Nella Zurigo della seconda metà dell'Ottocento, Albert Mousson era probabilmente noto come brillante conferenziere e trascinante docente di fisica, anzi come colui che aveva introdotto l'insegnamento della fisica sperimentale nell'università elvetica. Ma all'estero, in Francia come in Germania, anche se non erano ignote le sue ricerche sulla resistenza elettrica o sul movimento dei ghiacciai, lo conoscevano soprattutto come malacologo, ovvero come grande esperto dei molluschi terrestri e di acqua dolce, di cui determinò e descrisse oltre 450 specie. Nessuno si stupisce, dunque, che lo ricordi il genere di gasteropodi Moussonia. Ma a celebrare il versatile professore svizzero è anche un altro genere Moussonia appartenente al regno vegetale, famiglia Gesneriaceae. Fisico e malacologo Dei sei generi di Gesneriaceae creati da Regel nel 1847 in onore di altrettanti naturalisti svizzeri, oltre a Kohleria, oggi rimane valido solo Moussonia, dedicato al fisico (e molto altro) Albert Mousson, che all'epoca era presidente della Società elvetica di scienze naturali. Per la sua eccezionale versatilità, un personaggio non indegno dell'eredità di Conrad Gessner: diede infatti contributi importanti non solo in fisica, e nei campi tutto sommato affini della glaciologia e della meteorologia, ma anche in un settore lontanissimo, lo studio delle conchiglie (malacologia), per il quale divenne un'autorità di livello mondiale. Tanta poliedricità si spiega forse con la sua formazione errabonda ed eclettica. Johann Rudolf Albert Mousson (1805-1890), questo il suo nome completo, apparteneva a una famiglia di ugonotti francesi che si era rifugiata in Svizzera al tempo della revoca dell'editto di Nantes, per poi ottenere la cittadinanza elvetica per meriti civili; il padre Jean-Marc era il cancelliere della dieta della Confederazione, e come tale cambiava continuamente residenza. Albert nacque a Soletta (Solothurn) nell'omonimo cantone, ma durante la sua infanzia e adolescenza troviamo successivamente la famiglia Mousson a Basilea, Zurigo, Lucerna, Friburgo, Berna, poi nuovamente a Soletta, Basilea, Zurigo, Berna e Lucerna. I ragazzi (Albert aveva un fratello maggiore, Heinrich, che più tardi fu un uomo politico relativamente importante) vennero perciò educati da precettori privati, ricevendo una formazione varia ed aperta. A 14 anni Albert fu iscritto al prestigioso Istituto Fellenberg a Hofwil, quindi seguì i cosi di matematica, chimica e geologia presso le Accademie di Berna e Ginevra; era affascinato dalle scienze pure, ma avrebbe voluto scegliere una professione in cui le scienze trovassero applicazione pratica al servizio della comunità. Fu così che si iscrisse all'accademia mineraria di Göttingen, che frequentò tre tre trimestri; ma, disilluso di poter trovare uno sbocco professionale in Svizzera, si trasferì a Parigi, deciso a diventare ingegnere civile. All'Ecole Polytechnique ebbe insegnanti del calibro di Arago, Dulong, Poisson e Cauchy, ma ad influire più di tutti su di lui fu Claude Pouillet, che insegnava fisica alla Sorbona e lo indirizzò verso la fisica sperimentale. Tornato in Svizzera, Mousson iniziò la sua attività professionale nel 1830 come insegnante di matematica in una scuola media inferiore di Berna; poi per qualche tempo lavorò come segretario del dipartimento cantonale delle costruzioni. Nel 1832 si trasferì a Zurigo come insegnante di matematica e fisica alla scuola industriale cantonale, dove insegnò per molti anni, divenendone anche rettore. A partire dal 1836, divenne anche professore associato di fisica all'Università di Zurigo, il primo ad insegnare questa materia in un ateneo dove dominavano ancora le materie umanistiche; dopo 9 anni, nel 1845, fu promosso professore ordinario. Dal 1855, anno della sua fondazione, tenne anche la cattedra di fisica sperimentale al Politecnico federale. Anche in questo caso, si trattava di una novità assoluta. Docente coinvolgente e molto amato dai suoi studenti, per loro scrisse il suo libro più importante, Die Physik auf Grundlage der Erfahrung ("La fisica basata sull'esperienza"), basato sulle sue lezioni e sulle ampie attività di laboratorio che le accompagnavano, per le quali creò di persona molti strumenti ed attrezzature. Nonostante l'ingente impegno didattico, non trascurò la ricerca, pubblicando una sessantina di lavori in riviste svizzere, francesi e tedesche. Nel campo della fisica, quelli più rilevanti riguardano la resistenza elettrica di fili incrociati (che trova applicazione nei microfoni) e l'influenza della pressione sul punto di fusione del ghiaccio, un argomento collegato anche al suo interesse per i ghiacciai e i meccanismi del loro movimento. Scrisse infatti anche di geologia, e in particolare di acque termali e, appunto, ghiacciai. Era anche variamente attivo al di fuori dell'università. Molto seguite erano le sue conferenze pubbliche, come quella che tenne al municipio di Zurigo sulla rotazione terrestre in cui diede una dimostrazione dell'esperimento del pendolo di Foucault. Era un membro molto attivo della Società elvetica di scienze naturali di cui fu anche più volte presidente. Inoltre fu membro della Commissione federale dei pesi e delle misure e promosse la creazione di una rete nazionale di rilevazioni meteorologiche, che nel 1881 sarebbe sfociata nell'istituzione dell'Ufficio federale di meteorologia. Tuttavia, il suo nome divenne piuttosto noto a livello internazionale in un campo del tutto estraneo alla sua attività professionale. Appassionato di scienze naturali fin da bambino, a nove anni iniziò a collezionare conchiglie. Mantenne questo interesse per tutta la vita, stringendo relazioni con altri appassionati; con il tempo, tramite scambi, doni ed acquisti, la sua collezione, specializzata in molluschi terrestri e delle acque dolci, divenne la più importante del paese. Per uno scienziato come Mousson, anche lo studio dei molluschi non poteva rimanere un hobby; nel 1847, nell'ambito di uno studio sulle acque termali di Aix in Savoia, pubblicò la sua prima specie, cui nel 1849, grazie al ricevimento da Giava di un'ampia collezione raccolta da Heinrich Zollinger, ex direttore del seminario, fece seguito il suo primo ampio saggio di malacologia, Die Land und Susswasser Mollusken von Java ("I molluschi terrestri e di acqua dolce di Giava"). Negli anni successivi, avrebbe pubblicato in riviste scientifiche francesi, tedesche e svizzere le collezioni di altri viaggiatori; citiamo Coquilles terrestres et fluviatiles recueillies par M. le Prof. Bellardi dans un voyage en Orient (1854); Coquilles terrestres et fluviatiles, recueillies dans l'Orient par M. le Dr. Alex. Schläfli (1859 e 1874); Coquilles terrestres et fluviatiles recueillies par M. le Prof. J.-R. Roth, dans son dernier voyage en Palestine (1861); Révision de la Faune malacologique des Canaries (1872), nonché diverse memorie, pubblicate tra il 1865 e il 1873, sulla fauna malacologica di vari arcipelaghi dell'Oceania. L'insieme di questi studi, nell'ambito dei quali Mousson pubblicò circa 450 nuove specie, diedero un importantissimo contributo alla conoscenza della distribuzione geografica di questi animali. Nel 1878, in seguito a quella che negli articoli del tempo è definita "una dolorosa malattia", fu costretto a lasciare l'insegnamento, anche se continuò a scrivere e a fare parte di varie commissioni ancora per qualche anno. Morì a Zurigo nel 1890, all'età di 85 anni, lasciando la sua collezione di conchiglie al Museo zoologico di Zurigo, di cui costituisce ancora oggi uno dei tesori. Fiori rossi dal Messico Come si è visto in questo post, Albert Mousson fu uno dei sei scienziati svizzeri onorati da Regel con uno dei suoi nuovi generi di Gesneriaceae; egli lo cita come "il sig. prof. A. Mousson, presidente della nostra associazione naturalistica". Si era nel 1848 e Mousson, da poco promosso ordinario di fisica, era ancora lontano dai futuri allori, ma certo Regel lo conosceva di persona e ne avrà apprezzato le qualità di conferenziere, nonché l'impegno come presidente dell'associazione. Come ho anticipato, insieme a Kohleria, Moussonia è uno dei due generi oggi accettati. Non lo è stato sempre: come spesso succede in questa famiglia, anche la sua storia tassonomica è molto travagliata. In primo luogo, Regel lo stabilì sulla base di Gesneria elongata Kunth, una specie originaria della Colombia che oggi si chiama Kohleria trianae. In tal caso, non ci sarebbe storia: Moussonia diventerebbe un sinonimo di Kohleria. Tuttavia, secondo Wiehler, è probabile che Regel si sia invece basato su una pianta raccolta in Messico da Deppe, anch'essa distribuita in Europa sotto il nome di Gesneria elongata (attuale Moussonia deppeana). In ogni caso, il genere, dapprima accettato da diversi botanici, già nel 1876 fu cancellato da Bentham che lo incluse nel genere Isoloma; poi nel 1894 Fritsch lo considerò una sezione di Kohleria. Dopo più di ottant'anni, fu appunto Wiehler a resuscitarlo, separandolo da Kohleria sulla base di varie differenze, la principale delle quali è il numero di cromosomi (11 per Moussonia, 13 per Kohleria). L'indipendenza del genere è stata poi confermata da studi molecolari basati sul DNA. Oggi gli sono assegnate venti specie, distribuite nelle foreste umide di Messico e America centrale; sono perenni erbacee terrestri, in alcuni casi tanto grandi da essere considerate suffrutici; a differenza di Kohleria, non hanno rizomi scagliosi, mentre molto simili sono i fiori tubolari, con tubo cilindrico, diritto o lievemente ricurvo e lobi poco accentuati e asimmetrici; anch'essi sono impollinati da colibrì, come si deduce dai colori predominanti, il rosso e l'arancio, talvolta il giallo. Native delle foreste nebulose delle montagne subtropicali, dove godono di un alto tasso di umidità e di temperature miti, ma fresche e non troppo calde, le specie di questo genere richiedono condizioni di crescita non facili da riprodurre. Forse per questo non sono molto comuni in coltivazione. Sebbene anch'essa rara, la più coltivata è probabilmente Moussonia elegans, un'imponente erbacea originaria delle montagne del Messico meridionale (Veracruz, Chiapas) che in natura può superare i due metri d'altezza; ha foglie da obovate a lanceolate, con apice acuto, rami e calici ricoperti da una soffice peluria setosa, e fiori tubolari rosso aranciato con gola gialla. M. deppeana, ampiamente distribuita tra Messico e Panama, è invece usata nella medicina tradizionale per le sue proprietà antinfiammatorie.
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Nell'arco di quasi cinquant'anni, dal 1878 ai primi anni '20 del Novecento, l'illustratrice botanica Matilda Smith firmò 2300 tavole per il Curtis' s Botanical Magazine, 1500 per Icones Plantarum di Kew, senza contare innumerevoli disegni per il Bollettino di Kew e altre pubblicazioni. Questa imponente produzione, altamente professionale per precisione, affidabilità e standard medio, era iniziata in modo un po' casuale, per venire in soccorso a suo cugino Joseph Dalton Hooker, e fu sancita nel 1898 dalla nomina a prima artista ufficiale dei Kew Gardens. Già qualche anno primo i meriti di questa valente pittrice erano stati riconosciuti dal botanico tedesco Kuntze con la dedica del bellissimo e scenografico genere Smithiantha (ovvero "fiore di Smith"). Una pittrice di alta professionalità Nel giugno 1889, c'era grande attesa ai Kew Gardens. Uno dei cormi di Amorphophallus titanum portati da Sumatra nel 1878 dallo scopritore Odoardo Beccari e donati al giardino inglese dal marchese Salviati si accingeva finalmente a fiorire per la prima volta. Con qualche conseguenza non del tutto piacevole, come riferisce Joseph Dalton Hooker sul Curtis' s Botanical Magazine: "Sfortunatamente la fase di fioritura fu così breve che ebbe ben pochi testimoni, che dovettero fare le spese dell'odore atroce, simile a quello di Bulbophyllum beccarii, che nel 1881 durante la sua fioritura aveva reso impraticabile la serra delle orchidee. Sarei ingrato se non esprimessi qui il mio profondo obbligo verso l'artista di talento che con la sua matita ha cercato di rendere giustizia a queste piante, che in questa e in quella occasione ha sofferto un martirio che nel primo caso l'ha fatta ammalare". L'"artista di talento" che nel 1881 e nel 1889 sfidò quell'olezzo per ritrarre dal vivo la fioritura di quelle rarità era Matilda Smith (1854-1926), dal 1879 una degli illustratori botanici che preparavano le tavole per la prestigiosa rivista, di cui Hooker figlio era il curatore fino dal 1865, quando era succeduto al padre nel doppio ruolo di curatore del Curtis e direttore di Kew Gardens, Matilda Smith era sua cugina di secondo grado, e fu lui ad incoraggiarla a coltivare l'arte dell'illustrazione botanica quando venne a trovarsi in una situazione difficile. Per quarant'anni, il principale illustratore della rivista era stato Walter Hood Fitch, che aveva anche creato molte tavole, tanto accurate quanto splendide, per le opere di entrambi gli Hooker e altri eminenti botanici. Tuttavia, nel 1877, una disputa sulla paga divise le sorti di Fitch e Hooker junior, che fu costretto ad affidare gran parte del lavoro a sua figlia Harriett Ann (nota con il nome da sposata Thilseton-Dyer). Fu in queste circostanze che, nonostante la scarsa esperienza e le quasi nulle conoscenze di botanica di Matilda, Hooker le impartì i primi rudimenti e la mise a bottega al fianco di Harriet Ann; per qualche tempo, le due giovani donne lavorarono insieme, e Matilda imparò il mestiere; a partire dal 1879, ogni numero della rivista comprese 20 sue tavole; dal 1887, divenne di fatto la principale, se non la sola, illustratrice del Curtis; nei quarant'anni in cui avrebbe lavorato per la rivista (1878-1923), avrebbe prodotto 2300 tavole, notevoli per la chiarezza del tratto e la precisione. Collaborò intensamente anche a Icones Plantarum, la grande serie di illustrazioni botaniche tratte dall'erbario di Kew, iniziata da William Jackson Hooker e proseguita dal figlio; dalla tavola 1354, fu l'unica artista di questa pubblicazione, per la quale creò 1500 tavole. Solitamente è lodata per la capacità di far rivivere e rendere credibili esemplari appiattiti e disseccati. Per i Kew Gardens realizzò anche le tavole mancanti di molti volumi della biblioteca. Solo nel 1898, la sua dedizione fu infine premiata con la designazione a prima artista ufficiale del giardino: come tale, si dedicò soprattutto all'illustrazione delle nuove introduzioni, collaborando a innumerevoli pubblicazioni. Nel 1916 fu la prima donna a diventare presidente della Gilda di Kew, un'associazione che riunisce coloro che hanno o hanno avuto una posizione di responsabilità nell'orto botanico; nel 1921 fu la seconda donna ad essere ammessa alla Linnean Society. Lo stesso anno andò in pensione; nel 1926, anno della sua morte, fu premiata dalla Royal Horticultural Society con la medaglia d'argento Veitch. In suo memoria, negli anni '60 del Novecento la Gilda di Kew istituì il Matilda Smith Memorial Prize, destinato al migliore "studente pratico", come in effetti fu anche lei. Un genere decisamente pittorico Tra i tanti botanici che si avvalsero della collaborazione di Matilda Smith, troviamo anche Stephan Troyte Dunn, che lavorò a più riprese all'erbario di Kew; nel 1920 le dedicò Smithiella myriantha (oggi Pilea myriantha), con un'eloquente motivazione: "Questo genere è rispettosamente dedicato a Miss Matilda Smith, e il nome specifico della prima specie si riferisce non immeritatamente tanto ai suoi innumerevoli fiori quanto al grandissimo numero di bei disegni e dipinti con i quali per così tanti anni essa ha illustrato il Botanical Magazine, le Icones Plantarum e il Bollettino di Kew". Anche se il genere creato da Dunn è ridotto a sinonimo, vale la pena di citarlo perché le sue parole inquadrano bene il senso dell'opera di Matilda Smith. Che, del resto, non era sfuggito a Kuntze che già nel 1891 le aveva dedicata Smithiantha: "Dedico questo genere alla botanica e disegnatrice Miss Smith, che, amabile signorina dell'erbario di Kew, ha fornito costantemente i disegni per le Icones Plantarum di Hooker, elaborando un proprio metodo di analisi. Tutte le illustrazioni firmate con il modesto "M. S. del." [Matilda Smith delineavit] sono sue. Merita di unirsi ai ranghi delle celebri pittrici che l'hanno preceduta, ad esempio Blackwellia per Elisabeth Blackwell, Meriana Trew (Vell.) per Maria Sybilla Merian, Northia Hk.f. per Miss Marianne North, la donatrice e unica pittrice della famosa North' Gallery nei Royal Kew botanic Garden, allo stesso modo che prendono il nome da disegnatori botanici e pittori maschi vari generi di piante, ad esempio Bauera, Andrewsia, Redoutea, Fitchia, Hookera [per l'artista William Hooker, non per gli Hooker di Kew], Bikkia, Govindooia, Ehretia, Isidrogalvia, Matisia, Spaendoncea". L'interesse di questa dedica sta soprattutto nel fatto che Kuntze inserisce Matilda Smith, al di là dei suoi meriti particolari, in una tradizione, in cui le pittrici non sono più eccezioni, ma incominciano a trovarsi alla pari, come professioniste, ai colleghi maschi, famosi o meno, di cui ci fornisce una lunga lista. In effetti, gli studiosi hanno sottolineato che proprio con Harriet Ann Hooker Thilseton-Dyer e Matilda Smith per le donne l'illustrazione botanica si trasforma, da pratica occasionale o attività ricreativa, in una vera e propria professione, in cui sono richiesti, più ancora dell'estro artistico, la precisione, l'affidabilità e la continuità, nonché la capacità di conciliare una produzione massiccia con un accettabile standard di qualità. Il genere scelto da Kuntze per onorare Matilda Smith appare eminentemente adatto a una pittrice perché raggruppa piante di bellezza scenografica; nelle riviste dell'Ottocento, soprattutto in Flore des Jardins et des serres di van Houtte, le troviamo spesso raffigurate sotto il vecchio nome Naegelia. Era uno dei generi di Gesneriaceae creati da Regel nel 1848; Kuntze lo sostituì in quanto illegittimo (essendo in conflitto con Naegelia Zoll. & Moritzi, creato nel 1846). Oggi le sono assegnate sei specie, distribuite nelle foreste montane di Messico e Guatemala; sono erbacee perenni abbastanza grandi, con tuberi scagliosi, fusti eretti, foglie spesso esse stesse decorative e fiori a campana molto numerosi riuniti in grandi racemi; le corolle hanno colori pastello, che vanno dal bianco al rosa al giallo, oppure più vivaci, dall'arancio al rosso, spesso con marcature più scure. Come spesso in questa famiglia, tendono ad essere piuttosto variabili, nonché ad ibridarsi; divennero così uno dei cavalli da battaglia dei vivaisti belgi, in particolare di van Houtte, che ne selezionò diverse varietà e tentò ibridi intergenerici con Achimenes (x Achimenantha) e Eucodonia (x Smithcodonia). Questi ibridi sono perduti, ma c'è stata una riscoperta alla fine del Novecento, con la produzione di un certo numero di nuovi ibridi; tra i papà di questa nuova generazione di ibridi si segnala il texano Dale Martins, con all'attivo numerose varietà di grande bellezza. In fonti anche autorevoli si legge che la bella Haberlea rhodopensis, una delle cinque Gesneriaceae europee, è dedicata al suo scopritore, il naturalista di origine tedesca Karl Konstantin Christian Haberle. In realtà questa specie fu scoperta due anni dopo la sua morte dai membri di una spedizione organizzata da uno dei suoi allievi, che gliela dedicò anche per commemorarne la tragica scomparsa. E' una delle cosiddette "piante della resurrezione" e varie leggende la collegano niente meno che al mitico Orfeo. Un attivissimo scienziato polivalente Tra il 1833 e il 1845, il naturalista ungherese Imre Frivaldszky organizzò quattro spedizioni scientifiche nei Balcani, anche se non vi partecipò di persona. Durante la seconda spedizione (1834-1836), che si mosse da Plovdiv, nella Bulgaria meridionale, nel giugno 1834 fu scoperta una nuova specie "in montibus Rhodope Rumeliae"; si è ipotizzato che la località di raccolta, non indicata, potesse trovarsi nelle vicinanze del monastero di Bačkovo, dove la pianta è frequente. Nel 1835 la spedizione esplorò il massiccio di Stara Planina e raccolse nuovamente la pianta sulla Kaloferska Planina. Sulla base di queste raccolte, fu pubblicata lo stesso anno da Frivaldszky che la denominò Haberlea rhodopensis, in onore del naturalista e meteorologo Carl Constantin Christian Haberle (1764-1832), direttore dell'orto botanico di Pest e professore di botanica dal 1817 al 1832; Frivaldszky era stato tra i suoi allievi, così come molti dei partecipanti alle spedizioni balcaniche, ma, forse, oltre alla riconoscenza per colui che l'aveva introdotto alla botanica, c'era anche il cordoglio e lo sgomento che dovette destare la morte violenta del vecchio professore, strangolato la notte tra il 30 maggio e il 1 giugno 1832 da un gruppo di banditi che si era introdotto nella sua casetta situata nel cortile della biblioteca universitaria. La commozione in città fu grande, sia per la modalità di quell'assassinio, sia perché colpiva una personalità abbastanza nota del mondo scientifico e universitario. Haberle era nato a Erfurt in Germania; prima di scoprire la sua vocazione di naturalista, aveva studiato lingue, filosofia e giurisprudenza presso diverse università tedesche, alternando allo studio l'insegnamento privato. Intorno al 1797, divenne il precettore di un giovane polacco, Aleksandr Mileczky, che accompagnò in diversi viaggi in Polonia, Slesia e Boemia, nonché alle università di Erlangen e Friburgo, dove entrambi seguirono le lezioni dell'accademia mineraria. Qui Haberle conobbe il barone Károly Podmaniczky, consulente minerario e suo futuro protettore. Già da tempo appassionato di meteorologia (già a Erfurt aveva preso l'abitudine di registrare giornalmente i dati), Haberle allargò via via i suoi interessi all'astronomia, alla mineralogia, alla chimica, alla botanica e all' entomologia, incominciando a collezionare minerali ed insetti e a tenere un erbario. Quando Mileczky terminò gli studi, tornò ad Erfurt dove nel 1805 si laureò in filosofia. Avendo dovuto lasciare la città in seguito alle guerre napoleoniche, dal 1806 al 1812 visse a Weimar, dove grazie a un'eredità poté dedicarsi interamente alla scienza e entrò a far parte di diverse società scientifiche; risalgono a questo periodo varie pubblicazioni, tra cui un manuale di mineralogica e un annuario meteorologico; progettò anche un manuale di botanica, Das Gewächsreich oder charakteristische Beschreibung aller zur Zeit bekannten Gewächse, di cui però pubblicò solo la prima parte, dedicata a funghi e licheni (1806). Gli eventi bellici lo costrinsero a lasciare anche il rifugio di Weimar; nel 1813 si trasferì a Pest, dove fu costretto a barcamenarsi tra traduzioni e lavori precari; come studioso indipendente, si inserì tuttavia negli ambienti scientifici, frequentando tra gli altri i botanici Pal Kitaibel e Joseph Sadler, con i quali condivideva le raccolte che faceva in estate, quando era ospite nella tenuta di campagna del barone Podmaniczky. Nel 1816, alla morte di Kitaibel, presentò la propria candidatura a direttore dell'orto botanico e professore ordinario di botanica; assunse i due incarichi a partire dall'aprile 1817, lasciando un segno importante in entrambi i versanti. Come professore, introdusse in Ungheria la classificazione naturale di de Candolle, abbandonando il tradizionale sistema linneano, condusse regolarmente i suoi allievi a visitare l'orto botanico e li coinvolse in spedizioni di raccolta. Come direttore dell'orto botanico, da una parte incentivò la coltivazione di piante native, già introdotta da Kitaibel, e approfittò dei suoi legami internazionali (tra l'altro, nel 1828 divenne corrispondente della Società botanica di Regensburg) per incrementare il numero di specie coltivate, che durante la sua gestione passò da circa 4500, per lo più coltivate all'aperto, a 10.000, grazie anche alla costruzione di nuove serre fredde e riscaldate. Dal 1819 curò la pubblicazione annuale dell'Index seminum. Incrementò l'erbario con i suoi 5000 esemplari e con le raccolte dei suoi allievi e collaboratori. Nel 1821 si laureò in medicina; intanto continuava a scrivere di mineralogia per varie riviste tedesche, e soprattutto a pubblicare una serie annuale di osservazioni metereologiche. Nel 1830, per il cinquantesimo anniversario dell'Università pubblicò Succincta rei herbariae Hungariae et Transylvaniae historia, che contiene anche una storia dell'orto botanico di Pest. Alla sua morte lasciò la biblioteca, l'erbario e gli strumenti scientifici alla biblioteca della facoltà di medicina. Una pianta mitica Insomma, anche se non fu uno scienziato di primo piano, Haberle fu indubbiamente una figura significativa che contribuì allo svecchiamento della scienza ungherese e diede reputazione internazionale all'orto botanico di Pest. Invece non visitò mai i Balcani, e non fu lui a scoprire Haberlea rhodopensis, come si legge anche in pubblicazioni autorevoli. Del resto, la scoperta avvenne due anni dopo la sua morte. Se di "scoperta" si può parlare: la pianta era certamente ben nota alla popolazione locale, probabilmente da molti secoli. E' una delle cinque specie di Gesneriaceae europee, con cui condivide la straordinaria capacità di disidratarsi quasi completamente, per superare il freddo dell'inverno e i periodi di siccità, per poi reidratarsi e riprendere la funzione clorofilliana alla prima pioggia. Come le cugine Ramonda serbica e R. nathaliae ha il soprannome di "pianta della resurrezione", ma in Bulgaria è nota anche come "fiore di Orfeo". Viene infatti identificata con questa mitica pianta, che vediamo incisa sul verso di una moneta di Antonino Pio coniata a Filippopoli (ovvero Plovidiv), la capitale della Tracia romana, che ritrae la ninfa Rodhope, con la pianta alla sua sinistra e un fiore nella mano destra; secondo la leggenda, esso sarebbe nato dalle lacrime versate da Orfeo per la perdita di Euridice. Secondo un'altra versione, sarebbe invece spuntata dalle gocce di sangue di Orfeo smembrato dalle baccanti. In realtà, la pianta della moneta di Antonino Pio, alta e ramificata, con un fiore eretto simile piuttosto a un giglio o a un tulipano, è abbastanza diversa da Haberlea rhodopensis, una specie acaule con foglie a rosetta e fiori a 45° rispetto allo stelo, corolla ad imbuto e lobi nettamente zigomorfi in tenere sfumature di bianco, rosa, lilla. Ma come rara testimonianza della flora del periodo preglaciale e per la sua capacità di risorgere (come Orfeo sperava facesse Euridice, per ottenere la cui risurrezione scese agli Inferi) è più che degna di alimentare queste e altre leggende. Documentata in articoli scientifici solo nel Novecento, la capacità di rigenerarsi probabilmente non era sfuggita ai montanari dei Rodopi, che da tempo la utilizzavano per curare i cavalli. Studi dell'Università di Plovdiv ne hanno confermato l'efficacia come coadiuvante della cicatrizzazione dei tessuti. Altri studi hanno dimostrato l'efficacia cosmetica dei suoi estratti, per ridare elasticità alla pelle. Haberlea rhodopensis è un endemismo di un'area piuttosto ristretta al confine tra Bulgaria e Grecia. La maggior parte delle popolazioni (sono una ventina) si trova sul versante bulgaro dei monti Rodopi, a varie altitudini, fino a 2000 metri sul livello del mare; alcune stazioni si trovano anche sul versante meridionale, greco, della catena e nel massiccio della Stara Planina in Bulgaria. Come le altre Gesneriaceae europee, ama crescere tra le rocce calcaree del versante in ombra. Con due libri dal ricercato titolo greco, Fabio Colonna segna una tappa decisiva per l'avvento della botanica come scienza, negli anni a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Membro dell'Accademia dei Lincei, ha ancora la formazione erudita di stampo classico e la vastità di interessi dell'uomo universale del Rinascimento, ma è già a tutti gli effetti un uomo della nuova scienza, corrispondente di Galileo e scienziato sperimentale, che più che all'auctoritas degli antichi si affida al libro della natura. I suoi contributi alla nascita di un metodo scientifico per studiare le piante e determinarne i generi gli guadagnarono il plauso di Tournefort e Linneo, per non parlare di Plumier che gli dedicò il sontuoso genere Columnea. La botanica come cura Forse, se avesse goduto di buona salute, il napoletano Fabio Colonna (1567-1640) non sarebbe mai diventato un naturalista. Esponente di un ramo cadetto della celebre famiglia romana, nel 1589 si laureò utroque iure all'Università di Napoli, ma la salute precaria gli impedì di esercitare la professione. Spirito indagatore, per trovare rimedio ai suoi mali, e in particolare ai ricorrenti attacchi di epilessia, si rivolse ai testi degli antichi, a cominciare da Dioscoride, dove lesse delle proprietà antiepilettiche di una pianta chiamata Phu. Incominciò così a battere le campagne alla sua ricerca; il risultato fu che si innamorò della botanica e fece scoperte ben più interessanti dell'identificazione delle piante di Dioscoride, croce e delizia dei botanici del Rinascimento. Ma qui lascio volentieri la parola a Michele Tenore: "L'impegno di riconoscere nelle campagne la pianta che l'Anazarbeo chiamava Fu [...] lo condusse a scorrere le nostre selve, i nostri boschi e i monti; ove siccome doveva necessariamente avvenire, con giornaliero paragone delle descrizioni di Dioscoride con le piante che incontrava, invece del Fu di questo Autore, che scambiò con la Valeriana officinalis [...], riconobbe non solo la maggior parte delle piante mentovate dagli antichi scrittori; ma anche moltissime altre proprie del nostro suolo che egli scopriva per la prima volta". Nelle sue scorribande botaniche, che, a detta di Tenore, dovettero giovargli ben più del supposto rimedio dioscorideo, per memoria delle piante che incontrava, e per meglio confrontarle con le descrizioni degli antichi, Colonna dovette iniziare ad allestire un originale erbario ad impressione, testimoniato dal magnifico manoscritto in due volumi conservato a Blickling Hall nel Norfolk e intitolato Icones ipsis plantis ad vivum expressae quoad fieri potuit nova quadem arte excogitata ab ipso auctore Fabio Columna pro ipsius oblectatione, studio e memoria. Perfezionando una tecnica attestata fin dal secolo precedente, Colonna cospargeva di pigmenti l'esemplare, fresco o essiccato, ma sempre raccolto in natura (la coltivazione, aveva osservato, altera l'aspetto delle piante), quindi lo pressava su un foglio; ma, a differenza di Boccone o altri, a questo punto disegnava i particolari che l'impressione non conservava, talvolta aggiungendo anche i colori originali ad acquerello. Il poderoso erbario (oltre 500 fogli) fu certo il frutto di ricerche di molti anni, ma è probabile che egli lo abbia iniziato prima del 1592, data di pubblicazione dell'opera frutto di quelle prime escursioni e ricerche. Per identificare le piante di Dioscoride, Colonna, figlio di un agguerrito filologo ed egli stesso perfetto conoscitore delle lingue antiche, non rifuggiva dalla critica testuale, ma cercava la risposta soprattutto nel confronto tra le succinte e spesso criptiche descrizioni del testo greco con le piante raccolte in natura, minuziosamente osservate o "interrogate". E' questo il senso del curioso titolo della sua prima opera, Phytobasanos, sive plantarum aliquot historia. Come spiega Eva Cantarella, in greco il termine basanos originariamente indicava la pietra di paragone, utilizzata per saggiare l'oro, "da questo passò a indicare qualunque strumento o procedimento utile a 'mettere alla prova' una persona: e dunque, successivamente, anche la pratica che noi chiamiamo tortura". Ecco perché Phytobanos è stato variamente tradotto "Interrogazione delle piante", "Pietra di paragone della piante", "Tortura delle piante". La breve opera, stampata a Napoli a spese dell'autore nel 1592 (all'epoca Colonna aveva 25 anni) e dedicata al cardinale Marcantonio Colonna, è divisa in due parti; la prima analizza 26 piante di Dioscoride, ricavandone l'identificazione, più che dall'analisi filologica e dai pareri di altri studiosi (anche se non mancano né l'una né gli altri), dalla accurata e minuziosa descrizione della pianta stessa; la seconda parte, che si aggiunse in corso d'opera, durante la stampa della prima, tratta quattro animali marini e altre otto piante, che dovrebbero essere "nuove", cioè non descritte in precedenza. Lo era davvero la splendida Primula palinuri, che Colonna, il suo scopritore, identifica invece con la dioscoridea Alisma. Parte integrante dell'opera sono le 37 incisioni calcografiche a piena pagina, sicuramente almeno in parte ricavate da impressioni e disegni dello stesso Colonna. E' la prima volta che l'incisione su rame, con i suoi tratti molti più fini di quella su legno, viene applicata alla botanica; ed è anche la prima volta che, accanto alla pianta stessa, completa di radici, vengono raffigurati a parte, ingranditi, particolari essenziali per l'identificazione, come gli organi della fruttificazione. Stando a quanto scrive Colonna nella prefazione Ad lectorem, l'opera fu per lui, autodidatta ("nullo mostrante, aut docente"), un laborioso apprendistato; ma certo si avvalse dei consigli del farmacista Ferrante Imperato, che poi divenne il suo maestro e lo indirizzò anche allo studio dei fossili. Nel 1599, quando Imperato diede alle stampe Dell'historia naturale, Colonna contribuì con alcune tavole di serpenti disegnati dal vero. Grande influenza su di lui esercitò anche Giambattista della Porta, che più tardi l'avrebbe introdotto all'Accademia dei Lincei. Un metodo per determinare i generi Dopo il 1593, anche se la stampa di Phytobasanos aveva alquanto intaccato il suo scarso patrimonio, ora che la migliorata salute gli permetteva di viaggiare, Colonna estese le sue ricerche oltre i confini del Napoletano, approfittando dei legami familiari. Per qualche tempo soggiornò presso un fratello a Campochiaro, dove studiò la flora del Matese, poi fu a Cerignola presso uno zio, quindi passò al servizio del duca di Zagarolo Marzio Colonna, mettendo finalmente a frutto le sue competenze giuridiche nella risoluzione di complesse controversie di confini. Era anche di frequente a Roma, dove poteva ammirare gran copia di piante esotiche nei giardini dei porporati come i famosi orti farnesiani. Ma a interessarlo erano soprattutto le specie "che nascono sotto il nostro cielo". Anche se non manca qualche esotica, sono soprattutto loro le protagoniste della seconda, più ampia opera di Colonna, Minus cognitarum stirpium aliquot ac etiam rariorum nostro coelo orientium Ekphrasis, la cui prima parte uscì a Roma presso Facciotto nel 1606. Il termine Ekphrasis è preso in prestito dal lessico artistico, dove indica la descrizione verbale, il più possibile dettagliata, di un'opera d'arte. Vi ritroviamo infatti le accuratissime descrizioni che già caratterizzavano Phytobasanos, nonché le splendide tavole calcografiche basate su disegni dello stesso Colonna; ad essere nuova è invece la consapevolezza metodologica. Ormai il botanico napoletano ha elaborato un solido metodo per lo studio scientifico delle piante, a partire dalla riconoscimento dell'importanza per la classificazione dei fiori e dei semi, ed ha maturato un metodo che farà l'ammirazione di Tournefort, che riconobbe in lui lo scopritore della "constituendorum generum ratio", ovvero del metodo per la determinazione dei generi. Né minore fu la considerazione di Linneo, che lo proclamò "primo di tutti i botanici". Importanti anche i suoi contributi alla terminologia, tra l'altro con la creazione del termine "petalo". Già pronta intorno al 1603, ma ritardata dai soliti problemi finanziari, l'opera fu dedicata da Colonna al duca di Zagarolo: tuttavia, nonostante l'alto valore scientifico e le splendide illustrazioni (in questa prima edizione sono 114, 102 delle quali dedicate a piante, le altre ad animali marini e terrestri, incluso un ippopotamo) non ebbe molta fortuna. Per qualche tempo Colonna fece la spola tra Roma e Napoli, dove tornò definitivamente intorno al 1610. In questa fase, il suo interesse principale si spostò sui fossili, con la determinazione dell'origine animale delle cosiddette glossopietre: non lingue di serpente, come si credeva, ma denti di squalo pietrificati. Nel 1612, grazie alla raccomandazione di Della Porta, entrò a far parte della colonia napoletana dell'Accademia dei Lincei di cui fu l'undicesimo membro nonché uno degli esponenti più attivi, divenendo uno stretto collaboratore di Cesi, anche come consulente e procuratore; corrispose con Galilei e fu tra i primi a capire le potenzialità dei suoi nuovi strumenti ottici. Ispirato dalle esperienze dello scienziato pisano, costruì da solo un cannocchiale con il quale replicò le osservazioni galileane del Sole e della Luna. Ancora maggiore fu il suo entusiasmo per il microscopio, che Galileo chiamava occhialino ed egli propose di battezzare enghiscopio "che vol dir occhiale da vicino, a differenza dell'altro che vede di lontano". Insoddisfatto dello strumento che Galileo aveva donato a Cesi, ne costruì uno con una lente da lui stesso molata di ampio diametro, che utilizzò per osservare l'anatomia delle api. Queste osservazioni era finalizzate a un'opera celebrativa offerta dai Lincei al cardinale Matteo Barberini, appena eletto pontefice con il nome Urbano VIII: le api, accampate sul loro stemma gentilizio, erano infatti il simbolo della famiglia Barberini. Nel 1615, alla morte di Della Porta, Colonna divenne viceprincipe, ovvero capo della colonia napoletana. Ed è orgogliosamente come Linceo che figura nel frontespizio della seconda, più ampia edizione di Ekphrasis, stampata a Roma nel 1616 da Mascardo, il tipografo di fiducia dell'Accademia; si è aggiunta qualche pianta, ma soprattutto due appendici, una dedicata alle glossopietre, l'altra alla porpora, ma soprattutto ai molluschi da cui è ricavata. Fu proprio De purpura ad assicurargli una certa fama europea; Colonna vi fonde le competenze antiquarie, con citazioni di Plinio, Aristotele, Dioscoride, la conoscenza della letteratura più recente (tra i nomi citati, Guillaume Rondelet), con l'indagine zoologica diretta delle diverse specie di molluschi del Tirreno meridionale, di cui esamina una ventina di specie, elencando anche i luoghi di crescita, da lui visitati personalmente. Intorno al 1624, Colonna fu coinvolto nel più ambizioso progetto collettivo dei Lincei, Rerum Medicarum Novae Hispaniae Thesaurus, più noto come Tesoro messicano, ovvero la pubblicazione commentata dell'epitome che Nardo Antonio Recchi aveva tratto dall'opera di Hernandez sulla natura messicana (le cui complesse vicende editoriali sono riassunte in questo post). Inizialmente, Cesi aveva affidato la parte botanica a Giovanni Faber e Giovanni Terrenzio, ma dopo la partenza di quest'ultimo per la Cina, insoddisfatto delle succinte note da lui redatte, si rivolse a Colonna, che, nuovamente afflitto da problemi di salute, accettò con riluttanza, soprattutto per non scontentare il principe. Temeva infatti di non essere sufficientemente aggiornato sugli sviluppi della botanica, che proprio in quegli anni stava facendo rapidi progressi (basti pensare che nel 1623 era uscito il Pinax di Caspar Bauhin). Ma, una volta entrato nel progetto, vi lavorò con il consueto impegno e serietà, redigendo le Annotationes et Additiones, che consegnò nel luglio 1628, in tempo per essere incluse nel primo volume, di cui avrebbero costituito la terza parte (pp. 847-899); sono prevalentemente dedicate alle botanica, tranne le ultime quattro, dedicate ai mineralia. Colonna, nell'esaminare le piante messicane e nel confrontarle con analoghe specie già note, ha modo di approfondire il metodo di determinazione dei generi; aggiunge inoltre la trattazione di alcune piante esotiche, non necessariamente messicane, e talvolta neppure americane. Ad esempio, in Narcissus indicus serpentarius riconosciamo il sudafricano Haemanthus coccineus, che negli stessi anni è descritto anche da Ferrari. E' invece nordamericano il Flos cardinalis Barberini, che Colonna dedicò a Francesco Barberini, protettore delle arti e della scienza, prendendo spunto dal colore rosso dei fiori, lo stesso della veste cardinalizia. Oggi si chiama Lobelia cardinalis, conservando l'eponimo voluto da Fabio Colonna. Dopo la morte di Cesi (1630), che ritardò per un ventennio l'effettiva diffusione del Tesoro messicano, Colonna fu indicato come suo possibile successore, ma la proposta non ebbe seguito. Poco sappiamo dei suoi ultimi anni, certo funestati da difficoltà finanziarie e crescenti problemi di salute. Morì nel 1640. Vale la pena di ricordare, tra i suoi poliedrici interessi, anche la musica; gli si deve anche la creazione di uno strumento musicale, il pentecontachordon o sambuca lincea, una specie di cembalo con 50 corde. Magnificenze tropicali Come esploratore della flora dell'Italia centro-meridionale, si deve a Colonna la scoperta di almeno una ventina di specie. Diverse portano l'epiteto columnae (dalla forma latina del suo nome, Fabius Columna); tra di esse Doronicum columnae, Aubrieta columnae, Romulea columnae. Ci porta invece nell'America tropicale il genere Columnea, che gli fu dedicato da Plumier con un vero e proprio peana: "Fabio Colonna, nobile romano, nato in quella antica ed illustrissima famiglia, che occupa il primo rango tra le più nobili famiglie italiane, da lodare sopra tutti per la squisita conoscenza della storia naturale. In effetti, in questo campo nulla è paragonabile alle opere di un uomo così grande, che si guardino le immagini disegnate di sua mano o le descrizioni e le dissertazioni critiche". Già sappiamo quanto lo ammirasse anche Linneo, che fece proprio il genere. Con oltre 200 specie riconosciute, Columnea L. è il più vasto dei generi delle Gesneriaceae neotropicali. Ovviamente, è anche uno dei più vari. Diffuso dal Messico alla Bolivia e verso Est fino allo stato di Amapá in Brasile, trova il suo habitat ideale nelle foreste pluviali, dove può disporre di umidità tutto l'anno; è a sua agio soprattutto in quelle fresche ad altitudine media. Anche se il genere comprende anche arbusti ed erbacee, è fondamentalmente rappresentato da epifite che vivono sui tronchi e tra i rami degli alberi della foresta pluviale, a volte anche a considerevole altezza. Possono essere erette, ricadenti o rampicanti, e hanno per lo più foglie in coppie opposte, carnose, lucide, da ovate a lineari. Le specie più frequentemente coltivate e più utilizzate per la creazione di ibridi, come C. hirta, C. linearis o C. magnifica, appartengono alla sezione Columnea, caratterizzata da fiori tubolari fortemente bilabiati, con i due lobi superiori fusi a formare una specie di cappuccio, o galea; in genere la corolla è rossa, ma talvolta aranciata o rosa. Per la loro forma, che ricorderebbe un pesce rosso, in inglese vengono chiamata flying fish plants. La sezione Ortholoma è invece caratterizzata o da corolle piccole così fittamente ricoperte di peli da nascondere la corolla stessa (è il caso di C. purpurata) o da appendici poste alla base dal calice, che sembra emergere da una soffice palla di peli (è il caso di C. minor). I fiori delle sezioni Collandra, a sua volta assai varia, sono in genere molto meno colorati; in alcune specie a dare spettacolo e a fungere da richiamo sono le foglie: quelle di C. consanguinea sono segnate da una vistosa macchia rossa traslucida a forma di cuore. La sezione Pentadenia raggruppa specie per lo più terrestri, erbacee o arbustive, alte ed erette, con fiori tubolari o imbutiformi. Anche le specie della sezione Stygnanthe sono per lo più terresti, con corolle tubolari prive di lobi. Infine, la sezione Angustiflorae riunisce specie erbacee epifite, con rami sottili e corolla tubolare stretta ed allungata, non bilabiata. Alle già numerose specie si sono aggiunte dozzine di ibridi, in genere considerati più adattabili e quindi più facili da coltivare rispetto alle specie; inoltre spesso sono in grado di fiorire tutto l'anno. Tra i più notevoli, 'Bonfire', con corolla fortemente bilabiata, tubo giallo-aranciato e apici dei lobi rossi; 'Orange Fire', con calice verde piumoso, lungo tubo giallo e piccoli lobi arancio; 'Early Bird' (una delle varietà più popolari), con corolla bilabiata, tubo giallo vivo e galea arancio; 'Broget Stavanger' ha invece lunghi rami ricadenti e foglie variegate. Per una selezione di specie si rimanda alla scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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