Nel luglio 1801, nove mesi dopo la spedizione Baudin, salpava dall'Europa alla volta dell'Australia una seconda spedizione: a organizzarne gli aspetti scientifici era stato Banks in persona e a guidarla era un marinaio già esperto dell'esplorazione delle terre australi, il giovane capitano Matthiew Flinders. Simili negli scopi, le due spedizioni non potevano essere più diverse nella concezione: elefantiaca, costosissima ma inefficace, caotica e litigiosa quella francese, piccola, essenziale, compatta ed efficiente quella britannica: una sola nave di piccole dimensioni che poteva essere sottratta senza troppi problemi ai compiti militari, perfettamente adatta all'esplorazione di una costa ignota e prevedibilmente frastagliata; un comandante esperto assistito da pochi e affiatati ufficiali e sottoufficiali; una ciurma di volontari ugualmente scelti da lui; un'équipe scientifica ridotta ma selezionata e funzionale. Il risultato fu la prima circumnavigazione dell'Australia e la mappatura delle coste di gran parte dell'isola-continente, che proprio su proposta di Flinders acquisì il suo nome attuale. Ovviamente non mancarono le difficoltà e gli incidenti di percorso, ma la prova più dura arrivò alla fine, quando Flinders dovette attraccare a Mauritius e, invece dell'amichevole accoglienza che Baudin e i suoi avevano trovato a Sidney, gli toccarono l'accusa di spionaggio e una detenzione di quasi sette anni. Poté tornare in Inghilterra solo nel 1810 e solo nel 1814 uscirono il resoconto ufficiale della spedizione e le carte che lo consacrarono come uno dei maggiori navigatori di tutti i tempi. Tra le tante piante scoperte durante il viaggio dal naturalista Robert Brown, anche il genere che egli volle dedicare al "suo" capitano: Flindersia della famiglia Rutaceae. Una vocazione insopprimibile di esploratore All'inizio dell'Ottocento, la Terra Australis - che tra poco si chiamerà Australia - era ancora tutta da scoprire: non solo non si conosceva quasi nulla dell'interno, ma rimaneva da esplorare e mappare anche gran parte della linea di costa. Faceva eccezione solo la costa est, cartografata da Cook nel 1771, durante il suo primo viaggio; delle altre coste si conoscevano solo i tratti discontinui toccati tra il Seicento e il Settecento da navigatori olandesi, spagnoli, inglesi e francesi; quella meridionale era addirittura chiamata "Costa sconosciuta". Non era certo neppure che si trattasse di un'unica massa continentale; si ipotizzava anzi che potesse trattarsi di due grandi isole separate da uno stretto. Nel 1785 la Gran Bretagna, in forza delle scoperte di Cook, proclamò la propria sovranità sulle terre a oriente del 135° meridiano est e nel 1786 stabilì un primo insediamento a Port Jackson, nucleo iniziale della colonia del Nuovo Galles del Sud, che divenne anche la base di partenza per una serie di spedizioni di scoperta, in alcune delle quali si mise in luce un giovane ufficiale di marina, Matthew Flinders (1774-1814). Egli arrivò in Australia nel settembre 1795 come guardiamarina (midshipman) della nave che trasportava in Australia il secondo governatore, John Hunter. Durante il viaggio strinse amicizia con il chirurgo di bordo, George Bass, che aveva portato con sé una piccolissima barca lunga poco più di due metri e mezzo, spiritosamente battezzata Tom Thumb, ovvero 'Pollicino'. Fu su questa barca minima che nell'ottobre 1795 i due nuovi amici, accompagnati dal giovane servitore William Martin, salparono per Botany Bay per poi risalire il Georges River per una trentina di km. Nel marzo dell'anno successivo, con un'imbarcazione un poco più grande, Tom Thumb II, esplorarono la costa a sud di Port Jacskon fino al lago Illawarra, incappando in una serie di disavventure che finirono bene solo grazie all'aiuto di alcuni indigeni. Nel 1797 Matthew Flinders venne promosso luogotenente e gli fu affidato il comando dello schooner Francis con il quale esplorò le isole Fourneaux, un arcipelago a nord della Tasmania, avvistato nel 1773 dal comandante della Adventure, la nave appoggio della seconda spedizione Cook. L'anno successivo (con lui c'era di nuovo Bass) salpò al comando dello sloop Norfolk con l'ordine di scoprire se ci fosse uno stretto tra le Fourneaux e la Tasmania (che allora si chiamava ancora Terra di van Diemen, dal nome del suo scopritore olandese) e, in caso affermativo, di circumnavigare l'isola, mappando le ancora sconosciute coste nord e ovest. Il passaggio c'era, e Flinders lo chiamò stretto di Bass, in onore del suo amico e compagno d'avventure. Al suo ritorno, come secondo della Reliance, andò al Capo di Buona Speranza a ritirare un carico di bestiame per il Nuovo Galles del Sud; durante il viaggio di ritorno, in pieno Oceano indiano, una delle gatte di bordo partorì. Tra i piccoli, c'era anche un vivacissimo gattino nero con i piedi candidi e una stella bianca sul petto. Un giorno, giocando con i suoi fratellini, cadde fuori bordo; per nulla spaventato, nuotò fino allo scafo e risalì a bordo arrampicandosi su una cima. Flinders, colpito dalla sua bellezza, intelligenza e coraggio, decise di adottarlo e lo battezzò Trim, come il fedele attendente dello zio Toby del romanzo Tristam Shandy. Trim era dunque con lui (da quel momento non si sarebbero più separati) quando, ancora nel 1799 e sempre al comando del Norfolk, Flinders esplorò la costa a nord di Port Jacskon fino Hervey Bay. Non c'era Bass, partito per l'Inghilterra; lo accompagnavano invece suo fratello Samuel Flinders (all'epoca sedicenne), l'aborigeno Bungaree e un equipaggio di otto uomini. Nel marzo del 1800 Flinders rientrò in Inghilterra (Trim era con lui) e incontrò Joseph Banks, che ammirava molto, per chiedergli il suo sostegno per un nuovo progetto: la circumnavigazione dell'Australia, con la mappatura dei tratti di costa ancora inesplorati. Banks aderì con entusiasmo e usò tutta la sua influenza per convincere il re e l'ammiragliato, al momento molto più preoccupato per la guerra con la Francia. Probabilmente a vincere le ultime riluttanze fu anche la spedizione francese nelle Terre australi al comando di Baudin: sia Banks sia l'ammiragliato temevano che, dietro la facciata scientifica, ci fosse il progetto di insediare una colonia nell'Australia occidentale. Dunque, era proprio ora di saperne di più sul continente australe, prima che lo facesse qualcun altro. Per l'impresa fu scelta un'imbarcazione proveniente dalla marina mercantile, prontamente ribattezzata Investigator. Lunga appena una trentina di metri, aveva poco pescaggio, il che la rendeva adatta ad addentrarsi anche in tratti di costa accidentati; in compenso c'era ampio spazio per le provviste, senza dimenticare che poco si prestava all'impiego in battaglia. Sotto la supervisione di Banks, venne raddobbata eliminando i cannoni superflui e aggiungendo cabine in più per gli scienziati e una vera e propria serra viaggiante sistemata sul ponte. Flinders, nominato comandante dell'Investigator nel gennaio 1801, un mese dopo fu promosso luogotenente comandante e poté scegliere personalmente il suo equipaggio (in tutto 88 uomini), formato esclusivamente da volontari, e i suoi ufficiali; il secondo era suo fratello Samuel e il guardiamarina era suo cugino John Franklin (più tardi celebre per le sue esplorazioni dell'Artico). Lo staff scientifico e artistico fu invece scelto da Banks: era formato dall'astronomo John Crosley, che aveva già partecipato alla spedizione Vancouver ed era un esperto nella determinazione della longitudine; dal naturalista Robert Brow; dal giardiniere di Kew Peter Good; dall'illustratore botanico Ferdinand Bauer; dal pittore paesaggista William Westall; e (arrivato all'ultimo momento su raccomandazione di uno zio di Banks) dal giovane mineralogista John Allen. Il capo-gatto di bordo era naturalmente Trim. Un viaggio epico, un naufragio e una prigionia Seguiamo dunque le tappe dell'epico viaggio, sui cui risvolti naturalistici tornerò in un prossimo post. L'Investigator salpò da Portsmouth il 18 luglio 1801 e il 6 dicembre, via Capo di Buona Speranza, raggiunse Capo Leeuwin, l'estrema punta meridionale della costa occidentale della Nuova Olanda. Quindi proseguì in direzione est mappando la Grande Baia Australiana che, con le sue scogliere alte fino a 60 metri, faceva sembrare la piccola nave un guscio di noce. Il 20 gennaio 1802 gettò l'ancora in un grande golfo che Flinders battezzò Golfo Spencer; al tramonto del giorno successivo, una lancia inviata a terra si capovolse mentre tentava di raggiungere la nave in acque agitate. Nel fatale incidente perirono sei marinai, il quartiermastro John Thistle e il guardiamarina William Taylor. In loro ricordo, Flinders battezzò il promontorio Cape Catastrophe e l'ancoraggio Memory Cove. Dopo aver esplorato il golfo, il 21 marzo 1821 i britannici raggiunsero una grande isola dove videro molti canguri; ne uccisero una trentina: la loro carne fornì un gradito supplemento alla dieta. Grato per quella leccornia, Flinders battezzò l'isola Kangoroo Island. Proseguendo ancora lungo la costa in direzione est, l'8 aprile si videro venire incontro un veliero: Flinders capì subito che poteva trattarsi di una delle navi della spedizione Baudin. Era infatti il Géographe. Che cosa accadde in quel celebre incontro l'ho già raccontato in questo post. Dopo aver salutato i francesi, l'Investigator continuò la rotta lungo la costa, esplorando l'isola King e Port Philip (dove poi sorgerà la città di Melbourne); il 9 maggio entrava a Port Jackson. Flinders incontrò il governatore King che gli raccomandò di concentrare la sua attenzione sullo stretto di Torres, la costa nord occidentale e il golfo di Carpentaria; dispose anche che in funzione di vascello d'appoggio lo accompagnasse la Lady Nelson, comandata da John Murray. Sia la nave sia l'equipaggio erano provati dal viaggio, e le riparazioni, l'approvvigionamento e il reclutamento di nuovi uomini imposero una sosta di dodici settimane. Le due navi così poterono salpare in direzione nord solo il 22 luglio. A bordo dell'Investigator c'erano anche due indigeni, Bungaree e Nanbaree, con il delicato compito di mediare con le tribù locali durante gli scali; non ne conoscevano le lingue, ma aveva almeno un'idea dei protocolli da rispettare e si rivelarono molto utili. Benché i due velieri fossero abbastanza diversi per velocità e pescaggio, riuscirono a coordinarsi a sufficienza; la Lady Nelson, con il suo scafo piatto, fu fondamentale per esplorare Keppel Bay, Shoalwater Bay e Broad Sound; tuttavia, in più di un'occasione si arenò sui banchi di sabbia, riportando gravi danni alla chiglia. Le due navi erano ancora insieme quando furono scoperti Port Curtis e Port Bowen (poi ribattezzato Port Clinton) e il 29 settembre gettarono l'ancora nelle isole Percy, da cui ripartirono il 4 ottobre alla ricerca di un passaggio attraverso la barriera corallina; l'Investigator perse un'ancora, mentre la Lady Nelson ne perse una e danneggiò l'altra. Flinders decise di rinviarla a Port Jackson, mentre, lui rinunciando a cercare un altro passaggio, proseguiva direttamente per lo stretto di Torres e il golfo di Carpentaria, in cui entrò il 4 novembre. La costa fu attentamente cartografata fino alla Terra d'Arnheim, ma la nave teneva sempre peggio il mare. I carpentieri, esaminando lo scafo, dovettero constatare che il fasciame era marcio e non avrebbe retto per più di sei mesi; inoltre tra i membri dell'equipaggio incominciava ad imperversare lo scorbuto. Flinders dovette rinunciare a malincuore a proseguire l'esplorazione della costa settentrionale, facendo vela per Timor. Sperava di potervi acquistare una nave di ricambio, ma dovette accontentarsi di riempire la stiva dell'Investigator di acqua e provviste per il viaggio di ritorno; inoltre, in quello scalo malsano molti si ammalarono di dissenteria; tra di loro il giardiniere Peter Good, che ne sarebbe morto pochi giorni dopo l'arrivo nella baia di Sidney. Il viaggio, limitando al minimo gli scali e le misure idrografiche, proseguì lungo le coste ovest e sud dell'Australia. Il 9 giugno 1803, quasi un anno dopo la partenza, l'Investigator rientrava nel porto di Sidney; era la prima nave a compiere la circumnavigazione dell'Australia, ma era ormai condannata: il suo scafo era in condizioni tali da risultare inservibile e non riparabile. Flinders decise di imbarcarsi per l'Inghilterra per chiedere un'altra nave con cui riprendere l'esplorazione. Con il suo amato gatto e l'artista William Westall, il 10 agosto si imbarcò come passeggero sulla Purpoise diretta a Canton insieme ad altre due navi, la Cato e la Bridgewater. Il 17 agosto i tre vascelli si imbatterono in banco di sabbia e nello stretto spazio di manovra, i primi due finirono sulla barriera corallina, affondando rapidamente. Il capitano della Bridgewater, pensando non ci fossero sopravvissuti, si allontanò (cosa che gli fu duramente rimproverata da Flinders). Invece quasi tutti si erano salvati, compreso il gatto Trim, raggiungendo a nuoto il banco di sabbia. Dopo una settimana di inutile attesa, non vedendo arrivare soccorsi, Flinders e il comandante della Cato, John Park, riuscirono a recuperare una lancia, che battezzarono Hope, 'Speranza', a bordo della quale l'8 settembre raggiunsero Port Jackson con un memorabile viaggio di 800 miglia, percorse in dodici giorni. Due navi furono inviate a recuperare i 94 sopravvissuti. Flinders non rinunciava al suo proposito di rientrare al più presto in patria. L'unica nave disponibile era però del tutto inadatta allo scopo: si trattava del minuscolo schooner Cumberland, una nave con un equipaggio di soli cinque uomini, fino ad allora adibita al trasporto di granaglie; nella sua fretta, egli ne accettò il comando e salpò alla volta dell'Inghilterra; tuttavia la nave era in pessime condizioni e imbarcava tanta acqua che il 17 dicembre Flinders fu costretto a approdare a Mauritius in cerca di soccorso. Gli era noto che tra Francia e Inghilterra erano riprese le ostilità, ma contava di essere trattato con la medesima magnanimità con la quale Baudin (morto proprio a Mauritius tre mesi prima) era stato accolto a Port Jackson. Si sbagliava: la nave fu sequestrata e Flinders posto agli arresti con l'accusa di spionaggio. Per qualche tempo gli fu di consolazione il gatto Trim, che aveva compiuto con il suo umano anche l'ultimo viaggio; ogni tanto il felino riusciva a sgattaiolare fuori dalla prigione, ma un giorno non fece più ritorno. Probabilmente, pensò Flinders, era finito nella pentola di qualche morto di fame. Il capitano, che lo aveva amato molto, gli dedicò un epitaffio e un tributo biografico, allo stesso tempo tenero e pieno di umorismo. Non gli mancava il tempo per scrivere e rivedere le sue note e le sue carte. Dopo qualche mese di detenzione, poté alloggiare presso amici e riacquistare la libertà personale, ma fu trattenuto nell'isola per ben sei anni e mezzo, fino al giugno 1810 quando gli inglesi occuparono Mauritius. Nell'ottobre 1810, dopo oltre nove anni d'assenza, Flinders rivide finalmente il suolo inglese; nonostante fosse in cattiva salute, si mise immediatamente al lavoro per completare la relazione ufficiale del viaggio, A Voyage to Terra Australis. Il lavoro lo impegnò per più di tre anni e fu pubblicato il 19 giugno 1814. Flinders era morto proprio il giorno prima, a soli quarant'anni. A gennaio aveva però avuto la soddisfazione di vedere la pubblicazione della sua carta dell'Australia, che, sebbene preceduta da quella di Freycinet del 1811, la superava di gran lunga per completezza e precisione. Nel 1804 aveva inviato in patria la carta con le parti del continente mappate nella prima parte del suo viaggio e, invece del consueto nome Terra Australis, aveva usato la forma Australia, la cui "invenzione" gli è dunque generalmente accreditata. Alberi belli e imponenti In appendice a A Voyage to Terra Australis, il naturalista della spedizione Robert Brown pubblicò una nota generale sulla flora australiana (A general Remarks, geographical and systematical, on the Botany of Terra Australis) e la descrizione delle piante disegnate da Bauer e pubblicate nell'Atlante allegato all'opera. Ad aprire la serie è doverosamente Flindersia, il genere che Brown dedicò al suo capitano con queste parole: "Questo albero di dimensioni moderate fu osservato, tanto in fiore quanto in frutto, nel settembre 1802 nelle boscaglie nei pressi del capo del Broad Sound, sulla costa orientale della Nuova Olanda, a circa 23° di latitudine sud. Contemporaneamente l'esplorazione del Broad Sound fu completata dal capitano Flinders, per commemorare i cui meriti ho scelto questo genere tra quelli in numero considerevole scoperti durante la spedizione di cui fu l'abile e attivo comandante". Flindersia R.Br. (famiglia Rutaceae) è un genere di circa diciassette specie di alberi distribuiti tra le Molucche, Papua Nuova Guinea, l'Australia, la Nuova Caledonia e le isole Salomone. Quindici specie, dodici delle quali endemiche, sono presenti in Australia, che è il centro di diversità del genere. La maggior parte cresce nella foresta pluviale, ma quattro specie si sono adattate ad ambienti aridi o semi aridi: ad esempio F. dissosperma cresce nelle macchie aride del Queensland centro-orientale, spesso associata ad Acacia arpophylla e Eucalyptus populnea, mentre F. maculosa si trova in ambienti aridi e sabbiosi dell'interno, dal Queensand centrale al Nuovo Galles del Sud sud-occidentale. Di dimensioni da medie a grandi, sempreverdi o decidui, sono alberi di bell'aspetto che vengono anche utilizzati in giardini, parchi e viali cittadini, apprezzati anche per i fiori, piccoli, a stella, ma raccolti in grandi pannocchie terminali per lo più crema, spesso gradevolmente profumati. Si fanno notare anche i frutti, lunghe capsule legnose, per lo più armate di spinose dalla punta arrotondata; si aprono in cinque valve che ricordano una stella a cinque punte. Tra le specie più note, F. australis, abbastanza adattabile da vivere in natura sia nelle foreste pluviali sia nelle macchie aride del Queensland e del Nuovo Galles del Sud; può crescere fino a 40 metri e negli esemplari più grandi sviluppa un tronco a contrafforte, ma negli ambienti più aridi è decisamente più piccolo. Presenta una densa chioma arrotondata, una copiosa fioritura in bianco-crema e i caratteristici frutti spinosi. Il legname dai colori caldi, noto come teak australiano, forte e durevole, un tempo era tradizionalmente usato nelle costruzioni navali ed è molto apprezzato per mobili, parquet e strumenti musicali. Diversi esemplari di questa specie, come pure di F. schottiana, sono stati piantati lungo i viali di Brisbane. Altre specie sono invece endemiche di piccole aree e in alcuni casi sono a rischio. Tra le prime, citiamo F. oppositifolia, limitata alle foreste di altitudine del Bellenden Ker Range nel Queensland settentrionale; si distingue dalle altre specie per i fiori rosso scuro. Tra le seconde, F. ifflaiana, non solo ristretta a aree limitate di Papua Nuova Guinea e del Queensland, ma anche in pericolo per l'eccessivo sfruttamento; in passato è stata infatti uno dei più importanti alberi da legname. Ulteriori informazioni su altre specie di questo interessante genere nella scheda.
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Nella seconda metà del Cinquecento, nonostante i legami diplomatici e commerciali tutt'altro che sporadici con l'impero ottomano, che lo rendevano facilmente raggiungibile, il Levante continuava ad essere ben poco noto. Pochi viaggiatori occidentali ne avevano percorso le strade, e quasi nessun naturalista. Uno dei primi fu il medico tedesco Leonhard Rauwolf, raccoglitore appassionato di piante, che aveva studiato a Montpellier alla scuola di Rondelet imparando alla perfezione come allestire un erbario. Molte avventure gli toccarono nella sua vita, e non meno capitarono al suo erbario che passò di mano in mano prima di approdare a Leida, dove ancora si trova. Terzo protagonista, il genere Rauvolfia che, come tutte le Apocynaceae, va preso con cautela. Un "lupo irsuto" dalla vita avventurosa Come ho raccontato in questo post, grazie al carisma di Guillaume Rondelet e alla politica di porte aperte verso i protestanti, nella seconda metà del Cinquecento la facoltà di medicina dell'Università di Montpellier richiama un gran numero di studenti dalla Francia settentrionale, dalle Fiandre, dalla Svizzera e dalla Germania. Tra le matricole del 1560 troviamo due tedeschi di Augusta: Jeremias März o Mertz, che alla latina si fa chiamare Martius (ca. 1535 - ca. 1585) e Leonhard Rauwolf (1535-1596). Martius, figlio di un tessitore, ha potuto studiare grazie al suo ingegno e alla protezione dei Fugger, che hanno finanziato i suoi studi prima a Ingolstadt e ora in Francia; presumibilmente è cattolico. Rauwolf invece è figlio di un facoltoso mercante, ha studiato prima a Tubinga, poi a Wittenberg ed è luterano. Le diverse fedi religiose non sono un ostacolo all'amicizia, cementata dagli interessi comuni, dall'ammirazione per il maestro Rondelet e dall'entusiasmo per la lussureggiante natura meridionale. Da Rondelet imparano come preparare un erbario e battono assiduamente la regione, "per monti e per valli", come scriverà lo stesso Rauwolf ricordando il sodalizio botanico con "il sapientissimo Jeremias Martius, mio eccellente amico". Meta preferita la montagna di Cette, dove raccolgono diverse centinaia di "semplici". L'anno dopo da Basilea arriva un ventenne che è giù un botanico esperto e si unisce immediatamente alle loro scorribande erborizzatrici: è il grande Jean Bauhin (1541-1613). Nel 1562 Rauwolf si laurea in medicina a Valence (dove la licenza era più a buon mercato rispetto a Montpellier). Nel 1563 entrambi gli amici sono in Italia: Martius studia a Padova, poi viene inviato dai Fugger a Firenze, quindi rientra ad Augusta dove si laurea nel 1565; divenuto medico cittadino, si fa un nome come traduttore dal latino, dall'italiano e dal francese. La sua traduzione più nota è probabilmente quella del ricettario di Nostradamus Excellent & moult utile Opuscule (Michaelis Nostradami, ... zwey Bücher, 1572). Rauwolf se la prende più comoda. In Italia visita Padova, Verona, Mantova, Ferrara, Bologna, Firenze, Modena, Piacenza, Parma, Milano e Como, senza mai trascurare di incrementare le sue raccolte. Approfitta del viaggio di ritorno per erborizzare sul san Gottardo e nella Foresta Nera e fare una capatina a Zurigo dove incontra Gessner e a Tubinga per un saluto a Fuchs. Così, quando rientra ad Augusta nel 1565, ai due volumi d'erbario raccolti nel Midi se n'è aggiunto un terzo, per un totale di circa 600 specie. Gli "anni di apprendistato" sono finiti e il trentenne Rauwolf deve mettersi al lavoro. Si sposa con la figlia di un patrizio della città, crea forse un piccolo hortus medicus dove riceve la visita di Clusius, esercita la professione prima a Aichach, quindi a Kempten, infine dal 1570 a Augusta dove è medico cittadino come l'amico Martius. E' in contatto epistolare con altri botanici e ama firmarsi con lo scherzoso pseudonimo Dasylychus, dal gr. dasùs "peloso, irsuto, selvaggio" e lukos "lupo", calco del cognome Rauwolf. Dopo qualche anno tranquillo, si presenta l’occasione di un viaggio molto più avventuroso. Ad offrirgliela è suo cognato Melchior Manlich, un mercante di alterne fortune che intorno al 1570 era attivo nel commercio con il Levante; aveva agenzie a Marsiglia, Costantinopoli, Famagosta, Tripoli in Libano, Aleppo e Alessandria d’Egitto, da cui importava merci di vario tipo: spezie, telerie, metalli, uvetta, tappeti, perle e pietre preziose. Nel 1573, quando i ribelli delle Fiandre si impadroniscono di una delle sue navi con un carico di pepe, si trova sull’orlo del fallimento; per risollevare le sue sorti pensa di mandare in Oriente il suo agente di Marsiglia, Hans Ulrich Krafft, e Rauwolf decide di accompagnarlo. Manlich spera di potersi giovare della sua competenza di medico e botanico per individuare piante medicinali da vendere con profitto sul mercato europeo. Partiti da Augusta nel maggio 1573, Rauwolf e Krafft si imbarcano a Marsiglia e a settembre raggiungono Tripoli; successivamente Rauwolf visita Aleppo, la Siria e l’Armenia turca, quindi raggiunge Costantinopoli. Nel 1574 è a Bagdad, da dove, percorrendo una strada aperta da poco, discende il corso dell’Eufrate per poi risalire il Tigri fino a Mosul. Sogna di proseguire alla volta dell’India, ma deve rassegnarsi a tornare indietro. Nel 1575 è a Gerusalemme e a novembre di nuovo a Tripoli, dove si imbarca per l’Europa, rientrando ad Augusta nel febbraio 1576. A parte Guilandino (che, però, perse tutte le sue raccolte in un naufragio) è il primo botanico europeo a esplorare la flora del vicino Oriente. Ad Augusta Rauwolf riprende l’attività di medico, tuttavia nel 1588, quando le autorità cittadine tornano al cattolicesimo, come luterano è costretto a trasferirsi a Linz, dove lavora per otto anni. Nel 1596 si arruola come medico militare delle truppe impegnate in Ungheria contro i Turchi, ma l’anno successivo muore di dissenteria. Una sintesi della sua vita avventurosa nella sezione biografie. Viaggi di botanici, viaggi di erbari Di questo inquieto botanico viaggiatore rimangono il resoconto del suo viaggio in Levante, Aigentliche beschreibung der Raisz [...] inn die Morgenländer ("Descrizione veritiera del viaggio in Levante", 1582) e un importante erbario. Scritto poco dopo il rientro in patria, in uno stile vivace e con accurate descrizioni dei popoli, dei costumi e dei pericoli del Levante, il libro di Rauwolf divenne un bestseller e fu più volte ristampato e tradotto tra l'altro in olandese e inglese, nell'ambito di una raccolta di resoconti di viaggio curata da Ray. L'autore pretende di riferire solo ciò che ha visto con i suoi occhi e toccato con le sue mani, anche se in realtà si appoggiò anche su numerose fonti, inclusa la Bibbia. Le pagine più celebri sono quelle dedicate alla preparazione e al consumo del caffè, una bevanda all'epoca del tutto sconosciuta in Occidente. Un intero capitolo è dedicato alla descrizione di 364 specie di piante con i nomi locali e dettagliate informazioni sul loro uso; è accompagnato da 42 xilografie che furono sicuramente eseguite a partire da piante dell'erbario di Rauwolf, che in Levante raccolse circa 200 esemplari, che andarono a formare il quarto volume del suo erbario. Quest'ultimo conobbe vicende avventurose quasi come quelle del suo creatore. I quattro volumi, notevolissimi anche per l'eccellente preparazione e il montaggio degli esemplari, dopo la morte di Rauwolf furono acquistati dall'imperatore Rodolfo II e custoditi nella sua "camera del tesoro" a Praga. Nel 1620, all'inizio della guerra dei Trent'anni, furono però rubati da soldati dell'elettore di Baviera Massimiliano I e portati a Monaco, dove trovarono un provvisorio rifugio nella sua Wunderkammer. Provvisorio perché pochi anni dopo anche la camera delle meraviglie di Massimiliano fu saccheggiata, questa volta dagli svedesi di Gustavo Adolfo. Insieme a molti preziosi libri preda di guerra, l'erbario di Rauwulf finì nella biblioteca reale di Stoccolma, finché, intorno al 1655, la regina Cristina, che aveva appena abdicato e non aveva denaro per pagare il salario arretrato al suo bibliotecario, il famoso bibliofilo Isaac Vossius, liquidò le sue spettanze in libri, incluso l'erbario di Rauwolf. Vossius lo portò con sé a Londra, dove visse fino alla morte, nel 1689. E finalmente, il prezioso erbario trovò la sua casa definitiva: la biblioteca e le collezioni di Vossius furono acquistate dall'Università di Leida. Custodito nel sancta sanctorum degli esemplari più preziosi, è oggi uno dei tesori dell'Erbario nazionale olandese. Il direttore della biblioteca dell'Università di Leida era il celebre filologo Johann Friederich Gronovius (1611-1671), ovvero il nonno dell'omonimo botanico Jan Frederik che si basò sull'erbario di Rauwolf per scrivere la sua Flora orientalis. L'opera era ovviamente ben nota al suo amico Linneo che, riprendendo un genere già creato da Plumier, dedicò al nostro botanico viaggiatore il genere Rauvolfia. Appartenente alla famiglia Apocynaceae e distribuito nella fascia tropicale di America, Africa, Asia e in diverse isole del Pacifico, comprende una settantina di specie di alberi o arbusti sempreverdi, con foglie verticillate in gruppi di 3-6 e infiorescenze di piccoli fiori per lo più bianchi, anche se talvolta con calice o tubo rosso; i rami spezzati secernono un lattice biancastro. Molte specie hanno proprietà medicinali. La più nota da questo punto di vista è probabilmente R. serpentina, nativa del subcontinente indiano e dell'Asia orientale: è una delle cinquanta essenze fondamentali della medicina cinese; la medicina ayurvedica, dove è chiamata sarpagandha, oltre a utilizzarla come anti ipertensivo, ritiene purifichi la mente e favorisca la meditazione, tanto che l'infuso della sua radice fu usato anche da Gandhi. Negli anni '50 ne fu estratto l'alcaloide reserpina, che in passato trovò ampio impiego nella terapia farmacologica dell'ipertensione e di alcune psicosi; a causa dei gravi effetti collaterali in molti paesi è stato ritirato dal commercio. Anche la centro e sud americana R. tetraphylla occupava una posizione importante nella medicina tradizionale degli indios. D'altra parte, gli estratti di altre specie, come l'africana R. mannii e la malgascia R. media, sono utilizzati come veleni, topicidi e insetticidi. La duplice natura è evidente in R. vomitoria, di origine africana ma naturalizzata in Cina e altri paesi: tossica in tutte le sue parti, viene usata per avvelenare le frecce o preparare veleno per i topi, ma allo stesso tempo la decozione o estratti delle radici, o talvolta la polpa dei frutti, trovano impiego come emetici, purganti e nella cura di una varietà di affezioni. Insomma, un'arma a doppio taglio che è meglio evitare. Altre informazioni nella scheda. Per circa due secoli, l'isolotto artificiale di Dejima fu l'unico punto d'incontro tra il Giappone e l'Occidente; tra mille limitazioni, fu soprattutto grazie ai medici della VOC, la Compagnia olandese delle Indie orientali (e ai loro interpreti giapponesi), se da una parte il Giappone scoprì qualcosa della scienza e della tecnologia europee, dall'altra filtrarono in Europa le prime notizie sulla cultura e la natura giapponesi. Il pioniere di questo incontro difficile fu Engelbert Kaempfer, che alla fine del Seicento lavorò come medico e chirurgo a Dejima per due anni e mezzo, osservando, annotando, disegnando tutto il possibile con occhio di curioso e rigore di scienziato. Del Giappone del suo tempo gli interessava tutto, ma riservò uno spazio particolare alla flora, scrivendo la primissima Flora japonica, con circa 200 specie. Tra tutte, la più famosa è Ginkgo biloba; e si deve proprio a Kaempfer il piccolo errore di trascrizione che ha trasformato il giapponese ginkio in ginkgo, traendo in inganno Linneo, grande ammiratore del pioniere degli studi nipponici, cui dedicò il genere Kaempferia. La strada per il Giappone passa dalla Persia Quando il medico tedesco Engelbert Kaempfer arrivò in Giappone per prendere servizio nella minuscola stazione commerciale di Dejima, situata in un isolotto artificiale nella baia di Nagasaki (ne ho parlato qui) era un già un viaggiatore di lungo corso. Il suo vero cognome era Kemper, ma più tardi lo cambiò in Kaempffer o Kempfer, che significa «guerriero, combattente», quasi un emblema del suo carattere. Nato nella contea di Lippe, un piccolo stato periferico della Germania settentrionale, incominciò i suoi vagabondaggi da studente, passando da un'università all'altra finché su laureò in filosofia a Danzica; continuò poi gli studi in medicina a Cracovia e Köningsberg. Nel 1681 si trasferì a Stoccolma; entrato in contatto con politici influenti, fu assunto come medico e segretario di legazione della seconda ambasciata svedese in Persia, guidata da Ludvig Fabritius, un militare e diplomatico di origine olandese. Il lungo viaggio tra Stoccolma e Isfahan, la capitale della Persia safavide, durò quasi esattamente un anno, da marzo 1683 a marzo 1684. Lungo il cammino, che portò la delegazione ad attraversare la Finlandia, la Livonia, l'impero russo, per poi navigare sul mar Caspio e percorrere l'Iran settentrionale, animato da una forte curiosità intellettuale e probabilmente già intenzionato a trasformare le sue avventure in un libro di viaggi, Kaempfer raccolse ogni possibile informazione, visitò siti storici e curiosità naturali (tra cui i campi petroliferi di Badkubeh, oggi Baku), prese misure e tracciò mappe, disegnò oggetti, intervistò ogni sorta di informatori. Kaempfer rimase a Isfahan circa venti mesi (marzo 1684-novembre 1685), imparò il persiano e il turco, e visitò sistematicamente la città, compresi diversi giardini, facendo molti disegni. Come membro della legazione svedese, ebbe accesso alla corte, dove poté osservare edifici, costumi, rituali, comportamenti. Al termine della missione decise di non rientrare in Svezia, ma di cercare un ingaggio nella VOC, che aveva una base commerciale anche a Gamron (oggi Bandar Abbas) sul golfo Persico. Per raggiungerla si aggregò a una carovana; durante il viaggio visitò Shiraz, il monte Benna e Persepoli. Qui abbandonò i compagni di viaggio per studiare le antiche rovine: misurò meticolosamente gli edifici, trascrisse alcune iscrizioni e fu il primo a notare che i caratteri avevano forma di cuneo. Giunto a Bandar Abbas negli ultimi giorni del 1685, vi rimase bloccato per due anni e mezzo, anche se la detestava con tutto il cuore: «È la città più infertile, arida, calda, pestilenziale del mondo, quella che più assomiglia all’inferno di tutto il globo» . In quel clima infernale Kaempfer si ammalò gravemente; per riprendersi, andò a passare i mesi estivi in montagna; quindi visitò le piantagioni di palma da dattero, raccogliendo informazioni sulle caratteristiche botaniche, la coltivazione, l’importanza commerciale. Solo dopo vari mesi, fu assunto come medico della base della VOC. Per circa un anno, dal giugno 1688, lavorò come medico di bordo sulla Copelle, una nave della VOC che commerciava nei porti indiani; nell’agosto 1689, era a Batavia, dove presentò domanda senza successo per essere assegnato all’ospedale della Compagna. Pensava di rimanere a Giava, di cui conosceva la ricchezza floristica, ma quando gli venne offerto il posto di chirurgo a Dejima, accettò. Sarebbe rimasto in Giappone due anni, dal settembre 1690 all’ottobre 1692. A caccia di piante giapponesi La condizione degli olandesi a Dejima era di semiprigionia: non potevano uscire liberamente dall'isola, ogni loro movimento era sorvegliato (per ogni olandese c'erano almeno dieci sorveglianti, tutti a carico della VOC), non avevano contatti al di fuori della stazione, era loro negato l'accesso a qualsiasi oggetto considerato sensibile dalle autorità (vietatissime le mappe). Nonostante tutti questi limiti, Kaempfer seppe sfruttare ogni occasione per raccogliere una grande messe di informazioni sulla vita quotidiana, i costumi, la religione, la storia naturale. Conquistò l’amicizia (e le confidenze) di varie persone con cure gratuite, medicine, lezioni di medicina e matematica. Di grande aiuto fu l'assistenza del giovane Imamura Iensei, che gli fu affiancato come interprete e allo stesso tempo come apprendista di medicina e chirurgia occidentali; il ragazzo, colto, abile e intelligente, imparò rapidamente l’olandese, e rimase a fianco di Kaempfer, cui era legato da grande venerazione, fino alla fine del suo soggiorno a Dejima, accompagnandolo anche nei due viaggi a Edo. Grazie a lui, altri interpreti, pazienti, medici che praticavano la medicina occidentale, Kaempfer poté procurarsi libri (compresa un’enciclopedia illustrata), mappe, disegni, oggetti di varia natura, sebbene in teoria fosse vietato. Anche il suo amore per le piante, molto ammirato dai giapponesi, funzionò come una sorta di passaporto, che gli permetteva di dedicarsi a indagini su oggetti sensibili in tutta tranquillità: «Sistemavo apertamente erbe, fiori e rami verdi accanto ai miei strumenti, e mentre li misuravo, li esaminavo, li descrivevo e li disegnavo, ne approfittavo per descrivere e disegnare tutto quello che volevo». Nella primavera del 1691 e del 1692, i due viaggi a Edo, durante i quali la delegazione olandese attraversò il Kyushu per imbarcarsi alla volta di Osaka e quindi percorse il Tokaido, la più celebre e affollata strada dell’antico Giappone, gli permisero di conoscere di persona alcune delle regioni più importanti del paese e di raccogliere campioni di animali e piante: attività non proibita, anzi apprezzata dai giapponesi, tanto che i suoi accompagnatori (e sorveglianti), incluso il governatore, spesso gli portavano qualche pianta. Per rendersi indipendente dagli interpreti, con il suo talento per le lingue imparò le frasi necessarie per informarsi su dati come il periodo di fioritura o la fruttificazione. Kaempfer lasciò Dejima il 30 ottobre 1692 e rientrò in Olanda via Giava circa un anno dopo. Non avendo completato gli studi di medicina, per poter esercitare la professione in Europa si iscrisse all’Università di Leida, dove ottenne la laurea magistrale. Forse sperava di inserirsi nell’ambiente accademico olandese o tedesco, ma non gli fu possibile. Nel 1694, dopo un’assenza di ventitré anni, ritornò in patria e dovette rassegnarsi a vivere in una realtà provinciale, prima nella cittadina di Lemgo, poi al servizio del conte di Lippe. Gli impegni professionali gli lasciarono poco tempo per rivedere i suoi scritti, senza contare un matrimonio infelice sfociato in una causa legale; riuscì solo a completare e a veder pubblicata Amoenitates exoticae, una raccolta di saggi in cinque parti, le prime quattro dedicate alla Persia, la quinta al Giappone. Quest’ultima comprende saggi su argomenti come l’agopuntura, l’uso della moxa, il tè, il sakoku (termine introdotto proprio da Kaempfer), e una Flora japonica con la descrizione di circa 200 piante; i limiti delle sue finanze gli permisero però di far stampare solo 28 dei suoi numerosissimi disegni. A ricordarci l’importanza del suo contributo alla conoscenza della flora nipponica, le venti specie giapponesi che portano l'epiteto kaempferi; tra di esse Larix kaempferi, Rhododendron kaempferi, Broussonetia kaempferi. Fu il primo a descrivere e disegnare piante oggi notissime come Ginkgo biloba, Pittosporum tobira, Ophiopogon japonicum. Talvolta gli si attribuisce l’introduzione del primo ginkgo in Europa, ma in realtà i due esemplari più antichi, che si trovano rispettivamente a Utrecht e Geetbets, furono piantati almeno trent’anni dopo . Si deve invece a lui (o al tipografo che compose Amoenitates exoticae) l’errore di trascrizione a causa del quale il giapponese ginkio divenne ginkgo. Rimasero manoscritti i due progetti più ambiziosi di Kaempfer: la relazione completa dei suoi viaggi e il libro sul Giappone Huetiges Japan («Il Giappone di oggi»). Dopo la sua morte, avvenuta nel 1716, gli erbari e i manoscritti furono acquistati dal medico e collezionista inglese Hans Sloane, che finanziò la pubblicazione dell'edizione inglese curata dal naturalista svizzero Johann Caspar Scheuchzer, History of Japan (1727). Quasi trent’anni dopo il viaggio giapponese e undici anni dopo la morte di Kaempfer, l’opera ebbe un successo sensazionale e presto fu tradotta in altre lingue europee, forgiando per almeno un secolo l'immagine del Giappone in Occidente. Non meno profondo e permanente fu l’impatto sulla cultura europea delle pagine dedicate alla corte persiana e alle antichità di Persepoli. Una sintesi della vita di questo grande viaggiatore nella sezione biografie. Kaempferia, profumi tropicali La Flora japonica contenuta in Amoenitates exoticae costituisce la fonte principale di Linneo per le piante giapponesi; morto nel 1778 e già malato da tempo, egli infatti non poté giovarsi delle ricerche dell’allievo Carl Peter Thunberg. Non stupisce dunque la sua dedica del genere Kaempferia a quel pioniere dello studio della flora nipponica, così motivata in Hortus Cliffortianus: «Ho dedicato questo genere al curiosissimo viaggiatore Kaempfer, al quale dobbiamo la conoscenza delle piante giapponesi e la loro accurata descrizione». Il genere Kaempferia L. (famiglia Zingiberaceae) comprende una quarantina di specie di piante erbacee originarie dell’Asia tropicale e subtropicale (India, Indocina, Cina meridionale, Malaysia, arcipelago indonesiano), con centro di diversità nel bacino del Mekong. Di piccole dimensioni, hanno radici rizomatose aromatiche che producono da una o poche foglie ovoidali o tondeggianti raccolte a rosetta, che in alcune specie sono marcate d’argento o porpora; i fiori, che in genere spuntano al livello del terreno, in alcune specie prima delle foglie, sono profumati e relativamente vistosi. Diverse specie fanno parte della farmacopea tradizionale o sono usate come spezie: ad esempio, le foglie di K. galanga (il cui aroma ricorda quello di Alpinia galanga, del resto appartenente alla stessa famiglia) sono un ingrediente comune della cucina di Giava e Bali, mentre le radici hanno proprietà antibatteriche, digestive e diuretiche. Alcune specie sono coltivate come piante d’appartamento; una delle più notevoli è K. elegans, una piccola erbacea non più alta di 20 cm, apprezzata, più che per i piccoli fiori lilla, per le foglie vistosamente marcate d’argento. K. pulchra è simile, ma con marcature scure. Qualche informazione in più nella scheda. Quando il suo nome viene proposto come naturalista della spedizione Bougainville, Philibert Commerson ha già 39 anni; non può più contare sulla forza fisica che, giovane, gli ha permesso di percorrere più volte, erborizzatore solitario, le Alpi e i Pirenei. Accetta solo a condizione di essere accompagnato da un servitore a carico della Corona. Così, all'imbarco dell'Etoile si presentano in due, Commerson e Baret. In definitiva, sarà questa scelta a impedire a Commerson di tornare in Francia, dove pure lo aspetta un bimbo, e a fare di lui il primo esploratore della flora delle isole Mascarene e di Madagascar. Inoltre, farà sì che le circostanze della sua vita privata incuriosiscano i posteri molto di più della pur formidabile attività scientifica: negli ultimi anni, non si contano i romanzi, le biografie, gli articoli dedicati a Baret, mentre di Commerson come naturalista si occupano solo gli specialisti. Nella nomenclatura botanica, le cose vanno all'opposto: il genere Baretia, che avrebbe dovuto ricordare Baret anche nel regno di Flora, non è valido, al contrario di Commersonia, omaggio di una coppia di colleghi altrettanto sfortunati. Giovinezza di un botanico fanatico Il 21 marzo 1773 l'Accademia delle scienze parigine ammette tra i suoi membri due botanici: il giovane Antoine-Laurent de Jussieu, che ha appena presentato una memoria sulla famiglia dei Ranuncoli, e Philibert Commerson, che, per quanto ne sanno gli accademici, è ancora a Mauritius a raccogliere piante. Non si potrebbero immaginare due modi più diversi di essere botanici, anzi di "vivere" la botanica. Jussieu, oltre che l'erede della più illustre famiglia di botanici di Francia, dunque un uomo di potere che sa usare tutti gli agganci per perseguire il successo personale, è un tassonomista, uno che passerà tutta la vita studiare esemplari d'erbario, a confrontare, a scrivere (e con quali grandiosi risultati!). Commerson, oltre ad essere un ousider, un eremita, un uomo isolato e fuori degli schemi, è soprattutto un instancabile raccoglitore, un erculeo creatore di erbari che ammassa esemplari a migliaia. Certo, ha scritto molto anche lui, ma senza mai pubblicare nulla, un po' per perfezionismo, un po' per sfortuna. Infatti, quando arriva quella nomina è già morto da otto giorni. Aveva appena 46 anni. Non solo i suoi manoscritti rimarranno incompleti, ma le sue raccolte andranno in parte disperse o saranno trascurate da chi avrebbe dovuto pubblicarle, non ultimo proprio Antoine-Laurent. L'ultima sventura di una vita difficile. Ma andiamo con ordine. Philibert Commerson è nato nel 1727 in una cittadina della Bresse; è il figlio maggiore di un notaio e maggiorente locale, che vorrebbe seguisse le sue orme. Ma Philibert, già innamorato della natura, vuole diventare medico e naturalista. Dopo uno scontro che non dovette essere facile, il padre cede e gli permette di studiare medicina a Montpellier. Qui le sue doti sono apprezzate da Antoine Gouan, ma il suo fanatismo, che lo spinge a saccheggiare l'orto botanico dell'università per arricchire il proprio erbario, spinge il conservatore, François de Sauvage, a vietargliene l'ingresso. Commerson continuerà a rifornirsi, scalando le mura del giardino nottetempo. Ma sull'esempio di Sauvage creerà uno splendido erbario di sole foglie delle piante che crescono nei dintorni di Montpellier. Dopo esserci laureato, prima di tornare a casa va a erborizzare tra Cevenne, Savoia e Svizzera. Passa da Ferney a fare visita a Voltaire, che vorrebbe assumerlo come segretario; ma Commerson rifiuta: quel filosofo ha una faccia da birbante; meglio tornare nella Bresse, raccogliendo piante lungo la strada. E' medico, ma non esercita la professione. A trent'anni, dipende ancora dai genitori. Nella casa paterna di Châtillon-les-Dombes crea un orto botanico privato, visita i giardini e gli orti botanici della regione, e intesse una rete di corrispondenti con cui scambia semi ed esemplari. Il suo nome incomincia ad essere conosciuto tanto che Linneo, anche grazie al suo buon amico Gouan, gli chiede di raccogliere e descrivere le piante marine, le conchiglie e i pesci del Mediterraneo per il gabinetto di curiosità della regina di Svezia; non sappiamo in che modo Commerson assolse l'incarico, ma al Museo di Stoccolma è ancora conservata la sua bella collezione di pesci. Un editore gli propone di pubblicare uno studio di ittiologia, ma Commerson declina. Tutto il tempo che può lo dedica alle raccolte sul campo, e lo fa nel suo solito modo eccessivo. Lasciamo la parola al suo futuro cognato, il curato François Beau: "Per otto o nove anni consecutivi, ha trascorso le estati alternativamente nelle Alpi e nei Pirenei per cercare piante e insetti in queste montagne che ha percorso almeno tre o quattro volte; viveva di pane e di latticini che acquistava dai pastori e dormiva sulla paglia nelle loro capanne". Al ritorno, alle fatiche della raccolta seguono, altrettanto forsennate, quello dello studio. A raccontarcelo è l'amico Lalande: "Passava settimane intere, giorni e notte, senza interruzione, senza sonno e senza riposo, concentrato nelle ricerche di botanico, nell'esame e nella sistemazione delle ricchezze che aveva raccolto erborizzando o che aveva ottenuto dai suoi corrispondenti. Spesso all'alba era ancora lì, con la sua lampada accesa, senza essersi accorto che era rinato il giorno". La famiglia pensa che è ora che metta la testa a posto e gli combina un matrimonio. La prescelta è Antoinette Vivante Beau, la figlia di un altro notaio. La coppia va a vivere nel villaggio di Toulon-sur-Arroux, nel Charolais, dove François Beau è curato. Il matrimonio è straordinariamente felice e Commerson sembra trovare un equilibrio tra la vita del medico di villaggio e la passione botanica. Ma dopo due anni, Antoinette muore dando alla luce il piccolo Archambault. Philibert cade nella depressione più nera, che alterna a fiammate di furore botanico. Intermezzo: lo svelamento di Baret A strapparlo al suo malinconico ritiro pensa un conterraneo e amico d'infanzia, l'astronomo Jêrome de Lalande, che sta facendo una brillante carriera scientifica nella capitale. Così nel 1764 Commerson si trasferisce a Parigi e va ad abitare non distante dal Jardin des Plantes, mentre il piccolo Archambaud, che adesso ha due anni, rimane al paese, affidato allo zio materno. Meno orso di quanto potremmo pensare, il botanico si inserisce abbastanza bene negli ambienti scientifici parigini: frequenta i naturalisti del Jardin des Plantes e Lalande lo introduce nei circoli dei matematici e degli astronomi. Gli fa conoscere l'accademico e medico Pierre-Isaac Poissonnier, ispettore della marina e delle colonie; probabilmente grazie a lui Commerson è scelto come naturalista della spedizione Bougainville. Per quest'ultima egli redige un programma di ricerche così articolato da apparire troppo ambizioso persino a lui, e si dimostra molto abile a negoziare le sue condizioni: la nomina a botanico del re, uno stipendio di tutto rispetto, un servitore a carico della corona. Durante una delle sue escursioni solitarie, è stato ferocemente morso da un cane e la ferita non è mai guarita del tutto; è claudicante e ha bisogno di assistenza per la raccolta e il trattamento degli esemplari. Riprendiamo dunque il filo del racconto dove lo avevamo lasciato nel post dedicato alla spedizione Bougainville. Commerson e Baret si imbarcano tra gli ultimi. Il botanico ostenta di non conoscere il giovane servitore: Jean Baret gli si è presentato a Rochefort e ha chiesto di assumerlo, spinto dal desiderio di avventura. I due si sistemano nella cabina ceduta dal capitano e durante la traversata ne escono raramente: Commerson soffre atrocemente di mal di mare, l'ulcera alla gamba si è aggravata e deve essere continuamente assistito. Sulle vicende successive, possediamo diverse versioni. Cominciamo da quella di Bouganville, non necessariamente la più vera, ma quella ufficiale. Come già sappiamo, durante gli scali in America Baret assiste instancabile Commerson, trasporta cibo, armi e munizioni, raccoglie e sistema gli esemplari. Si arrampica agile e audace sulle montagne dello Stretto di Magellano. Alla fine, le raccolte americane di padrone e servitore ammonteranno a 1800 esemplari. Il colpo di scena avviene a Tahiti. Non appena i due mettono piede a terra, sono circondati da una folla che grida: "Vahinè! Una donna!" e cerca di aggredire Baret; reimbarcato in tutta fretta, da quel momento non lascia più la nave. Turbato dagli eventi, Commerson fa poche raccolte; nei suoi taccuini, di Tahiti rimangono soprattutto alcuni disegni etnografici. Bougainville sembra prenderla con calma, ordina un'inchiesta discreta, e solo molti giorni dopo, mentre le navi sono ancorate di fronte a Espiritu Santu, va sull'Etoile a interrogare Baret, che, in lacrime ammette di essere una donna e gli propina una storia degna di un romanzo larmoyant. Nata in Borgogna, rimasta orfana, era stata ridotta in miseria da un processo; per sottrarsi ai suoi persecutori si era travestita da uomo e si era trasferita a Parigi dove aveva servito come lacchè un Ginevrino. Quando ha saputo della spedizione intorno al mondo, per desiderio di avventura e curiosità femminile si è presentata a Commerson poco prima della partenza; il suo padrone non sa nulla, lo ha ingannato nel desiderio di essere la prima donna a fare il giro del mondo. Bougainville la prende con filosofia, accontentandosi di separarla da Commerson facendola trasferire sulla Boudeuse. Secondo il chirurgo dell'Etoile, François Vivès (che detestava cordialmente Commerson), voci sulla vera natura di Baret circolavano già durante la traversata dell'Atlantico e in Sud America, ma lo smascheramento sarebbe avvenuto solo nella Nuova Irlanda, dove la ragazza sarebbe stata rapita e spogliata da un gruppo di marinai. Anche Nassau-Siegen e Duclos-Gouyot collocano lo svelamento in Nuova Irlanda, ma senza riferirne i particolari. D'altra parte, alcuni tahitiani riferirono a Cook, che visitò l'isola due anni dopo Bougainville, che tra i francesi c'era una donna, il che prova che il sesso di Baret era noto almeno a loro, e forse anche ai marinai. Alcuni commentatori hanno sostenuto che Bougainville scoprì chi era Baret già a Rio e per questo fece mettere agli arresti Commerson; è altamente improbabile: in tal caso avrebbe fatto sbarcare la ragazza, rispedendola in Francia con la prima nave disponibile. E' però verosimile che la sua versione sia stata concordata con Commerson o confezionata dallo stesso Bougainville per scagionare il più possibile il naturalista, che rischiava la carriera e anche un processo, visto che la legge proibiva a qualsiasi donna di trattenersi su una nave militare. Il racconto di Jean / Jeanne Baret in effetti è del tutto falso. Nata in un villaggio non troppo lontano da Toulon-sur-Arroux, era entrata al servizio di Commerson come domestica probabilmente dopo la morte della moglie di lui; intelligente e curiosa, ben presto imparò a preparare, organizzare e classificare gli esemplari, divenendo il braccio destro del suo padrone. E' assai probabile che ne sia divenuta anche l'amante, visto che quando Commerson si trasferì a Parigi e la portò con sé, era incinta di padre ignoto. Alla nascita, il bambino fu affidato all'assistenza pubblica e morì poco dopo. Una conferma inequivocabile del legame è nel testamento che Commerson dettò prima di partire per il giro del mondo, con cui lasciò a "Jeanne Baret, conosciuta con il nome di Bonnefoi, mia governante" la somma forfettaria di 600 lire. Resta da chiarire se l'idea di far travestire Jeanne da uomo in modo che potesse continuare ad assistere il suo padrone fu di lui, di lei o di entrambi. Lucile Allorge, che tende a presentare Commerson come un timido che gioca al cinico per nascondere la sua debolezza, ritiene che una scelta tanto audace vada ascritta totalmente a Jeanne, una donna coraggiosa, decisa, devota al suo Philibert fino all'abnegazione. In una lettera al cognato, Commerson sostiene di aver cercato di dissuaderla, sottolineando tutti i pericoli del viaggio. Certo, Jeanne era una donna ammirevole, come scrive apertamente lo stesso Bougainville: "Sarà la sola del suo sesso e io ammiro la sua risolutezza, tanto più che si è sempre comportata con la saggezza più scrupolosa. La Corte, credo, le perdonerà di aver infranto le ordinanze". Ma anche Commerson, lo abbiamo visto, non era tipo da farsi spaventare dalle convenzioni. Una destinazione non prevista: le Mascarene e Madagascar Come abbiamo visto, dopo Tahiti gli scali furono pochissimi e le raccolte di Commerson si limitano a una ottantina di esemplari della Nuova Irlanda, cui sia aggiungono poche piante raccolte a Giava. L'8 novembre 1768 la Boudeuse e l'Etoile gettano l'ancora all'Ile de France, oggi Mauritius. Qui, a togliere dall'imbarazzo Bougainville, Commerson e Baret, interviene una vecchia conoscenza parigina del naturalista: Pierre Poivre, che da poco più di un anno si è trasferito a Mauritius come Intendente delle isole di Francia e Borbon. Accanto alla sua residenza, sta creando il primo orto botanico dei tropici, il Jardin de Pamplemousses, un giardino di acclimatazione dove fa affluire piante provenienti dal maggior numero possibile di paesi tropicali, nella speranza di lanciare l'economia delle isole e di spezzare il dominio olandese delle spezie. Invita Commerson a rimanere per collaborare con lui; gli offre una casa e emolumenti maggiorati del 30 per cento. A sedurre il botanico, più dei vantaggi materiali, sono le collezioni di quel favoloso giardino e ancor più la prospettiva di riprendere l'esplorazione: oltre alle Mascarene, il Madagascar, dove Poire progetta una spedizione. Dunque, non può che accettare, tanto più che a Parigi potrebbe attenderlo un'inchiesta, forse addirittura un processo. Così, quando Bougainville riparte, a bordo non ci sono più Philibert e Jeanne. La piccola équipe scientifica della spedizione si è sciolta: sono rimasti a Mauritius anche l'astronomo Pierre-Antoine Véron, e l'ingegnere Charles Routier de Romainville, che presto ripartirà per colonizzare le Seychelles. Véron, che è figlio di un giardiniere, è divenuto l'amico più caro di Commerson, che nel 1770 apprenderà con grande dolore la notizia della sua morte a Timor, dove si è recato nella speranza di assistere al transito di Venere. Commerson riprende le raccolte con l'entusiasmo della giovinezza, anche se la forza fisica e la salute non sono più quelle; al suo fianco, assistente non più clandestina, c'è sicuramente Jeanne. Si interessa a tutto, e sostiene l'intraprendente Poivre in tutti i suoi progetti. L'Ile de France è di per sé un campo di ricerca appassionante, con la sua ricchezza di endemismi; ma è anche il punto di arrivo di piante esotiche portate da viaggiatori vecchi e nuovi, come l'Hortensia (oggi Hydrangea macrophilla), forse portata qui dal Giappone da marinai olandesi; o il seducente coco de mer, arrivato dalle Seychelle, che Commerson battezza audacemente Ladoicea callypige, per quel seme che evoca le natiche femminili. Quando la gotta non lo costringe a rimanere a letto, batte palmo palmo l'isola e erborizzando per monti e per valli raccoglie almeno mille esemplari. Ora lo affiancano ben due disegnatori, Paul Philippe Sanguin de Jossigny, un militare giunto nell'isola come aiutante del governatore, e Pierre Sonnerat, il nipote di Poivre. Il giovane è qui come segretario dello zio, ma si appassiona di scienze naturali e diventa di fatto l'allievo di Commerson cui mette a disposizione il suo talento di disegnatore. Dopo vari rinvii, dovuti soprattutto alla sua cattiva salute, nell'ottobre 1770 Commerson, insieme a Joissigny, si imbarca per il Madagascar, dove nello stesso periodo si trova anche Sonnerat, come scrivano di una nave militare. E' stupefatto della ricchezza e della varietà della flora dell'isola, che da sola gli sembra riunire più specie di quante ne abbiano descritte tutti i botanici, Linneo compreso. Jeanne è rimasta a Mauritius, ma come assistente Commerson si è procurato un giovanissimo schiavo nero, un bambino non più grande di suo figlio Archambaud. Anche se il soggiorno nell'isola è di soli due mesi e il botanico deve limitarsi ad esplorare il dintorni di Fort Dauphin, raccoglie quasi 500 esemplari. Una ferita lo costringere a rientrare, ma la nave su cui viaggia incappa in una burrasca ed è costretta a rifugiarsi a Bourbon (oggi La Réunion). E' un nuovo territorio da esplorare e ben accolto dai locali, Commerson prolunga il soggiorno per undici mesi, aggiungendo 600 esemplari alla sue collezioni. E' così instancabile che Jossigny scrive inutilmente a Poivre per essere esonerato; il bottino sarà di circa 600 esemplari. Il momento più memorabile è la grande spedizione al "Vulcano di Bourbon", oggi Piton de la Fournaise, insieme a Jossigny e al sedicenne Jean-Baptiste Lislet Geoffroy, un ragazzo nato a Bourbon che in seguito diventerà uno scienziato e il primo membro dell'Accademia delle scienze nato nelle colonie. Ritornato all'Ile de France all'inizio del 1772, Commerson ha il dispiacere di assistere alla partenza di Poivre, che è stato richiamato in Francia. E' ormai molto malato e non può unirsi a lui, tanto più che a bordo non c'è posto per le sue casse. Il nuovo sovrintendente, Maillard de Melle, che lo detesta, lo priva dell'alloggio e sopprime il suo stipendio e quello di Jossigny. Assistito da Jeanne, che è sempre rimasta al suo fianco, muore il 13 marzo 1773, all'età di 46 anni. Jeanne è rimasta senza mezzi; per qualche tempo lavora in una taverna, poi si sposa con un soldato. Forse nel 1774 o nel 1775 può ritornare con il marito in Francia, completando il suo giro del mondo. Porta con sé le 34 casse dei materiali di Commerson, che consegna al Jardin des Plantes. Quindi rivendica la sua parte di eredità e va a stabilirsi con il marito in Dordogna. Nel 1785, il re le concede una pensione con questa motivazione: "Jeanne Barré, grazie ad un travestimento, circumnavigò il globo su uno dei vascelli comandati da Bougainville. Si dedicò in particolare ad assistere Commerson, dottore e botanico, e condivise con grande coraggio il lavoro ed i pericoli di costui. Il suo comportamento fu esemplare e Bougainville le riconobbe numerosi meriti". Alla morte, nel 1807, lascia tutto ciò che possiede a Archambaud, il figlio di Commerson. Candida Commersonia di Natale Chi dovrebbe occuparsi di pubblicare i materiali di Commerson è proprio Antoine-Laurent de Jussieu, che ne ha per così dire ereditato la cura dallo zio Bernard. In altre faccende affaccendato, non lo farà mai, utilizzandone solo una piccola parte, molti anni dopo, in Genera plantarum (1789). In compenso, botanici e zoologi non si fanno troppi scrupoli a saccheggiare i materiali del botanico scomparso e a pubblicarli come propri. L'enorme erbario (più di seimila esemplari e 3000 specie) andò in parte disperso, in parte fu riordinato e pubblicato da Lamarck, in parte rimase inedito. Il giudizio di Cuvier sulla questione è una condanna inappellabile: "Commerson era un uomo infaticabile e della scienza più profonda. Se avesse potuto pubblicare le sue osservazioni, occuperebbe uno dei primi posti tra i naturalisti. Sfortunatamente, è morto senza poter completare la redazione dei suoi scritti e coloro a cui sono stati affidati i suoi manoscritti e i suoi erbari li hanno trascurati in modo colpevole". Commerson creò moltissimi generi botanici, molti dei quali dedicati a amici o studiosi che stimava; solo una piccola parte fu pubblicata, anche se ne rimangono validi circa quaranta. Tra quelli mai pubblicati e quindi non riconosciuti, anche i due generi che volle dedicare alle due donne della sua vita. Per ricordare la moglie, scelse un bellissimo albero del Madagascar con più fiori che foglie e frutti che racchiudono due noccioli uniti in forma di cuore e lo battezzò Pulcheria commersonia; il nome non è stato mantenuto nella nomenclatura botanica e la specie che designa non è stata identificata con certezza. A Jeanne, salutata come "Amazzone dei botanici", "fanciulla armata di arco e frecce come Diana, ma di condotta delicata e rigorosa come Atena", dedicò invece Baretia bonafidia, oggi Turraea casimiriana, un endemismo delle Mascarene. Anche questo nome dunque non è riconosciuto; solo di recente, nel 2012, un'équipe di ricercatori ha voluto rimediare con la dedica di Solanum baretiae, una specie scoperta in Ecuador caratterizzata da un numero variabile di foglie che allude alla scelta di Jeanne di infrangere le regole della sua epoca, facendosi uomo per amore dell'uomo amato e della scienza. A ricordare Commerson, oltre a un centinaio di specie con l'epiteto commersonii, ha pensato una coppia di botanici sfortunata quanto lui: Johann Reinhold e Georg Forster, i due botanici padre e figlio della seconda spedizione di Cook. Anche le collezioni di Forster padre andarono disperse, e la sua opera più importante fu pubblicata postuma molti anni dopo la sua morte. Quanto a Georg, morì giovane in modo tragico. I due pubblicarono insieme la specie tipo, Commersonia echinata (il nome attuale è C. bartramia), raccolta a Tahiti, ma secondo una lettera di Forster figlio a Voss, il padre non vi ebbe parte; fu Georg a completarne la descrizione insieme a Sparrman. Commersonia, della famiglia Malvaceae, è un genere di circa venticinque specie di alberi e arbusti la cui area di distribuzione coincide con almeno una parte del teatro delle ricerche di Commerson: è presente soprattutto in Australia, il centro di diversità con una ventina di specie, ma anche nelle isole del Pacifico, comprese Tahiti e le Vanuatu, nel sud-est asiatico e in Madagascar. La specie più diffusa è C. bartramia, presente in Australia, nelle isole del Pacifico, in Indocina e nella Cina meridionale; è un arbusto o un piccolo albero con chioma espansa, molto attraente per le foglie cordate simili a quelle del tiglio e i densi corimbi di piccoli fiori bianchi a stella. In Australia è chiamato kurrajong di Natale (questo nome di solito indica alberi del genere Brachychiton, un'altra Malvacea) sia per la stagione della fioritura sia per il colore candido. Come omaggio ai viaggi di Commerson, aggiungo C. obliqua, un endemismo delle Vanuatu (l'arcipelago dove Bougainville ebbe il colloquio rivelatore con Baret), e C. madagascariensis, l'unica specie malgascia. Altre notizie nella scheda. La grande avventura dei viaggi scientifici del secolo dei lumi inizia nel novembre 1766 con un viaggio intorno al mondo destinato a fare scuola e ad incidere nell'immaginario collettivo. A guidarlo è un comandante d'eccezione: marinaio, uomo d'armi, eroe di guerra, ma anche matematico, frequentatore dei circoli illuministi e scrittore dalla penna facile: Louis-Antoine de Bougainville. E' un'avventura felice, senza drammi (l'abile comandante riuscirà anche a tenere a bada il temibile scorbuto, perdendo solo sette uomini su oltre trecento) che sembra approdare all'Eden, al paradiso in terra: l'isola di Tahiti, che Bougainville si affretta a ribattezzare "Nuova Citera". Il brillante resoconto di Bougainville, Voyage autour du monde, rafforza il mito del buon selvaggio e ispira a Diderot un'opera altrettanto celebre, Supplemento al viaggio di Bougainville. A bordo delle due navi di Bougainville, per la prima volta nella storia, c'è una piccola équipe scientifica, composta da un cartografo, Charles de Romainville, un astronomo, Pierre-Antoine Véron, e un botanico-naturalista, Philibert de Commerson, con il suo inseparabile servitore Baret. C'è anche un passeggero volontario, il bizzarro principe franco-tedesco Charles-Henri di Nassau-Siegen. Più di uno è ricordato da un genere botanico. Incominciamo dal comandante, che Commerson (che forse aveva qualcosa da farsi perdonare) ha reso ancora più famoso dedicandogli l'ormai ubiqua Bougainvillea. Prologo: una colonia nelle Malvine Nel 1763 la Francia viene rovinosamente sconfitta nella guerra dei Sette anni, perdendo le colonie canadesi e indiane. E' desiderosa di riscattarsi, cercando anche nuovi sbocchi oltremare che possano compensare una perdita tanto dolorosa. A offrirgliene l'occasione è uno degli eroi di quel conflitto disastroso, Louis-Antoine de Bougainville, uno dei pochi che ha saputo tener testa agli inglesi in Canada, anche se alla fine proprio a lui (bilingue, perché è stato diplomatico in Inghilterra) è toccato condurre i negoziati che hanno preceduto la capitolazione. E' un ottimo soldato, ma anche uomo dai talenti multiformi, capace di mille giravolte. Giovanissimo ha scritto un trattato sul calcolo integrale che gli ha addirittura aperto le porte della Royal Society; ma poi è stato avvocato, frivolo frequentatore di salotti parigini, moschettiere del re, diplomatico. E si appresta a nuove piroette. Subito dopo la pace di Parigi, nel 1763, si fa imprenditore e marinaio: va a Saint Malo a convincere gli armatori della città a creare la Compagnie de Saint Malo, in cui coinvolge amici e parenti e investe il proprio patrimonio personale; il proposito è fondare una colonia nell'arcipelago al largo dell'Argentina che gli inglesi hanno scoperto alla fine del secolo precedente e denominato "isole Falkland". Si tratta di precederli, prima che ne rivendichino il possesso, ma soprattutto di creare una base per ulteriori esplorazioni del Pacifico; inoltre la colonia offrirà una nuova sede ai francesi cacciati dal Canada e riportati a forza in Francia. Con l'approvazione del re (ma si tratta di un'impresa privata), Bougainville arma due navi, l'Aigle e la Sphinx, a bordo delle quali il 15 settembre 1763 lascia San Malo con un gruppo di coloni: sei famiglie (due delle quali acadiane) e 20 scapoli, tutti acadiani. Tra di loro, carpentieri, contadini, pescatori e un fabbro. Sbarcano in quella che battezzano baia di San Luigi il 3 febbraio 1764 e, nonostante la delusione di scoprire un paesaggio desolato e privo di alberi, si mettono all'opera, costruendo case, magazzini, un forno. Bougainville ritorna a Saint Malo per imbarcare un secondo gruppo di 80 coloni. Dato che la maggior parte è originaria di quella città, battezza le isole Malouines, che in spagnolo diverrà Malvinas e in italiano Malvine. Nel 1766, porta nelle isole un terzo gruppo di 79 coloni. La colonia prospera, il bestiame portato dalla Francia si moltiplica e la caccia alle foche sembra molto promettente. Ma né l'Inghilterra né la Spagna restano a guardare. Una squadra inglese sbarca nelle Falkland occidentali e ne prende possesso a nome di re Giorgio; da parte sua, la monarchia spagnola rivendica la sovranità sull'arcipelago. Luigi XV decide che non vale la pena di sfidare il proprio principale alleato e spedisce Bougainville a Madrid a trattare la restituzione delle isole, in cambio di un indennizzo. Gli ordina poi di smantellare la colonia; a bordo di una nave della marina reale, dovrà recarsi alle Malvine ancora una volta, per la mesta cerimonia della consegna delle isole alle Spagna. Ma c'è un premio di consolazione: proseguirà alla volta del Pacifico, come comandante della prima circumnavigazione francese del globo. Prima di raccontare questa avventura, vale la pena di dedicare qualche riga a uno dei compagni di Bougainville nelle Malvine. Al primo viaggio nelle isole, nel 1763-64, prese parte anche come elemosiniere e naturalista il colto monaco benedettino dom Antoine-Joseph Pernety. Al suo rientro in Francia, scrisse Histoire d'un voyage aux iles Malouines, che contiene la prima descrizione naturalistica dell'arcipelago. Personaggio inquieto e bizzarro, lasciò l'abito e per sfuggire all'Inquisizione fu costretto a rifugiarsi a Berlino come conservatore della biblioteca di Federico II. Qui si appassionò di alchimia e esoterismo e fondò gli Illuminati di Berlino. Tornato in Francia, fondò la loggia degli Illuminati di Avignone e divenne un personaggio piuttosto noto degli ambienti esoterici di fine Settecento. Una delle piante da lui raccolte nelle Malvine gli fu dedicata nel 1825 da Charles Gaudichaud-Baupré come Pernettya empetrifolia (oggi Gaultheria pumila). Anche se il genere Pernettya da qualche anno è confluito in Gaultheria, è spesso commercializzata come Pernettya del Cile o Pernezia Gaultheria mucronata, un tempo denominata P. mucronata. Primo atto: partenza! Nelle intenzioni di Luigi XV e del suo ministro Choiseul il viaggio di Bougainville intorno al mondo dovrà risollevare il prestigio internazionale della Francia, trasformando un maldestro incidente diplomatico in una impresa di grande rinomanza. Sul piano politico, dall'esplorazione del Pacifico, all'epoca ancora un grande spazio ignoto che i viaggi di spagnoli, olandesi, inglesi hanno appena cominciato a svelare, ci si attende l'apertura di nuove vie commerciali per la Cina e, chissà, la scoperta di terre non ancora rivendicate da nessuna potenza europea dove creare un nuovo impero coloniale. Ma bisogna sbrigarsi: anche la Gran Bretagna ha le stesse intenzioni, e nel 1766 ha spedito nel Pacifico due navi, la Dolphin e la Swallow, che devono ancora essere da quelle parti. La spedizione francese, però, si differenzia da quella britannica, quasi coincidente nei tempi e nei luoghi, per il maggior numero di partecipanti (340 uomini) e per la presenza di una piccola équipe di scienziati. E' la prima volta, e l'esempio sarà presto imitato dalla prima spedizione di Cook, 1768. Ne fanno parte l'ingegnere-cartografo Charles Routier de Romainville, altro reduce delle Malvine, l'astronomo Pierre-Antoine Véron e il naturalista e botanico Philibert de Commerson, entrambi raccomandati dall'astronomo Lalande. Stranamente, non c'è neppure un disegnatore, anche se a bordo ci sono due "cronisti" con l'incarico di immortalare l'impresa. Il 15 novembre 1766 Bougainville, entrato a fare parte della Marina militare, salpa da Nantes a bordo della fregata La Boudeuse, un nome poco marziale che significa la "musona" o la "scontrosa"; è appena uscita dai cantieri che lavorano per la Compagnia delle Indie e c'è qualche problema di rodaggio, che la costringe ad attraccare a Brest, da cui ripartirà il 5 dicembre. A bordo ci sono 214 uomini; oltre a ufficiali, marinai e soldati, il comandante ha voluto anche due musicisti, per rallegrare gli animi. Dopo una sosta di un mese a Montevideo, per perfezionare la trattativa diplomatica, a fine marzo è alle Malvine dove il primo aprile è prevista la cerimonia di consegna agli spagnoli. Questa è la parte ufficiale della missione, mentre le vere intenzioni francesi sono mantenute segrete. Per questa ragione, il secondo vascello, il fluyt l'Etoile, una nave da trasporto che Bougainville ha già utilizzato nei suoi andirivieni con le Malvine e ora ha ceduto alla Marina militare, parte solo in un secondo tempo e da un porto diverso. Affidata al comando di un vecchio amico, François Bernard Chenard de la Giraudais, che in precedenza ha combattuto in Canada ed è stato il comandante della Sphinx, la sua partenza da Rochefort, dove è stata raddobbata, è fissata all'inizio di gennaio. Per una serie di contrattempi, salpa con un mese di ritardo. A bordo ci sono 116 uomini, compresa l'équipe scientifica e un eccentrico "volontario", il principe Charles-Henri di Nassau-Siegen, che gli amici hanno convinto ad imbarcarsi per sottrarsi ai creditori. Tra gli ultimi a salire a bordo, c'è il giovane servitore di Commerson, che si fa chiamare Jean Baret o Baré. Dato che il naturalista ha bisogno di spazio per i libri, gli strumenti e le future raccolte, ha chiesto di avere una cabina da dividere con il servitore, la cui assistenza gli è necessaria a causa di un'ulcera a una gamba che continua a tormentarlo. De la Giraudais, accomodante, gli cede la sua. Secondo atto: Sud America L'Etoile arriva alle Malvine solo il primo giugno e le due navi lasciano l'arcipelago per Rio de Janeiro, dove arrivano a una settimana di distanza e si trattengono fino al 15 luglio. Non sono chiare le ragioni di questa sosta: forse Bougainville è stato incaricato dal re di trattare le condizioni di un eventuale inserimento dei francesi nei commerci con la Cina, che il Portogallo domina con il suo porto di Macao. In ogni caso, l'accoglienza delle autorità è fredda, la popolazione è piuttosto ostile ai francesi e uno degli elemosinieri rimane ucciso. Secondo la testimonianza del chirurgo dell'Etoile, l'ulcera di Commerson, che durante il viaggio ha sofferto atrocemente il mal di mare, si è aggravata. Il fedele Baret scende a terra a cercare piante per preparare un impiastro; è così che si imbatte in una liana che produce fiori circondati da brattee dai colori sgargianti. Almeno, questa è la ricostruzione dei fatti della biografa di Baret, G. Ridley, talvolta incline a farsi guidare più dalla fantasia che della fonti. E' invece certo che Commerson la battezza Bougainvillea, giudicandola un perfetto ritratto vegetale del brillante comandante: che gradisce l'omaggio, tuttavia poco dopo fa mettere il botanico agli arresti e gli impedisce di scendere a terra fino alla partenza. Ufficialmente, lo fa per salvargli la vita, preoccupato com'è per la sua salute. Ma le motivazioni potrebbero essere altre. Ne riparleremo nel prossimo post, di cui Commerson (e Baret) saranno i protagonisti. Il 31 luglio le due navi attraccano a Montevideo, dove si tratterranno più di tre mesi in attesa del tempo propizio per la difficile traversata dello stretto di Magellano. Bisogna anche riparare l'Etoile, che è stata urtata violentemente da un vascello spagnolo mentre entrava in porto. Forse ci sono di mezzo anche trattative diplomatiche con gli spagnoli. In ogni, caso la lunga sosta condizionerà il successo della spedizione, visto che la corona (per i soliti pressanti problemi di soldi) ha stabilito per il viaggio una durata massima di due anni. Baret e Commerson, che ora sta meglio, ne approfittano per fare cospicue raccolte. Il 15 novembre 1767, a un anno esatto dalla partenza della Boudeuse da Nantes, si fa finalmente vela per il Pacifico. Il passaggio dello stretto di Magellano non è semplice, ma il secondo di Bougainville, Duclos-Gouyot, lo conosce perfettamente, avendolo già percorso ai tempi delle Malvine. Tuttavia la falla dell'Etoile si riapre, la Boudeuse ha difficoltà di manovra e la navigazione procede lenta, consentendo a Commerson un'indagine quasi completa della flora e della fauna dello stretto. Un risultato possibile soprattutto grazie all'energia di Baret, che instancabile trasporta viveri e pacchi, raccoglie, essicca, tanto da suscitare l'ammirazione di Bougainville; cinicamente, Commerson lo definisce "la mia bestia da soma". Ottimi risultati anche per Véron e Romainville, che rettificano le carte e stabiliscono l'esatta latitudine dello stretto. Il due gennaio, con un pizzico di delusione, i marinai su un albero scoprono un'iscrizione in inglese: la Dolphin e la Swallow sono passate di lì! Dopo 52 giorni di navigazione, lo stretto è superato e le navi francesi, senza altre soste, il 26 gennaio si lanciano nel Pacifico. Terzo atto: approdo nell'Eden Basandosi su carte molto imprecise, i due vascelli vanno alla ricerca delle isole segnalate dai navigatori spagnoli, inglesi e olandesi, tenendosi a un grado di latitudine di distanza l'una dall'altra per esplorare un maggiore tratto di mare. Ma non trovano nulla; alla fine di marzo, da lontano scorgono palme da cocco che sembrano affiorare direttamente dal mare e piroghe che fanno segni amichevoli (sono atolli delle Tuamotu); ma Bougainville diffida e ordina di proseguire. Finalmente, il primo aprile, mentre a bordo le provviste iniziano a scarseggiare e si manifesta lo scorbuto, appare l'alto profilo di un'isola coronata di verdi montagne, mentre nell'aria si effonde il profumo di terra, di polline, di miele: i francesi sono pronti a sbarcare nell'Eden. Subito sono circondati da un nugolo di piroghe, che agitano fronde di cocco in segno di pace. Una piroga accosta e... Ma lasciamo la parola a Bougainville: "A bordo della Boudeuse salì una ragazza, che lasciò negligentemente cadere un telo che la ricopriva e si mostrò agli occhi di tutti come Venere quando si lasciò vedere dal pastore frigio". Quella dove sono giunti, se non è il Paradiso terreste, è per lo meno Citera, l'isola sacra a Venere. Dopo qualche difficoltà a trovare un passaggio navigabile nella barriera corallina, il 6 aprile le navi gettano l'ancora di fronte al villaggio di Hitiaa. Il loro arrivo coincide con il momento della massima abbondanza di frutti e animali; gli indigeni sono amichevoli (e le ragazze compiacenti), e i francesi, nutriti dalla lettura dei philosophes, si convincono di essere sbarcati nella terra in cui l'uomo è ancora vicino alla natura che offre generosamente i suoi frutti; liberi dalle schiavitù del lavoro, i tahitiani (perché è Tahiti l'isola dove siamo approdati) hanno edificato una società egualitaria e pacifica, dove il piacere non è peccato. Eppure, il capo del villaggio si mostra abile e fermo nelle trattative: quando Bougainville gli mostra 18 sassi, per indicare che intende fermarsi altrettanti giorni, ne ritira solo nove. Stabilisce tariffe precise per i viveri e il legname; confina gli ammalati di scorbuto in uno spazio delimitato; indica quali alberi non potranno essere abbattuti e i frutti che non devono essere raccolti. Bougainville, che in Canada è stato accolto come "fratello" in una tribù di Irochesi, conosce il concetto di tabù e non si stupisce. E' convinto di avere scoperto l'isola; ne prende possesso a nome di Luigi XV e la ribattezza Nuova Citera. Non sa che, ancora una volta, è stato preceduto da Wallis, il comandante della Dolphin, che è sbarcato a Tahiti dieci mesi prima. E se gli indigeni si mostrano tanto amichevoli, è anche dovuto al ricordo dei cannoni inglesi. E quelle fanciulle tanto disponibili sono ben altro che sacerdotesse di Venere... Dopo nove giorni, rispettando i patti, si riparte; a bordo c'è anche Ahutoru, figlio di un capo delle isole sottovento, che ha voluto essere imbarcato nella speranza che i francesi lo riportino a casa. Andrà invece in Francia, dove morirà di tubercolosi, e durante il viaggio si incaricherà di aprire gli occhi a Bougainville, mostrandogli come Tahiti è tutto meno che egualitaria e pacifica. A Tahiti si è anche prodotto un incidente che riguarda Commerson e Baret e che per ora non racconterò. Registro soltanto un fatto: le raccolte tahitiane di Commerson sono scarsissime. Epilogo: ritorno Ormai il tempo fissato dall'avaro ammiragliato francese sta per scadere e Bougainville, con la stiva piena di viveri freschi, abbandonati progetti più ambiziosi, pensa solo a trovare la rotta più breve per rientrare nei tempi prescritti. Così non si lascia convincere da Ahutoru a raggiungere le Sottovento e dopo venti giorni di navigazione si accontenta di gettare l'ancora per qualche ora al largo di una delle Samoa. Il 10 maggio la Boudeuse e l'Etoile passano al largo di Futuna, mentre lo scorbuto ricomincia a manifestarsi anche se, per combatterlo, il comandante ordina di catturare e mangiare i ratti di bordo (sembra che il loro sangue fresco sia un toccasana). Il 22 maggio le due navi penetrano nello stretto tra due isole (Bougainville, fedele alle sue memorie mitologiche, le chiama Grandi Cicladi, oggi fanno parte delle Nuove Ebridi o Vanuatu). Il 27 maggio invia alcuni uomini in cerca di viveri e acqua su una terza isola (è Espiritu Santo, la maggiore delle Vanuatu), quindi sbarca egli stesso. Appare una grande folla di uomini armati di lance e archi; in lontananza, rulli di tamburi. Bougainville ordina di lasciare l'isola. Parte un nugolo di frecce, i marinai rispondono a fucilate. No, qui non siamo più nell'Eden. Bougainville battezza quel luogo infausto "isola dei Lebbrosi". Più tardi, mentre le navi sono ancorate al largo, il comandante si reca sull'Etoile dove ha un colloquio con Baret, che subito dopo si trasferisce sulla Boudeuse. Se volete sapere che cosa si sono detti, dovete aspettare il prossimo post. La navigazione riprende, con i viveri sempre più scarsi e i casi di scorbuto sempre più numerosi. Un secondo tentativo di sbarco in un'altra isola è accolto da un nugolo di frecce. Dopo aver sfiorato la barriera corallina, la navigazione prosegue verso nord-est senza sbarchi tra le isole che contornano la Nuova Guinea: le Lousiades, così battezzate in onore di Luigi XV, e le Salomone, dove il 30 giugno Bougainville scopre un'isola che più tardi riceverà il suo nome; modestamente egli stesso si era accontentato di chiamarla Buka, il nome della noce di cocco. Ma non sbarca nemmeno qui; dopo un breve scalo nella futura Nuova Irlanda, le navi si dirigono verso le Molucche, possesso olandese, e l'equipaggio devastato dallo scorbuto può trovare viveri e soccorso nell'isola di Boro. D'ora in avanti siamo in mari conosciuti, e il viaggio è ordinaria amministrazione: un altro scalo più lungo a Batavia per dare una sistemata alle navi, e poi la traversata dell'Oceano indiano fino a Mauritius, all'epoca possesso francese con il nome Ile de France. Quindi si completa il giro del mondo toccando il Capo di Buona Speranza, Sant'Elena, Ascension e le Azzorre. Il 16 marzo 1769 la Boudeuse attracca a Saint Malo, mentre il 24 aprile l'Etoile rientra a Rochefort. A bordo delle due navi, però, non c'è più l'équipe degli scienziati; sono sbarcati tutti a Mauritius, insieme a un nutrito gruppo di soldati. Come già immaginate, ci danno appuntamento alla prossima puntata. Sfolgorante Bougainvillea Dal punto di vista politico e commerciale, la missione è un successo a metà. Non è stata aperta alcuna via per la Cina e la manciata di isole scoperte da Bougainville, almeno al momento, non sembra avere alcun interesse strategico; anche se i risultati cartografici e oceanografici sono di grande rilievo, sono inferiori alle velleità della corona francese. A farne tesoro, più di essa, sarà James Cook. In ogni caso, Bougainville è accolto trionfalmente, ottiene un seggio all'Accademia di marina e viene promosso capitano di vascello. Del resto, egli si è rivelato un ottimo uomo di mare: nonostante tutte le vicissitudini ha perso solo 7 uomini (nel suo viaggio parallelo, Wallis ebbe moltissime perdite dovute allo scorbuto e alla dissenteria). Il successo, questo sì travolgente, sarà su un altro piano. Tra il 1771 e il 1772 Bougainville pubblica Le voyage autour du monde par la frégate du roi La Boudeuse et la flûte L'Étoile en 1766, 1767, 1768 et 1769, seguito nel 1772 da Voyage autour du monde, dove, nonostante la parziale smentita delle rivelazioni di Ahutoru, edifica il mito di Tahiti, descritta come un Eden dove l'uomo, libero dalla schiavitù del lavoro, può vivere secondo una morale "naturale" votata al piacere. L'eco in tutta Europa è enorme. Voltaire scrive che, se fosse più giovane, partirebbe volentieri per la Nuova Citera; Diderot risponde con uno dei suoi capolavori, Supplément au voyage de Bougainville, in cui smaschera i propositi imperialisti nascosti dietro il velo della "missione scientifica". Bougainville ebbe ancora una vita lunga e ricca di eventi (ne trovate una sintesi nella sezione biografie) anche se non poté realizzare nessuno dei viaggi che sognava. Uomo colto e raffinato, amava anche le piante e i giardini e in vecchiaia fece costruire uno notevole nel parco del suo castello di Suisnes; più tardi aiutò il suo capo giardiniere, Christophe Cochet, a creare un vivaio tutto dedicato alle rose. E' l'inizio di una delle più celebri dinastie della storia delle rose, un altro merito del nostro ammiraglio che ebbe a dichiarare che affidava volentieri la sua sopravvivenza presso i posteri a una pianta, ovvero a Bougainvillea. Tocca a lei, finalmente. Bougainvillea, della famiglia Nyctaginaceae, comprende circa 16-18 specie di arbusti, liane e alberi originari del Sud America; importata in Europa fin dall'Ottocento, oggi è una delle piante più diffuse ed amate e si è naturalizzata in molti paesi dal clima mite. Ad avere tanto successo sono state le specie sarmentose, grandi liane con fioriture rese spettacolari dalle coloratissime brattee che circondano i fiori, di per sé insignificanti. Le specie più importanti per la coltivazione sono tre, che sono anche le prime ad aver raggiunto le serre e i vivai europei. La prima fu proprio la specie raccolta da Commerson (o da Baret), Bougainvillea spectabilis, originaria del Brasile sud-orientale, una robusta e vigorosa liana che può raggiungere vari metri d'altezza; anche se fu descritta per la prima volta sulla base degli esemplari inviati da Commerson al Jardin des plantes, il suo arrivo in Europa si deve alla spedizione nuziale di Leopoldina d'Asburgo, dopo il 1817. Una seconda specie più settentrionale, diffusa in Ecuador, Perù e Bolivia, fu raccolta e descritta da Humboldt come B. peruviana. Intorno al 1850 Choisy descrisse un'altra brasiliana, B. glabra, una specie di portamento più arbustivo e contenuto rispetto a B. spectabilis; coltivata dapprima in Francia, arrivò in Inghilterra nel 1856 e divenne presto la specie più importante di tutte. Dalle serre europee o forse dai giardini sudamericani queste tre specie, che si ibridano tra di loro spesso e volentieri e talvolta danno origini a cloni interessanti, sono andate alle conquista del resto del mondo. Nel XIX secolo, un ruolo particolarmente importante in questo senso fu giocato dai Royal Botanical Gardens di Kew, che favorirono la loro diffusione nelle colonie inglesi, dalle Antille, all'India, all'Australia. Nel 1910 una certa signora Butt acquistò a Cartagena in Colombia alcune talee di un esemplare con fiori rosso brillante e le portò con sé a Trinidad; più tardi si scoprì che si trattava di un ibrido tra B. glabra e B. peruviana; battezzata in onore della fortunata scopritrice B. x buttiana, costituisce il più importante gruppo di ibridi, che oggi si contano a centinaia. Dall'incrocio con B. spectabilis sono invece originati gli ibridi B. x specto-glabra e B. x specto-peruviana. Oggi la scelta di colori, portamento, rusticità, resistenza è davvero vastissima. Qualche approfondimento nella scheda. William Dampier è considerato il navigatore britannico più importante tra Francis Drake e James Cook. Vanta una lunga serie di primati: è stato il primo britannico a fare tre volte il giro del mondo, il primo a descrivere un uragano, le tartarughe delle Galapagos e l'albero del pane, il primo a guidare una spedizione scientifica ufficiale per conto della Royal Navy, il primo a raccogliere piante australiane... Le sue avventure hanno ispirato Swift e Defoe, le sue scoperte idrografiche hanno guidato Cook, le sue osservazioni sulle Galapagos sono state preziose per Darwin. Eppure Dampier non era né un ufficiale né un gentiluomo: a dirla tutta, era un pirata, o se preferite un bucaniere, un fratello della costa. Come naturalista, era autodidatta, ma non gli mancavano occhi acuti, attenzione ai particolari e capacità di collegare i fenomeni. A ricordare questo singolare personaggio è molto opportunamente il genere endemico australiano Dampiera. Avventure attraverso i sette mari Dopo tanti naturalisti vessati da un comandante più interessato alla navigazione che alle piante, ecco un capitano che rischia l'ammutinamento della ciurma per la sua passione per la botanica. Non è la maggiore stranezza di questo singolare personaggio. In diversi momenti della sua vita, William Dampier fu marinaio, mercante, piantatore, taglialegna, avventuriero, scrittore di successo, esploratore, navigatore e corsaro. Ovunque, e sotto ogni veste, fu un grande osservatore di ogni aspetto della natura, anche se il suo amore principale andava alle piante. Come scrive la giornalista M.S. Douglas: "Era un uomo con un gran naso, magro, tranquillo, dall'occhio acuto, un eccellente navigatore, uno scienziato attento ed accurato. Ed era anche un pirata". Non in senso metaforico: per almeno dieci anni fu un bucaniere, uno dei famigerati pirati dei Caraibi. Nato in un villaggio del Somerset in una famiglia contadina, alla scuola pubblica aveva acquisito almeno le basi del latino e della matematica, ma era rimasto orfano presto e si era innamorato del mare. A diciotto anni, la sua prima navigazione lo portò a Terranova, la seconda a Giava. Nel 1673 combatté brevemente nella terza guerra anglo-olandese. Nel 1674 arrivò nei Caraibi, come aiutante in una piantagione di zucchero in Giamaica. Dopo qualche mese lo ritroviamo a Port Royal, il principale porto dell'isola, all'epoca conosciuto come "la città più ricca e malfamata del mondo". Era anche una delle basi dei bucanieri, le cui incursioni contro le città e le navi spagnole erano più che tollerate dai britannici. Oltre alla pirateria, questi irregolari praticavano il contrabbando e altre attività più o meno legali, tra cui il taglio e il commercio del legno di campeggio, Haematoxylum campechianum, apprezzato materiale tintorio di cui gli spagnoli cercavano inutilmente di preservare il monopolio. Dampier sperò di fare fortuna con questa attività e si trasferì nella Baia di Campeche, ma, quando il campo dei boscaioli fu spazzato via da un uragano, si trasformò in pirata e probabilmente partecipò a incursioni ai danni degli spagnoli, abbastanza fruttuose da consentirgli nel 1678 di ritornare in Inghilterra, dove acquistò una piccola proprietà e si sposò. Già affascinato dalla esuberante natura tropicale in Giamaica, fu probabilmente in Campeche che Dampier iniziò a mettere per iscritto le sue osservazioni; le scriveva su fogli sparsi, che poi preservava dagli insetti e dall'umidità conservandoli in una canna di bambù chiusa alle due estremità con della cera. La permanenza in patria durò pochi mesi. Nel 1679 Dampier era di ritorno a Port Royal, dove entrò a far parte della ciurma del pirata Bartholomew Sharp. Da questo momento, divenne un pirata in servizio permanente effettivo e, a bordo di varie navi e sotto il comando di diversi famigerati comandanti, partecipò alla cattura di navi e alla devastazione di insediamenti spagnoli nei Caraibi, nello stretto di Panama, lunga la costa del Perù; durante un'incursione la nave su cui era imbarcato arrivò persino in Africa, per poi doppiare Capo Horn e passare dalle Galapagos, dove il nostro pirata-naturalista fu affascinato dallo strano aspetto ( e dall'ottimo gusto) delle tartarughe giganti. Anche se più tardi proclamerà che a spingerlo non era l'avidità di ricchezza, ma il desiderio di conoscere il mondo, in queste imprese non fu meno violento e sanguinario dei suoi compagni. Tuttavia, ovunque andasse, non mancava mai di esercitare il suo spirito di osservazione, e di prendere nota di ciò che osservava. Visse la sua avventura più lunga e straordinaria a bordo della Cygnet, comandata da Charles Swan. Nel 1684, nella speranza di catturare i galeoni che trasportavano oro e merci preziose dalle Filippine, quest'ultimo, a quanto pare spalleggiato da Dampier, decise di attraversare il Pacifico dal Messico alle Indie orientali, come era chiamato all'epoca l'arcipelago malese. Durante la traversata, la fame si fece sentire, tanto che i marinai erano sul punto di ammutinarsi e di cibarsi dei due colpevoli: il capitano e Dampier. Swan fece notare che, se da lui qualcosa si poteva ricavare, il magro Dampier era poco appetibile. Per fortuna, prima di mettere in atto i loro propositi cannibalici, approdarono a Guam, dove trovarono cibo abbondante, in particolare i frutti dell'albero del pane Atrocarpus spp. (Dampier sarà il primo europeo a descriverlo). Abbandonato Swan al suo destino a Mindanao, sotto il comando di John Reed la navigazione proseguì verso il mar della Cina, toccando il delta del Mekong e Canton. Qui decisero di invertire la rotta e di raggiungere l'India attraverso le Filippine e l'arcipelago malese. Dopo aver raggiunto Timor, deviarono verso sud e il 5 gennaio 1688 gettarono l'ancora a Karakatta Bay, nell'attuale Australia nord-occidentale (all'epoca si chiamava Nuova Olanda). Anche se diversi navigatori olandesi ne avevano variamente esplorato le coste, era un territorio largamente sconosciuto, tanto che si ignorava se fosse un insieme di isole o un continente a parte. La Cygnet doveva essere raddobbata e la sosta dei pirati si protrasse per diverse settimane; Dampier ne approfittò per esplorare l'interno di quella che, in suo onore, oggi si chiama penisola Dampier. Quindi la navigazione riprese attraverso l'Oceano indiano; insieme a due compagni, il pirata naturalista fu abbandonato in una delle isole Nicobare. I tre riuscirono a riadattare una canoa, con la quale realizzarono l'incredibile impresa di attraversare l'oceano indiano in tempesta, raggiungendo l'emporio inglese di Acieh nell'isola di Sumatra. Dopo altre avventure, che lo portarono anche in Vietnam e in Malacca, Dampier poté infine tornare in Inghilterra solo nel 1691. Aveva completato il suo primo giro del mondo. Un best seller e una spedizione scientifica Dampier era senza un soldo, ma aveva due risorse preziose: un schiavo tatuato filippino, che aveva acquistato a Sumatra, e il suo diario di viaggio. Dello sfortunato filippino, dopo averlo esibito come curiosità esotica, si disfece presto, rivendendolo al proprietario di una locanda; il diario si trasformò in uno fortunato bestseller, New Voyage Round the World , uscito nel 1697; nell'arco di due anni raggiunse quattro edizioni e nel 1699 fu seguito da un secondo volume. Se il largo pubblico era affascinato dalle avventure su sfondi esotici, furono invece le precise e oggettive informazioni di Dampier su popoli e risorse, idrografia e meteorologia, flora e fauna ad attirare l'attenzione di mercanti, politici e naturalisti. Dampier dedicò accortamente il libro a Charles Montague, presidente della Royal Society, che lo introdusse presso altri studiosi, in particolare Hans Sloane e John Woodward; inoltre lo presentò al primo lord dell'Ammiragliato, lord Oxford. Grazie a questi potenti sostegni, Dampier riuscì a far approvare quella che a tutti gli effetti possiamo considerare la prima spedizione scientifica finanziata dalla Royal Navy. Fu così che il 14 gennaio 1699 partì per il suo secondo giro del mondo, non più come marinaio semplice di una nave pirata, ma come capitano della nave di sua maestà Roebuck; il suo compito era raggiungere la Nuova Olanda, se possibile circumnavigarla ed esplorarne le potenzialità economiche e scientifiche. Era il comandante, ma anche il naturalista di bordo (un'accoppiata rara nella storia della scienza); l'amico Woodward, che nel 1796 aveva pubblicato per la Royal Society un opuscolo sull'argomento, lo aveva istruito sul corretto modo per raccogliere e conservare gli esemplari. Inoltre l'ammiragliato gli aveva messo a disposizione un abile artista (non tanto abile, a giudicare dai risultati) per disegnare piante e animali. Vista la stagione avanzata, la Roebuck avrebbe dovuto seguire la rotta del Capo di Buona Speranza, ma giunto all'arcipelago di Capo Verde, Dampier decise altrimenti. Si era reso conto che i marinai non avevano alcuna esperienza di navigazione oceanica e era ormai in aperto contrasto con il suo secondo George Fisher; lo fece vergare e mettere ai ferri, quindi puntò verso la costa brasiliana. Il 23 marzo raggiunse Bahia; Fisher fu sbarcato e incarcerato, in attesa di essere rimpatriato e processato. Mentre la nave veniva rifornita di viveri ed acqua, il comandante ne approfittò per andare ad erborizzare quasi ogni giorno in quella natura esuberante. Meno contenti erano i marinai, confinati a bordo; temendo un ammutinamento o una denuncia all'Inquisizione, il 23 aprile Dampier fece levare l'ancora. Ripresa la rotta iniziale, doppiò il Capo di Buona Speranza e raggiunse la costa australiana all'inizio di agosto, gettando l'ancora in una baia così ricca di squali che la battezzò Shark Bay (si chiama ancora così); prosegui poi verso nord visitando un'isola di quello che oggi si chiama Arcipelago Dampier, che chiamò Rosemary Island per l'abbondanza di una pianta dai fiori azzurri che gli ricordava il rosmarino (in realtà Olearia axillaris); in mezzo a piante di tanti colori, tra cui prevaleva l'azzurro, spiccava il rosso di una specie di fagiolo rampicante. Questa pianta davvero magnifica, dopo aver portato per qualche tempo il nome Clianthus dampieri, oggi si chiama Swainsonia formosa. Infine visitò per poche ore la Lagrange Bay dove raccolse esemplari di piante e conchiglie, mentre l'anonimo disegnatore ritraeva uccelli ed altri animali. Quel paese arido e privo di risorse, abitato da quella che Dampier giudicò "la popolazione più miserabile del mondo" era però deludente; le provviste scarseggiavano, la ciurma era sempre più incontrollabile e lo scafo in pessime condizioni. Anziché proseguire la navigazione verso est lungo la costa australiana, Dampier decise di tornare indietro e di dirigersi a Batavia, passando da Timor e dalla Nuova Guinea; a Batavia vennero effettuate alcune riparazioni che consentirono di riprendere il viaggio, doppiando il Capo di Buona Speranza alla fine di dicembre. Alla fine di febbraio la Roebuck naufragò al largo dell'isola di Ascension per una falla nella chiglia; l'equipaggio riuscì a salvarsi, recuperando pochi oggetti, tra cui il diario di Dampier e gli esemplari botanici raccolti in Brasile, Nuova Olanda e Nuova Guinea. Dopo un mese di stenti, i naufraghi furono raccolti da una nave della Compagnia delle Indie e rientrarono in Inghilterra ad agosto. Anche questa avventura divenne un libro, A Voyage to New Holland (1703). Dampier dovette affrontare la corte marziale, che lo assolse per il naufragio del Roebuck, ma lo condannò per abuso di potere e crudeltà nei confronti di Fisher, che fu invece totalmente scagionato. Nonostante ciò, Dampier rimaneva un personaggio così popolare da essere ricevuto dalla regina Anna e da ricevere il comando di una spedizione corsara ai danni del vicereame del Perù, con magri risultati. Di grande successo, ma non per merito suo, fu invece la spedizione corsara comandata da Woodes Rogers, durante la quale, nelle vesti di timoniere, Dampier fece il suo terzo giro del mondo. Alla scoperta della flora australiana Non basterebbe un romanzo per raccontare una vita tanto avventurosa (una sintesi nella sezione biografie); e infatti alle sue vicende si ispirarono tanto Swift, che nei Viaggi di Gulliver lo fa definire dal suo protagonista "mio cugino Dampier", quanto Defoe, che ha in parte modellato su di lui il giovane Robinson e il Capitano Singleton. Soffermiamoci qui sui suoi meriti scientifici. Dampier era un naturalista autodidatta, ma era dotato di una grande capacità di osservare e di confrontare i fenomeni, che descriveva con rara precisione e oggettività. Dalla brutta avventura in Campeche trasse la prima descrizione di un uragano tropicale, di cui poi rilevò le affinità con i tifoni del mar della Cina. Di estrema importanza il suo studio sugli alisei, le brezze, i venti stagionali, le maree e le correnti dei mari tropicali, pubblicato in appendice al secondo volume di New Voyage e divenuto un classico dell'idrografia e della meteorologia, apprezzatissimo tra gli altri da Cook e da Nelson. I suoi libri contengono osservazioni di prima mano e solitamente prive di pregiudizi sui popoli visitati (con la parziale eccezione degli aborigeni australiani, tratteggiati brevemente con poche frasi liquidatorie); di particolare interesse le pagine dedicate ai Chamorro, la popolazione indigena di Guam che ancora resisteva agli spagnoli che avevano occupato l'isola appena due anni prima. Dell'isola Dampier descrive anche con precisione le risorse naturali e i metodi di coltivazione, manifestando apprezzamento per i frutti dell'albero del pane. Osservò anche gli infiniti usi della palma da cocco presso i popoli del Pacifico, che a suo parere avrebbero dovuto essere imitati nelle Antille, dove la pianta era presente ma poco sfruttata. I due volumi di New Voyage Round the World contengono molte informazioni sulla flora e sulla fauna dell'America e del Pacifico. Contrariamente ai suoi contemporanei, che ritenevano la cocciniglia il seme di qualche pianta, la descrisse correttamente come un tipo di insetto, vari anni prima che Leewenhoek la identificasse come tale osservandola al microscopio. Le sue osservazioni sulle tartarughe e sulle iguana della Galapagos sono così attente e penetranti da fare da guida a Darwin, che aveva una copia di New Voyage nella sua biblioteca di bordo sul Beagle. Ovviamente, per i botanici le pagine più importanti sono quelle dedicate alla flora australiana. Durante il primo viaggio, Dampier ebbe modo di esplorare abbastanza a fondo la penisola che oggi porta il suo nome; anche se all'epoca non aveva ancora appreso le tecniche di raccolta e conservazione, le sue descrizioni sono così accurate da permettere quasi sempre di identificare piante ed animali. Le soste australiane del secondo viaggio, come abbiamo visto, furono molto brevi, ma Dampier questa volta raccolse un certo numero di esemplari botanici e poté giovarsi di un disegnatore, che ritrasse soprattutto uccelli e forse piante (quest'ultime potrebbero essere state disegnate più tardi sulla base degli exsiccata). Le piante raccolte e descritte sono circa una quarantina (cui vanno aggiunti esemplari raccolti in Brasile e Nuova Guinea); come gli aveva insegnato Woodwart, Dampier le pressò accuratamente tra le pagine di pesanti volumi e riuscì a salvarle dal naufragio. Al suo ritorno in Inghilterra, probabilmente le affidò a Woodward che a sua volta le passò all'amico John Ray; fu così che in appendice al terzo volume di Historia plantarum compare la descrizione di diciassette piante raccolte da Dampier (undici in Australia, quattro in Brasile, due in Nuova Guinea e una a Timor); probabilmente a scriverla fu Woodward. Altri esemplari furono prestati a Plukenet, che ne descrisse sette in Amaltheum botanicum. Più tardi Woodward cedette il piccolo erbario a Sherard; in tal modo entrò a fare parte dell'erbario dell'Università di Oxford, dove ancora si conservano 26 esemplari. Inoltre, in A Voyage to New Holland compaiono la descrizione e i disegni al tratto di 18 piante, nove delle quali australiane. Piante azzurre dal nuovissimo mondo Oltre alle già citate Olearia axillaris e Swainsonia formosa, tra le piante australiane raccolte o descritte da Dampier figurano Solanum orbiculatum, Beaufortia sprengeliodes (precedentemente B. dampieri), Paractaenum novaehollandiae, Crotalaria cunninghamii, Canavalia rosea, Abrus precatorius. Una delle piante conservate nell'erbario di Oxford, un arbusto dai fiori azzurri presumibilmente raccolto a Rosemary Island, rimase inedito e fu pubblicata nel 1810 da Robert Brown in Prodromus florae Novae Hollandiae come Dampiera incana. La dedica testimonia della fama che Dampier conservava ancora a inizio Ottocento: "L'ho chiamata Dampiera in memoria di William Dampier, capitano di marina ed esploratore celeberrimo, in tutti i suoi vari viaggi sempre assiduo osservatore della natura senza trascurare la botanica; visitò due volte la costa occidentale della Nuova Olanda e ha lasciato la descrizione di alcune piante di questa regione nella sua relazione di viaggio". Dampiera, della famiglia Goodeniaceae, è un genere endemico dell'Australia dove è presente in tutti gli stati, con centro di diversità negli stati occidentali, dove vive circa la metà delle 66 specie riconosciute. Sono erbacee perenni o piccoli arbusti con fiori asimmetrici azzurri o viola con gola gialla. In alcune zone dell'Australia occidentale, insieme alle loro parenti Scaevola, sono piante dominanti delle brughiere costiere; altre specie vivono invece in montagna. Poiché, come molte piante australiane, le diverse specie si sono evolute adattandosi a specifiche caratteristiche di suolo, esposizione, drenaggio ed è difficile farle prosperare in condizioni differenti, solo alcune sono entrate in coltivazione, in particolare quelle a portamento tappezzante. Tra di esse, D. linearis, una coprisuolo pollonante che cresce abbastanza rapidamente in qualsiasi suolo ben drenato e produce meravigliosi fiori blu elettrico; D. diversifolia, una perenne prostrata tappezzante che tollera condizioni diverse e in estate produce fiori blu scuro; D. purpurea, originaria del sottobosco delle foreste di eucalipti dell'Australia orientale, con foglie tomentose e fiori da lavanda a viola scuro. Altre informazioni nella scheda. La Missione geodetica nel Vicereame del Perù è correntemente nota come "Missione La Condamine". Eppure il matematico, geografo, avventuriero Charles Marie de La Condamine non ne era né l'ideatore né il capo designato (ruoli che spettano piuttosto a Godin); anzi, dei tre accademici era probabilmente il meno qualificato: come matematico era inferiore a Bouguer, come astronomo era appena un apprendista se paragonato a Godin. Furono piuttosto la sua abilità di scrittore e il suo fantastico viaggio di ritorno, che lo vide - primo scienziato a farlo - discendere il corso del Rio delle Amazzoni, a trasformarlo nel protagonista assoluto di un'impresa di cui in precedenza era stato solo uno dei tanti attori. Anche per quanto riguarda la botanica, egli strappò a Joseph de Jussieu il primato che gli sarebbe spettato di diritto, offrendo al mondo accademico la prima descrizione della misteriosa e ricercatissima Cinchona, l'albero da cui si ricavava il "cortice peruviano", ovvero la corteccia di china. Durante la discesa del Rio delle Amazzoni, poté inoltre osservare il modo in cui gli indigeni si servivano del curaro e del lattice dell'albero della gomma, Hevea brasiliensis. Grande osservatore, ha lasciato una testimonianza preziosissima (anche se spesso non benevola) della vita delle comunità indie dell'Amazzonia. Se non avesse letto le sue pagine affascinanti forse Humboldt non avrebbe mai deciso di partire per il Sud America. Insomma, ce n'è abbastanza per guadagnargli la dedica di un genere botanico, Condaminea, che de Candolle scelse proprio per la sua affinità con Cinchona, di cui La Condamine fu il primo descrittore. La "scoperta" dell'albero della china Dei tre accademici inviati in Ecuador a misurare il meridiano, Charles Marie de La Condamine era di sicuro il meno "accademico" e il più avventuroso. Figlio di un facoltoso ricevitore delle imposte, era stato per qualche anno militare; insofferente della disciplina, aveva poi deciso di dedicare la propria vita alla scienza, studiando molte materie diverse, dalla matematica alla chimica, dalla meccanica alla fisica. Aveva anche dimostrato un notevole fiuto per gli affari; nel 1729, a capo di una cordata di cui faceva parte anche Voltaire, applicando il calcolo delle probabilità era riuscito ad arricchire se stesso e l'amico philosophe sfruttando le falle di una lotteria indetta dal ministero delle finanze per incentivare l'acquisto delle obbligazioni municipali parigine. Ma la vita sedentaria non era fatta per La Condamine, che nel 1731 si unì alla squadra dell'ex corsaro Dugay Trouin inviata ad ispezionare gli scali del Mediterraneo. Poté così visitare Algeri, Tripoli, Tunisi, Alessandria d'Egitto, la Terra santa, Cipro, Rodi e le isole del Dodecaneso, per poi fermarsi tre mesi a Costantinopoli. Durante il viaggio, tenne un diario, rimasto inedito, e raccolse osservazioni geografiche, matematiche e fisiche che al suo ritorno, presentate all'Accademia delle scienze, gli guadagnarono l'ammissione alla prestigiosa istituzione. Fu dunque in qualità di accademico e viaggiatore già riconosciuto che poté partecipare alla spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. E' stato osservato che, studioso eclettico com'era, era un matematico meno preparato di Bouguer, e un astronomo poco più che dilettante, rispetto allo specialista Godin. Eppure è certo che senza di lui la spedizione sarebbe fallita sul nascere. Furono infatti le sue doti di uomo di mondo e la sua abilità finanzia a salvarla ripetutamente dal disastro, sia sostenendo i suoi compagni con prestiti a fondo perduto (l'affare della lotteria l'aveva reso milionario) sia negoziando prestiti e trovando crediti presso la corona spagnola e finanziatori privati. Divenne così abituale, quando la spedizione si arenava per mancanza di fondi, inviare La Condamine fino a Lima a raggranellare quattrini. Fu proprio durante uno di questi viaggi che egli fece la "scoperta" (come vedremo, il termine è piuttosto improprio) destinata a farlo entrare nella storia della botanica. Tra gli obiettivi secondari della missione c'era anche quello di sapere qualcosa di più sulla misteriosa "corteccia dei gesuiti" (in Italia la chiamavano anche "cortice peruviano"), unico rimedio veramente efficace contro la malaria. In Europa arrivava sotto forma di frammenti di corteccia, importati dal Perù, prima grazie ai Gesuiti poi all'impero spagnolo, che ne difendeva strenuamente il monopolio, mantenendo il segreto sull'origine di quel farmaco miracoloso. Appena giunto in Ecuador, Joseph de Jussieu si era dato da fare per raccogliere tutte le informazioni disponibili ed era riuscito a scoprire che la corteccia proveniva da alberi delle foreste della regione intorno a Loja. Non aveva però ancora potuto andare a verificare di persona; in attesa di farlo, aveva mandato in avanscoperta La Condamine che nel 1737, sulla strada per Lima, fece una deviazione per Loja munito delle sue indicazioni. Sul posto seppe che la migliore "cascarilla" (questo era il nome spagnolo della droga) si raccoglieva a circa due miglia dalla cittadina, sul monte Cajanuma; vi si trasferì immediatamente e trascorse la notte del 3 febbraio ospite di uno dei più abili raccoglitori e commercianti, che il mattino dopo lo condusse nella foresta dove poté infine vedere qualche esemplare del misterioso albero, disegnarne un ramo e raccogliere semi, fiori e foglie. Gli indigeni lo chiamavano quinaquina ("corteccia delle cortecce") e ne distinguevano tre qualità, in base al colore del tronco sotto la corteccia: rossa, la migliore e più potente, gialla e bianca. Al suo rientro a Quito, La Condamine si affrettò a scrivere le sue osservazioni in una memoria per l'Accademia delle scienze, in cui, dopo aver esposto la storia degli usi della corteccia di china, ne descrisse i tre tipi, nonché le modalità di raccolta e di conservazione praticati dagli indios. Spedita in Europa, fu letta in una seduta dell'Accademia parigina nel 1740. Pochi mesi dopo il viaggio di La Condamine, insieme al medico Siniergues e al disegnatore Morainville Jussieu poté infine visitare egli stesso l'area di Loja, studiando le piante di china in modo molto più approfondito e sistematico; ma poiché la sua memoria Description de l'arbre à quinquina rimase inedita, a far conoscere la vera identità dell'albero alla scienza europea fu La Condamine. Fu sulla base della sua descrizione (nonché degli esemplari essiccati che avrebbe portato con sé in Europa) che Linneo creò il genere Cinchona. Come abbiamo già visto in questo post, la spedizione fu funestata da vari incidenti e soprattutto dalla rivalità tra i tre accademici che la dirigevano, Godin, Bouguer e La Condamine. Per qualche tempo gli ultimi due si coalizzarono contro Godin e lavorarono insieme, ma, quando nel 1741 Bouguer scoprì un piccolo errore nei loro calcoli, tra di loro scoppiò una lite così violenta che da quel giorno si tolsero la parola, continuando a lavorare ognuno per conto proprio. Nella primavera del 1743, quando La Condamine venne a sapere che l'ex amico si accingeva a tornare in Europa per la via più breve, decise che la sua strada sarebbe stata un'altra: avrebbe attraversato il continente e raggiunto l'Atlantico discendendo il Rio delle Amazzoni. Lungo la corrente del grande fiume A spingerlo a questa decisione furono diversi fattori: la consapevolezza che la Missione, cui pure aveva dedicato otto anni della sua vita, non gli avrebbe assicurato alcuna gloria, visto che la questione della forma della Terra era già stata risolta e liquidata dalla spedizione in Lapponia di Maupertuis; il suo carattere avventuroso e il fascino esercitato anche su questo razionale figlio dei Lumi dalle leggende nate attorno al grande fiume, sulle cui rive si favoleggiava si trovasse il mitico Eldorado e vivessero tribù di amazzoni guerriere; ma l'elemento determinante fu l'amicizia con l'uomo politico e scienziato Pedro Vicente Maldonado (1704-48), che rendeva quell'impresa, se non facile, almeno fattibile. Membro di una delle più illustri famiglie del Vicereame, proprietaria di estesi latifondi nella Sierra centrale dell'Ecuador, Maldonando era un sagace amministratore, un esploratore e uno studioso autodidatta della natura del suo paese. Quando la spedizione geodetica arrivò in Perù, era impegnato nella costruzione di una strada che avrebbe dovuto collegare l'Audienca di Quito con Panama, attraversando le impenetrabili foreste della provincia di Esmeraldas. Fu proprio qui che lo incontrò La Condamine al suo arrivo in Ecuador, mentre dalla costa si spostava a Quito. Tra i due, uniti dall'amore per la scienza e dallo spirito avventuroso, iniziò una grande amicizia. Maldonado, che dal 1742 divenne anche governatore di Esmeraldas, collaborò in molti modi con la Missione geodetica, fornendo appoggio logistico e aiuti finanziari; insieme a La Condamine, redasse una importante Mappa della regione di Quito. Fu forse lui a proporre al geografo francese di raggiungere la costa atlantica scendendo il corso del Rio delle Amazzoni; anni prima aveva già visitato la regione di Maynas, da cui si accedeva al grande fiume, e sapeva che durante il viaggio avrebbero potuto trovare ospitalità nelle missioni gesuite disseminate lungo il suo corso. Da tempo sognava di andare in Europa, dove l'amicizia con La Condamine gli avrebbe aperto le porte delle società scientifiche. Il grande viaggio iniziò nel maggio 1743. Il primo a muoversi fu Maldonado; partito da Baños, scese lungo il Pastaza, un tributario del fiume Marañón che attraversava la regione di Maynas che egli aveva già visitato in passato. A giugno arrivò a La Laguna, il principale centro delle missioni di Maynas, dove, in attesa dell'arrivo di La Condamine, si dedicò a osservazioni naturalistiche, raccogliendo tra l'altro per l'amico esemplari dell'albero di cannella (come abbiamo già visto parlando di Joseph di Jussieu, non si tratta della vera cannella, Cinnamomum verum, ma di un'altra Lauracea utilizzata come succedaneo, Ocotea quixos). Negli stessi giorni, La Condamine lasciò Tarqui, ma prima di unirsi all'amico volle visitare le miniere di Zaruma e soprattutto tornare a Loja, dove si procurò alcune pianticelle e moltissimi semi di Cinchona; la sua intenzione era portarli con sé in Francia, per rompere il monopolio iberico con una vera e propria operazione di contrabbando. Per raggiungere il bacino del Rio delle Amazzoni aveva deciso di scendere lungo il Marañón, ma prima dovette affrontare un cammino difficile, funestato dalla pioggia incessante, tra selve impenetrabili e torrenti troppo impetuosi per consentire la navigazione; mentre ne guadava uno, una delle mule, carica dei suoi strumenti e degli appunti, finì in acqua, rischiando di fargli perdere tutto. Giunto all'altezza di Jaen, poté infine imbarcarsi sul Marañón con le sue guide: lo attendeva il difficile Pongo de Manseriche, una gola lunga circa cinque chilometri, dove l'alveo del fiume si restringe da 450 metri a poco più di 40 e la navigazione è resa insidiosa dalle pareti a strapiombo e dai gorghi. La zattera su cui era imbarcato rischiò di essere sommersa insieme a tutte le raccolte. Ma La Condamine aveva già imparato come difenderle dall'umidità: ancora in Ecuador, era stato colpito dagli oggetti di caucciù fabbricati dagli indigeni e dalle sue guide imparò a creare involucri di stoffa resi impermeabili immergendoli nel lattice. Superata la terribile gola, prese terra a Borja dove fu ospitato dal padre gesuita Maguin che gli diede una carta della regione e si offrì di accompagnarlo fino alla missione di La Laguna, dove era fissato l'appuntamento con Maldonado. Dopo sei settimane di separazione, finalmente i due amici si ricongiunsero, La navigazione lungo la corrente del rio delle Amazzoni iniziò il 23 luglio. Imbarcati con i vogatori che su davano il cambio e remavano giorno e notte in due grandi canoe, ciascuna formata da un unico tronco, poterono ora navigare in relativa sicurezza, dedicando tutto il loro tempo alle osservazioni scientifiche; La Condamine si occupò soprattutto di mappare e misurare il fiume, mentre Maldonado osservava e catalogava piante e animali, stupefatto per la loro abbondanza e varietà. Anche i costumi delle tribù che vivevano lungo il fiume non mancarono di attirare l'attenzione del sempre curioso La Condamine: alla confluenza tra il Marañón e l'Ucayali, dove inizia convenzionalmente il Rio delle Amazzoni, incontrarono la tribù degli Omagua che coltivavano una pianta dai semi allucinogeni e usavano porre le teste dei neonati tra pezzi di legno per arrotondarle. Alla confluenza con il Napo, dove arrivarono l'ultimo giorno di luglio, i due osservarono l'emersione del primo satellite di Giove e determinarono la latitudine esatta della località, mettendo finalmente a frutto il pesante telescopio che il francese aveva trascinato con sé per centinaia di chilometri tra fiumi e montagne. Dopo una sosta nella missione di Pebas, per tre giorni attraversarono un'area quasi disabitata finché arrivarono alla missione carmelitana di Sao Paulo, già in territorio portoghese. Qui furono stupiti dal trovare edifici in pietra e mattoni, e dal notare vestiti di stoffa inglese e oggetti importati come forbici, coltelli, specchi, pettini, che arrivavano dalla foce del fiume in cambio del cacao. Grande osservatore, uomo di ampie letture e di molteplici interessi, La Condamine si informava di tutto, misurava tutto e tutto annotava. La sua testimonianza sui costumi delle tribù indie è particolarmente preziosa, perché presto sarebbero state cancellate o assimilate. Già allora egli notò che le loro lingue erano in regresso di fronte all'avanzare del portoghese, mentre, come abbiamo già visto, nuovi oggetti e nuove abitudini soppiantavano i modi di vita tradizionali. Si informò accuratamente su come gli indios preparavano e usavano il curaro e come ne combattevano gli effetti, nonché sull'impiego del lattice di Hevea brasiliensis per confezionare oggetti di gomma. Egli pensava si trattasse della stessa pianta usata anche in Perù; in realtà gli indios peruviani ricavavano il lattice da Castilla elastica. Mano a mano che i viaggiatori scendevano lungo il fiume e incontravano un tributario dietro l'altro, l'alveo si faceva sempre più ampio. Quando giunsero dove il Rio Negro si getta nel Rio delle Amazzoni, La Condamine poté osservare il flusso di marea che dall'Atlantico risale il fiume, benché alla foce manchino ancora più di 1000 km. Il comandante del forte portoghese li accolse amichevolmente e li accompagnò per un tratto. Qui, dove il fiume è così largo che è impossibile scorgerne le rive, La Condamine notò sprezzantemente che l'abbondanza di pesci dovuta al riflusso della corrente "sembra aver favorito la naturale propensione degli indiani alla pigrizia". Verso i "selvaggi" non aveva certo un atteggiamento rousseauiano: li considerava poco più che bestie, dei gran pelandroni che approfittavano della generosità della natura per darsi da fare il meno possibile, nonché degli imprevidenti ghiottoni che si abbandonavano alle orge quando c'era abbondanza di cibo e facevano la fame quando non ce n'era. Non capiva che, in quel clima e in quelle condizioni, era impossibile fare e conservare scorte. Il 19 settembre Maldonado e La Condamine raggiunsero Gran Parà (oggi Belem): dopo quattro mesi di navigazione il grande viaggio era finito e i due si divisero: Maldonado decise di imbarcarsi immediatamente per la Spagna, dove intendeva far stampare la sua relazione sulla provincia di Esmeraldas. La Condamine si trattenne ancora a Gran Parà, dove fece esperimenti sul curaro e sui suoi antidoti. Era deciso a raggiungere il lembo estremo della foce: fu così che a bordo di un'altra canoa esplorò l'isola Marajó e raggiunse la piana di Macapà; misurandone la latitudine di 3 gradi nord, osservò con una certa ironia che sarebbe stata una sede perfetta per la missione geodetica dell'Accademia delle Scienze, ben più facile da raggiungere degli altopiani dell'Ecuador. Altri due mesi di canoa, dedicati a studiare le numerose bocche del Rio delle Amazzoni, lo portarono infine a Cayenne (Guyana francese), dove dovette aspettare ancora sei mesi una nave diretta in Francia; occupò il tempo facendo esperimenti sul curaro, sul lattice dell'albero della gomma e cercando di moltiplicare la Cinchona di cui distribuì il maggior numero possibile di semi. Quando infine partì per l'Europa, imbarcò anche numerosi virgulti, ma nessuno sopravvisse al viaggio. Era di nuovo a casa nel febbraio 1745, dopo dieci anni di assenza. A Parigi la sua vita sarebbe stata ancora lunga: a parte una sterile e virulenta polemica con Bouguer, occupò il suo tempo a viaggiare (fu in Italia e in Inghilterra), a intrattenere una formidabile corrispondenza, a battersi per l'inoculazione del vaiolo, che in gioventù gli aveva deturpato il volto, a propagandare la creazione di una misura universale (è la prima idea del metro); ma soprattutto a raccontare e divulgare la sua grande avventura di esploratore del Sud America. La sua Relation abrégée d'un voyage fait dans l'intérieur de l'Amérique méridionale, letta a un'assemblea dell'Accademia delle Scienze nel 1745, e soprattutto Journal du voyage fait par ordre du roi, à l'Equateur divennero due classici della narrativa di viaggi e influenzarono il modo in cui l'Europa per decenni vide il Sud America, ispirando anche il viaggio di Humboldt. Anche se la sua grande avventura aveva minato seriamente la sua salute, privandolo dell'uso di una gamba e rendendolo sordo, non perse mai la sua curiosità e il suo spirito combattivo: era consueto vederlo nei salotti e alle sedute dell'Accademia, appoggiato a un pesante bastone e con il cornetto acustico all'orecchio; anche quando, nel 1763, fu colpito dalla paralisi, continuò a studiare e a scrivere, collaborando anche all'Encyclopédie. Morì ultrasettantenne nel 1774. Una sintesi della vita nella sezione biografie. La poco nota Condaminea Anche se La Condamine non riuscì a far arrivare in Francia neppure una pianticella di Cinchona, come abbiamo già visto fu sulla base della sua descrizione che Linneo creò il genere. Bonpland, che seguì le orme del grande viaggiatore francese insieme all'amico Humboldt, ne battezzò addirittura una specie C. condaminea (oggi considerato un semplice sinonimo del linneano C. officinalis). A fare entrare il nostro poliedrico esploratore nella galleria dei dedicatari di generi botanici provvide però de Candolle nel 1830 in Prodromus Systematis Naturalis Regni Vegetabilis, dedicandogli Condaminea. La ragione è semplice: si tratta di una Rubiacea affine a Cinchona, e il botanico svizzero volle ricordarlo come "esploratore del Perù e primo descrittore di Cinchona". A questo piccolo genere distribuito tra Centro America e Brasile sudorientale sono attribuite quattro specie. La più nota è probabilmente C. corymbosa, un alberetto o un arbusto molto ramificato con grandi foglie cerose dalla consistenza coriacea e vistosi corimbi di fiori bianchi a imbuto con petali retroflessi, relativamente frequente nei terreni disturbati delle pendici andine, dove è una pianta antifrana utile per consolidare e trattenere il terreno. La parentela di Condominea con Cinchona è per altro molto meno stretta di quanto pensasse de Candolle: appartengono sì alla stessa famiglia, ma a tribù e sottofamiglie diverse; inoltre le specie di questo genere non risultano avere proprietà officinali. La dedica rimane però azzeccata, visto che il centro di diversità è la foresta pluviale amazzonica del Perù, che il nostro percorse tra mille difficoltà per raggiungere il Marañón. Un elenco delle specie e qualche notizia in più nella scheda. E' una vita sempre in viaggio quella di Vitaliano Donati, nato a Padova e morto in mare prima di toccare le sponde dell'India. Studioso eclettico e poliedrico, con interessi che spaziavano dalla fisica alla mineralogia alla botanica all'archeologia, oltre ad essere stato il secondo curatore dell'Orto botanico di Torino, gli si deve il primo nucleo di quello che diventerà il Museo egizio di quella città. Nel campo delle scienze naturali, nel suo importante trattato sulla storia naturale dell'Adriatico, fu tra i primi a postulare che i coralli non sono piante, come generalmente si credeva, ma animali. Nelle numerose spezioni che costellano la sua carriera di scienziato ricercatore, unì la capacità di analizzare l'ambiente naturale in modo scientifico e integrato con un'originalità di pensiero che ne fece un innovatore. Due generi lo ricordano: Vitaliana Sisler, oggi - ma dopo molte discussioni - non più valido, e Donatia Forster. In comune l'appartenenza alle piante "a pulvino", capaci di vivere in habitat estremi formando densi cuscinetti di fusticini a raggiera. Un giovane naturalista amante dei viaggi Il 20 febbraio 1761, insieme a centinaia di altri reperti, lasciano il porto di Alessandria d'Egitto per iniziare il lungo viaggio verso Torino tre sculture che raffigurano la dea Iside-Hator, la dea Sekhmet e il faraone Ramses II. A spedirle nella capitale sabauda è l'eclettico Vitaliano Donati, direttore dell'orto botanico di Torino, ma anche appassionato egittologo che le ha scoperte nel tempio della dea Mut presso Karnak. Insieme agli altri oggetti, le tre statue andranno a costituire il primo nucleo del futuro Museo Egizio di Torino. Quando Donati fu spedito in Egitto ad “acquistare qualche antichità e Mumia delle più conservate”, aveva già alle spalle una lunga carriera di ricercatore sul campo che non lasciava accumulare la polvere sulle scarpe. Nato nel 1717 a Padova, dove si era laureato in medicina, manifestando però una vocazione più per la storia naturale che per l'arte medica, iniziò i suoi viaggi ancora studente, quando percorse l'Italia settentionale per esplorarne la geologia e la flora e visitò l'Istria insieme al conte Gian Rinaldo Carli, unendo già lo studio delle piante a quello dei monumenti antichi. Nel 1743 accompagnò a Roma il suo maestro, il fisico G. Poleni, membro della commissione per il consolidamento della cupola di San Pietro; nella speranza di ottenere una cattedra universitaria, Donati accettò di partire per il Regno di Napoli e di Sicilia per raccogliere esemplari per un istituendo museo pontificio di storia naturale alla Sapienza; ma, saputo che a Messina infuriava la peste, cercò una destinazione più salubre. Memore delle scorribande giovanili in Istria, scelse la costa orientale adriatica e tra il 1743 e il 1749 nel corso di cinque viaggi visitò nuovamente l'Istria, quindi Morlacchia, Dalmazia, Bosnia, Erzegovina, Albania settentrionale, alternando i soggiorni nelle principali città costiere (Spalato, Zara, Sebenico) all'esplorazione delle regioni interne. Fu il primo scienziato a erborizzare sul monte Velebit. Il rapporto scientifico che nel dicembre 1745 inviò a Roma dalla croata Knin (o Tenin) fu pubblicato nel 1750 a spese del conte Carli con il titolo Della storia naturale marina dell'Adriatico. Importante è la parte dedicata ai coralli nei quali secondo Donati "la natura fa passaggio dalle piante agli animali". Mentre i suoi contemporanei li consideravano piante (e tra le piante saranno ancora annoverati a fine secolo in Flora Danica), egli comprese che i "rami" avevano una funzione fondamentalmente di supporto, mentre la forma di vita specifica era costituita da una miriade di polipi, esseri di natura animale. Altrettanto innovativi furono i suoi studi sui meccanismi riproduttivi del genere Fucus, in cui studiò tutte le fasi, dimostrando che la riproduzione delle piante marine non differiva da quella delle specie terrestri. Furono soprattutto le pagine sui coralli a dare fama europea a Donati, tanto da venire tradotte in inglese già nel 1751 nelle Philosophical transactions con il titolo New discoveries relating to the history of coral e nel 1752 in tedesco. Nel 1758 seguì in Olanda una traduzione francese dell'intera opera, Essai sur l'histoire naturelle de la mer Adriatique. Fu probabilmente questa risonanza a spingere Carlo Emanuele III a chiamare Donati a Torino; nel 1750 fu nominato professore di botanica e storia naturale, nonché direttore dell'Orto botanico (il secondo, dopo Bartolomeo Giuseppe Caccia). Da botanico-naturalista a archeologo La carriera universitaria e gli altri impegni istituzionali (era membro del Tribunale del protomedicato), non spensero la passione di Donati per i viaggi e la ricerca sul campo. Nel 1751 il re lo mandò in Val d'Aosta e in Savoia a valutarne le potenzialità minerarie e a redigere una mappatura dei giacimenti e degli impianti di estrazione. Il suo itinerario toccò la Valle di Susa, il Moncenisio, la Val d'Isère, la Valle d’Aosta, il Piccolo San Bernardo, il Faucigny e il lago di Ginevra. Le sue note non si limitano alla mineralogia, ma integrano anche la botanica, il clima, le strutture geomorfologiche, l'attenzione agli aspetti umani. L'anno successivo fu inviato nel Faucigny per individuare le cause di una frana. Nel 1755 visitò le montagne e le coste dell'area di Genova, raggiungendo la Sardegna; nel 1757 tornò nuovamente a studiare le cave di marmo in Val di Susa. In queste attività di ricerca, Donati si avvale sempre della strumentazione migliore disponibile all'epoca e si dimostra uno scienziato acuto, originale, e capace di integrare tra loro le scienze naturali e umane; costante rimane anche l'interesse per l'archeologia. Come direttore dell'Orto botanico di Torino, da una parte ampliò le collezioni, portandole a circa 1200 specie; dall'altra, fu probabilmente su sua iniziativa che incominciarono ad essere stampati e riuniti in volume i disegni e acquerelli con i quali il giardiniere e valente disegnatore F. Peyrolery andava documentando le specie dell'orto, primo nucleo di quella che diverrà l'Iconographia Taurinensis. Nel 1759, quando probabilmente già pensava di tornare a Padova ad assumervi una più prestigiosa cattedra universitaria, il re di Sardegna gli fece la proposta dei sogni: dirigere un viaggio di scoperta e esplorazione in Oriente, alla ricerca di esemplari per due futuri musei reali, uno di storia naturale, l'altro di antichità. Nel corso del viaggio Donati avrebbe dovuto esplorare Egitto, Arabia, Palestina, quindi spostarsi in India e fare ritorno circumnavigando l'Africa, rientrando poi nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra. Con la sua passione per i viaggi, Donati non poteva certo rifiutare, tanto più che anche i finanziamenti furono generosi. Oltre a Donati, il gruppo comprendeva inizialmente il naturalista Gioanni Battista Ronco, il disegnatore Christian Wehrlin, il giardiniere Paolo Cornaglia: insomma, una spedizione scientifica di tutto rispetto, una delle più ambiziose dell'epoca. Ma i guai iniziarono quasi subito. Il giardiniere giunse a Venezia, dove avrebbero dovuto imbarcarsi per il Levante, già gravemente malato (morirà poco dopo) e fu sostituito da un giovane collega veneto di cui non conosciamo il nome; inoltre Ronco impose la presenza della sorella Marianna, di cui vantava l'abilità di disegnatrice. Il gruppo giunse a Alessandra d'Egitto presumibilmente il 18 luglio. Poco dopo Ronco, nel tentativo di prendere il comando della spedizione e di impadronirsi delle risorse finanziarie, fece imprigionare Donati nella casa consolare olandese, da cui venne liberato grazie all'intervento di vari membri del corpo diplomatico. Giunta la notizia a Torino, la spedizione così come era stata concepita si sciolse: Wehrlin e probabilmente il giardiniere rientrarono a Venezia, mentre i Ronco facevano perdere le loro tracce e riuscivano ad espatriare in Francia. Donati rimase da solo in Egitto, proseguendo le sue ricerche con l'aiuto di collaboratori indigeni, tra cui spicca Stefano Aspahan, apprendista medico, interprete e guida che lo seguì fedelmente fino alla morte. Partito da Alessandria d'Egitto nel gennaio 1760, Donati visitò il Cairo, Giza e Farsut, risalì il Nilo e fece scavi a Karnak, dove scoprì le tre statue da cui è iniziato il nostro raccolto. Il suo viaggio lungo il fiume proseguì fino alla cataratta di Assuan, di cui tracciò la topografia. Rientrato al Cairo per Natale, ne ripartì subito per il monte Sinai, dove visitò i monasteri copti e studiò le antiche iscrizioni. Nel 1761 visitò Palestina e Siria; nel febbraio 1762 si imbarcò a Masqat su una nave turca che doveva condurlo sulle coste del Malabar; ma durante la traversata si ammalò e morì. Grazie soprattutto alla dedizione di Aspahan, si salvarono almeno una parte delle collezioni e il prezioso Giornale di viaggio, che giunge fino all'arrivo a Masqat, ricco di osservazioni archeologiche e naturalistiche. Una sintesi di questa vita intensa nella sezione biografie. Vitaliana, la primula d'oro L'edizione olandese del saggio di Donati (Essai sur l'histoire naturelle de la mer Adriatique, 1758) include una lettera di Lionardo Sesler, medico e botanico dell'orto di Padova che era stato compagno di Donati in alcuni dei suoi viaggi nell'alto Adriatico. Qui non solo Sesler elogia e sostiene le teorie dell'amico sulla natura animale e sulla "fruttificazione" del Fucus, ma gli rende omaggio dedicandogli una nuova specie da lui recentemente scoperta sulle falde del monte San Pellegrino nel Bellunese. La chiama Vitaliana "seguendo l'orme dell'incomparabile Carlo Linneo, omnium naturalium rerum lumen fulgentissimum". In effetti, Linneo in Species plantarum 1753 aveva reso omaggio a Donati battezzando questa stessa specie Primula vitaliana. Il nuovo genere di Sesler avrà vita travagliatissima. Nel 1835 Bertoloni in Flora italiaca provvide a assegnare alla sua unica specie il nome binomio Vitaliana primulaeflora; ma già nel 1827 Lidl ne aveva negato l'indipendenza, assegnandolo a Douglasia. Da allora, è stato ora considerato indipendente, ora inserito in Primula, Douglasia, Gregoria, Androsace. I più recenti studi molecolari hanno dimostrato che tanto l'europea Vitaliana quanto l'americana Douglasia sono annidati nel genere Androsace. Quindi oggi la nostra vitaliana (nome comune) è ufficialmente Androsace vitaliana (L.) Lapeyr. E' una bellissima perenne rupicola a cuscinetto dai fiori dorati che in Italia possiamo ammirare sia sulle Alpi sia sull'Appennino; è presente anche nei Pirenei e nel Massiccio centrale e in poche stazioni dei Balcani. Donatia, dalla tundra magellanica alla Nuova Zelanda Queste vicissitudini non hanno privato Donati del giusto riconoscimento di un genere botanico. Oltre ad aver lasciato il suo nome di battesimo come nome comune e nome specifico a Androsace vitaliana, a ricordarlo è anche il genere Donatia J.R. Forst. & G. Forst. Anche le due specie che ne fanno parte sono piante a cuscinetto, o per dirla alla latina a pulvino, con profonde radici che riescono a abbarbicarsi alle rocce e sottili rametti che si irradiano a raggiera, formando densi cuscini che trattengono l'umidità e gli elementi nutritivi formati dalla decomposizioni dei residui di foglie e fiori degli anni precedenti, assicurando alla pianta un substrato nutritivo autoprodotto; come la vitaliana vivono in climi estremi, ma per trovarle dobbiamo andare letteralmente alla fine del mondo. Al ritorno dal secondo viaggio di Cook, Johann Reinold Forster esaminò e classificò una specie raccolta da Banks e Solander lungo le coste dello stretto di Magellano in occasione del primo viaggio, denominandola Donatia fascicularis. Non conosciamo i motivi della dedica a Donati, ma come si è detto era figura ben nota e apprezzata in Europa. Assegnato da alcuni a una famiglia propria (Donatiaceae) è generalmente annoverato nella piccola e interessante famiglia delle Stylidiaceae, diffusa tra il Sud Amrica meridionale e l'Australia. Comprende due sole specie. La prima è D. fascicularis, un endemismo cileno, una minuscola perenne a pulvino delle tundre magellaniche, dove si è adattata alle temperature estreme, al forte vento e alle abbondantissime precipitazioni (fino a 5000 mm annui); dai cuscinetti di foglie coriacee, simili a muschio, sbocciano piccoli fiori stellati bianchi a sei petali. Benché ciascuna pianta sia relativamente piccola, si raggruppano in vaste formazioni che ricoprono ampie aree, formando densi tappeti. La seconda, D. novae-zelandiae, vive nelle regioni alpine e subalpine della Nuova Zelanda e della Tasmania. Qui forma cuscini di minute foglioline verdi i quali possono raggiungere un metro di diametro, punteggiati di minuscoli fiori bianchi. Qualche notizia in più nella scheda. Entrambe le specie sono assai graziose, ma purtroppo di difficile coltivazione, dato il particolarissimo ambiente in cui vivono; talvolta possibile vederle nei giardini botanici alpini. A volte, per entrare nella storia - se non altro in quella della botanica - è sufficiente raccogliere un fiore in un giardino. Almeno fu quello che capitò a Clas Alströmer, rampollo di uno dei più ricchi affaristi svedesi, allievo di Linneo, alla prima tappa del suo grand tour nell'Europa mediterranea, quando la magnifica Alstroemeria, stanca di essere scambiata per un'Hemerocallis o un giglio, si fece notare proprio nel giardino del console di Svezia a Cadice. A stretto giro di posta, l'annunciò arrivò a Uppsala, seguito dai semi, guadagnando al fortunato viaggiatore una delle dediche celebrative più veloci della storia. Mentre i suoi compagni di studio affrontavano le onde e le malattie tropicali, fu semplicemente facendo un viaggio di studio in Europa che Alströmer conquistò il fiore più bello tra quelli dedicati da Linneo ai suoi apostoli. D'altra parte, i suoi meriti scientifici non sono irrilevanti: fu un importante collezionista, e soprattutto un mecenate che finanziò i viaggi di molti condiscepoli, non ultimo Carl von Linné il giovane. Grazie a lui, almeno una parte dell'erbario linneano rimase in Svezia, invece di prendere la strada per Londra. Non ultimo merito, fu il protettore di Anders Dahl, il dedicatario del genere Dahlia. Un grand tour scientifico ricco di incontri A Uppsala, tra gli studenti che, tra il 1757 e il 1760, seguono i corsi di Linneo ce n'è uno con origini familiari molto diverse dai suoi compagni, in buona parte figli di poveri pastori di provincia, che nello studio cercano un'occasione di affermazione sociale. E' Cles Alströmer, uno dei figli minori di Jonas, pioniere della rivoluzione agraria e industriale in Svezia, promotore della diffusione della coltivazione della patata, proprietario di terreni, allevamenti e miniere, ma anche uno dei fondatori dell'Accademia delle scienze svedese. A Uppsala Cles studia agronomia, chimica e mineralogia con Wallerius, botanica con Linneo. E' compagno di studi di Solander, di cui è amico e al tempo stesso rivale. Nel 1760 parte per un grand tour che, per mete e interessi, si differenzia da quello d'obbligo per i rampolli dell'aristocrazia e della ricca borghesia europee; a richiamarlo più che l'arte sono il commercio e i progressi tecnici e scientifici. Nel corso di un triennio, nei vari paesi che visiterà, soprattutto grazie alla sua aura di allievo di Linneo, avrà libero accesso alle maggiori istituzioni scientifiche e conoscerà di persona i maggiori botanici del tempo, di cui ci ha lasciato brevi ritratti penetranti e privi di peli sulla lingua. Benché molte delle sue carte siano andate perdute in un incendio, a informarci su molti particolari del viaggio è il corposo carteggio con il maestro, cui spedì anche una cospicua collezione di piante e animali (oltre 2000 esemplari). La prima tappa fu la Spagna, dove per incarico del padre avrebbe dovuto carpire i segreti dell'allevamento delle pecore merinos, la cui lana era di gran lunga superiore a quella dei capi svedesi; Linneo a sua volta gli affidò la delicata missione di recuperare le collezioni e gli effetti personali di Löfling, morto tragicamente l'anno prima durante la spedizione nell'Orinoco. Partito in nave da Göteborg alla fine di febbraio 1760, Alströmer giunse a Cadice alla fine di aprile; qui fu ospite di Jacob Martin Bellman, il console svedese (nel porto iberico facevano tappa le navi della Compagnia svedese delle Indie orientali); nel giardino del consolato lo colpì una bellissima pianta con due fiori mai visti, nata da semi giunti dal Perù; di questa peregrina de Lima o azucena (ovvero "giglio") de Lima riuscì presto a procurarsi moltissimi semi, che inviò prontamente a Linneo. In Spagna sarebbe rimasto circa quindici mesi, alternando i soggiorni a Madrid e Cadice con puntate a Gibilterra, Siviglia, Granada e in Andalusia. Sorpreso dal maltempo mentre visitava i monti della Castiglia (forse la Sierra morena) si ammalò gravemente; più tardi egli avrebbe fatto risalire a questo incidente l'origine della grave malattia che lo colpì nella maturità. A Madrid frequentò i botanici del Real Jardin Botanico, esprimendo un giudizio molto positivo sull'ormai anziano Minuart e parecchie riserve sulla Flora española o historia de las plantas que se crían en España dell'antilinneano Quer y Martinez, uscita proprio quell'anno. A causa della malattia e poi della morte di José Ortega, fallì l'intento di recuperare gli effetti di Löfling (con una punta di malignità, Alströmer ricorda che i botanici spagnoli consideravano provvidenziale la morte precoce di quel giovane eretico, di cui si diceva si fosse convertito al cattolicesimo in articulo mortis). Ottimo fu invece il rapporto con due vecchi compagni di Löfling: l'astronomo francese Louis Godin, che aveva viaggiato con lui in Portogallo, e il medico Miguel Barnades, che lo aveva guidato alla scoperta della flora madrilena; importante fu poi l'incontro a Cadice con un giovane José Celestino Mutis, sul punto di partire per l'America. Grazie alla mediazione di Alströmer, Mutis entrò così in contatto con Linneo, di cui sarebbe divenuto uno dei principali informatori sulla flora sudamericana. Mentre si trovava in Spagna, Alstroemer ricevette la notizia della morte del padre; dopo aver pensato per un attimo di rientrare in patria, decise invece di continuare il viaggio. Alla fine del 1761 si spostò a Montepellier dove, grazie alle lettere di raccomandazione fornite dal maestro, fu ricevuto da François Boissier de La Croix de Sauvages e Antoine Gouan (che non lo impressionarono né poco né punto). Passò quasi subito in Italia (purtroppo molti dettagli ci sfuggono, a causa della perdita di molte lettere), dove sicuramente fu a Firenze, Pisa, Roma, Napoli, Bologna, Ferrara, Venezia, Padova, Verona, Mantova, Milano e Torino. Ovunque visitò orti botanici, gabinetti scientifici, collezioni e ambienti naturali - dalle pendici del Vesuvio dove raccolse pietre vulcaniche al monte Baldo dove sotto la guida del farmacista Giulio Cesare Moreni fece incetta di semi. Ovunque incontrò botanici a collezionisti, agli occhi dei quali divenne un vero e proprio ambasciatore di Linneo: a Firenze, dove fu ammesso alla Società botanica, Giovanni Targioni Tozzetti e Antonio Durazzini; a Pisa Giovanni Lorenzo Tilli; a Napoli Domenico Cirillo, che gli chiese l'indirizzo di Linneo; a Roma Giovanni Francesco Maratti con il quale discusse a proposito del genere Romulea; a Venezia collezionisti come il vescovo Marco Giuseppe Corner e Filippo Farsetti; a Padova Giovanni Marsili ("un botanico mediocre") e Antonio Vallisneri II ("non è come il padre"); a Milano Vandelli; a Torino Allioni. Gli toccò anche di resistere a seccatori come Saverio Manetti che ad ogni costo avrebbe voluto la dedica di un genere da parte di Linneo. All'inizio del 1763, via Ginevra, giunse a Parigi dove Bernard de Jussieu gli fece grande impressione; guardò invece con una certa perplessità al titanico tentativo di Michel Adanson di creare un sistema naturale e alle ricerche di Buffon sui mammiferi. Fu poi la volta di Londra, dove si fermò circa due mesi, divenendo un'habitué della casa di lady Monson, di cui caldeggiò, questa volta senza alcuna remora, la dedica di un genere botanico da parte del maestro, come ho raccontato in questo post. Dopo un breve passaggio ad Amsterdam, dove visitò i Burman, rientrò infine in Svezia nell'estate del 1764. Collezionista e mecenate Da quel momento la sua vita fu quella di un importante mercante e imprenditore, in società con il fratello Patrick e poi con il suocero, Niclas Sahlgren, direttore della Compagnia delle Indie Orientali. Quest'ultimo lo coinvolse anche nelle sue attività benefiche, come la fondazione di un orfanotrofio e dell'ospedale di Göteborg (Sahlgrenska Hospital); per valorizzare le sue proprietà agricole e minerarie, fece costruire una strada che collegava la sua proprietà di Alingsås e Göteborg (ancora oggi detta strada degli Alströmer). Nel 1768 fu nobilitato, con il titolo di barone. Nel 1770 divenne presidente dell'Accademia delle scienze. Creò una biblioteca, un gabinetto scientifico e un'importante collezione naturalistica (in gran parte andata perduta, insieme ai suoi manoscritti, in un incendio che devastò la sua proprietà nel 1779). Prima a Kristinedal, la tenuta ereditata dal suocero, poi a Gåsevadholm, dove si era trasferito dopo il fallimento, creò anche un orto botanico; a curare le sue collezioni chiamò Jonas Theodor Fagraeus e, a partire dal 1776, Anders Dahl. Su suo incarico, per arricchire le collezioni quest'ultimo viaggiò sia in Svezia sia all'estero e più tardi divenne il curatore dell'erbario che Alströmer ricevette dal figlio di Linneo. Ma andiamo con ordine: insieme ai suoi fratelli, Alströmer fu un importante mecenate che finanziò i viaggi di naturalisti come Afzelius, Thunberg e Retzius. Nel 1781, tre anni dopo la morte del padre, il figlio, Carl Linnaeus il giovane, desiderava andare all'estero, in particolare a Londra, per raccogliere il materiale necessario al completamento dell'opera paterna; a finanziare il viaggio fu ancora una volta Alströmer, al quale, in cambio il giovane Carl - che era stato suo condiscepolo e amico - cedette il proprio erbario, che includeva anche i doppioni della collezione paterna. Dopo la morte precoce di Carl, la madre (come ho raccontato qui) si affrettò a vendere a James Edward Smith i materiali linneani che presero la strada di Londra; a rimanere in Svezia fu solo l'erbario acquisito da Alströmer, che ne affidò la catalogazione a Dahl. Oggi il "piccolo erbario" (herbarium parvum) è custodito presso il Museo di scienze naturali di Stoccolma. Fin dal suo rientro in Svezia, Alströmer fu afflitto da una misteriosa malattia che consisteva in una graduale paralisi dei muscoli, presumibilmente una forma di distrofia muscolare, del tutto ignota ai medici del tempo. Perse progressivamente ogni mobilità, fino ad essere costretto su una sedia a rotelle. Gli ultimi anni furono anche afflitti da problemi finanziari, in seguito alla bancarotta della società creata con il fratello. Morì nel 1794, a 58 anni. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Alstroemeria: fiori di seta alla conquista delle aiuole Quando prima le descrizioni entusiatiche di Alströmer e poi i semi del "giglio di Lima" raggiunsero Uppsala, Linneo ne fu estasiato: era sicuramente una pianta magnifica, e apparteneva a una specie ignota alla scienza, sebbene strettamente affine a due altre già descritte da padre Feuillée come Hemerocallis. Egli poté così stabilire un nuovo genere che si affrettò a battezzare Alstroemeria in onore dell'affezionato allievo che, intanto, continuava a percorrere l'Europa diffondendo il verbo linneano e rifornendo l'orto botanico di Uppsala con continui invii di semi. La pubblicazione avvenne già nel 1762 nell'opuscolo Planta Alstroemeria, che assegnato come tesi di laurea a Peter Falk, fu poi incluso in Amoenitates academicae. Linneo vi descrisse tre specie: A. peregrina, A. ligtu e A. salsilla, oggi Bomarea salsilla. E' curioso notare che A. peregrina, la pianta "scoperta" da Alströmer e subito nota come giglio del Perù, giglio degli Inca, in realtà è un endemismo cileno; tuttavia fu passando attraverso i giardini di Lima che i suoi semi pervennero in Spagna, per rallegrare il giardino del consolato svedese a Cadice. Lo spettacolare genere, un tempo assegnato alla famiglia Liliaceae, fa oggi parte di una famiglia propria, Alstroemeriaceae, insieme ai generi Bomarea, Drymophila e Luzuriaga. Comprende da cinquanta a ottanta specie distribuite in due aree discontinue dell'America meridionale: da una parte il Brasile (con zone adiacenti in Paraguay e Argentina) e dall'altra il Cile (con zone adiacenti in Perù, Bolivia, e Argentina). Sono erbacee perenni rizomatose (ad eccezione della cilena A. graminea, un'annuale del deserto di Atacama) con grandi fiori isolati o a mazzi con sei tepali che possono superare i 5 centimetri, in una vasta gamma di colori che include il rosso, il rosa, il lilla, l'arancio, il giallo, il salmone, l'albicocca, il verdastro, il bianco, con screziature e striature più scure o in colore contrastante. Le specie brasiliane hanno vegetazione estiva, quelle cilene invernale; incrociando i due gruppi gli ibridatori hanno creato ibridi praticamente sempreverdi, capaci di fiorire tutto l'anno. Se un tempo il loro uso principale erano i fuiori recisi, oggi le Alstroemeriae sono uscite dalle serre per diventare anche apprezzatissime piante da aiuola meno difficili da coltivare di quanto farebbe pensare la delicatezza dei loro fiori, simili a grandi farfalle di seta. La scelta è davvero enorme, con almeno 190 cultivar registrate. Qualche approfondimento nella scheda. Viaggiatore di lungo corso, Anders Sparrman a diciassette anni va in Cina, a ventiquattro in Sud Africa da dove parte per il giro del mondo con James Cook. Sopravvissuto ai ghiacci antartici e alle frecce avvelenate polinesiane, torna in Africa, diventa un'autorità nel campo dei mammiferi africani e dà un contributo determinante all'abolizione della tratta degli schiavi. A ricordarlo la bella e "sensibile" Sparrmannia. In Cina e in Sud Africa con la SOIC Di tutti gli apostoli di Linneo, Anders Sparrman è stato quello che ha viaggiato di più: ben cinque viaggi, toccando tutti e cinque i continenti (anzi tutti e sei, se contiamo anche l'Antartide). Approdato a Uppsala addirittura a otto anni, nel 1765, ad appena 17 anni, si imbarca come assistente medico su una delle navi della Compagnia svedese delle Indie Orientali (SOIC) dirette a Canton, quinto apostolo a percorrere quella rotta. Il viaggio cinese è poco più di un apprendistato sul campo per il giovane Anders, che al suo rientro ad Uppsala riprende con decisione gli studi medici e sostiene gli esami teorici nel 1770. Tuttavia non arriva alla laurea, perché all'inizio del 1772 riparte, questa volta per il Sud Africa. Il suo comandante nel viaggio in Cina, il capitano Carl Gustav Ekeberg, è riuscito a convincere le autorità olandesi a permettere a un naturalista svedese di visitare la colonia del Capo, uno dei luoghi più ricchi di biodiversità del pianeta. La SOIC tuttavia si limita ad offrirgli un passaggio gratuito; al Capo per mantenersi dovrà lavorare come precettore dei numerosi figli del residente olandese Johann Friederick Kirsten, dedicando alle ricerche naturalistiche l'eventuale tempo libero. Arrivato a Cape Town nell'aprile 1772, Sparrman ha la gradita sorpresa di incontrare un altro allievo di Linneo, Carl Peter Thunberg. Ma dopo pochi giorni entusiasmanti passati a esplorare insieme quell'angolo di Paradiso, deve raggiungere il suo datore di lavoro. Mentre Thunberg, ufficialmente medico al servizio della Compagnia olandese delle Indie, esplora liberamente il paese, lui deve accontentarsi di brevi scappate rubate ai momenti di riposo. A tanto entusiasmo, subentra la delusione. In un'accorata lettera al maestro, si paragonerà a qualcuno che assiste da lontano a un ricco banchetto: gli arriva lo stuzzicante odorino delle vivande, ma a lui toccano solo le ossa. Per altro sembra proprio che la colonia del Capo si stia trasformando nel terreno di gioco preferito dei botanici, continua con amara ironia: è pieno di cercatori di piante e, ad avere i soldi per pagare, puoi procurarti tutte quelle rarità che lui non è destinato neppure a vedere. E' persino arrivato un inglese (lo conosciamo bene: è Francis Masson, il cacciatore di piante spedito da Banks)! Insomma, una situazione davvero frustrante. Il secondo viaggio di Cook Ma prima di continuare con le avventure di Sparrman, facciamo un passo indietro e un salto in Inghilterra, dove Cook stava preparando il suo secondo viaggio. Il dubbio sull'esistenza di un continente australe, l'ipotetica Terra australis incognita, non era stato risolto dal primo pur fortunato viaggio; ecco dunque che l'ammiragliato varò immediatamente una seconda spedizione, cui avrebbero partecipato due navi: la Resolution e l'Adventure. L'équipe scientifica, dopo la defezione di Banks, fu capeggiata da un botanico tedesco, Johann Reinhold Forster, accompagnato dal figlio Georg; c'era inoltre un astronomo, William Wales, e un pittore, William Hodges. Su richiesta di Banks, fu imbarcato anche il giardiniere di Kew Francis Masson, che sarebbe sbarcato al Capo per esplorare la flora del Sud Africa. Invece di circumnavigare il globo da est a ovest, come nel primo viaggio, questa volta la rotta si sarebbe mossa in senso contrario, esplorando l'Atlantico e il Pacifico meridionale alla ricerca sistematica dello sfuggente mitico continente australe. Partito da Plymouth nel maggio 1772, Cook si diresse verso sud, toccando Madeira e le isole di Capo Verde. Il 30 ottobre giunse a Cape Town, dove venne sbarcato Masson. Durante la sosta sudafricana, Johann Reinhold Forster conobbe il nostro Anders Sparrman e gli propose di unirsi alla spedizione. Dopo una notte insonne, passata a soppesare i pro e i contro, Sparrman accettò. La Resolution e l'Adventure salpano il 22 novembre 1772 dirigendosi verso sud, nell'area dove il navigatore francese Bouvet pretendeva di aver avvistato terre emerse. Senza toccare terra per 124 giorni, le due navi esplorano l'Atlantico e il Pacifico meridionali, tra venti gelidi, nebbie antartiche e iceberg, passano per due volte il circolo polare antartico e dimostrano definitivamente che non esiste alcun continente australe sconosciuto. Balene, foche, pinguini... ma nessuna pianta per fare felici i nostri botanici. Dopo essere state separate dalla nebbia, nel maggio 1773 l'Adventure e la Resolution si ricongiungono in Nuova Zelanda. A ottobre, dopo aver esplorato Tonga, una tempesta separa di nuovo le due navi; Fourneaux, il comandante dell'Adventure, decide di rientrare in Inghilterra. Invece Cook, approfittando dell'estate australe, punta ancora una volta a sud, passa per la terza volta il circolo polare antartico, finché non viene bloccato dalla banchisa; ha comunque toccato il punto più a sud mai raggiunto (71° 10'). Anzi, secondo un aneddoto, proprio a Sparmann spetterebbe il record di essere l'uomo giunto più a sud, perché in quel momento si trovava sulla poppa della nave. Non potendo proseguire oltre, Cook ritorna a nord, esplorando palmo a palmo il Pacifico, in un grande giro che tocca Tonga, l'isola di Pasqua, l'isola Norfolk, la Nuova Caledonia, Vanuatu, quindi ancora la Nuova Zelanda. Nel novembre 1774 inizia il viaggio di ritorno; toccata la Terra del Fuoco e doppiato Capo Horn, dopo un'ulteriore puntata a sud che frutta la scoperta delle desolate Georgia del Sud e Sandwich del Sud, finalmente il 21 marzo si approda a Table Bay, la baia del Capo. Per Sparrman è ora di sbarcare. Dopo una sosta di qualche settimana, gli altri riprendono il viaggio e saranno a casa il 30 luglio. Appena sbarcato, Sparrman si affretta a scrivere a Linneo (a differenza di Solander, era un corrispondente attivo e considerava un "parricidio" trascurare le lettere al maestro). Il tono non è entusiastico, anzi... Dopo aver affrontato un viaggio durissimo (in due anni e mezzo, i periodi trascorsi a terra sommano a meno di sei mesi), il freddo polare, i rapporti ostili con gli abitanti di molte isole (sia lui sia Georg Forster hanno rischiato lo pelle), la fame e le privazioni (al loro sbarco a Cape Town sembravano un equipaggio di fantasmi), il bottino che può vantare non si può certo paragonare a quello di Solander e Banks. Quei due hanno avito la fortuna di mettere le mani sulla cassa del tesoro, hanno scoperto piante a migliaia, mentre lui ha dovuto accontentarsi di scoprirne a centinaia, in tutte quelle isole, e a ben caro prezzo: si erborizzava mentre intorno volavano pietre, lance, randelli e frecce avvelenate. Le lamentele continuano: tutti gli altri si sono laureati, grazie al nome del loro maestro stanno facendo delle belle carriere, solo lui a causa dei tanti viaggi è rimasto senza laurea e senza prospettive. Spera di rifarsi al suo ritorno, tra un anno, quando lascerà definitivamente l'Africa. Alla scoperta della fauna africana In effetti i risultati scientifici più importanti devono ancora arrivare. D'altra parte, benché importante, il suo ruolo nella seconda spedizione di Cook era stato quello di un collaboratore - ancora oggi, è difficile distinguere i suoi contributi da quelli dei due Forster. Lavorando per quattro mesi come medico a Città del Capo e arrotondando i proventi con qualche non meglio specificata speculazione commerciale, Sparrman riesce a mettere insieme quanto basta per finanziarsi una spedizione nell'interno della colonia del Capo. Per quasi un anno (dal luglio 1775 all'aprile 1776), accompagnato da Daniel Ferdinand Immelmann (che già aveva fatto da guida a Thunberg) e da portatori khoi-khoi, esplorò l'area orientale della colonia del Capo, spingendosi fino al Great Fish River e ai confini della colonia. Importanti furono soprattutto le scoperte zoologiche: tra le molte segnalazioni, che fecero di lui un'autorità nel campo dei mammiferi africani, fu il primo a descrivere il rinoceronte africano e il bufalo del Capo. Il viaggio confermò anche il giudizio negativo di Sparrman sull'atteggiamento degli europei verso i neri e il netto rifiuto dello schiavismo, che indagò con occhio critico e spirito umanitario. Rientrò a Città del Capo appena in tempo per imbarcarsi sulla nave Stockholms Slott. Giunto a Stoccolma a luglio 1776, scoprì che la fama lo aveva preceduto, grazie ai suoi compagni di viaggio rientrati a Londra già da un anno, L'Università di Uppsala gli aveva anche attribuito, honoris causa, la tanto sospirata laurea. Per un breve periodo, in Svezia fu l'uomo del giorno. Fu ammesso all'Accademia delle Scienze, delle cui collezioni naturalistiche fu nominato curatore (incarico che mantenne per vent'anni, dal 1777 al 1798) e qualche anno più tardi ottenne una cattedra universitaria. Nel 1787 lo attendeva un ultimo viaggio: fu nominato membro della commissione che doveva esplorare il Senegal alla ricerca di un luogo adatto a una colonia svedese. La spedizione fu un fallimento, ma durante il viaggio di ritorno Sparrman e il suo compagno Wadström, di passaggio a Londra, resero un'importante testimonianza contro la tratta degli schiavi che ebbe grande influenza nell'orientare in senso antischiavista l'opinione pubblica britannica. Personalità inquieta, divisa tra l'entusiasmo illuminista per le scienze e tensioni preromantiche, nell'ultima parte della vita Sparrman, pur mantenendo un certo prestigio nell'ambiente scientifico svedese, si vide messo in secondo piano da personalità più forti, in particolare da Thunberg. Altre notizie nella biografia. Autore solerte e prolifico, egli raccontò i suoi viaggi nell'opera in tre volumi Resa till Goda Hopps-Udden, södra Polkretsen och omkring Jordklotet, samt Till Hottentott- och Caffer-Landen Åren 1772-1776 ("Viaggio dal Capo di Buona Speranza, attraverso il circolo polare Antartico e attorno al mondo, ma soprattutto nel paese degli Ottentotti e dei Caffri, dall'anno 1772 al 1776") che fu tradotto in diverse lingue europee e (nonostante qualche lungaggine) divenne un piccolo bestseller. Recentemente, lo scrittore svedese Per Wästberg gli ha dedicato un romanzo, di cui è disponibile la traduzione inglese (The Journey of Anders Sparrman, GRANTA 2010). La sensibile Sparrmannia Benché con gli anni gli interessi di Sparrman si spostassero sempre più dalla botanica alla zoologia e dalla zoologia agli esseri umani (terminerà la sua carriera come medico dei poveri), nei suoi viaggi raccolse e classificò un importante erbario, inviò a Linneo molti esemplari e concorse alla conoscenza della flora del Capo, anche se il suo contributo è molto meno noto di quello di Thunberg. Tra le piante che contribuì a far conoscere e ad introdurre in Europa c'è anche quella che porta il suo nome, Sparrmannia africana. Sparrmannia è un piccolo genere di arbusti o piccoli alberi nativi dell'Africa tropicale, del Sud Africa e del Madagascar (famiglia Tiliaceae, ora inclusa in Malvaceae), creato dal figlio di Linneo nel 1792. La specie più nota è proprio Sparrmannia africana, un grande arbusto che cresce ai margini delle foreste, nei burroni e lungo i fiumi dal Capo occidentale a Port Elisabeth ed è comune nei distretti di George, Knysna, Uniondale e Humansdsorp (gli ultimi due comprendono alcune delle aree esplorate da Sparrman). I vistosi stami dei fiori dai petali bianchi, raccolti in ampie ombrelle, hanno una particolarità: sono sensibili al contatto. Quando un insetto tocca il fiore la massa degli stami si distende, allontanandosi dallo stigma, presumibilmente per favorire l'impollinazione. La bellezza dei fiori e delle foglie a forma di cuore, nonché la relativa facilità di coltivazione, fin dalla fine del Settecento ne hanno favorito l'introduzione prima nelle serre poi nei giardini delle zone miti. Grazie ai giardinieri inglesi nell'Ottocento la pianta ha trovato una certa diffusione nei giardini mediterranei e in altre aree non soggette al gelo, ad esempio a Madeira, ma anche in Costa Azzurra e in Riviera. Qualche notizia in più nella scheda. |
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November 2024
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