Due passioni si intrecciano nella vita di Giovanni Battista Balbis, botanico piemontese che fu il quinto curatore dell'orto di Torino: le piante e la politica. E se la seconda lo deluse e gli costò ben tre esili, mai venne meno l'amore per le prime. Nella sua vita non ci sono viaggi in paesi lontani e flore esotiche, ma brevi percorsi a zigzag che lo portano ora al di qua ora al di là delle Alpi, trascinato dalle onde della storia; ci sono le flore locali che, instancabile camminatore, esplora appassionatamente in tanti teatri: le Alpi marittime dell'adolescenza e della prima giovinezza; le campagne e le colline torinesi della maturità; le sponde del Ticino del momento più buio della sua esistenza; il lionese della vecchiaia. Senza dimenticare i due orti botanici che fece rinascere, prima a Torino poi a Lione. Botanico di fama europea, fu onorato da colleghi del calibro di Willdenow, de Candolle e Cavanilles con la dedica di un genere. L'unico valido oggi è il piccolo genere Balbisia Cav., che ammanta delle sue spettacolari fioriture le più aride praterie d'altura del versante occidentale delle Ande tra Perù e Cile. Primo tempo: il giacobino Chi conosce la Vita di Alfieri, sa quanto provinciale, chiusa, bigotta e oppressiva fosse l'atmosfera politica e culturale degli Stati sardi di fine Settecento. Possiamo dunque immaginare con quanto entusiasmo gli intellettuali piemontesi accogliessero le notizie che arrivavano da Parigi, tanto più che i legami culturali con la Francia erano fortissimi (basti pensare che le classi colte sabaude parlavano correntemente il francese, e non l'italiano). A Torino nacquero immediatamente diversi circoli giacobini; uno dei più accesi si riuniva a casa del medico Ferdinando Barolo; i suoi membri, repubblicani, sognavano di abbattere casa Savoia e di unirsi alla Francia rivoluzionaria. Nel 1793, in stretto contatto con il rappresentante francese a Genova, Jean Tilly, i diversi gruppi si unificarono e elaborarono un piano di insurrezione, che avrebbe dovuto scattare nella primavera del 1794, in concomitanza con l'offensiva francese; tuttavia, notizie della congiura giunsero alla polizia sabauda, che arrestò il Barolo il quale crollò immediatamente denunciando i suoi compagni. Molti furono arrestati, ma altri riuscirono a salvarsi riparando in Francia. Tra loro anche il giovane botanico Giovanni Battista Balbis, che iniziava così il primo dei suoi tre esili. Balbis (1765-1831) era nato a Moretta, nel circondario di Saluzzo, da dove si era spostato a Torino per studiare presso il prestigioso Collegio delle Province - dove fece amicizia con il medico e storico Carlo Botta, un altro dei congiurati del 1794; studiò poi medicina all'Università di Torino, divenendo l'allievo prediletto di Carlo Allioni. Si innamorò così della botanica, accompagnando lo stesso Allioni, Bellardi e Dana in molte escursioni. Studiò poi le specie vegetali che crescono nei pressi delle Terme di Valdieri, oggetto della sua prima pubblicazione; nel 1792, un lungo viaggio lo portò - munito delle lettere di raccomandazione del maestro - in giro per l'Italia a visitare molte personalità della scienza del tempo, tra cui Volta e il botanico napoletano Domenico Cirillo. Nel 1793, tornato a Torino, entrò appunto a far parte del gruppo giacobino guidato da Barolo. Nel maggio del 1794 fu uno dei numerosi fuorusciti piemontesi che andavano radunandosi in Francia. Balbis, che si era laureato in medicina nel 1785 e fin dal 1788 aveva ottenuto l'aggregazione all'ordine dei medici, si arruolò nell'esercito francese come medico militare. Nel 1796 lo troviamo nelle file dell'armata d'Italia, comandata dal giovane generale Bonaparte. Poté tornare a Torino solo verso la fine del 1798, quando i francesi costrinsero Carlo Emanuele IV alla fuga e occuparono la capitale, proclamando la Repubblica piemontese. Insieme all'amico Botta e all'avvocato Luigi Colla, fu uno dei venti membri del governo provvisorio. L'esperienza fu brevissima (già ad aprile dell'anno successivo, di fronte alla ripresa della guerra, il direttorio lo sciolse, affidando i pieni potere all'ambasciatore Musset), ma è significativa dell'adesione di Balbis agli ideali rivoluzionari, in nome dei quali, insieme ai suoi compagni, il 12 dicembre 1798 aveva giurato “odio eterno alla tirannide, amore eterno alla libertà, all'eguaglianza e alla virtù”. Ma nuvole nere si addensavano sulla giovane repubblica; assente Napoleone, che era in Egitto, le cose si misero male per l'esercito francese; travolto dagli austro-russi, nel maggio 1799 dovette sgombrare la regione. I Savoia ritornarono sul trono e Balbis prese una seconda volta la via dell'esilio, ancora speso nei ranghi dell'armata d'Italia con il grado di vice capo-medico. Questa volta l'esilio fu molto breve: già nel giugno 1800, con la gloriosa battaglia di Marengo, Napoleone ripristinò il potere francese e venne proclamata la Repubblica subalpina. Nei primi anni repubblicani, Balbis fece parte della cosiddetta "cabale des médicins", un influente gruppo di intellettuali e scienziati di tendenza repubblicana che cercò di sfruttare la militanza politica e le relazioni personali con i vertici dell'amministrazione francesi per rinnovare l'insegnamento e le istituzioni scientifiche non solo in campo medico. Fu in questo contesto che nel 1801 egli fu chiamato a succedere a P.M. Dana come direttore dell'orto botanico torinese. Sul piano politico, presto subentrò la disillusione: la Repubblica subalpina si rivelava sempre più un fragile paravento dell'occupazione francese; nel 1801 l'esercito piemontese venne incorporato in quello francese, quindi passò in mani francesi anche l'amministrazione, mentre il francese sostituiva l'italiano negli atti pubblici e il franco diveniva la moneta ufficiale. Infine, l'11 settembre del 1802 il Piemonte cessava di esistere come stato e veniva annesso alla Francia. D'altronde, il potere sempre più autocratico di Napoleone rendeva chimerici gli ideali giacobini cui Balbis aveva giurato fedeltà nel 1798. Secondo tempo: il botanico della flore locali Rimanevano le piante. Lasciata da parte la politica, Balbis dovette rimboccarsi le maniche per rilanciare l'orto botanico che aveva trovato in uno stato deplorevole, soprattutto per la mancanza di denaro, Sfruttando i suoi trascorsi di medico militare dell'Armée riuscì a ottenere aiuti e finanziamenti dal generale Menou, amministratore capo del dipartimento del Po. Sulla scia del suo maestro Allioni, egli operò efficacemente per reinserire l'istituzione piemontese nella rete degli orti botanici europei, con un fitto programma di scambi, grazie al quale, alla fine del suo mandato, il giardino era giunto a comprendere 1900 specie. All'attività gestionale, affiancò un'intensa esplorazione della flora piemontese; l'amico Colla racconta come ai torinesi fosse diventata familiare la figura di Balbis che percorreva i dintorni della città, attorniato a volte da un centinaio di studenti, che facevano a gara per presentargli la pianta più rara; a tutte sapeva dare un nome e a guisa d'oracolo rivelare proprietà botaniche e virtù curative. Teatro delle sue scorribande furono anche le Alpi piemontesi, che perlustrò in compagnia del giardiniere capo Molineri. In corrispondenza con molti dei maggiori botanici europei, fu ammesso come membro corrispondente di diverse società scientifiche; fu membro dell'Accademia delle Scienze di Torino e dal 1811 presidente della Società Agraria di Torino. Alla flora delle campagne torinesi dedicò Elenco delle piante crescenti nei dintorni di Torino (1801), cui seguì Miscellanea botanica (1805-1808), dedicata soprattutto alla flora alpina; altri contributi sulla flora piemontese comparvero negli atti dell'Accademia delle scienze. Per i suoi studenti, nel 1808 pubblico anche Flora torinese, un agile manualetto in cui presenta succintamente 1234 specie; antenato di un tascabile, Colla ebbe a definirlo "flora portabile". Molte furono le piante alpine da lui segnalate per la prima volta; vorrei ricordare almeno la più rara e preziosa, Phyteuma cordatum Balbis, un endemismo delle Alpi marittime presente sia sul versante italiano sia su quello francese. In Italia si trova in poche stazioni a cavallo tra le province di Cuneo e Imperia. Ma se Balbis si era ormai estraniato dalla politica, quest'ultima non aveva ancora finito di fare i conti con Balbis, Caduto Napoleone, i Savoia tornavano sul trono. E il re Vittorio Emanuele I non poteva tollerare che i vecchi giacobini che avevano cospirato contro la sua famiglia mantenessero onori e posizioni di potere, fossero pure scienziati di fama internazionale. Nel 1814 Balbis venne privato della cattedra di botanica, della direzione dell'orto e persino cacciato dall'Accademia delle scienze. A soccorrerlo fu il chimico Evasio Borsarelli, direttore dell'Orto Sperimentale della Reale Società di Orticoltura, che lo ospitò nella sua piccola casa della Crocetta, allora in aperta campagna. Qui Balbis divise il suo tempo tra la coltivazione di piante rare, la sistemazione del suo immenso erbario (che conta oltre 18.000 esemplari) e le cure mediche prestate agli indigenti. Fu anche l'occasione per leggere con attenzione (lui linneano ortodosso formatosi alla scuola di Allioni) le opere di Jussieu, de Candolle, Robert Brown; e se prima respingeva il "sistema naturale", ne comprese le ragioni, tanto da tenerne conto nelle opere successiva. Poco dopo Domenico Nocca, professore di botanica all'Università di Pavia e direttore del locale orto botanico, gli chiese di aiutarlo a classificare la flora del territorio patavino. Il risultato della loro collaborazione fu Flora Ticinensis, un'opera in due volumi usciti rispettivamente nel 1816 e nel 1821. Nel 1819 Balbis fu chiamato a dirigere l'orto botanico di Lione; era il suo terzo esilio, questa volta volontario. Nella città francese, proprio come aveva fatto a Torino, riorganizzò quel giardino e seppe circondarsi di altri appassionati, con i quali nel 1822 diede vita alla Societé linnéenne de Lyon, di cui divenne il primo presidente. Anche a Lione continuò la sua indagine della flora locale, pubblicando Flore Lyonnaise (in due volumi, 1827-1828, con un supplemento 1835). Ormai lontano dalla politica attiva, continuava a seguire gli eventi italiani attraverso la corrispondenza con gli amici (in particolare Colla, cui lo univano i trascorsi giacobini e la passione per le piante); dopo il fallimento dei moti del 1821, prestò generosamente aiuto a molti fuoriusciti. Negli anni lionesi, fecondo fu anche il rapporto con l'allievo prediletto Carlo Giuseppe Bertero, che gli inviò molte piante dalle Antille. Ormai malato, nel 1830 chiese l'esonero da ogni incarico e rientrò a Torino, dove morì l'anno successivo. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Balbisia, quando fioriscono i deserti La fama europea di Balbis è testimoniata dalle molteplici dediche che ricevette da prestigiosi botanici europei. Furono ben tre quelli che crearono in suo onore un genere Balbisia. Il primo fu Willdenow, direttore dell'orto botanico di Berlino e celebre tassonomista, nel 1803, con Balbisia elongata (famiglia Asteraceae). Il nome oggi non è più valido, trattandosi di un doppione per una specie già descritta da Linneo, Tridax procumbens (L.) L.; ma la dedica dovette essere cara a Balbis, probabilmente in ragione del prestigio del creatore, se nel monumento funebre che gli venne eretto nel Cimitero di Torino venne ritratta proprio questa pianta. Nel 1804 fu la volta di Cavanilles, direttore dell'orto botanico di Madrid. Questo è il genere Balbisia valido anche oggi, ne parlo sotto. Infine, poco dopo la morte di Balbis, anche de Candolle (corrispondente e amico personale) volle ricordarlo con Balbisia berteroi (famiglia Asteraceae), oggi Robinsonia berteroi; un nome non valido per la regola della priorità, ma interessante perché associa il nome di Balbis a quello dell'allievo Bertero, che esplorò dapprima le Antille, quindi il Cile. E proprio dal Cono Sur viene Balbisia Cav., appartenente alla piccola famiglia sudamericana delle Vivianiaceae (un tempo, Ledocarpaceae; nella classificazione AGP IV è invece assegnato a Francoaceae). Questo genere comprende una decina di specie di arbustini o erbacee perenni semilegnose assai ramificate con foglie minute e grandi fiori terminali molto vistosi con cinque petali lievemente imbricati, solitamente di un brillante colore giallo. Distribuito lungo il versante occidentale delle Ande dal Perù al Cile vive in praterie aride d'altura al di sopra di 2000 m. Fa eccezione B. peduncularis, un endemismo delle montagne costiere del Cile settentrionale che si spinge fino alla costa e con le sue fioriture spettacolari trasforma in un tappeto dorato i margini del deserto di Atacama. Qualche approfondimento nella scheda. Anche se andino e non alpino, sarebbe sicuramente piaciuto a Balbis, grande esploratore della flora delle Alpi, come ci ricordano lo specifico del delizioso Dianthus balbisii (il garofanino di Balbis) e la sottospecie di Primula auricola subsp. balbisii.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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