Tra gli avventurosi cacciatori di piante di inizio Ottocento c'è anche un botanico piemontese, Carlo Giuseppe Bertero. Formatosi alla scuola di Balbis, di fronte all'onda nera della Restaurazione decise di lasciare l'Europa e di dedicare la sua vita all'esplorazione della flora di paesi lontani, possibilmente poco battuti. Il primo viaggio, tra il 1816 e il 1821, lo portò nelle Antille e in Colombia; dopo un breve rientro in patria, nel 1827 ripartì nuovamente per le Americhe, scegliendo una meta quasi vergine per la scienza: il Cile. Fu poi la volta delle Juan Fernandez, uno straordinario arcipelago oceanico che per qualche aspetto anticipa le darwiniane Galapagos, quindi di Tahiti; ma era l'ultimo viaggio: mentre faceva ritorno in Cile, la nave su cui era imbarcato si inabissò nell'Oceano Pacifico. Privo di sostegno da parte di sovrani o altre istituzioni pubbliche, finanziò le sue ricerche mantenendosi con la sua professione di medico. Anche se non pubblicò quasi nulla, il suo contributo alla conoscenza della flora del Nuovo mondo fu inestimabile. De Candolle, che gli fu amico e mentore, già al suo ritorno dalle Antille aveva voluto dedicargli Berteroa, un piccolo genere di Brassicaceae affine ad Alyssum che non ha nulla di esotico, essendo diffuso soprattutto nel Mediterraneo e nell'Asia occidentale. Primo viaggio: Antille Fu forse l'indignazione per un gesto politico che calpestava un uomo che considerava un secondo padre e con lui le ragioni della scienza a spingere Carlo Giuseppe Bertero a trasformarsi in un cacciatore di piante. Nato a Santa Vittoria d'Alba nel fatidico 1789, era venuto a studiare medicina a Torino ed era divenuto uno dei più brillanti allievi di Giovanni Battista Balbis, cui lo legava un affetto quasi filiale. Nel 1814, quando il suo maestro fu cacciato dall'università e l'intera facolta di medicina fu epurata degli "infranciosati" (con il licenziamento di otto docenti su nove), Bertero decise di dare le dimissioni da segretario del Grand Jury (l'organismo che faceva le veci del Tribunale di Protomedicato) e di non continuare gli studi nel collegio medico dell'Università. Anche la monotona e soffocante provincia albese non sembrava offrirgli alcuna prospettiva. Tornato a casa, come l'eroe stendhaliano Fabrizio del Dongo, si trovò immerso in atmosfera stagnante, senza alcuna prospettiva. A soddisfare la sua sete di conoscenza non bastavano le escursioni botaniche sulle Alpi e nelle campagne di casa. Era ora di lasciare l'Italia per cercare altrove fama e conoscenza. Unico cordone ombelicale con una patria matrigna, la corrispondenza con gli amici, primi tra tutti il maestro Balbis e il colto botanico dilettante Luigi Colla che, come vedremo, furono poi i principali destinatari anche dei suoi invii di piante e semi. La prima tappa, quasi ovviamente, fu Parigi, dove poté sfruttare le relazioni di Balbis con i maggior botanici francesi per avere accesso al Jardin des Plantes e a erbari ricchi di piante esotiche; importante fu l'incontro con C.H. Persoon, grazie al quale trovò un imbarco per le Antille come medico di bordo. Si era preparato al viaggio con scrupolo, non solo studiando negli erbari la flora di quell'area, ma anche l'inglese e lo spagnolo. Imbarcatosi nell'agosto 1816 a Le Havre, a fine anno giunse in Guadalupa, salutato quasi come un eroe per aver salvato se stesso e molti compagni di viaggio da un'epidemia di febbre gialla scoppiata a bordo. Nell'isola esercitò con successo la professione medica e divenne una figura nota e riconosciuta, tanto che il governatore gli offrì la direzione dell'orto botanico e di un laboratorio di storia naturale. Nonostante la proposta fosse allettante anche sul piano economico, Bertero rifiutò per non legarsi a un singolo luogo e estendere la sua esplorazione ad altre isole dell'arcipelago. Privo di ogni sostegno ufficiale a causa della cecità dei Savoia, egli dovette dunque dividere il suo tempo tra la professione medica, che amava e esercitava con il tipico spirito umanitario della tradizione illuminista-giacobina, e le ricerche sul campo; altra difficoltà, la mancanza di testi di consultazione (all'epoca, non erano ancora state pubblicate i grandi repertori di de Candolle e Sprengel, che per le piante americane in modo diverso tanto dovettero proprio alle ricerche del nostro). Così, la sua avventura americana fu costellata di progetti e ripensamenti: in una lettera a Colla, annuncia che intende visitare sistematicamente tutto l'arco delle Piccole Antille (Marie-Galante, Dominica, Martinica, St. Lucia, St. Vincent, Barbados, Grenada, Tobago, Trinidad), per poi raggiungere il delta dell'Orinoco. Il percorso reale fu tutt'altro: lasciata Guadalupe nel luglio 1818, visitò due isole all'epoca sotto dominio danese, St. Thomas e St. Croix; passò poi a Porto Rico, lussureggiante per la flora, ma deludente per il dispotismo e l'arretratezza civile. Tra 1819 e 1820 visitò le due parti di Hispaniola, quella orientale ancora colonia spagnola, e quella occidentale, divenuta nel 1804 repubblica indipendente con il nome di Haiti. Da qui, tra 1820 e 1821, si spostò verso le coste dell’attuale Colombia. La guerra civile che imperversava nel paese lo spinse a lasciare quell'area di per sé promettente; dopo aver toccato ancora la Giamaica, a ottobre era di nuovo in Europa. Il viaggio continua: Cile, Juan Fernandez, Tahiti Desiderava soprattutto incontrare Balbis (che ormai si era trasferito stabilmente a Lione) e riordinare le proprie collezioni. Probabilmente, pur non manifestando apertamente la sua delusione per rispetto del maestro, non fu soddisfatto nello scoprire che Balbis, invece di tenere riuniti gli esemplari che egli gli aveva inviato tra tante difficoltà, li aveva distribuiti, generosamente ma altrettanto sconsideratamente, agli studiosi interessati, disperdendo una collezione che solo chi l'aveva raccolta avrebbe potuto ordinare e catalogare in modo completo. Rientrato ad Alba alla fine dell'anno, erborizzò ancora intensamente in Piemonte, ma crescevano la frustrazione e il desiderio di ripartire. Nel 1825 collaborò con Moris che stava esplorando la flora sarda, ma pasticci burocratici trasformarono anche questa opportunità in un fallimento, nonostante gli ottimi rapporti personali con il collega. Quando, all'inizio del 1827, la morte della amata madre sciolse l'ultimo legame con il Piemonte, capì che era ora di mettersi di nuovo in viaggio. Cercava una meta poco battuta dai botanici, e su suggerimento di de Candolle, che incontrò a Parigi, scelse il Cile. In effetti quell'angolo del Sud America, se si escludono il viaggio di Feuillé all'inizio del Settecento e il capitolo sulla vegetazione nel Saggio sulla storia naturale del Cile dell'abate Molina, era quasi sfuggito ai botanici. Ancora una volta, Bertero dovette muoversi in modo individuale; è vero che a Parigi molti colleghi lo avevano blandito e corteggiato, ma egli dovette amaramente constatare che in realtà speravano di sfruttarlo per ottenere l'invio di qualche pianta rara; lo stesso de Candolle gli offrì del denaro per raccogliere piante per lui, proposta che egli respinse con sdegno, nonostante l'amicizia personale che lo legava allo svizzero. Accettò invece che pubblicasse le sue specie e le sue descrizione nel Prodromus, come male minore, prima che lo facesse qualcun altro. Strinse anche un accordo con il barone Delessert: dal Cile avrebbe inviato i suoi esemplari a lui, che avrebbe custodito le collezioni fino al ritorno di Bertero, distribuendo una copia ciascuno a Balbis, Colla, de Candolle e trattenendone una per sé. Tuttavia il pur ricco barone non finanziò il viaggio, che Bertero ancora una volta si pagò con la sua attività di medico. Anche in questo caso si imbarcò come medico di bordo; partito da Le Havre nella seconda metà di ottobre 1827, sbarcò a Valparaiso nel febbraio dell'anno successivo. Anche in Cile alternò all'attività di ricerca la professione medica, in condizioni tuttavia ben più difficili di quelle già complesse che aveva incontrato nelle Antille. Nel paese era difficile spostarsi per l'assenza di strade, il territorio battuto da banditi, la resistenza endemica degli indios mapuche; il livello culturale era basso (da un medico ci si aspettava che ti guarisse subito, altrimenti meglio gli intrugli tradizionali) e la natura ostile, con piogge incessanti e frequenti terremoti. In quegli anni, il territorio del Cile, ancora oggi un lungo petalo stretto tra le Ande e l'Oceano Pacifico, come ebbe a definirlo Neruda, aveva un territorio di circa un terzo di quello attuale, che rispetto alla capotale si estendeva per circa 500 km a Nord (fino a La Serena, ultima città prima del deserto di Atacama) e altrettanti a Sud (fino a Concepción, sulla foce del fiume Bío-Bío). Di fatto, i viaggi di Bertero dovettero limitarsi alla valle centrale; dopo essere vissuto per qualche tempo nei villaggi di Rancagua e San Fernando, si stabilì essenzialmente tra la capitale Santiago e il porto di Valparaiso, da dove partivano i suoi periodici invii di piante essiccate e semi per l'Europa. Per qualche tempo, a quanto pare, insegnò anche disegno naturalistico all'Instituto National e tra il 1828 e il 1829 pubblicò sulla rivista Mercurio cileno la sua unica opera edita, Lista de las plantas que han sido observadas en Chile por el Dr. Bertero en 1828, in cui passa in rassegna le piante da lui osservate nel paese, indicate con il nome latino e quello locale (prive di descrizione, non sono tuttavia valide ai fini dell'attribuzione del nome botanico). Tra le escursioni più ricche di scoperte quella che lo portò a risalire la valle andina del fiume Aconcagua, fino a Quillota. Nel 1829 o nel 1830 Bertero conobbe il viaggiatore inglese Alexander Caldcleugh, appassionato di mineralogia e di botanica. Costui, di ritorno da un viaggio in Brasile e Argentina, aveva visitato brevemente Más a Tierra, l’isola principale dell'arcipelago Juan Fernández, oltre 600 km al largo di fronte a Valparaiso. Nacque così l'idea di recarsi in quel luogo remoto e singolare, che insieme al nuovo amico il piemontese esplorò dal marzo al maggio 1830. Era la prima spedizione di un botanico professionista in una terra ricca di endemismi, dove egli raccolse 330 specie, di fatto quasi l'intero catalogo della flora dell'isola. Ma sulle Juan Fernández, oggi riserva della biosfera, vorrei tornare in un altro post, visto che non mancano le storie da raccontare. Si trattava di un'impresa di grande valore che forse avrebbe potuto aprire a Bertero le porte di un incarico prestigioso, come la direzione del Museo nazionale cileno. Tuttavia, proprio mentre il piemontese era a Más a Tierra, il governo liberale con il quale probabilmente aveva avuto contatti, come dimostrerebbe la sua collaborazione al Mercurio cileno, venne rovesciato e si impose un regime autoritario. Furono forse queste circostanze a spingere Bertero, privo di appoggi e credenziali internazionali, a partire per una meta ancora più remota: Tahiti. A proporglielo fu il belga Jacques Antoine Morenhout, che aveva stabilito un proficuo commercio di madreperla, legname, olio di cocco tra Cile e isole del Pacifico, con centro a Tahiti, dove aveva una casa. Poco sappiamo del soggiorno di Bertero a Tahiti, che dovette durare sei mesi; nell'aprile 1831, essendo venuto a sapere (con dieci mesi di ritardo) della rivoluzione di luglio in Francia, si imbarcò alla volta di Valparaiso, dove aveva lasciato i suoi materiali e da dove intendeva tornare in Europa. Ma la nave su cui si era imbarcato, appartenente a Morenhout, non arrivò mai in porto. Il belga ne concluse che doveva aver fatto naufragio dopo aver lasciato Raiatea, un'isola a 290 km a nord-ovest di Tahiti, da dove Bertero gli aveva inviato la sua ultima lettera il 15 aprile 1831. In ricordo, battezzò Bertero Reef, scogliera di Bertero, un gruppo di isolotti e scogli corallini della Polinesia francese dove verosimilmente potrebbe essere avvenuto il naufragio. Una sintesi della vita avventurosa del botanico piemontese nella sezione biografie. La dispersione delle collezioni Vicende altrettanto sfortunate ebbero le sue collezioni. Come ho già accennato, molti degli invii ricevuti dalle Antille da Balbis, furono da quest'ultimp dispersi tra numerosi colleghi; inoltre Balbis consegnò (prestò?) a de Candolle il diario di campo del viaggio che Bertero gli aveva donato, perché se ne servisse per la stesura del Prodromus (lo svizzero vi attinse a piene mani, talvolta anche riproducendo le descrizioni di Bertero parola per parola). Per fortuna, nel 1857, grazie a suo figlio Alphonse il prezioso manoscritto tornò a Torino; si tratta di 14 quaderni di campo, per un totale di oltre 1000 pagine, dove Bertero annotò 1746 raccolte, con una descrizione minuziosa, habitat, luogo di raccolta, nomi comuni, usi officiali locali, accompagnati talvolta da una discussione sistematica e tassonomica e da precisi disegni di dettagli morfologici. Le piante essiccate raccolte nelle Antille sono in parte confluite negli erbari di Colla e Balbis, ora presso l'Orto botanico di Torino, in parte disperse in dozzine di erbari sparsi per l'Europa. Non possediamo purtroppo i diari di campo relativi a Cile, Juan Fernandez e Tahiti. Dopo la morte del congiunto, gli eredi di Bertero misero all'asta i materiali conservati presso il barone Delessert (circa 15000 esemplari) e, benché i botanici torinesi fossero riusciti a raccogliere la somma necessaria tramite una sottoscrizione, ad aggiudicarseli fu una ditta tedesca che a sua volta li vendette tanto a istituzioni scientifiche quanto a collezionisti privati, disperdendo anche questa collezione. Un piccolo erbario di circa 400 esemplari rimase in Cile, dove costituisce la collezione più antica dell'erbario del Museo Nacional de Historia Natural di Santiago. A questo punto, il più importante depositario della memoria di Bertero rimase Colla, che sulla base degli invii dell'amico ne aveva pubblicato un parziale catalogo già nel 1829 in Plantae rariores ex regionibus chilensibus a clarissimo C. G. Bertero nuper detectae et ab. L. Colla in lucem editae. Ma anche su Colla tornerò in un altro post. La modesta Berteroa Benché queste sfortunate vicende abbiano privato Bertero della gloria che sognava e ben meritava, il valore del suo lavoro non sfuggì ai botanici contemporanei, come dimostrano le varie dediche che ricevette in vita e dopo la morte. Intanto l'imponente numero di piante contrassegnate dagli specifici bereteroi, berteroanus (oltre 300) sta a dimostrare l'importanza del suo contributo alla conoscenza della flora delle Americhe. Tre sono i nomi specifici che gli sono stati dedicati (cui si aggiunge il fungo Berteromyces Ciferri). Il più antico (e unico oggi valido) è Berteroa, creato da de Candolle nel 1821, separando B. incana dal linneano Alyssum. Seguì nel 1854 E. G. von Steudel che, anagrammando la denominazione, creò Terobera (oggi sinonimo di Machaerina Vahl); infine nel 1919 O.E. Schulz assegnò una Brassicacea affine a Berteroa al nuovo genere Berteroella (oggi sinonimo di Stevenia). Il genere Berteroa, della famiglia Brassicaceae, comprende cinque specie di erbacee annuali, biennali o perenni di breve vita distribuite tra Mediterraneo e Asia occidentale, dall'Italia alla Turchia, con massima concentrazione nella penisola balcanica. La più nota è B. incana, un'erbacea abbastanza invasiva che si è infatti diffusa al di fuori dell'area originaria, per altro difficile da determinare, ed ora è presente dall'Europa occidentale fino alla Siberia; si è anche ampiamente naturalizzata negli Stati Uniti dove è considerata un'infestante. In Italia sono presenti tre specie, appunto B. incana (Italia settentrionale e forse centro-settentrionale, Basilicata), B. mutabilis (solo in Calabria), B. obliqua (Italia centro meridionale, a partire dal Lazio). Tendono a crescere in ambienti disturbati caldi e aridi; i fiori generalmente bianchi, portati su lunghi racemi, hanno quattro petali profondamente divisi e sono seguiti da silique ovoidali. Qualche informazione in più nella scheda.
1 Comment
Paola Baghino
11/8/2019 11:40:02 am
Lieta di aver capito chi era il Bertero che aveva dato il nome a una pianta come la Berteroa incana, che sarà invadente (all'estero?) ma qui l'ho reperita finora solo sull'altipiano alle spalle di Bressanone, caldo e siccitoso, forse ricordo di campi di cereali ora sostituiti dalle mele.
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