Esponente di spicco della scienza, della teologia e della politica svedese e finlandese della prima metà del Settecento, Johannes Browallius è poco noto al di fuori della Svezia e della Finlandia, tranne forse per l'abile difesa del sistema linneano contro gli attacchi di Siegesbeck. Più che per i suoi contributi originali (che scopriamo tutt'altro che secondari) all'estero è soprattutto un amico di Linneo o, magari, un ex-amico. Se sia vero o falso, scopriamolo insieme, anche seguendo le vicende delle denominazioni linneane delle specie del genere Browallia (Solanaceae) che si vuole riflettano gli alti e bassi di quella amicizia. ![]() Linneo innamorato Nel dicembre del 1733, Linneo (all'epoca ventiseienne) fu invitato da uno dei suoi allievi ed amici, Claes Sohlberg, a trascorrere le vacanze di Natale con la sua famiglia, a Falun, in Dalarna, dove il padre era ispettore minerario. Era una buona occasione per visitare la miniera di rame, per approfondire gli studi di mineralogia cui si era già accostato durante il viaggio in Lapponia, e magari per fare qualche conoscenza utile alla sua carriera scientifica. Non si sbagliava: strinse amicizia con il giovane teologo Johannes Browallius (1707-1755) con il quale aveva molto in comune: erano coetanei, avevano studiato ad Uppsala e soprattutto erano entrambi assetati di conoscenza. Il nuovo amico lo introdusse presso il governatore del Dalarna Niels Reuterholm, per il quale lavorava come cappellano, informatore scientifico e precettore dei figli. Entusiasta del racconto del viaggio in Lapponia, il governatore commissionò a Linneo una spedizione analoga nella regione, che in effetti avrebbe avuto luogo nell'estate successiva (3 luglio-17 agosto 1734). Fu un’ancora di salvezza per Linneo, che nel frattempo era stato allontanato dall’università di Uppsala in seguito al brutto affare con Niels Rosén. Al rientro dal viaggio, al quale avevano partecipato tra l’altro Sohlberg e i due figli di Reuterholm, si stabilì a Falun, dove il governatore gli concesse di utilizzare il laboratorio della miniera e di aprire una piccola accademia privata, dove insegnava mineralogia; era una soluzione di ripiego e senza grandi prospettive. Secondo Browallius, la vera soluzione era un’altra: doveva andare all’estero, laurearsi in medicina (le università svedesi non erano abilitate a farlo) e, una volta laureato, tornare in Svezia ad esercitare la professione. Non aveva i soldi per il viaggio? Allora era il caso di trovare una fidanzata ricca. Sembra che gli abbia anche proposto vari partiti, ma senza successo. La freccia di Cupido, infatti, aveva già trafitto il cuore di Linneo. Tra coloro che seguivano le sue conferenze, che in quella piccola località di montagna di meno di 7000 abitanti destarono una certa sensazione, c’era anche il medico cittadino Johan Moraeus; Linneo cominciò a frequentarne la casa e si innamorò di una delle sue figlie, la diciassettenne Sara Elizabeth detta Sara Lisa. Squattrinato com’era, è strano che pensasse a sposarsi (anche se il dottor Moraeus era agiato, aveva sette figli, e Sara Lisa non era certo l’ereditiera favoleggiata da Browallius), ma sembra che a deciderlo a quel passo sia stata la morte della madre, deceduta ad appena 44 anni. In ogni caso, intraprese un serrato corteggiamento che conosciamo a grandi linee grazie al suo diario privato (laconico ma esplicito). Il giorno di Natale 1734 Linneo fu invitato a pranzo a casa Moreus. Il 2 gennaio 1735, per fare colpo, vi andò in visita vestito con il famoso costume lappone. Il giorno dopo, ripeté la visita approfittando dell'assenza dei genitori. Seguirono altre visite e incontri in casa di amici comuni, finché il 16 gennaio ("un giorno di immortale commemorazione", scrisse nel suo diario) Linneo fece la sua proposta a Sara Lisa e fu accettato. Il 20 gennaio chiese la mano al padre, che era molto perplesso: lui stesso medico, sperava per la figlia un matrimonio finanziariamente più promettente; ancora più contraria era la madre. Alla fine il dottore cedette, ma pose due condizioni: il matrimonio sarebbe avvenuto entro tre anni e nel frattempo Linneo doveva andare all'estero a laurearsi in medicina, in modo da poter mantenere la futura famiglia (i pareri di Perpetua… ovvero di Browallius). Il 22 gennaio i fidanzati si scambiarono gli anelli e i voti di fedeltà. Fu deciso che Linneo sarebbe andato a laurearsi a Hardwijk, la più economica delle università olandesi; insieme a lui sarebbe partito Claes Sohlberg, il cui padre avrebbe pagato il viaggio del figlio e di Linneo; Sara Lisa gli passò sotto banco i suoi risparmi, un centinaio di corone, e, dopo baci e abbracci il 20 febbraio il neofidanzato lasciò Falun per la Svezia meridionale dove avrebbe salutato la famiglia, per poi partire per l’Olanda. ![]() Una leggenda botanica L'amicizia con Linneo fu determinante anche per Browallius, che da quel momento intensificò i suoi interessi scientifici. Ispirato dalla spedizione lappone dell'amico, nel 1735 e nel 1736 intraprese due viaggi scientifici che dalla Dalarna lo portarono in Norvegia. Si mantenne in corrispondenza con Linneo (che, ad esempio, informò anche lui che si sarebbe trattenuto in Olanda essendo stato assunto come medico personale e curatore del giardino di Clifford) e nel 1737 gli spedì uno suo testo in svedese sulla necessità di introdurre l'insegnamento scientifico nelle scuole superiori, che Linneo tradusse in latino e pubblicò in appendice a Critica botanica, l'opera in cui dettò le regole per la formulazione dei nomi delle piante. Ma a un certo punto, secondo la vulgata, sarebbe successo un fattaccio che avrebbe messo fine alla loro amicizia. La versione più nota è quella del Curtis's Botanical Magazine (1838) che riprende e amplia una notizia del Codex botanicus linnaeanus di Hermann Richter (1837). Ecco dunque i fatti: mentre si trovava all’estero, qualcuno informò Linneo che Browaliius aveva approfittato della sua assenza per corteggiare Sara Lisa ed era quasi riuscito a convincerla a lasciare il fidanzato che, a quando le diceva, non aveva alcuna intenzione di tornare in Svezia. Fu una delusione cocente per Linneo che troverebbe riflesso nelle denominazioni delle tre specie del genere Browallia che egli aveva incautamente dedicato all’ex-amico: B. elata ("alto, elevato, nobile") rappresenterebbe il momento più alto della loro amicizia; B. demissa ("basso, debole, pendente" ma in questo caso "scoraggiato") la rottura, mentre B. alienata, oltre all'incerta natura di questa specie, la successiva separazione tra i due. Un’altra versione meno popolare (la troviamo ad esempio nella Revue scientifique, 1865) sostiene che Linneo chiamò la prima specie di Browalllia a lui nota B. demissa; aveva bei fiori, ma il suo portamento ricadente ben rifletteva l’atteggiamento umile, dimesso, di Browallius nei suoi confronti; egli si mantenne umile e rispettoso anche quando divenne vescovo, così Linneo chiamò B. elata una seconda specie più alta; con il tempo, però, il vecchio amico insuperbì e incominciò a trattare Linneo in modo ingiusto; così, quando venne scoperta una terza specie piena di spine fu la volta di B. alienata, a suggellare la fine di un’amicizia. Quanto c’è di vero in queste storie? Nulla, secondo la biografia di Linneo di Theodor Magnus Fries e Banjamin Daydin Jackson, che ritengono che alla base di questa vera e propria leggenda metropolitana ci sia un equivoco. Effettivamente tra Browallius e Linneo ci fu se non uno scontro, una differenza di vedute, ma non riguardava la mano di Sara Lisa, bensì il livello del mare. In un importante articolo supplicato dall’Accademia svedese delle scienze nel 1743, l’amico di Linneo Anders Celsius (colui che inventò la scala centimetrica delle temperature) spiegò l'innalzamento delle terre emerse con la lenta diminuzione del volume delle acque oceaniche; Linneo appoggiò questa tesi; vi si opposero invece altri studiosi, tra cui appunto Browallius in saggio pubblicato postumo nel 1756 in cui vi contrappose una grande massa di misurazioni che dimostravano il contrario. Ma torniamo a Browallia e proviamo a verificare se il piccolo affaire de coeur regge alla prova dei fatti. Nel 1735 Philip Miller ricevette da Panama i semi di una pianta che coltivò a Chelsea e chiamò Dalea; presumibilmente in occasione del suo viaggio in Inghilterra dell’estate del 1736, ne fece parte a Linneo che decise di dedicare la pianta, appartenente a un nuovo genere, all’amico Browallius; il genere Browallia compare per la prima volta proprio in Critica botanica (maggio 1737) tra le denominazioni dedicate a “celebri botanici” senza altre indicazioni che “a Browallius svedese, 1737”; nessuna indicazione neppure nella prima edizione di Genera plantarum, uscita a Leida lo stesso anno. Contemporaneamente Linneo stava scrivendo Hortus cliffortianus (sul frontespizio compare la data di stampa 1737, ma in realtà uscì nel 1738) dove invece troviamo una lunga e sperticata dedica in cui il “chiarissimo teologo e maestro Johannes Browallius” viene dipinto come un erudito universale, versato in ogni ramo delle scienze naturali dalla litografia alla botanica alla zoologia. Al genere è attribuita una sola specie, di cui viene dato il nome descrizione; il binomiale compare per la prima volta quasi vent’anni dopo, nella prima edizione di Species plantarum (1753) e non è nessuno di quelli citati, ma banalmente Browallia americana. I famosi nomi Browallia demissa, B. elata, B. alienata compaiono in quest’ordine (dunque demissa precede elata) solo nella decima edizione di Systema naturae (1758-59); Linneo si è convinto che ci siano almeno due specie di Browallia, una che reca un solo fiore per peduncolo, che chiama B. demissa; un’altra con fiori riuniti in mazzi, che chiama B. elata; ce n’è poi una terza alquanto differente, B. alienata, che in precedenza aveva classificato come Ruellia paniculata. Non c’è bisogno di evocare né love story né la superbia di Browallius per spiegare questi nomi: B. americana (è tornata a chiamarsi così per la regola della priorità) è una specie molto variabile che può avere portamento ricadente (demissus) o eretto (elatus); quanto a B. alienata, aveva ragione il Linneo del 1753: il nome corretto è Ruellia paniculata (ed appartiene a tutt'altra famiglia). Aggiungiamo ancora un dato: il 12 febbraio 1737 Browallius sposò Elisabet Ehrenholm. Come abbiamo visto, dopo la partenza di Linneo, anche lui si mise in viaggio e ritornò a Falum solo nell'autunno o nella tarda estate del 1736. Quando sarebbe avvento il fattaccio? Possiamo ipotizzare che nell’arco di pochi mesi Browallius abbia corteggiato Sara Lisa, sia stato respinto, per poi fidanzarsi e sposarsi con un’altra, e Linneo sia venuto a saperlo solo nella seconda metà del 1737 o addirittura nel 1738? La biografia di Browallius pubblicata dall'archivio di stato svedese ammette una breve rottura, subito ricomposta, ma le lodi sperticate di Linneo all'amico rendono poco credibile anche questa ipotesi. Tanto meno è credibile che abbia covato il suo astio per vent’anni, dandogli libero sfogo quando ormai Browallius era morto e sepolto. Tanto più che, come vedremo tra poco, aveva un debito di riconoscenza non da poco nei suoi confronti; testimonianze dirette e corrispondenza stanno lì a dimostrare che l'amicizia, magari affievolita dalla distanza e dagli impegni di entrambi, non venne mai meno. ![]() Uno scienziato, insegnante, pastore e politico molto impegnato Dissipata la nebbia delle leggende, veniamo al vero Browallius, una personalità di primo piano dell’Illuminismo svedese. Il 1737 per lui fu un anno di svolta; oltre a sposarsi, scrisse due importanti testi teorici che gli aprirono le porte dell'insegnamento universitario: il trattato De scientia naturali eiusque metodo, dedicato allo statuto e ai metodi delle scienze naturali, e un saggio in svedese di politica educativa in cui sosteneva l’utilità dell’introduzione dell’insegnamento della scienza nelle scuole, in particolare nei ginnasi (quello tradotto in latino da Linneo). Grazie ad essi, il cancelliere dell'Università di Abo/ Turku Ernst Johan Creutz ne caldeggiò la nomina a professore di fisica (un’etichetta che copriva un po’ tutte le scienze naturali): Browallius, versato in molte scienze, con un solido impianto teorico e aperto alla ricerca sperimentale, gli pareva la persona giusta per modernizzare l’insegnamento universitario aprendolo alle scienze esatte e naturali. La nomina di Browallius segnò per la Finlandia l'inizio di quella che è stata chiamata "età dell'utile", ovvero di un illuminismo che vedeva nella scienza lo strumento centrale per rinnovare l'economia e la società. Nominato professore nel novembre 1739, egli inaugurò il suo corso nel 1738 e mantenne la cattedra fino al 1746; le sue lezioni toccarono tutti i rami delle scienze naturali, nonché il loro intreccio con la teologia; seguì (o meglio scrisse, secondo l'uso del tempo) 49 tesi che toccano argomenti che spaziano dalla fisica sperimentale alla mineralogia, dalla chimica alla zoologia e alla botanica. Nelle sue lezioni insistette sull'utilità delle scienze applicate alla tecnica e all'economia; rifacendosi a Bacone, Newton e Linneo, il suo insegnamento aveva un carattere spiccatamente sperimentale. Lo sperimentalismo è particolarmente evidente nel campo della chimica, in cui il suo maggiore contributo furono le ricerche sull'arsenico, il suo ossido e il solfuro, che ne fanno il precursore del nipote Johann Gadolin (figlio di sua figlia Elisabet), considerato il fondatore della chimica finlandese. Riservò molta attenzione anche alla botanica. Come Linneo, accompagnava gli studenti in escursioni botaniche e lasciò manoscritta una flora finlandese; scrisse non meno di dodici trattati di argomento botanico, molti dei quali dedicati alla botanica economica. Ottenne che l'Università finanziasse ogni anno una borsa di studio per esperimenti botanici e coltivazioni sperimentali. Tra i suoi allievi il più noto è Pehr Kalm, che fu in un certo senso anche l'erede di questa impostazione scientifica fortemente ancorata all'economia. Sostenitore della prima ora del sistema linneano, di cui si può dire abbia visto la nascita discutendone con il creatore negli anni di Falun, Browallius esordì come scrittore scientifico nel 1739 con un trattato in sua difesa che gli diede anche una certa rinomanza all'estero, oltre a rendere all'amico un servizio incommensurabile. Linneo era tornato in Svezia alla fine del giugno 1738; andò subito a Falun, ma anziché rimanervi come assistente del suocero, come questi aveva progettato, decise di esercitare la professione a Stoccolma, dove avrebbe avuto più possibilità di lanciare la sua carriera scientifica, forte dei tanti scritti epocali pubblicati in Olanda e della crescente fama europea. Scoprì amaramente che i due pamphlet di Siegesbeck che presentavano il suo sistema come "pornografia botanica" gli avevano fatto intorno terra bruciata; come scrisse a Albrecht von Haller, forse con un po' di esagerazione, era diventato la favola della città, tanto che gli era difficile persino trovare un servitore disposto a lavorare per lui e nessuno gli avrebbe fatto curare neppure un cane. A suo tempo aveva promesso a Boerhaave di non farsi trascinare in una nessun disputa scientifica e non intendeva rispondere di persona; a farlo per lui fu dunque Browallius. In Examen epicriseos in Systema plantarum sexuale Cl. Linnaei, Anno 1737 Petropoli evulgatae, auctore Jo. Georgio Siegesbeck, pubblicato nel 1739, egli smontò punto per punto le critiche di Siegesbeck, dimostrandone l'infondatezza tanto scientifica quanto morale e teologica; un solo rilievo poteva essere mosso al sistema linneano: una medesima classe poteva riunire piante molto diverse; era però un difetto comune a tutti i sistemi artificiali, che sarebbe stato superato solo quando fosse stato possibile stabilire un sistema naturale, verso il quale il sistema di Linneo era un passo avanti, visto che conteneva più gruppi naturali di ogni sistema precedente. La serrata e lucida argomentazione (che certo fu discussa e preparata con lo stesso Linneo) ristabilì l'onore scientifico e personale del "principe dei botanici", tanto più che l'aveva scritta un teologo e un rispettato ecclesiastico. Browallius, infatti, affiancava all'attività scientifica e didattica un forte impegno pastorale: fin dal 1738 fu nominato vicario della parrocchia di Pikis, che forniva le prebende da cui dipendeva la sopravvivenza dell'Università; come predicatore, dovette imparare il finlandese e lo fece così bene e in fretta che presto fu coinvolto nella revisione della nuova Bibbia della chiesa finlandese. Nel 1740 presentò la tesi De coercitione hereticorum e fu dichiarato dottore in teologia; lo stesso anno fu promosso diacono e vicario della parrocchia di Turku. Nel 1746 lascò la facoltà di filosofia per assumere la cattedra di teologia; nel 1749 divenne vescovo della diocesi di Abo/ Turku. L'ascesa nella gerarchia ecclesiastica promosse la sua carriera politica. Benché il suo primo sponsor fosse stato Ernst Johan Creutz, noto esponente del partito dei berretti, Browallius si schierò con i "cappelli", la cui politica culturale includeva la promozione delle scienze ritenute utili e l'estensione dell'uso dello svedese a discapito del latino. Scelto come esponente del clero nel parlamento del 1746-47, sostenne vigorosamente le posizioni del partito dei cappelli, entrando a far parte di varie commissioni. Ancora più rilevante fu il suo ruolo nel parlamento del 1751-52 come membro del comitato segreto; nell'ambito della discussione sui principi dello stato nel memoriale Sui concetti fondamentali della forma del governo sostenne la sovranità popolare espressa in forma repubblicana, rifacendosi ai costituzionalisti inglesi e al pensiero di Locke. Nello stesso spirito, chiese che l'educazione del principe ereditario includesse fin dall'inizio l'avversione per l'autocrazia, "contraria alla legge di natura e all'economicità". Ovviamente, anche se ottenere qualche ascolto, queste posizioni non furono divulgate all'esterno del Consiglio segreto. In ogni caso, Browallius era probabilmente sulla strada di diventare arcivescovo, quando morì improvvisamente nel 1755, a soli 48 anni. ![]() Fiori di zaffiro Browallia L. è un piccolo genere di erbacee annuali o perenni della famiglia Solanaceae, diffuse dall'Arizona alle Ande tropicali, passando per il Messico, l'America centrale e le Antille. Assai discusso il numero di specie attribuite, che a seconda degli autori varia da 6-7 a 19; è affine al genere monotipico Streptosolen, la cui unica specie S. jamesonii era un tempo classificata come B. jamesonii. Il diverso numero delle specie riconosciute è legato alla variabilità morfologica delle specie stesse (che, come abbiamo visto, trasse in inganno già Linneo) ma soprattutto a scoperte recenti in particolare nell'area peruviana, dove a partire dal 1995 alla lista della specie note è venuta ad aggiungersi una dozzina di specie scoperte dal team coordinato da S. Leiva Gonzales, il quale è il primo a riconoscere che "il genere richiede maggiori osservazioni sul campo, studi cito-genetici e molecolari per poter delimitare le specie". Le nuove arrivate non sono solo peruviane, tanto più che qualche specie sembra fatta apposta per eludere le ricerche dei botanici, come è il caso di B. eludens: fu descritta per la prima volta nel 1993 ed oggi ne sono conosciute popolazioni disgiunte in una singola località dell'Arizona sud-orientale e in poche località negli stati messicani di Chihahua e Sonora, dove sembra confinata ad habitat con estati temperate e umide lungo i confini delle boscaglie sempreverdi della Sierra madre occidentale. E' un'annuale strettamente legata al regime delle piogge, con un breve ciclo vitale; il che significa che negli anni di scarsa pioggia può scomparire ed essere più abbondante dove trova l'habitat giusto. Si distingue dalle altre specie per i fusti non ramificati e per i fiori bianchi. Per variabilità la campionessa sembra essere la specie tipo B. americana, che infatti ha collezionato una ventina di sinonimi: variano il portamento, eretto oppure decombente, le dimensioni, la presenza o l'assenza di peli ghiandolari, la forma e la dimensione delle foglie, il colore dei fiori (bianchi, azzurri, azzurri con una macchia bianca, malva, viola) solitari o riuniti in piccoli gruppi. Anche se non sono molto grandi, sono molto numerosi, rendendo questa specie decisamente decorativa; è dunque una pianta da giardino molto apprezzata, soprattutto in una delle sue varietà con fiori più grandi, spesso commercializzata sotto il sinonimo B. grandiflora. Come annuale da giardino, è coltivata anche B. viscosa, caratterizzata da fiori blu con centro bianco La specie più diffusa in case e giardini è però B. speciosa, originaria di Costa Rica, Panama, Colombia, Ecuador e Perù; è perenne, ma da noi è spesso trattata come annuale. Di portamento piuttosto cespuglioso e ramificato, adatta anche alla coltivazione in vaso e in cestini appesi, sta conoscendo una crescente popolarità per il colore insolito dei fiori blu-viola, cui deve il nome comune fior di zaffiro, l'abbondanza dei fiori, che può essere favorita da opportune cimature, e il lungo periodo di fioritura, che si protrae da giugno a settembre. Tra le varietà più note 'Blue Troll', di portamento compatto con fiori blu e centro bianco, e 'White Troll' con fiori bianchi. Viene anche commercializzata come pianta d'appartamento, spesso trattata con nanizzanti per mantenere il portamento compatto. L'ultima novità sono gli ibridi, caratterizzati da fioriture prolungate e da fiori particolarmente grandi e numerosi, come 'Illumination' (blu scuro) e 'Flirtation' (bianca) della serie Endless, indicati anche per aree in mezz'ombra.
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Linneo soprannominò eristici, ovvero seguaci di Eris, la dea della discordia, i botanici delle generazioni immediatamente precedenti, impegnati in polemiche tanto feroci quanto sterili a difesa dei rispettivi sistemi di classificazione delle piante. Il più litigioso era indubbiamente lo scozzese Robert Morison, che non si peritava ad attaccare a testa bassa i botanici del passato e del presente, definendo i loro errori "allucinazioni". Da loro pretendeva di non aver appreso nulla e di aver tratto il suo nuovo metodo dalla natura stessa; molto probabilmente a ispirarglielo era stato invece Cesalpino, che però non cita mai. Pagò cara questa arroganza: i botanici successivi lo ripagarono della stessa moneta, attingendo alla sua opera pionieristica sotto traccia e censurando con altrettanta asprezza le sue pretese. Tra i critici più recisi lo stesso Linneo, che tuttavia gli dedicò il genere Morisonia (Capparaceae), che, manco a farlo apposta, suscita polemiche altrettanto roventi. ![]() Formazione: Francia, Parigi e Blois Nel 1637, contro la pretesa del re d'Inghilterra Carlo I di imporre vescovi di propria scelta e un nuovo libro di preghiere sul modello anglicano, i presbiteriani scozzesi, con un patto giurato (Covenant) proclamarono che avrebbero difeso la loro fede fino alla morte. Ben presto si arrivò alla guerra aperta (prima e seconda guerra dei vescovi, 1639-1640), preludio alla rivoluzione inglese che avrebbe portato alla decapitazione del re e all'instaurazione del Commonwealth. Il solo fatto militare di una certa importanza della Prima guerra dei vescovi fu la battaglia del Bridge of Dee (18-19 giugno 1639) con la quale i Covenanter riuscirono a strappare alle truppe fedeli al re il controllo del ponte che dava accesso alla città di Aberdeen; tra coloro che militavano nell'esercito realista c'era anche il diciannovenne Robert Morison (1620-1683) che rimase gravemente ferito alla testa. Dopo la guarigione, come altri oppositori dei Covenanter che ormai controllavano la Scozia, decise di lasciare il paese e di rifugiarsi in Francia. Ci sarebbe rimasto vent'anni, cambiando del tutto il proprio destino. Anziché uomo di Chiesa, come avrebbe voluto la famiglia, divenne medico, naturalista e botanico. A Parigi, il suo primo rifugio, oltre a mantenersi come precettore del figlio di un certo consigliere Bizet, poté seguire lezioni di anatomia, zoologia, mineralogia, chimica e botanica, presumibilmente nel neonato Jardin des Plantes, dove fu allievo di Vespasien Robin. Nel 1648 si laureò in medicina a Angers, quindi nel 1649 o 1650, su raccomandazione di Robin, entrò al servizio dello zio del re, il principe Gastone d'Orlèans. Vale la pena di dedicare qualche riga a questo personaggio, che Morison proclamerà "patrono di tutti i botanici e mecenate veramente regale, versatissimo nell'arte botanica", tanto più che gli sono stati dedicati ben due generi di piante (entrambi oggi ridotti a sinonimi): Borbonia da parte di Plumier e Gastonia da parte di Commerson. Come politico, il duca d'Orlèans gode pessima stampa: intrigante e inconcludente, coinvolto in mille congiure tutte finite male, pronto a salvare la pelle abbandonando i suoi seguaci; brilla invece come mecenate delle arti e delle scienze, creatore della più vasta collezione di medaglie e antichità d'Europa, di una prestigiosa biblioteca, di un gabinetto scientifico e di collezioni d'arte. Della botanica era cultore più che dilettante grazie agli insegnamenti del medico che lo seguiva fin dalla nascita, il protestante Abel Brunier (o Brunyer, 1572-1665). Testimonianze del tempo riferiscono che conoscesse a memoria il nome di "tutte le erbe" (i comodi nomi binomiali di Linneo erano al di là da venire: siamo ancora all'epoca dei nomi-descrizione) e che amasse erborizzare, tanto che scoprì una nuova specie di trifoglio. A partire dal 1635, quando si stabilì a Blois al ritorno di un periodo di esilio, egli affidò a Brunyer, assistito dal secondo medico Jean Laugier e dal farmacista Nicolas Marchand (o Marchant), la creazione di un orto botanico, per il quale non lesinò attenzioni e spese. Dal 1644, ne fece anche immortalare le rarità su pergamena dall'abilissimo pittore Nicolas Robert: è l'inizio della spettacolare collezione nota come "Vélins du Roi". Tuttavia, dopo la morte di Richelieu nel 1642, egli si gettò nuovamente nell'agone politico e tornò a vivere a corte, portando con sé Brunyer, che per altro era ormai sulla settantina. Affidato ad altre mani, il giardino fu forzatamente trascurato. Dunque l'ingaggio di Morison, come terzo medico e botanico, era più che opportuno. E tanto più lo diverrà nel 1652, quando Mazzarino confinò il duca a Blois. Collezioni e piante divenivano ora la sola ragione di vita del principe sconfitto. Mentre l'anziano Brunyer rimaneva al suo fianco e allestiva il catalogo del giardino (Hortus Regius Blesensis, 1° ed. 1653, 2° ed. 1655), Laugier, Marchand e Morison venivano sguinzagliati per tutta la Francia alla ricerca di piante rare: come riferisce egli stesso, lo scozzese fu in Borgogna, Poitou, Bretagna (di cui esplorò le coste e le isole), Linguadoca e Provenza. Nel 1657, insieme a Laugier, esplorò l'area di La Rochelle, dove recensì 84 specie. Nel febbraio 1660 Gastone morì all'improvviso, lasciando erede delle sue collezioni il nipote Luigi XIV. Il giardino venne smantellato e Marchand, nominato direttore della coltivazione delle piante del Jardin du roi, fu incaricato di trasferire le piante nell'orto botanico parigino; anche Robert passò al servizio del re Sole, come "pittore ordinario del re per la miniatura". Una sistemazione fu offerta anche a Morison, ma eli preferì seguire in Inghilterra Carlo II, che proprio quell'anno aveva recuperato il trono. Il botanico lo aveva conosciuto proprio a Blois, durante una delle visite del re in esilio allo zio Gastone (Carlo II era figlio di Carlo I e di sua moglie Enrichetta, sorella di Luigi XIII e del duca d'Orlèans). Questa frequentazione altolocata non era l'unico lascito del decennale soggiorno a Blois. Fu quell'ambiente aperto e stimolante a fare nascere l'interesse di Morison per la classificazione delle piante. Tanto Brunyer quanto Laugier erano uomini di Montpellier: il secondo fu il maestro di Magnol, il primo sembra fosse alla ricerca di un metodo di classificazione razionale (non se ne trova però traccia nelle due edizioni del suo catalogo, semplici elenchi alfabetici). Nella fornitissima biblioteca del suo patrono, Morison poté leggere le principali opere dei botanici precedenti: De plantis di Cesalpino, l'Ekphrasis di Colonna, le opere dei fratelli Bauhin; sicuramente gli era nota anche l'opera di Boccone, che poi avrebbe contribuito a far conoscere in Inghilterra. Possiamo ipotizzare che il suo metodo sia nato dalla congiunzione tra queste letture, la ricerca sul campo e il confronto con il suo secondo maestro Abel Brunyer. Più tardi, egli lo negherà recisamente, proclamandolo un "nuovo metodo dato dalla natura, solo da me (senza arroganza) osservata, trovato da nessuno se non da me stesso". ![]() Maturità: Inghilterra, Londra e Oxford Carlo II, che a sua volta era vissuto in esilio quasi dieci anni, non di rado trattato alla stregua di un parente povero, provava ammirazione e riconoscenza per il botanico scozzese che aveva subito un lungo esilio per la causa della sua famiglia; lo nominò proprio medico personale e responsabile dei giardini reali, assegnandogli una casa a Londra e uno stipendio di 200 sterline. All'inizio del 1669, Morison pubblicò la sua prima opera, Praeludia botanica, un volume miscellaneo che riunisce tre lavori probabilmente scritti in momenti diversi. Di un certo interesse la dedica a Carlo II, in cui egli riferisce che, quando era al servizio del duca di Orlèans, aveva delineato un nuovo sistema di classificazione delle piante e che il duca gli aveva promesso di finanziare la pubblicazione di un libro per illustrarlo; ma la morte improvvisa del suo protettore aveva infranto le sue speranze. Ora si rivolgeva al re d'Inghilterra, degno nipote di tanto zio, per realizzare quel progetto che avrebbe d'un colpo reso la botanica inglese più illustre di quella italiana, francese o tedesca. La prima parte (e più cospicua del volume) è la terza edizione del catalogo dell'orto botanico di Blois, un elenco di circa 2600 piante, 260 delle quale sono indicate come nuove e sono descritte dettagliatamente in appendice. La seconda parte, Hallucinationes Caspari Bauhini in Pinace, item Animadversiones in tres Tomos Universalis Historiae Johannis Bauhini, è un feroce attacco contro gli errori di nomenclatura e classificazione dei fratelli Bauhin, puntigliosamente (e spesso non a torto) corretti e qualificati di "allucinazioni". La terza parte, Dialogus inter Socium Collegii Regii Gresham dicti et Botanographum Regium, è un dialogo sulla classificazione della piante tra se stesso e un membro della Royal Society. Morison magnifica la superiorità del proprio metodo, ma non lo descrive, limitandosi ad asserire, sulla scorta di Boccone, che la "nota generica" non deve essere tratta né dalle proprietà medicinali né dalla forma delle foglie, ma dalla fruttificazione, cioè dai fiori e dai frutti; non manca poi di stigmatizzare come "caos e confusione", pur senza citare in modo esplicito né l'opera né l'autore, il sistema elaborato da John Ray per le Tavole botaniche incluse nel saggio del vescovo Wilkin An Essay towards a Real Character and a Philosophical Language (1668). E' l'inizio di una frattura insanabile tra i due padri fondatori della sistematica britannica. Poco dopo l'uscita del libro, l'Università di Oxford gli offrì la cattedra di botanica: voluta da lord Danby all'atto di fondazione dell'Orto botanico di Oxford nel 1621, diventava effettiva solo ora, dopo un'attesa di quasi mezzo secolo. Era la prima in tutto il territorio britannico. Morison accettò e prese il nuovo incarico molto seriamente. I corsi si svolgevano nell'orto botanico per cinque settimane, nella bella stagione; una testimonianza del tempo ricorda che tre volte alla settimana il professore prendeva posto dietro un tavolo, posto al centro del guardino e colmo di piante, e le illustrava a studenti e uditori, che riusciva ad affascinare nonostante il duro accento scozzese. Per il resto dell'anno, tutto il suo impegno andava alla stesura dell'opera sognata per tutta la vita: se erano mancati i finanziamenti di due patroni regali, Gastone e Carlo II, ora Morison aveva trovato nell'Università di Oxford un sponsor disposto a pubblicare la sua opera, grazie soprattutto al sostegno dei fondatori dell'Oxford University Press John Fell del Christ Church e Obadiah Walker dell'University College. La grande opera, intitolata significativamente Plantarum Historiae Universalis Oxoniensis seu Herbarum distributio Nova per Tabulas Cognationis & Affinitatis ex Libro Naturae Observatae & Detectae, sarebbe stata il fiore all'occhiello della nova casa editrice e sarebbe stata riccamente illustrata. Morison ne diede un primo saggio in Plantarum Umbelliferarum Distributio Nova, pubblicato dalla casa editrice universitaria nel 1672. E' un fascicolo pilota il cui scopo fondamentare è sollecitare sottoscrizioni e donazioni per Historia universalis, di cui le Umbelliferae costituiranno la sezione IX; ecco perché nella Prefazione vengono finalmente presentati i principi del "nuovo metodo": "Il metodo è l'anima di ogni conoscenza: dunque in questa trattazione delle umbellifere, come pure in quella universale di tutte le piante, che promettiamo, mostreremo le note generiche ed essenziali tratte dai semi e dalla loro somiglianza, disponendo le specie in tavole sulla base di parentele e affinità. Aggiungeremo differenze specifiche tratte dalle parti meno nobili, ovvero radice, foglie, fusti, odore, sapore, colore, raccogliendo le singole specie sotto i singoli generi: in tal modo, specie riconoscibili per il diverso aspetto si schiereranno sotto generi intermedi, generi intermedi sotto generi supremi [ovvero tribù o famiglie], ciascuno distinto dalle proprietà essenziali e sempre nello stesso modo. Questo è l'ordine che la natura stessa ha dato alle piante, da me osservato per primo". Segue la trattazione delle piante con infiorescenza ad umbella, classificate sulla base delle caratteristiche dei semi, integrate con quelle di altri organi come le foglie. Morison distingue le Umbelliferae vere e proprie dalle Umbellae improprie dicto, dove troviamo generi come Valeriana, Filipendula e Thalictrum, e determina con chiarezza generi e gruppi di generi, le cui parentele e affinità sono illustrare da otto diagrammi (tabulas cognationis & affinatatis). La prima delle venti tavole calcografiche (le altre sono dedicate a specie nuove o meno note) raffigura le principali categorie di semi, sintetizzate nelle didascalie esplicative della pagina a fronte. Fin qui, la pars contruens; per non smentirsi, c'è anche la pars destruens, ovvero una quindicina di pagine dedicate alle Hallucinationes Caspari Bauhini, aliorum auctorum. La monografia, la prima dedicata a una famiglia e illustrata da tavole calcografiche, è una brillante riuscita. Del resto, il soggetto del fascicolo di lancio non è stato scelto a caso: da una parte, questa famiglia è stata una delle prime ad essere identificata (da Dodoens nel 1583); dall'altra, anche oggi pnel suo ambito i frutti e i semi sono determinanti per una corretta identificazione. Applicare il metodo all'universo modo delle piante è un'altra faccenda. Più difficile ancora trovare i soldi per continuare l'opera, costosissima proprio per il ruolo essenziale delle immagini. Il progetto prevede tre libri, il primo dedicato agli alberi e agli arbusti, gli altri due alle piante erbacee. Conscio della difficoltà dell'impresa, Morison parte da queste ultime, le più numerose e difficili da classificare, e nel 1680 esce finalmente la Pars secunda dell'Historia universalis, che contiene cinque delle quindici sezioni previste per le erbacee (De bacciferis, De leguminis, De siliquosis tetrapetalis bivalvis, De hexapetalis tricapsularis, De tricapsularis lactescentibus). Il risultato è inferiore alle attese: Morison per primo non si attiene al proprio metodo e le incongruenze abbondano. Non parliamo poi dell'aspetto finanziario: nonostante le sottoscrizioni di alcuni membri della Royal Society e del Collegio reale dei medici, egli è costretto a indebitarsi pesantemente con l'University Press. Comunque continua a lavorare alacremente al terzo volume; ma nel 1683, muore in seguito a un incidente stradale in cui incorre attraversando Charing Cross. ![]() Morisonia: le allucinazioni dei botanici continuano? Come abbiamo visto in questo post, sarà il diligente Jacob Bobart il Giovane a portare a termine il secondo volume. Il primo invece non uscirà mai. La casa editrice universitaria sarà per anni schiacciata dal debito di questa opera innovativa e audace, che non mancherà di influenzare i botanici successivi, mentre l'Università di Oxford si troverà per anni impelagata in una causa legale con la vedova per la proprietà dell'erbario. Il metodo di Morison fa scuola soprattutto in Germania: i suoi seguaci più entusiasti sono i fruttisti (secondo la terminologia di Linneo) Paul Amman, Christoph Knaut e Paul Hermann. In patria, gli nuocciono il carattere terribile e le offese a Ray, il cui metodo ben presto surclasserà il suo. A Morison è invece riservata una vera e propria damnatio memoriae. Più sotterraneo, ma determinante, l'influsso su Joseph Pitton de Tournefort, che dal botanico scozzese trarrà senza dubbio insegnamento per la precisa determinazione dei generi e la distinzione tra genere e specie. Ma la sua arroganza gli spiacerà sommamente, e non gli perdonerà di aver saccheggiato i botanici precedenti senza neppure citarli. Così si esprime in Elemens de botanique: "E' impossibile lodare a sufficienza questo autore. Ma mi sembra che si lodi già troppo da sé; perché invece di accontentarsi della gloria di aver partecipato al più bel progetto che si sia mai fatto in botanica, osa paragonare le proprie scoperte a quelle di Cristoforo Colombo, e senza parlare di Gessner, Cesalpino e Colonna, in molti luoghi delle sue opere afferma di non avere appreso nulla se non dalla natura. Gli si sarebbe potuto credere sulla parola, se non si fosse preso la pena di trascrivere pagine di questi due ultimi autori; dal che si vede che gli erano molto familiari. Il sig. Ray senza fare tanto chiasso è riuscito molto più di lui". I sospetti di Tournefort erano più che fondati; gli studiosi successivi hanno rilevato interi passi presi di peso da Cesalpino, che Morison conosceva benissimo ma non nomina mai: nella biblioteca di Oxford si trova una copia di De plantis fittamente annotata di sua mano. Quanto a Linneo (che guardava con un po' di sufficienza a questi predecessori in eterna lite tra di loro, tanto che li soprannominò Eristici, seguaci di Eris, la dea della discordia), in una lettera a Albrecht von Haller ne riconosce i meriti, ma conclude con una condanna senza appello: "Morison era vanitoso, ma gli va dato il merito di aver rinnovato un sistema mezzo morto. Se si osservano i generi di Tournefort, si deve ammettere quanto debba a Morison, tanto quanto questi doveva a Cesalpino, sebbene Tournefort stesso sia un ricercatore coscienzioso. Tutto ciò che c'è di buono in Morison è preso da Cesalpino, senza la cui guida egli si perde alla ricerca più di affinità naturali che di caratteristiche distintive". In ogni caso, riprendendo un suggerimento di Plumier, riserverà anche a lui la gloria di un genere botanico, Morisonia L., famiglia Capparaceae. E qui finiamo in una polemica non indegna dell'astioso dedicatario. La delimitazione in generi di questa famiglia nelle Americhe ha dato più di un grattacapo ai tassonomisti; tradizionalmente, la maggior parte delle specie erano assegnate a Capparis, affiancato da una serie di generi minori, tra cui appunto Morisonia, con circa otto specie. Questo amplissimo Capparis risultava però artificiale (polifiletico) e da qualche anno la linea prevalente è limitarlo alle specie del Vecchio Mondo. Quanto a quelle americane, alcuni ricercatori hanno iniziato a staccarne una serie di piccoli generi, finché nel 2018 nel quarto volume di The Global Flora è comparsa una nuova trattazione che ha incluso in Morisonia gran parte delle Capparaceae in precedenza assegnate a Capparis, allargandone i confini a oltre ottanta specie. La risposta di Xavier Cornejo (specialista di Capparaceae e principale fautore della divisione di Capparis in molti piccoli generi) non si è fatta attendere: in un articolo comparso lo stesso anno ha criticato aspramente questa soluzione, rilevando che, così inteso, Morisonia presenta una tale varietà di forme e comportamenti da diventare "un genere innaturale e difficile da comprendere". Dopo una pagina di critiche serrate, egli conclude che "la nomenclatura proposta [...] non ha supporto né morfologico né molecolare. Dunque nessuna di queste combinazioni ha valore nomenclatorio e va ridotta a sinonimi". Allucinazioni, avrebbe detto Morison. Ma noi viviamo in un'epoca più cortese (o forse più ipocrita). In attesa di futuri sviluppi che certo non mancheranno, conviene attenersi alle poche certezze: comunque venga inteso (con le ottanta e più specie di Morisonia sensu lato o le otto di Morisonia sensu stricto), si tratta di arbusti o alberelli del sottobosco delle boscaglie e delle foreste stagionalmente aride di Messico, Antille, Centro e Sud America. Sicuramente continuerà a farne parte la specie tipo di Linneo, M. americana; chiamata in inglese Ratapple, "mela dei ratti", nei paesi latino americani è conosciuta con tanti nomi che variano da un luogo all'altro: chocolatillo, zapote blanco, arbol del Diablo. E' un piccolo arbusto del sottobosco delle foreste aride caducifoglie, distribuito dal Messico all'Argentina settentrionale, attraverso le Antille; la caratteristica più notevole sono i piccoli frutti sferici con spessa corteccia marroncina e polpa biancastra edule usata come emolliente, con proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Qualche approfondimento nella scheda. Tra le piante più venerabili del Jardin des plantes di Parigi, c'è un albero di pistacchio famoso non solo per la sua età (un po' più tre secoli) ma per aver permesso a Sébastien Vaillant di comprendere i meccanismi della riproduzione sessuale delle piante. Quando egli presentò i risultati in pubblico, le sue parole destarono scandalo, forse anche perché non risparmiò le metafore antropomorfe. Linneo ne aveva invece grande stima e considerava il suo Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna. Riprendendo una denominazione di Tournefort, lo celebrò con Valantia, un piccolo genere che annovera anche due rari endemismi siciliani. ![]() Scandalose nozze delle piante Il 10 giugno 1717, tra gli studenti che affollavano l'anfiteatro del Jardin royal c'era una certa attesa per la prolusione con la quale Sébastien Vaillant (1669-1722) avrebbe inaugurato il corso di botanica. Vaillant, che lavorava nel giardino già da una quindicina di anni e da una decina era sotto dimostratore (l'insegnante "pratico" che mostrava come riconoscere le piante) non era certo una faccia nuova. Ma quell'anno avrebbe tenuto anche il corso teorico, come supplente del professore titolare, il dimostratore Antoine de Jussieu, in missione botanica nella penisola iberica. Forse in quel che successe quel giorno c'entrò anche un pizzico di spirito di rivalsa. Al contrario di Jussieu, medico e accademico di Francia, Vaillant aveva fatto la gavetta e non aveva titoli accademici. Nato in una famiglia contadina, inizialmente aveva ricevuto una formazione come musicista; poi era divenuto chirurgo (ricordo che all'epoca i chirurghi non erano laureati, ma artigiani che imparavano il mestiere con l'apprendistato), lavorando prima nell'esercito poi all'Hôtel-Dieu di Parigi. Incominciò così a seguire i corsi di botanica, chimica, anatomia del Jardin royal. Appassionato raccoglitore, fu d'aiuto a Tournefort per la sua flora dei dintorni di Parigi Histoire des plantes qui naissent aux environs de Paris. Fu notato da Fagon che ne fece il suo segretario. Nel 1702 gli fece ottenere il brevetto di «inserviente del laboratorio del Giardino reale», un titolo modesto che ne faceva il responsabile delle coltivazioni. Nel 1708, gli cedette il suo posto di sotto dimostratore di botanica, mentre a Tournefort, morto quell’anno, succedeva come professore il medico Antoine-Tristan Danty d’Isnard. Dopo appena un anno, quest’ultimo diede le dimissioni; Vaillant, che dal 1709 era stato nominato anche direttore del Gabinetto reale delle droghe, sarebbe stato il più qualificato ad assumere la cattedra, ma non era né medico né laureato. Così il posto andò a un outsider, il medico lionese Antoine de Jussieu che aveva solo ventiquattro anni, diciassette meno di lui. Tra i due c'era anche una certa rivalità scientifica: Jussieu era uno stretto seguace di Tournefort, mentre Vaillant aveva espresso da tempo riserve su Institutiones rei herbriae e conduceva ricerche sperimentali che lo stavano portando su strade nuove. E qui entra in scena il famoso pistacchio (Pistacia vera). Era nato nei primi anni del secolo dai semi portati dal Levante da Tournefort, prosperava, fioriva, ma non portava frutti. Vaillant venne a sapere che anche nel Giardino dei farmacisti ce n'era uno, con fiori diversi, che ugualmente fioriva senza fruttificare. Nel 1716 tagliò una fronda fiorita del pistacchio del Jardin e la scosse presso l’altro albero e viceversa. Poco tempo dopo l'albero del Giardino dei farmacisti (un esemplare femminile), così fecondato, diede i primi frutti, cosa che non fece quello del Jardin des plantes, maschio. Era la prova che serviva a Vaillant per spiegare la funzione del polline. Così decise di inaugurare il corso di botanica del 1717 con una prolusione dedicata alla funzione sessuale dei fiori. Che le piante avessero organi sessuali e che una pianta potesse portare solo fiori maschili, solo fiori femminili, oppure fiori sia femminili sia maschili non era un’idea nuova. All'inizio del Seicento, era stata suggerita da Prospero Alpini; nel 1681 Nehemiah Grew ipotizzò che gli stami fossero gli organi maschili e in Historia plantarum (1686) Ray portò numerosi esempi di piante dioiche; nel 1694 il tedesco Rudolph Camerarius in De sexu plantarum epistola diede la dimostrazione sperimentale della funzione del polline. Tuttavia, oltre ad essere ancora inaccettabile per l’opinione pubblica, la sessualità delle piante era stata respinta proprio dal maestro di Vaillant, Joseph Pitton de Tournefort, che riteneva il polline un «escremento» delle piante. Vaillant, oltre tutto, entrò in campo a gamba tesa, usando metafore antropomorfe e sessualmente esplicite, con espressioni come «letto nuziale», «consumare il matrimonio», «questi focosi non sembrano che cercare altro che soddisfare i loro violenti trasporti». Gli studenti furono elettrizzati, i professori dell’Accademia delle scienze un po’ meno. A indignare era anche il fatto che Vaillant avesse osato criticare un mostro sacro come Tournefort, mostrando quella che veniva considerata vera e propria ingratitudine. L'Accademia, alla quale Vaillant era stata ammesso nel 1716 (prima del fattaccio) arrivò addirittura ad ammonirlo ufficialmente di non attaccare più il suo maestro. Nei salotti non si parlava d'altro e quando Jussieu tornò dalla Spagna, le acque erano ancora agitate. Fino a quel momento, egli aveva seguito le idee di Tournefort ma, non essendo un dogmatico, volle capire meglio. Scrisse al farmacista Joan Salvador i Riera, che lo aveva accompagnato in Spagna, di raccogliere esemplari di fiori di piante fruttifere e non fruttifere di palme da dattero, e capì che Vaillant aveva ragione. L'anno successivo, nella prolusione del 1718, abbracciò le sue tesi, anche se le espresse con un prudente linguaggio neutro e distaccato. Vaillant applicò le sue scoperte alla sua opera maggiore Botanicon parisiense, frutto di trent’anni di ricerche, in cui descrisse sistematicamente la flora di Parigi e dintorni delineando un nuovo sistema di classificazione basato sugli organi sessuali, criticò anche con asprezza il sistema di Tournefort e usò per la prima volta nel significato moderno i termini stame, ovario, ovolo. In vista della pubblicazione, fece eseguire accuratissimi disegni a Claude Aubriet, ma si trovò impossibilitato a pagarlo; tanto meno aveva i soldi per la stampa, che certo l'Accademia non avrebbe finanziato. Nel maggio 1721, si risolse a scrivere a Boerhaave, il direttore dell'orto botanico di Leida, che liquidò il debito con Aubriet e insieme a William Sherard, amico comune, curò la pubblicazione. Una prima edizione senza figure uscì nel 1723 e Vaillant, morto nel 1722, non fece in tempo a vederla. Nel 1727, sempre a Leida, seguì una seconda edizione, con trecento tavole di Aubret incise da Jan Wandelaar, che qualche anno dopo avrebbe collaborato con Linneo per Hortus Cliffortianus. Per l'Académie, Vaillant rimase un paria: contrariamente all'uso, alla sua morte non venne commissionato il consueto elogio a Fontenelle. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Endemismi siciliani Non molto tempo prima di morire, Tournefort in una Memoria letta all'Accademia delle scienze aveva dedicato all'allievo il genere Valantia: uno di quelli che lo stesso Vaillant contestava, visto che lo considerava identico a Cruciata; del resto esprimeva le sue riserve anche sull'abitudine di denominazioni ricavate dai nomi dei botanici. Linneo lo recuperò in Species plantarum. Non solo aveva grande stima di Vaillant, in cui vedeva un proprio precursore considerando Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna, ma riteneva il genere particolarmente adatto. Non certo per la sua bellezza: si tratta di pianticelle minime, che passano inosservate, ma per le singolari caratteristiche dei fiori perfette per celebrare lo studioso della differenziazione sessuale. Questo piccolo genere della famiglia Rubiaceae raggruppa sette specie di minute erbe rupicole diffuse attorno al bacino del Mediterraneo, dalla Macaronesia al Vicino oriente. Hanno minuscole foglie carnose verticillate in gruppi di quattro, da cui il nome comune di «erba croce»; i fiori sono raggruppati in verticilli di tre: quello centrale è bisessuale, i due laterali maschili. Quattro specie (V. calva, V. deltoidea, V. hispida, V. muralis) fanno parte della flora italiana; V. calva è endemica dell’isola di Linosa dove cresce sulle pendici laviche del Monte Vulcano e di Montagna rossa. V. deltoidea è invece un endemismo della Rocca Busambra, il rilievo maggiore dei monti Sicani, dove vive nei pascoli aridi intorno a 1600 metri. Qualche approfondimento nella scheda. Nel 1784 le collezioni di Linneo trovano casa a Londra grazie a James Edward Smith, e i botanici britannici si convertono nei principali sostenitori del sistema linneano. Eppure, se ci sono gli entusiasti come Erasmus Darwin che scrive addirittura un poema dedicato agli amori delle piante, in genere in Inghilterra le troppo esplicite metafore sessuali di Linneo non piacciono. Già nel 1776 William Withering aveva pubblicato la prima flora britannica basata sul sistema di Linneo, epurandola tuttavia di ogni riferimento alla riproduzione sessuata, nell'intento di proteggere la "modestia femminile" delle lettrici. Un quarto di secolo dopo, almeno da questo punto di vista, le cose non sono cambiate più di tanto se Samuel Goodenough, socio fondatore e tesoriere della Linnean Society, bolla con parole di fuoco la "mente lasciva" di Linneo. D'altra parte, oltre che un buon botanico dilettante, era un educatore di teneri giovinetti e, quel che più conta, un vescovo, una colonna portante della Chiesa d'Inghilterra. Queste critiche, per altro, non le espresse in pubblico, ma in una lettera privata a James Edward Smith, di cui fu probabilmente l'amico più fedele. Fu proprio Smith a creare in suo onore il genere Goodenia, il più numeroso della famiglia Goodeniaceae cui dà il nome. ![]() Nascono un'amicizia e una società scientifica Nel gennaio del 1785, poco dopo essere riuscito ad aggiudicarsi le collezioni di Linneo (ne ho parlato in questo post), James Edward Smith ricevette una lettera di congratulazioni dai toni entusiastici: "Il vostro nobile acquisto del gabinetto di Linneo pone con decisione la Gran Bretagna al di sopra di tutte le altre nazioni nell'impero della botanica; è molto desiderabile che gli studi individuali, nel rispetto della scienza in generale, acquistino tanta vivacità e tanto successo che la Botanica stessa sia indotta a stabilirsi tra di noi". Chi scrive è il reverendo Samuel Goodenough, ecclesiastico, naturalista dilettante e stimato insegnante. E' l'inizio di un'amicizia che cesserà solo con la morte dei due protagonisti, avvenuta a pochi mesi di distanza (Goodenough morì nell'agosto 1827, Smith nel marzo 1828). Goodenough aveva una quindicina di anni più di Smith. Membro di una famiglia di religiosi, prima di abbracciare a sua volta la carriera ecclesiastica aveva seguito ottimi studi, frequentando la prestigiosa Westminster School e il Crist Curch College di Oxford, dove aveva stretto amicizia con Joseph Banks. Dopo aver insegnato qualche anno proprio alla Westminster e aver retto una parrocchia come vicario, nel 1772 aveva aperto una propria scuola a Ealing, nei dintorni di Londra. Era un istituto piccolo, ma di grande prestigio, che ogni anno accoglieva dieci (più tardi dodici) rampolli delle migliori famiglie del regno per prepararli alla Westminster School. Goodenough era un ottimo didatta e seguiva metodi all'avanguardia per l'epoca: nell'insegnamento della lettura e della scrittura, anziché procedere lettera per lettera e regola per regola, privilegiava un approccio globale basato sul riconoscimento di parole intere. Il curriculum prevedeva lettura dei classici, francese, scrittura, storia, danza, scherma e forse aritmetica. I ragazzi erano ospitati in una grande casa di tre piani, con due ali di uno e due piani, immersa in un parco relativamente grande con alberi maturi, arbusti e vasti prati, dove potevano praticare diversi sport, tra cui il cricket. Nel giardino Goodenough coltivava anche piante rare. Infatti, benché la sua formazione fosse classica ed egli fosse un reputato studioso di teologia e di lingue classiche, la sua vera passione erano le scienze naturali, in particolare la botanica. Lo confessa egli stesso a Smith nella lettera che segnò l'esordio della loro amicizia: "La storia naturale per me è oggetto di perpetuo piacere. E forse gradirete sapere che in me trovate qualcuno che non è insensibile alle difficoltà (io stesso ho raccolto personalmente e essiccato 3000 esemplari) e al valore della raccolta di esemplari botanici. Anche altri campi della storia naturale sono stati oggetto dei miei studi". Da questo momento Goodenough divenne il migliore amico di Smith, l'unico - a parte Banks - da cui il suscettibile botanico accettasse qualche critica. Entrambi si iscrissero alla Società per la promozione della storia naturale, dove conobbero tra gli altri l'entomologo Thomas Marsham; l'esperienza si rivelò però deludente e Smith, incoraggiato da Goodenough e Marsham, incominciò a pensare a fondare una nuova società, esplicitamente intitolata a Linneo. Fu così che nel 1788 i tre divennero i soci fondatori della Linnean Society, di cui vennero eletti rispettivamente presidente, tesoriere e segretario. Goodenough mantenne questo ruolo per qualche anno, ma fu più volte anche vicepresidente della Royal Society (in quegli anni retta da Banks) e membro della Society of Antiquaries. Intanto, faceva carriera nella Chiesa anglicana. Nel 1797 ottenne il vicariato di Cropredy; nel 1798 fu nominato canonico della St George Chapel di Windsor, nel 1802 decano di Rochester, e infine nel 1808 vescovo di Carlisle, anche grazie alla protezione del duca di Portland, i cui figli erano stati suoi allievi a Ealing. ![]() Niente sesso... siamo inglesi Come eccellente latinista, Goodenough fu di grande aiuto a Smith per la redazione delle sue opere; ma fu anche un botanico più che dilettante. Il suo maggiore contributo scientifico, pubblicato nelle Transactions della Linnean Society, è un ampio studio sulle specie britanniche di Carex, un genere all'epoca ancora oscuro e poco studiato, comparso in due parti: Observations on the British Species of Carex (1792) e Additional observations on the British Species of Carex (1795). Si occupò anche di alghe, scrivendo una monografia sulle specie britanniche di Fucus (1797), in collaborazione con un altro socio della Linnean Society, Thomas Woodward. Si interessava inoltre di zoologia, e pubblicò alcuni articoli sugli insetti. Oratore facondo e dalla prosa brillante (come possiamo dedurre dalle numerose lettere di Goodenough incluse dalla vedova di Smith in Memoir and Correspondence of the Late Sir James Edward Smith), pubblicò tre sermoni; sappiamo che progettò anche una Botanica metrica, un'opera di grande erudizione in cui il suo talento di latinista avrebbe dovuto fondersi con la passione per la botanica; il suo proposito era infatti di presentare in versi l'etimologia dei nomi botanici. Niente a che vedere dunque con The Loves of the Plants, il poema del nonno di Darwin dedicato alla botanica linneana in cui si esaltano gli amori delle piante. Anzi, per essere un linneano DOC, membro fondatore e tesoriere della Linnean Society, la posizione del vescovo Goodenough nei confronti del sistema linneano è singolarmente pudibonda. Anche se ammirava Linneo come scienziato, era scioccato dalla scelta di usare gli organi sessuali delle piante come criterio di classificazione; ad urtarlo anche maggiormente, era poi il linguaggio di Linneo che giudicava grossolano, anzi lascivo. In una lettera privata a Smith, che non a caso non fu inclusa della vedova nel carteggio, scrive: "E' perfettamente inutile dire che nulla può uguagliare la grossolana lascivia della mente di Linneo. Una traduzione letterale dei primi principi della botanica linneana è sufficiente per offendere la modestia femminile". Più di tutto detestava certi nomi di Linneo, inutilmente scurrili, e a proposito del genere Clitoria scrive: "È possibile che molti studenti virtuosi non siano in grado di comprendere la similitudine di Clitoria". Morto ultraottantenne nel 1827, Goodenough ebbe l'onore di essere sepolto nel transetto settentrionale dell'Abbazia di Westminster. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Un grande genere australiano (ma non solo) A celebrare il buon vescovo, linneano pudico, con la dedica di un genere botanico non poteva che essere l'amico di una vita James Edward Smith, che nel 1793 in A Specimen of the Botany of New Holland battezzò Goodenia (una forma più orecchiabile e "classica" del corretto Goodenoughia) un gruppo di piante recentemente raccolte in Australia. La maggior parte delle specie del vastissimo genere Goodenia (gli sono attribuite oltre 200 specie) è infatti endemica dell'Australia; un piccolissimo numero di specie si estende a Giava, alla Nuova Guinea, all'Indonesia, alle Filippine e alla Cina meridionale. Il genere, che dà il nome alla famiglia Goodeniaceae, comprende soprattutto erbacee perenni che vivono per lo più nel sottobosco in condizioni umide, ma anche arbusti. Hanno foglie molto variabili per forma e collocazione, ma solitamente con margini serrati o dentati, e fiori, solitari o raccolti in infiorescenze, decisamente asimmetrici, con corolla tubolare bilabiata con cinque lobi diseguali, spesso gialli, ma anche bianchi o rosa-malva in poche specie. Molto decorative, alcune specie sono coltivate nei giardini australiani. Tra di esse, G. albiflora, che in primavera si ricopre di una massa di singolari fiori bianchi striati di azzurro; G. hederacea, una robusta coprisuolo che preferisce l'ombra umida e produce fiori giallo oro; G. macmillanii, con foglie pinnate e grandi fiori malva, con i due lobi superiori eretti. Merita una menzione a parte G. ovata, un arbusto diffuso in gran parte dell'Australia dove si adatta a suoli e condizioni diverse. Di veloce crescita, è una pianta pioniera che rinasce a profusione nei terreni devastati dagli incendi; è ampiamente utilizzata nei progetti di recupero paesaggistico perché copre rapidamente il suolo, ostacolando la crescita delle malerbe, offre cibo alle farfalle e altri insetti nonché cibo e protezione agli uccelli. In giardino è utilizzata come tappezzante e ne sono state selezionate diverse cultivar. Altri approfondimenti nella scheda. Talvolta, la giustizia poetica è concessa anche ai nomi botanici. Che a ricordare il grande Michel Adanson, autore di un'opera impossibile per il suo stesso gigantismo, per perseguire la quale egli rinunciò a fama, riconoscimenti materiali e alle stesse elementari necessità della vita per chiudersi nel suo lavoro solitario, sia proprio il baobab, albero gigante che si erge sulla arida savana, vive per migliaia di anni e supera le peggiori siccità accumulando acqua nel fusto e rinunciando alle foglie, ne è la dimostrazione. A guidare la mano dell'inconsapevole Linneo e a ispirargli la creazione del genere Adansonia, molto prima che il destino di Adanson si palesasse, è uno scherzo della sorte o, appunto, un atto di giustizia poetica. ![]() Primo atto: un viaggio in Senegal L'incontro tra i due protagonisti della nostra storia avviene nell'agosto del 1749, nel villaggio senegalese di Sor. Michel Adanson è arrivato in Senegal da circa sei mesi ed è ancora pieno di entusiasmo e di stupore per la ricchezza della natura tropicale. Ha già imparato abbastanza la lingua wolof (tra i suoi tanti talenti c'è anche quello linguistico) da muoversi da solo; chiede indicazioni su un buon terreno da caccia e viene indirizzato sulle tracce di un branco di gazzelle. Ma una visione stupefacente spegne ogni interesse venatorio: è un albero immenso, il più grande che abbia mai visto. Non per l'altezza (forse una ventina di metri), ma per la circonferenza straordinaria; incredulo, Adanson gli gira intorno tredici volte. Cerca di misurarla allargando le braccia, poi con una corda. Calcola una circonferenza di 20 metri, e un diametro di quasi 7. Ciascuno dei rami che forma la chioma, alcuni dei quali toccano terra, è più lungo e spesso del tronco di uno dei maggiori alberi monumentali d'Europa. L'albero in sé non è raro, aggiunge Adanson, appartiene anzi a una delle specie più comuni nel paese, che i francesi chiamano calebassier, o anche pain-de-singe ("pane delle scimmie") e i locali goui. Noi lo conosciamo con il nome di origine araba baobab, ma anche - grazie a Bernard de Jussieu e a Linneo - come Adansonia digitata. Nel momento in cui incontrò l'albero destinato a preservare il suo nome, Adanson aveva 22 anni, ma era già un naturalista ambizioso e singolare. La famiglia lo aveva destinato alla chiesa e durante gli anni di collegio si era distinto come allievo solerte e brillante; quattordicenne, aveva attirato l'attenzione del biologo inglese John Needham che gli donò un microscopio con queste parole: "Dato che avete imparato così bene a conoscere le opere degli uomini, è ora che studiate quelle della natura". Fu una folgorazione. Il ragazzo incominciò a frequentare il Jardin du Roy e le lezioni di Réaumur e Bernard de Jussieu. A diciotto anni conosceva migliaia di specie vegetali e sapeva classificare tutte le piante del giardino. Gli era anche chiaro che il suo destino non era nella Chiesa, ma nello studio della natura. Rinunciò al beneficio ecclesiastico che aveva coperto i costi degli studi e insisté con il padre - scudiero del vescovo di Parigi - perché trovasse il modo di farlo partire per un paese tropicale, se possibile inesplorato. Grazie a Pierre-Barthélemy David, direttore della Compagnia delle Indie, ottenne infine un modesto posto di commesso a Saint-Louis, l'emporio della compagnia sulla costa del Senegal. Malfamato per il suo clima insalubre, era praticamente sconosciuto ai naturalisti. Senza alcun incarico ufficiale, senza alcun titolo di studio formale, fu dunque come "impiegato incaricato di tenere i registri" che Adanson il 3 marzo 1749 si imbarcò a Lorient sul Chevalier marin. Si era preparato con scrupolo al viaggio, raccogliendo tutte le informazioni possibili sul clima, gli animali, le piante, le lingue, i costumi locali. Aveva imparato i metodi più all'avanguardia per conservare piante e animali. Nel suo bagaglio, telescopi, barometri, termometri e altri strumenti scientifici. Il soggiorno di Adanson in Senegal si prolungò per cinque anni (fino al febbraio 1754), fu ricchissimo di risultati scientifici, ma difficile da ogni punto di vista. Si ammalò ripetutamente e la Compagnia si dimostrò ostile; anche se lui cercava di convincere i suoi capi dell'utilità anche economica delle sue ricerche, per loro questo impiegato che si dava troppo da fare e faceva di tutto tranne quello per cui era pagato, era davvero meno che inutile. Solo grazie alle insistenze dei suoi protettori parigini (in particolare Jussieu e Réaumur) riuscì ad ottenere il permesso di coltivare un piccolo giardino, dove sperimentava incroci e coltivava piante rare da introdurre in Francia. Eppure, era attivissimo: oltre a St. Louis e ai suoi dintorni, visitò l'isola di Gorée, Podor, e il bacino del Gambia; annotò dati meteorologici e astronomici, disegnò mappe, imparò lingue e compilò dizionari, raccolse ogni sorta di dati etnografici, geografici, economici. E, ovviamente, campioni di minerali, animali, piante. Spedì centinaia di esemplari ai corrispondenti parigini, e molte migliaia lo avrebbero accompagnato nelle casse che portò con sé nel viaggio di ritorno, insieme a 300 piante vive da acclimatare al Jardin du Roy. ![]() Secondo atto: un'opera pionieristica Provato dal clima tropicale, privo di mezzi e di relazioni, l'uomo che sbarca infine in Francia nel 1754 è molto diverso dal ventunenne di quasi sei anni prima. Da quell'esperienza, oltre all'enorme mole di materiali, ha portato indietro una convinzione profonda: per comprendere la natura, la scienza deve cambiare paradigma. Tutti i sistemi che si è finora data per classificarla, di fronte alla sterminata esuberanza dei tropici, dimostrano la loro inconsistenza: "Appena lasciamo i nostri paesi temperati per entrare nella zona torrida, la botanica sembra mutare totalmente volto: sono sempre piante, ma sono così particolari nelle loro loro forme, hanno caratteristiche così nuove che eludono la maggior parte dei nostri sistemi, i cui limiti non vanno al di là delle piante dei nostri climi". Ma il primo compito è studiare e pubblicare le raccolte senegalesi. Ospitato generosamente dai Jussieu, Adanson elabora il primo dei suoi grandiosi progetti: una storia naturale del Senegal in otto volumi. In realtà, ne scriverà solo il primo: Histoire naturelle du Sénegal (1757) comprende il vivace racconto del suo viaggio e le descrizione delle conchiglie senegalesi, che egli classifica in modo del tutto originale, non più basandosi sulle conchiglie stesse, come si faceva all'epoca, ma sui molluschi che vivono all'interno e le loro strutture. E' il primo saggio di quel metodo globale che tra poco vedremo in azione con le piante. Benché parziale, l'opera gli assicura fama immediata. Adanson è ammesso all'Accademia delle Scienze parigina, seguita qualche anno dopo dalla Royal Society. Ottiene una pensione con il titolo (praticamente una sinecura) di censore reale. Ma ormai sta perseguendo un nuovo progetto. Dal 1759, collabora con il maestro Bernard de Jussieu alla creazione del giardino botanico del Trianon, con le piante disposte in famiglie naturali e incomincia a lavorare a un proprio metodo di classificazione, che esporrà nella sua opera maggiore, Familles naturelles des Plantes (1763). Quando essa uscì, Adanson viveva ancora a casa dei Jussieu ed è impossibile che la frequentazione quotidiana e il lavoro comune non abbiano influito sul suo pensiero; eppure, Adanson cercò di minimizzare il debito con il suo maestro. A suo dire, aveva concepito il progetto di una classificazione naturale fin da ragazzo al Jardin du Roy e la spinta decisiva era venuta dal viaggio in Senegal, con la sua natura tanto diversa da quella europea; quanto a Bernard, lo descriveva come un linneano ortodosso, incapace di allontanarsi dal fallace sistema di Linneo. Di parere opposto sarà Antoine-Laurent de Jussieu, secondo il quale il metodo di Adanson era un plagio delle elaborazioni di suo zio, il solo vero inventore della classificazione naturale. Come avviene quasi sempre, anche in questo caso la verità starà nel mezzo: Bernard aveva cominciato a lavorare a una classificazione naturale e a insegnarla ai suoi allievi quando il giovanissimo Michel seguiva le sue lezioni al Jardin du Roy e sicuramente alla fine degli anni cinquanta era giunto a definire un proprio sistema (non sappiamo quanto coincidente con quello esposto da Antoine-Laurent in Genera Plantarum); d'altra parte, la ricerca di Adanson, se fu stimolata da quella di Bernard de Jussieu, dovette poi seguire un proprio percorso e un proprio metodo. ![]() Terzo atto: manie classificatorie Il primo volume di Familles naturelles des Plantes si apre con un'ampissima disamina di tutti i sistemi di classificazione proposti in precedenza, tutti quanti considerati incapaci di rendere conto del vero ordine della natura. Per giungere a individuarlo, lo studioso non deve concentrasi su uno o pochi elementi, scelti in modo più o meno arbitrario, ma deve analizzare tutte le caratteristiche possibili, senza stabilire una gerarchia: "Non c'è dubbio che in botanica c'è un solo metodo naturale, ed è quello che considera tutte le parti, qualità, proprietà e facoltà delle piante". Adanson individua quindi 595 categorie di caratteri che raggruppa in 66 sistemi "artificiali", fondati ciascuno su un gruppo di caratteri omogenei (ad esempio, caratteristiche delle foglie, delle radici, delle corolle, ecc.); inserendo tutte le piante note in ciascun sistema, è possibile individuare la loro maggiore o minore affinità. Le piante che, in tutti i sistemi, ricadono nella stessa classe, hanno un alto grado di affinità; quelle che si ritrovano insieme solo in alcune classi sono meno prossime; quelle poi che in tutti i sistemi stanno in classi diverse non hanno alcuna affinità. Come si vede, è un metodo altamente complesso che implica un enorme numero di comparazioni, che difficilmente Adanson avrà utilizzato davvero per classificare nel secondo volume ben 1615 generi, assegnati a 58 famiglie naturali (52 delle quali sono piante da fiore), in un'epoca in cui i computer e il calcolo combinatorio erano al di là da venire. Anche lui, non diversamente da Bernard de Jussieu, avrà condotto le sue comparazioni "par tatonnement", per usare le parole di Augustin de Candolle. In ogni caso, il risultato è imponente; il concetto di "famiglia" entra ormai nella storia della botanica e molte delle sue famiglie sono riconosciute ancora oggi, spesso proprio con i nomi che lui stesso diede loro. Fu infatti Adanson a introdurre la convenzione di nominare le famiglie sulla base di un genere tipico, anche se non usava ancora il suffisso che oggi le contraddistingue: ad esempio, Papavera (oggi Papaveraceae), Ranunculi (oggi Ranunculaceae), Cisti (oggi Cistaceae), Solana (oggi Solanaceae). Nel Congresso internazionale di botanica del 1987, Familles naturelle des plantes fu addirittura scelto come punto di partenza per i nomi delle famiglie (attualmente, tuttavia, non lo è più: dal 2003 è sostituito da Genera plantarum di Jusseu). Di Linneo, Adanson rifiutò anche la nomenclatura binomiale, vista a sua volta come un'imposizione. A suo parere i nomi delle piante dovrebbero cambiare il meno possibile e non dovrebbero essere motivati: bisognerebbe evitare sia i nomi figurati sia i termini che rimandano a una qualche etimologia. I nomi migliori sono quelli che esistono già, quindi in primo luogo quelli indigeni. Coerentemente, gli spiacque persino che Linneo avesse dato il suo nome al baobab. Insieme alla personalissima grafia fonetica che Adanson volle adottare per la sua opera (ad esempio scrive Botanik anziché Botanique), anche questa scelta contribuì all'insuccesso dell'opera che la comunità scientifica apprezzò per l'erudizione, ma non per il metodo; fu ovviamente avversata dai linneani; quanto a Linneo, il suo commento fu che non aveva mai visto un simile ammasso di sciocchezze. Da parte sua, Adanson stava già pensando a un nuovo progetto, ancora più ambizioso. Il metodo induttivo e combinatorio da lui scoperto non era forse universale, applicabile all'intero mondo naturale, anzi ad ogni sapere umano? Ci lavorò almeno una dozzina di anni, e nel 1774 (l'anno prima aveva finalmente ottenuto il sospirato titolo accademico, come botanico aggiunto dell'Accademia delle scienze) presentò all'Accademia stessa lo schema del suo L'Ordre universel de la Nature. La commissione incaricata di analizzare la proposta, sgomenta, si trovò di fronte 27 volumi manoscritti dedicati alle relazioni tra tutte le entità; 150 volumi manoscritti con la descrizione di 40.000 specie in ordine alfabetico; un vocabolario di 200.000 parole; 40.000 illustrazione; 24.168 esemplari; in più, note e osservazioni. I commissari gli consigliarono di espungere tutta la parte compilatoria, limitandosi ai suoi contributi originali, da presentare in una serie di memorie separate. Adanson rifiutò, ostinandosi fino alla fine della vita nel suo folle progetto. Il rifiuto lo amareggiò, e lo spinse a chiudersi in se stesso, a sacrificare tutto alla sua "enciclopedia". Non aveva più né amici né allievi, e neppure una famiglia. Nel 1784 lasciò addirittura la moglie, da cui aveva avuto una bambina (Aglaé Adanson, a sua volta botanica), perché la sua presenza lo distraeva dal lavoro. Divenne un eremita; si ritirò in periferia, in una casa sempre più ingombra di collezioni e manoscritti, dove lavorava accanitamente sedici, diciotto ore al giorno; unica pausa dallo studio e dalla scrittura, il piccolo giardino dove sperimentava incroci e coltivava alberi di gelso. Già in condizioni economiche precarie, fu totalmente rovinato dalla Rivoluzione, che soppresse le pensioni reali di cui godeva. Perse anche l'amatissimo giardino e fu ridotto a vivere in condizioni di miseria estrema. Nel 1798, invitato a prendere parte alle sedute dell'Institut national (la nuova denominazione "rivoluzionaria" dell'Accademia delle scienze), rifiutò, dicendo che gli era impossibile andarci perché non aveva neppure un paio di scarpe. Se non altro, il ministro dell'interno provò vergogna e gli assegnò una pensione, poi raddoppiata da Napoleone. Nel testamento, espresse un solo desiderio: che la sua bara fosse ornata da una ghirlanda formata dai fiori delle sue 58 famiglie. Una sintesi di questa vita tutta occupata dallo studio e da progetti sempre più giganteschi e più impossibili nella sezione biografia. ![]() Boabab, giganti minacciati Tra le scoperte di Adanson in Senegal, sicuramente quella che destò maggiore interesse fu proprio l'albero gigante che tanto aveva ammirato. Poco dopo il suo ritorno, nel 1757, egli lesse all'Accademia delle scienze una memoria in cui lo descriveva e ne ricostruiva la storia. Prima di allora, nessun europeo l'aveva mai visto, anche se se ne conoscevano i frutti, che venivano venduti nei mercati egiziani, dove li vide Alpini. Jussieu ritenne che sarebbe stato un doveroso omaggio dedicare allo scopritore il nuovo genere e si affrettò a scrivere in proposito a Linneo. Il tempo dell'inimicizia e delle polemiche era ancora lontano, e lo svedese lo accontentò volentieri, ufficializzando la denominazione nella decima edizione di Systema naturae (1759). Così, con dispetto del dedicatario, il baobab (parola di origine araba che significa "padre di molti semi"), divenne Adansonia digitata. E' la più nota delle otto-nove specie del genere Adansonia, della famiglia Malvaceae (precedentemente Bombacaceae). Uno dei suoi esemplari, il baobab di Glencoe, un albero monumentale della provincia di Limpopo in Sud Africa, era considerato l'essere vivente più grande del mondo, con una circonferenza di 47 metri e un diametro di 15,9. Purtroppo nel novembre del 2009 si è spaccato in due parti e il primato è passato al baobab di Sunland, sempre in Sud Africa, con una circonferenza di 34 metri. Nativi di aree stagionalmente aride, i baobab africani sono in grado di immagazzinare nel tronco enormi quantità di acqua (fino a 120.000 litri); inoltre nella stagione secca, riducono la dispersione lasciando cadere le foglie. Tuttavia, oggi in varie zone dell'Africa sono in grande pericolo: a partire dall'inizio del secolo, proprio gli esemplari maggiori, che vantano un'età tra 1000 e 2500 anni, hanno incominciato a collassare e a morire uno dopo l'altro. Secondo gli studiosi, è una conseguenza del cambiamento climatico, in particolare della combinazione tra siccità e innalzamento della temperatura: gli alberi si disidratano e non riescono più alimentare i loro enormi tronchi. E non possiamo neanche sperare in un Napoleone che sollevi questi giganti dalla loro miseria. Ma non c'è solo A. digitata. Il Madagascar ospita ben sei specie endemiche, tra cui A. grosdidieri, considerata la più bella per il tronco slanciato. Vive invece in Australia A. gregorii, non meno affascinate delle cugine africane. Qualche approfondimento nella scheda. Con la sua pretesa di rinominare gli esseri viventi secondo il nuovo sistema binominale, Linneo si attirò l'accusa di sfrontatezza e arroganza. Tuttavia, mano a mano che crescevano le adesioni e i seguaci, essere immortalati dal nome di una pianta, ricevendo da Linneo in persona la dedica di un genere, divenne l'aspirazione principale di botanici e "curiosi", come venivano chiamato i dilettanti che sempre più numerosi si innamoravano della botanica grazie alla semplicità del sistema linneano. Ma anche su questo punto le critiche non mancarono: il principe dei naturalisti venne accusato di elargire nomi ad amici e studenti con eccessiva parzialità, sicché si fece assai prudente. Anzi talvolta riluttante, come nel caso del dottor Alexander Garden, medico scozzese trapiantato in South Carolina, che riuscì da aggiudicarsi il prestigioso genere Gardenia solo in seguito a una vera e propria manovra di accerchiamento di un altro linneano, John Ellis. ![]() Come una pianta cinese fu scambiata per un gelsomino sudafricano e ebbe il nome di un medico americano I cinesi la chiamavano zhi-zi e la coltivavano da secoli. Con viaggi complicati, che comprendono una tappa nella colonia del Capo in Sud Africa, nel 1754 la varietà a fiori doppi arrivò in Inghilterra e nel 1758 fiorì per la prima volta nella serra del botanico Richard Warner (ca. 1711-1775). Con le lussureggianti foglie verde scuro e i candidi fiori stradoppi dal pervasivo profumo, divenne l'idolo del momento e attorno alla sua classificazione e denominazione scoppiò una disputa botanica. Philip Miller, il cocciuto capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, pensò si trattasse di un gelsomino, e la battezzò Jasminum capense, ovvero "gelsomino del Capo di Buona Speranza". John Ellis, mercante e naturalista più che dilettante, non ne era convinto: pensava appartenesse a un genere sconosciuto, e ne inviò un esemplare essiccato a Linneo che confermò il suo parere. Intanto l'abilissimo vivaista James Gordon era riuscito ad averne quattro talee e le aveva moltiplicate con tanto successo che nel giro di pochi anni riuscì a guadagnare 500 sterline, rivendendo le cento piante che ne aveva ricavato. Nel suo vivaio di Miles End la ritrasse il più famoso artista botanico dell'epoca, Georg Dionysius Ehret, etichettandola provvisoriamente con il nome proposto da Miller. Ricevuta la conferma da Linneo, Ellis gli riscrisse proponendogli di battezzare il nuovo genere Warneria in onore del primo proprietario. Questa proposta imbarazzava enormemente Warner, che era amico di Miller e non desiderava contraddirlo; perciò si affrettò a scrivere a sua volta a Linneo, chiedendogli di rifiutarla. Ellis non demordeva e, dopo qualche esitazione, nel 1760 propose a Linneo un nuovo nome: Gardenia, in onore di un amico comune, il medico scozzese Alexander Garden. Anche questa volta Linneo rifiutò: non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere in queste dispute tra botanici inglesi, inoltre non capiva qualche nesso ci fosse tra Garden e la pianta: non l'aveva né scoperta né coltivata, anzi neppure mai vista. Era disponibile a dedicargli a una pianta americana, ma che aveva mai a che fare con questa sudafricana (che, come noi sappiamo, in realtà era cinese)? Per mesi si dimostrò irremovibile, scrivendo tra l'altro: "Desidero tutelarmi dalle malevole obiezioni, tanto spesso sollevate contro di me, di chi mi accusa di battezzare le piante con i nomi di miei amici che non hanno dato alcun pubblico contributo al progresso della scienza". Alla fine Ellis mise Linneo di fronte al fatto compiuto: gli scrisse che Garden era già stato messo al corrente della dedica e che, al di là dell'Atlantico, la pianta era ormai nota come Gardenia. Poi la pubblicò lui stesso nelle Transactions della Royal Society. Linneo, che non desiderava esautorare il suo principale sostenitore in Inghilterra, che oltre tutto proprio in quei mesi aveva accolto ospitalmente Solander, dovette abbozzare, In questo modo contorto la bella zhi-zi ricevette il nome botanico Gardenia jasminoides J. Ellis. ![]() Uno scrupoloso ricercatore linneano E' ora di fare la conoscenza con l'inconsapevole oggetto umano di quella disputa, il dottor Alexander Garden, che - a posteriori - confermò che tanto onore non era stato immeritato. Scozzese, aveva studiato medicina a Edimburgo; nel 1752, essendosi ammalato di tubercolosi, nella speranza di un clima più propizio si trasferì a Charleston in South Carolina, dove esercitò la professione medica per molti anni. Come studente di medicina, aveva cominciato a studiare botanica in patria seguendo i sistemi di Ray e Tournefort; ma quando arrivò in Carolina, da una parte fu affascinato dalla varietà della flora di quella regione benedetta dalla natura, dall'altra fu frustrato dalla sua incapacità di ricondurre le specie non ancora descritte a quei complicati sistemi. In queste ricerche, dichiarerà più tardi, gettò via tre anni. Anche la sua salute non trovò il giovamento sperato. Dopo un anno di clima particolarmente avverso, nel 1754 decise di fare un viaggio a nord. Capitò così a New York, dove fu ospite Cadwallader Colden e di sua figlia Jane (la prima botanica americana), che gli misero a disposizione la loro biblioteca; su quegli scaffali, Garden trovò il suo santo Graal: Flora virginica di Gronovius, nonché Classes plantarum e Fundamenta botanica, due delle prime opere di Linneo. Passò poi da Philadelphia, dove incontrò John Bartram appena rientrato dalla sua escursione nelle Catskill mountains. Al suo ritorno in Carolina, Garden ebbe egli stesso occasione di conoscere più da vicino la selvaggia natura americana, visitando le Blue Montains in qualità di medico della missione incaricata di cercare l'alleanza dei Cherokee contro la Francia. Tornato poi a Charleston, si mise a studiare le opere di Linneo, e, come d'incanto, tutto quello che gli era rimasto oscuro, si chiarì: il cristallino sistema sessuale gli fornì il filo d'Arianna che cercava e si convertì in un fervente seguace del luminare svedese. Nel marzo 1755 osò scrivere al suo idolo una prima lettera, che rimase senza risposta. Solo dopo tre anni (e dopo molte lettere senza risposta) Linneo si degnò infine di rispondergli, iniziando una duratura e feconda corrispondenza. Il grande svedese non era l'unico corrispondente di Garden; l'ambiente in cui viveva, così ricco di specie da scoprire, era invece assai povero di naturalisti, tanto da fargli scrivere: "qui non c'è anima viva che conosca anche solo una iota di storia naturale". Iniziò così a corrispondere con moltissimi naturalisti al di qua e al di là dell'Oceano, come Colden, Bartram, Gronovius, Collinson, e soprattutto John Ellis, che divenne anche il suo principale intermediario con Linneo. Era a lui che inviava gli esemplari di piante e animali che andava raccogliendo nelle escursioni che alternava alla pur molto impegnativa attività di medico. Era un linneano così fervente che, quando Ellis gli propose di pubblicare alcune specie da lui scoperte sulle Transactions della Royal Society, rifiutò, perché avrebbe dovuto scriverle in inglese, mentre Linneo usava solo il latino. Il suo sogno era scoprire un genere sconosciuto, e che magari Linneo gli desse il suo nome. Dapprima credette di aver fatto centro quando gli inviò una pianta che propose di denominare Ellisia in onore dell'amico comune; ma Linneo lo disilluse, determinandola come Swertia difformis (oggi Sabatia difformis). E quando fu il turno di un nuovo tipo di storace, lo deluse di nuovo preferendo dedicarla, su suggerimento di Ellis, con il nome di Halesia a uno studioso ben più illustre di lui, il reverendo Stephen Hales. Il successo sarebbe arrivato solo nel 1765, con la scoperta di ben due nuovi generi; ma ormai Gardenia gli era già dedicato, ed essi furono battezzati Fothergilla e Stillingia, in onore rispettivamente di John Fothergill e Benjamin Stilling-Fleet. Il suo contributo alla scoperta del primo è comunque ricordato dal nome specifico Fothergilla gardenii. Più ancora che alle piante della Carolina, Linneo era però interessato agli insetti, ai rettili e agli anfibi di quella regione che sapeva ricca di specie sconosciute. Garden accondiscese alle sue richieste e da botanico diventò zoologo, inviando a Uppsala le sue eccellenti descrizioni dal vivo e dozzine di esemplari perfettamente conservati nel rum. Sono così almeno una trentina le specie di anfibi, rettili e pesci descritti in Systema naturae la cui scoperta si deve a Garden. La più nota di tutte è Siren lucertina, un anfibio anguiforme che gli sembrava intermedio tra una lucertola e un'anguilla. Qualche anno più tardi, nel 1774, Garden ebbe occasione di studiare le proprietà elettriche di alcune "anguille" giunte vive a Charleston dal Suriname. Le sottopose ad esperimenti ed inviò le sue osservazioni alla Royal Society di Londra, insieme a un esemplare vivo e ad alcuni esemplari perfettamente conservati sotto alcool, di cui John Hunter poté così studiare gli organi elettrici. L'anno prima, Garden aveva ottenuto l'ammissione alla Royal Society. Allo scoppio delle ostilità tra la Gran Bretagna e le colonie, si schierò con i lealisti. Nel 1781 le sue proprietà furono confiscate e due anni dopo ritornò in patria, stabilendosi nei pressi di Londra. Molto rispettato per "la sua benevolenza, la sua allegria, e le sue buone maniere", divenne vicepresidente della Royal Society. Morì di tubercolosi nel 1791. Una sintesi biografica nella sezione biografie. ![]() Gardenia, un fiore da leggenda Con circa 150-200 specie di arbusti e alberi sempreverdi diffusi nell'Africa e nell'Asia tropicale e subtropicale, il genere Gardenia è uno dei più notevoli della famiglia Rubiaceae. La specie più nota è indubbiamente G. jasminoides, tanto apprezzata per la sua bellezza e il suo profumo, quanto famigerata per la sua capricciosità. Croce e delizia dei giardinieri, è una pianta mitica, simbolo di bellezza, lusso e seduzione: era il fiore preferito di Sigmund Fred, i dandies francesi della fin du siècle la portavano all'occhiello e Billie Holiday ne appuntava tre alla chioma, tanto da essere soprannominata la "gardenia bianca del jazz"; la scelgono le spose per i loro bouquet, i bar Tiki la ostentano riunite in corone e le usano come ingrediente segreto dei cocktail. Oltre a una celebre rivista di giardinaggio, presta il suo nome a decine di ditte, esercizi commerciali, prodotti di bellezza, associazioni sui temi più vari. In giardino ne sono state selezionate innumerevoli varietà; già la forma doppia a tutti famigliare è frutto della selezione orticola millenaria in Cina, dove è stata preferita alla originaria forma a fiore semplice. Oggi si punta sempre più su quelle un po' più rustiche e meno schizzinose, come G. jasminoides radicans, di dimensioni minori, capace di sopportare l'inverno all'esterno, oppure 'Crown jewel', rustica fino a -10 gradi. Tuttavia, non c'è solo G. jasminoides. Al contrario di questa cinese entrata nella storia della botanica travestita da sudafricana, arriva davvero dalle foreste della regione del Capo G. thumbergia, la seconda specie a giungere in Europa intorno al 1773 grazie a Thunberg e al suo amico Masson. Arriva invece dall'India G. latifolia, un vero piccolo albero, apprezzato non solo per l'ombra offerta dalla densa chioma sempreverde e i fiori, ma anche per i frutti eduli, ampiamente coltivato nel subcontinente e introdotto in molte zone dell'Africa. Numerose sono le specie originarie delle isole del Pacifico, uno dei principali centri di diversità; tra di esse G. taitensis, che fu raccolta per la prima volta a Tahiti durante la seconda spedizione di Cook, uno dei fiori simbolo delle isole, molto apprezzato in profumeria. E non tutte le gardenie hanno fiori bianchi: ad esempio, l'asiatica G. tubifera ha corolle giallo oro. Qualche approfondimento sulle "altre gardenie" nella scheda. Sono due articoli, usciti rispettivamente sul Journal Général de France e sulla Gaceta de Madrid nel 1786 a pochi mesi di distanza, a rilanciare l'affare Dombey. Protagonista di questa seconda fase è un aristocratico, magistrato di professione e botanico per passione, Charles-Louis L'Héritier de Brutelle che, pur di pubblicare le nuove specie scoperte dallo sfortunato Dombey, non esita a inscenare una rocambolesca fuga a Londra. A fare da comprimari, tanti personaggi: un giovanissimo Redouté alle prime pennellate; il botanico Broussonet nelle vesti di complice; un prudente James Edward Smith e un riluttante Joseph Banks; Jonas Dryander nelle funzioni di cane da guardia; Cuvier e de Candolle come amici, testimoni e biografi. Alla fine, tanto rumore per nulla: le piante di Dombey in realtà L'Héritier non le pubblicherà mai; sarà però autore di tanti generi importanti, tra cui Plectranthus, Agapanthus, Eucomis, Eucalypytus, Pelargonium, Erodium. Per una strana coincidenza, anche a lui, come a Ruiz, Pavon e Dombey, è toccata una Malvacea, Heritiera, omaggio di Dryander e del giardiniere capo di Kew Aiton. ![]() Un magistrato appassionato di botanica Come abbiamo visto in questo post, Dombey tornò in Francia nell'ottobre 1785. Non ancora ricaduto nella depressione, affittò una casa a Parigi dove mise a disposizione di curiosi e studiosi le sue collezioni, prima che fossero trasferite nel Gabinetto del re. Il Journal Général de France ne informò i lettori nel numero del 14 gennaio 1786, elogiando la rarità e la ricchezza delle raccolte; quindi proseguì annunciando che il conte di Buffon, curatore del Jardin des Plantes, aveva affidato il prezioso erbario di Dombey a M. L'Héritier perché ne pubblicasse la descrizione. Con i tempi lenti dell'epoca, la notizia rimbalzò a Madrid suscitando indignazione e proteste ufficiali. L'affare Dombey tornava d'attualità. Ma prima di occuparcene, facciamo la conoscenza con il suo secondo protagonista, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. L'Héritier era un facoltoso magistrato divenuto botanico per passione. Si racconta che in gioventù, quando era sovrintendente del Dipartimento delle acque e delle foreste, mentre visitava l'orto botanico di Parigi con alcuni colleghi, fosse così dispiaciuto dal non aver saputo riconoscere un albero (si trattava di un Celtis) da decidere di studiare la botanica da autodidatta; lo fece così bene da diventare un esperto tassonomista di stretta osservanza linneana. L'adesione al sistema di Linneo lo mise in urto con i Jussieu e Adanson, che in quegli anni andavano mettendo a punto il loro sistema naturale, ma gli procurò la stima di altri naturalisti (in particolare Cuvier, Broussonet e Thouin) e gli consentì di entrare in corrispondenza con i linneani inglesi, come Joseph Banks e James Edward Smith. Più tardi divenne giudice dell'importante Court des Aides; i contemporanei lo dipingono come un giudice integerrimo e incorruttibile. Egli era interessato soprattutto alle piante arboree e arbustive; ma la sua maggiore aspirazione - ricordo che era outsider, un dilettante agli occhi dei professori del Jardin des Plantes - era conquistare la celebrità pubblicando piante inedite. E quando si trattava della sua passione, gli scrupoli di giudice senza macchia venivano un po' meno; si dice che giungesse a corrompere i giardinieri perché lo avvisassero delle fioriture prima dei proprietari; certa è la sua abitudine di antidatare le pubblicazioni a stampa, cosa che provocò una feroce polemica con Cavanilles sulla priorità di pubblicazione di alcune Malvaceae. Verso il 1783, L'Héritier, all'epoca estremamente facoltoso, decise di pubblicare a proprie spese una serie di monografie dedicate a specie poco note o di recente introduzione coltivate nel Jardin des Plantes o in giardini privati parigini; si sarebbe trattato di edizioni di lusso, in cui le sue precisissime descrizioni sarebbero state accompagnate da incisioni a piena pagina di eccellente qualità, affidate ad artisti capaci di ritrarre le piante dal vero con immediatezza, attenzione al dettaglio e precisione scientifica. Cercando i migliori collaboratori per il suo progetto, scoprì un giovane artista, appena trasferitosi a Parigi dal Lussemburgo: Pierre-Joseph Redouté. L'Héritier curò la sua formazione come illustratore botanico, gli aprì la sua biblioteca e gli affidò l'illustrazione di alcune sue opere, a cominciare dal secondo fascicolo di Stirpes novae. Il primo fascicolo di Stirpes Novae aut minus cognitae, quas descriptionibus et iconibus illustravit, con undici incisioni, uscì nel marzo del 1785, seguito da altri cinque tra il 1786 e il 1791. In tutto, le specie descritte e le incisioni sono 84. Tra i nuovi generi qui stabiliti da L'Héritier, il più noto è sicuramente Plectranthus (1788). Alcune delle nuove specie sono "peruviane" nate dai semi inviati da Dombey, tra cui quella che il magistrato-botanico battezza Verbena tryphilla (oggi Aloysia citrodora, ovvero la notissima cedrina o erba Luisa). La circostanza dovette attirare l'attenzione di Buffon che, come abbiamo già visto, decise di affidare proprio a L'Hériter de Brutelle la pubblicazione dell'erbario di Dombey, tanto più che il magistrato offriva di pagarla di tasca sua. ![]() Una fuga in Inghilterra e un progetto mai realizzato Sulla Gaceta de Madrid dell'11 luglio 1786 esce un articolo di fuoco, ispirato da Gomez Ortega o scritto direttamente da lui, in cui si denuncia l'annunciata pubblicazione dell'erbario di Dombey come una violazione della parola data da quest'ultimo di non pubblicare nulla prima del rientro di Ruiz e Pavon. Segue una protesta diplomatica ufficiale; la Spagna chiede non solo la sospensione della pubblicazione, ma addirittura l'invio a Madrid dell'erbario, onde evitare ogni tentazione. Una richiesta pesantissima e senza appigli legali, a cui tuttavia il governo francese si adegua. Per caso, L'Héritier de Brutelle si trova proprio a Versailles quando viene a sapere che è stato trasmesso a Buffon l'ordine di ritirare l'erbario, che gli sarà comunicato il giorno dopo. Disperato, corre a casa. Con l'aiuto della moglie, dell'amico Broussonet e di Redouté, passa la notte a imballare l'erbario e a fare i bagagli; la mattina dopo (è il 7 settembre 1786) parte con la moglie per Boulogne. Alla dogana, dichiara falsamente che sta andando in Inghilterra con dei materiali richiesti da Joseph Banks, un nome così prestigioso da spegnere i sospetti dei doganieri. Quindi si imbarca per Londra, dove passa quindici mesi, da settembre 1786 a dicembre 1787, con l'intenzione di preparare Il Prodromus di una Flora del Perù e del Cile, potendo approfittare delle biblioteche e degli erbari di Smith e Banks per il confronto e la determinazione degli esemplari. L'accoglienza di Banks non è proprio entusiastica: è stato avvertito della storia da Smith, che al momento della fuga di L'Héritier si trovava a Parigi, e soprattutto è furioso per l'uso del suo nome alla dogana di Boulogne. Tuttavia poi ammette il francese come regolare visitatore della sua biblioteca, pur raccomandando al segretario Dryander di tenerlo d'occhio: non si fida di questo fanatico, capace di tutto, anche di impadronirsi del lavoro altrui. In realtà, L'Hértitier si comporta più che correttamente. Tuttavia, a Londra i suoi piani cambiano: invece di concentrarsi sulla descrizione delle piante di Dombey, è attratto dalle specie ancora inedite dell'erbario di Banks e dalle novità botaniche che crescono a Kew e in altri giardini londinesi. Nasce così la sua seconda opera principale, Sertum anglicum (1789-1793), in cui pubblica 125 specie per lo più inedite, solo pochissime delle quali sono tratte dall'erbario di Dombey; per le incisioni si affida al grande illustratore britannico James Sowerby e a Pierre-Joseph Redouté, che lo ha raggiunto a Londra nella primavera del 1787. I nuovi generi pubblicati in questa opera sono tredici, sette dei quali dedicati a botanici britannici, come ringraziamento per l'accoglienza: Boltonia, Dicksonia, Lightfootia, Pitcarnia, Relhania, Stokesia, Witheringia. Quanto ai suoi principali ospiti, Banks, Smith e Dryander, L'Héritier non può omaggiarli, visto che i generi Banksia, Smithia e Dryandra esistono già. Ma tra i nuovi generi di Sertum anglicum ce ne sono almeno tre molti importanti: Agapanthus, Eucomis e Eucalyptus. Nel dicembre 1787, calmatasi le acque anche per il rientro di Ruiz e Pavon dal Perù (nel frattempo sono morti sia Galvez, il ministro spagnolo delle Indie, sia Buffon), L'Héritier de Brutelle ritorna a Parigi, pensando di poter continuare tranquillamente il suo lavoro in patria. In effetti, l'affare Dombey si è ormai dissolto in una bolla di sapone, e, oltre a continuare la pubblicazioni di altri fascicoli di Stirpes novae e Sertum anglicum, tra il 1787 e il 1788 L'Héritier dà alle stampe un'importante monografia, Geraniologia, in cui separa da Geranium i generi Pelargonium e Erodium. Di mettere fine ai suoi progetti si incarica la storia. Vicino agli ambienti illuministi, il magistrato-botanico si schiera dalla parte della rivoluzione e si batte per la monarchia costituzionale. Nell'ottobre 1789 è nominato comandante della guardia nazionale del suo quartiere; il suo reggimento è uno di quelli che il 6 ottobre proteggono il re della folla inferocita che lo costringe a trasferire la corte da Versailles a Parigi. Nel 1790 entra come associato all'Accademia delle Scienze, ma con lo scioglimento di tutte le istituzioni dell'Antico regime perde tutte le sue entrate; nel 1793 viene arrestato e rischia la pena capitale, ma viene ben presto liberato grazie alle testimonianze degli amici botanici Desfontaines e Thouin. Poco dopo rimane vedovo e il figlio maggiore, con cui non è mai andato d'accordo, lascia la famiglia. Con il termidoro, si mantiene grazie a un lavoro sottopagato al ministero di giustizia e diviene membro del comitato dell'agricoltura e delle arti. Nel 1795 quando l'Accademia delle scienze rinasce come Istituto nazionale delle scienze e delle arti, ne diviene membro residente della sezione di botanica e di fisica vegetale, con un modesto salario. Da tempo non pubblica più nulla, ma è riuscito a conservare la sua biblioteca e il suo erbario, e accoglie volentieri a casa sua i giovani botanici, come Augustin Pyramus de Candolle. La sera del 16 agosto 1800 lo attende una morte improvvisa e tragica: mentre rientra a casa a piedi dall'Istituto, a pochi passi dalla porta di casa viene assalito da uno sconosciuto che lo trafigge più volte con una sciabola. Il cadavere viene trovato solo il mattino dopo. E' coperto di ferite, ma non mancano né il denaro né altri effetti personali. Dunque, non si è trattato di una rapina. Il caso rimane irrisolto e si diffondono le voci più fantasiose, tra cui quella (riferita da Smith) che l'assassino fosse il figlio maggiore di L'Heritier. Prima di congedarci da lui (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), lasciamo la parola a de Candolle, che lo conobbe bene e dopo la sua morte aiutò la famiglia acquistando l'erbario: "Era un uomo secco, in apparenza freddo, ma in realtà appassionato, acrimonioso e sarcastico nella conversazione, un poco incline agli intrighi, un nemico dichiarato di Jussieu, Lamarck e anche dei nuovi metodi, ma verso di me ha dimostrato solo gentilezza di cui gli sono grato". ![]() Dalle foreste dell'Ile de France alle foreste di mangrovie Per una curiosa coincidenza, proprio come a Ruiz, Pavon e Dombey, anche a L'Héritier de Brutelle è toccato di essere celebrato da un genere della famiglia Malvaceae, Heritiera. A dedicarglielo fu William Aiton (anzi, potremmo dire Aiton e Dryander, visto che si tratta di un'opera a quattro mani) in Hortus kewensis, il catalogo dei Kew gardens del 1789. Come antico sovrintendente delle foreste della regione parigina L'Héritier amava gli alberi, e sarà stato sicuramente soddisfatto di questo omaggio, che ha legato per sempre il suo nome ad alberi dominanti delle foreste di alcune zone dell'Africa orientale, della regione indiana e del Pacifico. Alcune fanno parte delle foreste di mangrovie; tra di esse, la specie forse più nota, Heritiera littoralis, diffusa nelle foreste costiere dell'Oceano indiano e del Pacifico centro-occidentale, in un'area vastissima che va dall'Africa alla Micronesia. E' un albero di medie dimensioni a lenta crescita che forma larghi contrafforti basali che gli permettono di abbarbicarsi a suoli instabili e di resistere ad occasionali invasioni di acqua salina. Apprezzato per il legname, viene anche coltivato per la bellezza del fogliame, verde scuro e lucide nella pagina superiore, argentee in quella inferiore. H. fomes è invece la specie dominante delle mangrovie dell'India orientale e del Bangladesh, dove costituisce circa il 70% del manto arboreo. Sempreverde, è di dimensioni medie, ha radici munite di pneumatofori e tronco con vistosi contrafforti alla base; ha foglie coriacee ellittiche e fiori rosati o arancio riuniti in pannocchie. Anche il suo legname è molto apprezzato, ma la specie è considerata a rischio per l'eccessivo sfruttamento, la restrizione dell'habitat e la fluttuazione della salinità. Altre approfondimenti nella scheda. In gioventù, Joseph Dombey fu un uomo amabile, di notevole prestanza fisica e di mente acuta, uno scienziato versatile e un botanico appassionato; ma dalla grande spedizione in Sud America da cui si attendeva sicura gloria (è ironico che tutti la chiamino Spedizione di Ruiz e Pavón e non, come sarebbe giusto, Spedizione di Ruiz, Pavón e Dombey) fu totalmente distrutto nella salute fisica e mentale e nella stessa reputazione. Intorno a lui e alle sue piante scoppiò un caso diplomatico internazionale, l'affare Dombey, che coinvolse tre paesi in un momento storico delicatissimo: la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna. Ne vedremo qui la prima fase, quella di cui fu protagonista diretto. Unica consolazione in una vita infelicissima lo spettacolare genere Dombeya, dedicatogli da uno spagnolo che non si faceva condizionare dal nazionalismo, l'abate Cavanilles. ![]() Una spogliazione o il rispetto di un contratto? Come ho raccontato in questo post, mentre i suoi compagni proseguivano le ricerche in Perù, il 14 aprile 1784 Joseph Dombey si imbarcò con le sue collezioni sul Peruano, lo stesso vascello che sei anni prima lo aveva condotto a Callao con Ruiz e Pavón. Portava con sé l'erbario, le descrizioni, le collezioni di conchiglie e minerali, reperti archeologici e etnografici; le raccolte degli spagnoli, molto più copiose delle sue, viaggiavano su una nave più piccola, la San Pedro de Alcantara. Il viaggio fu particolarmente lungo e difficile. Le due navi, partite insieme, ben presto furono costrette a separarsi . Appena superato Capo Horn, il Peruano fu investito dai venti contrari e solo con grande difficoltà riuscì a raggiungere Rio de Janeiro, dove dovette essere riaddobbato. Dombey, malato da tempo, versava in uno stato di grave prostrazione fisica a causa della dissenteria e dello scorbuto. Il soggiorno in Brasile, che si protrasse dall'inizio di agosto alla fine di novembre, gli permise di recuperare in parte la salute e di integrare le sue collezioni, soprattutto con acquisti di pietre preziose, uccelli impagliati e farfalle. E' dunque soltanto il 28 febbraio 1785 che un Dombey esausto e frastornato sbarca finalmente a Cadice; lo accoglie la notizia che, per ordine di Galvez, il Ministro delle Indie, le sue 78 casse verranno poste sotto sequestro in un locale della dogana. Poco dopo si viene a sapere che la San Pedro de Alcantara, per evitare il naufragio, è stata costretta a gettare a mare tutto il carico: le collezioni di Ruiz e Pavón sono perdute. In virtù di una clausola del contratto stipulato con la Spagna nel 1777, Dombey si era impegnato a consegnare metà delle sue collezioni all'orto botanico di Madrid. E' possibile che egli pensasse in tutta sincerità di aver già assolto questo obbligo con gli esemplari scambiati in Perù e in Cile con Ruiz e Pavón; è sicuramente con costernazione che ad aprile apprende che la Spagna intende rispettare alla lettera la clausola, imponendogli di spartire le sue raccolte per reintegrare il carico perduto della San Pedro de Alcantara. Obbedendo alle indicazioni che arrivano da Parigi, Dombey si rassegna, tanto più che, raccoglitore scrupolosissimo, ogni volta che gli è stato possibile ha conservato nel suo erbario dodici esemplari di ciascuna pianta; da Madrid però arriva una seconda richiesta, ancora più dolorosa: si chiede al botanico francese di promettere di non pubblicare nulla fino al ritorno dal Perù di Ruiz e Pavón, sempre sulla base del contratto del 1777. Dombey cerca di resistere, o per lo meno di temporeggiare, in attesa di istruzioni da Parigi; temendo il sequestro dei suoi diari di campo, li affida al capitano di una nave francese in partenza per la Francia. Di una cosa è certo: dietro tutti questi maneggi c'è una persona: Casimiro Gomez Ortega che ha organizzato tutto il complotto per riservare a se stesso (o ai suoi protetti) la gloria della pubblicazione della flora peruviana. Purtroppo per Dombey, per la diplomazia francese una collezione di piante secche o una pubblicazione botanica in più o in meno non valgono una crisi diplomatica: gli ingiungono di accettare tutto, anzi il Jardin des Plantes si impegna a non pubblicare prima degli spagnoli le specie inedite nate nel giardino dai semi inviati da Dombey dal Sud America. E qui l'"affare Dombey" si tinge di giallo. Il povero botanico si sente tradito, abbandonato, vittima di una congiura; sostiene di aver subito un attentato, che una persona che gli assomigliava è stata uccisa davanti alla sua porta. La sua partenza da Cadice, dopo dieci mesi di soggiorno forzato, è quasi una fuga. Imbarcatosi sulla Jeune Henry per le Havre con le 36 casse che gli restano, rientra a Parigi il 13 ottobre 1785. ![]() Un uomo piegato e distrutto, una fine tragica L'uomo che rivede infine la dolce Francia è il fantasma del giovane e promettente botanico che ne era partito nove anni prima. Quel giovanotto dal carattere amabile è oggi un uomo ombroso, sospettoso, afflitto da un (giustificato?) complesso di persecuzione; sparite sono la forza fisica e l'acutezza del pensiero. Ben presto è travolto dalla depressione, tanto che, quando Jussieu gli offre il seggio dell'Accademia delle Scienze lasciato vacante dalla morte di Guettard, rifiuta; poco dopo (siamo all'inizio del 1786) lascia Parigi per cercare sollievo prima a Gex, poi a Lione, infine a Tullins. Nelle lettere che invia agli amici, sfoga il suo umore nero e l'odio per i suoi persecutori veri o presunti, ovvero Ortega e Galvez, Prima di lasciare Parigi, tuttavia, ha consegnato l'erbario e le sue note al Jardin des Plantes; Buffon a sua volta li ha trasmessi a L'Héritier de Brutelle, che l'anno prima ha pubblicato alcune delle "specie proibite" nate dai semi di Dombey al Jardin des Plantes in Stirpes novae; L'Héritier si mette al lavoro e annuncia la pubblicazione di una Flora peruviana. Gli spagnoli la prendono male (tornerò su questa seconda parte dell'affare Dombey in un prossimo post) e il povero Dombey è costretto a giustificarsi con il ministro Calonne, cui giura di non saperne nulla. Si sente sempre più vittima di un complotto, al punto che scrive ad André Thouin (da sempre il suo amico più caro) che è deciso ad abbandonare la Francia per sottrarsi ai suoi persecutori. Ritornato a Lione, in una crisi di disperazione nell'ottobre 1786 brucia tutti i suoi manoscritti. Vanno in fumo nove anni di osservazioni sui minerali, la geografia, la meteorologia, le miniere, il chinino e altri argomenti studiati dal versatile e sfortunato scienziato. Per sei anni vive una vita oscura di provincia. Chi lo visitò in quel periodo, come il botanico Villars, lo descrive come un uomo triste, chiuso, che ha abbandonato la lettura, gli studi, la vita pubblica, disinteressato anche agli eventi politici che scuotono il paese. Unica traccia dell'uomo del passato è il soccorso che come medico continua a prestare agli ammalati più indigenti. Furono forse i terribili eventi di cui fu teatro Lione durante il Terrore a riaccendere in lui il desiderio di partire e, allo stesso tempo, di servire nuovamente la scienza e la sua patria. A offrirgliene l'occasione fu Thomas Jefferson, all'epoca Segretario di Stato degli Stati Uniti. Tra le urgenze del nuovo stato c'era quello di uniformare il sistema dei pesi e delle misure, diverse da un angolo all'altro del paese. L'illuminista Jefferson era favorevole all'adozione del razionale sistema metrico decimale, che era stato da poco introdotto nella Francia rivoluzionaria; si rivolse perciò alla repubblica sorella perché inviasse un esperto. La scelta cadde sul nostro Dombey, che il 24 nevoso (17 gennaio 1794) partì da Le Havre su un brigantino statunitense, portando con sé un peso campione del chilogrammo. Costretto da una tempesta a riparare in Guadalupa, si trovò nel bel mezzo di uno scontro tra sostenitori e avversari della rivoluzione che lo trassero in arresto come inviato ufficiale della repubblica; liberato dai filo rivoluzionari, poté poi reimbarcarsi sul brigantino che lo aveva condotto nell'isola, ma appena la nave uscì dal porto fu catturata da vascelli corsari britannici. Dombey fu fatto prigioniero e condotto nell'isola di Montserrat. Così non giunse mai negli Stati Uniti, con due conseguenze: in quel paese tuttora si usano iarde, miglia, once e libbre, mentre Dombey, spezzato da tante disgrazie, morì in prigionia. Solo sei mesi dopo, nell'ottobre 1794, la notizia della sua morte arrivò a New York e da qui in Francia. Una sintesi della sua vita sfortunata nella sezione biografie. ![]() Dombeya, dal Madagascar con fioriture A consolarci da questa tristissima storia, ci sono per fortuna le splendide piante del genere Dombeya. A dedicarlo al nostro sventuratissimo botanico nel 1786 fu Cavanilles, abbastanza equanime dal non farsi condizionare dalle accuse di tradimento e spergiuro che i suoi conterranei riversavamo sul povero Dombey. Un tempo incluso nella famiglia Sterculiaceae, oggi confluita in Malvaceae, Dombeya nell'attuale delimitazione è uno dei generi più ampi della famiglia, con circa 250 specie di piccoli alberi e arbusti diffusi in Africa, in Madagascar, nella penisola arabica e nelle isola Mascarene. Il centro di diversità è il Madagascar, dove si incontrano oltre 200 specie. Genere molto vasto e morfologicamente vario, cresce in habitat diversi, dal bosco tropicale alla boscaglia d'altitudine. Le foglie alternate e semplici possono essere lobate, cuoriformi, quasi rotonde, glabre o pelose; i fiori a cinque petali, simili a quelli della malva, bianchi, rosati, galli o rossi, sono raccolti in fitte cime o ombrelle pendule. Alcune specie sono coltivate come ornamentali nelle zone a clima mite. La più nota è probabilmente D. wallichii, originaria dell'Africa orientale e del Madagscar, le cui rosee infiorescenze globose le hanno guadagnato il nome improprio ma suggestivo di "ortensia tropicale". Ugualmente spettacolare grazie alle fitte cime di fiori rosa pallido con cuore porpora è la fioritura di B. burgessiae, una specie diffusa in una vasta area che si estende dal Sudan al Sudafrica, . Molto coltivato nei paesi tropicali è D. x cayeuxii, un ibrido orticolo tra le specie precedenti ottenuto dal francese Henri Cayeux nel 1895. La più stupefacente è forse un'altra malgascia, D. cacuminum, con infiorescenze rosso vivo. Qualche approfondimento su queste e altre specie nella scheda. Linneo trascorse l'estate del 1736 in Inghilterra. Lo scopo ufficiale del viaggio, finanziato dal suo datore di lavoro George Clifford, era procurarsi piante rare per arricchire le collezioni del suo mecenate; ma per il giovane studioso svedese era soprattutto l'occasione per conoscere i "colleghi" britannici e propagandare il suo nuovo sistema. Contrariamente alle aspettative, fu tutt'altro che una tournée trionfale. A Londra, i big della botanica inglese, da Sloane a Miller, lo accolsero con freddezza; né meglio andò ad Oxford, dove Dillenius, il primo titolare della cattedra di botanica sherardiana, lo apostrofò come "l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". A sentire Linneo e i suoi biografi, quello che era iniziato come un increscioso incidente diplomatico si risolse tuttavia in una vittoria dello svedese e in una dimostrazione luminosa dell'efficacia del suo metodo, tanto che alla fine l'arcigno tedesco l'avrebbe pregato in lacrime di diventare il suo assistente. Probabilmente non andò davvero così, ma è certo che da quel momento tra i due ci fu reciproca stima; l'anno successo, Linneo dedicò a Dillenius la sua Critica botanica e creò in suo onore il genere Dillenia. Del resto, il botanico tedesco era uno studioso di grande valore, la cui Historia muscorum segnò una tappa decisiva nello studio delle cosiddette "piante inferiori". ![]() Linneo a Londra: una fredda accoglienza Come ho raccontato in questo post (a proposito, era il centesimo e questo è il numero duecento!), tra il 1735 e il 1737 Linneo lavorò per il ricchissimo George Clifford, borgomastro di Amsterdam e direttore della Compagnia olandese delle Indie orientali, riorganizzando e catalogando il suo orto botanico privato di Hartekamp. Clifford desiderava ardentemente arricchire le sue collezioni con qualcuna delle rarità esotiche di provenienza americana coltivate nelle serre di Londra e Oxford; per questo accettò di privarsi per qualche settimana del "suo" botanico, inviandolo in Inghilterra a far incetta di piante. Per Linneo, che nel 1735 aveva pubblicato proprio in Olanda la prima edizione di Systema naturae, era l'occasione per conoscere di persona i big della botanica britannica, di cui sperava di ottenere il riconoscimento, proprio come aveva ottenuto quello di studiosi olandesi del calibro di Gronovius e Boerhaave. Gli esiti, tuttavia, furono molto lontani dalle speranze. Freddissima fu l'accoglienza di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, cui Linneo si era presentato munito di una lettera proprio di Boerhaave, in cui quest'ultimo invitava l'illustre collezionista ad accogliere quel giovane degno di lui, aggiungendo che "chi vi vedesse insieme, vedrà una coppia di cui il mondo difficilmente potrà vedere l'uguale". Sloane, che aveva 77 anni ed era abituato ad essere universalmente riconosciuto e riverito, non gradì per nulla l'accostamento a quell'ignoto neolaureato svedese trentenne, e si degnò appena di mostrargli le sue collezioni e il suo erbario. Le cose non andarono meglio con Philip Miller, il capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, da cui Linneo sperava di ottenere piante rare per il suo mecenate. Dopo la brutta esperienza con Sloane, egli, che aveva sentito dire che Miller era uno scozzese piuttosto scorbutico, pensò che fosse meglio comportarsi con prudenza. Quando quest'ultimo lo accompagnò a visitare il giardino e incominciò a illustrare le piante usando i prolissi nome-descrizione e le classificazioni di Ray e Tournefort, per non irritarlo rimase in silenzio. Il giorno dopo, venne a sapere che Miller si era fatto beffe di lui con i suoi amici dicendo che "quel botanico del borgomastro di piante non sa un'acca". Era troppo per Linneo che, quanto a brutto carattere, non era da meno di Miller. Alla sua seconda visita a Chelsea, quando il giardiniere gli mostrò l'erbario, contestò le sue denominazioni, sostenendo che "se ne possono usare di migliori e più sintetiche" e cercò in ogni modo di fare sfoggio delle sue competenze. Il risultato fu di far imbufalire Miller, che non amava essere contraddetto e giudicava Linneo un arrogante presuntuoso, il cui sistema non aveva nulla a che fare con la realtà delle piante, serviva solo a mettersi in mostra e non avrebbe avuto futuro; egli avrebbe cambiato idea solo molti anni dopo, nel 1768, quando nell'ottava edizione del suo Gardeners Dictionary si convinse finalmente ad adottare il sistema linneano. ![]() Gli errori di Linneo... e quelli di Dillenius Linneo non fu accolto a braccia aperte neppure ad Oxford, dove era andato appositamente per incontrare Johann Jacob Dillenius, lo scienziato di origine tedesca che da qualche anno era il titolare della prima cattedra di botanica presso quell'università, nonché curatore dell'orto botanico. Durante il primo incontro Linneo mantenne una condotta cortese e deferente. Esordì scusandosi di dover parlare in latino, visto che non conosceva l'inglese. Dillenius bruscamente si rivolse a un altro gentiluomo che assisteva al colloquio (secondo i biografi di Linneo, si tratterebbe di James Sherard) che gli aveva chiesto chi fosse quel giovanotto, dicendo: "E' l'uomo che ha messo l'intera botanica in confusione". Poiché aveva parlato in inglese, pensava che Linneo non avrebbe capito; lo svedese, invece, non solo capì che si parlava di lui, ma anche la sostanza delle parole di Dillenius (l'inglese confusion è simile al latino confusio), ma al momento decise di abbozzare. I tre quindi si spostarono in giardino; Linneo notò una pianta che non aveva mai visto: "Che pianta è?" "Dovreste dirlo voi a me!" "Certamente, se mi permettete di esaminare un fiore." "Avanti, lo faccia." Linneo eseguì e, contando gli stami e il pistillo, ne diede il nome corretto, ma non per questo Dillenius si sciolse. Linneo era ormai convinto che il suo viaggio fosse stato inutile e, visto che incominciavano anche a scarseggiare i soldi, il giorno dopo tornò da Dillenius per congedarsi. Questa volta il cattedratico era solo. Linneo lo pregò di inviare un servitore a fissare per lui la carrozza di posta che l'avrebbe riportato a Londra, quindi, con la massima cortesia di cui era capace, gli domandò: "Perché ieri avete detto all'uomo che era con voi che sono quello che porta confusione nell'intera botanica?" Dillenius, molto imbarazzato, cercò di cambiare argomento, ma Linneo insisteva. "Venite con me", disse allora il tedesco e lo portò nella sua biblioteca. Da uno scaffale estrasse una copia di Systema naturae che aveva ricevuto da Gronovius e mostrò quelle pagine costellate della sigla NB. "Che significa?" domandò Linneo. "Sono gli errori del vostro libro" "Non sono errori, ma se lo fossero, insegnatemi meglio. Riceverò con gratitudine le vostre correzioni". "Benissimo, proviamo. Ecco, ad esempio, il genere Blitum. Lei pretende che abbia un solo stame, ma ne ha tre". Linneo e Dillenius si spostarono in giardino, Linneo esaminò un fiore di Blitum e mostrò che lo stame era effettivamente uno. "Bah, è un esemplare anomalo". Li osservarono tutti e risultò che aveva ragione Linneo. L'esame continuò con altri generi, sempre dimostrando che le descrizioni di Linneo erano corrette. A questo punto, Dillenius cambiò totalmente atteggiamento, e, stando alla versione diffusa da Linneo, l'avrebbe addirittura supplicato in lacrime di non partire ma di fermarsi ad aiutarlo a classificare l'erbario di Sherard, in cambio di metà del suo salario. E' probabile che le cose non siano davvero andate così se poco dopo Dillenius scrisse a un collega "Linneo ha certamente una conoscenza approfondita della botanica, ma il suo metodo non funziona"; e qualche anno dopo avrebbe scritto allo stesso Linneo: "Non ha dubbi che voi stesso, un giorno, rigetterete il vostro sistema". In ogni caso tra i due si era stabilita una stima reciproca; iniziarono a scriversi e a scambiarsi esemplari e le rispettive pubblicazioni. Nel 1738 Linneo dedicò a Dillenius Critica botanica e tenne poi sempre in grande considerazione le opere del collega tedesco, da cui riprese diversi generi in Species plantarum. ![]() Un grande tassonomista e l'inizio dello studio scientifico delle crittogame Per quanto ritoccato da Linneo e dai suoi biografi, l'aneddoto assume quasi il valore di un metaforico passaggio di testimone tra la vecchia scuola tassonomica di Ray e Tournefort, di cui Dillenius fu un esponente di primo piano, e il nuovo sistema linneano. Del resto, tra i due protagonisti di questa storiella, curiosamente, c'è più di una affinità. Come Linneo si era trasferito in Olanda e aveva iniziato la sua carriera classificando le collezioni di un mecenate, lo stesso aveva fatto Dillenius, spostandosi dalla nativa Germania in Inghilterra al servizio del botanico e collezionista William Sherard. Nato nel 1684 a Darmstadt, si formò e insegnò medicina e botanica all'università di Giessen; nel 1719 pubblicò una flora dei dintorni di questa città, Catalogus plantarum sponte circa Gissam nascentium, che illustrò di propria mano, essendo anche un eccellente disegnatore e incisore. E' un'opera notevole perché, accanto alle fanerogame, tratta anche le crittogame e presenta uno dei primi tentativi di classificazione dei funghi; delle 160 specie di funghi descritte, 90 erano inedite; delle 200 specie di muschi, erano sconosciute ben 140. Questo lavoro diede fama europea a Dillenius e attrasse l'attenzione di William Sherard che nel 1721 lo invitò a trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo a catalogare il suo immenso erbario e ad allestire il catalogo del giardino di Eltham nel Kent, dove suo fratello James (anche lui appassionato botanico) coltivava piante rare. Lavorando fianco a fianco con William Sherard, che aveva studiato a Parigi con Tournefort, Dillenius divenne uno dei migliori tassonomisti della sua generazione, con un'approfondita conoscenza anche del sistema di Ray, di cui nel 1724 curò la terza edizione di Synopsis Methodica Stirpium Britannicarum, incorporandovi tra l'altra l'opera sui muschi del reverendo Adam Buddle. Stabilitosi a Eltham, Dillenius divenne il curatore di quel magnifico orto botanico privato, di cui documentò le collezioni in Hortus elthamensis, uscito infine dopo una lunga rielaborazione nel 1732; in due spettacolari volumi in folio, con 324 tavole disegnate e incise dallo stesso Dillenius, è uno dei capolavori della botanica prelinneana, per la precisione delle descrizioni (la parte tassonomica è per lo più dovuta allo stesso Sherard) e la bellezza delle immagini, in cui vengono trattate e illustrate 417 piante rare e esotiche; di grande importanza storica la trattazione delle succulente sudafricane, che fu ampiamente riutilizzata da Linneo. Catalogare l'immenso erbario del maggiore dei fratelli Sherard richiedeva un impegno anche più gravoso: rendendosi conto che non gli restava molto da vivere, nel suo testamento William lasciò all'università di Oxford la sua biblioteca, il suo erbario e un lascito di 3000 sterline, a condizione che venisse istituita una cattedra di botanica da affidare al professor Dillenius, che avrebbe dovuto completarne lo studio e la catalogazione. Sherard morì nel 1728, ma Dillenius, ancora impegnato a Eltham, poté assumere il nuovo incarico solo nel 1734. Possiamo credere che non gli sarebbe davvero spiaciuto essere affiancato da Linneo, come lui aveva affiancato il vecchio Sherard; nelle sue lettere, spesso lamenta di aver perso tempo e denaro (sembra che i fratelli Sherard lo pagassero molto poco) in quel compito immane, di cui non venne mai a capo, anche perché, probabilmente, preferiva ricerche più originali, in particolare lo studio delle sue amate crittogame. Frutto di un lavoro ventennale, il suo capolavoro è infatti Historia muscorum (1741), in cui vengono trattati, oltre ai muschi, altri gruppi di "piante inferiori": funghi, alghe, licheni, epatiche, antocerote e licopodi, per un totale di 661 taxa. Anche in questo caso, le 85 tavole che illustrano il grosso volume di 576 pagine sono di sua mano. I funghi sono classificati sulla base delle caratteristiche del corpo fruttifero (criterio poi fatto proprio da Linneo) e vengono creati numerosi generi, che poi furono mantenuti dallo svedese. Ogni voce comprende una dettagliata descrizione, la lista dei sinonimi e l'indicazione degli eventuali usi. Era un'opera costosa, di cui furono stampate solo 250 copie, vendute al prezzo di una ghinea l'una, che si rivelò un insuccesso finanziario; per recuperare almeno in parte le spese, Dillenius ne preparò una versione abbreviata, priva di illustrazioni, che conteneva solo i nomi, l'habitat e una breve descrizione, rimasta però allo stadio di manoscritto. Per raccogliere il materiale necessario, nel 1726, egli aveva fatto una lunga escursione in Galles, ma soprattutto ricorse al contributo di numerosissimi corrispondenti in Inghilterra e all'estero. Morì nel 1747 in seguito a un colpo apoplettico. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Dillenia ovvero una chicca per elefanti Nel 1736 Clifford ottenne alcuni semi di una pianta indiana detta syalita; seminati a Hartekamp, germinarono, ma le pianticelle sopravvissero solo due settimane. Quanto bastava perché Linneo potesse includere anche questa specie nel catalogo del giardino, Hortus Cliffortianus (1737), traendo la descrizione da Hortus Malabaricus e da Herbarium Amboinense di Rumphius; stando a queste fonti, si trattava di un albero di notevole bellezza; Linneo ritenne capitasse proprio al momento giusto per ingraziarsi il bisbetico professore tedesco e la denominò Dillenia indica, con queste parole: "Ho nominato questo albero dai bellissimi fiori e dai frutti enormi in onore di Dillenius, dottore in medicina, botanico incomparabile dei tempi nostri, professore sherardiano a Oxford e membro dell'Accademia Leopoldina". Confermò poi il genere in Species Plantarum, 1753. Dillenia L, che dà il nome alla famiglia Dilleniaceae, comprende un centinaio di specie di alberi, arbusti e liane tropicali, diffusi tra il Madagascar, l'India, il sud-est asiatico e l'Oceania occidentale. La specie più nota è proprio D. indica; è un grande arbusto o un piccolo albero con chioma tendenzialmente tondeggiante e spettacolari fiori candidi che possono ricordare quelli di Magnolia grandiflora, seguiti da enormi frutti tondeggianti giallo-verdastro. Di sapore tra l'acido e l'amarognolo, in India sono aggiunti ai curry o usati per preparare marmellate e gelatine. A esserne ghiotti sono soprattutto gli elefanti (i frutti crescono molto in alto, dove non sono raggiungibili da animali più piccoli), tanto da essere noti come "mela degli elefanti". Di grande valore ornamentale e talvolta usata in giardini e alberate in aree a clima tropicale è D. philippinensis, endemica delle Filippine; simile alla precedente, ha fiori con cinque sepali candidi che circondano una doppia corona di stami rossi e porpora, seguiti da frutti globosi. Di quest'albero, detto catmon, viene utilizzato tutto: il legname; la corteccia da cui si ricava un colorante rosso; i sepali carnosi eduli; i frutti, il cui sapore dovrebbe ricordare quello di una mela acida, usati per preparare salse e confetture e aromatizzare il pesce; corteccia e foglie hanno proprietà astringenti, antinfiammatorie, antimicrobiche e analgesiche. Può essere coltivata come pianta da interni o da serra in grandi contenitori. Qualche notizia in più nella scheda. Alla fine, le piante raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark non furono pubblicate né da B.S. Barton né da nessun altro botanico americano, ma in Inghilterra dal tedesco Frederick Pursh (nato Friedrich Pursch). Uno smacco per l'orgoglio nazionale degli Stati Uniti, appena usciti malconci dalla guerra del 1812 contro la perfida Albione. Insieme alla rivalità con altri botanici, primo fra tutti Thomas Nuttal, sta forse qui l'origine della leggenda nera che ha dipinto Pursh come mentitore seriale, plagiario, tassonomista mediocre e temerario, barbaro dalle fattezze tartare e, soprattutto, ubriacone senza speranza. Sicuramente la sua fu una vita inquieta e errabonda, conclusa precocemente nella miseria e nell'alcolismo. Rimangono a ricordarlo Flora Americae Septentrionalis, la prima flora del Nord America a comprendere specie continentali, raddoppiando il numero delle piante nordamericane fino ad allora pubblicate, e il genere Purshia, coraggioso e splendido ornamento dei monti e dei deserti del Nord America occidentale, il cui primo esemplare, ancora una volta, fu raccolto durante la spedizione di Lewis e Clark. Può essere ironico che, a celebrare un uomo accusato di essere troppo dedito alla birra, siano piante che non temono gli ambienti più aridi. ![]() Un inquieto botanico di talento Le vicende americane di Fredrick Pursh si intrecciano continuamente con quelle dei diversi personaggi che, in vario modo, ebbero a che fare con le piante raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark: Thomas Hamilton, Bernard McMahon, il professor Barton, lo stesso Lewis. E alla fine fu proprio lui a pubblicarle per primo, nei due volumi di Flora Americae Septentrionalis, usciti a Londra tra la fine del 1813 e l'inizio del 1814. Tedesco, era nato a Großenhain in Sassonia nel 1774 con il nome di Friedrich Trauttgott Pursch; si era poi trasferito a Dresda, come apprendista giardiniere del Reale orto botanico, dove aveva ricevuto ottime basi teoriche da Johann Heinrich Seidel. La collaborazione a una flora dei dintorni della città gli permise di acquisire anche qualche esperienza editoriale. Spirito inquieto e avventuroso, nel 1799 lasciò la Germania per gli Stati Uniti, dove servì successivamente come giardiniere presso diversi privati tra Baltimora e Filadelfia. Nel 1803 Thomas Hamilton lo assunse come giardiniere capo di Woodlands, in sostituzione di John Lyon. Poté così conoscere i numerosi naturalisti e botanici che frequentavano la casa, tra cui Henry Muhlenberg, William Bartram e Benjamin Smith Barton; desideroso di liberarsi del lavoro nelle aiuole per dedicarsi completamente all'esplorazione e allo studio delle piante, nel 1805 lasciò anche Hamilton per passare al servizio di Barton, come curatore dell'erbario e raccoglitore. Per suo conto, intraprese infatti alcune spedizioni, in cui si mosse a piedi, con la sola compagnia di un cane, la prima delle quali, tra aprile e novembre 1806, lo portò in Virginia e sulle montagne tra le Caroline e la Georgia. Nel frattempo, a Filadelfia incominciavano ad arrivare le piante raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark, gli essiccata affidati per volontà del presidente Jefferson alla American Philosophical Society in vista della pubblicazione da parte di Barton, e i semi a Hamilton e McMahon. Ma il lavoro di Barton, secondo la sua abitudine di molto progettare e poco concludere, non faceva alcun progresso. Fu così che, probabilmente dietro suggerimento di McMahon, nell'aprile 1807 Lewis incontrò Pursh e, impressionato dalla sua competenza, gli chiese di illustrare le "sue" piante, dietro il compenso di 60 dollari. Poco dopo, Pursh partì per la sua seconda escursione botanica, che lo portò sulle montagne tra Pennsylvania e Vermont in direzione dei grandi laghi. Di ritorno a Filadelfia a ottobre, si stabilì a casa di McMahon e lavorò tutto l'inverno ai disegni, e presumibilmente anche alle descrizioni, visto che da parte del professor Barton, che avrebbe dovuto occuparsene, non si registrava alcun progresso. Lo scontento di Pursh verso il dilatorio professore cresceva. Nel 1809, probabilmente anche in questo caso grazie alla raccomandazione di McMahon, fu assunto come curatore dell'Elgin Botanical Garden di New York, appena fondato da David Hosack. Lasciando Filadelfia, portò con sé i disegni, le descrizioni e i doppioni dell'erbario della spedizione (compreso qualche esemplare che aveva "sezionato" per avere un proprio campione), forse già con l'intenzione di pubblicare le piante in proprio, decisione probabilmente rafforzata dalla tragica morte di Lewis, avvenuta nell'ottobre 1809. Neppure a New York il nostro inquieto botanico si trattenne a lungo; nel 1810 visitò le Indie Occidentali, anche per ragioni di salute, e nel 1811, viste anche le crescenti tensioni tra Stati Uniti e Gran Bretagna, che sarebbero sfociate nella guerra del 1812, partì per Londra. A spingerlo a questo passo, oltre alla speranza di trovare uno sponsor e un editore, la possibilità di consultare le biblioteche e gli erbari di numerosi botanici che avevano esplorato la flora nordamericana prima di lui. Nella capitale inglese Pursh trovò il protettore che cercava nella persona di Aylmer Bourke Lambert, vicepresidente della Linnean Society, grande collezionista di erbari e esperto di conifere (il suo nome è ricordato da Pinus lambertina). Dunque, con grande smacco dei botanici americani, le piante della grande spedizione "nazionale" di Lewis e Clark furono finalmente pubblicate a Londra da un tedesco. Prima di esaminare meglio Flora Americae Septentrionalis, un cenno alle successive vicende di Pursh. L'opera gli procurò una certa fama almeno in Inghilterra, se subito dopo gli venne affidata la cura dei cataloghi di alcuni giardini botanici; ma egli non era tipo da accontentarsi di un tranquillo lavoro editoriale. Desiderava ripartire e riprendere la ricerca sul campo. Nel 1814 respinse l'invito a dirigere il neo istituito orto botanico dell'Università di Yale; nel 1816 accettò invece quello di lord Selkirk di aggregarsi come botanico al nuovo insediamento del Red River in Canada. Partito dall'Inghilterra nel febbraio di quell'anno, si trovava già in Canada quando il progetto fallì in seguito all'assassinio del capo della spedizione, Robert Semple. Nei quattro anni che gli restavano da vivere, povero, senza alcun sostegno ufficiale e afflitto da problemi crescenti di alcoolismo, Pursh fece diverse escursioni botaniche nel paese, in particolare nel bacino del San Lorenzo e nell'isola di Anticosti, con l'intenzione di scrivere una flora del Canada. Aveva già raccolto circa 1000 esemplari, quando tutta la sua collezione fu distrutta in un incendio. Era l'ultimo colpo alle sue speranze. Morì a Montreal, ad appena 46 anni. Una sintesi di questa vita inquieta nella sezione biografie. ![]() Un'opera importante e molte polemiche Arrivato a Londra presumibilmente nel novembre 1811, ospite di Lambert, Pursh si mise immediatamente al lavoro. Già nel febbraio 1812 scrisse a James Edward Smith, proponendogli di pubblicare sulle Transactions della Linnean Society una relazione sulle piante raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark. Con l'incoraggiamento di Lambert, che gli fece aprire le porte delle biblioteche e delle collezioni di Banks e Smith, il progetto si ampliò a una flora dell'America settentrionale. Con una certa disinvoltura, senza il permesso dei raccoglitori, Pursh incominciò ad includervi non solo le specie di Lewis e Clark e quelle raccolte da lui stesso nel corso delle escursioni fatte al servizio di Barton e Hosack, ma anche le piante di cui era venuto a conoscenza grazie alla liberalità di Muhlenberg e di altri amici con i quali aveva erborizzato (senza né citarli né ringraziarli). Una disinvoltura che spiacque allo stesso Smith, il quale, a quanto pare, quando seppe in che modo Pursh era venuto in possesso degli esemplari raccolti da Lewis e Clark, non solo rifiutò di pubblicarli, ma evitò di venire a trovarsi nella stessa stanza con lui. Nella primavera del 1812, Pursh incontrò Nuttall, suo successore come raccoglitore di Barton, che gli mostrò le sue collezioni. Inoltre, in seguito a complesse circostanze, erano pervenuti a Lambert i duplicati delle collezioni dell'inglese John Bradbury, che nel 1811 aveva raccolto insieme a Nuttall lungo il fiume Missouri e poi da solo oltre Fort Mandan. Senza il permesso dell'autore (intrappolato dalla guerra negli Stati Uniti), Pursh decise di includere nella sua opera un'appendice con quaranta piante inedite raccolte da Bradbury. Anche Nuttall si lamentò in tal senso; tuttavia, poiché egli aveva ripercorso parte dell'itinerario di Lewis e Clark, raccogliendo le stesse piante, questa accusa è forse infondata. Tramontata la possibilità di pubblicare il suo lavoro sulle Transactions, Pursh si rivolse al Botanical Magazine, un mensile con il quale collaboravano sia lui sia Nuttall, in quella che divenne quasi una gara per la primogenitura. I due volumi di Flora Americae Septentrionalis uscirono ufficialmente il 10 gennaio 1814, ma poiché la stampa era stata completata qualche settimana prima, già a dicembre alcune copie vennero distribuite a personaggi influenti in vista della presentazione nella riunione mensile della Linnean Society. L'opera contiene la descrizione di 470 generi e 3076 specie, cui va aggiunto il supplemento con le 40 specie di Bradbury; tra di esse, quelle raccolte durante la spedizione di Lewis e Clark sono 132; solo 24 sono illustrate da disegni eseguiti dallo stesso Pursh a Filadelfia. Benché preceduta di pochi anni da Flora Boreali-Americana di André Michaux (1803) e seguita quasi immediatamente da The Genera of North American Plants di Thomas Nuttall (1818), l'opera di Pursh riveste una notevole importanza storica. Rispetto alla flora del francese, che rendeva conto delle piante degli Stati atlantici, allarga il campo a molte specie continentali, sia delle Montagne rocciose sia della costa pacifica; inoltre la precedenza cronologica rispetto a Nuttall ha imposto molte delle sue denominazioni. Tra i generi da lui creati, vorrei ricordare Calochortus e soprattutto Lewisia e Clarkia, in onore dei due capi della celebre spedizione; tra le specie, Gaillardia aristata, Arbutus menziesii, Gaultheria shallon, Euphorbia marginata, Ribes sanguineum, Philadelphus lewisii, Linum lewisii. Inutile dire che i botanici americani non la presero affatto bene. Tra i più drastici, Constatine Samuel Rafinesque che nella sua recensione del 1819 segnalò 43 errori macroscopici e così si espresse: "L'ignoranza presiede tutta l'opera. Gli errori, gli spropositi, le denominazioni improprie che la costellano sono innumerevoli. Cambiare un nome buono con uno cattivo è un'assurda temerarietà. Eppure a tale temerarietà inclina Mr. Pursh; vorrei però avvisare tanto lui quanto chi volesse seguire la sua autorità, che sarebbe meglio tornasse a scuola, e imparasse l'abc della botanica, come fanno i bambini quando imparano l'alfabeto". Non mancarono dicerie sulla persona stessa di Pursh; già Barton aveva diffuso la fama della sua propensione all'alcool. John Francis, un amico di Hosack che soggiornò a Londra negli anni in cui vi viveva Pursh, disse di lui: "E' il peggiore nemico di sé stesso: è ubriaco al mattino, a mezzogiorno e alla sera". Un aneddoto, probabilmente falso, vuole che, per vedere Flora Americae septentrionalis finita, Lambert fosse costretto a chiuderlo a chiave nell'attico che gli aveva messo a disposizione con gli esemplari, libri, carta, inchiostro, cibo e birra. Un altro contemporaneo che lo incontrò a Montreal lo descrisse come un uomo brillante, sicuramente entusiasta della botanica, ma incolto, tagliato con l'accetta, con fattezze tartare, un barbaro nativo della Russia (una diceria che dovette essere diffusa, se si pensa che nei necrologi usciti in Canada è definito "il celebre botanico Frederick Pursh, nato in Russia"). ![]() Purshia, rose dei deserti Tra le piante della spedizione di Lewis e Clark, Pursh descrisse un arbusto raccolto lungo il Columbia River come Tigarea tridentata. Nel 1816, de Candolle riconobbe la sua appartenenza a un genere proprio, che battezzò Purshia in onore del nostro discusso botanico, la cui opera, al di là dei metodi disinvolti e degli innegabili errori, fu comunque una pietra miliare nella storia della botanica americana. Lo dimostrano anche le successive dediche di un genere Purshia da parte di due botanici tedeschi, Sprengel (1817) e Dennstedt (1818). A essere valido, per la regola della priorità, è quello di de Candolle. Purshia DC. della famiglia Rosaceae comprende 5-8 specie di arbusti endemici dell'America nordoccidentale, dal British Columbia in Canada al Messico settentrionale. Crescono in ambienti aridi sia di montagna sia delle steppe desertiche temperate. Sono arbusti o anche piccoli alberi con foglie piccole, profondamente lobate, e fiori molto decorativi con cinque petali più o meno separati bianchi, gialli o rosa e vistosi stami gialli. I frutti sono acheni piumati, che vengono facilmente dispersi dal vento. Molto resistenti alla siccità e adattabili ai suoli poveri grazie ai noduli sulle radici che ospitano i batteri azoto-fissatori Frankia, sono piante pioniere, spesso con un ruolo di specie dominante. Il genere oggi comprende anche le specie meridionali un tempo incluse in Cowania. La specie a più ampia diffusione è quella descritta da Pursh, Purshia tridentata, una specie montana con delicati fiori giallo pallido che può diventare un alberello alto fino a cinque metri. Il nome inglese antelope bush, antelope bitterbush sottolinea la sua importanza nell'alimentazione di Antilocapra americana e altri ungulati. Le radici amare erano usate dai nativi come medicinale, mentre dai semi veniva ricavata una tintura violacea. Di notevole importanza ecologica anche Purshia stansburyana, nativa dell'Ariziona e del Messico settentrionale, le cui fronde forniscono un'eccellente pastura a molti ungulati selvatici, inclusi alce, cervo mulo e bighorn del deserto. I suoi fiori bianchi dai grandi petali la fanno assomigliare a una rosellina; poiché il suo habitat preferito sono le rocce, su cui si abbarbica grazie alle profonde radici, è infatti detta cliffrose. Stansbury's cliffrose. Ulteriori informazioni sulle altre specie nella scheda. |
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E' in uscita La ragione delle piante, che costituisce l'ideale continuazione di Orti della meraviglie. L'avventura delle piante continua! CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2023
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