E' una vita sempre in viaggio quella di Vitaliano Donati, nato a Padova e morto in mare prima di toccare le sponde dell'India. Studioso eclettico e poliedrico, con interessi che spaziavano dalla fisica alla mineralogia alla botanica all'archeologia, oltre ad essere stato il secondo curatore dell'Orto botanico di Torino, gli si deve il primo nucleo di quello che diventerà il Museo egizio di quella città. Nel campo delle scienze naturali, nel suo importante trattato sulla storia naturale dell'Adriatico, fu tra i primi a postulare che i coralli non sono piante, come generalmente si credeva, ma animali. Nelle numerose spezioni che costellano la sua carriera di scienziato ricercatore, unì la capacità di analizzare l'ambiente naturale in modo scientifico e integrato con un'originalità di pensiero che ne fece un innovatore. Due generi lo ricordano: Vitaliana Sisler, oggi - ma dopo molte discussioni - non più valido, e Donatia Forster. In comune l'appartenenza alle piante "a pulvino", capaci di vivere in habitat estremi formando densi cuscinetti di fusticini a raggiera. Un giovane naturalista amante dei viaggi Il 20 febbraio 1761, insieme a centinaia di altri reperti, lasciano il porto di Alessandria d'Egitto per iniziare il lungo viaggio verso Torino tre sculture che raffigurano la dea Iside-Hator, la dea Sekhmet e il faraone Ramses II. A spedirle nella capitale sabauda è l'eclettico Vitaliano Donati, direttore dell'orto botanico di Torino, ma anche appassionato egittologo che le ha scoperte nel tempio della dea Mut presso Karnak. Insieme agli altri oggetti, le tre statue andranno a costituire il primo nucleo del futuro Museo Egizio di Torino. Quando Donati fu spedito in Egitto ad “acquistare qualche antichità e Mumia delle più conservate”, aveva già alle spalle una lunga carriera di ricercatore sul campo che non lasciava accumulare la polvere sulle scarpe. Nato nel 1717 a Padova, dove si era laureato in medicina, manifestando però una vocazione più per la storia naturale che per l'arte medica, iniziò i suoi viaggi ancora studente, quando percorse l'Italia settentionale per esplorarne la geologia e la flora e visitò l'Istria insieme al conte Gian Rinaldo Carli, unendo già lo studio delle piante a quello dei monumenti antichi. Nel 1743 accompagnò a Roma il suo maestro, il fisico G. Poleni, membro della commissione per il consolidamento della cupola di San Pietro; nella speranza di ottenere una cattedra universitaria, Donati accettò di partire per il Regno di Napoli e di Sicilia per raccogliere esemplari per un istituendo museo pontificio di storia naturale alla Sapienza; ma, saputo che a Messina infuriava la peste, cercò una destinazione più salubre. Memore delle scorribande giovanili in Istria, scelse la costa orientale adriatica e tra il 1743 e il 1749 nel corso di cinque viaggi visitò nuovamente l'Istria, quindi Morlacchia, Dalmazia, Bosnia, Erzegovina, Albania settentrionale, alternando i soggiorni nelle principali città costiere (Spalato, Zara, Sebenico) all'esplorazione delle regioni interne. Fu il primo scienziato a erborizzare sul monte Velebit. Il rapporto scientifico che nel dicembre 1745 inviò a Roma dalla croata Knin (o Tenin) fu pubblicato nel 1750 a spese del conte Carli con il titolo Della storia naturale marina dell'Adriatico. Importante è la parte dedicata ai coralli nei quali secondo Donati "la natura fa passaggio dalle piante agli animali". Mentre i suoi contemporanei li consideravano piante (e tra le piante saranno ancora annoverati a fine secolo in Flora Danica), egli comprese che i "rami" avevano una funzione fondamentalmente di supporto, mentre la forma di vita specifica era costituita da una miriade di polipi, esseri di natura animale. Altrettanto innovativi furono i suoi studi sui meccanismi riproduttivi del genere Fucus, in cui studiò tutte le fasi, dimostrando che la riproduzione delle piante marine non differiva da quella delle specie terrestri. Furono soprattutto le pagine sui coralli a dare fama europea a Donati, tanto da venire tradotte in inglese già nel 1751 nelle Philosophical transactions con il titolo New discoveries relating to the history of coral e nel 1752 in tedesco. Nel 1758 seguì in Olanda una traduzione francese dell'intera opera, Essai sur l'histoire naturelle de la mer Adriatique. Fu probabilmente questa risonanza a spingere Carlo Emanuele III a chiamare Donati a Torino; nel 1750 fu nominato professore di botanica e storia naturale, nonché direttore dell'Orto botanico (il secondo, dopo Bartolomeo Giuseppe Caccia). Da botanico-naturalista a archeologo La carriera universitaria e gli altri impegni istituzionali (era membro del Tribunale del protomedicato), non spensero la passione di Donati per i viaggi e la ricerca sul campo. Nel 1751 il re lo mandò in Val d'Aosta e in Savoia a valutarne le potenzialità minerarie e a redigere una mappatura dei giacimenti e degli impianti di estrazione. Il suo itinerario toccò la Valle di Susa, il Moncenisio, la Val d'Isère, la Valle d’Aosta, il Piccolo San Bernardo, il Faucigny e il lago di Ginevra. Le sue note non si limitano alla mineralogia, ma integrano anche la botanica, il clima, le strutture geomorfologiche, l'attenzione agli aspetti umani. L'anno successivo fu inviato nel Faucigny per individuare le cause di una frana. Nel 1755 visitò le montagne e le coste dell'area di Genova, raggiungendo la Sardegna; nel 1757 tornò nuovamente a studiare le cave di marmo in Val di Susa. In queste attività di ricerca, Donati si avvale sempre della strumentazione migliore disponibile all'epoca e si dimostra uno scienziato acuto, originale, e capace di integrare tra loro le scienze naturali e umane; costante rimane anche l'interesse per l'archeologia. Come direttore dell'Orto botanico di Torino, da una parte ampliò le collezioni, portandole a circa 1200 specie; dall'altra, fu probabilmente su sua iniziativa che incominciarono ad essere stampati e riuniti in volume i disegni e acquerelli con i quali il giardiniere e valente disegnatore F. Peyrolery andava documentando le specie dell'orto, primo nucleo di quella che diverrà l'Iconographia Taurinensis. Nel 1759, quando probabilmente già pensava di tornare a Padova ad assumervi una più prestigiosa cattedra universitaria, il re di Sardegna gli fece la proposta dei sogni: dirigere un viaggio di scoperta e esplorazione in Oriente, alla ricerca di esemplari per due futuri musei reali, uno di storia naturale, l'altro di antichità. Nel corso del viaggio Donati avrebbe dovuto esplorare Egitto, Arabia, Palestina, quindi spostarsi in India e fare ritorno circumnavigando l'Africa, rientrando poi nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra. Con la sua passione per i viaggi, Donati non poteva certo rifiutare, tanto più che anche i finanziamenti furono generosi. Oltre a Donati, il gruppo comprendeva inizialmente il naturalista Gioanni Battista Ronco, il disegnatore Christian Wehrlin, il giardiniere Paolo Cornaglia: insomma, una spedizione scientifica di tutto rispetto, una delle più ambiziose dell'epoca. Ma i guai iniziarono quasi subito. Il giardiniere giunse a Venezia, dove avrebbero dovuto imbarcarsi per il Levante, già gravemente malato (morirà poco dopo) e fu sostituito da un giovane collega veneto di cui non conosciamo il nome; inoltre Ronco impose la presenza della sorella Marianna, di cui vantava l'abilità di disegnatrice. Il gruppo giunse a Alessandra d'Egitto presumibilmente il 18 luglio. Poco dopo Ronco, nel tentativo di prendere il comando della spedizione e di impadronirsi delle risorse finanziarie, fece imprigionare Donati nella casa consolare olandese, da cui venne liberato grazie all'intervento di vari membri del corpo diplomatico. Giunta la notizia a Torino, la spedizione così come era stata concepita si sciolse: Wehrlin e probabilmente il giardiniere rientrarono a Venezia, mentre i Ronco facevano perdere le loro tracce e riuscivano ad espatriare in Francia. Donati rimase da solo in Egitto, proseguendo le sue ricerche con l'aiuto di collaboratori indigeni, tra cui spicca Stefano Aspahan, apprendista medico, interprete e guida che lo seguì fedelmente fino alla morte. Partito da Alessandria d'Egitto nel gennaio 1760, Donati visitò il Cairo, Giza e Farsut, risalì il Nilo e fece scavi a Karnak, dove scoprì le tre statue da cui è iniziato il nostro raccolto. Il suo viaggio lungo il fiume proseguì fino alla cataratta di Assuan, di cui tracciò la topografia. Rientrato al Cairo per Natale, ne ripartì subito per il monte Sinai, dove visitò i monasteri copti e studiò le antiche iscrizioni. Nel 1761 visitò Palestina e Siria; nel febbraio 1762 si imbarcò a Masqat su una nave turca che doveva condurlo sulle coste del Malabar; ma durante la traversata si ammalò e morì. Grazie soprattutto alla dedizione di Aspahan, si salvarono almeno una parte delle collezioni e il prezioso Giornale di viaggio, che giunge fino all'arrivo a Masqat, ricco di osservazioni archeologiche e naturalistiche. Una sintesi di questa vita intensa nella sezione biografie. Vitaliana, la primula d'oro L'edizione olandese del saggio di Donati (Essai sur l'histoire naturelle de la mer Adriatique, 1758) include una lettera di Lionardo Sesler, medico e botanico dell'orto di Padova che era stato compagno di Donati in alcuni dei suoi viaggi nell'alto Adriatico. Qui non solo Sesler elogia e sostiene le teorie dell'amico sulla natura animale e sulla "fruttificazione" del Fucus, ma gli rende omaggio dedicandogli una nuova specie da lui recentemente scoperta sulle falde del monte San Pellegrino nel Bellunese. La chiama Vitaliana "seguendo l'orme dell'incomparabile Carlo Linneo, omnium naturalium rerum lumen fulgentissimum". In effetti, Linneo in Species plantarum 1753 aveva reso omaggio a Donati battezzando questa stessa specie Primula vitaliana. Il nuovo genere di Sesler avrà vita travagliatissima. Nel 1835 Bertoloni in Flora italiaca provvide a assegnare alla sua unica specie il nome binomio Vitaliana primulaeflora; ma già nel 1827 Lidl ne aveva negato l'indipendenza, assegnandolo a Douglasia. Da allora, è stato ora considerato indipendente, ora inserito in Primula, Douglasia, Gregoria, Androsace. I più recenti studi molecolari hanno dimostrato che tanto l'europea Vitaliana quanto l'americana Douglasia sono annidati nel genere Androsace. Quindi oggi la nostra vitaliana (nome comune) è ufficialmente Androsace vitaliana (L.) Lapeyr. E' una bellissima perenne rupicola a cuscinetto dai fiori dorati che in Italia possiamo ammirare sia sulle Alpi sia sull'Appennino; è presente anche nei Pirenei e nel Massiccio centrale e in poche stazioni dei Balcani. Donatia, dalla tundra magellanica alla Nuova Zelanda Queste vicissitudini non hanno privato Donati del giusto riconoscimento di un genere botanico. Oltre ad aver lasciato il suo nome di battesimo come nome comune e nome specifico a Androsace vitaliana, a ricordarlo è anche il genere Donatia J.R. Forst. & G. Forst. Anche le due specie che ne fanno parte sono piante a cuscinetto, o per dirla alla latina a pulvino, con profonde radici che riescono a abbarbicarsi alle rocce e sottili rametti che si irradiano a raggiera, formando densi cuscini che trattengono l'umidità e gli elementi nutritivi formati dalla decomposizioni dei residui di foglie e fiori degli anni precedenti, assicurando alla pianta un substrato nutritivo autoprodotto; come la vitaliana vivono in climi estremi, ma per trovarle dobbiamo andare letteralmente alla fine del mondo. Al ritorno dal secondo viaggio di Cook, Johann Reinold Forster esaminò e classificò una specie raccolta da Banks e Solander lungo le coste dello stretto di Magellano in occasione del primo viaggio, denominandola Donatia fascicularis. Non conosciamo i motivi della dedica a Donati, ma come si è detto era figura ben nota e apprezzata in Europa. Assegnato da alcuni a una famiglia propria (Donatiaceae) è generalmente annoverato nella piccola e interessante famiglia delle Stylidiaceae, diffusa tra il Sud Amrica meridionale e l'Australia. Comprende due sole specie. La prima è D. fascicularis, un endemismo cileno, una minuscola perenne a pulvino delle tundre magellaniche, dove si è adattata alle temperature estreme, al forte vento e alle abbondantissime precipitazioni (fino a 5000 mm annui); dai cuscinetti di foglie coriacee, simili a muschio, sbocciano piccoli fiori stellati bianchi a sei petali. Benché ciascuna pianta sia relativamente piccola, si raggruppano in vaste formazioni che ricoprono ampie aree, formando densi tappeti. La seconda, D. novae-zelandiae, vive nelle regioni alpine e subalpine della Nuova Zelanda e della Tasmania. Qui forma cuscini di minute foglioline verdi i quali possono raggiungere un metro di diametro, punteggiati di minuscoli fiori bianchi. Qualche notizia in più nella scheda. Entrambe le specie sono assai graziose, ma purtroppo di difficile coltivazione, dato il particolarissimo ambiente in cui vivono; talvolta possibile vederle nei giardini botanici alpini.
0 Comments
Leave a Reply. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
Categorie
All
|