Un carteggio di quattro lettere, tre sue e una di Linneo, un articolo di due pagine, quattro menzioni nell'ultima importante opera linneana: è quasi tutto quello che ci resta del medico svizzero Frédéric-Louis Allamand. Ma a preservare il suo ricordo provvede lo spettacolare genere Allamanda, che ebbe anche la ventura di essere scelto dal dedicatario stesso su una rosa di tre proposti da Linneo in persona. Un carteggio e una dedica Nel novembre 1770 Linneo ricevette dall'Olanda dal medico Frédéric Louis Allamand (1736-1809), svizzero ma vissuto fin da ragazzo nei Paesi Bassi dove era diventato medico navale, una lettera e un manoscritto di una dozzina di pagine; intitolato Genera plantarum Americanarum, conteneva la descrizione di 37 specie presumibilmente nuove. Nella missiva di accompagnamento, Allamand informava Linneo che durante un viaggio di qualche anno prima nell'America tropicale aveva avuto modo di osservare un certo numero di nuove piante; aveva raccolto esemplari e li aveva conservati accuratamente, ma i materiali erano andati perduti durante un attacco di pirati. Era poi tornato in America, soggiornando soprattutto in Suriname, una zona finora trascurata dai botanici; ora sottoponeva a Linneo il manoscritto, frutto di due anni di lavoro, rimettendosi alla sua autorità. L'invio deliziò l'ormai anziano scienziato, anche perché veniva a colmare una lacuna e a sanare una vecchia ferita: quella che gli aveva inferto l'infedele allievo Rolander rifiutandogli l'accesso ai suoi manoscritti e all'erbario raccolto proprio in Suriname. Il lavoro di Allamand era eccellente: come scrive Linneo nella sua risposta, l'aveva letto e riletto, e mai aveva incontrato descrizioni più accurate, tanto che gli pareva quasi di vedere quelle piante con i propri occhi; non era l'opera di un soldato semplice, ma di un comandante dell'esercito di Flora (quello di cui Linneo si considerava il generale in capo). Dopo aver commentato minutamente le singole descrizioni, informava Allamand di aver l'intenzione di pubblicare le specie nuove nella seconda parte della sua Mantissa e gli chiedeva quale tra tre nuovi generi ugualmente notevoli (Galarips, Caryocar, Clibadium) preferiva gli fosse dedicata con il nome Allamanda. Erano elogi insoliti che ovviamente colmarono di gioia Allamand: nella lettera di risposta, inviata in occasione del Capodanno 1771, oltre a fare gli auguri a Linneo, scrive che gli sarebbe bastato un cenno, la soddisfazione di essere stato ascoltato, e invece ha ottenuto molto di più. Ha iniziato a formulare i caratteri e altre informazioni sulle piante nuove o meno conosciute che Linneo gli ha chiesto per includerli nella sua opera; spera che il testo sarà pronto tra breve. Quanto alla specie che Linneo così cortesemente vorrà dedicargli, sceglie quella che aveva chiamato Galarpis; conta di poter ricambiare tanto onore mandandogli qualche esemplare di piante rare. Le promesse descrizioni saranno inviate qualche mese dopo e Linneo includerà in Mantissa plantarum altera, oltre a Allamanda, tre dei generi di Allamand, Caryocar, Clibadium e Guarea. Altri cinque generi (nessuno dei quali oggi riconosciuto) erano stati in precedenza pubblicati da Allamand negli atti dell'Accademia Cesarea Leopoldina. Dopo l'estate 1771 il carteggio si interruppe. Al suo ritorno in Europa Allamand aveva lasciato la marina olandese, per poi trasferirsi in Russia come medico di corte; si fece vivo da San Pietroburgo nel giugno 1776 mandando a Linneo un'ultima lettera in cui si scusa di non avergli scritto per cinque anni e di essersi preso la libertà di farlo nuovamente; gliene dà l'occasione il prossimo viaggio in Svezia di un amico di cui intende approfittare per far giungere a Linneo alcuni esemplari di piante del Suriname. Linneo era ormai malato e sarebbe morto poco più di un anno dopo. Probabilmente non rispose mai. Quanto ad Allamand, non sappiamo molto sulla sua vita successiva, tranne che nel 1793 ritornò in Olanda e divenne professore all'Università di Leida, nei cui archivi il suo nome non compare più dopo il 1803. Fioriture tropicali Allamand certo aveva scelto per sé il genere più bello, o almeno quello con fioriture più vistose. La specie dedicatagli da Linneo è infatti Allamanda cathartica, uno spettacolare rampicante con grandi fiori a tromba giallo vivo che nei climi tropicali si susseguono per tutto l'anno. Anche oggi è la più nota e coltivata delle quindici specie del genere Allamanda, della famiglia Apocynaceae: sono arbusti eretti o rampicanti, con foglie sempreverdi riunite in verticilli e grandi fiori con corolla ad imbuto lievemente asimmetrica, solitamente gialla, ad eccezione di A. blanchetii che ha fiori da rosa a viola; i frutti sono per lo più capsule globose armate di spine. I fusti contengono un latice bianco che può causare vari disturbi; tutte le parti di queste pianete sono per altro tossiche, anche se trovano impiego nella medicina tradizionale con usi in parti confermati dalle ricerche di laboratorio. Ad eccezione di qualche specie nativa di Venezuela, Colombia e Perù, il genere è ristretto al Brasile, dove cresce nelle radure delle foreste più o meno umide, spesso lungo corsi d'acqua. Per la loro bellezza, diverse specie sono state introdotte in coltivazione nei paesi tropicali, dove alcune sono diventate invasive. Nei climi temperati sono invece coltivate come piante da serra, dal momento che in genere richiedono temperature non inferiori a 15°. Le specie coltivate sono essenzialmente tre: A. cathartica, A. blanchetii e A. schottii. La prima secondo William Curtis fu introdotta in Inghilterra nel 1785 dal barone Christian Ludwig von Hake, curatore dei giardini di corte di Herrenhausen. Originaria di Brasile, Guyana e Perù, è un rampicante vigoroso (può però essere coltivata anche a siepe) che può superare i 6 metri d'altezza; ha foglie lanceolate raggruppate in verticilli di 4 a intervalli lungo il fusto e fiori giallo brillante portati in gruppi di 12 all'apice dei fusti o all'ascella del fogliame. Ne sono state selezionate diverse varietà: 'Handersonii', quella più frequentemente coltivata in Europa, ha fiori più grandi, mentre quelli di 'Williamsii' sono fragranti e semidoppi. A. blanchetii è originaria del Brasile nordorientale dove cresce nella foresta arida nota come caatinga; si distingue dalle altre specie per il colore dei fiori. Di dimensioni più contenute rispetto alla specie precedente, può essere coltivata a cespuglio o fatta arrampicare su un supporto, raggiungendo un altezza di 3 metri; produce grandi fiori campanulati con 5 lobi arrotondati lievemente sovrapposti da rosa a viola, più scuri alla gola. Più rustica di A. cathartica, può sopportare per brevi periodi temperature vicine allo 0, si adatta meglio alla siccità, ma non sopporta i ristagni d'acqua; per questo viene spesso innestata su A. cathartica. Anche di questa specie esistono diverse varietà, tra cui 'Cherry Jubilee' con fiori rosso ciliegia. A differenza della altre due specie, A. schottii non è una liana, ma un arbusto eretto, che forma cespugli alti fino a tre metri e larghi 2; ha foglie sempreverdi da obovate ad ellittiche raggruppate in verticilli di 3-5, lucide e verde chiaro, che contrastano piacevolmente con la massa di fiori gialli con tubo corollino lievemente gibboso, lobi arrotondati giallo chiaro e gola striata di arancio. Piuttosto variabile, è spesso commercializzata sotto sinonimi come A. neriifolia e A. cathartica var. schottii. In effetti, insieme a A. martii e A. polyantha, fa parte di un complex di specie strettamente imparentate originarie delle foreste umide del Brasile orientale; affine, è anche l'ultima arrivata, A. calcicola, in precedenza confusa con queste specie e riconosciuta come specie autonoma appena nel 2009. Anche se il lavoro degli ibridatori per questo genere sembra ancora all'inizio, sul mercato sono disponibili anche alcuni ibridi, per lo più tra A. cathartica e A. blanchetii, che hanno permesso di allargare la gamma dei colori al bianco e all'albicocca,
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Tra gli amici olandesi di Linneo, Johannes Burman merita un posto speciale: quasi suo coetaneo, fu il primo a fare la sua conoscenza e il primo a garantirgli un lavoro e ad ospitarlo a casa sua. Ma la loro amicizia non fu senza ombre: nacque con il piede sbagliato e poi si interruppe a lungo, per un motivo che oggi a noi pare futile. Poi ricominciò e non mancarono i riconoscimenti reciproci: Burman fu tra i primi ad adottare le denominazioni linneane e a utilizzare il suo sistema nelle aiuole didattiche dell'orto botanico di Amsterdam; si spinse fino a mandare suo figlio a studiare in Svezia (dopo che per generazioni gli aspiranti medici e botanici svedesi avevano fatto il contrario). Linneo gli riconobbe giustamente il merito di aver dato alle stampe ricerche e opere che senza di lui rischiavano l'oblio. Oltre a dedicargli Bibliotheca botanica (che senza la biblioteca di Burman non sarebbe mai stata scritta) lo ricordò con il curioso genere Burmannia. Antefatti: successi e disavventure del giovane Linneo Nel 1733, il ventiseienne Linneo trascorse le vacanze di Natale a Falun, ospite della famiglia di uno dei suoi amici e allievi, Claes Sohlberg. Il padre era ispettore minerario e gli fece conoscere un giovane teologo appassionato di scienze naturali, Johannes Browallius, che a sua volta lo introdusse presso il governatore della Dalarna, Niels Reuterholm, dei cui figli era precettore. Reuterholm fu così colpito dal racconto della spedizione di Linneo in Lapponia da commissionargliene una analoga nella Dalarna settentrionale. Il viaggio sarebbe avvenuto nell’estate successiva, quando Linneo percorse oltre ottocento km in compagnia di sette dei suoi migliori studenti. A Falun egli incontrò anche l'amore, nelle vesti di Sara Lisa Moraea, la figlia diciassettenne del medico cittadino Johan Moraeus; quando la chiese in sposa, il dottore fu chiaro: prima di poter parlare di matrimonio, il giovanotto doveva essere nelle condizioni di mantenere la famiglia, quindi doveva laurearsi, e per farlo (all’epoca nessuna università svedese conferiva la laurea in medicina) doveva andare all’estero. D’altra parte, la situazione a Uppsala per Linneo si era fatta difficile. Egli era privo sia di mezzi sia di titoli accademici e doveva la sua posizione di simil-assistente al favore del suo maestro, Olaus Rudebeck il Giovane. Quando era ancora uno studente del secondo anno, quest'ultimo lo aveva accolto a casa sua e lo aveva nominato dimostratore di botanica. Linneo era un insegnante nato e le sue lezioni suscitarono l'entusiasmo degli studenti e l'invidia dei suoi detrattori. Il più accanito era Nils Rosén (1706-1773), che prima dell'arrivo di Linneo era stato l'assistente di Rudbeck che l'aveva spedito in Olanda a laurearsi. Dopo aver studiato per quattro anni a Leida con grandissimi maestri, questo giovane medico brillante (che più tardi sarebbe stato salutato come padre della medicina pediatrica), al suo rientro in patria nel novembre 1731 scoprì che il "cuculo Linneo" aveva occupato il suo nido; inizialmente, fece buon viso a cattivo gioco: come assistente dell'altro professore di medicina, Lars Roberg, tenne le letture di anatomia e medicina pratica e seguì anche le lezioni di botanica del suo rivale. Ma contemporaneamente, cercò di scalzarlo dal suo incarico. Infine, nel 1734 riuscì a convincere il senato accademico a vietargli di fare lezione, in quanto privo di laurea. Colmo di rabbia, Linneo l'assalì spada alla mano; fu trattenuto dagli amici e la cosa finì lì, ma le autorità accademiche furono costrette a espellerlo dalla città. Insomma, era ora di cambiare aria. Così, quando Sohlberg padre gli propose di accompagnare il figlio in un viaggio di studio in Olanda, non esitò ad accettare. Nei bagagli, mise i manoscritti delle sue opere, il tamburo e il costume lappone, e nell’aprile 1735 partì insieme a Claes. In programma, aveva non solo di laurearsi, ma di far conoscere il suo sistema in Europa. Un'amicizia nata con il piede sbagliato Via Amburgo - dove Linneo aveva trovato modo di suscitare le ire del borgomastro, come ho raccontato in questo post - i due amici arrivarono ad Amsterdam il 2 giugno. Immediatamente Linneo, cui non mancava la faccia tosta, andò a presentarsi a Johannes Burman (1706-1779) che, sebbene avesse solo un anno più di lui, da quattro anni era già professore di botanica e direttore dell'orto botanico. Intendeva mostrargli le sue opere, in particolare quella che diventerà Systema naturae, convinto che l'avrebbe conquistato all'istante. Arrogante e pieno di sé, lasciò invece a Burman una pessima impressione. La seconda tappa olandese di Linneo fu Harderwijk, un diplomificio che concedeva la laurea con notevole facilità. Per sbrigare le formalità e presentare la tesi (ce l’aveva già pronta in valigia) gli bastarono due settimane. Il 23 giugno fu proclamato dottore. Subito dopo, andò a Leida dove visitò l’orto botanico e seguì qualche lezione; i soldi stavano rapidamente finendo e stava per rassegnarsi a tornare in Svezia quando incontrò Jan Frederik Gronovius. Anche a lui mostrò Systema naturae e Gronovius ne fu così entusiasta da finanziarne la pubblicazione. Inoltre lo presentò all'illustre professor Boerhaave; ormai anziano e malato, dopo aver diretto per più di vent'anni l'orto botanico di Leida e aver formato generazioni di medici (incluso Burman) si era ormai ritirato, ma continuava ad esercitare un'autorità indiscussa e a riunire intorno a sé un circolo di studiosi più giovani. Linneo gli fece visita più volte nella sua bella casa di campagna Oud Poelgeest, affascinò anche lui con il racconto delle sue imprese lapponi e ne ottenne una lettera di presentazione per Johannes Burman. Munito di credenziali tanto indiscutibili, circa un mese dopo la prima sfortunata visita, Linneo si presentò di nuovo alla porta di Burman che pensò che forse era stato precipitoso a giudicarlo male; lo mise alla prova chiedendogli di identificare una pianta difficile. Sì, lo svedese di piante si intendeva davvero. Era l’assistente di cui aveva bisogno per completare il suo libro sulla flora di Ceylon: Burman, l'astro nascente della botanica olandese, era infatti impegnato nella prima delle sue imprese editoriali: la pubblicazione dell'erbario singalese di Hermann. Per sei settimane, i due nuovi amici lavorarono fianco a fianco nella fornitissima biblioteca del colto e facoltoso Burman, che abitava in una bella casa affacciata sul prestigioso Keizersgracht. Linneo vi poté attingere liberamente per Biblioteca botanica e Fundamenta botanica e in cambio diede un valido aiuto per identificare, catalogare e descrivere le piante singalesi. Il 13 agosto i due si concessero una gita fuori porta: Burman portò Linneo a visitare De Hartekamp, forse il più bel giardino d'Olanda, di proprietà del ricchissimo George Clifford. Come ho raccontato in questo post, fu così che Linneo trovò un nuovo protettore e Burman accettò di separarsi da lui in cambio di una copia di History of Jamaica di Hans Sloane. Alla fine di settembre Linneo si trasferì a Hartekamp e Burman dovette continuare il lavoro da solo (ma le sue visite a Hartekamp erano frequenti e la corrispondenza fitta) e a settembre terminò la redazione di Thesaurus zeylanicus (pubblicato all’inizio del 1737) in cui descrisse alcune centinaia di piante, elencate in ordine alfabetico e illustrate con 110 calcografie. In un'appendice pubblicò anche i cataloghi delle specie raccolte in Sud Africa da Hermann e da Oldenland e Hartog, raccoglitori dell'orto botanico della VOC a Table Bay. A questo punto, come scrisse a Linneo, lo attendeva un compito che considerava un dovere morale: dare finalmente alle stampe l’Herbarium amboinense di Eberhard Rumphius. Un’impresa enorme, considerando che il grande cieco di Ambon aveva descritto e in gran parte disegnato non meno di 1200 specie. Il primo ostacolo fu convincere la VOC a consegnargli il manoscritto e permettergli di pubblicarlo: l'ubicazione delle piantagioni era un segreto di stato. Più difficile ancora trovare un editore e tanto meno incisori non troppo esosi. Nel 1736 Linneo si sdebitò dedicando Bibliotheca botanica al "celeberrimo e espertissimo dr. Johannes Burman, professore di botanica dell'organizzatissimo orto botanico di Amsterdam"; fu ancora suo ospite prima di lasciare definitivamente l'Olanda nel 1737. Spiace dire che poco dopo i contatti tra i due si interruppero. Sembra che Burman fosse arrabbiato con Linneo (che aveva ospitato, mantenuto e introdotto negli ambienti scientifici) perché non gli aveva mai inviato le piante lapponi che gli aveva promesso. Per circa quindici anni, i due permalosi botanici non si scrissero più, finché riallacciarono i contatti intorno al 1753 (il fatidico anno di uscita di Species Plantarum). Anche per Burman erano stati anni pieni. Nell'attesa di poter mettere mano a Herbarium amboinense, scrisse un libro sulle piante sudafricane, Rariorum Africanarum Plantarum, basato soprattutto sulla collezione di Nicolaes Witsen, un altro collezionista e magnate della VOC. Nel 1739, trovato finalmente un editore disposto a correre il rischio, si accinse all'edizione di Herbarium amboinense, un lavoro che lo avrebbe impegnato per sedici anni: il primo volume uscì nel 1741, seguito da altri cinque a intervalli variabili fino al 1750, con un’appendice (Auctarium) nel 1755. Ricordo che, passato attraverso vicende incredibili, il grande libro di Rumphius, a causa della cecità di quest'ultimo, era stato un gran parte dettato in olandese a diversi collaboratori che non conoscevano il latino; quindi Burman dovette tradurlo e dargli una veste linguistica omogenea. Tra il 1755 e il 1760 fu la volta di Plantarum Americanarum, basato sul manoscritto inedito e sui disegni di Charles Plumier. La sua ultima fatica fu un rifacimento dell’indice di Hortus malabaricus con i nomi linneani (1768). Nel 1755 Burman aveva aggiunto ai suoi doveri l'insegnamento della botanica all'Atenaeum illustre e aveva ormai ripreso a corrispondere regolarmente con Linneo, con reciproco giovamento anche per le collezioni degli orti botanici di Uppsala e Amsterdam. Nel 1760 - una scelta che ha il valore di un passaggio di testimone - decise di mandare a studiare a Uppsala suo figlio Nicolaas Laurens (1734-1793), l’unico allievo olandese di Linneo. Egli avrebbe seguito le orme del padre, pubblicando un’opera generale sulla flora tropicale, Flora Indica, e la monografia Specimen botanicum de geraniis. I due Burman divennero in un certo modo i custodi e diffusori dell'opera di Linneo nei Paesi Bassi: furono tra i primi ad aderire alla nomenclatura e al sistema linneano, Johannes a partire dall’appendice di Herbarium amboinense, Nicolaas Laurens per tutte le sue opere; per loro impulso, le aiuole didattiche dell’orto botanico di Amsterdam furono risistemate seguendo il sistema del grande svedese. E come Johannes aveva lanciato la carriera di Linneo, trentacinque anni dopo padre e figlio furono i protettori e i mecenati di Carl Peter Thunberg, cui procurarono l'ingaggio come medico della VOC che gli avrebbe permesso di diventare il padre della botanica sudafricana e giapponese. Un genere tropicale per uno specialista di tropicali Johannes Burman è dunque un tipico "botanico da scrivania" il cui grande merito non sta né nelle ricerche sul campo né nell'originalità del pensiero, ma nell'aver messo in circolazioni ricerche e opere altrui che rischiavano di andare sepolte nell'infinito cimitero dei capolavori della botanica mai stampati. Botanico rigoroso con un'ottima preparazione filologica e un'eccellente conoscenza del mondo editoriale, era uno specialista di piante esotiche, quelle stesse che l'orto botanico di Amsterdam, da lui egregiamente diretto per quasi quarant'anni, contribuì più di ogni altro ad acclimatare e diffondere in giardini e piantagioni. Oltre a dedicargli Bibliotheca botanica, già in Hortus Cliffortianus Linneo aveva istituito in suo onore il genere Burmannia, proprio in riconoscimento (e in auspicio) dei suoi meriti editoriali: aver dato alle stampe «con sommo studio e dottrina non mediocre» la prima flora di Ceylon e accingersi a fare lo stesso con l’immenso Herbarium amboinicum, un’impresa che, se gli fosse riuscita, gli avrebbe guadagnato la riconoscenza di tutti i botanici. Linneo avrebbe poi confermato il genere in Species Plantarum; Burmannia dà il nome a una famiglia propria (Burmanniaceae), di cui è il genere più cospicuo; comprende una sessantina di piante erbacee, diffuse nelle aree tropicali e subtropicali tutti i continenti, con massima area di diversità tra Asia sud-orientale e Australia. Di collocazione tassonomica incerta (un tempo era avvicinato alle orchidee, ora si pensa sia più prossimo alle Dioscoreales), sono monocotiledoni con foglie a rosetta e curiosi fiori con i tepali disposti su due giri, quelli esterni più grandi e vistosi, quelli esterni spesso ridotti e minuscoli. Alcune specie sono fotosintetiche, altre sono saprofite che traggono nutrimento delle micorrize di alcuni funghi; queste ultime sono dunque prive di clorofilla e hanno foglie ridotte a scaglie: è un adattamento ai terreni molto poveri e umidi in cui vivono. Qualche approfondimento nella scheda. Linneo arriva in Olanda nel giungo 1735, con due propositi: laurearsi in medicina, come esige il futuro suocero per concedergli la mano della promessa sposa Sara Lisa Moraea, e far conoscere al mondo scientifico europeo le sue idee innovative. Nei bagagli ha molti manoscritti. Quello a cui tiene di più è il suo schema per classificare i tre regni della natura: animale, vegetale, minerale. Quando lo mostra al botanico di Leida Jan Frederik Gronovius, quest'ultimo ne è entusiasta e proclama che deve essere immediatamente stampato. Dato che Linneo non ha un soldo, a pagare le spese sarà lui, con il concorso di un altro amico, il "coltissimo scozzese" Isaac Lawson. E' grazie a questo atto d'amicizia che esce la prima edizione dell'opera seminale della moderna sistematica: Systema naturae. Linneo pagherà il suo debito di riconoscenza dedicando ai due finanziatori un genere di piante; a Lawson toccherà Lawsonia, cui appartiene un'unica specie, L. inermis, dalle cui foglie si ricava l'henné. In Olanda alla ricerca di una laurea... e di uno sponsor Linneo arrivò in Olanda il 2 giugno 1735. Aveva 28 anni, era privo di mezzi, e doveva laurearsi al più presto in medicina: era questa la condizione ultimativa postagli dal dottor Johan Moraeus per concedergli la mano di sua figlia Sara Elizabeth, detta Sara Lisa. Al giovane svedese non mancava la fiducia in se stesso, o se preferite la faccia tosta. Appena sbarcato ad Amsterdam (dove si fermò solo tre giorni) chiese udienza a Johannes Burman, che aveva solo un anno più di lui, ma era già professore universitario e direttore dell'orto botanico. Burman, un uomo pieno di impegni, accettò di incontralo, ma non ne fu minimamente impressionato. La tappa successiva di Linneo fu Harderwijk, una piccola università che richiedeva solo un breve soggiorno per concedere la laurea. Bastarono pochi giorni per sbrigare le formalità, e nell'arco di una settimana egli fu in grado di discutere la tesi che aveva già scritto in Svezia. Il 23 giugno venne proclamato Dottore in medicina. La condizione imposta dal futuro suocero era soddisfatta, ma Linneo era venuto in Olanda con un altro obiettivo: far conoscere (e accettare) le sue teorie innovative al mondo scientifico europeo. Per riuscirci, gli serviva un patrono. Il tentativo con Burman era fallito sul nascere, ma Linneo non si scoraggiò. Appena laureato, si spostò a Leida, il maggior centro accademico olandese, nonché sede del più antico ed illustre orto botanico. E questa volta fece centro. Si presentò a Jan Frederik Gronovius, che non aveva alcuna posizione accademica ma era già un botanico noto per i suoi studi sulla flora americana, e gli mostrò il manoscritto di Systema naturae. Gronovius ne fu entusiasta: non solo scrisse lettere di presentazione per Burman e il celebre medico Herman Boerhaave, ma decretò che l'opera andava stampata immediatamente. E dato che Linneo non aveva soldi, a finanziare la stampa sarebbe stato lui, con il concorso del "coltissimo scozzese" Isaac Lawson (così Linneo stesso lo presenta nella prefazione di Systema naturae). Una vita attraverso le lettere Isaac Lawson si trovava in Olanda per la stessa ragione di Linneo: anche lui era deciso a laurearsi in medicina, ma anziché conseguire una laurea lampo nel diplomificio di Hardweijk, stava seguendo regolari corsi presso l'università di Leida, la più prestigiosa del paese. Era una tradizione di lunga data per i medici scozzesi studiare a Leida; ad attirarli era soprattutto la fama di Boerhaave, che insegnò qui dal 1701 al 1731 e educò diverse generazioni di medici scozzesi, noti come gli "uomini di Boerhaave". Non conosciamo nulla né dell'origine familiare né della giovinezza di Lawson; maggiore di Linneo di tre anni, quando si conobbero aveva 31 anni. Visto che, oltre a concorrere alle spese di stampa di Systema naturae, soccorse finanziariamente il nuovo amico in più occasioni, doveva appartenere a una famiglia facoltosa. Per altro, sappiamo abbastanza poco di lui. La nostra fonte principale sono le undici lettere che egli scrisse a Linneo tra il 1735 e il 1744 (non possediamo le risposte), le prime indirizzate formalmente al "doctissimo ac celeberrimo doctore Carlo Linnaeo", le ultime confidenzialmente all' "amico suo praestantissimo". Molte informazioni ci arrivano poi da altri corrispondenti di Linneo, in particolare Gronovius per il periodo olandese e Collinson per quello inglese. A presentare Lawson a Linneo sarà stato probabilmente proprio Gronovius che considerava lo svedese il suo protetto e la sua scoperta. Sicuramente lo scozzese era uno dei membri più assidui dell'accademia informale che si riuniva attorno a Gronovius, dove Linneo estasiava i presenti raccontando le sue avventure in Lapponia (in puro stile barone di Munchhausen) e si esibiva suonando il tamburo vestito con un improbabile costume lappone. L'aiuto di Gronovius e Lawson per Systema naturae non si fermò al finanziamento. L'esilissimo opuscolo di appena dodici pagine richiese ben cinque mesi tra la revisione del manoscritto e la correzione delle bozze; iniziato il 30 giugno, il lavoro finì a dicembre. In tutte questi mesi, i due amici furono a fianco di Linneo come consulenti e editor (per usare un termine moderno) e da settembre, quando lo svedese si trasferì a Hartekamp a lavorare per Clifford, si sobbarcarono totalmente i rapporti con il tipografo e la correzione delle bozze. Negli anni successivi, svolsero lo stesso ruolo di editor per le altre opere linneane stampate in Olanda, in particolare la prima edizione di Genera plantarum e Critica botanica (entrambe uscite a Leida nel 1737). Una trionfante lettera di Gronovius, datata la vigilia di Natale del 1736, informa Linneo che ha appena letto le ultime pagine di Genera plantarum e che è pronto a portarle all'editore; en passant, nelle ultime righe aggiunge che Lawson ha appena ottenuto il titolo di "candidato in medicina", ma non ne va troppo fiero. Possediamo poco meno di una decina delle lettere che Lawson scrisse a Linneo mentre quest'ultimo si trovava a Hartekamp, tra il 1736 e il 1737; riguardano soprattutto la soluzione di problemi editoriali, ma qua e là aprono uno spiraglio sulla vita intellettuale dei due amici: ad esempio, nel settembre 1737, Lawson propone a Linneo di andare a visitare il Museo di storia naturale di Haarlem insieme a un amico comune, il tedesco Johann Bartsch. In un'altra lettera, ringrazia per l'invio di un campione di zinco. Il suo interesse principale era infatti la mineralogia. Secondo gli atti dell'Università di Leida, Lawson ottenne il titolo di dottore in medicina il 28 dicembre 1737 con una tesi sull'ossido di zinco; ma prima di tornare a casa, si concesse un lungo giro in Germania, per visitare le miniere della famosa regione mineraria dello Harz e alcune importanti città. Siamo minutamente informati del viaggio grazie a due lettere a Linneo, la prima inviata da Goslar il 10 aprile 1738, la seconda da Londra il 27 maggio 1739. Il viaggio si protrasse dalla primavera all'autunno del 1738; Lawson visitò le miniere di Zellerfeld e Clausthal, quindi si spostò a Sankt Andreasberg e a Züdlinburg, raccogliendo campioni di minerali per la propria collezione o da inviare ad altri studiosi, tra cui Gronovius. Visitò quindi Berlino, Halle, Lipsia, Dresda e i distretti minerari della Sassonia. Quando arrivò nella celebre città termale di Carlsbad, si rese conto che i suoi piani di proseguire per Praga, Vienna e Ungheria non erano realistici (avrà finito i soldi o la sua famiglia si sarà spazientita?) e tornò in Inghilterra, con una sosta di appena qualche giorno in Olanda per salutare gli amici. Durante il viaggio in Germania, Lawson incontrò molti studiosi. L'incontro forse più importante per la diffusione del metodo linneano nel mondo tedesco fu quello con Johann Joachim Lange ad Halle; Lawson gli mostrò Systema naturae e Lange (che era un teologo, e come naturalista un autodidatta) ne fu così entusiasta che decise di pubblicarne un'edizione tedesca. Questa edizione bilingue (in latino e in tedesco) uscì nel 1740. Nel 1739 Lawson si stabilì a Londra, dove esercitava la medicina. Continuò a corrispondere attivamente con Gronovius e con Linneo (anche se di questo periodo ci sono rimaste due sole lettere); come aveva fatto in Germania, continuò a diffondere il verbo linneano, stringendo amicizia con personaggi come Peter Collison, che insieme al pettegolo Gronovius è la nostra principale fonte per questo periodo. Sono notizie sparse e discontinue, che non formano una biografia ma ci danno un'idea del personaggio. Nel marzo 1739 Lawson prese parte alla seduta della Royal Society in cui fu presentata una copia di Hortus Cliffortianus. Nel 1740 fece pubblicare una lista delle regole a cui dovrebbe attenersi il naturalista per raccogliere e preservare correttamente gli esemplari; Gronovius la tradusse in latino e la inviò a Linneo, suggerendogli di pubblicare a sua volta qualcosa di simile. Nel 1742, quando il Presidente della Reale accademia delle Scienze Abraham Bäck (un altro amico di Linneo) visitò Londra, soggiornò nella stessa casa di Lawson. Sappiamo inoltre (anche se la corrispondenza tra di loro è andata perduta) che il medico fu in contatto con lord Bute, un altro scozzese che aveva studiato a Leida, e fu proprio lui, nel 1741, a proporre a Linneo di dedicare al nobile conterraneo il genere Stewardia. Dell'influenza di Lawson sui linneani ci informa una lettera di Pehr Kalm del giugno 1748, in cui leggiamo che a Londra c'è un nutrito gruppo di seguaci di Linneo: studiano accanitamente le sue opere, ne sanno recitare interi brani a memoria, e "Isaac Lawson è il loro maestro". La notizia è quanto meno curiosa: nel giugno 1748, come vedremo tra poco, Lawson era già morto. La frase di Kalm andrà dunque interpretata in senso metaforico. Quello che sappiamo con certezza è che nel 1747 Lawson divenne medico capo delle truppe britanniche inviate in Olanda a respingere l'invasione francese durante la guerra di successione austriaca, e morì nel corso di questa campagna. Forse fu una delle vittime della battaglia di Lauffeldt del 2 luglio 1747. Una breve profilo biografico nella sezione biografia. Capelli rossi e tatuaggi rituali Proprio come aveva fatto con Gronovius, dedicandogli Gronovia, Linneo pagò il suo debito di riconoscenza con Isaac Lawson dedicandogli il genere Lawsonia. Lo scienziato svedese amava trovare qualche affinità tra i dedicatari e le piante e spesso nascondeva dietro le sue dediche un ritratto vegetale. Sicuramente lo fece per Gronovius, ma è difficile capire quale relazione vedesse tra Lawsonia inermis, ovvero l'esotica pianta da cui si ricava l'henné, e il generoso medico scozzese. Si tratta dell'unica specie del genere Lawsonia (famiglia Lythraceae). Nonostante il nome specifico (che significo "senza spine") è un grande arbusto spinoso con piccole foglie ellittiche e fiori profumati da bianchi a rosati seguiti da piccole capsule brunastre. La pianta è nota fin dall'antichità per le sue proprietà tintorie: la polvere di henné, ricavata dalle foglie essiccate, fornisce una tintura temporanea; unita a un fissatore, può essere impiegata per tingere stoffe e cuoio, ma il suo uso principale è nella cosmesi e nei tatuaggi. La pianta è coltivata da talmente tanto tempo che ne ignoriamo l'origine precisa; nel corso dei secoli è stata diffusa in un'area vastissima, dal Nord Africa fino al Sud Est asiatico; in alcuni di questi paesi i coloranti a base di henné costituiscono anche un importante prodotto di esportazione. In molte culture l'henné ha assunto un rilevante significato simbolico, religioso, rituale, associato alle feste principali dell'anno e ai momenti di passaggio della vita, in particolare la nascita e il matrimonio. Già gli antichi Egizi lo usavano per colorare le unghie, i capelli, le mani e i piedi delle mummie. In buona parte del mondo islamico e in India i matrimoni sono preceduti da speciali cerimonie durante le quali le mani e i piedi della sposa sono decorati con elaboratissimi tatuaggi tracciati con l'henné, un rito purificatore e apotropaico che dovrebbe allontanare il malocchio e propiziare la fertilità e la felicità del matrimonio. I disegni e lo stesso calore dei tatuaggi variano da una regione all'altra. In India i tatuaggi temporanei creati con l'henné sono anche una forma d'arte. In molte medicine tradizionali, l'henné è anche utilizzato per curare affezioni diverse, tanto da essere considerato una vera panacea. Sembra che in Europa l'uso dell'henné per tingere i capelli, oltre ad essere legato alla moda dell'orientalismo, sia stato diffuso dai preraffaelliti, a partire da Elizabeth Sidall, la moglie e musa di Gabriel Dante Rossetti, che esaltava il biondo-rosso naturale dei suoi capelli con impacchi di henné. Passò poi agli Impressionisti, e lunghi capelli rossi tinti con l'henné divennero quasi un marchio di fabbrica delle ragazze della bohème. La moda sarebbe stata poi rinnovata a partire dagli anni '60 del Novecento dal movimento hippie e dalle tendenze new age, che esaltavano il ritorno alla natura e il recupero dei saperi tradizionali. Altre informazioni nella scheda. Con la sua pretesa di rinominare gli esseri viventi secondo il nuovo sistema binominale, Linneo si attirò l'accusa di sfrontatezza e arroganza. Tuttavia, mano a mano che crescevano le adesioni e i seguaci, essere immortalati dal nome di una pianta, ricevendo da Linneo in persona la dedica di un genere, divenne l'aspirazione principale di botanici e "curiosi", come venivano chiamato i dilettanti che sempre più numerosi si innamoravano della botanica grazie alla semplicità del sistema linneano. Ma anche su questo punto le critiche non mancarono: il principe dei naturalisti venne accusato di elargire nomi ad amici e studenti con eccessiva parzialità, sicché si fece assai prudente. Anzi talvolta riluttante, come nel caso del dottor Alexander Garden, medico scozzese trapiantato in South Carolina, che riuscì da aggiudicarsi il prestigioso genere Gardenia solo in seguito a una vera e propria manovra di accerchiamento di un altro linneano, John Ellis. Come una pianta cinese fu scambiata per un gelsomino sudafricano e ebbe il nome di un medico americano I cinesi la chiamavano zhi-zi e la coltivavano da secoli. Con viaggi complicati, che comprendono una tappa nella colonia del Capo in Sud Africa, nel 1754 la varietà a fiori doppi arrivò in Inghilterra e nel 1758 fiorì per la prima volta nella serra del botanico Richard Warner (ca. 1711-1775). Con le lussureggianti foglie verde scuro e i candidi fiori stradoppi dal pervasivo profumo, divenne l'idolo del momento e attorno alla sua classificazione e denominazione scoppiò una disputa botanica. Philip Miller, il cocciuto capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, pensò si trattasse di un gelsomino, e la battezzò Jasminum capense, ovvero "gelsomino del Capo di Buona Speranza". John Ellis, mercante e naturalista più che dilettante, non ne era convinto: pensava appartenesse a un genere sconosciuto, e ne inviò un esemplare essiccato a Linneo che confermò il suo parere. Intanto l'abilissimo vivaista James Gordon era riuscito ad averne quattro talee e le aveva moltiplicate con tanto successo che nel giro di pochi anni riuscì a guadagnare 500 sterline, rivendendo le cento piante che ne aveva ricavato. Nel suo vivaio di Miles End la ritrasse il più famoso artista botanico dell'epoca, Georg Dionysius Ehret, etichettandola provvisoriamente con il nome proposto da Miller. Ricevuta la conferma da Linneo, Ellis gli riscrisse proponendogli di battezzare il nuovo genere Warneria in onore del primo proprietario. Questa proposta imbarazzava enormemente Warner, che era amico di Miller e non desiderava contraddirlo; perciò si affrettò a scrivere a sua volta a Linneo, chiedendogli di rifiutarla. Ellis non demordeva e, dopo qualche esitazione, nel 1760 propose a Linneo un nuovo nome: Gardenia, in onore di un amico comune, il medico scozzese Alexander Garden. Anche questa volta Linneo rifiutò: non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere in queste dispute tra botanici inglesi, inoltre non capiva qualche nesso ci fosse tra Garden e la pianta: non l'aveva né scoperta né coltivata, anzi neppure mai vista. Era disponibile a dedicargli a una pianta americana, ma che aveva mai a che fare con questa sudafricana (che, come noi sappiamo, in realtà era cinese)? Per mesi si dimostrò irremovibile, scrivendo tra l'altro: "Desidero tutelarmi dalle malevole obiezioni, tanto spesso sollevate contro di me, di chi mi accusa di battezzare le piante con i nomi di miei amici che non hanno dato alcun pubblico contributo al progresso della scienza". Alla fine Ellis mise Linneo di fronte al fatto compiuto: gli scrisse che Garden era già stato messo al corrente della dedica e che, al di là dell'Atlantico, la pianta era ormai nota come Gardenia. Poi la pubblicò lui stesso nelle Transactions della Royal Society. Linneo, che non desiderava esautorare il suo principale sostenitore in Inghilterra, che oltre tutto proprio in quei mesi aveva accolto ospitalmente Solander, dovette abbozzare, In questo modo contorto la bella zhi-zi ricevette il nome botanico Gardenia jasminoides J. Ellis. Uno scrupoloso ricercatore linneano E' ora di fare la conoscenza con l'inconsapevole oggetto umano di quella disputa, il dottor Alexander Garden, che - a posteriori - confermò che tanto onore non era stato immeritato. Scozzese, aveva studiato medicina a Edimburgo; nel 1752, essendosi ammalato di tubercolosi, nella speranza di un clima più propizio si trasferì a Charleston in South Carolina, dove esercitò la professione medica per molti anni. Come studente di medicina, aveva cominciato a studiare botanica in patria seguendo i sistemi di Ray e Tournefort; ma quando arrivò in Carolina, da una parte fu affascinato dalla varietà della flora di quella regione benedetta dalla natura, dall'altra fu frustrato dalla sua incapacità di ricondurre le specie non ancora descritte a quei complicati sistemi. In queste ricerche, dichiarerà più tardi, gettò via tre anni. Anche la sua salute non trovò il giovamento sperato. Dopo un anno di clima particolarmente avverso, nel 1754 decise di fare un viaggio a nord. Capitò così a New York, dove fu ospite Cadwallader Colden e di sua figlia Jane (la prima botanica americana), che gli misero a disposizione la loro biblioteca; su quegli scaffali, Garden trovò il suo santo Graal: Flora virginica di Gronovius, nonché Classes plantarum e Fundamenta botanica, due delle prime opere di Linneo. Passò poi da Philadelphia, dove incontrò John Bartram appena rientrato dalla sua escursione nelle Catskill mountains. Al suo ritorno in Carolina, Garden ebbe egli stesso occasione di conoscere più da vicino la selvaggia natura americana, visitando le Blue Montains in qualità di medico della missione incaricata di cercare l'alleanza dei Cherokee contro la Francia. Tornato poi a Charleston, si mise a studiare le opere di Linneo, e, come d'incanto, tutto quello che gli era rimasto oscuro, si chiarì: il cristallino sistema sessuale gli fornì il filo d'Arianna che cercava e si convertì in un fervente seguace del luminare svedese. Nel marzo 1755 osò scrivere al suo idolo una prima lettera, che rimase senza risposta. Solo dopo tre anni (e dopo molte lettere senza risposta) Linneo si degnò infine di rispondergli, iniziando una duratura e feconda corrispondenza. Il grande svedese non era l'unico corrispondente di Garden; l'ambiente in cui viveva, così ricco di specie da scoprire, era invece assai povero di naturalisti, tanto da fargli scrivere: "qui non c'è anima viva che conosca anche solo una iota di storia naturale". Iniziò così a corrispondere con moltissimi naturalisti al di qua e al di là dell'Oceano, come Colden, Bartram, Gronovius, Collinson, e soprattutto John Ellis, che divenne anche il suo principale intermediario con Linneo. Era a lui che inviava gli esemplari di piante e animali che andava raccogliendo nelle escursioni che alternava alla pur molto impegnativa attività di medico. Era un linneano così fervente che, quando Ellis gli propose di pubblicare alcune specie da lui scoperte sulle Transactions della Royal Society, rifiutò, perché avrebbe dovuto scriverle in inglese, mentre Linneo usava solo il latino. Il suo sogno era scoprire un genere sconosciuto, e che magari Linneo gli desse il suo nome. Dapprima credette di aver fatto centro quando gli inviò una pianta che propose di denominare Ellisia in onore dell'amico comune; ma Linneo lo disilluse, determinandola come Swertia difformis (oggi Sabatia difformis). E quando fu il turno di un nuovo tipo di storace, lo deluse di nuovo preferendo dedicarla, su suggerimento di Ellis, con il nome di Halesia a uno studioso ben più illustre di lui, il reverendo Stephen Hales. Il successo sarebbe arrivato solo nel 1765, con la scoperta di ben due nuovi generi; ma ormai Gardenia gli era già dedicato, ed essi furono battezzati Fothergilla e Stillingia, in onore rispettivamente di John Fothergill e Benjamin Stilling-Fleet. Il suo contributo alla scoperta del primo è comunque ricordato dal nome specifico Fothergilla gardenii. Più ancora che alle piante della Carolina, Linneo era però interessato agli insetti, ai rettili e agli anfibi di quella regione che sapeva ricca di specie sconosciute. Garden accondiscese alle sue richieste e da botanico diventò zoologo, inviando a Uppsala le sue eccellenti descrizioni dal vivo e dozzine di esemplari perfettamente conservati nel rum. Sono così almeno una trentina le specie di anfibi, rettili e pesci descritti in Systema naturae la cui scoperta si deve a Garden. La più nota di tutte è Siren lucertina, un anfibio anguiforme che gli sembrava intermedio tra una lucertola e un'anguilla. Qualche anno più tardi, nel 1774, Garden ebbe occasione di studiare le proprietà elettriche di alcune "anguille" giunte vive a Charleston dal Suriname. Le sottopose ad esperimenti ed inviò le sue osservazioni alla Royal Society di Londra, insieme a un esemplare vivo e ad alcuni esemplari perfettamente conservati sotto alcool, di cui John Hunter poté così studiare gli organi elettrici. L'anno prima, Garden aveva ottenuto l'ammissione alla Royal Society. Allo scoppio delle ostilità tra la Gran Bretagna e le colonie, si schierò con i lealisti. Nel 1781 le sue proprietà furono confiscate e due anni dopo ritornò in patria, stabilendosi nei pressi di Londra. Molto rispettato per "la sua benevolenza, la sua allegria, e le sue buone maniere", divenne vicepresidente della Royal Society. Morì di tubercolosi nel 1791. Una sintesi biografica nella sezione biografie. Gardenia, un fiore da leggenda Con circa 150-200 specie di arbusti e alberi sempreverdi diffusi nell'Africa e nell'Asia tropicale e subtropicale, il genere Gardenia è uno dei più notevoli della famiglia Rubiaceae. La specie più nota è indubbiamente G. jasminoides, tanto apprezzata per la sua bellezza e il suo profumo, quanto famigerata per la sua capricciosità. Croce e delizia dei giardinieri, è una pianta mitica, simbolo di bellezza, lusso e seduzione: era il fiore preferito di Sigmund Freud, i dandies francesi della fin du siècle la portavano all'occhiello e Billie Holiday ne appuntava tre alla chioma, tanto da essere soprannominata la "gardenia bianca del jazz"; la scelgono le spose per i loro bouquet, i bar Tiki la ostentano riunite in corone e le usano come ingrediente segreto dei cocktail. Oltre a una celebre rivista di giardinaggio, presta il suo nome a decine di ditte, esercizi commerciali, prodotti di bellezza, associazioni sui temi più vari. In giardino ne sono state selezionate innumerevoli varietà; già la forma doppia a tutti famigliare è frutto della selezione orticola millenaria in Cina, dove è stata preferita alla originaria forma a fiore semplice. Oggi si punta sempre più su quelle un po' più rustiche e meno schizzinose, come G. jasminoides radicans, di dimensioni minori, capace di sopportare l'inverno all'esterno, oppure 'Crown jewel', rustica fino a -10 gradi. Tuttavia, non c'è solo G. jasminoides. Al contrario di questa cinese entrata nella storia della botanica travestita da sudafricana, arriva davvero dalle foreste della regione del Capo G. thumbergia, la seconda specie a giungere in Europa intorno al 1773 grazie a Thunberg e al suo amico Masson. Arriva invece dall'India G. latifolia, un vero piccolo albero, apprezzato non solo per l'ombra offerta dalla densa chioma sempreverde e i fiori, ma anche per i frutti eduli, ampiamente coltivato nel subcontinente e introdotto in molte zone dell'Africa. Numerose sono le specie originarie delle isole del Pacifico, uno dei principali centri di diversità; tra di esse G. taitensis, che fu raccolta per la prima volta a Tahiti durante la seconda spedizione di Cook, uno dei fiori simbolo delle isole, molto apprezzato in profumeria. E non tutte le gardenie hanno fiori bianchi: ad esempio, l'asiatica G. tubifera ha corolle giallo oro. Qualche approfondimento sulle "altre gardenie" nella scheda. Linneo trascorse l'estate del 1736 in Inghilterra. Lo scopo ufficiale del viaggio, finanziato dal suo datore di lavoro George Clifford, era procurarsi piante rare per arricchire le collezioni del suo mecenate; ma per il giovane studioso svedese era soprattutto l'occasione per conoscere i "colleghi" britannici e propagandare il suo nuovo sistema. Contrariamente alle aspettative, fu tutt'altro che una tournée trionfale. A Londra, i big della botanica inglese, da Sloane a Miller, lo accolsero con freddezza; né meglio andò ad Oxford, dove Dillenius, il primo titolare della cattedra di botanica sherardiana, lo apostrofò come "l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". A sentire Linneo e i suoi biografi, quello che era iniziato come un increscioso incidente diplomatico si risolse tuttavia in una vittoria dello svedese e in una dimostrazione luminosa dell'efficacia del suo metodo, tanto che alla fine l'arcigno tedesco l'avrebbe pregato in lacrime di diventare il suo assistente. Probabilmente non andò davvero così, ma è certo che da quel momento tra i due ci fu reciproca stima; l'anno successo, Linneo dedicò a Dillenius la sua Critica botanica e creò in suo onore il genere Dillenia. Del resto, il botanico tedesco era uno studioso di grande valore, la cui Historia muscorum segnò una tappa decisiva nello studio delle cosiddette "piante inferiori". Linneo a Londra: una fredda accoglienza Come ho raccontato in questo post (a proposito, era il centesimo e questo è il numero duecento!), tra il 1735 e il 1737 Linneo lavorò per il ricchissimo George Clifford, borgomastro di Amsterdam e direttore della Compagnia olandese delle Indie orientali, riorganizzando e catalogando il suo orto botanico privato di Hartekamp. Clifford desiderava ardentemente arricchire le sue collezioni con qualcuna delle rarità esotiche di provenienza americana coltivate nelle serre di Londra e Oxford; per questo accettò di privarsi per qualche settimana del "suo" botanico, inviandolo in Inghilterra a far incetta di piante. Per Linneo, che nel 1735 aveva pubblicato proprio in Olanda la prima edizione di Systema naturae, era l'occasione per conoscere di persona i big della botanica britannica, di cui sperava di ottenere il riconoscimento, proprio come aveva ottenuto quello di studiosi olandesi del calibro di Gronovius e Boerhaave. Gli esiti, tuttavia, furono molto lontani dalle speranze. Freddissima fu l'accoglienza di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, cui Linneo si era presentato munito di una lettera proprio di Boerhaave, in cui quest'ultimo invitava l'illustre collezionista ad accogliere quel giovane degno di lui, aggiungendo che "chi vi vedesse insieme, vedrà una coppia di cui il mondo difficilmente potrà vedere l'uguale". Sloane, che aveva 77 anni ed era abituato ad essere universalmente riconosciuto e riverito, non gradì per nulla l'accostamento a quell'ignoto neolaureato svedese trentenne, e si degnò appena di mostrargli le sue collezioni e il suo erbario. Le cose non andarono meglio con Philip Miller, il capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, da cui Linneo sperava di ottenere piante rare per il suo mecenate. Dopo la brutta esperienza con Sloane, egli, che aveva sentito dire che Miller era uno scozzese piuttosto scorbutico, pensò che fosse meglio comportarsi con prudenza. Quando quest'ultimo lo accompagnò a visitare il giardino e incominciò a illustrare le piante usando i prolissi nome-descrizione e le classificazioni di Ray e Tournefort, per non irritarlo rimase in silenzio. Il giorno dopo, venne a sapere che Miller si era fatto beffe di lui con i suoi amici dicendo che "quel botanico del borgomastro di piante non sa un'acca". Era troppo per Linneo che, quanto a brutto carattere, non era da meno di Miller. Alla sua seconda visita a Chelsea, quando il giardiniere gli mostrò l'erbario, contestò le sue denominazioni, sostenendo che "se ne possono usare di migliori e più sintetiche" e cercò in ogni modo di fare sfoggio delle sue competenze. Il risultato fu di far imbufalire Miller, che non amava essere contraddetto e giudicava Linneo un arrogante presuntuoso, il cui sistema non aveva nulla a che fare con la realtà delle piante, serviva solo a mettersi in mostra e non avrebbe avuto futuro; egli avrebbe cambiato idea solo molti anni dopo, nel 1768, quando nell'ottava edizione del suo Gardeners Dictionary si convinse finalmente ad adottare il sistema linneano. Gli errori di Linneo... e quelli di Dillenius Linneo non fu accolto a braccia aperte neppure ad Oxford, dove era andato appositamente per incontrare Johann Jacob Dillenius, lo scienziato di origine tedesca che da qualche anno era il titolare della prima cattedra di botanica presso quell'università, nonché curatore dell'orto botanico. Durante il primo incontro Linneo mantenne una condotta cortese e deferente. Esordì scusandosi di dover parlare in latino, visto che non conosceva l'inglese. Dillenius bruscamente si rivolse a un altro gentiluomo che assisteva al colloquio (secondo i biografi di Linneo, si tratterebbe di James Sherard) che gli aveva chiesto chi fosse quel giovanotto, dicendo: "E' l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". Poiché aveva parlato in inglese, pensava che Linneo non avrebbe capito; lo svedese, invece, non solo capì che si parlava di lui, ma anche la sostanza delle parole di Dillenius (l'inglese confusion è simile al latino confusio), ma al momento decise di abbozzare. I tre quindi si spostarono in giardino; Linneo notò una pianta che non aveva mai visto: "Che pianta è?" "Dovreste dirlo voi a me!" "Certamente, se mi permettete di esaminare un fiore." "Avanti, lo faccia." Linneo eseguì e, contando gli stami e il pistillo, ne diede il nome corretto, ma non per questo Dillenius si sciolse. Linneo era ormai convinto che il suo viaggio fosse stato inutile e, visto che incominciavano anche a scarseggiare i soldi, il giorno dopo tornò da Dillenius per congedarsi. Questa volta il cattedratico era solo. Linneo lo pregò di inviare un servitore a fissare per lui la carrozza di posta che l'avrebbe riportato a Londra, quindi, con la massima cortesia di cui era capace, gli domandò: "Perché ieri avete detto all'uomo che era con voi che sono quello che porta confusione nell'intera botanica?" Dillenius, molto imbarazzato, cercò di cambiare argomento, ma Linneo insisteva. "Venite con me", disse allora il tedesco e lo portò nella sua biblioteca. Da uno scaffale estrasse una copia di Systema naturae che aveva ricevuto da Gronovius e mostrò quelle pagine costellate della sigla NB. "Che significa?" domandò Linneo. "Sono gli errori del vostro libro" "Non sono errori, ma se lo fossero, insegnatemi meglio. Riceverò con gratitudine le vostre correzioni". "Benissimo, proviamo. Ecco, ad esempio, il genere Blitum. Lei pretende che abbia un solo stame, ma ne ha tre". Linneo e Dillenius si spostarono in giardino, Linneo esaminò un fiore di Blitum e mostrò che lo stame era effettivamente uno. "Bah, è un esemplare anomalo". Li osservarono tutti e risultò che aveva ragione Linneo. L'esame continuò con altri generi, sempre dimostrando che le descrizioni di Linneo erano corrette. A questo punto, Dillenius cambiò totalmente atteggiamento, e, stando alla versione diffusa da Linneo, l'avrebbe addirittura supplicato in lacrime di non partire ma di fermarsi ad aiutarlo a classificare l'erbario di Sherard, in cambio di metà del suo salario. E' probabile che le cose non siano davvero andate così se poco dopo Dillenius scrisse a un collega "Linneo ha certamente una conoscenza approfondita della botanica, ma il suo metodo non funziona"; e qualche anno dopo avrebbe scritto allo stesso Linneo: "Non ha dubbi che voi stesso, un giorno, rigetterete il vostro sistema". In ogni caso tra i due si era stabilita una stima reciproca; iniziarono a scriversi e a scambiarsi esemplari e le rispettive pubblicazioni. Nel 1738 Linneo dedicò a Dillenius Critica botanica e tenne poi sempre in grande considerazione le opere del collega tedesco, da cui riprese diversi generi in Species plantarum. Un grande tassonomista e l'inizio dello studio scientifico delle crittogame Per quanto ritoccato da Linneo e dai suoi biografi, l'aneddoto assume quasi il valore di un metaforico passaggio di testimone tra la vecchia scuola tassonomica di Ray e Tournefort, di cui Dillenius fu un esponente di primo piano, e il nuovo sistema linneano. Del resto, tra i due protagonisti di questa storiella, curiosamente, c'è più di una affinità. Come Linneo si era trasferito in Olanda e aveva iniziato la sua carriera classificando le collezioni di un mecenate, lo stesso aveva fatto Dillenius, spostandosi dalla nativa Germania in Inghilterra al servizio del botanico e collezionista William Sherard. Nato nel 1684 a Darmstadt, si formò e insegnò medicina e botanica all'università di Giessen; nel 1719 pubblicò una flora dei dintorni di questa città, Catalogus plantarum sponte circa Gissam nascentium, che illustrò di propria mano, essendo anche un eccellente disegnatore e incisore. E' un'opera notevole perché, accanto alle fanerogame, tratta anche le crittogame e presenta uno dei primi tentativi di classificazione dei funghi; delle 160 specie di funghi descritte, 90 erano inedite; delle 200 specie di muschi, erano sconosciute ben 140. Questo lavoro diede fama europea a Dillenius e attrasse l'attenzione di William Sherard che nel 1721 lo invitò a trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo a catalogare il suo immenso erbario e ad allestire il catalogo del giardino di Eltham nel Kent, dove suo fratello James (anche lui appassionato botanico) coltivava piante rare. Lavorando fianco a fianco con William Sherard, che aveva studiato a Parigi con Tournefort, Dillenius divenne uno dei migliori tassonomisti della sua generazione, con un'approfondita conoscenza anche del sistema di Ray, di cui nel 1724 curò la terza edizione di Synopsis Methodica Stirpium Britannicarum, incorporandovi tra l'altra l'opera sui muschi del reverendo Adam Buddle. Stabilitosi a Eltham, Dillenius divenne il curatore di quel magnifico orto botanico privato, di cui documentò le collezioni in Hortus elthamensis, uscito infine dopo una lunga rielaborazione nel 1732; in due spettacolari volumi in folio, con 324 tavole disegnate e incise dallo stesso Dillenius, è uno dei capolavori della botanica prelinneana, per la precisione delle descrizioni (la parte tassonomica è per lo più dovuta allo stesso Sherard) e la bellezza delle immagini, in cui vengono trattate e illustrate 417 piante rare e esotiche; di grande importanza storica la trattazione delle succulente sudafricane, che fu ampiamente riutilizzata da Linneo. Catalogare l'immenso erbario del maggiore dei fratelli Sherard richiedeva un impegno anche più gravoso: rendendosi conto che non gli restava molto da vivere, nel suo testamento William lasciò all'università di Oxford la sua biblioteca, il suo erbario e un lascito di 3000 sterline, a condizione che venisse istituita una cattedra di botanica da affidare al professor Dillenius, che avrebbe dovuto completarne lo studio e la catalogazione. Sherard morì nel 1728, ma Dillenius, ancora impegnato a Eltham, poté assumere il nuovo incarico solo nel 1734. Possiamo credere che non gli sarebbe davvero spiaciuto essere affiancato da Linneo, come lui aveva affiancato il vecchio Sherard; nelle sue lettere, spesso lamenta di aver perso tempo e denaro (sembra che i fratelli Sherard lo pagassero molto poco) in quel compito immane, di cui non venne mai a capo, anche perché, probabilmente, preferiva ricerche più originali, in particolare lo studio delle sue amate crittogame. Frutto di un lavoro ventennale, il suo capolavoro è infatti Historia muscorum (1741), in cui vengono trattati, oltre ai muschi, altri gruppi di "piante inferiori": funghi, alghe, licheni, epatiche, antocerote e licopodi, per un totale di 661 taxa. Anche in questo caso, le 85 tavole che illustrano il grosso volume di 576 pagine sono di sua mano. I funghi sono classificati sulla base delle caratteristiche del corpo fruttifero (criterio poi fatto proprio da Linneo) e vengono creati numerosi generi, che poi furono mantenuti dallo svedese. Ogni voce comprende una dettagliata descrizione, la lista dei sinonimi e l'indicazione degli eventuali usi. Era un'opera costosa, di cui furono stampate solo 250 copie, vendute al prezzo di una ghinea l'una, che si rivelò un insuccesso finanziario; per recuperare almeno in parte le spese, Dillenius ne preparò una versione abbreviata, priva di illustrazioni, che conteneva solo i nomi, l'habitat e una breve descrizione, rimasta però allo stadio di manoscritto. Per raccogliere il materiale necessario, nel 1726, egli aveva fatto una lunga escursione in Galles, ma soprattutto ricorse al contributo di numerosissimi corrispondenti in Inghilterra e all'estero. Morì nel 1747 in seguito a un colpo apoplettico. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Dillenia ovvero una chicca per elefanti Nel 1736 Clifford ottenne alcuni semi di una pianta indiana detta syalita; seminati a Hartekamp, germinarono, ma le pianticelle sopravvissero solo due settimane. Quanto bastava perché Linneo potesse includere anche questa specie nel catalogo del giardino, Hortus Cliffortianus (1737), traendo la descrizione da Hortus Malabaricus e da Herbarium Amboinense di Rumphius; stando a queste fonti, si trattava di un albero di notevole bellezza; Linneo ritenne capitasse proprio al momento giusto per ingraziarsi il bisbetico professore tedesco e la denominò Dillenia indica, con queste parole: "Ho nominato questo albero dai bellissimi fiori e dai frutti enormi in onore di Dillenius, dottore in medicina, botanico incomparabile dei tempi nostri, professore sherardiano a Oxford e membro dell'Accademia Leopoldina". Confermò poi il genere in Species Plantarum, 1753. Dillenia L, che dà il nome alla famiglia Dilleniaceae, comprende un centinaio di specie di alberi, arbusti e liane tropicali, diffusi tra il Madagascar, l'India, il sud-est asiatico e l'Oceania occidentale. La specie più nota è proprio D. indica; è un grande arbusto o un piccolo albero con chioma tendenzialmente tondeggiante e spettacolari fiori candidi che possono ricordare quelli di Magnolia grandiflora, seguiti da enormi frutti tondeggianti giallo-verdastro. Di sapore tra l'acido e l'amarognolo, in India sono aggiunti ai curry o usati per preparare marmellate e gelatine. A esserne ghiotti sono soprattutto gli elefanti (i frutti crescono molto in alto, dove non sono raggiungibili da animali più piccoli), tanto da essere noti come "mela degli elefanti". Di grande valore ornamentale e talvolta usata in giardini e alberate in aree a clima tropicale è D. philippinensis, endemica delle Filippine; simile alla precedente, ha fiori con cinque sepali candidi che circondano una doppia corona di stami rossi e porpora, seguiti da frutti globosi. Di quest'albero, detto catmon, viene utilizzato tutto: il legname; la corteccia da cui si ricava un colorante rosso; i sepali carnosi eduli; i frutti, il cui sapore dovrebbe ricordare quello di una mela acida, usati per preparare salse e confetture e aromatizzare il pesce; corteccia e foglie hanno proprietà astringenti, antinfiammatorie, antimicrobiche e analgesiche. Può essere coltivata come pianta da interni o da serra in grandi contenitori. Qualche notizia in più nella scheda. L'8 aprile 1788 nacque ufficialmente la Linnean Society di Londra, la più antica e più prestigiosa società dedicata allo studio e alla divulgazione della classificazione degli esseri viventi. Lo scopo fondamentale della nuova associazione era valorizzare le collezioni di Linneo che il giovane James Edward Smith aveva acquistato e fatto portare a Londra, probabilmente salvandole dal degrado o dalla dispersione. Per quarant'anni presidente della Linnean Society e custode di quella inestimabile eredità, egli stesso attivissimo studioso di botanica e entomologia, Smith faticò tuttavia a scrollarsi di dosso le riserve di coloro che pensavano dovesse il suo prestigio più ai soldi che alla competenza scientifica. Ne è prova la curiosa polemica che accompagnò la nascita del genere Smithia. Le collezioni di Linneo arrivano a Londra La mattina del 23 dicembre 1783 Joseph Banks sta facendo colazione nella sua elegante casa di Soho Square con un giovane ospite, lo studente di medicina James Edward Smith, quando riceve una lettera dalla Svezia: il figlio di Linneo è morto e la madre gli offre i manoscritti, la biblioteca e le collezioni del grande naturalista per 1000 sterline. Banks che, pure cinque anni prima aveva fatto un'offerta anche più consistente, è imbarazzato: pur ricchissimo, sul momento non dispone di quella somma (l'equivalente più o meno di 175.00 euro). Ma poi ha un'idea: perché il giovane Smith, figlio di un facoltoso mercante di Norwich, non chiede i soldi al padre, diventando così con un solo gesto il salvatore dell'eredità di Linneo e un benemerito della scienza e della patria? James Edward è entusiasta, il padre e il fratello maggiore un po' meno. "Mio caro James - gli scrive il padre - la somma è molto forte, il rischio e le difficoltà grandissimi, l'ansia prodigiosa e la possibilità di delusioni più grandi ancora". Ma quando dalla Svezia arriva il catalogo e il mercante scopre che il solo valore dei libri copre più che ampiamente la somma richiesta, annusa l'affare e apre il portafoglio. Nella primavera successiva, prima che si facciano avanti altri acquirenti (si vocifera che sia interessata anche la zarina Caterina II) o che le autorità svedesi pongano il veto, la trattativa viene conclusa; ad agosto Smith riesce anche a convincere il Tesoro a rinunciare alle tasse di importazione e ad ottobre, chiuse in 26 casse, le collezioni di Linneo lasciano la Svezia a bordo del brigantino Appareance. Si dice che il re di Svezia, appena rientrato dall'estero, abbia mandato una nave da guerra all'inseguimento; benché colorito (e raffigurato in una stampa dell'epoca), l'aneddoto è falso. Fu così che l'eredità scientifica di Linneo giunse in Inghilterra, e Londra sostituì Uppsala come capitale della biologia sistematica. Smith era ora il proprietario e il custode di una collezione inestimabile che comprendeva 19000 fogli di erbario, 3198 insetti, 1564 conchiglie, 2500 minerali, almeno 3000 libri e 4000 tra lettere e manoscritti. Inizialmente avrebbe voluto affidare il tutto al British Museum, ma poi decise di fare trasportare i materiali nella sua casa di Chelsea; Banks e il suo segretario Dryander lo aiutarono in un primo sommario esame, che servì soprattutto a individuare i doppioni. Intanto il padre di Smith sollecitava il figlio a riprendere gli studi di medicina; James Edward invece preferì partire per un grand tour di diciassette mesi in Europa, nel corso del quale si laureò in medicina a Leida, visitò la Francia e l'Italia e prese contatto con eminenti personalità dell'ambiente scientifico. Al suo ritorno a Londra, informò il padre che non intendeva seguire la carriera medica, ma che sarebbe diventato un naturalista (fin dal 1784 era stato ammesso alla Royal Society); il suo obiettivo principale era ora fondare una nuova società di storia naturale che divenisse custode e divulgatrice dell'eredità linneana. Per ospitare più degnamente le collezioni, affittò una nuova casa londinese a Great Marlborough Street; con il sostegno di Banks, insieme a Samuel Goodenough (classicista, teologo e naturalista dilettante, che qualche anno dopo sarebbe diventato vescovo di Carlisle) e Thomas Marsham (funzionario dello Scacchiere, appassionato di entomologia) fondò quindi la Linnean Society, le cui riunioni preliminari si tennero in un caffè di Marlborough Street il 26 febbraio e il 18 marzo; nella prima riunione generale (8 aprile 1788), tenuta invece nella casa di Smith, la società venne fondata ufficialmente e Smith, Goodenough e Marsham furono eletti rispettivamente presidente, tesoriere e segretario; Dryander fu nominato bibliotecario onorario. Inizialmente i membri erano 20, cui si aggiungevano 39 corrispondenti esteri, 11 associati e tre membri onorari (uno dei quali era Joseph Banks). Un'attività febbrile e molte polemiche La società prese a riunirsi regolarmente a casa di Smith due volte al mese, con una pausa estiva da luglio a ottobre. In cambio di un affitto di 20 sterline l'anno, aveva a disposizione due stanze, il locale per le riunioni e la biblioteca, che incominciò a crescere anche grazie alle donazioni di molti privati, tra cui lo stesso Banks. Inoltre dal 1794 presero ad uscirne i rendiconti, Transactions of the Linnean Society of London, che ben presto divennero una delle più prestigiose riviste scientifiche del pianeta. L'attività della Società, tuttavia, si reggeva su una situazione ambigua: era preposta allo studio e alla divulgazione delle collezioni di Linneo, che tuttavia erano di proprietà di Smith. Si riuniva nella sua casa ma non sembra, a parte l'uso della biblioteca, che i membri godessero di particolari privilegi per l'accesso alle collezioni. La situazione peggiorò quando nel 1796 Smith si sposò e insieme alla moglie decise di vivere a Norwich nove mesi all'anno, trascorrendone a Londra solo tre. Le presenze di Smith alle riunioni si fecero sempre più rare; inoltre, egli mise in vendita i minerali e fece trasportare il resto delle collezioni nella sua residenza di Norwich. La decisione arrivò dopo anni di assiduo impegno, che avevano logorato i nervi e la salute di Smith. Oltre a intrattenere gli ospiti che visitavano la sua casa, teneva conferenze di botanica e zoologia al Guy hospital e nella sua stessa dimora; dava lezioni di scienze naturali alla regina e alle principesse reali; aveva un'intensa attività di pubblicista; tra il 1790 e il 1793 iniziò la collaborazione con il grande illustratore Sowerby, per il quale scrisse le descrizioni della sua flora dell'Australia Icones pictae plantarum rariorum descriptionibus et observationibus illustratae. La residenza a Norwich consentiva a Smith - che comunque rimaneva al centro di una vastissima rete di corrispondenti, ai quali scriveva assiduamente - di sottrarsi alle "invidie e alle maldicenze, o anche peggio, tipiche degli artisti e degli autori di una grande città", come scrisse a Banks. D'altra parte, la sua posizione di custode del verbo linneano gli dava prestigio, ma allo stesso tempo ne limitava le possibilità di affermarsi come ricercatore originale; è significativo il fatto che la sua opera più importante, English botany, una gigantesca flora illustrata della Gran Bretagna, in 36 volumi (in 267 fascicoli mensili pubblicati nell'arco di 23 anni, dal 1791 al 1814), non sia uscita sotto il suo nome, ma sotto quella dell'illustratore James Sowerby, quasi Smith avesse ritegno nel firmare pubblicamente un'opera divulgativa. Non a caso, nonostante il sostegno di amici importanti come Banks, l'indubbio prestigio internazionale, una produzione sterminata (si calcola che abbia curato 3348 voci per l'Enciclopedia di Rees, in cui tra l'altro descrisse numerose piante inedite), il ruolo di curatore della più bella opera di botanica del suo tempo, la Flora graeca di Sibthorp, Smith non riuscì ad affermarsi sul piano accademico: nel 1814, la sua candidatura come professore di botanica a Cambridge fu respinta a causa della sua affiliazione religiosa (apparteneva alla chiesa unitariana); nel 1819, anche l'università di Edimburgo respinse la sua candidatura. Ma i dispiaceri più cocenti arrivarono da un vecchio amico dei tempi dell'Università, anch'egli tra i primi membri della Linnean Society, Richard Salisbury. A dividerli, furono rivalità sia personali sia scientifiche. Nel 1802, una discussione sui sistemi di classificazione (Smith difendeva il sistema linneano, Salisbury la classificazione naturale di Antoine-Laurent de Jussieu) sfociò in un violento litigio, in seguito al quale il permaloso Smith cercò di fare terra bruciata intorno a Salisbury inviando lettere di fuoco ai suoi corrispondenti. Nel suo moralismo poco sopportava i modi disinvolti dell'ex amico che, per non pagare gli alimenti alla moglie, aveva dichiarato una finta bancarotta (a quanto pare, danneggiando anche gli interessi finanziari di una sorella di Smith) e non aveva trovato di meglio che accompagnare in un bordello londinese un sedicenne protegé di Smith, un futuro pastore appena arrivato nella capitale. La rivalità tra i due raggiunse il parossismo nel 1804, quando Salisbury pubblicò un opuscolo in cui accusava Smith di aver copiato parola per parola nei suoi libri ottocento descrizioni linneane. D'altra parte, di plagi Salisbury si intendeva perfettamente: pochi anni dopo, sarebbe stato messo al bando dalla botanica inglese per aver pubblicato come propri i nomi delle Proteaceae creati di R. Brown (l'ho raccontato in questo post). Ma torniamo a Smith e alle collezioni di Linneo. Che queste ultime fossero a suoi occhi una proprietà personale, benché se ne proclamasse il custode in nome dell'umanità, fu chiaro alla sua morte, avvenuta nel 1828. A ereditarle non fu la Linnean Society, come probabilmente tutti si aspettavano, ma la moglie, che si affrettò a metterle in vendita. L'acquirente fu la stessa Linnean Society, che sborsò oltre 3000 sterline : tre volte il prezzo iniziale! E' vero che nel frattempo si erano aggiunte le ingenti collezioni dello stesso Smith, ma si può dire ugualmente che suo padre aveva visto giusto: l'acquisto dei materiali di Linneo era stato davvero un ottimo affare. Per trovare il denaro, la società dovette ricorrere a prestiti, riuscendo a estinguere il proprio debito solo più di trent'anni dopo, nel 1861. Per altre informazioni sulla vita di Smith e almeno sulle principali tra le sue numerose pubblicazioni, rinvio alla sezione biografie. Piante e botanici irritabili La rivalità tra Smith e Salisbury ebbe un curioso strascico che riguarda il genere Smithia. Nel 1789 nel terzo volume del catalogo dell'orto botanico di Kew (Hortus kewensis), con il nome Smithia sensitiva viene descritta una pianta indiana, introdotta in Inghilterra nel 1785. Pubblicato sotto il nome di W. Aiton, il giardiniere capo di Kew, Hortus Kewensis è in realtà un'opera collettiva, in cui le descrizioni furono redatte dai segretari di Banks (prima Solander e poi Dryander), mentre Aiton vi aggiunse informazioni sulla provenienza, l'introduzione in Inghilterra e indicazioni di coltivazione. Benché venga indicato nei repertori come Smithia Aiton, il nome del genere si deve dunque congiuntamente a Aiton e Dryander. Essi avrebbero dedicato questa modesta annuale della famiglia Fabaceae al fondatore della Linnean Society perché si tratta di una pianta sensitiva, ovvero di una di quelle che quando sono sottoposte a uno stimolo ritraggono o chiudono le foglie (argomento al quale, l'anno prima, Smith aveva dedicato il saggio Some observations on the irritability of vegetables). Nel 1808, in una lettera al direttore del Monthly Magazine, Salisbury dichiarò tuttavia che a creare il nome era stato lui, che aveva coltivato la pianta prima di tutti (già nel 1786 ne aveva inviato i semi a André Thouin del Jardin des Plantes) e che l'aveva nominata Smithia tre anni prima di Dryander, ma non per le ragioni che credeva il suo rivale. Secondo una (maligna) tradizione risalente a Linneo, si trattava in realtà di un suo ritratto vegetale: il fatto era che lui, Smith, era proprio un tipo irritabile, come aveva dimostrato per altro prendendosela a male per quello che era in fondo uno scherzo innocente. E in Paradisus Londinensis, fingendo di fare ammenda, rincarerà la dose, scrivendo: "Non che io abbia mai pensato che [Smithia] sia adeguata a commemorare i suoi meriti botanici, trattandosi di un'insignificante e ispida annuale; ma quella è ancora la mia opinione su alcuni dei suoi lavori". Nel loro odio reciproco, i due rivali cercarono anche di mettere di mezzo de Candolle: come quest'ultimo ricorda nelle sue memorie, quando stava sottoponendo a revisione tassonomica alcune denominazioni, Smith lo pregò di cancellare Smithia, perché si trattava di una pianta indegna che gli era stata dedicata come gesto di disprezzo; a sua volta Salisbury chiese di cancellare Salisburia perché non voleva debiti di riconoscenza con Smith che gliela aveva dedicata quando erano ancora amici. Forte delle ferree regole della nomenclatura botanica che aveva contribuito lui stesso a dettare, de Candolle giudicò che Smithia fosse un nome perfettamente legittimo, e lo lasciò; cancellò invece Salisburia, ma non per fare un piacere a Salisbury, bensì in nome della regola della priorità (si tratta di Gingko L.). Ma com'è questa Smithia, la pianta dello scandalo? E' un piccolo genere di erbacee o arbustini della famiglia Fabaceae (leguminose) soprattutto asiatico, ma presente anche in Africa e Australia, con massima diversità nel subcontinente indiano (diciassette specie su venti, con undici endemismi, nove dei quali confinate nei Gathi occidentali); alcune specie sono invece molto diffuse (tra di esse proprio S. sensitiva, presente in una vasta fascia da tropicale a temperata dall'Africa all'Australia). A parte un'unica specie quasi arbustiva, sono piccole erbe annuali, a volte dal portamento strisciante, delicate, con un ciclo annuale legato alle piogge; hanno modesti fiori papilionacei di diversi colori, ma prevalentemente gialli, spesso così piccoli da risultare insignificanti; fa eccezione S. setulosa, con vistosi fiori gialli con macchie aranciate, che dopo le piogge trasformano in una distesa dorata gli altopiani dei Gathi. Alcune specie molto comuni sono usate come foraggio e diverse hanno usi officinali nella medicina tradizionale. Qualche particolare in più nella scheda. Il giurista amburghese Johann Heinrich von Speckelsen, proprietario di un giardino molto ammirato, in questa storia deve condividere la scena non solo con Linneo, ma con un'idra a sette teste. E il modo con cui è riuscito a dare il suo nome alla sfolgorante Sprekelia è quanto meno tortuoso. Le vacanze intelligenti del giovane Linneo Nella primavera del 1735, il ventottenne Linneo parte per l'Olanda (dove, condizione imposta dal futuro suocero per concedergli la mano della figlia, dovrà conseguire un dottorato in medicina). Nei bagagli, una collezione di quasi mille insetti raccolti in Lapponia e Dalecarlia, e il famoso costume lappone con tanto di tamburo, con i quali conta di far colpo su eventuali protettori. Lungo la strada, si ferma due settimane ad Amburgo, dove viene accolto a braccia aperte da molti esponenti del vivace ambiente intellettuale della grande città anseatica. Il suo punto di riferimento è Johann Peter Kohl, slavista e redattore di un noto periodico di divulgazione scientifica, Hamburgischen Berichte von neuen Gelehrten Sachen, in cui aveva dato conto del viaggio di Linneo in Lapponia. Grazie alla raccomandazione di Kohl, al giovane svedese si aprono tutte le porte: si esibisce persino in un'imitazione di cerimonia sciamanica lappone, suscita interesse e ammirazione per il suo acume, la sua profonda cultura scientifica, l'atteggiamento modesto. Il celebre bibliografo J. A. Fabricius lo accoglie nelle sue stanze tappezzate di libri; il mercante di spezie Natorp gli mostra la sua collezione di lucertole, serpenti e altre rarità; il medico G. J. Jaenisch diventa un amico e un futuro corrispondente. Ma sicuramente l'incontro più fruttuoso per Linneo è quello con il collezionista e botanico dilettante Johann Heinrich von Spreckelsen; laureato in diritto, avvocato, membro di una famiglia di ricchi mercanti ben inserita nell'establishment amburghese, di lì a qualche anno diverrà segretario del Consiglio della città. Ma soprattutto è il proprietario di una fornitissima biblioteca ricca di testi di botanica (che presta liberalmente al nuovo amico) e di un ammirevole orto botanico privato, dove coltiva aranci e molte piante esotiche (a sentire Linneo, ci sono almeno 45 tipi di Aloe e 56 di Mesembryanthemum), soprattutto americane (grazie ai legami commerciali dei mercanti di Amburgo con le Americhe); possiede anche una collezione di cose naturali, tra cui una raccolta di fossili che lo svedese giudica la più grande che abbia mai visto. Oggi è difficile trovare informazioni su di lui, ma al tempo dovette essere ben inserito negli ambienti botanici europei: nel 1729 pubblicò un foglio con la figura della Yucca draconis (oggi Yucca aloifolia var. draconis), che nel 1732 fu ripreso da Dillenius in Hortus Elthamensis; più tardi sarà tra i corrispondenti di Collinson. Linneo stesso lo definirà botanicus doctissimus. L'idra smascherata Sicuramente lo svedese avrebbe prolungato il piacevole soggiorno, se non fosse stato per uno sgradevole incidente. Tra le curiosità della città, c'era anche una celebre idra a sette teste, che proprio l'anno prima l'olandese Albertus Seba, collezionista e cultore di cose naturali, aveva descritto e fatto ritrarre nella sua Locupletissimi rerum naturalium thesauri accurata descriptio, assicurandone l'autenticità. Linneo non poteva farsi scappare l'occasione di darle un'occhiata; vi riuscì grazie ai buoni uffici di Kohl. Ma gli bastò ben poco per capire che quella vantata meraviglia era una frode: si trattava di un grossolano artefatto, creato rivestendo ossa di donnola con pelli di serpente. Piuttosto sicuro del fatto suo, non tenne per sé la scoperta, anzi la annunciò sulle Hamburgischen Berichte. Gli sarebbe piaciuto anzi smascherare quel falso in un pubblico dibattito, ma un amico gli fece capire che era meglio tagliasse la corda: rischiava addirittura di essere messo ai ferri. E Linneo lasciò la città in fretta e furia. Ma da dove arrivava l'idra, e soprattutto di chi era? L'orgoglio della città d'Amburgo aveva già tutta una storia alle sue spalle: nel 1648, in seguito alla battaglia di Praga, l'ultima della guerra dei Trent'anni, sottratta a quanto si dice da una chiesa della città, era finita come bottino di guerra nella mani del comandante svedese, il conte di Königsmarck; poi, attraverso eredità e vendite, era passata di mano in mano fino ad approdare ad Amburgo. E qui le nostre fonti si dividono: secondo Seba, apparteneva ai mercanti Dreyern e Handel; secondo la maggior parte degli autori, faceva parte della collezione di curiosità del borgomastro Johann Anderson; secondo il biografo di Linneo D. C. Carr, che scriveva nella prima metà dell'Ottocento, apparteneva invece proprio al nostro von Spreckelsen. L'oggetto in ogni caso era considerato di grande valore: un tempo il re di Danimarca aveva cercato di aggiudicarselo per 30.000 ducati; ora il suo valore di mercato era molto inferiore, ma certamente l'incursione di Linneo si risolse in un danno non solo d'immagine per il proprietario. D'un tratto quel mirabile oggetto senza uguali non valeva più nulla; e capiamo perché secondo le fonti che identificano in Anderson il proprietario, questi fosse furioso e volesse far arrestare Linneo. Secondo Carr, invece, von Spreckelsen aveva contratto un prestito di 10.000 talleri dando come garanzia l'idra, e si trovò del tutto rovinato. Sono convinta che questa versione sia infondata: a smentirla sono gli ottimi rapporti che rimasero tra Linneo e von Spreckelsen dopo la partenza precipitosa dello svedese da Amburgo. Non solo egli elogia più volte il collezionista amburghese in diverse opere e non manca di ringraziarlo per avergli messo a disposizione i suoi libri, ma soprattutto ci sono rimaste due lettere di von Spreckelsen a Linneo (una del 1737, l'altra del 1755), in cui egli si esprime in termini di amicizia e di ammirazione nei suoi confronti. Un breve sunto della sua vita nella sezione biografie. E finalmente... chiamiamola Sprekelia! Ma è ora che faccia il suo ingresso la protagonista verde di questa storia. Tra le rarità che von Spreckelsen coltivava nel suo giardino di Amburgo c'era anche quello che al tempo era noto come Lilio-narcissus o Narcissus jacobeus. Egli ne cedette qualche esemplare al medico e botanico Lorenz Heister, che a Helmstedt dirigeva uno degli orti botanici più celebrati della Germania. Come ringraziamento, questi ribattezzò la pianta Sprekelia (1753). Una denominazione che, come vedremo, dovette aspettare quasi settant'anni per entrare nell'uso. Se era una pianta rara, non era certo una novità nei giardini europei. Coltivata già dagli aztechi con il nome di atzcalxóchitl o “fiore di splendore rosso”, è citata da Hernández in Historia natural de Nueva España, scritta durante il suo viaggio in Messico tra il 1571 e il 1576. Secondo Linneo, arrivò in Europa nel 1593. Non sappiamo da dove egli derivasse questa notizia; sappiamo invece dalla corrispondenza del medico Simon de Tovar che quest'ultimo la coltivava nel suo giardino di Siviglia; nel 1595 ne inviò tre bulbi nelle Fiandre al conte di Arenberg; l'anno dopo ne inviò una dettagliata descrizione a Clusius, in cui per la prima volta ne associò il fiore alla spada dei cavalieri di San Giacomo, in base alla forma (ancora oggi, in inglese è detto Jacobean lily e in spagnolo è flor de Santiago). Si devono proprio a Clusius (in Rariorum plantarum Historia, 1601) la prima descrizione scientifica e la prima immagine. Nel corso del Seicento, viene riprodotta molte volte, ad esempio nelle opere di Vallet, Parkinson, Ferrari, de Bry, Morison, e così nel Settecento, per lo più come Narcissus indicus, Narcissus jacobaeus o Lilio-narcissus. Qualcuna di queste immagini in questa pagina. Linneo lo descrisse in Species plantarum, assegnandolo al genere Amaryllis come A. formosissima. Il nome Sprekelia rimase dunque inutilizzato, finché nel 1821 William Herbert in An Appendix. Preliminary Treatise, un lavoro propedeutico alla sua fondamentale opere sulle Amaryllidaceae, separò A. formosissima da Amaryllis e lo assegnò a un genere proprio; inizialmente aveva pensato di battezzarlo Jacobaea, rifacendosi al nome volgare, ma poi ragionò così: "Era stato chiamato Sprekelia da Heister, sebbene io creda che il nome non sia mai stato adottato, e io ho sempre pensato che è giusto aderire a un nome che è già stato dato". Noto anche con il nome di giglio azteco, Sprekelia è considerato uno dei fiori più belli; come si è anticipato, appartiene alla famiglia Amaryllidaceae, è originario del Messico e del Guatemala. Fino a pochi anni fa, era considerato un genere monotipico, con l'unica specie S. formosissima, caratterizzata da singolari fiori rosso brillante con tepali posti a croce a simmetria assiale. Oggi si riconosce una seconda specie, S. howardii, scoperta nel Messico meridionale e descritta nel 2000 da D. Lehmiller, più piccola della precedente e con tepali strettissimi. Qualche informazione in più nella scheda. Nella povera Svezia di metà Settecento, in assenza di finanziamenti statali o di fondi a disposizione dell'Università e dell'Accademia delle scienze, per Linneo fu importantissimo il sostegno del direttore della Compagnia svedese delle Indie Orientali, Magnus Lagerstroem. Grazie a questo collezionista e curioso di cose naturali, tanti dei suoi "apostoli" poterono viaggiare gratuitamente sulle navi della Compagnia e lo stesso Linneo poté giovarsi di una notevole collezione di reperti etnografici e naturalistici di provenienza asiatica. Riconoscente, dedicò all'amico e mecenate il brillante genere Lagerstroemia. Linneo trova un mecenate La Svezia di metà Settecento sembra travolta dalla sinomania: nel 1753 nel parco del castello reale di Drottningholm viene inaugurato il padiglione cinese, al presenza dell'erede al trono (il futuro Gustavo III) vestito in abiti da mandarino; nobili e ricchi borghesi fanno a gara per ornare le loro case con porcellane e mobili cinesi; diventa di moda indossare abiti di seta di fattura cineseggiante. Porcellane, suppellettili e soprattutto il desideratissimo tè arrivano in Svezia grazie alle navi della Compagnia svedese delle Indie Orientali (SOIC), fondata nel 1731, ma che proprio tra il 1746 e il 1766 tocca l'apice del successo. E' una via di contatto con l'Oriente di cui Linneo capisce subito le potenzialità scientifiche. Attraverso il conte Tessin, cancelliere del re e presidente dell'Accademia svedese delle scienze, incomincia a premere sui vertici della Compagnia perché i viaggi commerciali assumano, in qualche modo, anche il carattere di spedizioni scientifiche. Trova immediatamente un interlocutore più che interessato in Magnus Lagerstroem, uno dei direttori della SOIC. Lagerstroem, uno svedese di origine baltica, con una notevole cultura letteraria e studioso dilettante di cose naturali, era allora all'apice della sua carriera. Con un'ottima formazione universitaria, acquisita in diversi atenei tedeschi, era un poliglotta che nella sua gioventù si era mantenuto come letterato e traduttore (fu il primo a tradurre in svedese il Tartufo di Molière e a pubblicare un manuale di lingua inglese); proprio grazie alla conoscenza delle lingue (ne scriveva e parlava almeno sei, e se la cavava con altre tre), nel 1731 era stato assunto dalla neonata SOIC come segretario. Il matrimonio con la figlia di un ricco mercante gli aveva permesso di scalare i vertici della Compagnia, fino a divenirne uno dei quattro direttori nel 1746. Proprio quell'anno si giunse a un accordo (di cui non conosciamo tutti i particolari) tra Linneo, l'Accademia delle Scienze e la SOIC: ai capitani e ai commissari di bordo delle navi che annualmente facevano la spola tra Göteborg e Canton si raccomandava di fare ogni sforzo per procurarsi oggetti di interesse etnografico e esemplari di piante e animali; nel 1747 Lagestroem emanò una circolare che stabiliva che i chirurghi e i cappellani di bordo dovevano avere una formazione scientifica, acquisita preferibilmente a Uppsala, alla scuola di Linneo. Di fatto, secondo un modello che qualche anno più tardi Joseph Banks riuscì ad imporre alla Royal Navy, queste figure assumevano un duplice volto: accanto ai loro compiti istituzionali, erano anche naturalisti a tutti gli effetti, formati secondo le istruzioni di Linneo a raccogliere e conservare reperti scientifici e a documentare le loro ricerche in accurati diari di viaggio. Fu così che iniziò l'avventura cinese degli apostoli di Linneo che abbiamo già incontrato in questo blog: Christopher Tärnström, imbarcato come pastore di bordo nel viaggio del 1746 e sfortunatamente morto prima di raggiungere la meta; Olof Torén che, sempre come pastore, tra il 1748 e il 1752 partecipò a due viaggi, prima a Giava, quindi in India e in Cina; Pehr Osbeck, cappellano della seconda nave del viaggio del 1750-1752; Carl Fredrik Adler, che tra il 1748 e il 1761 partecipò a quattro viaggi come medico di bordo; Anders Sparrman, aiuto chirurgo diciassettenne in Cina nel 1765. Grazie a questi giovani scienziati, che pagarono quasi tutti con la vita il loro amore per la scienza, giunsero in Svezia semi, piante essiccate e vive, animali, osservazioni scientifiche di ogni genere; i capitani contribuirono con rilievi cartografici e osservazioni meteorologiche. I materiali raccolti da cappellani, medici, capitani, commissari di bordo ma anche semplici marinai, andarono ad arricchire le collezioni del re, dell'Accademia delle Scienze, dell'Università di Uppsala, ma anche di facoltosi privati. Il più attivo di tutti fu proprio il nostro Magnus Lagerstroem che, approfittando della sua posizione di direttore della SOIC e investendo un notevole patrimonio, mise insieme una rilevante collezione di "cose cinesi" (ma molti reperti arrivavano da altre tappe del viaggio, dal Madagascar piuttosto che da Giava o dall'India). Quello che Lagerstroem chiamava "il mio raccolto delle Indie Orientali" comprendeva piante e animali cinesi, animali e altri reperti marini, oggetti di interesse etnografico (disegni e modellini di case e macchinari, manufatti, abiti, mappe, libri, curiosità come un corno di rinoceronte intagliato), un'intera collezione di 1000 medicinali cinesi acquistati nelle farmacie di Canton, una copia del Bencao Gangmu (o Pen-tsao Kang-mu), un grande compendio di farmacopea cinese, in 36 volumi, due dei quali di figure. Qualche anno prima della morte (avvenuta nel 1759), Lagerstroem donò le sue collezioni alla famiglia reale e a Linneo, al quale aveva anche procurato diverse piante vive per l'orto botanico dell'Università di Uppsala: tra gli altri, Arum chinense (oggi Colocasia esculenta), Artemisia chinensis (probabilmente una varietà cinese di Artemisia vulgaris, importante nella medicina cinese con il nome di moxa), Artemisia minima (oggi Centipeda minima), e, presumibilmente, quella che da lì a poco Linneo avrebbe battezzato in suo onore Lagerstroemia indica. Grazie a lui, arrivò anche una sospiratissima pianta di tè che, tuttavia, con grande delusione di Linneo, alla fioritura si rivelò una semplice camelia ornamentale. Ci è pervenuta una descrizione dei reperti naturalistici donati a Uppsala (qualche alga, qualche mammifero, ma soprattutto una cinquantina tra animali marini e uccelli) grazie alla tesi intitolata Chinensia Lagerstroemiana, scritta da Linneo nel 1754 e discussa, secondo l'abitudine del tempo, dal suo allievo Johan Lorens Odhelius. Molti di essi (tra gli altri, il famoso corno di rinoceronte) pervennero a Londra dopo l'acquisto delle collezioni linneane da parte di James Edward Smith, entrando a far parte del patrimonio della Linnean Society. Una sintesi della vita di Lagerstroem nella sezione biografie. Lagerstroemia, dalle foreste asiatiche ai viali cittadini Poco dopo la morte del generoso mecenate, che era anche un amico personale (ci rimangono diverse sue lettere nell'epistolario linneano) Linneo volle celebrarne la memoria creando il genere Lagerstroemia. Manifestò la sua riconoscenza scegliendo una specie particolarmente bella e pregevole per le vistose fioriture, giunta a quanto pare in Svezia nel 1746 proprio attraverso Lagerstroem e i suoi fornitori di naturalia, Lagestroemia indica. Una specie indiana (oggi L. speciosa) era già stata descritta dai botanici olandesi in Hortus Malabaricus con il nome indiano di Adambea; fu forse questo a trarre in inganno Linneo - che in ogni caso dimostrò spesso una certa disinvoltura nelle sue denominazioni geografiche - inducendolo a battezzare con lo specifico indica una specie di origine cinese. Il genere Lagerstroemia appartiene alla famiglia Lythraceae, di cui costituisce il genere più cospicuo e anche il solo a comprendere veri e propri alberi. Di distribuzione essenzialmente asiatica - dall'India alla Cina e al Giappone, all'Indocina, spingendosi fino all'Australia attraverso la Malaysia - comprende una cinquantina di specie di alberi e arbusti a foglie persistenti o decidue. La più nota da noi è proprio la quasi onnipresente L. indica, che soprattutto potata a alberetto e per lo più nella varietà a fiori rosa carico, imperversa in parchi e viali cittadini, spesso usata con scarsa fantasia. Eppure ne esistono innumerevoli varietà (intorno al 2000 ne sono state recensite ben 250) e anche il mercato italiano è ben rifornito, con la presenza di vivai specializzati e di cultivar tutte italiane, come quelle selezionate dal pistoiese Antonio Grassi. Ampissima la selezione disponibile sul mercato americano, anche grazie agli ibridi tra L. indica e L. fauriei, notevoli per la rusticità e per la resistenza al mal bianco. E la scelta non si limita al solito, un po' stucchevole, rosa shocking: la gamma dei colori, oltre a tutte le sfumature del rosa e del viola, comprende anche il bianco e il rosso. Almeno un cenno al gigante del genere, l'indiana L. speciosa, un grande albero tropicale dalle vistose fioriture dal bianco al porpora che può raggiungere i 20 metri, importante per le sue implicazioni culturali; in alcune correnti del Buddismo, è considerato l'albero sotto il quale era seduto Buddah quando raggiunse l'illuminazione. Le sue foglie vengono seccate e utilizzate per un infuso simile al tè. Altri particolari su questo genere tanto diffuso quanto superficialmente noto nella scheda. Perché mai un botanico scozzese dell'Ottocento dedicò un genere che vive solo in America settentrionale a una regina di Siria del III secolo (che non sembra aver coltivato alcun rapporto con le piante)? Sarà stata una reminiscenza degli studi classici, o la semplice suggestione di un nome sonoro? Per capirlo, facciamo un passo indietro e ci addentriamo nelle paludi lapponi in compagnia di Linneo. Il colpo di fulmine di Linneo e i nomi classici di Don Un nome botanico può anche nascere da un colpo di fulmine. Almeno è quel che accadde a Linneo nel corso della spedizione lappone del 1732, di fronte all'irresistibile charme di un piccolo arbusto di palude. Lasciamoglielo raccontare con le sue parole: "Ho notato che prima di fiorire è rosso sangue, ma non appena fiorisce i petali diventano color carne. Dubito che qualsiasi artista possa riuscire a riprodurre questo incarnato nel ritratto di una giovane donna, o ad adornarne le guance con le sue bellezze che nessun belletto potrebbero prestarle. Appena l'ho vista mi sono ricordato di Andromeda come viene descritta dai poeti, e più ci rifletto più trovo somiglianze con la pianta. Se Ovidio avesse voluto descrivere la pianta simbolicamente non avrebbe potuto trovare maggiore affinità. E' ancorata lontana nell'acqua, come se fosse incatenata a una roccia in mezzo al mare. L'acqua le arriva alle ginocchia, sopra le radici; ed è sempre circondata da mostri velenosi - rospi e rane - che in primavera, quando si accoppiano, la inzuppano d'acqua. Lei sta in piedi e inchina il capo per il dolore. Poi i suoi piccoli grappoli di fiori con le loro guance rosa cadono e lei diventa sempre più pallida". Decise così di chiamare quella pianticella Andromeda e, per rendere ancora più evidente l'analogia che lo aveva tanto colpito, volle accompagnare quelle note con un disegno (non certo un capolavoro artistico): sulla sinistra una fanciulla nuda, incatenata a una roccia, assediata da un drago (ovvero la principessa Andromeda del mito, offerta in pasto a un drago inviato da Nettuno); dall'altra l'Andromeda della botanica, con la corolla graziosamente reclinata, assediata da un più prosaico tritone. La scritta recita: "Andromeda fittizia e vera; mistica e genuina; immaginata e ritratta". Questa storia non avrebbe diritto di cittadinanza in questo blog (qui i nomi sono sempre tratti da persone vere, non da figure immaginarie) se non fosse per il botanico scozzese David Don, a lungo curatore dell'Orto botanico di Edimburgo. Nel 1834 egli pubblicò A New Arrangement of the Ericaceae, in cui tra l'altro rivide il genere Andromeda separandone diversi nuovi generi, che naturalmente avevano bisogno di un nome. Per assegnarglielo, seguì da vicino le orme di Linneo, ripescando alcuni nomi femminili dalla mitologia classica: in primo luogo Cassiope (ovvero la madre di Andromeda); Leucothoe (figlia di un re di Babilonia che fu trasformata da Apollo in un arbusto profumato), Cassandra (la figlia di Priamo inascoltata profetessa di sciagure; inascoltata anche nella botanica, visto che oggi è sinonimo di Chamaedaphne). Ma in un caso fece eccezione: per il genere Zenobia non scelse una figura mitologica, ma storica, niente meno che la celebre regina Zenobia di Palmira, capace di tenere testa all'esercito romano. Una figura che in quegli anni doveva essere abbastanza nota, se pensiamo che nel 1813 andava in scena l'opera rossiniana Aureliano in Palmira, di cui Zenobia è la protagonista femminile. Le ragioni della scelta di Don rimangono misteriose. La motivazione non dice molto: "Da Zenobia, l'onoratissima regina di Palmira, che si distinse per la sua virtù, il suo valore e la sua sapienza, e fu celebre per le sue sventure". Forse, nonostante si sia ormai nel pieno del Romanticismo, la suggestione dell'antichità rimaneva forte; oppure nella scelta il botanico scozzese si è fatto guidare dal puro piacere del suono, assegnando alle sue piante bei nomi evocativi, senza alcun legame razionale con ciò che designano; o forse, un legame sottile c'è. Tutte queste figure, sia le quattro immaginarie - Andromeda, Cassiope, Leucothoe, Cassandra - sia l'unica storica, Zenobia, sono fanciulle e donne infelici, sventurate; adatte, quindi, come aveva suggerito Linneo, a prestare il loro nome a questi gentili arbusti che piegano le loro corolle in basso, come un capo reclinato in segno di dolore. Naturalmente è solo un'ipotesi. Il dato certo, l'unico, è che grazie a Don una donna interessante e eroica è entrata nella storia della botanica. Vissuta nel III secolo, in uno dei momenti di maggior decadenza dell'Impero romano, minacciato a est dai Parti e a ovest dai barbari germani, Zenobia ne approfittò per ritagliarsi un regno indipendente, estendendo le sue conquiste alla Siria, alla penisola anatolica, al Libano, alla Palestina e all'Egitto. Donna colta e raffinata, fece della sua corte un centro di incontro tra le diverse culture che convivevano in Oriente; chissà se tra le scienze coltivate a Palmira non ci fosse anche la botanica? Non ne sappiamo nulla; sappiamo solo che, dopo aver fatto tremare Roma, fu sconfitta dall'Imperatore Aureliano che la umiliò portandola nella capitale e ostentandola nel suo trionfo (e saranno queste, insieme alla morte del marito e del figlio, le "sventure" cui allude Don). Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Zenobia, bellezza delle paludi Il genere Zenobia, come Andromeda e le sue sorelle Cassiope e Leucothoe, appartiene alla famiglia Ericaceae; comprende da una a tre specie di arbusti originari delle zone sabbiose umide e delle paludi degli Stati Uniti sudorientali. Stando a Plant List, comprende tre specie (Z. cassinefolia, Z. pulverulenta, Z. speciosa), ma il più aggiornato Plants of World ne riconosce una sola (gli altri sono sinonimi), Z. pulverulenta, una specie abbastanza polimorfa, il che spiega queste incertezze tassonomiche. Nativa delle pianure costiere degli Stati Uniti sudorientali (North Carolina, South Carolina e Virginia), fu "scoperta" a fine Settecento nelle paludi della Florida dal celebre raccoglitore William Bartram, che la ritrasse dal vivo; sul suo disegno si basa la prima descrizione scientifica, sotto il nome di Andromeda pulverulenta, da parte di Willdenow (1799). E' un arbustino eretto con piccoli fiori campanulati, reclinati, delicatamente profumati; come si è accennato, presenta diverse forme. Nelle dune costiere (Sandhills) delle due Caroline, le foglie e i ramoscelli sono glauchi; più a est sono invece verdi; alcune varietà hanno foglie particolarmente decorative in autunno. Per il dolce profumo dei fiori, che alcuni accostano a quello dell'anice, altri a quello dei fiori degli agrumi, negli Stati Uniti è detta Honeycup, "coppa di miele". Qualche approfondimento nella scheda. Questo post è un po' speciale. Siamo infatti arrivati alla centesima storia di persone e piante (ma, dato che qualche storia coinvolge più di una persona e/o più di una pianta, sono già sfilati un po' più di 110 personaggi e oltre 120 generi). Ho iniziato quasi un anno e mezzo fa nel nome di Linneo, e a lui voglio tornare per questa piccola celebrazione. Venite, vi invito a una gita estiva nell'Olanda del 1735! In gita con Linneo Sbrighiamoci, la barca ci sta già aspettando! E' il 13 agosto 1735 e il professor Burman, il nostro ospite, ci ricorda che siamo attesi; la nostra metà è il favoloso giardino De Hartekamp, creato dal ricchissimo banchiere George Clifford a Heemstede, non lontano da Harlem. E' piacevole arrivarci scivolando lungo i canali: in fondo non sono neppure 20 km; ma Linneo è impaziente: ha sentito tanto parlare di questo giardino, e del suo eccentrico proprietario. Il giovane scienziato è venuto in Olanda per laurearsi - condizione posta dal futuro suocero per concedergli la mano della sua promessa, Sara Elisabeth Moraea; ha ottemperato, ma adesso non ha nessuna intenzione di tornare nella provinciale Svezia. Al momento, se ne sta da Johannes Burman, professore di botanica all'Hortus medicus di Amsterdam e curatore dell'orto botanico della città; e in cambio dell'ospitalità, lo sta aiutando nella stesura della sua opera sulla flora di Ceylon, Hortus zeylanicus. Eccoci, siamo arrivati! Ci farà da guida il padrone di casa in persona, George Clifford. Non solo è ricchissimo - rappresenta la terza generazione di una famiglia di banchieri di origini inglesi trapiantata nei Paesi Bassi - ma come direttore della Compagnia olandese delle Indie Orientali (VOC) ha facile accesso alle piante e agli animali esotici che arrivano dal Suriname, dal Sud Africa, da Ceylon, dal Malabar, da Giava, dal Giappone. Inoltre, è ben inserito nella rete internazionale di studiosi e collezionisti, con i quali scambia attivamente semi, bulbi, piante vive e essiccate, animali e minerali rari. Il risultato è qui davanti ai nostri occhi: è un vasto giardino all'inglese con piante rare, alcune coltivate all'aperto, altre nelle quattro serre riscaldate, ciascuna adatta a un gruppo di piante diverse: i quattro continenti - l'Australia non è ancora stata scoperta - in miniatura. I vasi che vedete attorno alla casa, alle fontane, al parterre all'inizio dell'autunno troveranno ricovero nell'orangerie. Per di qua invece si va al serraglio. Dopo il giro in giardino, adesso entriamo in casa: è un vero museo con collezioni scientifiche (quanti animali imbalsamati! per non parlare dei minerali), un erbario, una ricchissima biblioteca. Linneo è estasiato: se ha mai immaginato il paradiso dei naturalisti, deve essere identico a De Hartekamp. E' abbagliato da tutto quello che vede, lui figlio del gelido nord per la prima volta a tu per tu con tanti animali e tante piante esotiche. Il padrone di casa, sì, è un dilettante, ma se ne intende, conversare con lui è molto gratificante. E a sua volta, lui, George Clifford, è abbagliato dal giovane Linneo: è un pozzo di scienza, una perla rara, questo svedese! Oltretutto, è un medico e un naturalista nella stessa persona. Clifford è un ipocondriaco, adorerebbe avere in casa un medico pronto a dar sollievo ai suoi malesseri più o meno immaginari. E così, su due piedi, gli fa la sua proposta: che ne direbbe di trasferirsi a Hartekamp - almeno per quell'inverno - come suo medico personale e sovrintendente delle collezioni? Per lo squattrinato Linneo è un'occasione splendida: un lavoro ben pagato, una biblioteca fornitissima, uno dei giardini privati più importanti d'Europa e ricche collezioni naturalistiche a sua disposizione, da studiare, incrementare, catalogare. Ma, con un sospiro, deve rifiutare questa proposta di sogno. E' già legato a Burman, con cui ha un impegno e un debito di riconoscenza. Tanto allegro era, il nostro Carl, durante il viaggio verso De Hartekamp, tanto triste è adesso, a sera, mentre torniamo a Amsterdam. Ma fa male a angosciarsi; Clifford, un miliardario poco abituato ai rifiuti, si lavora abilmente Burman: quanto vale, per lui, Linneo? cosa accetterebbe in cambio del "suo" svedese? E Burman ha un prezzo: se Clifford gli cederà quel libro introvabile, la sua rarissima copia di Natural History of Jamaica di Hans Sloane, dirà di sì, libererà Linneo dai suoi impegni. Affare fatto! Il 24 settembre Linneo si trasferisce a De Hartekamp, con una paga di 1000 fiorini annui, più il vitto e l'alloggio, come medico personale e curatore delle collezioni scientifiche; formalmente l'incarico dovrebbe durare solo quell'inverno, ma si protrarrà fino al 7 ottobre 1737. Hortus Cliffortianus, un libro seminale Il frutto principale di quei due anni - interrotti dal lungo viaggio che porterà Linneo, a spese di Clifford, a Londra e a Parigi - è Hortus Cliffortianus, il catalogo delle piante coltivate nel giardino di Hartekamp e degli esemplari essiccati del prezioso erbario di Clifford. Linneo lo scrisse in circa nove mesi (lo completò nel luglio 1737); venne pubblicato però solo l'anno successivo, quando lo svedese aveva ormai lasciato Heemstede. E' un'opera di grande importanza nella storia della botanica: in essa, infatti, Linneo classificò e descrisse le piante, per la prima volta, seguendo la sua classificazione basata sul numero e la forma degli organi maschili e femminili dei fiori. Non compare ancora, invece, la denominazione binomiale; ogni specie è assegnata a un genere e definita con un nome-descrizione, basato sui caratteri che la distinguono dalle altre specie dello stesso genere; seguono i sinonimi usati dai principali botanici precedenti e note sulla provenienza geografica. E' un lavoro seminale, che già pone le basi di Species plantarum, dove, nell'introdurre la nomenclatura binomiale, Linneo ne riprenderà in gran parte i generi e le specie; è inoltre nell'erbario di Clifford (di cui Linneo portò con sé in Svezia numerosi doppioni) che vanno cercati i tipi di molte specie linneane. L'opera, un grande volume in folio di circa 350 pagine, si apre con una dedica al generoso mecenate George Clifford (che la promosse e ne finanziò la stampa), seguita da un excursus su coloro che, con i loro giardini botanici e la loro generosità, avevano favorito i progressi della botanica. Dopo un'avvertenza ai lettori, che contiene anche informazioni sulla provenienza delle piante (importante per ricostruire la storia della rete di botanici e collezionisti del Settecento), il testo vero e proprio inizia con il catalogo della biblioteca di Clifford, un totale di 295 titoli, quasi interamente dedicati alla botanica; anche i libri, o meglio i loro autori, secondo la mania classificatoria di Linneo, sono raggruppati in sedici classi, a partire dai padri fondatori greci e romani, per arrivare alle monografie, passando per i Commentatores, i Descriptores, gli Iconographi (ovvero i disegnatori). Grazie a questo elenco, di enorme importanza storica, conosciamo da vicino le fonti di Linneo e i suoi rapporti con la botanica prelinneana, tanto più che non manca un breve giudizio su ciascun testo (a volte di lapidaria, secca, arroganza). La maggior parte del libro è occupata dal catalogo delle piante di De Hartekamp, 2536 specie, senza distinzioni tra quelle coltivate in giardino o nelle serre e gli esemplari dell'erbario. Linneo, che aveva già concepito in Svezia le linee della sua classificazione sessuale, ha qui modo di metterla alla prova, di fronte a tante specie esotiche, alcune descritte per la prima volta. Hortus Cliffortianus è anche un libro notevole per le illustrazioni: si tratta di calcografie di estrema finezza, incise da Jan Wandelaar, che è anche l'autore della tavola del frontespizio, di alcune tavole sinottiche sulle forme e la nomenclatura delle foglie e di una decina di illustrazioni botaniche. Le altre (sono in totale 34) furono dipinte dal celebre Georg Ehret. Il frontespizio, ricco di simboli, merita qualche parola in più. Sullo sfondo di un giardino con piramidi topiarie, al centro sta Madre Terra, seduta su un leone e una leonessa, con in mano le chiavi del giardino. Ai suoi piedi un vaso con Cliffortia ilicifolia, pianta che onora il generoso mecenate, e una mappa dell'hortus. Sulla sinistra l'omaggio dei continenti: una nera (l'Africa) offre un'aloe, un'araba (l'Asia) una pianta di caffè, un'india (le Americhe) un'Hernandia. Su un alto piedistallo si erge un busto barbuto, forse un ritratto dello stesso George Clifford. Sulla destra campeggia un alto banano in fiore: è un'allusione a quello che nel 1736 Linneo riuscì a far fiorire in una delle serre di Hartekamp, destando sensazione. Ed ha le fattezze proprio di Linneo il dio Apollo, che regge la fiaccola della scienza e strappa i veli dell'ignoranza, mentre i suoi piedi calpestano un drago. Anche questa è un'allusione a un preciso episodio: durante il suo viaggio europeo, Linneo era passato da Amburgo, dove il sindaco della città gli aveva mostrato con orgoglio i resti imbalsamati di un'idra dalle sette teste. Allo svedese era bastata un'occhiata per capire che si trattava di un falso, costruito alla bell'e meglio assemblando una pelle di serpente, denti e zampe di donnola. Aveva poi dovuto allontanarsi in fretta dalla città per sfuggire alle ire del sindaco, che sperava di rivendere a caro prezzo quella reliquia. Nell'angolo destro, due amorini muniti di vanga e termometro e un vaso da cui escono fuoco e fumo ci ricordano che quel magnifico giardino non esisterebbe senza il lavoro dei giardinieri e il calore delle quattro serre riscaldate. Dopo aver finito di scrivere il libro, Linneo lasciò la tenuta di Clifford, con l'intenzione di tornare in Svezia. Ma una malattia, e le esortazioni degli amici, lo trattennero ancora in Olanda, dove si sarebbe fermato fino a maggio 1738, causando qualche malumore nel suo protettore. Rimasero tuttavia in corrispondenza almeno fino al 1741. Clifford continuò a incrementare le sue collezioni e ad abbellire il giardino; tuttavia, quando morì, nel 1760, gli eredi, poco interessati alla botanica e impoveriti da una bancarotta, vendettero all'asta la proprietà. Oggi rimane ben poco di quel favoloso giardino (il palazzo ospita una scuola per bambini portatori di handicap e poco si è conservato del parco); negli anni '50 del Novecento un'area nei dintorni di Heemstede, battezzata Linnaeushof, fu utilizzata per qualche anno per mostre floricole per poi essere trasformata, in seguito a problemi finanziari, in un parco giochi, che vanta di essere il più grande d'Europa. Agli antipodi rispetto al raffinato orto botanico di Clifford (qualche notizia in più sulla vita del banchiere-mecenate nella sezione biografie). L'inafferrabile Cliffortia Tra i numerosi corrispondenti di Clifford, c'era anche un collezionista blasonato, il margravio di Bade-Durlach, Carlo III Guglielmo, grande appassionato di piante e proprietario di due splendidi giardini, a Carlsruhe e Durlach. Fu lui a raccomandare Ehret a Clifford, e, prima di Linneo, fu il suo medico, Johann Andreas Eichrodt, nel 1733, a creare in suo onore il genere Cliffortia nel suo catalogo del giardino del margravio (Index Plantarum Horti Carlsruhani tripartitus). Ce ne informa lo stesso Linneo che, al contrario di quanto farà in Genera plantarum, in Hortus Cliffortianus spiega in dettaglio le origini dei nomi celebrativi. Dopo aver ricordato che a coniare il nome fu appunto Eichrodt, aggiunge: "Con quanto amore e quanto studio l'illustre Clifford si dedichi alla botanica lo comprende facilmente ogni botanico da questa stessa collezione, da questa stessa opera per la quale ha profuso tanta spesa. Ha meritato questa memoria presso gli uomini degni, è ben meritevole di lui quest'alberello perennante e i suoi consimili che, come stelle che sorgono rare nel vasto immenso cielo, illuminano con i loro raggi le nostre piante". E' la rarità nelle collezioni europee settecentesche più che una particolare venustà a dettare queste parole; in effetti gli esponenti del genere Cliffortia (ufficializzato in Genera plantarum, 1753) non potrebbero davvero aspirare al primo premio in una mostra di giardinaggio. Anche nel loro ambiente naturale, come vedremo, passano piuttosto inosservati, sebbene siano tutt'altro che rari. Cliffortia, affine all'europea Sanguisorba, con cui condivide i fiori privi di petali, è uno dei pochi generi della famiglia Rosaceae della flora sudafricana; ricchissimo di specie, ne comprende circa 120, 114 delle quali endemiche del Cape Botanical Kingdom, la favolosa area occidentale della provincia del Capo. Il suo ambiente di elezione è il fynbos, la macchia sudafricana formata da una vegetazione arbustiva spesso spinosa con foglie coriacee o aghiformi, adattate all'aridità. Sono le caratteristiche anche delle Cliffortiae, che, per quanto numerosissime e talvolta dominanti, sono relativamente poco conosciute e non si fanno notare, confuse in mezzo ad altri arbusti più alti, più vistosi o singolarmente simili per portamento e forma delle foglie. Variabilissime per forma (dall'alberello all'erbacea strisciante), per la morfologia delle foglie (simili a fili d'erba in alcune specie, aghiformi in altre, ovoidali e dentate in altre ancora), sembrano divertirsi a giocare a nascondino con i botanici. Quando non sono in fiore (per altri i fiori sono piccolissimi e poco vistosi) alcune specie, per convergenza evolutiva, sono talmente simili a Aspalathus (famiglia Fabaceae) e a Anthospermum (famiglia Rutaceae) da trarre in inganno; C. graminea invece a prima vista può essere scambiata per un ciuffo d'erba. Si fa notare, invece, per crescere in mezzo alle rocce, a volte anche sulle pareti a strapiombo, C. ruscifolia; si dice che gli amanti dell'arrampicata sportiva abbiano l'abitudine di afferrarsi ai suoi rami, grazie all'esteso apparato radicale che, penetrando in profondità nelle spaccature, le trasformano in un appiglio sicuro; questa particolarità ha guadagnato a questa specie il nomignolo di climber's friend, "amico dell'arrampicatore". Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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