Il nome di Aldrovandi è di quelli che tutti hanno sentito nominare, ma pochi conoscono in modo diretto. L'immensa opera di colui che per quarant'anni a Bologna tenne la prima cattedra di storia naturale, più che nelle pochissime opere a stampa, in cui l'erudizione e le notizie più diverse soffocano i pochi risultati scientifici originali, trovò espressione essenzialmente nel "Teatro della natura", il più antico museo di storia naturale. Ma se la sua Syntaxis plantarum fosse stata pubblicata, forse la storia della botanica sarebbe in parte diversa. A ricordarlo una carnivora acquatica, diffusa in tutto il mondo, ma a rischio di estinzione. Il grande "Teatro" di un naturalista enciclopedico Bologna, 1549. Un gruppo di cittadini bolognesi incappa in un'accusa di eresia; tra di loro il nobile e colto Ulisse Aldrovandi, che si affretta ad abiurare. Ciò nonostante, è inviato a Roma dove è costretto a trattenersi in attesa del processo. Per passare il tempo, incomincia a interessarsi di archeologia ma soprattutto fa amicizia con un medico francese, Guillaume Rondelet, che si trova a Roma al seguito del cardinale di Tournon. Rondolet, padre fondatore dell'ittiologia, trascina il nuovo amico nelle sue scorribande nel mercato ittico; travolto dal suo entusiasmo, Aldrovandi (che fino ad allora aveva studiato diritto, matematica, logica, filosofia, ma anche medicina) incomincia ad appassionarsi di scienze naturali. Liberato da ogni sospetto d'eresia, quando finalmente rientra a Bologna, decide di completare gli studi medici e di approfondire la zoologia, la mineralogia, la botanica. Una decisione che sarà rafforzata l'anno successivo da un secondo incontro: quello con il grande Luca Ghini che nell'estate del 1551 trascorreva le vacanze a Bologna. Nasce così la vocazione di scienziato universale di Ulisse Aldrovandi, uno dei più illustri studiosi della natura del Cinquecento italiano. Presso l'ateneo bolognese fu lettore di logica dal 1554, insegnante di botanica medica dal 1556, e dal 1561, per quasi quarant'anni (fino al 1600) titolare della prima cattedra di scienze naturali (lectura philosophiae naturalis ordinaria de fossilibus, plantis et animalibus). Si noti che, diversamente da quanto avveniva in quegli anni negli altri atenei, non era una cattedra di "materia medica", cioè di botanica applicata alla medicina, ma proprio l'insegnamento a tutto tondo delle scienze naturali. Un'altra novità si aggiunse almeno dal 1567, quando Aldrovandi prese a far seguire le lezioni accademiche da esercitazioni pratiche, basate sull'osservazione diretta di esemplari naturalistici ("mostrando realmente le cose, doppo il legger che haveva trattato nella lettione"). Nacque così il più antico museo di storia naturale: nel corso di un cinquantennio, Aldrovandi raccolse nella sua stessa casa un'imponente collezione di naturalia; proprio per il focus sul mondo naturale e gli intenti didattici, era ben diversa dai gabinetti principeschi e delle Wunderkammer che nascevano proprio in quegli anni. Con orgoglio, Aldrovandi ci informa che nel 1595 la sua collezione comprendeva 18.000 esemplari, tra cui 7000 piante essiccate "agglutinate" (cioè incollate) in quindici volumi, animali, minerali, pietre, 66 cassettiere con 4500 cassetti contenenti semi, frutti, gomme, fossili, oggetti esotici. Nella coscienza dell'importanza didattica dell'immagine, ma anche per colmare i "buchi" della collezione (un microcosmo che mirava a riprodurre, nel modo più completo possibile, il macrocosmo), Aldrovandi volle aggiungere 3000 splendidi acquarelli, raccolti in 17 volumi, e 5000 matrici xilografiche conservate in 14 armadi. Le matrici, realizzate con estrema accuratezza da artisti dotati, avrebbero dovuto andare a illustrare un'immensa Historia naturalis, che lo studioso bolognese continuò a scrivere per tutta la vita ma che, come vedremo meglio, pubblicò in ben piccola parte. Tutto questo, insieme ai volumi della ricca biblioteca e i suoi stessi manoscritti, andava a formare un mirabile "Teatro della natura" che divenne ben presto, oltre che uno strumento didattico, un'attrazione che richiamavano visitatori da tutta Europa: nel corso della vita dello scienziato, come risulta dal registro dei visitatori, furono più di 1500, sempre accolti con disponibilità e calore, secondo la testimonianza dell'olandese Hugo Blotius, bibliotecario imperiale, che la visitò ammirato nel 1572. Frutto di cinquant'anni di fatiche e di grandi spese (in una lettera al fratello, il naturalista dichiara di avervi investito tutto il proprio patrimonio), il "Teatro della natura" venne realizzato in primo luogo con una mirata attività di raccolta diretta. Fin dagli anni degli studi, Aldrovandi organizzò numerose spedizioni naturalistiche; le più celebri sono l'escursione dell'estate 1554, che, insieme a Calzolari e Anguillara, lo portò sulle pendici del monte Baldo, ancora oggi noto come "giardino d'Europa" per la grande varietà di vegetazione; e la grande spedizione del 1557, quando insieme ai suoi allievi percorse un ampio giro che, a partire dalle valli ravennati, lo portò fino ai monti Sibillini, quindi sulla via del ritorno lungo l'appennino marchigiano e romagnolo. Secondo Anna Pavord, questo viaggio segnò una tappa nella storia della botanica, perché fu la prima escursione naturalistica appositamente organizzata allo scopo di esplorare sistematicamente la flora di un'area specifica. Altri esemplari furono donati da sponsor e corrispondenti, in particolare i membri di quella stupefacente rete di studiosi che nel Rinascimento collegava tra loro i naturalisti europei e, nonostante le guerre e le infinite difficoltà di viaggi che avvenivano ancora a cavallo, in carrozza, ma spessissimo a piedi, produceva un incessante scambio di libri, semi, piante essiccate, minerali e... idee. Diverse piante esotiche erano coltivate nell'Orto botanico della stessa università di Bologna, che venne creato dal senato bolognese nel 1568 (quarto dopo Pisa, Padova e Firenze) su istanza di Aldrovandi che ne fu il curatore fino alla morte. Altre notizie sulla vita del grande studioso nella sezione biografie. L'eredità botanica di Aldrovandi In questo blog abbiamo incontrato già molti esempi di opere importanti e innovative che, mai pubblicate, rimasero manoscritte a coprirsi di polvere negli scaffali di una biblioteca. La sorte delle opere di Aldrovandi fu, forse, ancora peggiore. Nella sua vita scrisse moltissimo; le sue opere manoscritte ammontano a più di 300, per un totale di oltre 160 volumi. Solo 14 furono pubblicate. Genio universale e enciclopedico, Aldrovandi scrisse di molti argomenti, anche non attinenti alle scienze naturali (la sua prima opera a stampa, dedicata alla statuaria romana, è uno dei primi esempi della rinascita dell'interesse per l'archeologia); molte opere sono compilazioni antiquarie, che lasciano largo spazio alle favole e al gusto del meraviglioso; moltissimi sono cataloghi di vario tipo. Si tratta per lo più di lavori preparatori alla progettata Storia naturale, che avrebbe dovuto toccare tutti gli aspetti della natura. Come possiamo evincere dalle tre parti direttamente pubblicate dall'autore o dalla sua vedova (i volumi sugli uccelli, gli insetti e gli altri animali "senza sangue"), similmente alla quasi contemporanea Historia animalium di Gessner (che fu tra i corrispondenti del bolognese), essa si collocava a cavallo tra passato e futuro; da una parte c'è l'enciclopedismo, il tributo alla cultura antica, il gusto antiquario, che li infarciscono di citazioni e informazioni tratte in modo apparentemente acritico dagli autori del passato; dall'altra la ricerca diretta sulla natura che si traduce in preziose osservazioni sull'anatomia e la fisiologia di ciascun animale. Fu questa commistione di naturalismo e gusto antiquario che fece giudicare severamente Aldrovandi da Buffon, secondo il quale, sfrondandola di tutte le informazioni inutili e estranee, la sua opera si sarebbe potuta utilmente ridurre a un decimo. In effetti vi si riconosce una concezione della conoscenza diversa da quella del Settecento illuminista o dei nostri giorni: l'opera di un Aldrovandi o di un Gessner è espressione dell'ideale rinascimentale della copia, parola latina che indica l'abbondanza, la ricchezza, espressa iconograficamente dall'immagine della cornucopia. L'obiettivo dello studioso rinascimentale è quello di presentare, nel modo più esaustivo possibile, ogni possibile informazione sul proprio soggetto, quindi tutto ciò che è stato scritto, tutto ciò che si crede comunemente, oltre a tutto ciò che si è osservato con i propri occhi. Ecco perché ai dati naturalistici direttamente osservati e osservabili si affiancano in modo così massiccio informazioni culturali di ogni genere, comprese le favole e il meraviglioso. Già segnata da questa concezione, che sarebbe stata ben presto superata da Galileo e dalla sua scuola, la fama futura di Aldrovandi fu ancor più danneggiata dalla pubblicazione postuma di alcune opere in forma largamente alterata. E' il caso dell'unico lavoro edito dedicato al mondo vegetale, Dendrologia, pubblicato nel 1667 da Ovidio Montalbani, uno scrittore particolarmente incline al fantastico. E' a un'opera come questa (e alla celebre Monstruorum historia, pubblicata nel 1642) se allo scienziato bolognese è toccato di passare alla storia, oltre che come un pedante collezionista di citazioni antiquarie, come un credulone acriticamente convinto della reale esistenza di draghi, basilischi, sciapodi, cinocefali e sirene. Inedita rimase invece la maggiore opera botanica di Aldrovandi (che, consapevole del suo valore, ne raccomandò inutilmente la pubblicazione nel testamento), la Syntaxis plantarum. E' un manoscritto in due volumi, per un totale di più di 1000 carte, collocabile tra il 1561 e il 1600, che consiste in una raccolta di 1700 tavole sinottiche, in cui le piante vengono descritte, catalogate e confrontate tra loro in tabelle collegate a disegni. Ciascuna tavola è strutturata in base a un criterio di classificazione o "chiave" in ordine gerarchico, stabilendo classi, generi e specie, allo scopo di individuare categorie comuni alle "diciotto mila specie diverse" osservate da Aldrovandi. Molte tavole sono dedicate agli organi principali delle piante, per esempio i frutti, i semi, le radici, il fusto; quelle più complesse riguardano i fiori, con chiavi come il numero, il colore, le differenze esterne degli stami e delle antere. Altre si basano su caratteristiche fisiologiche, come il tempo della fioritura, sulla base del quale viene anche compilato un calendario mensile; le tavole in cui le piante vengono divise in base alla stazione in cui vivono e alla distribuzione geografica fanno di Aldrovandi un antesignano della fitogeografia. Come Cesalpino, un altro discepolo di Ghini, Aldrovandi giunge così a proporre un proprio sistema di classificazione. Egli divide le piante in "perfette" e "imperfette" e individua 17 gruppi, a partire dagli alberi per giungere agli "imperfecti" (piante senza semi, cioè in gran parte funghi), usando sei chiavi principali: natali loco, vivendo conditione, partium habitu, quantitate, discriminibus, naturae dotis, ovvero l'habitat, la forma biologica, l'aspetto delle parti, la quantità delle parti stesse, i caratteri distintivi, le doti di natura. Per singole categorie, egli porta esempi concrete di species. Alcuni studiosi lo ritengono l'antesignano anche del sistema binomiale: in effetti, nel suo erbario e nelle tavole acquarellate molte piante sono contrassegnate da un nome basato su genere e specie; del resto, Gaspard Bauhin, che per primo doveva divulgare questa innovazione, era stato uno dei suoi allievi. Infatti, anche se non furono mai pubblicate, le tavole sinottiche di Aldrovandi nacquero come strumento didattico utilizzato nelle sue seguitissime lezioni; per questa via hanno influenzato il successivo progresso della botanica grazie ai numerosi allievi che furono educati a quel metodo. Accanto a questo lascito immateriale, alla sua morte Aldrovadi lasciò quello concretissimo del suo Teatro; legò infatti per testamento il suo intero patrimonio scientifico, ovvero i manoscritti, la biblioteca e il museo, al Senato bolognese, a condizione che fosse conservato integro; che gli inediti fossero pubblicati; che l'accesso fosse libero a tutti. Il grande museo divenne così di proprietà della città e dell'Università e per tutto il Settecento continuò ad esserne una delle principali attrazioni. Nell'Ottocento varie collezioni furono smembrate tra diversi istituti universitari, finché nel 1907 l'insieme fu almeno in parte ricostruito in una sala di Palazzo Poggi. Perduti molti reperti più deperibili, rimangono scheletri, animali impagliati, fossili, minerali. Il preziosissimo erbario (ne sono rimasti quasi 5000 fogli), uno dei più antichi che ci sia pervenuto, è invece costodito presso l'Orto botanico: benché le piante non siano disposte secondo un criterio riconoscibile e le note si limitino al solo nome, senza indicazione del raccoglitore e del luogo di raccolta, è ragguardevole per l'antichità (fu iniziato probabilmente nel 1551), la vastità, la cura del montaggio. Sono invece custodite presso la Biblioteca Universitaria le tavole acquarellate; quanto alle matrici xilografiche, poche ci sono giunte: molte di esse andarono a alimentare le stufe durante la Seconda guerra mondiale. Grazie a un grande progetto dell'Università di Bologna, l'intero erbario (consultabile qui), tutte le opere a stampa e gli acquarelli sono stati digitalizzati e sono raggiungibili attraverso questo bellissimo sito, davvero un mirabile "Teatro della natura" virtuale. Androvanda, una pianta in pericolo Nel 1734, Gaetano Lorenzo Monti, botanico bolognese, presentò una memoria in cui, richiamandosi all'abitudine introdotta da Linneo di onorare gli studiosi più illustri con il nome di una pianta, deplorava che egli avesse dimenticato il grande Aldrovandi. Propose così di nominare Aldrovandia una pianta palustre (la pubblicazione avverrà solo qualche anno dopo in De Aldrovandia novo herbae palustris genere, 1747). Questa specie era già nota ed era stata descritta nel 1696 dal botanico inglese Plukenet, con il nome di Lenticula palustris. Linneo tenne conto dell'appunto di Monti e nel 1753 ne ufficializzò la denominazione, ribattezzando la pianta Aldrovanda vesiculosa (commise forse un piccolo errore ortografico). A. vesiculosa è l'unico rappresentante del suo genere (anche se altre specie forse sono esistite in passato); è un membro della famiglia Droseraceae, da cui differisce in quanto acquatica, ma come le cugine è carnivora; per diversi aspetti ricorda la più nota Dionaea, tanto che Darwin la definì "una Dionaea d'acqua in miniatura". E' un'erbacea priva di radici, che fluttua sulla superficie dell'acqua; le foglie, distribuite regolarmente lungo il fusto in piccoli verticilli a forma di ruota idraulica (da cui il nome inglese water wheel) e sorrette da piccioli con sacche d'aria che aiutano il galleggiamento, hanno lamina reniforme, che si chiude in due valve, dentellate sui bordi. Quando una preda si avvicina, si chiudono rapidamente, intrappolandola. La loro velocità di reazione (10-20 millisecondi) è considerata la maggiore del regno vegetale. La pianta vive in tutti i continenti, escluse le Americhe, ma è diventata sempre più rara a causa della restrizione dell'ambiente naturale e dell'inquinamento delle acque stagnanti ma pulite che predilige, ricche di anidride carbonica e povere di fosforo e di azoto. Se all'inizio del '900 era presente in 379 stazioni naturali note, nel corso del secolo queste si sono drammaticamente ridotte a sole 50, due terzi delle quali concentrate in un'area tra Polonia e Ucraina. In Italia un tempo doveva essere diffusa in un vasto areale; ne sono state recensite 17 stazioni, ma tutte si sono estinte nel corso dell'ultimo secolo: l'ultimo avvistamento, relativo al lago di Sibolla presso Lucca, risale al 1985. In vari paesi, sono in atto azioni per la tutela e la reintroduzione di questa rara specie; in Italia un progetto pilota ha preso avvio nelle regioni Piemonte e Lombardia; esemplari, provenienti dalla Svizzera, sono attualmente coltivati in due orti botanici: il Giardino botanico Rea di Trana, in provincia di Torino, e l'Orto botanico dell'Università di Pavia. Qualche approfondimento nella scheda.
4 Comments
13/3/2017 05:15:07 pm
Bellissimo, un blog di un vera esperta che si fa leggere tutto d'un fiato. Chissà chi si nasconde sotto lo pseudonimo Cimbalaria, certamente qualcuno che meriterebbe di essere ricordato per nome e cognome. Ancora complimenti
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Cimbalaria
14/3/2017 06:30:21 am
Grazie, Marcella, troppo gentile! Se desideri essere informata sulle prossime puntate, iscriviti alla newsletter (dalla sezione Informazioni e contatti).
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giancarlo marconi
29/3/2017 06:25:39 pm
finalmente un blog veramente ben fatto e utile. Complimenti!
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Cimbalaria
30/3/2017 06:05:40 am
Grazie per l'apprezzamento, che mi incoraggia a continuare nella divulgazione della storia della botanica. Se vuoi essere informato sui prossimi post, ti invito a iscriverti alla newsletter (dalla sezione Informazioni e contatti).
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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