Gottlieb Kölreuter, il suo enorme contributo alla conoscenza dei meccanismi dell'impollinazione e i suoi esperimenti di ibridazione che ne fanno un precursore di Mendel. L'impollinazione delle piante Che le piante (o almeno alcune di esse) si possano riprodurre sessualmente già lo sapevano gli antichi - ne abbiamo parlato in questo post - ma ancora a fine Settecento non era affatto una questione pacifica, nonostante le chiare conclusioni di R. J. Camerarius (De sexu plantarum epistola, 1694), basate sull'osservazione dei meccanismi di fecondazione di alcune specie dioiche. D'altra parte, Linneo aveva basato il suo sistema di classificazione delle piante sui loro organi sessuali, suscitando scandalo tra i benpensanti come Siegesbeck. E' in questo contesto che l'Accademia delle Scienze di Pietroburgo nel 1759 offrì un premio a chi "dimostrasse o confutasse con nuovi argomenti e in via sperimentale la sessualità delle piante". Fu la molla che spinse Joseph Gottlieb Kölreuter, un giovane scienziato tedesco che a Pietroburgo lavorava da qualche anno, a dare inizio a una serie di innovativi esperimenti. Kölreuter, formatosi a Tubinga, dove Camerarius era nato e aveva operato come direttore dell'orto botanico, ben ne conosceva l'opera, che tra l'altro era stata ripubblicata da Gmelin, il suo professore. La sua ricerca fu a 360° e non trascurò alcun aspetto della questione. Da una parte, studiò attentamente la morfologia dei fiori e del polline; individuò nel polline l'agente maschile della fecondazione, nell'ovulo quello femminile. Esaminando la struttura del polline, scoprì, benché si servisse di un microscopio abbastanza primitivo, che il granulo è ricoperto da una duplice membrana, la più esterna delle quali (esina) è caratterizzata da "sculture" di vario tipo (aculei, lamelle, verruche, reticoli), funzionali al trasferimento del polline dalle antere allo stimma e alla sua adesione a quest'ultimo. Esaminò e descrisse la forma, il colore, la consistenza e l'aspetto del polline di circa 1000 specie. Osservando la struttura degli organi sessuali delle piante da fiore, distinse tre casi: specie che portano fiori con pistillo (femminile) e fiori con stami (maschili); specie con i fiori maschili e i fiori femminili portati su piante diverse; specie con fiori ermafroditi (completi di organi femminili e maschili). Notò che, nell'ultimo caso, in molte piante gli stami si trovano sopra lo stimma, in modo tale che il polline vi possa cadere direttamente; tuttavia, osservò che in diverse specie ermafrodite stami e stimma non maturano contemporaneamente. Distinse la fecondazione autogama (che avviene tra gli organi maschili e femminili dello stesso fiore o della stessa pianta) e fecondazione dicogama o incrociata (che avviene tra piante diverse), operata per lo più dagli insetti. Benché il ruolo degli insetti nella fecondazione fosse già stato intuito prima di lui, fu il primo a osservarlo in modo rigoroso e verificarlo in via sperimentale. Scoprì la funzione di richiamo del nettare e i meccanismi della fecondazione entomofila: gli insetti, attratti dal nettare, visitano i fiori, ricoprendosi di polline che poi trasportano da un fiore all'altro. Studiando specie ermafrodite con stami sensibili (come Berberis vulgaris), notò che quando l'insetto si introduce nel fiore per suggere il nettare che si trova alla base degli stami, sfiora gli stami stessi, che scattano in direzione dello stimma e liberano il polline. Raccolse il nettare di molti fiori, e, vaporizzandolo, ne ricavò miele dal sapore gradevole; notò che l'unico nettare da cui non si ricavava un prodotto dal gusto piacevole era quello della corona imperiale (Frittillaria imperialis), e infatti questa pianta non era visitata dagli insetti. Capì in tal modo che le api producono il miele dal nettare. Diversamente da Camerarius, capì che la fecondazione incrociata avviene anche per piante con fiori ermafroditi; studiando Verbascum phoeniceum, scoprì il fenomeno dell'autosterilità (importante perché coinvolge molte comuni piante da frutto). Incroci sorprendenti Ma i più noti esperimenti di Kölreuter riguardano l'ibridazione artificiale. Al suo tempo, si scontravano due ipotesi: le specie sono state create da Dio una volta per tutte e sono immutabili (fissismo) oppure possono mutare grazie all'ibridazione? Linneo, inizialmente fissista come tutti i suoi contemporanei, nelle opere più tarde aveva ipotizzato che Dio avesse creato una specie per ciascun genere, mentre tutte le altre sarebbero nate per ibridazione tra di loro. Lo scopo principale degli esperimenti di Kölreuter, convinto fissista, era appunto confutare questa teoria linneana, verificando se incrociando specie diverse si ottenessero ibridi fertili che potessero trasmettere i nuovi caratteri ai discendenti, originando, alla lunga, una nuova specie. Egli era convinto di no, e i suoi esperimenti sembrarono dargli ragione. Egli dapprima incrociò Nicotiana rustica con N. paniculata, due specie molto diverse per altezza, forma delle foglie, colore dei fiori. Dopo aver asportato le antere da un fiore femminile della prima specie, in modo da impedire l'autofecondazione, depositò sullo stigma granuli di polline della seconda; le piante nate dai semi così prodotte furono i primi ibridi artificiali noti nella storia della scienza (1760). Avevano caratteristiche omogenee tra di loro, intermedie tra quelle dei due genitori - egli le misurò e descrisse con teutonica precisione - e apparivano in genere più vigorosi, con fioritura abbondante, tuttavia erano sterili (privi di semi). Il polline era scarso, e appariva mal formato e irregolare. Ripetendo l'esperimento usando come madre N. paniculata e come padre N. rustica, ottenne esattamente lo stesso risultato. Era un dato nuovo, in contrasto con le conoscenze fino allora ricavati da ibridi animali, come muli e bardotti. Impollinando nuovamente le due specie con il polline imperfetto degli ibridi ottenne semi fertili, sebbene in piccolo numero. Le piante ottenute da questi semi non avevano più caratteristiche intermedie, ma identiche ai genitori. Kölreuter chiamò questo fenomeno "reversione" e ne trasse la conclusione che la natura elimina gli ibridi e preserva intatte le specie, in armonia con le sue convinzioni fissiste. I risultati ottenuti (mescolanza tra caratteri paterni e materni, sterilità degli ibridi, reversione) erano talmente in armonia con le sue attese che le considerò la regola, anche quando, incrociando altre specie, ottenne risultati divergenti; definì dunque ibridi imperfetti tutti quelli che contrastavano con le sue conclusioni: ibridi di seconda generazione nati dall'incrocio tra ibridi di prima generazione e uno dei genitori, ibridi di prima generazione fertili (come quelli che ottenne incrociando Dianthus), ibridi di prima generazione molto simili al genitore materno (riterrà quindi un ibrido imperfetto quello prodotto da Linneo sempre nel 1760 incrociando Tragopogon pratense con T. porrifolium, poiché non aveva caratteristiche intermedie, ma appariva più simile alla madre). Per i posteri, alla luce delle leggi di Mendel, a stupire sono piuttosto i risultati degli esprimenti basati su Nicotiana. In effetti, i semi di Nicotiana (ma anche di Mirabilis, che Kölreuter utilizzò in ulteriori esperimenti) presentano anomalie nella riproduzione. N. rustica in realtà è già sua volta un ibrido tetraploide (cioè con una quadruplice serie di cromosomi), mentre N. paniculata è una specie diploide (con doppia serie di cromosomi). Incrociandoli, si ottiene un ibrido triploide (con una serie di tre cromosomi), sterile. Nonostante i limiti delle conclusioni, tuttavia, gli esperimenti dello studioso tedesco, pubblicati in Vorläufige Nachricht von einigen, das Geschlecht der Pflanzen betreffenden Versuchen , "Informazione preliminare su alcuni esperimenti e osservazioni sul sesso delle piante" (1761-1766) segnarono una tappa importante nella conoscenza della biologia riproduttiva delle piante e aprirono la strada agli studi successivi; sebbene al suo tempo abbiano avuto scarsa eco, le sue ricerche sull'ibridazione furono riprese da Carl Friedrich von Gärtner (1772-1850) che a sua volta influenzò Mendel, mentre gli studi sulla impollinazione entomofila furono continuati e approfonditi da Kurt Sprengel (1750-1816). Approfondimenti sulla vita di Kölreuter nella biografia. Koelreuteria, l'albero della pioggia d'oro Come abbiamo visto, a ricordare Kölreuter è un albero bellissimo, Koelreuteria paniculata. La dedica si deve a Erich Laxmann, un botanico di origine finno-svedese che visse a lungo in Siberia; a quanto pare, egli conobbe la specie nelle sue esplorazioni al confine con la Cina e nel 1772 la dedicò al collega (erano entrambi membri dell'Accademia russa delle scienze). A dire il vero, K. paniculata era già nota da qualche decennio e potrebbe aver raggiunto S. Pietroburgo per un'altra strada: già intorno al 1747 era stata scoperta da padre d'Incarville che ne inviò i semi in patria, attraverso una delle carovane di mercanti russi che una volta all'anno avevano il permesso di commerciare con la Cina. Di facile coltivazione e di fascino esotico, la specie ebbe immediato successo e incominciò ad essere introdotta nei giardini occidentali: il centro di irradiazione è il Jardin du Roi di Parigi, dove fiorisce per la prima volta nel 1763; in Italia è attestata nel 1785; nel 1809 Thomas Jefferson scrive a un'amica parigina per ringraziarla dei semi che gli inviato per la sua villa di Monticello, dove oggi l'albero si è naturalizzato. Kolreuteria (famiglia Sapindaceae) è un piccolo genere che comprende tre specie di alberi dell'Asia orientale: oltre alla più nota K. paniculata, K. elegans e K. bipinnata. Sono alberi decidui delle foreste aride di Cina, Corea e Taiwan, con foglie alternate pinnate, fiori riuniti in grandi racemi piramidali, seguiti da inusuali frutti a capsula triangolare (trigoni). Per la bellissima fioritura, K. paniculata in inglese si è guadagnata i nomi di Golden-rain tree, "albero della pioggia d'oro", e Pride of India, "orgoglio dell'India". D'altra parte, tanta bellezza e facilità di coltivazione ha anche una contropartita: è una pianta invasiva, che in alcune parti degli Stati Uniti (Texas, Alabama, Louisiana, Florida) mette in pericolo le specie native ed è oggetto di progetti di sradicamento. Altre informazioni, in particolare sulle due specie meno note da noi, nella scheda.
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La pubblicazione di Flora Danica prosegue fin quasi alla fine dell'Ottocento, sotto sette curatori. Solo tre di loro sono ricordati da un genere botanico: Drejer, Schouw, Jens Vahl. E così scopriamo i minuscoli generi Drejera, Schouwia, Vahlodea e Mostuea (da dove salta fuori? leggete il post per saperlo). 7 curatori, 77 anni di lavoro Trascurata da Martin Vahl, la grande impresa di Flora danica era stata di fatto interrotta fin dal 1799. Le pubblicazioni ripresero solo nel 1806, due anni dopo la morte di Vahl. Per completare l'opera sarebbero stati necessari altri 77 anni e l'impegno di altri sette curatori. Solo tre di loro hanno avuto l'onore di essere ricordati da un genere celebrativo, e stranamente quelli che vi contribuirono in modo più episodico. L'immediato successore di Vahl, Jens Wilkens Hornemann (1770-1841), diede uno dei contributi più significativi: diresse l'opera per 34 anni, pubblicò 18 fascicoli (con più di mille tavole); successore di Vahl anche alla cattedra di botanica e alla direzione dell'Orto botanico di Copenhagen, fu un botanico non particolarmente innovativo, ma di solida preparazione, che si impegnò a fondo nella pubblicazione di Flora danica proprio perché non distratto da impegni scientifici più stimolanti, al contrario di Müller e Vahl. Per quanto riguarda l'onore postumo di dare il proprio nome a un genere botanico, fu insolitamente sfortunato: nel 1809 Willdenow gli dedicò il genere Hornemannia; a causa della priorità di quest'ultimo, vennero considerati non validi gli omonimi generi creati da Vahl (pubblicato postumo nel 1810) e da Bentham nel 1846. Ma per ironia della sorte anche Hornemannia Willd. è oggi un nome non valido: le due specie che ne facevano parte sono state assegnate una al genere Mazus, l'altra al genere Lindernia; il povero Hornemann deve accontentarsi di legare il suo nome all'Epilobium hornemanni (oltre che a un fungo agarico e una specie di cardellino). Da questo punto di vista, miglior sorte toccò ai suoi successori immediati, Drejer, Schouw e Jens Vahl (figlio di Martin) che nel 1843 curarono congiuntamente un unico fascicolo. Ma su di loro torneremo. Vediamo prima velocemente le vicende editoriali successive e citiamo i curatori, nessun dei quali è onorato da un nome celebrativo. Dal 1845 al 1853 l'opera fu affidata a Frederik Liebmann, che pubblicò tre fascicoli (240 tavole) e un volume di supplementi. In gioventù aveva viaggiato a Cuba e in Messico; anch'egli tenne la cattedra di botanica dell'Università di Copenhagen e la direzione dell'Orto botanico. Dopo la sua morte e una nuova lunga interruzione, un singolo fascicolo uscì nel 1848 grazie a Japetus Steenstrup e Johan Lange. Steenstrup (1813-1897) fu un importante zoologo, corrispondente di Darwin, non particolarmente interessato a un'opera come Flora danica. Sarà dunque il solo Johan Lange (1818-1898) a portarla finalmente a termine, facendo uscire tra il 1861 e il 1883 gli ultimi sette fascicoli e due volumi di supplementi, seguiti nel 1887 dagli indici alfabetici, sistematici e cronologici. Lange era un botanico di notevole spessore, che aveva compiuto studi approfonditi sulla flora danese, groenlandese e europea, in particolare spagnola; la sua revisione del sistema linneano ebbe una rilevante influenza nella nascita del Codice di nomenclatura botanica, il sistema oggi in uso. Nonostante tutti questi meriti, anche il suo ricordo è affidato unicamente a nomi specifici, come Armeria langei o Dianthus langeanus. Tre botanici per un fascicolo Curiosamente, come abbiamo anticipato, sono invece ricordati da almeno un nome di genere (sebbene si tratti di generi piccolissimi e poco noti) i tre curatori del fascicolo 40, uscito nel 1843. E' ora di fare la loro conoscenza. Salomon Drejer (1813-1842) morì giovanissimo proprio mentre ne stava preparando la pubblicazione; talentosa promessa della botanica danese, era un esperto di Cyperaceae e aveva già pubblicato alcuni notevoli lavori. La sua morte precoce destò grande commozione; gli vennero dedicati poemi, numeri monografici di riviste e un canto funebre per coro maschile, composto in occasione del suo funerale da Niels Gade, il maggior musicista danese dell'Ottocento; Drejer era stato a sua volta musicista e aveva fondato una società corale studentesca. Qualche informazione in più nella biografia. Dopo la sua morte, fu chiamato a completarne il lavoro Joakim Frederik Schouw (1789-1852), che di Drejer era stato professore. Schouw, di professione avvocato, si era appassionato alla botanica quando nel 1812 aveva avuto occasione di accompagnare Christen Smith e Hornemann in una spedizione in Norvegia destinata alla raccolta di esemplari per Flora Danica. Era stato grandemente colpito dalla relazione tra vegetazione e altitudine; pur continuando ad esercitare la professione forense, aveva incominciato a studiare a fondo la distribuzione geografica delle piante e si era laureato in botanica proprio con una tesi sull'argomento (Dissertatio de sedibus plantarum originariis) in cui tra l'altro sostenne teorie evoluzionistiche. Lasciata ormai la carriera legale, divenne un botanico a tutti gli effetti: fece viaggi in Europa, visitando colleghi come de Candolle; a Copenhagen venne creata apposta per lui una seconda cattedra di botanica. Il suo principale contributo scientifico fu Grundtræk til en almindelig Plantegeographie ("Fondamenti di fitogeografia generale", 1822). Grazie a questi contributi, egli fu uno dei pionieri della fitogeografia, riconosciuto in tutta Europa. Tuttavia a partire dagli anni '30, benché la sua carriera accademica proseguisse (diventò anche direttore dell'Orto botanico di Copenhagen), i suoi interessi scientifici passarono in secondo piano di fronte al crescente impegno politico che lo vide prima difensore della libertà di stampa, quindi leader del partito liberale, infine presidente dell'assemblea costituente nel movimentato '48 e candidato a un ministero. Per approfondire questo poliedrico personaggio, si rinvia alla biografia. La molteplicità degli impegni, oltre a una salute precaria, spiegano perché nella pubblicazione del fascicolo 40 di Flora danica fu affiancato da un altro curatore, Jens Vahl (1796-1854), figlio maggiore di Martin. Laureato in farmacia, ma con una formazione articolata anche come chimico e botanico, Vahl junior fu un importante specialista della flora artica: esplorò nel corso di lunghi viaggi la Groenlandia (1828-30; 1829-36); nel 1838-39 partecipò a una spedizione francese a Capo Nord e all'isola Spitsbergen. I suoi viaggi gli consentirono di raccogliere un grande erbario, con note particolarmente accurate sulle circostanze della raccolta, la localizzazione e l'habitat. Al suo rientro a Copenhagen nel 1840 divenne assistente all'Orto botanico; progettò una Flora groenlandica, che tuttavia non riuscì a completare a causa della morte. Qualche notizia in più nella biografia. Drejera, Schouwia, Vahlodea e... Mostuea (?) Sfortunato in vita come negli onori postumi Solomon Drejer vede appeso a un filo il suo genere celebrativo. Drejera fu istituito qualche anno dopo la sua morte (1847) dal botanico tedesco Nees von Esenbeck separandolo da Justicia (famiglia Acanthaceae). Oggi quasi tutte le sue undici specie sono stati riassegnate ad altri generi; rimane ancora da risolvere lo status di due specie brasiliane, D. polyantha e D. ramosa, forse da includere nel genere Thyrsacanthus. Un secondo genere, Drejerella, creato da Lindau qualche anno più tardi, è oggi considerato una sezione di Justicia. Proprio come Hornemann, dunque, Drejer rischia di perdere il suo genere celebrativo. Qualche notizia in più sullo sfuggente (e molto probabilmente non valido) genere Drejera nella scheda. A ricordare l'amico Schouw provvide invece il grande tassonomista de Candolle nel 1821. Schouwia (Brassicacae) è un genere monotipico che comprende la sola specie S. purpurea, un'erbacea annuale o perennante con foglie semisucculente e fiori violetti, diffusa dal Nord Africa alla penisola arabica, in ambienti deserti montani, che era stata descritta per la prima volta da Forsskål con il nome di Subularia purpurea. Qualche notizia in più, soprattutto sull'habitat e sulla sua importanza ecologica nella scheda. A fare la parte del leone è però Jens Vahl, che di generi se n'è visti assegnare ben due. Il primo è Vahlodea (il nome Vahlia era già "occupato", in celebrazione del padre Martin), una graminacea (Poacea), stabilita come genere dal botanico svedese Fries nel 1842. Anche in questo caso si tratta di un genere monotipico, rappresentato da V. atropurpurea, un'erba perenne circumboreale e sudamericana dei pascoli umidi della zona artica e subartica e dell'alta montagna (in inglese è chiamata Mountain hairgrass). Presente anche in Scandinavia e Groenlandia, è una scelta particolarmente adatta per ricordare un grande esperto di flora artica. Spesso viene assegnata al genere Deschampsia, ma in questo caso gli studi più recenti ne confermano l'indipendenza. Qualche approfondimento nella scheda. L'altro genere dedicato a Jens Vahl è formato a partire dal suo secondo nome, affine al secondo nome dell'onomastica anglosassone (il nome completo era Jens Laurentius Moestue Vahl): si tratta di Mostuea, della minuscola famiglia Gelsemiaceae, che comprende solo due generi, recentemente separata dalla famiglia Loganiaceae, creato nel 1853 dal botanico danese Didrichsen. Con le sue quattro-otto specie, è anche il genere più cospicuo tra i piccolissimi generi dedicati ai nostri tre protagonisti; si tratta di piccoli arbusti o rampicanti legnosi, con infiorescenze con graziosi fiori bianchi o lilla imbutiformi a cinque petali e curiosi frutti cuoriformi, con una distribuzione transoceanica in Africa e Sud America. E' piuttosto ironico che sia praticamente impossibile, a meno di fare una ricerca accurata, risalire dal nome del genere al suo dedicatario. E non si tratta di un caso unico. Anche per Mostuea, qualche notizia in più nella scheda. Una delle più note piante d'appartamento celebra un altrimenti dimenticato giardiniere: lei è la Dieffenbachia, tanto amata per le grandi foglie variegate quanto temuta per la fama di tossicità; lui è Joseph Dieffenbach, giardiniere capo del Giardino botanico dell'Università di Vienna per almeno un trentennio. Giardiniere vs botanico Statisticamente, tra i dedicatari di generi botanici predominano cattedratici e raccoglitori; i giardinieri sono rare eccezioni. Uno di loro è Joseph Dieffenbach, giardiniere viennese onorato dalla notissima Dieffenbachia. Per un lunghissimo periodo (dal 1820 e almeno fino al 1850) fu capo giardiniere dell'Orto botanico di Vienna (Hortus Botanicus Vindobonensis) ed ebbe modo di collaborare con i numerosi studiosi che si succedettero alla testa dell'istituzione. Ebbe un ruolo importante nelle grandi ristrutturazioni che a metà secolo ridisegnarono l'impianto originale del giardino; sotto la direzione di S. L. Endlicher, negli anni '40, esso fu trasformato secondo lo stile del giardino paesaggistico inglese con alberi, arbusti e piante erbacee raggruppate seguendo il sistema di classificazione elaborato dallo stesso Endlicher; negli anni '50, Eduard Fenzl affiancò ai criteri sistematici una maggiore attenzione agli ambienti e alla distribuzione geografica. Sotto tanti direttori e in mezzo a tante trasformazioni, nella sua lunghissima vita lavorativa come giardiniere capo Dieffenbach fu sicuramente un punto di riferimento, tanto che nel 1850 fu insignito di un'onorificenza imperiale. Ma a immortalare il suo nome aveva provveduto molti anni prima Heinrich Wilhelm Schott, grande esperto di Araceae che nel 1829, in uno dei suoi importanti lavori su questa famiglia, stabilì il nuovo genere Dieffenbachia. All'epoca Joseph Dieffenbach era ancora giovane (la data di nascita è incerta; alcune fonti la collocano nel 1790, altre nel 1796) e forse la dedica, più che ai suoi meriti di giardiniere, si deve ascrivere ad altri motivi. Il predecessore di Dieffenbach nel ruolo di capo giardiniere del giardino botanico viennese non era altri che Heinrich Schott (morto nel 1819), il padre di Heinrich Wilhelm, il quale per qualche anno aveva collaborato con lui e proprio come giardiniere aveva partecipato alla spedizione austriaca in Brasile (1817-1821) grazie alla quale aveva cominciato ad appassionarsi allo studio delle Araceae. Non è inverosimile che Dieffenbach - prima di diventare a sua volta capo giardiniere dopo la morte di Schott padre - avesse lavorato alle sue dipendenze; in tal caso, presumibilmente era amico del quasi coetaneo Schott figlio; la circostanza è confermata da una pubblicazione di inizio Novecento sulle Araceae, in cui la dedica a Dieffenbach è attribuita ai suoi meriti come curatore del giardino e all'amicizia di Schott. Le notizie reperibili in rete su questo oscuro personaggio sono pochissime e, al solito, confuse. Intanto, Dieffenbach, come si è visto, era il capo giardiniere dell'Orto botanico e non del giardino di Schönbrunn come viene spesso riportato; non fu mai alle dipendenze di H. W. Schott, che diresse invece proprio quel giardino dal 1845; dunque questi non poté certo dedicargli il genere (nel 1829!) come riconoscimento per la sua perizia nel collaborare con lui. Meno che mai la Dieffenbachia è dedicata a Ernst Dieffenbach (1811-1855), botanico tedesco noto per una spedizione in Nuova Zelanda, che è invece ricordato dai nomi specifici dieffenbachianus, dieffenbachii (come Aciphylla dieffenachii, una graziosa apiacea della Nuova Zelanda). Insomma, per una volta, il giardiniere l'ha avuta vinta sul botanico e cacciatore di piante. Come al solito, una sintesi della vita di Joseph Dieffenbach - brevissima, vista l'esiguità delle notizie - nella sezione biografie. Dieffenbachia, pianta killer? Per il loro fogliame lussureggiante e la relativa adattabilità alle condizioni delle nostre case, molte Araceae tropicali sono popolari piante d'appartamento. Dieffenbachia non fa eccezione: la sua specie più nota, D. seguine (in genere commercializzata con i sinonimi D. amoena, D. maculata, D. picta) è un ornamento consueto nelle case, negli uffici, nei corridoi degli ospedali, nei locali pubblici, grazie alle enormi foglie variegate dall'indubbio fascino tropicale e alla facilità di coltivazione. Il genere comprende una cinquantina di specie di erbacee originarie delle foreste umide dell'America tropicale, dal Messico all'Argentina passando per le Antille. La prima a essere nota e descritta fu proprio D. seguine, pubblicata nel 1693 da Plumier con il nome di Arum seguine; per il riconoscimento del genere, come si è visto, dovevano passare più di 130 anni, con Schott (1829). Soprattutto nella seconda metà del Novecento, in particolare negli Stati Uniti, questa specie è stata oggetto di un vasto programma di selezioni e ibridazioni, volto a ottenere foglie con variegature particolari (macchiettate, marezzate, crema, bianco, argento) e un portamento più compatto e cespuglioso. Delle circa 100 cultivar introdotte nel corso degli anni, tuttavia, solo una ventina sono effettivamente reperibili in commercio. D'altra parte, benché rimanga una pianta diffusa, è forse un po' meno popolare di qualche anno fa, probabilmente soprattutto per la sinistra fama di essere tossica. Foglie e fusto contengono alte concentrazioni di ossalato di calcio (sotto forma di cristalli simili ad aghi, detti rafidi); se masticati o ingeriti, i rafidi possono causare forti dolori, irritazione delle mucose della bocca, della gola e dello stomaco, e addirittura una temporanea paralisi della lingua. A questa sgradevole proprietà fa riferimento il nome inglese dumb cane, "canna dei muti"; si dice che i piantatori delle Antille la usassero per punire gli schiavi ribelli, che venivano obbligati a masticarne i fusti. Qualche anno fa, la povera Dieffenbachia è stata addirittura oggetto di una bufala del web, in cui veniva descritta come una pianta killer capace di uccidere un bambino in meno di un minuto e un adulto in un quarto d'ora; i possessori venivano invitati a liberarsene e a bruciare le proprie piante. Si tratta di notizie infondate, o estremamente esagerate. Da evitare solo nelle case in cui ci siano bambini piccoli o animali curiosi che ne potrebbero masticare le foglie, per tutti gli altri l'unica precauzione è utilizzare i guanti e lavarsi le mani quando si asportano foglie avvizzite o si preparano talee, godendo senza timore della sua bellezza. Qualche informazione in più nella scheda. Seguendo le vicende editoriali di Flora Danica, arriviamo al terzo curatore, il grande Martin Vahl, uno dei più importanti tassonomisti della storia della botanica, cui si deve una prima intuizione del concetto di "tipo". Tuttavia, il suo sogno di diventare un secondo Linneo gli fa trascurare Flora Danica, lasciando addirittura in eredità alla vedova un contenzioso con l'erario danese. La gavetta di un grande botanico Con il terzo curatore, Flora danica approda nelle mani di un botanico di razza, il norvegese Martin Vahl. Quando gli viene assegnato l'incarico, ha alle spalle solidi studi con Linneo (dal 1769 al 1774) e una lunga attività sul campo. Dal 1779, in qualità di assistente e dimostratore, è stato coinvolto nei grandi lavori di trasferimento dell'orto botanico di Copenhagen che, dal 1778, in seguito al dono di un nuovo terreno da parte del re, viene spostato a Charlottenborg. La sua è però una posizione di subordinato: il giardino botanico aveva due direttori, uno scelto dall'Università (il primo fu C. F. Rottböll), l'altro dal re (il primo fu Thomas Holmskjold); è Vahl, però, di fatto a dirigere il trasferimento delle piante dal giardino di Oeder a Amaliegade e ad arricchirne le collezioni, anche grazie ai numerosi contatti europei. Non mancano però i dissapori con il giardiniere dell'istituzione, Niels Bache; anzi sono così gravi che il governo decide di inviare Vahl, a spese della corona, in un lungo viaggio nelle capitali europee, in Italia, penisola iberica e Nord Africa. Da un lato si tratta di una spedizione scientifica (Vahl erborizza in Portogallo, nelle isole mediterranee, tra cui la Sardegna, in Nord Africa), dall'altro è un modo per rafforzare i contatti della nascente scienza naturale danese con le principali istituzioni scientifiche europee; tappa essenziale è Londra, dove Vahl ha modo di conquistare la stima di Banks e del suo segretario, lo svedese Dryander. E' durante questo viaggio che Vahl, visitando diversi erbari, constatata un grave problema che influenzerà le sue ricerche future: ormai il verbo linneano si è affermato, tutte le istituzioni stanno adottando la nomenclatura binomiale e battezzano le piante sulla base dei libri di Linneo (Systema Naturae e Species Plantarum), ma poiché le descrizioni linneane sono spesso succinte, nell'attribuzione dei nomi di specie affini pullulano gli errori di identificazione. Nel 1785, al suo rientro a Copenhagen, Vahl riceve, come si è detto, l'incarico di curatore di Flora Danica e il sospirato titolo di professore. E' l'inizio di un'attività frenetica che, proprio come il suo predecessore O. F. Müller, lo porterà a una morte precoce e a non concludere le sue opere sempre più ambiziose. Il lavoro per Flora Danica esordisce con una spedizione botanica nel nord della Norvegia che tra il 1787 e 1788 lo porterà dalla natia Bergen fino a Capo Nord; alla fine, nei suoi andirivieni, avrà percorso 1500 km. A Copenhagen, tuttavia, anche se all'orto botanico vengono impartite lezioni ("dimostrazioni") di botanica, manca ancora una cattedra universitaria di scienze naturali. La tradizionalista università, che già aveva respinto la nomina di Oeder, continua a rifiutarne l'insegnamento. Per superare l'impasse, nel 1789 viene creata - con l'appoggio regio - Naturhistorie-Selskabet, la Società delle scienze naturali, sul modello della Royal Society londinese; oltre a curare una propria collezione e un'importante pubblicazione, di fatto funziona come un'università privata; la cattedra di botanica e zoologia è affidata proprio a Vahl, che la manterrà per un decennio. Soltanto nel 1797, l'Università di Copenhagen si deciderà a creare una propria cattedra di botanica, che tuttavia non sarà affidata a Vahl, ma E. N. Viborg. Al momento Vahl, sebbene sia noto e apprezzato in tutta Europa, ha ancora pubblicato poco. Il suo primo lavoro importante è Symbolae Botanicae (1790-1794), un'opera che tra le altre cose contiene la descrizione e la discussone delle piante scoperte da Peter Forsskål nel corso della sventurata spedizione danese in Yemen. Segue (1797-1807) Eclogae Americanae, dedicato alle piante che gli sono state inviate dalle piccole colonie danesi delle Antille. Riscrivere Linneo? Nel 1799-1800 un secondo viaggio a spese della corona porta Vahl in giro per l'Europa, con tappe principali a Parigi e Ginevra; lo scopo fondamentale è raccogliere materiali per l'enorme opera che egli ha concepito: Enumeratio Plantarum, una revisione delle opere di Linneo, volta a superare gli errori di identificazione. Secondo Vahl, questo problema potrà essere superato soltanto se la stessa persona studierà le diverse specie affini, basandosi sugli esemplari originali su cui è stata condotta l'identificazione. E' grazie a lui che si affaccia il concetto di "tipo": l'esemplare di un dato taxon (specie, sottospecie, varietà, ecc.) sul quale si è basata la descrizione originale ed è stata assegnata la denominazione. Il prestigio di Vahl è ormai tale che i botanici gli aprono le porte delle loro collezioni, comprese quelle inedite. Tra viaggi (compiuti, sarà bene sottolinearlo, in un'Europa devastata dalle guerre seguite alla rivoluzione francese), studio e scrittura, il norvegese intraprende un'opera titanica, che prevedeva 20 volumi, uno per ciascuna delle classi linneane; egli fece in tempo a pubblicarne solo uno (nel 1804, anno della sua morte) e un secondo seguì postumo, a cura di alcuni amici e collaboratori; quindi il progetto fu abbandonato. Le 20.000 schede preparatorie manoscritte che ne costituiscono l'indice dell'opera bastano per coglierne l'immensità. Al rientro a Copenhagen, nel 1801, quando Viburg passa alla direzione della scuola di veterinaria, per Vahl arriva finalmente anche la cattedra di botanica all'Università. E' ovvio che con questo accumulo di impegni (per lui, è evidente, al primo posto c'è Enumeratio Plantarum), la pubblicazione di Flora Danica - per la quale ha pure ricevuto uno stipendio - langue. Se ai tempi di Oeder usciva un fascicolo all'anno e con Müller un fascicolo ogni due anni, con Vahl i tempi si allungano ancora: ora esce mediamente un fascicolo ogni tre anni (in tutto sei tra il 1787 e il 1799); tra il 1799 e il 1804, anno della sua morte precoce e improvvisa, non ne esce neppure uno. Sebbene Vahl sia stato uno dei più grandi tassonomisti di tutti i tempi e nelle altre sue opere abbia pubblicato centinaia di nuove specie, ce ne sono pochissime in Flora Danica (alcune graminacee e qualche fungo). Quando il botanico morì, si aprì un contenzioso tra la corona, finanziatrice dell'opera, e la vedova: Anneken Vahl sosteneva che il marito avesse lasciato cinque fascicoli pronti per la pubblicazione e ne chiese il pagamento, la tesoreria di stato fece notare che Vahl era stato già pagato per produrre un fascicolo all'anno; alla fine, vista anche la fama europea dello studioso, si arrivò a un compromesso: il sovrano acquistò la biblioteca, i manoscritti, lo splendido erbario di Vahl (ancora oggi la perla del Museo di scienze naturali danese) e concesse alla vedova una pensione. Nel 1805 uscì un fascicolo di Flora Danica che almeno in parte si deve alla mano di Vahl; gli altri quattro erano presumibilmente frutto della fantasia (o del bisogno) di Anneken. Grandissimo botanico, Vahl fu anche un notevole zoologo; come se non gli bastassero gli impegni, fu anche tra i curatori di Fauna Danica, l'opera gemella di Flora Danica concepita da O.F. Müller. Per una sintesi di questa intensa vita di studioso si rimanda alla biografia. La sfuggente variabile Vahlia La dedica di un genere botanico giunse a Vahl quando era ancora un naturalista di belle speranze, impegnato nel trasloco dell'orto botanico di Copenhagen. Fu il condiscepolo Thunberg a dedicargli nel 1782 uno dei tanti nuovi generi che andava scoprendo nella provincia del Capo. Vahlia comprende 5-8 specie di erbacee e piccoli arbusti originari dell'Africa e del subcontinente indiano; un tempo assegnato alla famiglia Saxifragaceae, per le sue peculiarità oggi viene inserito in una famiglia propria (Vahliaceae) e in un ordine proprio (Vahliales). Sicuramente queste piante avrebbero fatto la gioia di Vahl: si tratta di specie molto variabili per statura, dimensione dei fiori, numero dei petali, presenza o assenza di peluria, ecc., così che la loro classificazione, tra specie, sottospecie, varietà, ha dato vita a una foresta di sinonimi e a intricati problemi tassonomici. Lo stesso nome Vahlia - oggi ufficialmente considerato il "nome da conservare" - è stato in passato contestato in quanto la denominazione di Thunberg è successiva a quella di Adanson (che aveva denominato il genere Bistella). La specie più nota, Vahlia capensis, è un grazioso arbustino molto ramificato, originario dell'Africa meridionale, con piccoli fiori gialli e foglioline lineari, apprezzabile per la lunga fioritura e l'adattabilità a condizioni aride; non c'è bisogno di dire che si manifesta in tante varietà (in un sito ne ho trovate elencate non meno di otto), anche se Plant list ne presenta solo due: Vahlia capensis subsp. vulgaris var. vulgaris, Vahlia capensis subsp. vulgaris var. linearis (come si vede nella fotografia, ha un numero di petali più che doppio della specie tipo, che ne presenta solo cinque). In effetti, esemplari raccolti in località anche abbastanza vicine - e talvolta persino nella stessa località - possono differire grandemente tra loro, ed è difficile stabilire i confini tra una varietà e l'altra. Un rebus su misura per il buon Martin Vahl. Qualche notizia in più nella scheda. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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