Nel 1545 nasce l'Orto botanico di Padova; coincidenza vuole che entrambi i suoi primi curatori si accapiglino con Mattioli. Il secondo, il tedesco italianato Melchiorre Guilandino, approda all'istituzione dopo una vita avventurosa; la guida per 23 anni e diventa un prestigioso professore, il primo a illustrare le piante dal vivo. Linneo gli dedica lo spinoso genere Guilandina. Gli esordi dell'Orto botanico di Padova Nel 1545, su sollecitazione del medico e professore universitario Francesco Bonafede, il Senato della Repubblica veneta delibera la creazione di un giardino dei semplici, destinato alla formazione degli studenti di medicina dell'Università di Padova. Nasce così quello che si vanta di essere il più antico Orto botanico universitario, inserito addirittura nella lista dei siti Unesco patrimonio dell'umanità. Per una curiosa coincidenza, a dirigerlo furono chiamati, uno dopo l'altro, i due arcinemici di Mattioli: Luigi Anguillara e Melchiorre Guilandino. Il primo "prefetto dell'orto" fu appunto Luigi Anguillara, che resse l'istituzione dal 1547 al 1561, portandola subito a un livello di eccellenza come riferiscono le testimonianze dei visitatori dell'epoca. Era giunto a Padova preceduto dalla fama dei suoi viaggi botanici a Cipro, in Grecia, nella Dalmazia, in Provenza e nella stessa Italia; nonostante le malignità di Mattioli, era un botanico eccellente, come dimostrò anche nella sua opera maggiore, Semplici (1561). Non altrettanto versato fu, a quanto pare, nel settore amministrativo; forse per questo, o per le calunnie del velenoso Mattioli (che lo apostrofava con frasi come "Ho visto la coglioneria dei pareri dell’Anguillara, né mai harei pensato che questa bestiaccia scannata fosse stato così mariolo, ignorantissimo, invidiosissimo, malignissimo [...] invero non si può tanto svilirlo e vituperarlo che non meriti peggio") nel 1561 diede le dimissioni, per trasferirsi a Ferrara come medico del duca e professore di quella Università. Dalla Borussia con furore Dopo pochissimi mesi gli subentrò proprio quel Melchiorre Guilandino protagonista di una lunga e feroce disputa con Mattioli. Arrivava da lontano, addirittura dalla baltica Königsberg (la patria di Kant); secondo gli usi del tempo aveva latinizzato in Guilandinus il suo vero nome, Melchior Wieland; amava definirsi "borusso", dal nome latino della sua patria, la Prussia. Al momento di assumere l'incarico, il botanico prussiano era sui quarant'anni e aveva alle spalle una vita alquanto burrascosa. Dopo essersi probabilmente laureato in medicina, era venuto in Italia, dove aveva vissuto qualche anno in Sicilia e a Roma, in terribili ristrettezze. A metà degli anni cinquanta lo ritroviamo in Veneto grazie all'ambasciatore veneto alla curia pontificia, Marino Cavalli, che lo aveva conosciuto a Roma, apprezzandone la competenza botanica. Si trasferisce a Padova, brillantissimo centro universitario dove sta nascendo la nuova scienza; stringe amicizia e condivide la casa con uno dei protagonisti di questa svolta, il medico Gabriele Falloppio. La querelle con Mattioli inizia nel 1556 con una lettera privata a Gessner in cui Guilandino solleva - in tono sferzante - critiche a "quel Dio dei botanici" e alle sue identificazioni; nonostante gli inviti alla moderazione dello svizzero, la lettera viene data alle stampe, in De stirpium aliquid nominibus vetustis ac novis (1557), insieme ad altri scritti in cui Mattioli è esplicitamente chiamato in causa. Il senese per ora incassa: corregge gli errori nella nuova edizione dei Commentarii e risponde con una lettera, non al "cane arrabbiato barbaro Borusso" ma "all'Eccellentissimo S.or Gabriele Falloppia a cui sta in casa, acciò che lo corregga della sua temerarietà e poltroneria". Nel 1558 Guilandino rincara la dose con Apologiae adversus Petr. Andream Mattheolum liber primus, in cui si esaminano cento errori contenuti nell'opera di Mattioli, accusato di non sapere né il greco né il latino e di aver plagiato i grandi botanici del tempo, senza aggiungere una riga di novità. Dopo una seconda lettera senza risposta a Falloppio - questa volta privata - l'infuriatissimo Mattioli si convince che dietro all' "infame bestia", al "tristo furfante, mal nato e peggio allevato" ci fosse proprio Falloppio. Visto il silenzio dell'anatomista, concluse: "non potrò credere altrimenti se non che voi siate stato la balestra e egli il bolzone" (ovvero, Guilandino era stata la freccia, ma Falloppio la balestra che l'aveva scagliata). Ma nel frattempo Guilandino parte per l'Oriente, deciso a sfruttare i contatti e la rete diplomatica veneziana per esplorare dal vivo le piante del Mediterraneo orientale e del nord Africa, ponendosi come meta finale le favolose Molucche. Mattioli saluta con sollievo la sua partenza, augurandogli addirittura che i turchi "lo puniscano con un palo", e non manca di cercare di danneggiarlo, inviando una lettera piena di malignità al figlio di Marino Cavalli, all'epoca Bailo veneziano a Costantinopoli. Non conosciamo nei dettagli il viaggio di Guilandino in Oriente, tranne che, ottenuto un salvacondotto da Solimano il Magnifico grazie a Jean de la Vigne, ambasciatore della Francia a Costantinopoli, cercò di raggiungere la Persia, ma dovette tornare indietro a causa della guerra; toccò quindi il Turkmenistan, la Siria, la Palestina, l'Egitto. Qui si imbarcò alla volta della Sicilia e, da qui, per Lisbona (con l'idea di cercare un passaggio per l'India), ma la nave fu catturata dai corsari algerini. Condotto ad Algeri, fu venduto come schiavo e rimase in cattività nove mesi, finché l'amico Falloppio, conosciuta la sua sorte, si recò in Grecia e lo riscattò per l'ingente somma di duecento scudi. Le avventure non erano finite: la nave che doveva riportarlo in Italia fece naufragio e Guillandino si salvò a stento. Fu soccorso da alcuni nobili genovesi e nel 1561 era di nuovo a casa. Ma in queste vicissitudini tutti gli esemplari, tutti i preziosissimi appunti erano andati perduti. Curatore dell'Orto e Ostensore dei semplici Ma torniamo a quel 20 settembre 1561 in cui Guillandino diventa curatore dell'Orto: nella sua nomina contano la protezione di Marino Cavalli; la fama di grande erudito; la conoscenza delle piante orientali acquisita nello sfortunato viaggio; la provenienza da quel mondo tedesco che con Fuchs, Bock, Cordus e Brunfels era all'avanguardia nella scienza botanica. Nel 1564, all'incarico di curatore unisce la docenza, con il titolo di "Ostensore dei semplici". E' una cattedra innovativa, non basata sulla lettura del testo di un'autorità (in particolare Dioscoride, l'argomento principale delle cattedre di Materia medica); è piuttosto un laboratorio pratico che parte dalle piante vive coltivate nell'orto botanico; e per questo, le lezioni non si terranno ex catedra nella sede universitaria di palazzo Bo, ma proprio in mezzo alle aiuole. E' la prima cattedra di botanica della storia. Nel 1567, quando Bernardino Trevisan lasciò l'incarico "teorico", i due insegnamenti furono riuniti e affidati entrambi a Guilandino, che continuò - nonostante qualche mugugno - a tenere le sue lezioni all'aperto, nella sede dell'Orto, fino alla morte, avvenuta nel 1589. Tralasciando la seconda puntata della polemica con Mattioli - il combattivo borusso pubblicò una seconda serie di accuse in uno scritto del 1562 - che per fortuna con gli anni e i crescenti impegni di entrambi i contendenti si andò affievolendo, nei suoi ventitré anni di gestione il nostro tedesco italianizzato fece dell'Orto padovano una delle istituzioni scientifiche più importati d'Europa. Si deve a lui la trasformazione delle collezioni, da giardino dei semplici, destinato essenzialmente alla coltivazione delle piante medicinale, in giardino botanico che accoglieva le piante rare ed esotiche che grazie alle esplorazioni geografiche, ai viaggi e ai commerci affluivano sempre più numerose in Europa. Da una parte, Venezia, con quanto rimaneva dello "Stato de Mar", era in ottima posizione per fare da tramite tra l'Europa e il Levante; dall'altra, Guiladino seppe costruire una rete di contatti e scambi con altri importanti studiosi europei. Fu per questa via che arrivarono a Padova il bulbocastano (Bunium bulbocastanum), oggetto - tanto per non smentirsi - di una polemica con Mattioli, i tulipani, i lillà. Non abbiamo cataloghi per quest'epoca, ma sappiamo che nel 1591, due anni dopo la morte del nostro, le specie coltivate nell'Orto erano 1200. Migliorò anche l'irrigazione, facendo costruire una prima canalizzazione che deviava le acque di un fiumicello; e riuscì a convincere i Rettori ad assumere un secondo giardiniere. Alla sua morte, lasciò la sua copiosa biblioteca alla Repubblica di Venezia; ancora oggi, a margine dei libri che gli sono appartenuti, si possono leggere i suoi feroci commenti a quelli che riteneva svarioni dei colleghi: Error, Falsum, Falsa Omnia (e passando al volgare "Questa è una coglionaria", "Animalaccio"). Una sintesi della sua vita nella biografia. Guilandina, una spinosa arrampicatrice All'ipercritico prussiano Linneo nel 1747 in Flora zeylanica dedica il genere Guilandina, poi confermato in Species Plantarum (1753). Ma, evidentemente, le polemiche devono essere nel suo destino: in uno studio del 1973, Guilandina è stato declassato a sottogenere di Caesalpinia; da allora, i botanici si sono rimpallati la classificazione: è un genere autonomo; no fa, parte di Caesalpinia, ma...; è un genere autonomo, però... Solo di recente (ottobre 2016) uno studio ha definitivamente risolto la questione, dimostrando, sulla base di dati molecolari, l'indubbia indipendenza del genere, anche se ne rimangono ancora incerti i confini (da sette a diciannove specie). Guilandina è un genere pantropicale della famiglia Fabaceae, appartenente alla tribù Caesalpineae e al gruppo informale Caesalpinia; comprende liane e arbusti sarmentosi armati di spine ricurve; i fiori sono unisessuali, anche se in alcune specie hanno l'apparenza di ermafroditi (ma con antere prive di polline). La caratteristica più interessante è data dai semi, duri e globosi, adatti a fluttuare sulle onde oceaniche, per essere dispersi a lunga distanza, il che spiega perché sia presente nei Caraibi, in Madagascar, in alcune isole della Polinesia, nel Sud est Asiatico, in Giappone. La specie tipo è Guillandina bonduc, una liana tropicale dai fiori gialli, spinosa, che si arrampica sulla vegetazione. Visto lo status ancora incerto di molte specie potenzialmente appartenenti a questo genere, taccio prima che dall'aldilà mi arrivi un Error, Falsum (e di peggio). Poche notizie in più nella scheda.
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Con un'operazione editoriale da manuale, il medico e umanista Mattioli e il suo editore fanno dei Commentarii a Dioscoride il libro scientifico più venduto del Rinascimento, oltre che uno dei più belli. Un'opera di successo che attira anche le polemiche, a cui il pugnace Mattioli risponde colpo su colpo. E dopo qualche vicissitudine, dà il suo nome a una pianta che non manca in nessun giardino. Un bestseller dal successo trionfale Non c'è dubbio che i Discorsi di Pietro Andrea Mattioli (ovvero il suo commento a Dioscoride) siano stati il più grande bestseller della scienza rinascimentale. In epoca in cui un libro che vendesse 500 copie era già un successo, l'opera del medico senese, nel trentennio tra la prima edizione e la morte dell'autore (1544-1578) nelle sue varie versioni ne vendette 32.000. Fu un successo senza precedenti, ricercato con tenacia, grazie all'autore, che ne fece un vero e proprio work in progress che ad ogni nuova versione si arricchiva di nuove piante e di note sempre più dettagliate; all'abile editore veneziano Valgrisi, che si giovava di una distribuzione in grado di raggiungere molti paesi europei; a potenti protettori, tra cui lo stesso imperatore. Nel Medioevo il De materia medica di Dioscoride non era stato dimenticato, ma circolava in versioni più o meno spurie. Con il Rinascimento e la nascita della scienza filologica, gli studiosi fecero a gara nel recuperare il testo originale, tradurlo, commentarlo: un enorme filone di studi che culmina proprio con l'opera di Mattioli. Egli iniziò a tradurre l'opera di Dioscoride intorno al 1541, aggiungendo al testo originale i suoi "discorsi" o commenti. La prima edizione (Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, & materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, con amplissimi discorsi, et comenti, et dottissime annotationi, et censure del medesimo interprete) esce a Brescia nel 1544 ed è già molto di più di una semplice traduzione, perché ogni voce è accompagnata da un ricco commento sull'identificazione del semplice (con "censure", ovvero critiche ai botanici che lo avevano preceduto), la descrizione, gli usi medici. Nel 1548, con la seconda edizione, inizia la collaborazione con Valgrisi e il libro, già molto accresciuto, si avvia a diventare quel monstre in cui le paginette di Dioscoride sono sopraffatte dal dottissimo e puntiglioso commento. Il successo è tale che lo stesso anno, a Mantova, esce un'edizione pirata arricchita da illustrazioni (rubate a loro volta a un erbario tedesco). Così Mattioli e Valgrisi capiscono che, se vogliono sfondare sul mercato europeo, l'opera deve essere illustrata, e, ovviamente, tradotta in lingua latina. Se poi si vuole battere la concorrenza tedesca - il magnifico De historia stirpium di Fuchs è del 1542 - le illustrazioni devono essere di ottima qualità. Il compito è affidato a un eccellente pittore udinese, Giorgio Liberale, che aveva qualche esperienza di illustrazione naturalistica avendo eseguito una serie di disegni di animali per l'imperatore Ferdinando I. Pur senza l'assoluta precisione delle tavole del libro di Fuchs, le 562 illustrazioni realizzate da Liberale sono di grande qualità estetica ed eleganza. L'edizione latina illustrata, ulteriormente accresciuta rispetto alla seconda italiana, esce nel 1554 (Petri Andreae Matthioli Medici Senensis Commentarii, in Libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de Materia Medica, Adjectis quàm plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore), ottenendo grandissimo successo e procurando ingenti guadagni allo stampatore. Quella fonte d'oro viene abilmente sfruttata nel decennio successivo con tre nuove edizioni tanto per la versione italiana (Discorsi) quanto per quella latina (Commentarii) e numerose ristampe, ciascuna con una tiratura media di tremila di copie (cifra eccezionale per l'epoca, quando una tiratura di 1000 copie era già rara e riservata a titoli "sicuri"). Ma intanto Mattioli è stato chiamato alla corte imperiale nelle vesti di medico cesareo; a Praga (in quel momento sede della corte) nel 1562 esce un'edizione ceca accompagnata da 810 xilografie molto più grandi ed eleganti di quelle delle edizioni Valgrisi, realizzate sotto la personale guida di Mattioli da Liberale e da Wolfgang Meyerpeck, un artista di Friburgo, coadiuvati da alcuni pittori della corte imperiale; di grande bellezza e virtuosismo tecnico, le xilografie di Liberale e Meyerpeck non mirano tanto all'accuratezza dell'illustrazione botanica, quanto alla trasformazione della natura in opera d'arte. Così, i Commentarii di Mattioli, oltre a imporsi come il libro di testo obbligatorio nelle facoltà di medicina di tutta Europa, diventano anche un ricercato oggetto di collezione. Le xilografie dell'edizione praghese vengono riutilizzate per l'edizione tedesca dell'anno successivo e nel 1565 Valgrisi le inserisce in una splendida edizione dei Commentarii, stampata su carta verde; un preziosissimo esemplare, colorato a mano e ornato d'oro e d'argento viene donato all'illustre protettore di Mattioli, l'imperatore Ferdinando I. Altre edizioni ancora seguiranno, a volte con le più maneggevoli illustrazioni della prima edizione latina, a volte con quelle più spettacolari dell'edizione praghese, con un successo destinato a durare ben oltre la morte dell'autore (1578). Le ragioni del successo Quali le ragioni di una riuscita tanto trionfale? La bellezza delle illustrazioni e l'accuratezza della veste grafica certo pesarono non poco; contò soprattutto l'enciclopedismo dell'opera, che ai contemporanei sembrava unire le conoscenze dell'antichità (da Dioscoride a Plinio a Galeno) con gli apporti della tradizione erboristica popolare e le acquisizioni della medicina rinascimentale. In effetti, nei Discorsi e nei Commentarii il testo di Dioscoride è solo un punto di partenza, un pretesto, sul quale Mattioli riversa tutte le sue conoscenze di filologo e studioso dell'antichità, di medico e di conoscitore delle piante. Alle scarne notizie del testo greco, Mattioli aggiunge puntigliose descrizioni di ciascuna pianta (a volte riconoscendo e discutendo diverse specie), l'indicazione dell'habitat, le virtù medicinali; non mancano le indicazioni pratiche e gustosi aneddoti. Inoltre. Mattioli non si accontentò di presentare le piante (e gli altri "semplici", animali e sostanze minerali) trattate da Dioscoride, ma aggiunse via via le nuove "stirpi" che arrivavano in Europa dalle Americhe e dal Vicino Oriente o che venivano scoprendo nella stessa Europa dai tanti botanici con i quali fu in corrispondenza. Egli stesso da giovane aveva erborizzato in Val di Non e sul monte Baldo. Il numero di piante trattate raddoppia dalle 600 descritte da Dioscoride alle 1200 delle ultime edizioni del Mattioli; centinaia di nuove piante vengono descritte per la prima volta (potremmo citare il pomodoro, il girasole, il lillà), facendo dell'opera un testo di consultazione irrinunciabile per ogni medico e botanico fino a Linneo e oltre. Non mancò anche una certa dose di "succès de scandale". Mattioli era un terribile polemista, sempre pronto alle "censure" - che occupano una parte non piccola dei Discorsi - ma poco disposto ad accettare qualsiasi rilievo. Ad Amato Lusitano che lo accusava di errori e plagi e al Guilandino (Melchior Wieland) che gli contestava errori di identificazione, rispose con veemenza, arrivando anche agli insulti. La polemica, soprattutto con Guilandino, si trascinò per anni. Vittima dei suoi strali fu anche il medico e botanico italiano Luigi Anguillara, che, forte dei suoi lunghi viaggi di esplorazione in molti paesi del Mediterraneo, aveva contestato - con molto garbo - alcune identificazioni; Mattioli lo attaccò con tale violenza che Anguillara, al tempo custode del Giardino dei semplici di Padova, fu costretto a dare le dimissioni. Altre notizie sulla lunga e complessa vita di Mattioli nella biografia. Da Matthiola, Rubiaceae, a Matthiola, Brassicaceae A quello che venne considerato - a torto o a ragione - il più grande autore di botanica del Rinascimento non poteva mancare la dedica di un genere. Ci pensò, al solito, Plumier che gli dedicò uno dei suoi nuovi generi americani, ricordando nella dedica sia la grande fama di Mattioli, sia le aspre polemiche in cui fu coinvolto (secondo Plumier, mordeva i suoi avversari "con il dente avvelenato", ma quelli gli rispondevano "con le corna pronte"). Il genere Matthiola (famiglia Rubiaceae) fu accolto e ufficializzato nel 1753 da Linneo, Mi sembra di sentire i miei amici botanici fremere: Matthiola un genere americano? Matthiola una Rubiacea? Calma, ragazzi, la storia non è finita. Quella Matthiola di Plumier e Linneo, risultò, non doveva essere considerata un genere a sé, ma rientrava nel genere Guettarda. E così il mordace Mattioli venne privato del suo genere eponimo. Ma nel paradiso dei botanici l'ottimo Anguillara non si rallegrò a lungo; nel 1812 Robert Brown (che con moto browniano ritorna puntualmente nelle nostre storie) sottopose a revisione il genere Cheiranthus e ne separò Matthiola (Brassicacae). Finalmente una pianta europea, nota a tutti, l'amata e diffusissima violacciocca. E Mattioli non aveva mancato di parlarne nei Discorsi: "Son fiori in Italia volgari agli horti, alle logge e alle finestre, alle mura e ai tetti; imperocché in tutti questo luoghi, or in testi ("vasi"), or in cassette le molto curiose donne per la bontà del loro odore, e per la vaghezza ("bellezza") del colore diverso loro, le coltivano per le ghirlande". Identificò la violacciocca con il Leucojum ("viola bianca") di Dioscoride, senza insospettirsi del fatto che secondo il testo greco ne esistono varietà bianche, rosa, gialle e azzurre, pur aggiungendo che la varietà azzurra in Italia non si trova. Non sappiamo a quale pianta corrispondesse il Leucojum di Dioscoride (anche perché il testo greco non la descrive in quanto "nota a tutti"), ma l'identificazione di Mattioli è certamente errata (Anguillara dal cielo applaude); tuttavia ha lasciato traccia nella lingua ceca (ricordate l'edizione di Praga?), dove anche oggi la violacciocca si chiama levkoje. Il nome violacciocca designa due piante diverse per colore ma altrettanto frequenti nei giardini: la violacciocca rossa, cioè Matthiola incana (ma ce ne sono anche varietà bianche, rosa, violette), annuale o biennale, e la violacciocca gialla Erysimum (= Cheiranthus) cheiri, perenne; Mattioli infatti non manca di notare che i medici e farmacisti arabi la chiamano cheiri. Il genere Matthiola comprende una cinquantina di specie del Vecchio mondo, dall'Europa mediterranea alla Turchia e all'Afghanistan. Endemica dell'isola di Madera è Matthiola maderensis, che ho avuto la fortuna di trovare in fioritura e fotografare qualche anno fa, proprio il giorno di Natale, sulle rocce della Ponta de São Lourenço. Altre notizie sul genere Matthiola nella scheda. Un oscuro domestico italiano, grazie all'occhio clinico che gli permette di riconoscere al volo le piante, diventa l'aiutante di tre illustri botanici: E. J. Smith, Afzelius e Sibthorp. Morto a soli 25 anni in seguito a un misterioso incidente, conoscerà un'inattesa fortuna postuma, prestando il suo nome a uno dei principali generi della flora australiana. E non solo a quello... Un misterioso incidente e una leggenda metropolitana "Poor Borone is no more!" ("Il povero Borone non c'è più"). Con queste parole inizia l'accorata lettera con la quale il botanico John Sibthorp riferisce all'amico Edward James Smith la morte del suo assistente, il giovane Francesco Borone. Abbiamo già incontrato questo nome nel post dedicato a Afzelius che Borone accompagnò nel primo viaggio in Sierra Leone. Francesco (spesso chiamato familiarmente François) era un ragazzo milanese che Smith aveva incontrato a Milano durante il suo grand tour europeo. L'aveva assunto come domestico e l'aveva portato con sé in Inghilterra. Notandone il particolare acume nel riconoscimento delle piante, lo aveva avviato all'amore della botanica. In seguito, legato da sincero affetto al giovane italiano, che i contemporanei descrivono dotato di intelligenza naturale ("formato alla scuola della natura", dirà di lui la poetessa Elizabeth Cobbold), desideroso di apprendere, coraggioso, fedele e amabile, Smith decise di promuoverne l'ascesa sociale, inviandolo in Africa come assistente di Afzelius (un ruolo a metà tra il domestico e l'aiutante scientifico). Tuttavia in Sierra Leone Francesco si ammalò quasi subito; anche se superò la malattia, rimase soggetto a intermittenti attacchi di malaria. Poco dopo il rientro dall'Africa, nel 1794 Smith lo raccomandò al botanico di Oxford John Sibthorp che si accingeva a una seconda spedizione in Grecia, per completare la sua splendida Flora Graeca. Fu un viaggio complicato dalla guerra con la Francia, dalle precarie condizioni di salute dello stesso Sibthorp, persino da un'incursione di pirati. Ma niente faceva presagire l'improvvisa morte di "poor Borone". Dopo aver visitato l'Asia minore, diverse isole, la Grecia settentrionale e il monte Athos, alla fine di ottobre il gruppo dei botanici inglesi (formato, oltre che da Sibthorp e Borone, dal suo amico Hawkins e dai due servitori di quest'ultimo) si riposava ad Atene, prima di affrontare l'esplorazione del Peloponneso. Fin dalla partenza da Costantinopoli, all'inizio dell'estate, Borone soffriva di febbri intermittenti, ma sembrava si fosse rimesso e quel giorno era particolarmente allegro: durante la serata aveva cantato, accompagnato alla chitarra da uno dei servitori di Hawkins. Poco dopo mezzanotte, il gruppo fu svegliato dalle grida del giovane. Il servitore che dormiva nella stanza con lui fu il primo ad accorrere: Francesco era caduto dalla finestra della stanza e giaceva in strada. I soccorsi furono inutili; dopo pochi minuti morì. Come era potuto accadere? La finestra da cui il giovane era caduto era stretta e si apriva a quasi mezzo metro dal pavimento; per raggiungerla, prima aveva dovuto salire su una scatola che si trovava lì vicino. Secondo Sibthorp, tutto ciò doveva essere avvenuto nel sonno; un'altra possibilità è che, indebolito e confuso dalla febbre, avesse scambiato questa finestra con un'altra che dava sul terrazzo, di cui era solito servirsi. L'ipotesi di una morte volontaria non viene menzionata. In ogni caso, la tragica morte del giovane assistente botanico (aveva appena 25 anni) destò grande commozione, tanto che la poetessa Elizabeth Cobbold gli dedicò una poesia. Attorno al misterioso episodio è anche sorta una piccola leggenda metropolitana; nel 1895 il botanico Joseph Maiden nel suo Flowering Plants and Ferns of New South Wales, scrive che Borone trovò una pianta "di difficile accesso e nonostante gli avvertimenti del dottore [= Sibthorp], perse l'equilibrio e rimase ucciso". Il pur autorevole sito Jstor-Edit History invece scrive: "rimase ucciso in una caduta accidentale da una finestra presumibilmente mentre cercava di raccogliere una pianta". Ma il massimo lo raggiunge la scrittrice australiana Myrtle Rosa White che nel suo No Roads Go By sostiene che si uccise nel tentativo di raccogliere... una boronia, mentre studiava la flora dell'Australia occidentale. Devo queste notizie sulle leggende attorno alla morte di Borone all'eccellente blog del naturalista australiano Ian Fraser. Aggiungo al florilegio un sito italiano in cui leggo "Riceve il nome di Boronia in onore al suo scopritore: Pranis Borone, botanico italiano che morì a 26 anni" (Pranis sarà uno strano refuso per la versione inglese del nome, Francis). E pensare che per una volta abbiano un'autorevole fonte di prima mano, la lettera di Sibthorp a Smith, scritta subito dopo i fatti! Boronia, croce e delizia dei giardinieri Quanto a James Edward Smith, non solo scrisse un epitaffio in versi per il suo protetto, ma volle perpetrarne il nome offrendogli "l'unica gloria possibile per un botanico", come diceva Linneo. Poco dopo aver ricevuto la notizia della morte di Francesco, così scrive Smith a un amico, il botanico svizzero Edmund Duvall: "Voglio dedicargli un genere, come martire della botanica, e cercare di rendere giustizia ai suoi meriti quanto prima nella Botany of New Holland". Smith allude al suo A Specimen of the Botany of New Holland, il primo libro dedicato alla flora australiana che egli andava pubblicato in quegli anni. In realtà pagò il suo debito qualche anno dopo, in Tracts Relating to Natural History (1798). Per ricordare lo sfortunato Borone Smith gli dedicò il nuovo genere Boronia (famiglia Rutaceae), di cui descrisse quattro specie dell'Australia sudorientale, appena scoperte da White. Con 100-150 specie, è uno dei più vasti generi endemici dell'Australia; presente in quasi tutto il territorio australiano, con maggiori centri di biodiversità a sudest e sudovest, comprende arbusti di piccole e medie dimensioni che crescono in foreste aperte e boscaglie luminose, molto attraenti grazie alla miriade di fiorellini a quattro petali in colori pastello; 4-6 specie (alcune delle quali un tempo erano assegnate al genere Boronella) sono originarie della Nuova Caledonia. Una caratteristica peculiare delle Boronia è la presenza di oli aromatici nelle foglie (del resto, appartengono alla stessa famiglia degli agrumi) e, in alcune specie, nei fiori. Oltre a trovare impiego nella produzione di profumi e di aromi per l'industria alimentare, in Australia alcune specie sono coltivate per il mercato dei fiori recisi. La Boronia è considerata la croce e delizia dei giardinieri: tanto desiderabile per la bellezza delle fioriture, la grazia del portamento, il profumo, quanto difficile da coltivare; e proprio come il suo dedicatario, è destinata a vita breve. Tuttavia è sempre più frequentemente disponibile, e sta conoscendo un crescente successo anche sul mercato italiano. Altre notizie nella scheda. Indirettamente, all'oscuro domestico italiano è toccata anche la sorte di dare il nome a una città: Boronia, sobborgo di Melburne, così battezzata nel 1915 grazie alle Boronia coltivate dal Consigliere che propose la denominazione, vivaista e coltivatore di fiori recisi. Una scelta non casuale, perché la cittadina era al centro di un'area floricola e ancora oggi molte delle sue vie portano il nome di piante. Insomma, la fortuna postuma di Borone è inversamente proporzionale a quella avuta in vita. Linneo è morto da quasi quindici anni e in Francia c'è la rivoluzione quando Adam Afzelius parte per l'ultimo viaggio degli apostoli. A un mondo che traballa, dove le sicurezze illuministe lasciano il posto alle rivoluzioni e al misticismo, come i discepoli di Linneo che lo hanno preceduto in giro per il mondo, oppone tenacia e dedizione alla scienza. E lascia il suo nome a un genere di splendidi alberi tropicali. Una patria per gli schiavi liberati Sono passati quasi vent'anni dallo sfortunato viaggio di Berlin in Africa, quando Adam Afzelius parte a sua volta per la medesima meta, la Sierra Leone. Proprio su suggerimento di Henry Smeathman, il compagno di viaggio di Berlin, il paese è stato scelto dagli abolizionisti britannici per creare una colonia dove trovino una patria e un rifugio gli schiavi liberati; nel 1792, il progetto si concretizza nell'emigrazione di un migliaio di neri e nella fondazione della capitale, Freetown. Per rendere economicamente produttiva la colonia, affrancandola dal commercio degli schiavi, è necessario inventariare le risorse naturali del paese e individuarne le potenzialità economiche. E' un compito delicato, da affidare a esperti naturalisti, in primo luogo a un botanico; William Wilberforce, uno dei membri più influenti della Sierra Leone Company, che finanzia l'impresa, chiede consiglio a Joseph Banks, che propone appunto la candidatura di Afzelius, l'ennesimo allievo di Linneo approdato a Londra, in quegli anni di fine secolo ormai definitivamente la capitale della botanica mondiale. In quel momento Afzelius non è certo un giovanotto di belle speranze. Quando ha lasciato la Svezia l'anno prima, aveva già più di quarant'anni e aveva percorso lo gavetta di una modesta carriera accademica; è giunto a Londra proprio a cercare l'occasione di una spedizione scientifica che gli dia fama e rilanci la sua carriera stagnante (a Uppsala è ormai l'era di Thunberg: difficile competere con un personaggio di quel calibro). Quasi contemporaneamente, gli viene offerto di partecipare all'ambasciata in Cina di Macartney, ma Afzelius opta per la Sierra Leone: forse perché è rimasto un territorio quasi ignoto alla botanica europeo, forse perché diversi svedesi - seguaci di Swedenborg -sono membri attivi del movimento abolizionista; uno di loro è August Nordenskiöld, l'alchimista finno-svedese assunto dalla Compagnia come geologo. Lui e Afzelius faranno il viaggio d'andata insieme; ma per il compatriota non ci sarà viaggio di ritorno: morirà dopo pochi mesi. Un altro dei suoi influenti amici britannici, quel James Edward Smith che aveva acquistato le collezioni di Linneo ed era diventato presidente della Linnean Society, gli procura anche un assistente: un giovane italiano, Francesco Borone, suo servitore, che ha rivelato un sorprendente acume per la botanica. L'importante è non arrendersi Dopo i canonici due mesi di navigazione, nel maggio 1792 Afzelius e Borone sono a Freetown; trovano molte tensioni politiche, una crisi degli alloggi e molte difficoltà a preparare e soprattutto a preservare le collezioni in mancanza di carta, alcool, scatole a tenuta stagna (come dirà spiritosamente Smith, la Sierra Leone è un paese umido e "molto insettifero"); all'inizio non hanno neanche la casa promessa loro dalla compagnia. Ma soprattutto tutti e due si ammalano, presumibilmente di malaria; tanto che dopo appena un anno tornano a Londra per curarsi. A marzo dell'anno successivo Afzelius, questa volta da solo, parte di nuovo per la Sierra Leone, con attrezzature più adatte, in buona parte fornite da Banks; oltre al suo lavoro per la compagnia, in pochi mesi riesce a raccogliere, classificare, preparare, impacchettare e spedire a Banks e Smith a Londra e a Thunberg a Uppsala due importanti collezioni di piante, semi, bulbi, insetti, conchiglie, ecc. Anche se si muove poco da Freetown (compie escursioni relativamente brevi nella penisola in cui sorge la città, del resto un'area di ricca biodiversità), si avvale di una notevole rete di raccoglitori indigeni da cui acquista gli esemplari e che interroga puntigliosamente sui possibili usi. In riva al mare, nella Susan's Bay, ha una piccola casa e un giardino sperimentale dove coltiva piante utili e ornamentali e alleva i piccoli animali vivi che gli procurano i suoi raccoglitori. Ha appena messo insieme una terza collezione, ancora più imponente, quando, nel settembre 1794, una flotta francese (siamo ai tempi della prima coalizione contro la Francia rivoluzionaria) attacca Freetown. La città viene saccheggiata, devastata, incendiata; Afzelius perde la casa, tutte le sue collezioni, i libri, gli strumenti scientifici, il giardino e, quel che è peggio, il suo diario di lavoro. Non ha più nulla, tranne il vestito che ha addosso. Senza una casa, senza materiali, senza strumenti, per qualche mese vive in condizioni drammatiche. Ma non appena dall'Inghilterra gli arriva qualche aiuto, si rimette al lavoro. Mentre aspetta che una nave lo riporti in Inghilterra (non è facile, dato lo stato di guerra), nel corso del 1795 esplora non solo la costa, ma anche l'interno e ricostruisce una nuova collezione naturalistica e etnografica (particolarmente notevole la collezione di frutti); infine, nel maggio 1796 si imbarca sulla Eliza diretta a Portsmouth. In seguito a una burrasca, le piante vive che porta con sé periscono, ma si salvano i diari e tutti gli altri materiali. Altre informazioni sulla sua lunghissima vita (morirà a 86 anni, salutato come il "Nestore della botanica" e curerà anche la pubblicazione dell'autobiografia di Linneo) nella biografia. Afzelia, legname pregiato e semi alla moda Poco dopo il suo rientro in Gran Bretagna, l'amico James Edward Smith gli dedicherà il genere Afzelia, scegliendo giustamente una delle piante raccolte dal botanico svedese in Sierra Leone, Afzelia africana. Afzelia (Fabaceae) comprende una dozzina di specie di notevoli alberi da legname, nativi delle foreste tropicali dell'Africa e dell'Asia; in Africa coprono un aerale molto vasto, che occupa la fascia forestale e le adiacenti savane, dalla Sierra Leone e dal Cameron fino alla Tanzania e al Sud Africa. Le specie asiatiche sono concentrate in Indocina, in Filippina e in Indonesia. Il legname delle specie africane è commercializzato con il nome doussié o doussie. Il più pregiato (doussie rosso) è fornito da A. africana e A. bipindensis; da A. pachyloba e A. quanzensis si ricava invece il doussie giallo o falso doussie. Per la bellezza, la durata e la stabilità, il doussie può essere annoverato tra i più pregiati legnami tropicali, paragonabile al mogano o al palissandro. Le afzelie sono alberi molto attraenti, con fiori papilionacei bianchi o rosati, spesso profumati, con un grande petalo dorsale eretto striato che può ricordare una farfalla (destinato ad attrarre le falene, i suoi insetti impollinatori). I semi bicolori di alcune specie, come A. quanzensis, vengono utilizzati come vaghi per bracciali e collane. Altre informazioni nella scheda. Andreas Berlin, uno degli ultimi apostoli di Linneo, con una borsa di studio va a Londra e entra nell'entourage di Banks. Ma anche lui sogna di partecipare a una spedizione scientifica; così non esita a partire per l'Africa per esplorare la quasi sconosciuta Sierra Leone. Ma ben presto scopre a sue spese che l'Africa può essere ben peggio della selvaggia e famigerata Lapponia di Lule. Un coleottero, una disputa e una spedizione scientifica Nel 1766, Mr. Ogilvie, il medico di bordo del vascello britannico Renown, alla fonda alla foce del Gabon, entra in possesso di un enorme insetto, trovato a fluttuare morto nelle acque del fiume. Quelli che oggi conosciamo come "scarabei golia" sono gli insetti più grandi della Terra, possono essere lunghi fino a 15 cm e pesare un etto; subito battezzato Goliathus goliatus da Linneo (1771), il mostruoso coleottero è al centro di una curiosa disputa tra collezionisti di curiosità naturali. Il medico lo vende a William Hunter, celebre anatomista e proprietario di un notevole gabinetto di curiosità; membro della Aurelian Society, un influente circolo di entomologi, egli presta l'esemplare a un altro socio, Emanuel Mendez da Costa, che sta curando una pubblicazione. A sua volta da Costa, dopo aver fatto ritrarre l'esemplare dal celebre disegnatore naturalista Moses Harris, trovandosi in difficoltà finanziare, senza alcuna autorizzazione, vende il disegno a Dru Drury, importante entomologo e a sua volta grande collezionista, che lo pubblica come fosse proprio, senza indicare il vero proprietario, Vedendo la sua generosità così mal ripagata, Hunter va su tutte le furie. L'episodio, oltre a dimostrare quanto grande fosse nell'Inghilterra del Settecento la rivalità tra collezionisti, è all'origine di una spedizione scientifica che coinvolge uno degli ultimi apostoli di Linneo, Andreas Berlin. Nel 1771 Drury, Harris, il medico John Fothergill, l'ornitologo Marmaduke Tunstall, desiderosi di assicurare alle loro collezioni prestigiose rarità, si associano per finanziare una spedizione naturalistica in Africa occidentale, una regione poco conosciuta dagli europei e quindi particolarmente adatta "ad offrire esemplari nuovi e rari dei tre regni della natura". Coinvolgono nel progetto anche il giovane Banks, appena rientrato dal viaggio dell'Endeavour, grazie al quale ottengono il sostegno della Royal Society. La spedizione è affidata al giovane naturalista Henry Smeathman, con l'assistenza appunto di Berlin. Quest'ultimo nel 1770 si era trasferito a Londra con una borsa di studio, nella speranza di unirsi a qualche spedizione botanica. Era quindi stato assunto come segretario da Banks, che lo aveva impegnato in compiti di scarso peso scientifico, come copiare in bella copia le descrizioni delle piante; come scrive in una lettera a Linneo, tuttavia, Berlin è incerto sul suo futuro: Banks e Solander al momento sono intenzionati a partecipare al secondo viaggio di Cook e inizialmente Berlin pensa di partire con loro. Quando il progetto salta, decide di accettare la proposta di Fothergill di accompagnare Smeathman in Africa; anche se l'obiettivo principale è la raccolta di insetti, la presenza di un botanico (materia poco nota a Smeathman) è un valore aggiunto. La meta prescelta è la Guinea. Abituato al terribile clima lappone, Berlin è convinto che se la caverà benissimo in Africa: "L'Africa non può essere peggio della Lapponia di Lule". Si sbaglia di grosso. Dopo due mesi di navigazione, Berlin arriva in Africa all'inizio di aprile 1773 e raggiunge Smeathman nelle Isole delle banane, un piccolo arcipelago a sud della Sierra Leone, che sarà la base iniziale della spedizione. E' stupefatto dalla ricchezza e dalla bellezza della natura africana, tanto da paragonarsi a un cieco che ha appena ricevuto la vista. Nell'unica lettera inviata a Linneo dall'Africa, gli racconta con entusiasmo che dopo un quarto d'ora d'escursione ha già trovato tre specie sconosciute; inoltre si è accordato con Smeathman di inviare al maestro un esemplare per ogni insetto che troveranno. Ma questi progetti non si realizzeranno mai: prima ancora di lasciare le isole per la terraferma Berlin si ammala gravemente di una febbre tropicale, presumibilmente di malaria, e a giugno muore. Qualche notizia in più nella biografia. La Berlinia e le sue sorelle La tragica vicenda di Berlin (che ha condiviso il destino di tanti altri discepoli di Linneo e in particolare del primo, quel Tärnström morto prima di raggiungere la meta) gli ha impedito di offrire particolari contributi alla scienza. Il condiscepolo Solander volle tuttavia ricordarlo dedicandogli il genere Berlinia, una leguminosa (Fabacea) africana di grande bellezza, tra i pochi esemplari vegetali che lo sfortunato naturalista era riuscito a raccogliere. Questo genere comprende una ventina di specie arboree o meno frequentemente arbustive esclusive delle foreste e delle boscaglie dell'Africa occidentale. Non è ancora ben conosciuto, tanto che recentemente - nel corso di uno studio finanziato dai Kew Gardens - ne sono state riconosciute tre nuove specie, tra cui la gigantesca B. korupensis, endemica del Parco Nazionale Korupe del Cameron, che può raggiungere i 40 metri; porta enormi baccelli che, quando sono maturi, esplodono, lanciando i semi a grande distanza. Nonostante diverse specie siano minacciate, questo alberi sono anche sfruttati per il legname, che viene commercializzato con il nome "ebiara" o (nei paesi anglofoni) Zebrawood per le evidenti venature scure. Dal genere Berlinia sono stati distaccati due generi affini: Microberlinia, che comprende due specie di alberi nativi del Cameron e del Gabon, anch'essi noti con il nome di Zebrawood; Isoberlinia, che comprende cinque specie originarie delle boscaglie aride dell'Africa tropicale, caratteristiche della formazione vegetale denominata miombo (boscaglia delle regioni aride, formata prevalentemente da alcune specie di leguminose). Le tre specie Berlinia, Isoberlinia, Microberlinia sono molto affini tra loro (le differenze sono così piccole da non essere riconoscibili quando le piante non sono in fiore e spesso sono confuse anche dalla popolazione del luogo); qualche informazione in più nelle rispettive schede. Per tutto il Settecento, nessun botanico europeo aveva potuto mettere piede in Giappone, chiuso agli stranieri dalla politica isolazionista del sakoku. L'impresa di infrangere quella cortina di ferro riuscì a uno dei formidabili apostoli di Linneo, Carl Peter Thunberg. Per riuscirci dovette farsi olandese. E mentre cambiava pelle e lingua, diede un ineguagliabile contributo alla conoscenza della flora e della fauna del Sud Africa. Come si diventa olandesi? Nel 1636, nella baia di Nagasaki venne costruita l'isola artificiale di Dejima (o Deshima). A forma di ventaglio, lunga 120 m e profonda 75, con una circonferenza di poco più di 500 m, questo luogo minuscolo per circa 200 anni sarebbe stata l'unica finestra del Giappone sul mondo; vi aveva infatti sede l'agenzia della Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC), l'unica ad essere autorizzata a commerciare con il Giappone durante il lungo periodo dell'isolazionismo, o sakoku. Qui nel 1775 giunse Carl Peter Thunberg, il più grande dei discepoli di Linneo. Per arrivarci, aveva già percorso una lunga strada e si era creato una nuova identità. Studente a Uppsala alla fine degli anni '60, nel 1770 aveva lasciato la Svezia per perfezionarsi in medicina e scienze naturali a Parigi, Leida e Amsterdam. In Olanda il suo talento fu notato da Johannes Burman (che oltre trent'anni prima aveva ospitato Linneo) e dal figlio Nicolaas, i quali progettavano di inviare in Giappone un medico-naturalista che arricchisse di nuove piante gli orti botanici olandesi; in effetti, nell'ultimo quarto del Settecento l'isolazionismo del Giappone si era fatto meno severo e, grazie all'importazione di numerosi libri scientifici in lingua olandese, vi era vivo l'interesse per le scienze occidentali, soprattutto l'erboristeria e la medicina. Un medico con una buona preparazione botanica sarebbe stato il benvenuto e avrebbe potuto ottenere piante in cambio di informazioni scientifiche. Ottimo medico e dotto naturalista della scuola linneana, Thunberg era il candidato ideale; tranne per un particolare: non era olandese. Non un ostacolo tale da impressionare né i Burman né l'avventuroso Thunberg: se non era olandese, avrebbe potuto diventarlo almeno abbastanza da apparire credibile a occhi e orecchie giapponesi. Sostenuti gli esami per essere assunto dalla VOC come chirurgo, avrebbe dovuto trasferirsi in Sud Africa, in modo da imparare la lingua e le abitudini olandesi soggiornando nella colonia del Capo. E ovviamente, mentre era sul posto, esplorare la flora e la fauna di quella ricca regione naturalistica. Linneo, sempre puntigliosamente informato dalle lettere dell'affezionato allievo, diede il suo assenso. Dunque nell'autunno del 1771 Thunberg partì per il Capo di Buona Speranza come medico di bordo della nave Schoonzigt. Il viaggio gli costò quasi la vita, per colpa di un cuoco maldestro che per errore mescolò biacca di piombo alla farina dei pancake della mensa ufficiali; ma fu anche un'occasione per dimostrare il suo acume scientifico, salvando se stesso e le altre vittime e descrivendo il decorso della malattia in una puntigliosa relazione. Il "padre della botanica sudafricana" Dopo la pericolosa avventura, Thunberg arrivò al Capo il 16 aprile 1772, appena una settimana dopo il condiscepolo Sparrman (come si è visto in questo post). In Sud Africa sarebbe rimasto tre anni durante i quali avrebbe esplorato sistematicamente le ricchezze naturali della regione. Il primo contatto con la flora sudafricana avvenne proprio in compagnia di Sparrman con il quale esplorò la baia del Capo, ma ben presto le strade dei due si divisero. Nonostante il nuovo governatore della Compagnia, Joachim van Plettenberg (a differenza del predecessore, Rijh Tulbagh, corrispondente di Linneo) fosse scarsamente interessato alle esplorazioni scientifiche e Thunberg fosse sempre a corto di denaro (si manteneva con il lavoro di medico della VOC e ottenne aiuto e prestiti da alcuni sponsor), egli riuscì a sfruttare al meglio la sua permanenza: ogni anno, dedicò il periodo settembre-dicembre (corrispondente alla primavera australe, la stagione delle piogge e il momento di massimo rigoglio della vegetazione) a una lunga spedizione naturalistica nell'interno; i mesi restanti erano utilizzati per raggranellare quattrini, riordinare le raccolte, scrivere le pubblicazioni scientifiche relative, compiere frequenti escursioni a breve raggio nei dintorni di Città del Capo (ad esempio, scalò la Table Mountain per almeno quindici volte). Nella prima spedizione (7 settembre 1972-2 gennaio 1773) Thunberg fu accompagnato da Johann Andreas Auge, il soprintendente dei giardini della Compagnia al Capo; dal sedicenne Daniel Ferdinand Immelmann, figlio di un ufficiale olandese; dal sergente dell'esercito Christian Hector Leonhard e da due "ottentotti" (ovvero Khoi). Dapprima si mossero verso occidente, fino alla base di Saldanha; quindi, dopo aver raggiunto le montagne, un grande giro verso est lungo l'altopiano li portò a toccare la costa a Mossel Bay. Qui si inoltrarono ancora verso est, toccando il punto più orientale al fiume Gamtoos. La spedizione si muoveva lentamente, pernottando nelle fattorie della compagnia con carri trainati dai buoi, più adatti dei cavalli ad affrontare la scarsità d'acqua. Al suo rientro a Città del Capo, Thunberg accompagnò in una breve escursione il naturalista francese Pierre Sonnerat, di passaggio in Sud Africa; ma soprattutto incontrò Francis Masson, il raccoglitore di piante inviato al Capo da Banks per conto dei Kew Gardens. I due, pur diversissimi per cultura e carattere, divennero amici e decisero di proseguire insieme l'esplorazione; in effetti, la collaborazione conveniva da entrambi: Masson aveva dalla sua una maggiore disponibilità di mezzi, Thunberg l'eccezionale competenza scientifica, oltre a una migliore conoscenza del territorio. Dopo un breve viaggio di prova, in cui insieme al capitano Gordon esplorarono le montagne intorno al Capo (13-16 maggio 1773), nel settembre 1773 i due, accompagnati da quattro khoi, partirono, per una lunga spedizione che si mosse grosso modo sulle tracce di quella precedente; tuttavia, spesso, mentre i khoi proseguivano con i carri per strade più battute e percorribili, i due naturalisti, a cavallo, affrontarono impervie scalate e passi disagevoli per esplorare la flora e la fauna delle montagne dell'altopiano. Impetuoso e talvolta imprudente, mentre guadava un torrente Thunberg rischiò di annegare nella profonda buca scavata da un ippopotamo, ma superò l'avventura con imperturbabile sangue freddo. Il punto estremo della spedizione fu questa volta il Sundays River. L'anno successivo i due amici si unirono per un'ultima spedizione (settembre-dicembre 1774) che si spinse all'interno, in direzione nord-ovest, per esplorare l'altipiano del Roggeveld, fino ad allora mai toccato dai naturalisti. Tra gli obiettivi anche la raccolta di campioni minerari. Anche se una parte delle collezioni andò perduta in seguito al ribaltamento di uno dei carri, anche in questo caso il bottino dei due amici fu ricchissimo. Durante la sua permanenza al Capo, Thunberg, raccoglitore estremamente accurato e coscienzioso, raccolse un'impressionante massa di esemplari botanici (ma anche animali, rocce, minerali, fossili): circa 3000 piante (ovvero il 30% delle specie dell'area), di cui almeno un migliaio ignote alla scienza. Insieme a numerosissime pubblicazioni più brevi dedicate a generi endemici della flora sudafricana, i suoi Prodromus plantarum capensium (1794-1800) e Flora capensis (1807-1823) furono per decenni i testi di riferimento per la conoscenza della flora sudafricana e gli guadagnarono il soprannome di "Padre della botanica sudafricana". Il "Linneo giapponese" Ma era tempo per Thunberg di lasciare il Sud Africa per la sua vera meta. Ora parlava fluentemente l'olandese (se ne servì anche per alcuni scritti scientifici) e degli olandesi aveva assunto anche le abitudini (ma non quella del fumo, che detestava). Nel marzo del 1775 si imbarcò come medico di bordo sulla Loo, diretta a Batavia, dove riuscì a farsi assegnare il posto di medico residente dello stabilimento commerciale di Dejima. Vi arrivò ad agosto a bordo della nave Stavenisse e vi rimase per circa quindici mesi (fino al novembre 1776). Agli europei era vietato lasciare l'isola (collegata alla terraferma da un ponticello strettamente sorvegliato e chiuso da una grata); così, all'inizio l'avventura giapponese di Thunberg fu estremamente frustrante. Le uniche piante che riuscì ad osservare erano quelle utilizzate come foraggio per il bestiame che gli olandesi tenevano sull'isola. Tuttavia, grazie al suo carattere aperto e allegro, riuscì a stringere amicizia con alcuni degli interpreti giapponesi - alcuni dei quali erano medici o naturalisti - che gli procurarono esemplari in cambio di informazioni mediche e scientifiche. Grazie ai suoi contatti giapponesi nel febbraio 1776 ottenne finalmente dal governatore di Nagasaki l'autorizzazione ad esplorare i dintorni, anche se sempre accompagnato da uno stuolo di interpreti, guardie e domestici, a cui era obbligato ad offrire il tè a proprie spese in ogni punto di sosta. Ogni anno, in occasione del Capodanno giapponese, il capo dell'agenzia olandese si recava ad Edo (l'odierna Tokio) per rendere omaggio allo Shogun. Nel 1776 della delegazione fa parte anche Thunberg; durante il lungo e lento viaggio di circa 1000 km - gli ospiti europei sono trasportati in lussuose portantine - può così osservare gli usi e i costumi del paese e raccogliere numerosi esemplari botanici; unico rammarico: i contadini giapponesi sono coltivatori così solerti che difficilmente nei campi si trovano erbacce. Dopo aver toccato Osaka e Miyako (oggi Kyoto), ad aprile la delegazione arriva a Edo. Qui Thunberg è stato preceduto dalla sua fama di sapiente medico e incontra, tra gli altri, il medico personale dello Shogun, Katsuragawa Hoshu, che, insieme all'amico Nakagawa Jun-an, sta traducendo in giapponese un importante testo di anatomia; sono tre settimane di intensissimo colloqui scientifici su diversi argomenti, nel corso dei quali, tra l'altro, Thunberg avrà modo di introdurre in Giappone il mercurio per curare la sifilide. I due medici giapponesi - con i quali Thunberg rimarrà in contatto anche quando sarà rientrato in Svezia - gli procurano piante e lo informano sui loro nomi giapponesi; a sua volta, lo svedese riferisce i nomi olandesi e latini. Dopo essere stato ricevuto dallo Shogun il 18 maggio, il gruppo riparte per Nagasaki; a Osaka Thunberg trova un piccolo giardino botanico dove acquista diverse piante che poi spedirà a Amsterdam in tinozze piene di terra. Il 29 giugno è di nuovo a Deshima; durante l'estate, Thunberg, oltre a riordinare le collezioni raccolte durante il viaggio, ha modo di compiere diverse escursioni nell'area di Nagasaki. Il risultato del suo soggiorno giapponese sarà Flora japonica (1784), la prima descrizione sistematica della flora e della fauna del Giappone, un testo innovativo e influente, che gli guadagnerà il soprannome di "Linneo giapponese". Curiosamente, molte delle piante battezzate da Thunberg con il nome specifico japonica, non sono autoctone giapponesi, ma piuttosto piante orticole di origine cinese importate da secoli nel paese del Sol Levante. Altri approfondimenti su questa grande figura di naturalista nella biografia. Thunbergia, esuberanza tropicale Onorato in vita con numerosi riconoscimenti, Thunberg ha lasciato una profonda impronta nella nomenclatura botanica. Scopritore di dozzine di nuovi generi, ha tenuto a battesimo piante oggi comuni nei giardini come Deutzia, Weigela, Aucuba, Nandina, Skimmia. Sono almeno 250 le specie vegetali (e alcune animali) che lo onorano con l'epiteto thunbergii, thunbergianus. Si deve a un altro botanico svedese, Anders Johan Retzius, la dedica del genere Thunbergia (1780), la cui specie tipo è T. capensis, una delle numerose piante raccolte da Thunberg nella regione del Capo. Questo genere della famiglia Acanthaceae comprende un centinaio di specie di erbacee, arbusti, ma soprattutto rampicanti, originarie dell'Africa meridionale, del Madagascar e dell'Asia tropicale. Vigorose, di rapida crescita e molto decorative per l'esuberante fioritura, molte sono popolari piante da giardino, soprattutto dove il clima mite ne consente la coltivazione all'aperto. La più diffusa è probabilmente T. alata, nota con il curioso nome "Susanna dagli occhi neri" per i fiori dalle corolle aranciate o gialle con un caratteristico centro dal colore scuro. Di rapida crescita, è spesso coltivata come annuale anche in climi più rigidi. Di frequente coltivazione è anche T. grandiflora, nativa dell'India tropicale, una vigorosa rampicante sempreverde con grandi fiori blu-violetto. Per approfondimenti su altre specie si rimanda alla scheda. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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