Al servizio della celebre firma Veitch, il cacciatore di piante Richard Pearce fu il protagonista di due fruttuosissime spedizioni in America latina. Tra i suoi tanti contributi, la scoperta in Bolivia e Perù di tre specie di begonie tuberose che, nelle abili mani degli ibridatori dei Veitch, divennero le antenate di quelle che ogni estate arricchiscono i nostri balconi. Lo ricorda il genere Pearcea della famiglia Gesneriaceae. ![]() Un fruttuoso viaggio in Sudamerica Se, come me, avete un balcone ombroso, con le loro lunghissime e coloratissime fioriture non ci sono piante più facili e generose delle begonie tuberose ibride Begonia x tuberhybrida. Alla loro origine ci sono tre specie scoperte in Bolivia e Perù dal cacciatore di piante Richard Pearce (ca. 1835-1868). Intorno al 1858, dopo aver lavorato per qualche tempo come giardiniere per il vivaio Potney di Plymouth, passò al servizio del celebre vivaio Veitch. Questa firma era stata la prima ad impiegare propri raccoglitori, inviando fin dagli anni '40 i fratelli Lobb alla ricerca di piante da lanciare sul mercato. Limitandoci alle Americhe, particolarmente lucrosi erano stati gli invii di William Lobb dal Cile, con la massiccia raccolta di semi di Araucaria araucana, e dalla California, con la scoperta e l'introduzione di Sequoiadendron giganteum. Tuttavia dopo il 1854 Lobb aveva gradualmente interrotto i rapporti con i Veitch fino a interromperli del tutto, ed era urgente trovare un raccoglitore altrettanto abile che lo sostituisse. La scelta cadde appunto su Pearce che all'epoca lavorava in uno dei vivai della famiglia a Mount Radford. Nel febbraio 1859 partì per Valparaiso con un contratto di tre anni alla ricerca di "piante, semi, conchiglie terrestri e altri oggetti di storia naturale". Come era abitudine della casa, aveva precise istruzioni su cosa cercare: in primo luogo, la Cupressacea Libocedrus tetragona, all'epoca ritenuto l'albero da cui si ricavava il pregiato legname di Alerce; poi Lapageria rosea e la sua varietà bianca, Araucaria imbricata e altre piante rustiche. Nel 1860 Pearce fece numerose spedizioni lungo la Cordigliera cilena e nelle montagne dell'interno, trovando tutte le piante desiderate, ma anche molte altre: Prumnopitys elegans, Podocarpus nubigenus, Eucryphia glutinosa, diverse Bomarea, Cavendishia bracteata, Ourisia coccinea, Ourisia pearcei. Ma soprattutto scoprì che il legname di Alerce non si ricava da Libocedrus tetragona, ma da Fitzroya cupressoides, che nella regione patagonica, da lui scrupolosamente visitata, formava vaste foreste. All'inizio del 1862 lasciò il Cile e si imbarcò alla volta del Perù e della Bolivia, alla ricerca di piante da serra e con belle foglie. Si spostò quindi in Ecuador. Frutto di questa tappa del viaggio, un eccellente invio da Cuenca che comprendeva Befaria ledifolia, Lisianthus magnificus, Calceolaria ericoides e diverse specie di Tacsonia. Infine si imbarcò a Guayaquil con sei grandi scatole di Ward che contenevano tra l'altro una bella collezione di Marantaceae, tra cui Calathea veitchiana (sin. di Goeppertia veitchiana). ![]() La seconda spedizione e le begonie Il viaggio era stato estremamente fruttuoso e James Veitch & Sons propose immediatamente a Pearce un secondo contratto triennale. Questa volta avrebbe dovuto recarsi direttamente a Lima e da lì spostarsi verso zone ancora poco battute, secondo le istruzioni scritte che avrebbe via via ricevuto. Egli visitò il Perù, l'Ecuador e la Bolivia, dove raccolse tra l'altro Aphelandra nitens e Sanchezia nobilis. Passò poi in Argentina per battere la provincia di Tucuman, dove trovò diverse interessanti piante da serra, tra cui Nierembergia rivularis e N. veitchii, Palaua flexuosa, Mutisia decurrens e diverse varietà di Peperomia, Ritornò poi a La Paz, da dove spedì ancora alcune specie di Hippeastrum. Riprese poi ad esplorare le Ande boliviane e peruviane, dove fece le scoperte a cui poi il suo nome è rimasto più legato: oltre alla bella Masdevallia veitchiana, detta il "re delle Masdevallie" per le enormi dimensioni della sua infiorescenza e il colore acceso, tre specie di begonia, scoperte in Bolivia tra il 1864 e il 1866: Begonia boliviensis, B. pearcei e B. veitchii. Rientrò poi in Inghilterra. Essendo terminato il suo contratto, lasciò i Veitch, tornò a Plymouth e si sposò. Non resistette però a lungo alla vita sedentaria. Nel 1867 fu contattato da un altro vivaista, William Bull, il cui vivaio di Kings Road a Chelsea era specializzato in piante tropicali e in particolare di orchidee; questi gli chiese di tornare in Sudamerica e di raccogliere per lui Masdevallia veitchiana. Pearce accettò e sbarcò a Panama; qui partì alla ricerca di una specie di Cypripedium la cui presenza gli era stata segnalata nei dintorni; non la trovò, ma la vana ricerca gli costò la vita. Fu infatti colpito da febbre gialla e morì il 17 luglio 1867 all'età di 33 anni. Questa la commemorazione di James Herbert Veitch: "come raccoglitore di piante Pearce era uno dei migliori, e la sua morte prematura fu una grande perdita per il mondo dell'orticoltura". Le sue scoperte però stavano già imprimendo una svolta nella storia dell'ibridazione delle begonie. Nel 1868 John Seden, uno degli ibridatori di Veitch, incrociando Begonia boliviensis (inviata da Pearce nel 1864) con un'altra specie sconosciuta, ottenne Begonia × sedenii, la prima begonia tuberosa ibrida nota, con grandi fiori rossol magenta. Continuò poi il suo lavoro incrociando B. boliviensis con le altre specie scoperte da Pearce, producendo la prima B. x tuberhybrida. Il suo successo aprì la strada ad altri ibridatori. Nel 1874 l'incrocio tra B. × sedenii e la sudafricana B. dregei produsse B. 'White Queen', la prima begonia tuberosa bianca. Intorno al 1880, il grande ibridatore francese Victor Lemoine incrociando B x sedenii, B. veitchii e B. pearcei ottenne la prima begonia tuberosa doppia, 'Gloire de Nancy'. Intanto alle begonie introdotte da Pearce se ne aggiungevano altre: B. froebelii, spedita nel 1874 al vivaio Froebel di Zurigo dall'Ecuador; B. davisii, raccolta in Perù e introdotta nel 1877 da un altro cacciatore di piante della scuderia Veitch, Walter Davis; insieme alla già nota B. cinnabarina ed altre specie andine, anch'esse entrarono nel pedigree di B. x tuberhybrida. Nel 1894, quando Voss la ufficializzò, le varietà erano già molte decine . ![]() Un piccolo gioiello dalle Ande L'importanza delle raccolte di Pearce è testimoniata dalle numerose specie del Sud America che portano il suo nome, non meno di una quarantina; oltre a Begonia pearcei, vorrei ricordare almeno la spettacolare orchidea Phragmipedium pearcei. Anche il genere che celebra questo solerte e sfortunato cacciatore di piante viene dal Sudamerica e risale a una delle sue raccolte; la prima specie nota, inizialmente classificata da Hooker come Gloxinia hypocyrtiflora, fu infatti raccolta da Pearce nel 1866 sui monti della regione di Quito. A lungo a questo genere (famiglia Gesneriaceae) è stata assegnato un'unica specie, appunto Pearcea hypocyrtiflora; in seguito ad analisi molecolari ha però assorbito il genere Parakohleria ed alcune specie precedentemente assegnate a Kohleria; inoltre sono state scoperte altre specie, e ora ne comprende tra 17 e 19. E' distribuito sulle pendici andine orientali, dalla Colombia settentrionale alla Bolivia nordoccidentale attraverso il Perù e l'Ecuador, dove vive in una varietà di habitat, dalle foreste pluviali di bassa quota (attorno ai 700 metri) alle foreste nebulose (attorno ai 2500 metri), anche se sono le prime ad essere particolarmente ricche di specie. Piuttosto affine a Kohleria, è caratterizzato da foglie vellutate, e piccoli fiori urceolati (cioè a forma di urna, rigonfi alla base e ristretti alla gola), da gialli a rossi, presumibilmente impollinati da colibrì. La specie più nota e coltivata è Pearcea hypocyrtiflora con belle foglie verde scuro con nervature verde chiaro o rosate e fiori arancio con apice magenta rigonfi come palloncini. Di piccole dimensioni, è adatta alla coltivazione in terrario.
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Finanziato da un consorzio che comprendeva anche l'orto botanico di Liverpool, il naturalista John Bradbury andò negli Stati Uniti alla ricerca di nuove varietà di cotone. Nel 1811, insieme a Nuttall, ebbe l'occasione di unirsi alla spedizione dei cosiddetti Astorians, che stavano aprendo una via verso il Pacifico. Poté così risalire il Missouri, facendo raccolte anche in un'area inesplorata prima di lui. Per una serie di sfortunate circostanze, tuttavia, la pubblicazione delle sue scoperte gli fu scippata da Pursh. Disgustato, lasciò per sempre la botanica. Del suo viaggio ha però lasciato una cronaca vivace e piena di informazioni sulle comunità native. Lo ricorda il piccolo genere Bradburia. ![]() Tre anni negli Stati Uniti e un viaggio lungo la frontiera Nel 1809 la direzione dell'orto botanico di Liverpool decise di cofinanziare il viaggio negli Stati Uniti di John Bradbury (1768-1823); lo scopo principale era trovare migliori forniture di cotone, che in quegli anni costituiva almeno la metà dei commerci della città. Attraverso i mediatori di Liverpool, poi il cotone proseguiva non solo per i cotonifici del Regno Unito, ma per la Germania, l'Europa orientale e la Russia. Bradbury era la persona giusta perché aveva competenze sia nel campo botanico sia in quello cotoniero. Nato in una famiglia di modesti mezzi del Cheshire, aveva avuto la fortuna di studiare alla Cocker Hill Academy di Stalybridge dove aveva avuto per maestro John Taylor che lo aveva avviato alla botanica e alle escursioni sul campo. Aveva poi trovato lavoro in un cotonificio, anche se aveva continuato ad interessarsi di botanica, tanto che nel 1792 era stato ammesso alla Linnean Society, e forse ai occupava anche di progettazione di giardini. Era così entrato in contatto con la Liverpool Philosophical Society, il conte di Derby un avido collezionista di naturalia che aveva anche interessi nell'industria cotoniera, con William Roscoe e con un altro dei fondatori dell'orto botanico di Liverpool, William Bullock, proprietario del Museum of Natural Curiosity. Dai contatti con questi diversi personaggi nacque la spedizione americana di Bradbury che, oltre cercare nuove fonti di cotone grezzo, avrebbe dovuto raccogliere piante e esemplari d'erbario per l'orto botanico e oggetti naturali per i suoi sponsor. Il progetto iniziale di Bradbury era andare a New Orleans insieme a uno dei suoi figli (ne aveva ben otto) e di creare un vivaio; mentre lui avrebbe viaggiato ed esplorato la Louisiana e il Kentucky, il figlio avrebbe coltivato e moltiplicato le piante raccolte per poi spedirle in Europa (come avevano fatto André Michaux e suo figlio a Charleston). Tuttavia, poiché gli sponsor non erano disposti a sborsare più di cento sterline l'anno, decise di partire da solo. Nel settembre 1809 sbarcò a Charleston; in nave, si recò poi a Baltimora e da qui a Washington, da dove raggiunse Monticello, la tenuta di Thomas Jefferson che aveva da poco terminato il suo mandato presidenziale. L'ex presidente lo ospitò per diverse settimane e gli fornì molte informazioni utili. Lo sconsigliò di esplorare la flora del Kentucky, che era già relativamente nota in seguito ai viaggi proprio di Michaux, mentre le terre bagnate dal fiume Missouri offrivano un campo di esplorazione pressoché vergine. Anche la spedizione di Lewis e Clark, tanto voluta da Jefferson, le aveva appena sfiorate. Bradbury si fece convincere e, anziché a New Orleans, decise di stabilire la sua base a San Louis, dove giunse l'ultimo giorno del 1809. Trascorse qui l'inverno, che quell'anno fu freddissimo, raccogliendo uccelli e altri animali; quindi prese in affitto un terreno di mezzo acro in cui trapiantò alberi, arbusti e altre piante native. In estate fu in grado di spedire a Liverpool un grosso invio di piante in vaso. Nell'autunno 1810 arrivò a San Louis Thomas Nuttall che stava esplorando il bacino del Mississippi per conto del professor Barton. Nei mesi successivi i due naturalisti britannici fecero diverse escursioni insieme, una delle quali li portò a sudovest lungo il Merimac River. Nel marzo 1811 partirono insieme e poco dopo raggiunsero Wilson Price Hunt e altri membri della Pacific Fur Company che si accingevano ad esplorare il bacino del Missouri per conto del mercante e imprenditore John Jacob Astor. Quest'ultimo intendeva sfruttare la via aperta da Lewis e Clark per controllare il traffico delle pellicce; a tal fine formò due gruppi di trapper, noti come Astorians; uno fu inviato via mare alla foce del Columbia River, dove fondò il Fort Astoria; l'altro, partendo da San Louis avrebbe dovuto raggiungere la costa pacifica via terra. Era appunto il gruppo guidato da Hunt. All'inizio di aprile raggiunsero Fort Osage nell'attuale Missouri, dove alla spedizione si unì Ramsay Crooks, che più tardi sarebbe diventato presidente dell'American Fur Company. Lasciato il grosso della spedizione, questi guidò Bradbury e due cacciatori canadesi fino al Platte River. Si ricongiunsero poi agli altri l'11 maggio presso un villaggio Omaha dove ci furono intensi scambi commerciali con i nativi. A giugno incontrarono lo spagnolo Manuel Lisa, trapper della rivale Missouri Fur Company, che faceva da guida all'avvocato Henry Marie Brackenridge, che Bradbury aveva già conosciuto a Saint Louis. C'era una vecchia ruggine tra Crooks e suoi e Lisa; inoltre Hunt aveva assunto a Saint Louis l'interprete Pierre Dorion che il precedenza aveva lavorato per la Missouri Fur Company e aveva ancora un debito con la compagnia; quando Lisa glielo ricordò, il duello tra i due fu evitato per un pelo dall'intervento di Bradbury e Brackenridge. Gli Astorians stabilirono il loro quartier generale nei villaggi Arikara nell'attuale Corson County (South Dakota); non trovando però un numero sufficiente di cavalli, Hunt decise che due gruppi avrebbero risalito il Missouri per duecento miglia fino al forte della Missouri Fur Company presso i villaggi Mandan; uno avrebbe accompagnato Lisa in battello (ne facevano parte anche Nuttall e Brackenridge), mentre l'altro (con Bradbury e Crooks) l'avrebbe raggiunto a piedi. Era una zona ancora inesplorata dai botanici, e Bradbury poté raccogliere diverse specie inedite delle grandi pianure. Dopo una decina di giorni gli esploratori ritornarono nella Corson County con un'ottantina di cavalli, Ora erano pronti per affrontare la grande traversava alla volta del Pacifico. Bradbury non voleva abbandonare le sue raccolte e preferì lasciare la spedizione, approfittando di uno dei due battelli carichi di pellicce spediti a Saint Louis da Lisa, Così si imbarcò con Brackenridge e diciassette casse di piante. Il 29 giugno era di nuovo a Saint Louis dove affittò un terreno dove trapiantarle. Tuttavia si ammalò, con la conseguenza che non le poté seguire e quattro quinti morirono. All'inizio di dicembre si imbarcò con le sue raccolte alla volta di New Orleans; l'imbarcazione si trovava al largo di New Madrid quando avvenne il primo di tre devastanti terremoti, un'esperienza di cui Bradbury avrebbe lasciato la prima testimonianza scritta nel libro in cui raccontò la sua spedizione. Si trattenne a New Orleans fino al 20 gennaio per spedire le sue raccolte in Inghilterra, poi si imbarcò alla volta di New York. Qui suo malgrado fu trattenuto negli Stati Uniti dalla guerra scoppiata tra i due paesi nel 1812. Nel frattempo le piante che aveva inviato in patria erano arrivate e, forse per un equivoco del figlio di Bradbury, i doppioni della collezione vennero consegnati a Aylmer Lambert. Pursh, che era ospite di Lambert e su suo incoraggiamento stava scrivendo Flora Americae Septentrionalis, decise di includere in un'appendice quaranta piante inedite raccolte da Bradbury. Fu con grande amarezza che questi lo scoprì: questo individuo "osò esaminare la collezione di esemplari che avevo spedito a Liverpool e la descrisse quasi per intero, privandomi sia della reputazione sia del profitto che spettavano solo a me". Non si sa molto della sua vita successiva. Nel 1816 tornò per un breve periodo a Inghilterra dove pubblicò il racconto del suo viaggio, Travels in the Interior of America, in the Years 1809, 1810, and 1811, molto interessante soprattutto come testimonianza della vita delle comunità native. Nel 1817 ripartì per gli Stati Uniti, forse con la moglie e i figli. La delusione lo spinse ad abbandonare del tutto le scienze naturali. Si stabilì a Middletown nel Kentucky dove secondo la testimonianza di Rafinesque lavorava in una manifattura di cotone. Qui morì nel 1823. ![]() Il genere Bradburia Qualche anno prima proprio Rafinesque, che ne aveva grande stima, gli aveva dedicato il genere Bradburya per aver scoperto "così tante piante risalendo il corso del Missouri". Purtroppo, essendo basato su due specie appartenenti ad altri generi, non è valido. A rimediare pensarono i due "papi" della botanica americana Torrey e Gray con una dedica che ha il sapore di una riparazione: "Dedichiamo questo notevole genere a John Bradbury che nel 1811 risalì il Missouri fino ai villaggi Mandan e fece un'interessante raccolta di piante che fu in parte pubblicata da Pursh come supplemento della sua Flora. Nel 1817 pubblicò a Londra il diario dei suoi viaggi in America negli anni 1809-11 che contiene molte interessanti informazioni sulla botanica del Missouri". Bradburia Torr. & A.Gray è un piccolo genere della famiglia Asteraceae che comprende due specie, Bradburia hirtella e B. pilosa, entrambe native degli Stati Uniti meridionali. Sono erbacee annuali talvolta perennanti di medio sviluppo, con radici caudiciformi, foglie e steli pelosi, e capolini radiati solitari o raccolti in infiorescenze panicolate lasse con flosculi del disco e del raggio giallo vivo. I frutti sono acheni muniti di pappi. B. pilosa è comune dal Texas centrale al Missouri sudoccidentale, mentre B. hirtella ha limitata diffusione. A inizio Ottocento, la crescente richiesta di esemplari naturalistici da parte di istituzioni e privati apre nuovi spazi ai raccoglitori indipendenti, diversi dalla tradizionale dipendenza da un patrono. Così, quando non sopporta più lo sponsor iniziale, il tedesco Ferdinand Deppe decide di mettersi in proprio. Convince poi a unirsi a lui un amico, il botanico Christian Julius Wilhelm Schiede. All'inizio con un certo successo, ma poi l'avventura finirà piuttosto male per Deppe, malissimo per Schiede. I due amici sono ricordati dai generi Deppea, Schiedea, Schiedeella. ![]() A caccia di animali e piante in Messico Nel 1821, il Messico divenne ufficialmente indipendente. Ciò apriva nuove possibilità per la ricerca naturalistica. Fino ad allora, la corona spagnola era stata gelosissima delle sue colonie americane e solo a pochissimi naturalisti, tra cui spicca il nome di Humboldt, era stato concesso di varcare la frontiera messicana. Quasi immediatamente, il conte Albert von Sack, ciambellano del re di Prussia e Secondo maestro della caccia reale, inziò a progettare una spedizione che, iniziata in Messico, proseguisse in Guatemala e poi ancora in Sudamerica. Era un personaggio piuttosto eccentrico, con precedenti esperienze di viaggio in contrade lontane: tra il 1805 e il 1807, poi di nuovo tra il 1810 e il 1812 era stato in Suriname raccogliendo "ogni genere di rarità naturali" per la recentemente fondata università di Berlino; tra il 1818 e il 1820 aveva viaggiato in Grecia, Cipro, Egitto, raccogliendo oggetti naturali e archeologici per varie istituzioni berlinesi. Egli avrebbe finanziato la spedizione a beneficio del Museo di storia naturale di Berlino; oltre a lui, vi avrebbero preso parte un suo servitore, uno zoologo del museo e il giardiniere Ferdinand Deppe (1795-1861), da lui scelto e imposto. Nato a Berlino in una famiglia di origini francesi, quest'ultimo si era formato presso i giardini di Graz, Vienna, Kassel e Monaco e al momento lavorava come giardiniere a Charlottenburg. Attivo e serio, si preparò con cura, leggendo ogni opera disponibile sulla flora, la fauna e la geografia del Sudamerica e imparando a preparare le pelli degli animali. La preparazione della spedizione tuttavia si trascinò per le lunghe e fu pronta a partire solo nell'ottobre 1824, previa una lunga tappa a Londra per visitare le collezioni del British Museum e l'esibizione messicana di William Bullock, un avventuriero inglese che aveva fatto qualche fortuna nel settore minerario. Lasciata Londra all'inizio di ottobre, via Barbabados e Giamaica il gruppo raggiunse Alvarado nello stato di Veracruz a metà di dicembre, ma durante il viaggio il servitore del conte morì di febbre gialla. Dopo un'escursione alla laguna di Tlaticalpán, proseguirono poi per Città del Messico via Xalapa. Ad aprile un'escursione portò Deppe a Temascaltepec, dove egli conobbe William Bullock jr., figlio del citato Mr. Bullock, che era tornato in Messico con la famiglia sperando. Fu forse questo incontro o la crescente insofferenza per i modi del conte che spinsero Deppe a lasciare la spedizione e a proseguire da solo a proprie spese. A giugno e a luglio visitò diverse località dello Stato del Messico, ad agosto raggiunse Bullock a Tehuantepec, quindi i due intrapresero una lunga spedizione che a settembre li portò a Oaxaca via Puebla, quindi nuovamente a Tehuantepec e alla costa del Pacifico. Tornati a Oaxaca, i due amici si separarono; per raggiungere Bullock la famiglia a Città del Messico, Deppe Alvarado dove averebbe spedito le ingenti raccolte. Per venderle contava sul fratello minore Wilhelm, contabile del Museo di storia naturale, e su Hinrich Lichtenstein, direttore del Museo zoologico di Berlino, che infatti acquistò e pubblicò le raccolte zoologiche. L'anno successivo fu dedicato a ampie escursioni negli stati di Veracruz, Messico e Oaxaca, intervallati da visite alla famiglia Bullock. William Bullock senior aveva fondato una compagnia mineraria e tornando a Londra nel settembre 1826 prese con sè le pelli di molti uccelli preparate da Deppe; furono in parte vendute all'ornitologo William Swainson che ne descrisse diverse. Anche per Deppe era ora di tornare in Europa dopo tre anni di assenza; imbarcatosi a Veracruz nel gennaio 1827, raggiunse Amburgo ad aprile. Le raccolte zoologiche del triennio messicano erano imponenti: 958 pelli di uccelli di 315 specie, molte delle quali ancora ignote alla scienza, migliaia di insetti, e ancora mammiferi, rettili, anfibi, pesci. Gli animali erano il prodotto più richiesto dai clienti, ma Deppe non trascurò le piante; di particolare interesse alcuni cactus raccolti verso la fine della spedizione. A Berlino riuscì a vendere con successo le sue raccolte, ma andò delusa la speranza di un posto una delle istituzioni scientifiche della capitale. Decise così di tornare in Messico come raccoglitore freelance, contando che la vendita di esemplari zoologici e botanici gli avrebbe permesso di vivere. Lo accompagnava il medico e botanico Christian Julius Wilhelm Schiede (1798 – 1836). Quest'ultimo era nativo di Kassel, dove era tornato ad esercitare la professione dopo aver studiato a Berlino ed essersi laureato a Gottinga. E forse proprio a Kassel i due si erano conosciuti, quando vi lavorava anche Deppe. A differenza del "pratico" Deppe, aveva all'attivo almeno due pubblicazione: la tesi di laurea dedicata agli ibridi spontanei e un articolo sullo stesso argomento pubblcato nel 1824 su "Flora". Nel luglio del 1828 i due amici si stabilirono a Xalapa, che divenne la loro base per un'ampia esplorazione dello stato di Veracruz. Tra l'altro scalarono il Pico de Orizaba, raggiungendo quasi la cima. Le loro raccolte, anche botaniche, erano sensazionali, ma i risultati finanziari meno. Il loro principale cliente Hinrich Lichtenstein non poteva più permettersi di acquistare gli esemplari a prezzi ragionevoli e, anche se molto fu venduto ai musei di Vienna e Berlino, non bastava per vivere. Sperando di raggiungere una clientela più vasta, il fratello di Deppe Wilhelm fece stampare un catalogo e un prezzario delle raccolte zoologiche, ma non fu sufficiente. Nel 1830 Deppe e Schiede furono costretti ad abbandonare l'attività di raccoglitori; Schiede lavorò come medico a Città del Messico, dove morì di tifo nel 1836; Deppe trovò lavoro come agente di una compagnia commerciale e si trasferì prima ad Acapulco poi a Monterray in California, che all'epoca faceva ancora parte del Messico. Qui fece ancora qualche raccolta, visitò le missioni dell'interno e almeno una la dipinse in quadro ad olio, collezionò oggetti etnografici. Nel 1836, rovinato finanziariamente da una truffa, decise di tornare in patria. Durante il lungo viaggio di ritorno, toccò le Hawaii, le Filippine, Canton e la Malesia, facendo raccolte di oggetti naturalistici e etnografici. Di ritorno a Berlino nel 1838, si scontrò nuovamente con l'indifferenza degli ambienti scientifici. Non gli restò che tornare agli inizi: nel 1840 acquistò una proprietà sul lago Lietzen, non troppo lontano dal parco di Charlottenburg dove aveva iniziato la sua carriera come giardiniere del re di Prussia, e vi fondò un apprezzato vivaio, famoso per le sue dalie e le sue rose; si sposò ed ebbe dei figli. Vi lavorò fino alla morte nel 1861. ![]() Una delle piante più rare del mondo Anche se Deppe si segnalò soprattutto per le raccolte di animali, e in particolare di uccelli, anche le sue raccolte botaniche, soprattutto quando si associò con Schiede, sono di notevole importanza per la conoscenza della flora messicana. A partire dal 1830, le loro raccolte botaniche furono oggetto di numerose pubblicazioni su "Linnea" da parte di Schlechtendal e Chamisso; si tratta di diverse centinaia di specie. Sempre a Schlechtendal e Chamisso si deve la dedica del genere Deppea "in onore dello scopritore, lo stimato Deppe, instancabile nell'esplorazione della fauna e della flora". Sono numerosi anche gli eponimi che gli rendono omaggio, a cominciare dalla più nota delle sue scoperte Oxalis deppei (oggi Oxalis tetraphylla var. tetraphylla). Per limitarci alle denominazioni ancora accettate, aggiungiamo la bellissima orchidee Lycaste deppei, Struthanthus deppeanus, Eryngium deppeanum, Monochaetum deppeanum, Juniperus deppeana, Sinclairia deppeana, Tillandsia deppeana, Euphorbia deppeana, Moussonia deppeana, Aegiphila deppeana, Peperomia deppeana, Arundinella deppeana. Deppea (famiglia Rubiaceae) comprende da 25 a 39 specie di arbusti o piccoli alberi, con distribuzione disgiunta: Messico e America centrale da una parte, con la grande maggioranza delle specie, Brasile e Argentina settentrionale dall'altra con un'unica specie; l'ambiente tipico sono le foreste nebulose di montagna al confine tra Messico e Guatemala. La tassonomia del genere non è ancora del tutto chiara. Alcuni autori lo intendono in senso più largo, includendovi generi più piccoli come Bellizinca, Csapodya ed Edithea, altri in senso più ristretto. Si tratta spesso di endemismi puntiformi con in areale estremamente ridotto, il che ne mette a rischio la sopravvivenza. È il caso della specie più nota, Deppea splendens, chiamata in inglese Golden fuchsia, per suoi fiori penduli a campana, anche se non ha alcuna parentela con le fucsie. La sua diffusione era limitata a una gola del versante merdionale del Cerro Mozotal nel Chapas. dove cresceva nella foresta nubilosa mista di pini e querce. Qui fu raccolta nel 1972 per la prima volta sotto forma di esemplari d'erbario da Dennis Breedlove che stava preparando un lavoro sulla flora del Chapas. Negli anni successivi furono raccolti altri campioni, ma solo nel 1981 Breedlove e Bruce Bartholomew raccolsero dei semi che furono affidati all'orto botanico dell'universtà della California e agli Huntington Botanical Gardens. I semenzali prosperarono e furono distribuiti ad altre istituzioni e vivai; anche se molti perirono per il freddo nel dicembre 1990, almeno alcuni sopravvissero. Fortunamente! Infatti nel frattempo il loro habitat originario era stato disboscato e trasformato in terreno agricolo, causandone l'estinzione in natura. E' una pianta bellissima, considerata una delle più rare al mondo. ![]() Piante rare (o che fingono di esserlo) Numerose sono anche le piante dedicate a Schiede, dei due il vero botanico, sebbene raccogliessero insieme e Deppe fosse l'inizatore e l'anima della ditta. Lo ricordano nell'eponimo circa una sessantina di specie, numerose delle quali sono orchidee che Schiede e Deppe contribuirono a far conoscere in Europa agli albori dell'interesse per le orchidee tropicali, e due generi: Schiedea e Schiedeella. Il primo è in un certo senso una dedica di augurio e speranza: Schlechtendal e Chamisso glielo dedicarono nel 1826, dunque prima della partenza per il Messico, come auspicio di raccogliere nei suoi futuri viaggi una messe fecondissima delle piante più rare. Per l'occasione Chamisso scelse una delle piante raccolte da lui stesso alle Hawaii durante il suo giro intorno al mondo, Schiedea ligustrina. Sono infatti endemiche di quell'arcipelago le 35 specie di questo genere della famiglia Dianthaceae. Erbacee o arbustive, sono spesso endemiche di una sola isola, e non di rado presenti in popolazioni limitatissime; non poche rischiano di fare la stessa fine di Deppea splendens ed essendo più modeste e meno vistose, non possono neppure sperare che la loro bellezza venga a salvarle. A minacciarle sono la restrizione dell'ambiente naturale e il cambiamento climatico. Schiedeella (famiglia Orchidaceae) fu dedicata a Schiede molti anni dopo la sua morte da Schlechter, a partire da otto orchidee diffuse nelle steppe aride d'altura in Messico e Guatemala, alcune delle quali furono segnalate proprio da Schiede. Oggi al genere sono assegnate una ventina di specie, diffuse dall'Arizona e dal Texas al centro America passando per i Caraibi. Sono piccole orchidee terrestri erbacee, modeste nelle dimensioni come nella foritura. L'unica specie statunitense Schiedeella arizonica, classificata come vunerabile, è stata considerata rara finché i ricercatori si sono resi conto che in realtà è relativamente abbondante, ma è difficile da osservare perché si confonde nella vegetazione e ogni anno ne fiorisce solo dal 10% al 15%. E la fioritura stessa è tutt'altro che vistosa. A Bex i Thomas non erano i soli a raccogliere piante e a commercializzare campioni d'erbario e semi di piante alpine. A far loro concorrenza, negli ultimissimi anni del Settecento e nei primi due decenni dell'Ottocento, c'era il farmacista di origini tedesche Johann Christoph Schleicher, che fu il primo ad avere l'idea di pubblicizzare il suo commercio prima con annunci in riviste scientifiche, poi con un catalogo che comprendeva circa 2000 piante e giunse a quattro edizioni. Pubblicò anche a più riprese cataloghi specifici per le crittogame. Per qualche anno ottenne un notevole successo, come testimonia la presenza dei suoi campioni negli erbari di moltissime istituzioni e di qualche pianta nata dai suoi semi nei cataloghi dei vivai inglesi. Poi si fecero sentire l'età e la concorrenza del molto più giovane e aguerrito Emmanuel Thomas, tanto che fu costretto a vendere il suo erbario e terminò i suoi giorni in miseria. Oltre all'eponimo di diverse specie, lo ricorda il genere asiatico Schleichera (Sapindaceae). ![]() Campioni d'erbario e semi a modico prezzo Intorno al 1790, si stabilì a Bex nel Vaud un giovane di origine tedesca, Johann Christoph Schleicher (1768/70-1834), che nella nuova patria si sarebbe fatto chiamare anche Jean Charles. Talvolta viene definito dottore, ma era piuttosto farmacista, e difficilmente, per la giovane età, avrà avuto una formazione completa. Dei suoi primi anni sappiamo pochissimo. Incerta è la stessa data di nascita, 1768 secondo alcune fonti, 1770 secondo altre. Nato a Hofgeismar nell'Assia da Anna Marie Sawitzky, ebbe inizialmente il cognome materno per poi assumere quello con cui è noto quando fu adottato da un certo Carl Schleicher. Nulla sappiamo della sua formazione; secondo varie fonti, incluso il data base biografico dell'Università di Gottinga, il botanico Heinrich Schräder sarebbe stato il suo padrino; la notizia è certamente priva di fondamento per banali ragioni anagrafiche: i due erano praticamente coetanei, essendo nato Schräder nel 1767. Al momento dell'arrivo di Schleicher, a Bex il ricordo (e il magistero) di Albrecht von Haller era tenuto vivo, oltre che dall'attività commerciale della famiglia Thomas, dai medici Bernard Jean François e Jean David Ricou. Bernard Jean François Ricou (1730-1798), medico cittadino, farmacista e capo chirurgo dell'ospedale, negli anni '50 era stato uno dei raccoglitori di von Haller, per il quale aveva erborizzato nelle valli di Saint-Nicolas e di Bagnes e nelle regioni del Sempione, del Gran San Bernardo, di Alesse e di Fully. Nel 1764, insieme al pastore Abram-Louis Decoppet, pubblicò nelle "Memorie della società economica" di Berna una lista di 128 piante della flora elvetica con i nomi in dialetto, francese e latino (Essai d'une collection de noms vulgaires ou patois des principales plantes de Suisse). Certamente si deve a lui la creazione del "bell'erbario" segnalato nel 1804 nella guida della Svizzera di Johann Gottfried Ebel, all'epoca di proprietà del figlio Jean David, anch'egli medico. Schleicher dovette legarsi strettamente alla famiglia Ricou (probabilmente lavorò per loro come aiuto farmacista e nel 1797 sposò Julie, figlia di Jean David) e fu probabilmente l'esempio delle raccolte di Bernard Jean François a spingerlo a sua volta a percorrere le montagne alla ricerca di piante rare. Il suo scopo era chiaramente commerciale: l'opera di von Haller aveva attirato l'attenzione dei botanici e degli amatori sulla flora elvetica e il mercato di campioni d'erbario era fiorente. Dotato di notevole spirito imprenditoriale, ispirato dall'esempio di raccoglitori di piante tedeschi, già nel 1794, nel numero 41 della rivista di Lipsia "Annalen der Botanik" Schleicher, sotto forma di lettera ai signori Le Royer e Tingry, proprietari di un'importante farmacia di Ginevra, offrì in vendita, al prezzo di 2 talleri francesi, una centuria di piante svizzere, assicurando la consegna in 4-6 settimane. Altre due centurie avrebbero fatto seguito nel numero successivo, pubblicato lo stesso anno. Nel 1796, ancora su "Annalen der Botanik" la snelle centurie si trasformarono in una più ambiziosa lista di quasi 700 "piante raccolte nel Vallese e nelle Alpi vicine nel 1795 da Schleicher", indicate con un nome binomiale, preceduto però (tranne un'appendice di una quarantina di specie scoperte successivamente alla pubblicazione di quest'opera) dal numero con cui compaiono in Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata di von Haller; non compaiono più né prezzi né indicazioni esplicite del fine commerciale, non perché Schleicher avesse cambiato intenzioni, ma probabilmente perché aveva ormai una clientela consolidata. Due anni dopo, sempre sulla stessa rivista, comparve una seconda lista sotto il titolo "Indice delle piante raccolte nel Vallese e nella Svizzera transalpina nel 1796 da C. Schleicher"; le modalità erano le stesse, ma la lista si era allungata, passando da 9 a 12 pagine, e, soprattutto, ora compariva a parte un elenco di 84 Musci & Algae (in realtà ci sono anche felci e numerosi licheni). Si trattava di un nuovo segmento di mercato che, come vedremo, sarebbe diventato una specialità del raccoglitore tedesco. Poi, nel 1800, il salto di qualità. Con quello che dovette essere un notevole impegno anche finanziario, Schleicher pubblicò a Bex quello che è considerato il primo catalogo commerciale di piante svizzero, Catalogus plantarum in Helvetia cis- et transalpina sponte nascentium; il sottotitolo precisa: "raccolte dall'autore con continui viaggi ad uso dei botanofili e verificate con sommo studio sulle descrizioni e le immagini degli autori più celebri". Nel volumetto di una settantina di pagine sono elencate circa 2000 piante, con il nome binomiale seguito dal nome d'autore e preceduto, nella maggior parte dei casi, dal rinvio numerico all'opera di Haller. Mentre le felci sono elencate nel catalogo generale, sono presentate nuovamente a parte alcune centinaia di Musci, Algae et Fungi. A chiudere il catalogo, una selezione di semi "raccolti e offerti da Schleicher"; come facevano anche i Thomas, anche i semi, come i campioni d'erbario, erano per lo più raccolti in natura. Anzi, da questo punto di vista sembra che Schleicher non andasse tanto per il sottile; secondo una nota pubblicata nel "Bulletin de l’Association pour la protection des plantes" del 1884, "distrusse [appositamente] diverse specie al solo scopo di aumentare il valore dei campioni che vendeva agli erbari, rendendole rare". Almeno alcune piante tuttavia dovevano essere coltivate nell'orto botanico che Schleicher aveva creato a Bévieux, non lontano dalla salina. Sempre secondo la guida di Ebel, meritava una visita; dopo aver parlato dell'erbario di Ricou, egli ci informa inoltre che "Suo genero M. Schleicher, abile erborizzatore che ha percorso gran parte delle montagne della Svizzera occidentale e meridionale, ha un consideravole magazzino di piante essiccate che vende per un luigi il centinaio. Ha scoperto una quantità di specie prima sconosciute in Svizzera". Per qualche anno il commercio di piante di Schleicher dovette andare a gonfie vele; numerosi suoi campioni sono presenti nei principali erbari europei; era in corrispondenza con molti importanti botanici (vendette molti esemplari a Balbis e ci è rimasta una lettera a Persoon); forniva semi al celebre vivaio londinese Loddiges che lo cita come fornitore di varie piante alpine offerte per la prima volta sul mercato britannico. L'ampliamento dell'offerta è testimaniato dalle successive edizioni del catalogo (1807, 1815, 1821, le ultime due con il titolo Catalogus hucusque absolutus omnium plantarum in Helvetia cis et transalpina sponte nascentium), e da una serie di cataloghi specifici, uno riservato ai salici (1807) e diversi alle crittogame (Plantae Cryptogamicae Helvetiae 1803-1807), parzialmente riprodotti nella rivista diretta da Schräder "Neues Journal für die Botanik", nella quale nel 1805 Schleicher pubblicò anche il resoconto di un viaggio nella Svizzera italiana. Nelle liste delle crittogame si precisa che esse erano state reccolte e essicate da Schleicher; la precisazione è significativa se considerimo che al raccoglitore tedesco si deve l'introduzione del sublimato corrosivo (cloruro di mercurio) per la trattazione dei campioni d'erbario. Tra riedizioni, supplementi e cataloghi specifici, le pubblicazioni si intensificarono tra il 1803 e il 1808, poi intorno al 1815 il successo dovette cominciare a declinare. Ne è spia la curiosa iniziativa che Schleicher prese nel 1816: una lotteria il cui premio era costituito da exsiccata. Probabilmente, incominciava a farsi sentire la concorrenza dei fratelli Thomas, che avevano pubblicato il loro primo catalogo intorno al 1806. Seguendo il loro esempio, nel catalogo del 1815, Schleicher aggiunse all'offerta minerali e plantule di conifere; c'erano anche campioni di erbario di piante esotiche, provenienti da Francia meridionale, Italia e Ungheria, e prezzi differenziati: cento esemplari costavano 36 lire francesi per acquisti di meno di 200 campioni, 30 lire da 200 a meno di 400, solo 24 lire da 400 in su. Offriva inoltre erbari completi della flora Svizzera, collezioni di piante medicinali, i semi di "tutte le piante che si coltivano o si possono coltivare in giardino" al costo di 24 lire il centinaio, piante a radice nuda pronte da piantare a 6 soldi l'una quelle erbacee, 9 soldi quelle arbustive e arboree. L'offerta non finiva qui. Leggiamo infatti: "Quest'anno e i seguenti, se Dio vorrà, a casa mia nel villaggio subalpino di Bex, darò lezioni di botanica - un corso completo di questa scienza - ai giovani botanici che me ne faranno richiesta. Quando il tempo lo permetterà, accompagnerò gli allievi in escursioni botaniche, non solo perché vedano e raccolgano le piante nel loro luogo natale, ma anche perché osservino con me le caratteristiche della flora d'altitudine. Mostrerò loro il metodo per essiccare le piante durante il viaggio stesso, in modo che conservate nel modo più perfetto possano ornare l'erbario". Lezioni in lingua francese e prezzi da concordare. Sei anni dopo, nella quarta e ultima edizione, escursioni botaniche e lezioni private non ci sono più (ora Schleicher era sulla cinquantina, e probabilmente non se la sentiva più). Scompaiono anche i minerali, mentre rimangono inalterati prezzi e offerta di exisiccata, erbari completi, semi e piante vive. Compare invece una nuova postilla che ci informa su cosa coltivasse Schleicher nel suo giardino botanico: "Oltre alle piante svizzere, coltivo un grande numero di sassifraghe esotiche, indicate in una speciale appendice in calce al catalogo. In questo giardino spuntano già diverse specie dei generi Aconithum, Delphinium, Narcissus e Allium di cui gli amanti di questi generi possono trovare presso di me un catalogo annuale, sia delle specie che possiedo sia di una moltitudine di piante esotiche che giungono per scambi con gli amici". Non abbiamo traccia di questi cataloghi annuali (erano forse manoscritti? o non furono mai realizzati?). In ogni caso, gli anni felici erano orami alle spalle. Vecchio e malato, Schleicher non poteva più salire in montagna e per sopravvivere dovette smantellare il suo prezioso erbario personale. Contrasse molti debiti; tra i suoi creditori c'era anche Emmanuel Thomas, al quale fu costretto a cedere, come pagamento, tutte le crittogame dell'erbario e diversi generi di fanerogame. Nel 1832 si rivolse al Consiglio di Stato per mettere in vendita quanto rimaneva: "Dal momento che la mia età e la mia salute non mi consentono più di salire in montagna e di continuare il mio commercio di piante, mi vedo costretto a vendere la mia biblioteca e il mio erbario per vivere". Le autorità incaricarono della perizia il direttore delle saline Jean de Charpentier, che provvide con l'assistenza dell'amico Emmanuel Thomas; nella sua relazione, emerge che l'erbario delle piante straniere (circa 10.000) "un tempo veramente magnifico, ha considerevolmente perso valore perché ne sono state tolte le specie più rare e interi generi"; per contro, il lotto di 4073 specie e varietà della flora svizzera "era ed è ancora unico nel suo genre, perché è senza discussione la collezioni più completa e curata della Svizzera. Vi si trovano non solo le piante selvatiche, ma anche le variazioni che subiscono in coltivazione". La vendita andò in porto e l'erbario delle fanerogame fu acquistato dal Museo di scienze naturali di Losanna. Schleicher investì una parte del ricavato per riscattare gli esemplari che aveva dovuto cedere a Emmanuel Thomas. Morì due anni dopo, nel 1834; nel 1837 gli eredi vendettero allo stesso museo l'erbario delle crittogame. La parte più preziosa di questa collezione è costituita dai licheni; nella proposta d'acquista dei conservatori del museo leggiamo: "Questa collezione, composta da più di 1060 campioni, la maggior parte su pietra o legno, è preziosa da ogni punto di vista [...]. Ha grande valore agli occhi dei botanici perché i campioni sono stati determinati con cura e perché è il frutto del lavoro di molti anni ed ha potuto essere formata solo a prezzo di pene, cure e spese". ![]() Dalla Svizzera all'Asia sud-orientale Il significativo ruolo per la conoscenza della flora elvetica di questo farmacista divenuto cacciatore e commerciante di piante alpine è testimoniato dalla sua notevole presenza nella nomenclatura botanica. In primo luogo, anche se i suoi cataloghi sono meri elenchi, grazie al riferimento numerico alla flora di Haller (che, lo ricordo, usava nomi polinomiali, quindi non validi) ha introdotto alcuni nomi validi, come Hieracium canescens e Cnicus nudiflorus. Più numerose le denominazioni risalenti a lui ma introdotte attraverso altri autori che lo conobbero, erborizzarono con lui o furono sui clienti, come Campanula excisa introdotto da Murith, Phyteuma umile, Pedicularis ascendens e Festuca valesiaca introdotti da Gaudin, Lotus alpinus introdotto da Ramond. Una ventina di taxa portano in suo onore gli epiteti schleicheri e schleicherianus; si tratta di specie delle Alpi elvetiche per lo più presenti nei suoi cataloghi o nel suo erbario, ma in qualche caso anche da lui introdotte nei giardini britannici attraverso i vivai che acquistavano i suoi semi. Quattro sono tuttora validi: Alpagrostis schleicheri, Erigeron schleicheri, Fumaria schleicheri, Rubus schleicheri. Nel 1806 Willdenow, direttore di uno degli orti botanici cui forniva campioni e sementi, quello di Berlino, gli dedicò il genere Schleichera, purtroppo senza esplicitare la motivazione; si limitò infatti a scrivere "Ho nominato questo genere in memoria del celebre Schleicher, svizzero". Con questo genere monotipico della famiglia Sapindaceae ci allontaniamo dalle Alpi svizzere per spostarci sulle pendici dell'Himalaya, sull'altopiano del Deccan e nelle foreste del sudest asiatico. Il suo unico rappresentante S. oleosa è infatti un albero tropicale presente soprattutto nelle aree aride e aperte del subcontinente indiano, di Ceylon, della Thailandia e dell'Indonesia. L'epiteto è dovuto all'alto contenuto di olio dei suoi semi; quest'ultimo, noto come olio di kusum, dal nome più comune della pianta in India, viene utilizzato per la cura dei capelli, ma anche come combustibile, in cucina e come unguento medicinale. Non è raro che un genere celebrativo onori allo stesso tempo due persone: un padre e un figlio, come Tradescantia per i due John Tradescant, due fratelli come Bauhinia per Jean e Gaspard Bauhin, magari due ricercatori che hanno collaborato, come Whitesloanea per gli specialisti di Cactaceae A. C. White e B. L. Sloane. Tuttavia è certo eccezionale il caso del genere Thomasia che celebra ben cinque persone, ovvero tre generazioni della stessa famiglia, quella dei raccoglitori e commercianti di piante svizzeri Thomas. A inaugurare la serie è a metà Settecento Pierre, guida e raccoglitore di Albrecht von Haller; quindi suo figlio Abraham, che ne prosegue l'attività e collabora con molti botanici affascinati dalle piante alpine; infine i suoi tre figli Philippe, esploratore della flora sardo-corsa, Louis, grande raccoglitore della flora calabra e collaboratore di Tenore, e Emmanuel, che trasformò la raccolta di piante e semi in un'impresa commerciale di successo. Tutti insieme scrissero una pagina importante della scoperta delle piante svizzere (ma anche italiane). I fondatori: Pierre e Abraham Nel 1754 il grande scienziato Albrecht von Haller venne nominato sovrintendente delle saline del distretto di Aigle nel Vaud, di proprietà del cantone di Berna. Egli prese molto sul serio l'incarico, benché gli garantisse entrate più che modeste: gli permetteva infatti di ritrovare l'amato paesaggio delle Alpi, alle quali in gioventù aveva dedicato un celebre poema, e di riprendere le ricerche sulla flora svizzera, in vista della seconda edizione ampliata della sua Enumeratio metodica stirpium Helvetiae indigenarum (la prima edizione era uscita nel 1742). Dal 1758 al 1764 visse nel castello di Roche, come un po' pomposamente veniva chiamata la dimora del sovrintendente, vi traferì la sua immensa biblioteca, il suo studio e il suo laboratorio; finché l'età e la salute glielo permisero, percorreva regolarmente le foreste e le montagne del distretto, sia per assolvere le sue funzioni sia per raccogliere piante e studiarle dal vivo. A fargli da guida erano le guardie forestali dipendenti dalle saline, alle quali demandò la raccolta di piante, quando per lui si fece difficile salire in montagna, o, come si espresse poeticamente, "alzarsi come un uccello sulle altezze". Insegnò loro a raccogliere e seccare correttamente gli esemplari, a distinguere le piante rare, a osservare e annotare i luoghi di raccolta, le condizioni di crescita, gli habitat. Nella prefazione a Historia Stirpium Indigenarum Helvetiae Inchoata, Haller ricordò con gratitudine i nomi di alcuni di loro; tra tutti spiccano quelli di Pierre Thomas (1708-1781) e di suo figlio Abraham (1740-1824). Pierre era un montanaro di Frenières; abitava con la moglie Madeleine in uno chalet della frazione di Les Plans, situata a circa 1000 metri in una valle circondata da imponenti monti calcarei; dai documenti risulta che fu assunto ufficialmente come guardia forestale delle saline nel 1761, ma il suo incontro con Haller risale a diversi anni prima. Anche se la sua istruzione era quella modesta dell'abitante di un piccolo villaggio di montagna, era dotato di intelligenza naturale, di una grande capacità di osservazione ed era un camminatore instancabile; a cementare l'insolita amicizia tra questo montanaro taciturno e il patrizio bernese Haller, il comune amore per la montagna e le sue piante. Pierre dapprima lo accompagnò alla scoperta delle montagne che circondano Les Plains, poi percorse per lui alla ricerca di piante il Vallese, i Grigioni e si spinse fino alle Alpi italiane. Ecco l'itinerario di uno di questi viaggi: nel 1763, partito da Bex, Pierre attraverso il passo di Cheville che collega il Vaud con il Vallese raggiunse Zermatt, quindi passò in Valtournenche, rientrando attraverso il colle del Gran San Bernardo. Gli era compagno il figlio Abraham, che partecipava alle raccolte paterne fin da bambino; era così abile e sveglio che appena diciottenne fu inviato da Haller ad esplorare da solo l'area del Furka. L'opera di Haller aveva attirato l'attenzione dei botanici sulla flora delle montagne svizzere e il ritorno dello studioso a Berna (il suo incarico terminò nel 1764) non mise fine alle attività botaniche di Pierre ed Abraham, che anzi si traformarono in un piccolo commercio. I Thomas accompagnavano i visitatori come guide in spedizioni botaniche, raccoglievano e preparavano esemplari per i collezionisti; si deve probabilmente a Abraham la creazione di un piccolo orto botanico dove seminava piante alpine destinate soprattutto alla produzione di sementi e piante vendute a radice nuda. Nel 1775, per essere più vicini ai potenziali clienti, i Thomas trasferirono la loro abitazione a Fenalet, a metà strada tra i Plans e Bex. Pierre incominciava a sentire il peso dell'età; nel 1764 chiese alla direzione delle saline di essere affiancato come guardia forestale dal figlio, che nel 1779 gli subentrò. Due anni dopo Pierre moriva all'età di 73 anni. Grazie alle testimonianze dei diversi visitatori che nell'ultimo quarto del secolo frequentarono la casa di Fenalet, trasformata in un vero e proprio cenacolo di botanica da Abraham, conosciamo il figlio molto meglio del padre. Il giardiniere e botanico Thomas Blaikie (il creatore del parco di Bagatelle) che fu più volte ospite dei Thomas nel 1775, ha scritto di lui: "superava suo padre in intelligenza. Era dotato di un'agilità, di un vigore e di una memoria stupefacenti, accompagnati da un vero genio per l'osservazione". Un altro habitué, il poeta tedesco Matthison, afferma: "quest'uomo conosce a memoria e in modo esatto la flora alpina [...]. Mostrategli una qualsiasi montagna del Vallese o del distretto di Aigle: vi indicherà in modo infallibile le piante di ogni zona, il mese di fioritura, se all'ombra o al sole, nelle paludi o vicino a una sorgente, nel bosco o tra le rocce". Furono molti i visitatori che approfittarono della sua sapienza (e della sua agilità: sempre secondo Matthison, già vecchio nelle arrampicate ancora sfidava camosci e stambecchi)le della generosa ospitalità di sua moglie Marie-Susanne-Catherine Echenard - una grande appassionata di mitologia, sempre con un libro in mano mentre si occupava della cucina e delle faccende di casa: il botanico ginevrino Jacques Roux, il naturalista di Nechâtel Louis Perrot, il pastore e botanico Gaudin, autore di Flora helvetica, l'allievo di questi Jacques Étienne Gay, il canonico Laurent-Joseph Murith, autore del primo libro dedicato alla flora del Vallese, Le guide du botaniste qui voyage dans le Valais, che molto deve all'assistenza di Abraham Thomas e di suo figlio Louis, costante compagno di viaggio del canonico. Murith collezionava anche minerali, conchiglie e fossili, che probabilmente su suo suggerimento andarono ad aggiungersi agli oggetti naturali raccolti e forniti dai Thomas. In quarant'anni di attività, Abraham fece progredire la conoscenza delle piante alpine, percorrendo e ripercorrendo le valli di Saas, Saint-Nicolas, Bagnes, Anniviers, Hérens e Binn, le pendici del Gran San Bernardo, del Cervino, del Monte Moro e i passi del Sempione, del Gries, del Furka, del Grimsel, della Gemmi, e molti altri. Stimato dai concittadini, nel 1781 fu nominato "giustiziere e consigliere di Bex per la competenza di Fenalet". Intorno al 1802, la famiglia si spostò ai Dévens, dove Abraham fece costruire per la comodità dei suoi ospiti la "casa rossa", attorno alla quale trasferì il suo orto botanico alpino. Una sola cosa mancava a quest'uomo ammirevole: il senso degli affari. Era troppo generoso con i suoi clienti, che considerava più che tali amici ed ospiti, per arricchirsi con il commercio di exsiccata, sementi, minerali, conchiglie, e di un "tè svizzero" la cui formula gli era stata insegnata da von Haller in persona. Mme la justicière trattava fin troppo generosamente i visitatori che, tra una scalata e l'altra, erano ospiti dello chalet di Fenalet e il marito non di rado inseriva una pianta rara, a titolo gratuito, nel plico di un invio. Intanto la famiglia cresceva: la coppia Thomas ebbe sette figli, due femmine e cinque maschi, ma solo tre raggiunsero l'età adulta: in ordine di età, Philippe, Louis e Emmanuel. . ![]() I figli: Philippe, Louis e Emmanuel Come il nonno e il padre, i tre ragazzi Thomas avevano la botanica nel DNA. Fin da piccoli furono abituati a percorrere le montagne e ad imparare a distinguere le piante direttamente dal libro della natura, ma contrariamente a loro poterono anche viaggiare e godere di un'educazione formale. Quello che conosciamo meno è il maggiore dei tre sopravvissuti, Philippe (Pierre-Philippe-Louis, 1782-1831), al quale finora non è stato dedicato alcun studio approfondito, nonostante la sua importanza tra i primi esploratori della flora corso-sarda. Sappiamo che studiò medicina e che, oltre che in Svizzera e sulle Alpi, fece raccolte nei Pirenei. Nel 1814 fu la guida di William Jackson Hooker in un ampio viaggio in Svizzera. In una lettera di diversi anni dopo a Henry Fox Talbot, Hooker lo ricorda così: "Il Thomas che mi accompagnò in larghissima parte della Svizzera era Philippe; lo considero un compagno eccellente e onorevole, profondo conoscitore della botanica dell'intero paese [...]. Thomas intendeva visitare alcune isole del Mediterraneo". Qualche anno dopo avrebbe realizzato il suo sogno trasferendosi come medico a Cagliari, dove giunse tra il 1823 e il 1825. Presto entrò in contatto con Moris, di cui divenne uno dei più assidui collaboratori; in Flora sardoa, è citato quasi cento volte per esemplari raccolti sia in Sardegna, sia (sono i più numerosi) in Corsica. Doveva spedire regolarmente le sue raccolte al fratello Emmanuel che vendette piante sarde a musei, orti botanici e collezionisti. Ne troviamo un elenco nei due cataloghi (Catalogue des plantes de Sardaigne, qui se vendent chez Emmanuel Thomas, à Bex), pubblicati da Emmanuel rispettivamente nel 1837 e nel 1841. All'epoca però Philippe era già morto; morì infatti a Cagliari nel 1831. Un ruolo ancora più importante di quello di Philippe per la flora sardo-corsa ebbe Louis (Charles-François-Louis-Alexandre, 1784-1823) per la flora del regno di Napoli. Anch'egli naturalmente ricevette l'addestramento paterno en plein air e fu frequente compagno di escursioni del canonico Murith, che fu dunque il suo secondo maestro. Aveva ereditato dal nonno e dal padre l'occhio clinico e ancora ragazzo scoprì nuove specie. Ma fece anche buoni studi: studiò latino e scienze naturali, quindi si spostò a Parigi e al Jardin des Plantes seguì le lezioni di botanica di Desfontaines e quelle di mineralogia di Haüy. Quindi viaggiò nel sud della Francia, nella Repubblica di Genova, in Piemonte e in Lombardia, dove frequentò per qualche tempo l'università di Pavia. Ritornato in patria, fu nominato guardia forestale del distretto di Aigle. Probabilmente progettava di rimanere in Svizzera e di rilanciare su basi economicamente più solide l'attività di famiglia. Seguendo l'esempio di un vicino e concorrente, J.-C. Schleicher, un farmacista di origine tedesca considerato l'inventore del primo catalogo commerciale di piante, Louis predispose e fece stampare il primo Catalogue de plantes suisses, pubblicato intorno al 1806. Nell'avvertenza ai lettori, Louis scrive: «Sull'esempio di mio padre, al quale l'immortale Haller ispirò il gusto per la botanica, consacrandone il nome nei suoi scritti, anch'io, fin dalla più tenera giovinezza ho dedicato gran parte del mio tempo a percorrere diverse parti della Svizzera, e soprattutto le Alpi, nelle cui vicinanze abito. Avendo così formato una numerosa collezione di piante, di cui posso fornire agli amatori esemplari ben preparati, così come semi e radici di specie rare che io coltivo a tale scopo in un giardino, ho ritenuto di dover porre sotto gli occhi del pubblico il catalogo di queste piante. Avrei potuto aumentarlo con un gran numero di specie comuni che non mi è sembrato necessario nominare; tuttavia coloro che desiderano procurasi un erbario completo della Svizzera lo troveranno presso di me». Forse alla fine del 1806 o all'inizio del 1807, il giovane botanico slesiano Berger, in viaggio per le Calabrie da poco riconquistate dai francesi, di passaggio in Svizzera propose a Louis di unirsi a lui nell'esplorazione della flora di quella regione ancora tutta da scoprire. Egli accettò e i due, muniti di salvacondotti, poterono fare ampie raccolte, che poi affidarono per la pubblicazione a Michele Tenore. Sulla strada del ritorno, erborizzarono in Puglia, quindi rientrarono a Bex dove si divisero. Ma Louis non rimase a lungo in patria; egli soffriva di una grave forma di asma, aggravata dal rigido clima alpino. In Italia era entrato in contatto con Louis Reynier, un funzionario originario del Vaud, appassionato di botanica; nel 1808 Murat lo nominò direttore delle poste e responsabile delle foreste. In questa veste, egli offrì a Louis Thomas l'incarico di ispettore forestale delle due Calabrie. Egli assolse così bene questa funzione che il governo borbonico gli mantenne l'incarico, aggiungendovi anzi la direzione di una salina. Con le sue raccolte della flora calabra, diede un prezioso e imponente contributo alla Flora napoletana di Tenore che così scrive di lui "diligentissimo e dotto botanico, corrispondente al Real Giardino per le Calabrie", arrivando addirittura a definirlo "divus Thomas". Anche se non pubblicò nulla, il suo contributo è ricordato dalle numerose specie da lui scoperte e dedicatogli da Tenore: Crocus thomasii, Sison thomasii, Cerastium thomasii, Quercus thomasii, Ranunculus thomasii, Campanula thomasii. Purtroppo anche in Calabria la sua asma andò progressivamente aggravandosi e Louis Thomas morì nel 1823, a soli 39 anni. A portare avanti gli affari di famiglia rimaneva il solo Emmanuel (Abraham Louis Emmanuel 1788-1859). Aveva ricevuto la stessa educazione dei fratelli e ne condivideva la competenza botanica e l'occhio del raccoglitore, ma in più aveva il senso degli affari. Fu lui a trasformare il piccolo commercio avviato dal nonno e dal padre in un'impresa commerciale di risonanza europea. Come il nonno Pierre aveva scoperto la botanica grazie a Haller, così Emmanuel trovò un amico in un grande studioso, Jean de Charpentier. Nominato direttore delle saline nel 1813, egli le rilanciò, sostituendo l'estrazione diretta del salgemma allo sfutttamento delle acque delle sorgenti salate che andavano progressivamente esaurendosi. Appena arrivato a Dévens, in attesa che la direzione delle saline gli costruisse una casa, Charpentier si stabilì al primo piano della casa rossa, mentre i Thomas abitavano al piano terra. Tra Emmanuel Thomas e Charpentier si stabilì una grande amicizia e uno scambio scientifico, che andava nelle due direzioni: grazie a Charpentier, Thomas divenne un eccellente conoscitore dei minerali della Svizzera, mentre a sua volta incoraggiò Charpentier a creare un erbario e lo assisté nella stesura della sua unica opera di botanica (Catalogue des plantes qui croissent spontanément dans les districts d'Aigle). Ma soprattutto, la presenza di Charpentier (divenuto una celebrità europea per i suoi studi sui ghiacciai) attirò ai Dévens molti rinomati naturalisti. La casa rossa e la casa del direttore delle saline sorgevano l'una vicina all'altra e le piante - alpine ma anche esotiche - passavano da un giardino all'altro, così come i visitatori. Tra di loro, per citare solo qualche nome più familiare agli amanti della botanica, troviamo Alphonse de Candolle, Adrien de Jussieu, Jean Gaudin, Jean Muret, creatore del più completo erbario della flora svizzera; tra i geologhi, Charles Lardy, Elie de Beaumont, Leopold von Buch, Louis Agassiz. L'attività commerciale di Emmanuel è testimoniata dai tre cataloghi (Catalogue des plantes suisses qui se vendent chez Emmanuel Thomas à Bex) che egli pubblicò tra il 1818 e il 1841, cui vanno aggiunti i due già citati cataloghi di piante sarde e due supplementi, usciti rispettivamente nel 1842 e nel 1853. Il più ricco è quello del 1837 che offre più di 600 generi e quasi 2000 specie. Il grosso è costituito da gimnosperme e angiosperme, ma c'è anche una discreta scelta di felci e qualche equiseto e licopodio. Il catalogo del 1841 è invece interamente dedicato alle crittogame e ai licheni, per reggere la concorrenza di Scleicher che era uno specialista di muschi e licheni. Per mettere insieme le collezioni, Emmanuel Thomas continuava a raccogliere in natura, viaggiava molto raccogliendo anche in Piemonte, nelle Alpi italiane, in Austria; per curare le relazioni con la sua clientela internazionale (musei, orti botanici, studiosi, grandi collezionisti) fu anche a Vienna, Parigi, Londra, dove visitò l'esposizione universale. Una parte dello stock di piante vive e semi, probabilmente minoritaria, era coltivata nel giardino-vivaio di Dévens, di cui però non conosciamo l'estensione (dunque neppure le capacità produttive). I prezzi erano modici e le consegne relativamente rapide. Una delle specialità erano le conifere. Nel 1807 già Abraham Thomas pubblicò una memoria sull'utilità di pini e abeti per il rimboschimento. Tra il 1835 e il 1872, la famiglia Thomas consegnò 250.000 pianticelle e più di quattro tonnellate di semi di larice, abete rosso e bianco, pino cembro e altre conifere. Il cliente più importante era il cantone del Vaud, ma molte piante venivano inviate in altre parti della Svizzera, in Francia o addirittura in Inghilterra. Il commercio delle conifere acquistò sempre più importanza mano a mano che ne perdeva quello di exsiccata e piante rare. Dopo la morte di Emmanuel nel 1859, la ditta continuò sotto la direzione del figlio Jean-Louis (1824-1886) e poi dei suoi discendenti, ma i tempi d'oro erano terminati. Gli erbari dei musei e dei grandi orti botanici possedevano già esemplari anche delle piante svizzere più rare e tenere un erbario non era più un hobby alla moda, la concorrenza era sempre più forte e nessuno cercava più guide alpine esperte di piante. Il cliente principale divenne il vivaio Vilmorin, al quale i Thomas inviavano piante vive e sementi. Sempre più in crisi, resistettero fino al 1900, quando la ditta cessò di esistere. Ai Dévens si possono ancora vedere la casa rossa e la casa grigia, che Emmanuel fece costruire intorno al 1825, poco dopo la nascita dell'unico figlio maschio Jean-Louis. L'orto botanico di Abraham e Emmanuel è tornato ad essere un semplice orto. Tuttavia nel 1891 per iniziativa della città di Bex il botanico Ernest Wilczek, direttore dell'orto botanico di Losanna, creò un orto botanico alpino nella Valle di Nant, al di sopra dei Plans-sur-Bex, dove era iniziata l'epopea dei Thomas. Battezzato in loro onore La Thomasia, ospita un arboreto e una collezione di quasi 3000 piante alpine provenienti da tutto il mondo. ![]() Un genere australiano per i botanici delle Alpi Abbiamo già visto che Tenore dedicò al "divus Thomas" diverse specie. Lo stesso onore è toccato ai fratelli Philippe, ricordato da specie della flora corsa come Armeria thomasii (oggi A. leucocephala) o sarda come Olopitum thomasii, ed Emmanuel, ricordato da una quindicina di specie alpine. Fu però un antico ospite della famiglia, il botanico Jacques Étienne Gay, nato nel Vaud ma fattosi parigino, a celebrare allo stesso tempo tre generazioni della famiglia con la dedica cumulativa del genere Thomasia: "Ho consacrato questo genere agli svizzeri Pierre e Abraham Thomas, contemporaei di Haller, nonché ai fratelli Philippe, Louis e Emmanuel Thomas, figli di Abraham e nipoti di Pierre, che, presi da fervido amore per la botanica, per un sessantennio non cessarono di percorrere le montagne e di conquistare piante per l'uso dei botanofili, che infine, grazie allo loro operosità, diedero un catalogo della flora svizzera tale che oggi essa è considerata tra le più ricche della superficie terrestre". A questi instancabili raccoglitori della flora elvetica però Gay non dedicò un genere svizzero e neppure alpino: le circa trenta specie del genere Thomasia (famiglia Malvaceae, in precedenza Sterculiaceae) sono infatti endemiche dell'Australia sud-occidentale, eccetto T. petalocalyx che è nativa del Victoria nell'Australia sud-orientale. Vivono in diversi ambienti, che vanno dalle dune sabbiose e gli affioramenti rocciosi, come T. sarotes, al sottobosco delle boscaglie come T. solanacea, alle brughiere come T. purpurea, alle foreste di eucalipti come T. petalocalyx. Sono arbusti da nani a medi, spesso con foglie molto decorative e fiori dai colori pastello resi spettacolari non dai petali, assenti o piccoli e non appariscenti, ma dai sepali che formano corolle a coppa o a campana piatta che ricordano un po' quelle dei Solanum. Tra le più notevoli, T. purpurea che al momento della fioritura si ricopre letteralmente di racemi color malva; T. quercifolia, con foglie molto attraenti e fiori rosa-porpora; T. pygmaea, che forma cespugli bassi e compatti ed è adatta anche alla coltivazione in contenitori. Molto apprezzate dal giardinaggio australiano, anche perché molte sono piante da sottobosco che ben si adattano agli angoli ombrosi, sono praticamente sconosciute in Europa. Alcune specie erano commercializzate nei cataloghi ottocenteschi e risulta che nel giardino Ricasoli sul Monte Argentario verso la fine del secolo si coltivasse, insieme a moltissimi altri arbusti australiani, anche T. solanacea. A parte qualche vivaio californiano, oggi non sembra siano commercializzate al di fuori dell'Australia. Nel quindicennio tra il 1798 e il 1812, lo scozzese James Niven fu un prolifico ed efficiente cacciatore di piante in Sudafrica. Prima al servizio di George Hibbert, poi di un consorzio che includeva il vivaio Lee e Kennedy e l'imperatrice Giuseppina, raccolse migliaia di semi e esemplari di erbario, introducendo nei giardini europei molte nuove specie, in particolare Ericaceae e Proteaceae. Nella realtà fu un giardiniere, poi un raccoglitore, infine forse un commerciante morto troppo presto; nel mito, chissà perché, la sua scarna biografia si colora di particolari da fantasiosi a melodrammatici. A ricordarlo il reale e bellissimo genere Nivenia, endemico della provincia del Capo occidentale, uno dei tre arbustivi della famiglia Iridaceae. ![]() Un raccoglitore prolifico e coscienzioso Nel fascicolo del 1827 della rivista di orticultura edita da Longman e curata da Loudon The Gardener's Magazine i lettori poterono leggere il necrologio di Mr. James Niven, morto il 9 gennaio di quell'anno, corredato da una breve biografia. Ancora oggi è il resoconto più ampio della vita di questo giardiniere e cacciatore di piante; a firmarlo è J. M., ovvero James Main, che doveva aver conosciuto Niven di persona, visto che entrambi per qualche tempo avevano lavorato per il ricco collezionista di piante George Hibbert. Eppure, come vedremo meglio più avanti, le notizie fornite da Main sono da prendere con beneficio d'inventario. Figlio di un tessitore di Penicuik, non lontano da Edimburgo, James Niven (1776-1827) dovette ricevere la relativamente accurata educazione garantita dalle scuole pubbliche scozzesi; poi probabilmente lavorò come ragazzo giardiniere presso vari giardini, finché diciannovenne completò il suo apprendistato presso l'orto botanico di Edimburgo, dove rimase per circa un anno. Nel 1796 si trasferì a Londra dove fu assunto come giardiniere a Syon House, la splendida proprietà del duca di Northumberland, sotto il capo giardiniere Thomas Hoy. In qualche modo dovette attirare l'attenzione di George Hibbert che decise di inviarlo in Sudafrica a caccia di piante. Secondo Nelson e Rourle che, in assenza di un diario di campo, hanno cercato di ricostruire i suoi movimenti sulla base delle sue note d'erbario, Niven dovette arrivare al Capo alla fine del 1798 o all'inizio del 1799, dato che il suo primo esemplare datato risale all'agosto 1799. Secondo Main, presto si impadronì tanto dell'olandese quanto del khoi, tanto da poter servire come interprete e guida alle truppe del generale Craig. E' il primo mito che troviamo in questa storia: almeno un anno prima che Niven vi arrivasse, Craig, dopo aver brillantemente diretto l'occupazione inglese della Colonia del Capo, sottratta alla Repubblica batava, ed esserne stato per due anni governatore, era stato destinato al Bengala e aveva lasciato il Sudafrica per Madras. E' molto probabile (anzi certo secondo Nelson e Rourle) che al Capo Niven abbia invece incontrato un altro botanico scozzese, William Roxburgh, che vi era arrivato da Calcutta nel 1798 insieme a suo figlio John; mentre il padre lasciò il paese alla fine del 1799, il figlio vi rimase fino al 1804 a raccogliere esemplari per l'orto botanico di Calcutta. Nelson e Rourle ipotizzano che, essendo conterranei e avendo interessi comuni, Niven e i Roxburgh abbiano botanizzato insieme, anche se è difficile da dimostrare, perché, al contrario di quelli di Niven, per gli esemplari dei due Roxburgh la località di raccolta è spesso indicata in modo molto generico; una prova indiretta è il fatto è che nel suo erbario Niven usò alcuni binomiali inediti di Roxburgh, Nel 1803, in seguito al trattato di Amiens, la colonia del Capo fu restituita alla Repubblica batava; Niven, che ora non poteva più muoversi liberamente nel paese, rientrò in Inghilterra, ma, sempre stando a Main, dopo solo tre mesi tornò in Sudafrica, al servizio di un consorzio che comprendeva il vivaio Lee & Kennedy e l'imperatrice Giuseppina. Anche questa notizia è imprecisa; secondo Nelson e Rourle, egli invece dovette tornare in Sudafrica nel 1805. Infatti per poter raccogliere nel paese tornato sotto controllo olandese era necessario un permesso; quest'ultimo venne rilasciato a Niven in data 3 aprile 1805, limitatamente alle piccole aree di Riebeek-Kaastel e Roodezand. Tuttavia già nel gennaio 1806 i britannici rioccuparono la colonia, e dal quel momento Niven potè muoversi liberamente; vi sarebbe rimasto per altri sei anni, fino al 1812. Durante i due soggiorni sudafricani, Niven esplorò gran parte della colonia del Capo; a nord si spinse fino al Kamiesberg, il massiccio più elevato del Namaqualand, dove raccolse Vexatorella alpina (pubblicata da Knight come Protea alpina); a est percorse le catene che corrono lungo la costa (monti di Riviersonderend, Langeberg e Outeniqua) e ancora più a est, attraverso la valle Langekloof, dove raccolse Protea tenax, raggiunse Kromme River e Gamtoos River, il punto più orientale dei suoi viaggi, Tuttavia raccolse la maggior parte degli esemplari in un raggio di 150 km da Città del Capo; i suoi luoghi di raccolta preferiti risultano i distretti di Tulbagh, le catene Drakenstein e Hottentots Holland e il monte di Worcester. I suoi committenti desideravano soprattutto semi e bulbi, Ciò significava esplorare ciascuna area almeno due volte: la prima durante la stagione di fioritura per identificare le specie e raccogliere esemplari d'erbario, la seconda qualche mese più tardi per raccogliere i semi. Per ritrovare con facilità le piante e identificarle con sicurezza, Niven creò per se stesso un erbario di campo: su ogni foglio di pesante carta grigiastra incollava più esemplari (mediamente tre) corredati da precise note sul luogo di raccolta, la stagione di fioritura, l'habitat, le caratteristiche ecologiche, talvolta il tipo di suolo. Le raccolte di Niven sono particolarmente importanti per due famiglie largamente presenti in Sudafrica, le Proteaceae e le Ericaceae. Grazie alle sue raccolte delle prime, George Hibbert ne poté vantare la più ampia collezione europea, Knight specializzarsi nella loro coltivazione, Salisbury e Brown pubblicare decine di nuove specie. Una delle più rare è Leucospermum grandiflorum, che nel 1799 fu raccolta sia da Roxburgh sia da Niven. Secondo Salisbury, che la descrisse in Paradisus Londinensis nel 1808, i semi raccolti da Niven furono seminati nella serra di Hibbert dove prosperarono. Anche per le Ericaceae (molte furono pubblicate da Henry Cranke Andrews nei sei volumi di The Heathery, le raccolte di Niven hanno grande importanza storica. Secondo Aiton, le specie di Erica introdotte da Niven in Gran Bretagna sono 31, un risultato notevole se si pensa che Masson nel corso dei suoi tre viaggi ne aveva già introdotte 86. E se i numeri sono inferiori, in compenso i dati relativi ai luoghi di raccolta e agli habitat sono di gran lunga più accurati rispetto a quelli del suo predecessore. Secondo la testimonianza del curatore dell'orto botanico di Edimburgo William McNab, che ebbe con lui molte conversazioni sull'argomento dopo il suo ritorno in Scozia, "il mio molto compianto amico James Niven certamente sapeva sulla natura e sulla coltivazione di questo genere più di ogni altro uomo che io abbia mai incontrato". ![]() Miti e affabulazioni Dopo il suo ritorno in patria, sempre stando a Main, Niven "abbandonò le sue attività botaniche e orticole" e ritornò a Penicuik, dove aprì un'attività (non sappiamo di che genere) insieme a un fratello. Nel 1817 sposò Alison Abernethy (lo sposo aveva 40 anni, la sposa 26), da cui ebbe 5 figli; nel 1827, ad appena 50 anni morì. Main non manca di aggiungere un particolare melodrammatico: non appena la sua bara lasciò la casa, la vedova morì all'istante, lasciando cinque piccoli orfani. Documenti alla mano, è un altro mito: forse davvero per il dolore la donna ebbe un infarto o un ictus, ma morì e fu sepolta quattro settimane dopo il marito. La situazione dei bambini era comunque difficile, e i loro tutori furono costretti a vendere l'erbario; l'acquirente fu il già citato William McNab; passato al figlio John, capo giardiniere dell'orto botanico di Edimburgo, poi al nipote William Ramsay McNab, l'erbario finì a Dublino quando il suo ultimo possessore ottenne la cattedra di botanica al Collegio reale d'Irlanda. Alla sua morte precoce nel 1889, la vedova fu costretta a mettere in vendita la biblioteca, gli strumenti scientifici e l'erbario del marito, che comprendeva anche quello di Niven. In parte fu acquistato dal Museo nazionale irlandese (oggi è custodito all'erbario di Glasnevin), in parte dai Kew Gardens. Una serie di duplicati, forse in qualche modo acquisiti da Harvey, si trovano invece al Trinity College. L'erbario, già diviso, fu ulteriormente smembrato, e in parte rimase sconosciuto fino agli anni '70 del Novecento, quando venne in un certo senso "riscoperto" e studiato da un altro specialista di Proteaceae ed Ericacae, Ernest Charles Nelson dell'erbario dell'orto botanico di Glasnevin a Dublino, che si è anche incaricato di sfatare alcuni dei miti che hanno offuscato la vera storia di James Niven, Ne rimane uno, forse il più diffuso e tenace. Tra i personaggi più noti dell'orticultura irlandese troviamo Ninian Niven (1799-1879), che ridisegnò Phoenix Park, diresse per qualche anno l'orto botanico di Glasnevin, per poi diventare un affermato vivaista e un famoso architetto di giardini, nonché per diversi anni segretario della Royal Horticultural Society. Non è chiaro per quali ragioni, contro ogni evidenza, nel loro Biographical Index of British and Irish Botanists (1889) Boulger e Britten asserirono che Ninian Niven era figlio del nostro James Niven. Eppure Ninian Niven era nato a Kelvin Growe, presso Glasgow e suo padre, che si chiamava anche lui Ninian, era uno dei giardinieri di Keir House vicino a Stirling e non fu mai un cacciatore di piante. Senza contare che nel 1799 il nostro Niven aveva appena 22 anni ed era giusto arrivato in Sudafrica. I registri parrocchiali di Penicuik non lasciano dubbi: James Niven, come già sappiamo, si sposò quasi vent'anni dopo e nessuno dei suoi cinque figli era ovviamente Ninian Niven. Stranamente questa leggenda orticola è dura a morire: nel Dictonary of British Biography si legge: "suo padre, anche lui Ninian Niven, era un giardiniere di Keir House presso Stirling, e visitò due volte il Capo di Buona speranza raccogliendo piante per George Hibbert e l'imperatrice Giuseppina". Per concludere, un altro mito cinematografico. Nel notevole film Proteus, del regista canadese John Greyson, che racconta in modo romanzato la storia di due prigionieri giustiziati per sodomia in Sudafrica, compare un botanico scozzese chiamato Virgil Niven, ispirato a James Niven. A dispetto del fatto che la tragica vicenda sia avvenuta nel 1735, quarant'anni prima della sua nascita. ![]() Iridaceae arbustive con fiori color cielo Il contributo di James Niven alla botanica e ai giardini britannici, da lui arricchiti di tante specie notevoli, è riconosciuto tanto da William Aiton, quando da Salisbury e Robert Brown, per una volta concordi. Lo ricordano gli eponimi di non molte specie sudafricane (Acmadenia nivenii, Erica niveniana, Serruria nivenii) e un genere ugualmente sudafricano, Nivenia. Glielo dedicò Ventenat sulla base di una delle molte specie da lui raccolte in Sudafrica e approdate alla Malmaison; in Decas Generum Novorum (1808) il botanico francese scrive: “questa specie è stata fornita dall’egregio Kennedy; perciò l’ho nominata dallo scopritore J. Niven, giardiniere inglese” (d'accordo, era scozzese, ma errore più errore meno...). Rispetto a questa laconica dedica, è ben più eloquente quella di Robert Brown per un secondo genere Nivenia (ovviamente non valido per la regola della priorità); dopo aver spiegato in che cosa il nuovo genere differisce da Paranomus di Salisbury, egli infatti scrive: "L’ho dunque nominato in onore di Mr. James Niven, un osservatore intelligente e un raccoglitore instancabile, con il quale i botanici sono indebitati di molte nuove specie delle due estese famiglie sudafricane delle Ericaceae e delle Proteaceae”. Nivenia Vent. è un piccolo genere della famiglia Iriaceae; insieme a Klattia e Witsenia, è uno dei soli tre generi della famiglia (tutti endemici del Sudafrica) a essere veri e propri arbusti sempreverdi, con fusti legnosi che producono vegetazione secondaria. Raggruppati nella sottofamiglia Niveoinioideae, tutti insieme comprendono appena quindici specie, contro le 1600 dell'intera famiglia (900 nel solo Sudafrica). Il genere più vasto del gruppo è proprio Nivenia, con undici specie accettate. Hanno tutte fiori azzurri e sono arbusti di medie dimensioni, con l'eccezione di tre specie a cuscino che crescono in habitat rocciosi aridi di montagna: N. levynsiae nelle Betty Bay-Kleimond Mountains, N. concinna al Viljoen Pass e N. fruticosa nel Lagenberg. Quest'ultima, di habitus quasi erbaceo e con un'infiorescenza poco vistosa di appena due fiori, fu la prima specie ad essere raccolta e descritta, da Peter Thunberg che la assegnò al genere Ixia. All'estremo opposto troviamo la specie più nota, l'unica coltivata al di fuori del Sudafrica, N. corymbosa, che cresce a Bain's Kloof e nelle montagne circostanti: gli esemplari più vecchi possono avere rami con un diametro di 4-5 cm lunghi anche tre metri. L'infiorescenza è un grande corimbo di circa 120 fiori in diverse tonalità di blu, che attirano folle di impollinatori, in particolare l'ape Amegilla fallax, dotata di una lunga ligula che le permette di raggiungere il nettare posto alla base del lungo tubo florale. A metà tra questi due specie estreme, si colloca la bella N. stokoei, un arbusto dal portamento arrotondato, che in aree protette può raggiungere il metro e mezzo, ma in aree aperte rimane molto più basso. Ha strette foglie lanceolate disposte a ventaglio che tradiscono immediatamente l'appartenenza alla famiglia, e fiori blu purissimo. E' un endemismo della Riserva della Biosfera Kogelberg. Tutte endemiche del Capo occidentale, spesso di aree estremamente limitate, purtroppo diverse specie di Nivenia sono in pericolo per la restrizione del loro habitat e anche per le conseguenze del cambiamento climatico. Tutte le sue undici specie sono incluse nella lista rossa delle piante sudafricane, due sono classificate come vulnerabili e cinque come rare. Ancora negli anni '80 del Novecento, quando ormai era in pensione, era ben noto ai botanici che affluivano da ogni parte del mondo in Sudafrica per studiare la sua flora, che una visita da non perdere era quella alla piccola casa di Elsie Elisabeth Estrerhuyzen a Città del Capo. La sua competenza era tale da farla considerare un'enciclopedia vivente, mentre il suo contributo alla raccolta di nuove specie, soprattutto di alta montagna, l'aveva resa leggendaria: le è infatti accreditata la raccolta di ben 36.000 esemplari d'erbario. Eppure Elsie, come la chiamavano tutti, non era affatto una Indiana Jones della botanica in gonnella: era una piccola esile donna amante dei gatti e della montagna, che non guidava e si muoveva dappertutto in bicicletta; così modesta, che, una volta studiato a fondo un genere e, "colmati i vuoti" dell'erbario Bolus, dove lavorò per decenni, preferiva lasciare ad altri la pubblicazione. La ricordano due generi endemici delle montagne delle Provincie del Capo, che esplorò metodicamente per decenni: Esterhuysenia (Aizoaceae) e Trieenea (Scrophulariaceae). ![]() Raccogliere piante per "colmare i vuoti" Nel giugno 2006, nella sala conferenze dell'orto botanico di Kirstenbosch si riunì una piccola folla per dare l'ultimo saluto a Elsie Elizabeth Esterhuysen (1912-2006) che si era spenta all'inizio di quell'anno a 93 anni. John Rourke, curatore del Compton Herbarium e presidente della Botanical Society of South Africa, aprì il suo ricordo con queste parole: "Oggi siamo qui per celebrare la vita di una leggenda, perché Elsie era una leggenda, certamente lo era per la comunità botanica locale". A renderla tale non era solo la sua età venerabile, né una personalità indubbiamente fuori del comune, ma le sue incredibili raccolte botaniche: con 36.000 esemplari d'erbario, è stata uno dei più prolifici raccoglitori di sempre. Eppure non c'era nulla di eroico in questa piccola ed esile donna. Elsie era nata a Cape Town in una famiglia di avvocati; dopo aver studiato alla Wynberg Girls’ High School, si iscrisse all'Università di Cape Town dove nel 1933 conseguì la laurea di primo livello (Master of Arts) in botanica con una tesi sull'anatomia di Myrothamnus flabellifolius, una pianta xerofila nota come "resurrection plant" per la sua capacità di rinverdire alla prima pioggia anche quando sembra totalmente disseccata. Ma alle ricerche di laboratorio già allora preferiva di gran lunga quelle sul campo. Dopo aver lavorato per poco tempo nel Dipartimento educativo, nel 1935 grazie a una borsa di studio poté studiare la rigenerazione del fynbos a Kirstenbosch dopo l'eliminazione di piante aliene. La sua aspirazione era entrare a far parte del gruppo di ricerca che, guidato da Pole Evans, stava mappando la flora del Sudafrica, ma la sua domanda fu respinta per la semplice ragione che era una donna. Così nel 1936 accettò un posto di assistente al McGregor Museum di Kimberley, diretto dalla geologa e botanica Maria Wilman, che in quegli anni stava dirigendo un progetto di ricerca sulla flora del Griqualand occidentale. Dato che l'area da esplorare era vasta, per raggiungere i luoghi più remoti la direttrice insistette che imparasse a guidare. Ma un giorno Elsie Esterhuysen rimase bloccata a un passaggio a livello: si spaventò talmente che da quel giorno non guidò più. In compenso, si procurò una bicicletta e divenne una provetta ciclista. Nel 1938 tornò a Cape Town e cominciò a lavorare per il Bolus Herbarium, dove avrebbe trascorso tutta la sua vita professionale. Per ben 18 anni, però, non fece parte ufficialmente dello staff, venendo pagata di volta in volta con la cassa per le piccole spese; solo nel 1956, su insistenza del nuovo curatore, Ted Schelpe. fu creato per lei un posto di ricercatrice, con uno stipendio fisso. Grande appassionata di montagna, fin dal 1935 si era iscritta al club alpinistico del Sudafrica (MCSA). Conoscendo questa passione, le fu affidata la ricognizione della flora di alta quota delle montagne del Capo, che all'erbario era documentata in modo irregolare. Insomma, come lei stessa si espresse, il suo compito era "colmare i vuoti". Quasi ogni week end, approfittando del passaggio di qualche membro del MCSA, esplorava un angolo di quelle montagne, e tornava a valle con un sacco nero pieno di piante. Durante le vacanze, approfittava delle escursioni organizzate dal club per erborizzare in altre aree, come il Drakensberg. Non bisogna però pensare che raccogliesse a caso. Per "colmare i vuoti" concentrava la sua attenzione su un genere rappresentato in modo inadeguato e quando individuava una specie che poteva essere nuova, ritornava più volte nell'area per studiarne i tempi di fioritura e l'ecologia, raccogliere semi e frutti; esplorava i dintorni per mapparne la distribuzione e studiare specie affini, a volte per anni. Metteva a confronto le proprie raccolte con il materiale d'erbario e con le pubblicazioni, e, quando aveva finito, il genere era perfettamente documentato nelle sue schede, con gli esemplari ben montati nell'erbario e la loro tassonomia pronta per la pubblicazione. Un compito che però lasciava volentieri agli "accademici". Così, anche se scoprì almeno 150 taxa, pubblicò pochissimo. La maggiore eccezione è costituita dalle Restionaceae, di cui pubblicò una cinquantina di specie, soprattutto grazie alle insistenze del botanico svizzero Hans Peter Linder, uno dei tanti giovani studenti e perfezionandi che impararono ad amare e conoscere la flora sudafricana grazie alla sua generosità e disponibilità. Insieme a T. M. Salter, pubblicò inoltre alcune specie di Erica. Tra le sue scoperte più sensazionali, quella di Protea nubigena, una specie molto rara che vive solo nei pascoli ad alta quota dell'uKhahlamba-Drakenberg nel Natal. Nel 1989 l'Università di Città del Capo le conferì la laurea honoris causa (Master of Science). La lettera di accettazione al rettore la dice lunga sulla sua modestia: "Grazie per la sua cortese lettera del 9 gennaio. Accetto la laurea onoraria e apprezzo l'onore. Tuttavia mi chiedo se lo staff dell'erbario Bolus è stato consultato. Se la questione non fosse riservata, vorrei farlo io stessa, perché non mi sembra che il mio lavoro meriti questo grado. Spero che il Consiglio [di facoltà] non sia caduto in errore pensando che la scoperta di nuove specie sia chissà che risultato, perché non lo era. A parte questo, ho lavorato come tecnico mantenendo l'erbario in ordine e aggiornato". Altri tratti della sua singolare personalità - che dovette colpire profondamente chiunque la conobbe -emergono dai ricordi pubblicati in occasione della sua commemorazione. Ogni giorno, sulla sua fida bicicletta faceva la spola tra l'erbario e la sua modestissima casa, doveva viveva con alcuni adorati gatti; guidava studenti e perfezionandi in gite in bicicletta, distaccando anche i più giovani; detestava le ingiustizie ed era socialmente impegnata; ma il suo vero ambiente era la montagna, con la quale aveva un contatto così intimo che preferiva dormire all'aperto, su un giaciglio improvvisato di paglia ed erbe, piuttosto che in una tenda. Per celebrare i suoi ottant'anni, insieme agli amici del Club alpino, scalò lo Sneeuberg, la cima maggiore del Cederberg (2027 metri). ![]() Tante specie e due generi A questa formidabile raccoglitrice, i tanti botanici con cui collaborò hanno dedicato una trentina di specie e due generi validi. Ad esempio, il suo "capo" Louisa Bolus le dedicò non meno di sette Aizoaceae, tra cui Delosperma esterhuyseniae e Gibbaeum esterhuyseniae; Compton Erica esterhuyseniae; Hilliard Selago elsiae (una specie oggi estinta) e Selago esterhuyseniae; Pillans Restio esterhuyseniae. Ci sono anche dediche più nascoste: alludendo alla sua passione per le montagne, dove si muoveva con l'agilità delle antilopi saltarupi Oreotragus oreotragus, E G. H. Oliver le dedicò Erica oreotragus. Con lo stesso gioco di parole, Karis pensava a lei nominando Monticapra ("capra di montagna") una sezione del genere Disparago. I generi dedicati a Elsie Esterhuyen sono tre, due in modo diretto, uno anch'esso in modo indiretto ed allusivo. Ad aprire le danze fu una delle sue colleghe al Bolus Herbarium, Frances Margaret Leighton, specialista dei generi Ornithogalum e Agapanthus, che nel 1944 le dedicò Elsiea con una motivazione semplice ed eloquente: "Il nome del genere onora Miss Elsie Esterhuysen del Bolus Herbarium, le cui raccolte hanno dato un valido contributo alla conoscenza della flora delle montagne più alte del Capo sudoccidentale". Il genere, stabilito sulla base di una specie raccolta quell'anno dalla stessa Esterhuysen, Elsiea corymbosa, è considerato sinonimo di Ornithogalum, e la specie è stata rinominata Ornithogalum esterhuyseniae. Nel 1967 Louisa Bolus, che, come abbiamo già visto, aveva già dedicato molte specie alla più prolifica dei suoi raccoglitori, le dedicò anche un genere, Esterhuysenia (Aizoaceae). Laconica (e tecnica) la dedica: per Elsie Elizabeth Esterhuysen, raccoglitrice del tipo, Provincia del Capo, nel distretto di Worcester; Hex River Mountains, Milner Peak, versante est, sulle sporgenze, 5,500-6,000 piedi, dicembre 1948. La specie in questione è Esterhuysenia alpina, una delle sei di questo piccole genere endemico di un'area relativamente ristretta della Provincia del Capo occidentale (distretti di Caledon, Ceres, Robertson, Worcester); sono piccoli arbusti nani, spesso a cuscinetto, che crescono tra le rocce intorno ai 2000 metri di altitudine. Hanno foglie carnose, tra quadrangolari a cilindriche, caratterizzate da un apice mucronato, fiori per lo più solitari con numerosissimi petali (in realtà staminoidi) bianchi, rosa o viola; i frutti sono capsule con cinque loculi, come quelli degli affini Ruschia e Lampranthus, di cui si distinguono perché mancano sia degli opercoli del primo, sia delle ampie ali del secondo. Tutte le specie sono rare, spesso limitate a aree molte ristrette, ma le loro popolazioni sono stabili. Anche il terzo genere dedicato a Esterhysen si deve a una botanica sudafricana, Olive Mary Hillard, nota soprattutto per aver fatto risorgere l'allora quasi moribondo orto botanico di Edimburgo, a sua volta una notevolissima raccoglitrice. Trovandosi già impiegati i possibili e più ovvii nomi ricavati da nome personale e cognome, Hillard dovette ricorrere a un vero e proprio gioco enigmistico: il suo Trieenea allude infatti alle tre E che formano le iniziali di Elsie Elisabeth Esterhuysen. Anch'esso endemico della Provincie del Capo occidentale e meridionale, questo genere della famiglia Scrophulariaceae comprende erbacee perenni o piccoli arbusti, più raramente annuali, che vivono in habitat montani; sette specie su dieci sono endemiche del Cedarberg, alcune note solo dagli esemplari d'erbario, altre ristrette ad aree molto limitate. Ha invece un areale relativamente più esteso T. glutinosa, in precedenza Phyllopodium glutinosum, che si spinge anche nella Provincia del Capo orientale. E' un piccolo arbusto che vive nelle spaccature delle rocce, con fusti eretti, foglie lievemente carnose con lamina quasi triangolare e margini dentati, piccoli fiori bianchi raccolti in brevi infiorescenze. Tra le specie del Cederberg, T. elsiae ricorda anche nell'eponimo Elsie Esterhuysen che la scoprì sul Sandfontein Peak, nel Cedarberg meridionale, il 5 aprile 1947. Rispetto alla conterranea, e quasi coetanea, Mary Barber, la figura di Caroline Hutton nata Atherstone è molto più convenzionale, anche se non mancano i tratti comuni: entrambe erano figlie di coloni del 1820, vissero nella Provincia orientale del Capo e divennero addirittura parenti; entrambe raccolsero esemplari per Harvey e Hooker, venendo ricordate dal primo con la dedica di un genere. Diversi furono invece i loro ambienti sociali e soprattutto la dedizione alla scienza. Caroline Atherstone era figlia e sorella di medici dai notevoli interessi scientifici e si trovò fin da bambina immersa in un ambiente colto e aperto; molto giovane sposò Henry Hutton, un funzionario dell'amministrazione civile, da cui ebbe moltissimi figli. Insieme a lui è ricordata da Harvey per le sue raccolte botaniche che non dovettero essere il centro della sua vita come per Barber, ma un hobby o una passione secondaria, sebbene abbastanza forte da persistere e forse intensificarsi anche quando era un'anziana vedova. Harvey le dedicò il genere di orchidee Huttonaea, la cui prima specie fu da lei scoperta sul Katberg. ![]() Raccolte in famiglia Come la famiglia Bowker, anche il dottor John Atherstone arrivò in Sudafrica con i coloni del 1820, ma, anziché diventare un fattore e un allevatore di bestiame, per qualche anno lavorò come chirurgo a Città del Capo, quindi nel 1828 venne nominato chirurgo del distretto di Albany sulla frontiera orientale, stabilendosi a Grahamstown. Quasi immediatamente fondò un gabinetto di lettura; fu qui, o dalla sua fornita biblioteca privata, che miss Bowker, ovvero la futura Mary Elizabeth Barber, prese in prestito la copia di Genera of South African Plants grazie alla quale scoprì la botanica. Del resto, era destinata a intrecciare strettamente la sua vita con quella della famiglia del medico: alla fine del 1839, il figlio maggiore di John Atherstone William Guybon tornò dall'Europa, dove era andato a laurearsi in medicina, accompagnato da uno dei suoi cugini inglesi: Frederick William Barber, ovvero il futuro marito di Mary. Oltre a diventare il più eminente medico della regione (tra l'altro, fu il primo a utilizzare l'anestesia durante un intervento chirurgico), William Atherstone aveva forti interessi scientifici. In Europa aveva studiato successivamente a Dublino, Londra e Parigi, ed era in contatto con molti scienziati tra cui Harvey e Hooker. Fu uno dei pionieri delle ricerche geologiche e paleontologiche in Sudafrica e nel 1855 fu tra i soci fondatori della Literary, Scientific and Medical Society di Grahamstown, le cui collezioni presto si trasformarono nell'Albany Museum, di cui per molti anni fu presidente e il maggior donatore, con esemplari che spaziavano in tutti i campi delle scienze naturali. Ma protagonista di questa storia non è il versatile dottore (cui pure il botanico della colonia Pappe dedicò il genere Athestonea, oggi ridotto a sinonimo), ma la più giovane delle sue sorelle, Caroline (1826-1908). Di lei non sapremmo nulla se non avesse lasciato traccia delle sue raccolte nei libri di Harvey e nei cataloghi dell'Albany Museum. Ignoriamo se abbia ricevuto una formazione formale, ma certo, nata in una famiglia colta, avrà condiviso l'interesse per le scienze naturali del brillante fratello maggiore, così come una delle sue sorelle, Bliss Ann (nota con il cognome da sposata White) che dopo il matrimonio fece importanti raccolte di rettili, insetti e altri animali nei dintorni di Brak Kloof, la fattoria che gestiva con il marito, donandole al museo di Albany. Nel 1848, la ventunenne Caroline sposò Henry Hutton che era arrivato in Sudafrica quattro anni prima; figlio di un pastore protestante, diciassettenne al momento del suo arrivo, forse per qualche tempo aveva lavorato per il futuro suocero, facendosi notare per l'intelligenza e gli interessi scientifici. Poi, forse con un spintarella di suocero e cognato, cui dovette essere legato da una forte amicizia, fece carriera; anche se durante le diverse guerre contro gli Xhosa egli ebbe anche qualche ruolo militare, servì soprattutto come impiegato pubblico, con compiti come sovrintendente dei forzati, giudice di pace, ispettore del dipartimento dei forzati, nonché tesoriere e segretario del Consiglio di divisione di Bedford, che lo portarono in varie località del distretto di Albany. Di tanto in tanto gestì anche una fattoria, anche per mantenere una famiglia sempre più numerosa (gli Hutton ebbero cinque figli e sette figlie, anche se solo sei raggiunsero l'età adulta). Probabilmente incoraggiati dal fratello e cognato, che era già in contatto con Harvey, forse già intorno al 1850 Caroline e Henry iniziarono a raccogliere esemplari e a inviarli a Dublino, come risulta dalla prefazione del primo volume di Flora capensis (1859), in cui il botanico ringrazia "l'egregio sig. Henry Hutton per le considerevoli raccolte fatte ad Albany". La collaborazione continuò per molti anni, anche oltre la morte di Harvey, quando il compito di completare l'opera fu assunto da Sonder e Tylseton-Dyer; i coniugi Hutter contribuirono con non meno di 120 diverse specie; come raccoglitore è in genere citato Henry, ma in una trentina di casi Caroline. Probabilmente spesso raccoglievano insieme e le raccolte dell'uno e dell'altra sono indistinguibili, ma a mantenere i contatti con Dublino e Londra provvedeva soprattutto il marito. Oltre che con Harvey, la coppia collaborò anche con il botanico coloniale Pieter MacOwan che nel 1867 cita Henry come uno dei cinque raccoglitori che avevano esplorato a fondo il distretto di Grahamstown. I coniugi Hutton spedirono esemplari anche a Hooker e ai Kew Gardens, ma il grosso delle loro raccolte fu donato al Museo di Albany, soprattutto dopo il 1891, quando si trasferirono nella fattoria Beaumont sul Fish River. Dopo la morte del marito nel 1896, Caroline, che ormai aveva settant'anni, continuò a raccogliere da sola. Nel 1900 viveva a Howick nel KwaZulu-Natal, da dove spedì 186 specie all'Albany Museum; altre spedizioni seguirono negli anni successivi, fino alla sua morte nel 1908. ![]() Orchidee belle e rare Oltre che nel museo di Albany e nell'erbario del Natural History Museum, i coniugi Hutton hanno lasciato una traccia visibile nella nomenclatura botanica. Henry è ricordato da Lysimachia huttonii, che gli fu dedicata da Harvey già nel 1859; Moraea huttonii; Cyrtanthus huttonii, da lui raccolto nella distretto di Albany prima del 1864, data in cui fiorì per la prima volta a Kew; Ceropegia huttonii raccolta sul Botha Hill presso Grahamstown; Eulophia huttonii, Harveya huttonii, Printzia huttonii, Hesperantha huttonii e Wahlenbergia huttonii, tutte raccolte sul Katberg. Mancò invece la dedica di un genere, anche se forse ci contava. Sempre sul Katberg, una montagna a nord di Fort Beaufort, evidentemente il suo luogo di raccolta preferito, scoprì una pianta appartenente a un nuovo genere; ma Harvey la chiamò Bowiea volubilis, dedicandola, anziché a lui, al raccoglitore di Kew James Bowie. Caroline è ricordata da un numero molto minore di specie: Euphorbia huttoniae, Nerine huttoniae (oggi N. laticoma subsp. huttoniae), Sisyranthus huttoniae, Lachnagrostis huttoniae, le ultime tre risalenti agli anni della vedovanza, quando poteva "firmare" le sue raccolte senza lo schermo del marito. Se Harvey non le dedicò neppure una specie, al contrario di quanto fece con Henry, la compensò con un genere oltre tutto di notevole bellezza. Il secondo volume di Taesaurus capensis ( dedicato a suo fratello William che, ci informa Harvey, insieme a Henry Hutton, fu anche suo agente per la diffusione in Sudafrica di quest'opera e di Flora capensis), si apre con Huttonaea pulchra, una splendida e curiosa orchidea scoperta "nel marzo 1862 in angoli umidi, sotto gli alberi, sul Katberg, a 4000 piedi d'altezza, da Mrs. Henry Hutton". Ovvero dalla nostra Caroline. Il genere Huttonaea comprende cinque specie di orchidee terrestri endemiche di un'area ristretta alle montagne di Capo Orientale, KwaZulu-Natal, Stato Libero e Mpumulanga, con piogge estive. Tre specie (Huttonaea grandiflora, H. oreophila e H. woodii) vivono in spazi aperti erbosi, mentre le altre due (H. fimbriata e H. pulchra) nell'ombra delle foreste. La specie più diffusa, nonché quella che si spinge più in alto, è H. grandiflora (tra 2190 e 2800 m, dal Capo Orientale allo Stato Libero meridionale attraverso le montagne del KwaZulu-Natal), mentre la più rara è H. woodii che è stata raccolta solo tre volte in località diverse del KwaZulu-Natal. A seconda della specie, i fiori, raccolti in tozzi racemi, possono essere più piccoli e numerosi (fino a 25), oppure più grandi e pochi (2-4), ma tutti sono caratterizzati da una morfologia singolare: i sepali sono piatti, spesso verdastri, quelli superiori più o meno divergenti; i petali e il labello, da bianchi a crema, con macchie porpora, hanno margini fortemente sfrangiati; i petali hanno un'unghia più o meno lunga e sono più o meno fortemente saccati; formano così due sacchi gemelli (merianthium), una caratteristica rara tra le angiosperme e unica tra le orchidee, provvisti alla base di verruche ghiandolari che secernono olio: un "premio" ambitissimo dagli insetti impollinatori, le api del genere Rediviva. Mentre nelle altre specie l'angolo tra i petali permette a un insetto posato al centro del fiore di visitare contemporaneamente i due sacchi, in Huttonea pulchra essi formano un'angolo di 90 gradi, facendo divergere i sacchi e costringendo l'ape a visitarli separatamente. Anche se non è del tutto chiaro quali vantaggi comporti in termini di successo dell'impollinazione, è una caratteristica singolare che rende ancora più affascinante questa piccola orchidea scoperta nei boschi del Katberg da Caroline Hutton nel lontano 1862. A metà Settecento, dopo quasi un secolo di confronti armati con l'Inghilterra, in Francia i grandi alberi, indispensabili per le costrizioni navali, incominciano a scarseggiare. Ne è assai preoccupato l'abate Nolin, il direttore dei vivai reali, tanto più che la perdita del Canada ha chiuso anche quella fonte di rifornimento. E' necessario ripopolare in fretta le foreste francesi con alberi dalla crescita veloce ma dal legno inattaccabile, come hanno dimostrato essere diverse specie nordamericane. I rivali inglesi lo fanno da almeno un secolo, ma adesso che le loro 13 colonie - con l'aiuto determinante degli amici francesi - hanno conquistato l'indipendenza, perché non approfittarne per mandare nei neonati Stati Uniti un esperto di silvicoltura a fare incetta di semi e alberi? E, guarda caso, c'è la classica persona giusta al momento giusto: il "botanico del re" André Michaux ha una grande pratica di coltivazione di alberi esotici ed è appena tornato da un viaggio in Persia in cui ha dimostrato di non avere paura di nulla e di essere un instancabile cacciatore di piante dall'occhio di falco. E così nel 1785 André Michaux e il figlio quindicenne François André partono per gli Stati Uniti, dove rimarranno dieci anni, prima al servizio del re, poi di una repubblica di cui condividono gli ideali di libertà, eguaglianza e fratellanza, ma da cui presto non riceveranno più un franco. Michaux padre fonda due vivai e percorre instancabile gran parte degli Stati Uniti, spingendosi anche in Canada e nella Florida ancora spagnola. La fa quasi sempre da solo, per lo più a piedi, in modo spartano. Sulle piante americane, e in particolare sugli amati alberi, presto ne sa più di tutti. Vivaista dei due mondi, manda in Francia una stupefacente quantità di piante, ma arricchisce anche i giardini americani di tante specie esotiche. Il suo libro sulla flora dell'America nord orientale farà testo per molti anni, così come quello di suo figlio sugli alberi americani. La pianta che lo celebra però non viene dall'America, ma dal Medio Oriente. ![]() Da Versailles al mar Caspio André Michaux (1746-1801) è nato nel parco di Versailles e se un evento tragico non avesse sconvolto la sua vita forse sarebbe rimasto per tutta la vita fattore reale, come lo era suo padre prima di lui. La famiglia gestisce la fattoria di Sautory e André, che ha potuto frequentare la scuola solo quel tanto che basta a imparare a leggere, scrivere e far di conto, lavora al fianco del padre fin da bambino. Alla sua morte, gli subentra come fattore insieme al fratello, ma nel 1770 sua moglie muore di parto dando alla luce l’unico figlio François André. Per André la vita non ha più senso. A sollevarlo dalla depressione è uno dei suoi vicini, Louis Le Monnier, professore di botanica del Jardin du roi, che gli fa scoprire la coltivazione di piante esotiche. Michaux fa esperimenti di acclimatazione a Sautory e incomincia a frequentare le lezioni di Antoine-Laurent de Jussieu al Trianon. Ha trovato la sua strada; si trasferisce a Parigi a studiare al Jardin du roi e nel 1779 ottiene il brevetto di «botanico reale». Il suo desiderio più ardente è viaggiare. Quell'anno, viene inviato ai Kew Gardens a studiarne le serre, quindi partecipa insieme ad André Thouin a una spedizione in Alvernia organizzata e finanziata da Lamarck. Nel 1780, da solo, va a caccia di piante nei Pirenei francesi e spagnoli. Sogna viaggi più esotici e quando viene a sapere che il nuovo console a Bassora, Jean-François Rousseau, cugino del filosofo, sta per partire per la Persia si unisce al suo seguito con la missione di raccogliere piante belle, utili e interessanti per i giardini di Maria Antonietta al Trianon e il Jardin du roi. Lasciata la Francia nel febbraio 1782, sbarcano ad Alessandretta e, dopo un soggiorno di qualche mese ad Aleppo, si uniscono a una carovana che a ottobre li porta a Bagdad, dove trascorrono l’inverno. Quindi Michaux saluta il console con l’intenzione di raggiungere l’impero persiano; sulla strada per Bassora è fatto prigioniero da una tribù in rivolta. Liberato, può finalmente continuare il suo viaggio visitando metodicamente la Persia, da Shiraz a Persepoli, da Isfahan a Julfa e fino alle rive del Caspio. Dopo un viaggio di tre anni, rientra in Francia nel giugno 1785 con più di quattrocento specie di piante. Tra di esse, Rosa persica, raccolta su un’alta montagna tra Shiraz e Isfahan, l’olmo del Caucaso Zelkova carpinifolia, il noce del Caucaso Pterocarya fraxinifolia e la pianta che oggi porta il suo nome, Michauxia campanuloides, trovata sulle montagne della Siria occidentale. Riporta anche manoscritti, medaglie, reperti archeologici, tra cui un kudurru babilonese, oggi conservato al Cabinet des medailles della Biblioteca nazionale e noto come "sasso di Michaux". Appena tornato, vorrebbe ripartire, magari di nuovo per l'Oriente, ma il ministero gli propone una meta totalmente diversa: gli Stati Uniti. Il direttore dei vivai reali, l'abate Nolin, preoccupato per il depauperamento delle foreste francesi, ha chiesto di inviare in America una missione a caccia di piante e Michaux è il candidato ideale. Così, appena tre mesi dopo il suo ritorno, riparte. La Francia è il principale alleato dei neonati Stati Uniti, che ha sostenuto attivamente nella guerra d’indipendenza da poco ufficialmente conclusa con la pace di Parigi (settembre 1783). Dunque in America Michaux può contare su buoni amici. Benjamin Franklin era vissuto molti anni tra Parigi e Versailles, diventando una figura di primo piano della società parigina; Thomas Jefferson, che lo aveva sostituito come ambasciatore, era di casa nel Jardin du roi, era spesso ospite di Buffon e aveva stretto una duratura amicizia con il capo giardiniere André Thouin. ![]() Alberi d'America Dunque il viaggio può essere organizzato con la massima rapidità. L’abate Nolin consulta i cataloghi degli orticultori americani e redige una lista delle piante più desiderabili. Michaux si imbarca con il figlio quindicenne François André, il giardiniere Paul Saunier (un altro allievo di Thouin) e un servitore e a novembre sbarca a New York. Nonostante il tempo pessimo e una lingua poco familiare, riesce quasi subito a mettere insieme un primo invio di piante e semi, che si è procurato nei vivai cittadini. Nel corso dell’inverno crea un vivaio di 30 acri a Hackensack (New Jersey) e incomincia ad esplorare i dintorni di New York. Su invito di Benjamin Frankilin, va a Filadelfia a conoscere William Bartram e a visitare il suo celebre vivaio. Poi è la volta di Mount Vernon, il magnifico parco di piante native creato dal presidente Washington; quindi, prima di rientrare in New Jersey, scende a sud fino a Fredericksburg in Virginia. L’incontro con Bartram, a sua volta un grande esploratore che tra il 1773 e il 1777 ha raccolto piante in otto colonie, dalla Pennsylvania alla Florida, è determinante; i due si scrivono, scambiano semi e informazioni, ma soprattutto è Bartram a suggerirgli di spostare il centro delle sue ricerche in South Carolina, una zona particolarmente ricca di nuove piante. Nel settembre 1786, Michaux affida il vivaio di Hackensack a Saunier e insieme a suo figlio si imbarca per Charleston. Qui, a poche miglia dalla città, crea un secondo vivaio di 111 acri che sarà la sua base operativa per i prossimi dieci anni. A Charleston c’è una grossa comunità di ugonotti di origine francese e Michaux si ambienta benissimo. Il suo giardino si sviluppa in fretta e presto può funzionare da centro di interscambio nelle due direzioni: oltre a coltivare le piante americane da spedire in Francia, si fa mandare semi dalla madrepatria e arricchisce i giardini dei suoi ricchi e influenti clienti americani di piante ancora sconosciute su questa riva dell’Oceano: tra quelle di cui gli si attribuisce l’introduzione negli Stati Uniti, Albizia julibrissin, Melia azedarach, Osmanthus fragrans, Lagerstroemia indica, Ginkgo biloba e la pianta del tè, Camellia sinensis. È chiaro che uno come Michaux non è venuto in America a fare il vivaista e non vede l’ora di riprendere a viaggiare. Appena il giardino è ben avviato, ricominciano le spedizioni. Nella primavera del 1787, dapprima in compagnia del botanico scozzese John Fraser, segue il percorso di Bartram lungo il fiume Savannah, poi si addentra da solo in territorio Cherokee fino alle sue sorgenti, scoprendo la rara Shortia galacifolia. Negli anni successivi visiterà gran parte del nord America orientale, spingendosi anche nella provincia canadese del Quebec, nella Florida spagnola e nelle Bahamas. Esplorò con particolare intensità la Georgia e le Caroline, in particolate la regione del Piedmont che visitò ben sette volte. Amava viaggiare da solo, a piedi o a cavallo, e con un bagaglio minimo. Se trovava ospitalità per la notte, bene; altrimenti, si poteva dormire benissimo anche sotto le stelle. Aveva un occhio d’aquila, si fermava ad osservare ogni pianta ed era abilissimo a scovare nuove specie anche in zone già battute, come notò l’amico Bartram. Nel 1792 fece un lungo viaggio fino alla baia di Hudson; al ritorno, ebbe un colloquio con Jefferson, all’epoca segretario di stato, a cui propose di esplorare la sorgente del Missouri, individuare la linea di spartiacque e scendere fino al Pacifico. Jefferson era tentato, ma per opportunità politica rinunciò, tanto più che Michaux si trovò coinvolto in un incidente diplomatico; l’ambasciatore francese Genêt, che stava cercando di organizzare gruppi di volontari e una sommossa per strappare New Orléans agli spagnoli, approfittò dei suoi viaggi botanici per affidargli vari messaggi segreti. Le trame di Genêt indignarono il generale Washington che difendeva l’assoluta neutralità degli Stati Uniti nel conflitto tra Francia e Spagna; quando il coinvolgimento del botanico emerse, egli venne a trovarsi in una situazione difficile. Da lontano, aveva seguito con trepidazione le vicende francesi, divenendo un ardente rivoluzionario. Eppure proprio la rivoluzione finì per rovinarlo. Con la ripresa della guerra, divenne sempre più difficile fare giungere i suoi invii in Francia. Il governo rivoluzionario cessò di pagargli lo stipendio e di rimborsargli le spese. Nel 1795, dopo un ultimo viaggio, si decise a tornare casa. In dieci anni, aveva inviato in patria 90 casse di semi e 60.000 pianticelle. Tra le piante da lui introdotte in Europa molte nuove specie di querce, aceri, noccioli, lo spettacolare Rhododendron catawbiense, Magnolia micahuxii (oggi M. tripetala), la sfolgorante Cladrastis lutea, che d’autunno si tinge d’oro. Durante il viaggio di ritorno, sulle coste olandesi fu vittima di un naufragio in cui perse tutti i suoi effetti personali ma riuscì a salvare gran parte delle collezioni. Tornato a Parigi, non riuscì a ottenere se non in minima parte il pagamento degli arretrati. Nel 1800, accompagnato dall’aiuto giardiniere Jean-François Cagnet, si imbarcò con la spedizione Baudin, ma non andava d’accordo con il comandante e non accettava le nuove direttive che imponevano di consegnare tutte le raccolte al governo; a Mauritius sbarcò, vi rimase un anno, poi, sulle orme di Commerson, andò in Madagascar. Anche qui creò subito un giardino d’acclimatazione, ma, dopo appena tre mesi morì di una febbre tropicale. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Prima di partire per l’ultimo viaggio era riuscito a scrivere una monografia sulle querce americane e soprattutto Flora boreali-americana , pubblicata postuma a cura del figlio François-André e di Louis-Claude Richard, con le illustrazioni di Redouté. Quest’opera, che descrive 1700 piante, 40 delle quali inedite, fu a lungo la più completa flora del nord America orientale. Dopo la sua morte, il governo francese inviò in America François André Michaux a liquidare i due vivai. Al suo rientro, egli scrisse Mémoire sur la naturalisation des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Nel 1806, incaricato di individuare le specie arboree più adatte all'acclimatazione in Francia, ripartì per Charleston, ma durante la traversata fu catturato da una nave inglese e imprigionato alle Bermuda: una prigionia per modo di dire, che gli permise di esplorare la flora dell'isola St George. Tornato in patria, pubblicò l'importante Histoire des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Vero continuatore dell'opera paterna, visse fino a tarda età e per un trentennio fu l'amministratore della Société centrale d’agriculture per la quale creò l'arboretum di Harcourt, ricchissimo di specie americane. ![]() Campanelle levantine Numerose sono le specie che in ricordo di André Michaux portano l’eponimo michauxii: tra gli alberi, che erano i suoi preferiti, Quercus michauxii, Betula michauxii oppure Pyrus michauxii; ma ci sono anche arbusti, come il raro sommacco nano Rhus michauxii, bulbose come Lilium michauxii o erbacee come la piccolissima Minuartia michauxii. Il genere Michauxia gli fu dedicato nel 1788 da un altro botanico francese, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. Appartenente alla famiglia Campanulaceae, comprende sette specie di piante erbacee diffuse dal Mediterraneo orientale al Caucaso e all’Iran; la più nota è proprio la specie riportata da Michaux dal suo viaggio in Persia, M. campanuloides, un’alta erbacea annuale o perenne di breve vita con curiosi fiori bianchi a campana rovesciata con petali retroflessi e stilo verdastro protruso. Simile è M. tchihatchewii, che conquista la palma di una delle più impronunciabili tra le denominazioni botaniche. Tutto per la colpa della trascrizione francese del nome russo Čjačev (forse un diplomatico che operava nella Francia dell'Ottocento). Altre informazioni nella scheda. Quando scoprì la vocazione di naturalista, Ynés Mexía aveva superato la cinquantina, e usciva da un decennio di depressione e instabilità emotiva. Grazie alle piante, ritrovò l'amore per la vita e divenne una raccoglitrice formidabile. Nel breve arco di tredici anni - tanto durò la sua carriera - percorse le America dall'Alaska alla Terra del fuoco, raccolse oltre 145.000 esemplari, scoprì 500 nuove specie e un nuovo genere (che le è stato dedicato con il nome Mexianthus); coraggiosa, tenace, caparbia, preferiva mete non battute, viaggiando per lo più da sola in modo spartano. A chi dubitava che una donna potesse farlo, nell'America latina di quasi un secolo fa, rispondeva semplicemente "Perché no?" ![]() Dare senso alla vita raccogliendo piante La vita può ricominciare anche a cinquant'anni, quanti ne aveva Ynés Mexía quando scoprì la sua vera vocazione. Nata negli Stati Uniti da un diplomatico messicano e una statunitense, aveva avuto una vita abbastanza complicata a cavallo tra i due paesi. In crisi per la separazione dal secondo marito, che prima del divorzio l'aveva anche rovinata economicamente, si era trasferita a San Francisco. Per un decennio, fu afflitta da una grave forma di depressione. Quando aveva quasi cinquant'anni, decise di iscriversi al Sierra Club e, partecipando ad escursioni all'aria aperta insieme a persone innamorate della natura, incominciò a recuperare la salute del corpo e dello spirito. La natura californiana l'affascinò tanto che nel 1921, a cinquantun anni, decise di iscriversi al corso di Scienze naturali all'Università di Berkeley. Nel 1922, partecipando a una spedizione paleontologica, scoprì il fascino delle piante e della loro raccolta; si iscrisse a un corso sulle piante da fiore presso la Hopkins Marine Station e prese parte alle escursioni organizzate dal Calipso Club, il club degli studenti di botanica. Sicuramente determinante fu l'incoraggiamento di Alice Eastwood, curatrice dell'erbario dell'Accademia della Scienze californiana e capo del dipartimento di botanica, che le insegnò come raccogliere e preparare gli esemplari. La prima spedizione ufficiale arrivò nel luglio 1925; Mexía, che quell'anno compiva 55 anni, si unì a un viaggio botanico nello stato di Sinaloa in Messico organizzato dall'Università di Stanford e guidato da un'altra botanica, Roxanna Ferris. Come oriunda messicana, conosceva bene la lingua e il paese, ma soprattutto rivelò un vero talento come raccoglitrice: aveva un occhio acuto nel riconoscere le piante ed era molto meticolosa e abile nel preparare gli esemplari. Ne aveva già raccolti più di 500, quando cadde da una scogliera, ferendosi una mano e fratturandosi alcune costole. Dovette forzatamente abbandonare la spedizione, ma al suo ritorno negli Stati Uniti, impressionato dalla qualità delle sue raccolte, il capo dell'erbario dell'Università della California le commissionò un secondo viaggio, di nuovo in Messico. Strinse anche amicizia con un'assistente dell'Erbario dell'Accademia delle Scienze della California, Nina Floy Bracelin, che si offrì di aiutarla a catalogare le future raccolte. A questo punto, Ynés Mexía era ormai una raccoglitrice professionista, con un lavoro che dava senso alla sua vita: "Ho un lavoro che produce qualcosa, e qualcosa di duraturo". Nel settembre 1926 si imbarcò alla volta di Mazatlan sulla costa pacifica del Messico, da dove iniziò una spedizione di sei mesi in zone dell'interno poco conosciute; viaggiava sola, servendosi di guide locali, che erano anche ottimi informatori. Muovendosi ora a piedi ora a cavallo, alla fine del viaggio, nell'aprile 1927, aveva raccolto oltre 3000 esemplari, tra cui 50 specie non ancora descritte, e un genere sconosciuto, che in suo onore sarà denominato Mexianthus. Mexía, che non amava il lavoro di scrivania e definiva se stessa più un'avventuriera che una botanica, affidò la "post produzione" a Nina Floy Bracelin, che riordinava le collezioni, etichettava gli esemplari e li inviava ad esperti per l'identificazione; in tal modo divenne anche la sua agente e mantenne i rapporti con una vasta rete di botanici. Nell'estate del 1928, sempre per l'Università della California, si spostò in Alasaka, nel Mount Mc Kinley Park, dove raccolse oltre 6000 esemplari. Alla fine dello stesso anno, fu in Messico per la terza volta. Nell'autunno del 1929, si imbarcò per il Brasile, dove esplorò le terre alte per circa un anno e mezzo; per qualche tempo, si accompagnò con un'altra botanica autodidatta come lei, Mary Agnes Chase, un'esperta di graminacee; ma tutte e due erano troppo testarde per andare d'accordo, tanto più che Mary Agnes preferiva viaggiare in treno e dormire in un albergo decente, mentre Ynés era a suo agio viaggiando a cavallo e dormendo sotto una tenda. Ancora il Brasile fu la meta della spedizione del 1931, quella più celebre; l'obiettivo era risalire il corso del Rio delle Amazzoni. La prima parte della navigazione si svolse a bordo di un comodo piroscafo, un vero lusso rispetto alle abitudini di questa viaggiatrice spartana. Dopo 24 giorni, Mexía sbarcò a Iquitos in Perù, assunse tre guide e quattro rematori, per risalire il Maranon in canoa: era esattamente il percorso fatto da La Condamine nel Settecento, ma al contrario: non lasciarsi trasportare dalla corrente del grande fiume, ma risalirlo remando controcorrente: una scelta audace perfettamente in linea con il carattere di Ynès. Dopo aver superato il temibile Pongo de Manseriche , all'inizio della stagione delle piogge Mexía stabilì la sua base a Rio Santiago; esplorò il fiume e i suoi affluenti, scalò la Sierra del Pongo, senza farsi spaventare dalle pareti a strapiombo. E ovviamente, raccolse piante su piante. L'ingrossamento delle acque rendeva impossibile affrontare il viaggio di ritorno in canoa; Mexía convinse i rematori a costruire una grande zattera di legno di balsa. A bordo di questa imbarcazione scese il fiume fino a Iquitos, da dove spedì le raccolte in California. Lei prese un'altra strada: prima in aereo, poi a dorso di mulo, quindi in automobile, infine in treno, arrivò a Lima dove si imbarcò per San Francisco; era di ritorno nel marzo 1932. Questa spedizione, probabilmente la più importante tra quelle intraprese dall'indomita raccoglitrice, fruttò 65.000 esemplari. Non rimase a casa a lungo. Nel 1933 si accontentò di una breve spedizione casalinga in Nevada, Utah, Arizona e California con Alice Eastwood e il suo assistente, John Thomas Howell, a bordo di una Ford T. Tuttavia già nel 1934 tornò in Sud America per incarico dell'Ufficio per le piante industriali del Dipartimento di Agricoltura che aveva stabilito una stazione sperimentale in Ecuador; il suo compito era raccogliere le diverse specie di Cinchona e soprattutto cercare una rara palma della cera, Ceroxylum ventricusum, che vive a oltre 3000 metri d'altitudine nelle foreste pluviali d'altura tra Colombia e Ecuador. Con un assistente viaggiò in treno da Quito a Ibarra, poi in automobile fino a Tulcàn, dove assunse una guida locale e affittò dei cavalli per risalire le pendici del Chiles, un vulcano al confine tra i due paesi, dove era stata segnalata la pianta. La pioggia incessante li costrinse ad accamparsi in una torbiera, creando una tenda improvvisata con vestiti e bagagli; nel cuore della notte, furono risvegliati da un terremoto. Come se non bastasse, Ynés rischiò di morire per aver ingerito alcune bacche avvelenate. Per fortuna, uno degli accompagnatori riuscì a fargliele rigettare solleticandole la gola con una piuma di gallina. Tutti ormai volevano tornare indietro, tranne l'ostinata cacciatrice di piante, che convinse gli altri a continuare. E alla fine, trovò la sospirata palma. Il suo viaggio proseguì poi attraverso il Perù, la Bolivia, l'Argentina, il Cile fino allo Stretto di Magellano, con la raccolta di altri 15.000 esemplari. Nel 1938, l'ultima spedizione, di nuovo in Messico, questa volta negli Stati di Guerrero e Oaxaca. Ynés, che probabilmente era malata da tempo senza saperlo, incominciò a soffrire di dolori allo stomaco, che la costrinsero riluttante a rientrare negli Stati Uniti, dove le diagnosticarono un cancro ai polmoni; morì appena un mese dopo. Del resto, lei che nelle sue spedizioni preferiva dormire all'aperto anche quando era disponibile una sistemazione più comoda, non si sarebbe rassegnata a una lunga degenza in un ospedale. Nel suo testamento, lasciò un lascito all'Accademia delle Scienze, in modo che la fedele Nina fosse assunta come assistente di Alice Eastwood. Ynés Mexía fu sicuramente il più importante raccoglitore della flora sudamericana della sua epoca. Un risultato tanto più straordinario se si pensa che la sua carriera durò solo tredici anni, dal 1925 al 1938. Percorrendo il continente dall'Alaska alla Terra del fuoco, raccolse oltre 145,000 esemplari, incluse 500 nuove specie, 50 delle quali portano il suo nome. Anche se non si laureò mai, era spesso invitata a parlare dei suoi viaggi, di cui pubblicò resoconti in varie riviste, e il suo nome divenne molto conosciuto tra i botanici. Occasionalmente partecipò a spedizioni di gruppo, ma, come abbiamo già visto, preferiva viaggiare da sola (cosa inaudita per una donna a quei tempi), come spiegò essa stessa: "Un ben noto raccoglitore e esploratore ha asserito che era impossibile per una donna viaggiare da sola nell'America Latina. Io ho deciso che se volevo conoscere meglio il continente sud-americano il modo migliore era aprirmi la strada da me. Bene, perché no?". Una sintesi della sua vita avventurosa nella sezione biografie. ![]() A caccia di piante rare: Mexianthus mexicanus Buona parte delle piante scoperte da Ynés Mexía sono rari endemismi, spesso minacciati. Del resto, come abbiamo visto, preferiva andarle a scovare in territori difficili da raggiungere, ancora inesplorati o almeno poco battuti. Non fa eccezione Mexianthus, il genere che raccolse nella sua prima spedizione solitaria, nel 1925, e che le fu dedicato nel 1928 da Benjamin Lincoln Robinson dell'Erbario di Harvard, con la seguente motivazione: "E' un piacere dedicare questa notevole pianta alla sua scopritrice, la sig.a Ynes Mexia, la cui coraggiosa esplorazione di parti poco note della Sierra Madre ha portato alla luce molte piante sconosciute alla scienza o altrimenti di speciale interesse". Nella flora messicana, che conta ben 30.000 specie, il dieci per cento è costituito da Asteraceae, con circa 3000 specie e ben 1300 endemismi. Tra di essi anche il raro Mexianthus mexicanus, l'unica specie di questo genere endemico dello stato di Jalisco, dove è stato raccolto solo in tre stazioni nei pressi di Puerto Villarta, a circa 500 metri d'altitudine, dove vive su substrato vulcanico nelle foreste subtropicali decidue. Purtroppo in rete sono disponibili solo fotografie di esemplari d'erbario. E' un'alta perenne suffruticosa, con foglie alternate da ovate a ellittiche, con punta acuminata e margini dentati. A renderla speciale sono le infiorescenze, con capolini con un singolo flosculo e corolla bianca, riuniti in sinfiorescenze globose, a loro volta portate in un'infiorescenza secondaria terminale a spiga sparsa. I frutti sono acheni con pappi scagliosi. Una breve presentazione nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
April 2025
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