Per gli uomini del Rinascimento nati al di là delle Alpi, adottare uno pseudonimo classico era quasi un obbligo, soprattutto se il loro nome suonava barbaro a orecchie latine: così Philipp Schwarzerdt divenne Filippo Melantone, e, tra i botanici, Hieronimus Bock divenne Tragus e Jakob Dietrich di Bergzabern si trasformò in Tabaernemontanus. Giunto a Firenze negli ultimi anni del regno di Cosimo I, anche il "simplicista" (ovvero esperto di piante medicinali) Jodocus de Goethuysen adottò un nome più pronunciabile da bocche italiane, facendosi chiamare Giuseppe Casabona o Benincasa. Grande raccoglitore di piante, è noto soprattutto per un viaggio che nel 1590 lo portò a Creta, dove fece importanti raccolte. Al suo ritorno divenne prefetto dell'orto dei semplici di Pisa. E fu appunto uno dei suoi successori, il botanico fiorentino Gustavo Savi, a celebrarlo con la dedica del genere Benincasa (Curcubitaceae). Un simplicista viaggiatore, dall'Italia a Creta Per i naturalisti del Cinquecento, l'Italia era la meta più ambita: era qui che i medici umanisti avevano riscoperto gli antichi, era qui che erano nati i primi orti botanici, era qui che una natura generosa elargiva tesori botanici a non finire, senza dimenticare che la penisola era anche il punto d'arrivo delle piante del Mediterraneo orientale, alcune delle quali vi si erano da lungo tempo naturalizzate. I collezionisti fiamminghi e tedeschi vi inviavano i loro emissari a cercare piante per arricchire i loro giardini; molti giovani medici venivano a perfezionarsi a Padova, o almeno a visitare i nuovi orti botanici, o magari ad erborizzare in luoghi presto celebri in tutta Europa come il Monte Baldo. Qualche "oltremontano", qualsiasi fosse il motivo che l'aveva portato in questa terra promessa della botanica, vi trovava lavoro e vi piantava radici. E' il caso del prussiano Melchiorre Guilandino, il secondo prefetto dell'orto patavino, e - con un percorso diverso - del fiammingo Jodocus Goedenhuyse (o Goethuysen), quinto prefetto di quello di Pisa. Non ne conosciamo la data di nascita e non sappiamo come e quando sia arrivato in Italia, forse adolescente. Al contrario di Guilandino, non era medico, anzi non possedeva una formazione né umanistica né universitaria: era un "pratico", un giardiniere e simplicista, ovvero erborista ed esperto di piante medicinali. Probabilmente intorno al 1570 (forse quindicenne) entra al servizio del nobile fiorentino Niccolò Gaddi, amico e consulente di Cosimo I per le sue collezioni d'arte, che possedeva un rinomato giardino noto come "paradiso dei Gaddi" per la ricchezza di piante e la raffinatezza degli ornamenti. Qui Goedenhuyse fa il suo apprendistato e incomincia a farsi chiamare con un nome meno ostico per bocche e orecchie italiane, Giuseppe Casabona, o anche Benincasa. Per incarico di Gaddi intraprende le prime escursioni botaniche che lo portano sul monte Pisano, nel Livornese e a Barga. Intorno al 1578, passa al servizio del granduca Francesco I, appassionato di chimica e arti sperimentali, lavorando dapprima nel giardino del Casino poi in quello detto "delle Stalle", ovvero nel giardino dei semplici fondato da Luca Ghini per Cosimo I. Ormai è un simplicista rinomato e per arricchire le collezioni ducali intraprende una serie di spedizioni sempre più a largo raggio: nell'estate-autunno del 1578 visita le Alpi Apuane, risalendo fino ai confini con la Liguria e il Piemonte; tra maggio e giugno 1579 è la volta di Grossetano, Argentario, Piombino e isola d'Elba, quindi nuovamente delle Apuane; nella primavera 1581 visita il Veneto (Padova, Bassano, Vicenza) spingendosi fino al Trentino; nell'estate 1583 un lungo giro lo vede in Garfagnana, nelle montagne del Parmense, sui colli Euganei, sul monte Summano, quindi a Padova e Venezia. Secondo Olmi, viene probabilmente anche coinvolto nelle "attività distillatorie" delle fonderie medicee, dove si producevano sostanze medicamentose sia per l'uso della famiglia granducale, sia come prestigiosi doni ai potentati d'Europa. Come abilissimo raccoglitore e scopritore di piante rare, che scambia all'occasione con altri studiosi (anche se sembra con una certa riluttanza) incomincia a corrispondere con naturalisti del calibro di Aldrovandi e Pinelli in Italia, Camerarius il giovane e Clusius al di là delle Alpi. Gli ultimi due lo mettono in contatto con il loro protettore Guglielmo IV di Assia-Kassel: forse non gli spiacerebbe passare al suo servizio, visto il misero stipendio e il crescente disinteresse per gli orti botanici da parte di Francesco I. Con l'ascesa al trono granducale di Ferdinando I, la sua situazione però migliora: il nuovo granduca fa costruire una comoda casa per il suo simplicista e la sua famiglia (sposato con una fiorentina, Casabona ne ha diversi figli) e il giardiniere-erborista fiammingo riprende a viaggiare, anche per rifornire i nuovi giardini di Villa Medici a Firenze: nell'estate del 1588 torna in Veneto per esplorare i monti dei territori della Repubblica, incluso il monte Baldo; tra i suoi accompagnatori, Girolamo Cappello, fratello della defunta granduchessa di Toscana Bianca, che gli fornirà l'occasione del viaggio a Creta. Nell'aprile 1590, lo troviamo all'orto botanico di Pisa, allora diretto da Lorenzo Mazzanga, forse impegnato in lavori che preludono al trasferimento nella nuova sede; nell'estate di quell'anno visita la Liguria, Monaco e Nizza, quindi si sposta a Venezia per affrontare il suo viaggio più importante: quello a Creta, ordinatogli dal granduca per "cercare le piante più eleganti e finora sconosciute in Europa e portarle a Firenze". Di passaggio a Padova, cerca di convincere il nipote di Camerarius, Joachim Jungermann, ad accompagnarlo. Ma il giovane tedesco (purtroppo per lui, visto che è destinato a morire mentre si reca a Costantinopoli) rifiuta. Casabona salpa da Venezia il 17 settembre 1590, imbarcandosi sulla nave che porta a Candia il nuovo governatore, appunto Girolamo Cappello. Durante il viaggio, esplora varie località costiere di Istria, Dalmazia e Albania, e il 22 novembre sbarca a Candia. Da quel momento, per quasi un anno, batterà l'isola in lungo e in largo, andando "per boschi et monti et circando simplici". Ne raccoglie più che può e alcuni li fa disegnare da Georg Dyckman, un mercenario tedesco al servizio della Serenissima che aveva qualche abilità artistica (ne rimangono 35 nel codice 464 conservato presso l'orto botanico di Pisa). Anche se l'erbario cretese non ci è giunto, siamo relativamente informati sulle sue attività grazie alle lettere inviate al granduca, a funzionari medicei, a diversi nobili personaggi di cui cerca i favori, ma soprattutto agli amici naturalisti Clusius, Camerarius e Aldrovandi. Di nuovo in Italia nel novembre 1591, l'anno successivo è nominato prefetto dell'orto di Pisa, anche se non è né medico né laureato: segno della grande stima in cui lo tiene il granduca, che gli affida il trasferimento delle piante nella nuova sede, quella attuale di via Santa Maria. Un lavoro spossante che si conclude nel 1595. Ne è testimonianza ancora il codice 464 che contiene 69 disegni a penna di attrezzi di giardinaggio e progetti di aiuole e labirinti. Casabona muore alla fine di quell'anno, dopo un ultimo viaggio autunnale in Corsica. Zucche d'Oriente Fu il botanico fiorentino Gaetano Savi, prefetto dell'orto di Pisa a partire dal 1814, a voler ricordare il suo antico predecessore con la dedica del genere Benincasa (una forma alternativa del cognome italianizzato del nostro, molto meno usata di Casabona). Questo piccolo genere della famiglia Cucurbitaceae comprende solo due specie di zucche, diverse per dimensioni e caratteristiche ma entrambe coltivate e consumate in Asia. B. fistulosa (sin. Praecitrullus fistulosus), nota con il nome indiano tinda, ma anche come zucca indiana, zucca o melone tondo indiano, zucca mela, nativa dell'India e della Tailandia, è una liana annuale con foglie profondamente dentate e molto pelose che produce piccole zucche quasi tonde dal diametro di 4-8 cm, molto popolari in India e Pakistan come ingredienti di curry e altri piatti salati; se ne consumano anche i semi. Più importante nella cucina orientale è B. hispida, nota come zucca cerosa o zucca invernale, forse originaria di Malaysia, Nuova Guinea, Australia orientale e delle isole del Pacifico, ma introdotta in Asia orientale già in epoca preistorica; è particolarmente popolare in Cina. Come le altre zucche, anch'essa è una liana annuale a rapida crescita, che può raggiungere i 6 metri, con grandi foglie intere con cinque lobi poco accentuati, grandi fiori gialli maschili e femminili, questi ultimi seguiti da grandi frutti ovoidali, allungati o cilindrici lunghi anche 80 cm. Sono ricoperti di peli ispidi e urticanti, che una volta eliminati lasciano il posto a una superfice lucida e cerosa. La polpa è bianca, croccante, ma quasi insapore. Si conserva per molti mesi, da cui il nome zucca invernale. E' l'ingrediente di innumerevoli piatti nelle cucine orientali, sia salati come zuppe e stufati, sia dolci; in Cina i canditi di B. hispida sono consumati nelle festività del Capodanno e costituiscono il ripieno tradizionale dei mooncake.
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Negli anni del regno di Rodolfo II, Praga è una delle capitali della scienza europea: l'eccentrico imperatore si circonda di maghi e alchimisti alla ricerca della pietra filosofale, possiede la Camera delle meraviglie più ricca d'Europa, affida l'organizzazione delle feste di corte al bizzarro pittore Arcimboldo, ma è anche il mecenate di due dei padri fondatori dell'astronomia moderna: Ticho Brahe e Keplero. Il castello di Hradčany è circondato da magnifici giardini che ospitano anche uno zoo dove c'è addirittura un esemplare di dodo. E' in questa atmosfera così vivace (cui metteranno fine prima la morte di Rodolfo nel 1612, poi - definitivamente - la Battaglia della Montagna bianca del 1620 che segna la ricattolicizzazione forzata e la perdita dell'indipendenza della Boemia) che opera il medico e botanico Adam Zalužanský ze Zalužan, che in Methodi herbariae libri tres è il primo a rivendicare l'indipendenza della botanica dalla medicina e a includere un capitolo sul sesso delle piante. Quando il suo paese fu travolto dalla Guerra dei trent'anni, fu dimenticato, tanto che finì per passare per polacco. A riscoprirlo, in epoca ormai preromantica, il botanico boemo Franz Willibald Schmidt, che gli dedica Zaluzianskya (Scrophulariaceae), seguito qualche anno più tardi da Peerson con Zaluzania (Asteraceae). Un medico umanista nella Praga di Rodolfo II Nella seconda metà del Cinquecento, sotto Ferdinando I, Massimiliano II e Rodolfo II, che vi sposterà la capitale, Praga si alterna con Vienna come sede della corte imperiale. Ed è così che per servire i loro illustri pazienti nella città boema arrivano alcuni dei più importanti botanici europei. Il primo è Mattioli, che nel 1555 si trasferisce a Praga come medico personale dell'erede al trono, l'arciduca del Tirolo Ferdinando, governatore della Boemia. Il botanico senese vi rimane fino al 1571 e soprattutto vi pubblica (1562) l'edizione ceca dei Commentarii, con le spettacolari xilografie di Meyerpeck e Liberale. Poco dopo il ritorno di Mattioli in Italia, è la volta di Rambert Dodoens, che nel 1574 viene nominato medico di Massimiliano II e nel 1576, dopo la morte di questi, segue il suo successore Rodolfo II a Praga. Il suo soggiorno termina meno di un anno dopo, con il rientro nelle Fiandre; ma è possibile che egli sia stato coinvolto nella progettazione dei giardini all'italiana che circondano il palazzo del Belvedere a Hradčany. Giardini con i quali non vuole invece avere niente a che fare Carolus Clusius, visto che Rodolfo ha fatto radere al suolo l'orto botanico di Vienna per sostituirlo con un maneggio, ordinando di trasferire le piante più preziose appunto a Praga, insieme alle tante bizzarrie che rendevano la sua Wunderkammer la più ricca d'Europa. E' noto a tutti i visitatori di Praga che l'imperatore era affascinato dalla magia e si circondava di maghi ed alchimisti; ma se non mancavano i ciarlatani, tra i suoi protetti s'erano anche il filosofo Giordano Bruno (egli stesso cultore di magia) nonché Ticho Braho e Keplero, astrologi di corte ma per noi soprattutto padri fondatori della moderna astronomia. Non parliamo poi degli artisti e della ricchissima collezione d'arte, la più importante d'Europa, con capolavori che si contavano a centinaia. Insomma, un'atmosfera eccezionalmente aperta e stimolante per il giovane Adam Zalužanský ze Zalužan (1555/1560-1613) che arriva a Praga intorno al 1580. Nato a Mnichov Hradiště, dove il padre era un funzionario al servizio della potente famiglia Vartenberk, dopo aver studiato alla scuola utraquista (la fazione moderata degli ussiti) della città natale e a Wittenberg, nella capitale boema consegue il baccalaureato. Più che gli studi classici offerti dall'Università praghese, ad attirarlo sono la medicina e le scienze. Riparte dunque per Helmstedt in Sassonia dove segue i corsi prima di artes poi di medicina. Forse prima di tornare in patria passa anche dalle Fiandre, dove approfondisce la conoscenza dell'opera di Dodoens. In ogni caso intorno al 1587 lo ritroviamo a Praga come professore universitario; non a insegnare medicina, che continua a mancare, ma latino e greco; è infatti versatissimo nelle lingue classiche, e per di più un acclamato poeta in lingua latina (si firma Adamus Matthiades Hradstenus). Come abbiamo visto, sono gli anni in cui Praga è una capitale della cultura, e non mancano i cultori di scienze naturali, come il nobile Petr Vok z Rožmberka, che lo ospita nella sua residenza di Netolice, dove possiede un giardino con piante rare ed esotiche. E' qui che Adam Zalužanský può dedicarsi agli studi sulle piante che confluiranno in Methodi herbariae libri tres (1592), puntualmente dedicato al suo mecenate. Intanto la sua carriera universitaria procede a gonfie vele e nel 1593 è eletto rettore. Ai professori è vietato sposarsi, ma le letture di greco di Zalužanský sono così seguite e popolari che riesce a convincere il senato accademico a fare un'eccezione per lui e nel 1594 si sposa. Ma ben presto le autorità accademiche, temendo di aver creato un precedente, si rimangiano la promessa e Zalužanský è costretto a lasciare l'insegnamento. Apre una propria farmacia, scrive un prontuario farmaceutico e dopo qualche anno riesce addirittura a divenire supervisore di tutte le farmacie praghesi. Si fa anche un nome come medico caritatevole in occasione dell'epidemia di peste che imperversa in città tra il 1598 e il 1599. Nel 1609 Rodolfo intraprende una riforma dell'Università e Zalužanský viene chiamato a far parte della commissione riformatrice. Spera di assumere la cattedra di medicina nell'università rinnovata, ma negli ultimi giorni del 1613 muore nell'ennesima epidemia di peste. Rodolfo l'ha preceduto di quasi due anni, nel gennaio 1612. Nuove strade per la botanica La Boemia, e poi tutta l'Europa, stanno per essere travolte dalla Guerra dei Trent'anni, che disperderà le collezioni di Rodolfo e farà dimenticare Adam Zalužanský e Methodi herbariae libri tres, un'opera che avrebbe meritato di essere più conosciuta per il suo contenuto assai originale e innovativo. Grazie alla sua perfetta conoscenza del greco e del latino, Adam Zalužanský conosceva bene le opere degli antichi, ma si teneva al corrente degli apporti dei suoi contemporanei, in particolare Mattioli e i fiamminghi Lobel e Dodoens. Tuttavia Methodi herbariae libri tres non né un erbario come quelli di Brunfels, Bock e Fuchs, né un commento a Dioscoride come quello di Mattioli, né una fusione tra le due cose come le Pemptades del pur ammiratissimo Dodoens. E neppure un catalogo enciclopedico di tutte le piante note come sarà il Pinax di Caspar Bauhin. Come dice il titolo è un metodo, un'opera teorica che cerca di gettare le basi di una nuova scienza, la botanica. Significativi anche i titoli dei due primi libri, che alludono in modo trasparente alle due opere botaniche di Teofrasto, che, come vedremo meglio tra poco, è il vero punto di riferimento di Zalužanský . Il primo libro, Aethiologia plantarum ("Cause delle piante"), prende le mosse dalla decisa rivendicazione dell'autonomia della scienza delle piante dalla medicina. E' consuetudine, scrive il medico boemo nella pagina d'apertura, collegare la medicina all'herbaria (è così che chiama la scienza delle piante); ma ogni scienza deve essere tenuta distinta dal suo uso, ed è sbagliato studiare le piante dal punto di vista della utilità per gli uomini (res humanae); l'oggetto di ogni scienza è la cosa in sé, ipsa rerum natura. Subito dopo Zalužanský rivendica la propria continuità con Teofrasto (l'unico, in effetti, ad avere studiato le piante come "cosa in sé") e polemizza contro Plinio, che ha "usurpato" la scienza delle erbe riducendola a repertorio di piante medicinali. Il primo libro prosegue definendo gli ambiti della nuova scienza; in termini moderni, la morfologia, la fisiologia, l'ecologia, la fitopatologia, ecc. Di particolare interesse il cap. XXIII, De sexu plantarum. Probabilmente congiungendo ciò che leggeva negli antichi (la differenziazione sessuale delle piante dioiche come le palme era nota a Teofrasto e Plinio) con le proprie osservazioni, afferma che le piante hanno organi maschili e femminili, talvolta sulla stessa pianta, talvolta in piante separate. E nel capitolo successivo collega i fiori con la riproduzione delle piante. Che è molto di più di quanto abbia compreso ogni altro botanico prima di Nehemiah Grew, che scrive quasi un secolo dopo. E' vero che anche Prospero Alpini (per coincidenza, sia Methodi herbariae libri tres sia De plantis Aegypti sono stati pubblicati nel 1592) ha osservato la separazione dei sessi in Phoenix dactilifera, ma le sue considerazioni si limitano a questa specie, senza giungere a conclusioni generali. Il secondo libro, De historia plantarum, contiene un sistema di classificazione delle piante. E anche qui non mancano gli elementi originali: anziché procedere dall'alto verso il basso, ovvero dagli alberi fino alle erbe, Adam Zalužanský va dal semplice al complesso, iniziando da un gruppo fino ad allora negletto, i funghi (cap. II), per la prima volta riconosciuti come a una categoria a sé. Seguono i muschi (cap. III) - categoria nella quale troviamo anche le alghe, i licheni e addirittura i coralli. La trattazione di quelle che per noi sono le piante vascolari inizia con le graminacee (Arundinacei, cap. IV), prosegue con le erbacee, per passare alle sarmentose (dal Cap. XVI), alle palme (Cap. XVIII) e concludersi con gli alberi (Cap. XIX-XXI). Poiché il suo metodo è essenzialmente basato sull'osservazione fisiognomica e non adotta precisi criteri distintivi, i gruppi identificati sono spesso incoerenti ed eterogenei; in compenso è stato un pioniere dell'uso delle chiavi dicotomiche, usate come guida per classificare e discriminare gruppi che corrispondono grosso modo ai nostri generi. Il brevissimo terzo libro (una decina di pagine), De exercitio plantarum, è dedicato all'esposizione del metodo di analisi delle piante; vi leggiamo anche un elenco degli autori nei cui confronti il medico boemo si sente più debitore. Insomma, Methodi herbariae libri tres è un libro di estremo interesse, ed è un peccato che non abbia avuto il seguito che meritava; destino dovuto alle vicende storiche che, pochi anni dopo la morte dell'autore, hanno relegato ai margini Praga e la Boemia, al suo tempo centro della vita cultura e scientifica europea. Un lungo oblio e due generi esotici Zalužanský e il suo libro vengono sostanzialmente dimenticati. Nel Seicento è citato tra i riferimenti bibliografici in soli tre testi: il Pinax di Caspar Bahuin (1623), le Tabulae Phytosophicae di Federico Cesi (1651) e De scriptis medicis di van der Linden (1662). Il quarto a citarlo e ad averlo per lo meno sfogliato è proprio Linneo, in Bibliotheca botanica (1736): lo colloca tra i Sistematici eterodossi e ne giudica il sistema di utilità molto relativa. Nella seconda metà del Settecento, con l'accresciuto interesse per la sistematica, viene parzialmente riscoperto, ma lo si conosce così poco che diventa... polacco. A creare l'equivoco è il belga Noël Martin Joseph Necker, pioniere dello studio dei muschi, che lo legge con attenzione e nella sua Physiologia muscorum (1774) scrive di lui: "Il polacco Zaluzianski, se non erro, fu il primo a distinguere la differenza sessuale nelle piante, sia maschili, sia femminili, sia androgine, sia ermafrodite". L'errore persisterà per tutto l'Ottocento, anche se, con la rinascita dei sentimenti nazionali, Zalužanský ha già incominciato a rioccupare il posto che gli spetta come padre fondatore della botanica boema. Prima che sia posto tra i grandi della scienza patria sulla facciata del Museo nazionale di Praga, il primo omaggio arriva da un altro botanico boemo, Franz Willibald Schmidt, che nel 1793 gli dedica il genere Zaluzianskya. Nel secolo successivo le dediche si moltiplicheranno, con vari generi illegittimi e un secondo genere valido, Zaluzania, creato da Christian Hendrik Peerson nel 1807. Con questi due generi, dalla Praga di fine Cinquecento ci spostiamo in altri continenti. Zaluzianskya (Scrophulariaceae) ci porta nell'Africa meridionale, con una cinquantina di specie, in gran parte endemiche del Sud Africa; hanno fiori che possono ricordare quelli dei phlox, bianchi o in colori pastello; alcuni fioriscono di giorno, ma i più speciali sono quelli che si aprono di sera per chiudersi al mattino: per tutta la notte emanano un forte profumo, per attirare gli impollinatori, per lo più sfingidi dalla lunga proboscide. Ed è proprio con il nome (tassonomicamente arbitrario) di Night scented phox che viene chiamata l'unica specie relativamente disponibile in Europa, Z. ovata, un'erbacea perenne sempreverde che produce profumatissimi fiori bianchi con cinque petali profondamente lobati. Con Zaluzania, della famiglia Asteraceae attraversiamo l'Oceano per andare in Nord America: ad eccezione di una specie, che vive anche lungo la frontiera degli Stati Uniti, le sue circa dodici specie sono tutte endemiche del Messico, dove crescono in ambienti generalmente piuttosto aridi tra 1700 e 4000 metri d'altitudine. Sono erbacee perenni o suffrutici, talvolta piuttosto alti, con attraenti capolini "a margherita" solitamente gialli, che in alcune specie ricordano da vicino quelli del topinambour, Helianthus tuberosus; del resto entrambi i generi appartengono alla tribù Helianteae. Tra le specie più notevoli, Z. augusta, piuttosto comune in tutto il paese, anche lungo le strade, nei terreni disturbati o nelle macchie xerofile; è un arbusto con foglie pelose e aromatiche (l'odore ricorda quello dell'abrotano) e capolini gialli larghi 2-3 mm, raggruppati molto numerosi in grandi infiorescenze corimbose. Z. grayana, la specie appunto che si trova anche in Arizona e New Mexico, è invece un suffrutice eretto di dimensioni molto minori, con foglie trilobate e capolini solitari, dal diametro di circa due cm: cresce in luoghi rocciosi, incluse le pareti dei canyon. Non c'è dubbio che, tra i botanici che hanno avuto l'onore di ricevere la dedica di un genere da Linneo in persona, a fare le parte del leone siano i medici e cattedratici tedeschi. Del resto, in quel mosaico di città libere e di principati laici ed ecclesiastici che la Germania fu fino all'età napoleonica, quasi nessun centro di una qualche importanza rinunciava a una propria Università; molte avevano una facoltà di medicina, dove si insegnava botanica farmaceutica e in genere c'era un orto botanico, per lo più adibito soprattutto alla coltivazione delle piante medicinali (i semplici). Tra secondo Cinquecento e inizio Settecento, due furono soprattutto gli ambiti che interessarono i botanici tedeschi (solitamente laureati in medicina e quasi sempre medici di professione): da una parte la flora locale, con una relativamente copiosa produzione di Flore di territori circoscritti; dall'altra la sistematica. In entrambi troviamo impegnati due fratelli di Halle: Christoph e Christian Knaut. Il primo scrive una flora dei dintorni della città, in cui classifica le piante seguendo il sistema di Ray con qualche modifica; il secondo, più giovane di quasi una generazione, crea un proprio sistema di classificazione, basato essenzialmente sui petali. Non senza una frecciatina polemica, in Hortus Cliffortianus Linneo gli dedica il genere Knautia, anche se più tardi, in Critica botanica, estende la dedica anche al fratello maggiore. Due fratelli, due generazioni a confronto A fine Seicento, nonostante si facessero ancora sentire il segni della Guerra dei Trent'anni che nella prima metà del secolo aveva devastato in profondità i territori dell'Impero, in Germania si contavano quasi trenta università; l'ultima ad arrivare, quasi allo spirare del secolo, fu quella di Halle, fondata nel 1691, per volontà del principe elettore di Brandeburgo. Anche questa relativamente importante città del Magdeburgo, all'epoca città libera, aveva gravemente sofferto per il conflitto, finché nel 1680 fu annessa al Brandeburgo. Nell'intento di risollevarla, il principe elettore Federico III (il futuro Federico I di Prussia) volle dotarla di un ateneo, presto celebre per gli studi giuridici, filosofici e teologici e come centro promotore del pietismo luterano e dell'Illuminismo tedesco. Dal 1694 vi furono aperti anche corsi di medicina. Quattro anni dopo l'elettore donava all'Università una parte dei suoi giardini per creare un hortus medicus destinato all'insegnamento della botanica farmaceutica (Materia medica), che tuttavia vivacchiò a lungo, tanto che ancora nel 1749 vi si coltivavano non più di 191 specie. Nessuno dei tre botanici prelinneani di una certa fama nati ad Halle però studiarono qui, vuoi per motivi anagrafici, vuoi per l'ancora scarso prestigio di quel nuovissimo ateneo. Si tratta dei fratelli Christoph (1638-1694) e Christian Knaut (1656-1716) e di Paul Hermann (1646-1695), che abbiamo già incontrato nei panni di direttore dell'orto botanico di Leida. Non conosciamo il percorso accademico del maggiore dei Knaut, morto lo stesso anno dell'inaugurazione dei corsi di medicina ad Halle; sembra però molto credibile l'ipotesi che abbia studiato a Lipsia (che dista da Halle appena una quarantina di km, ma faceva parte del ducato di Sassonia): infatti proprio a Lipsia egli fece stampare la sua opera più nota, un catalogo delle piante spontanee dei dintorni di Halle (Enumeratio Plantarum Circa Halam Saxonum Et In Eius Vicinia, Ad Trium Fere Milliarium Spatium, Sponte Provenientium, 1687); inoltre, per classificare le piante seguì i sistemi di Morison e Ray, il cui diffusore in Germania fu Paul Amman, professore di botanica a Lipsia dal 1674. Linneo esamina il libro del maggiore dei Knaut in Philosophia botanica e ne colloca l'autore tra i "fruttisti", ovvero coloro che hanno classificato i vegetali sulla base del pericarpo, dei semi o del ricettacolo, insieme a Cesalpino e appunto Morison e Ray, Hermann (un altro allievo di Lipsia) e la scuola di Leida. Lo svedese fa notare che il sistema di Knaut è vicino a quello di Ray, ma rovesciato: anche Knaut senior mantiene la tradizionale divisione tra erbe e alberi, e distingue le erbacee in base ai fiori perfetti (con i petali) e imperfetti (privi di petali), ma mentre Ray inizia con i fiori imperfetti, egli li mette alla fine. Le piante dotate di fiori perfetti sono poi classificate in base al frutto: carnoso, membranoso o nudo; ciascun gruppo è ulteriormente diviso in classi determinate dal numero e dalle caratteristiche dei petali (monopetale, tetrapetale regolari e irregolari, pentapetale, esapetale, polipetale) per un totale di 17 classi. Linneo recensisce l'opera, ma ne ha poca stima, e così i botanici successivi; unico merito di Christoph Knaut essere stato il primo ad usare il termine Compositae, modificando la denominazione di Ray Composito flore. Molto più stimato da Linneo è il fratello minore Christian. Era di sedici anni più giovane di Christoph, tanto che talvolta nei vecchi repertori viene detto suo figlio. Iniziò gli studi di medicina a Lipsia, dove seguì i corsi di Gottfried Welsch e Johannes Bohn per l'anatomia e di Paul Amman e Michael Ettmüller per la botanica. Completò poi gli studi a Jena, dove si laureò nel 1682 con una tesi intitolata De fermentatione in sanguine non existente. Quindi tornò nella città natale dove divenne medico personale del principe Emanuel-Lebrecht di Anhalt-Köthen che gli affidò anche la direzione della biblioteca della città di Halle. Come bibliotecario, scrisse alcuni trattatelli di argomento storico e genealogico, ma a noi interessa per la sua unica opera di botanica, Compendium Botanicum sive Methodus plantarum genuina, stampata postuma nel 1716: non una flora locale con le piante organizzate in modo sistematico come quella del fratello, ma un vero e proprio metodo per classificare le piante con forti aspirazioni teoriche. Dai tempi della Flora di Halle di Christoph sono passati quasi trent'anni e il panorama della botanica tedesca è del tutto cambiato; ora l'interesse per i "sistemi" si è fatto preminente e la nuova autorità è Rivinus (August Bachmann), che proprio a Lipsia - dove insegna ed è direttore dell'orto botanico - elabora il suo nuovo sistema basato non più sui frutti ma sulla corolla, nel quale per la prima volta erbe e alberi non sono più assegnati a classi separate. Sempre in Bibliotheca botanica, Linneo lo colloca tra i "corollisti", dove sta lui stesso, insieme a Pitton de Tournefort e vari altri, tra cui appunto il nostro Knaut junior, che, se non ne fu un seguace acritico, ne fu profondamente influenzato. Secondo Linneo, come il sistema di Christoph Knaut "rovescia" quello di Ray, il sistema di Christian Knaut "rovescia" quello di Rivinus: entrambi usano come criterio principale i petali, ma mentre in Rivinus la regolarità viene prima del numero, in Knaut junior succede il contrario. Mentre quello di Rivinus comprende 18 classi, Knaut ne prevede sostanzialmente otto, con diciassette sottoclassi: fiori con un petalo regolare e irregolare; fiori raggruppati regolari, irregolari e regolarmente irregolari; fiori con due petali regolari e irregolari; fiori con tre petali regolari e irregolari; fiori con quattro petali regolari e irregolari; fiori con cinque petali regolari e irregolari; fiori con sei petali regolari e irregolari; fiori con molti petali regolari e irregolari. Come si vede, mancano i fiori apetali, e tra poco scopriremo perché. Linneo ne apprezzò il rigore teorico (lo cita moltissime volte nelle sue opere giovanili), e in Philosophia botanica ne riprende il criterio per definire i generi; "Ogni pianta che produce le capsule dei semi nello stesso modo appartiene allo stesso genere, e così il contrario". Tuttavia non mancò di criticarlo per aver creato molti generi inutili sulla base della modalità di fioritura e, soprattutto, si fece beffe di due dei suoi assiomi più recisi. Secondo Knaut, il petalo costituisce l'essenza del fiore, dunque egli non ammette che il perianzio, gli stami e lo stilo ne facciano parte; perciò, nega l'esistenza di fiori apetali. Quanto al frutto, sostiene che ne esistono di due soli tipi: carnosi e membranacei; il primo è quello che troviamo nelle mele, nelle bacche, nelle ciliegie; il secondo comprende le capsule e quelli che i botanici del suo tempo chiamavano "semi nudi" di cui contestava recisamente l'esistenza. Aveva ragione ad osservare che tutti i frutti sono protetti da una membrana, ma sbagliava ad assimilarla a una capsula. Knautia, una pianta "semplice" dalla tassonomia intricata Ciò che apprezzava e ciò che lasciava perplesso Linneo in Knaut junior si fondono nella dedica di Knautia, inizialmente al solo Christian, in Hortus cliffortianus (1737); erigendo a genere una specie che Boerhaave aveva separato da Scabiosa (oggi Knautia orientalis), Linneo osserva che in essa i singoli flosculi sono assai irregolari, ma insieme costituiscono un fiore regolarissimo; quanto ai semi, è assai dubbio se sono nudi o rivestiti. E aggiunge: "Dunque ci è soccorsa la memoria di Knaut che negava assolutamente i semi nudi e cercava assiduamente l'intera salvezza della botanica nell'uniformità e difformità della corolla, alla cui memoria dedichiamo questo genere". Dunque, una dedica con un pizzico di malignità (che Linneo considerava umorismo). E' chiaro che egli si riferisce a Christian, il solo Knaut che apprezzasse, ma sempre nel 1737 in Critica botanica è indicato anche il fratello maggiore, che così rientra dalla finestra tra i dedicatari di un genere botanico. Genere per altro interessantissimo. Esteso dall'Europa alla Siberia e all'Asia centrale, con la sua cinquantina di specie è uno dei più ricchi di diversità della flora europea, con tanti endemismi limitati a piccole zone, particolarmente numerosi nelle Alpi e nei Balcani. Con le sue infiorescenze a capolino che ricordano un puntaspilli (e gli inglesi la chiamano proprio così, pincushion) con numerosissimi fiorellini circondati da un involucro di squame, Knautia è un tipico rappresentate di quella che un tempo era la famiglia Dipsacaceae e ora la sottofamiglia Dipsacoideae delle Caprifoliaceae. E i semi, sono nudi o vestiti? Chi lo sa! I frutti in cui sono contenuti sono acheni o nucule che non si aprono, quindi in un certo senso fanno tutt'uno con il seme... Vestitissimi dunque, se non fosse che all'epoca di Knaut il termine semina nuda indicava proprio questo tipo di frutti. La disputa che non faceva dormire i botanici a cavallo tra Seicento e Settecento era solo una questione terminologica. Knautia è un genere dalla tassonomia intricata, in cui discriminare tra specie, sottospecie e varietà non è facile, né lo è distinguere una specie dall'altra. Vive in ambienti diversi: prati aridi ma anche umidi, pascoli alpini, boschi aperti e foreste, ma anche aree ruderali. Ad eccezione di poche specie, si tratta di perenni. Della flora italiana, oltre alla diffusissima e polimorfa K. arvensis, fanno parte una quindicina di specie, alcune delle quali endemiche: K. baldensis, presente in poche località attorno al massiccio del Baldo; K. gussonei, raro endemismo dell'Italia centrale; K. lucana, endemismo della Lucania a sud-est di Potenza; K. persicina, endemismo dei monti che circondano il lago di Garda. Altre informazioni nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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