Nella seconda metà del Settecento, la scienza russa diventa maggiorenne e si emancipa dalla tutela degli scienziati stranieri, soprattutto tedeschi, che l'avevano tenuta a battesimo. Emblema di questo processo è Ivan Lepëchin, unico russo tra i capi della Spedizione dell'Accademia, per 28 anni direttore del Giardino dei farmacisti, futuro orto botanico imperiale. E viene omaggiato di ben due generi: la spettacolare Lepechinia e la discreta Lepechiniella (che appartengono a famiglie diverse e nulla hanno a che fare l'una con l'altra). L'emancipazione della scienza russa La carriera di Ivan Ivanovič Lepëchin, unico russo tra i capi della spedizione dell'Accademia, segnò una tappa fondamentale nell'emancipazione della scienza russa dall'egemonia degli scienziati stranieri, soprattutto tedeschi. E' noto che Pietro il Grande, nel suo sogno di trasformare la Russia in una potenza europea, capace di stare alla pari con le grandi nazioni come l'Inghilterra e la Francia, si avvalse largamente di artigiani e tecnici stranieri; inoltre inaugurò la pratica di inviare giovani russi all'estero per apprendere le conoscenze più avanzate della scienza e della tecnica. Nel 1724, sul modello della Royal Society londinese, fondò l'Accademia russa delle Scienze, affidandone il progetto al suo medico, il tedesco Blumenrost. A farne parte furono invitati eminenti scienziati non russi, come i matematici Eulero e Bernoulli. Per un lungo periodo, tutti i membri dell'Accademia furono stranieri. Nell'intento di promuovere le conoscenze botaniche, soprattutto a scopi pratici e medici, nel 1714 Pietro promosse la fondazione di un giardino dei semplici, il Giardino dei farmacisti, sorto su una delle isole del delta della Neva cui diede il nome (Aptekarskij Ostrov, "isola dei farmacisti"). Inizialmente specializzato nella coltivazione di piante medicinali, fu a lungo diretto da botanici e medici stranieri; in questo blog ne abbiamo già incontrati due: Siegesbeck, che vi lavorò come dimostratore quindi direttore dal 1735 al 1747, e Falk, che vi operò dal 1763 al 1768, quando si unì alla spedizione dell'Accademia. Ivan Ivanovič Lepëchin, uno dei protagonisti di quest'ultima, fu il primo russo a diventarne direttore, mantenendo l'incarico per un lunghissimo periodo (dal 1774 al 1802). Secondo la consuetudine inaugurata da Pietro il Grande, Lepëchin, nato a Pietroburgo, dopo aver iniziato gli studi presso l'Accademia delle scienze della città natale, fu inviato a studiare all'estero; seguì i corsi di medicina e scienze naturali all'Università di Strasburgo, dove si laureò nel 1767. Al suo rientro in patria, fu ammesso come membro aggiunto all'Accademia delle Scienze e gli fu assegnata la guida di uno dei tronconi della spedizione di Pallas. Uno degli studenti che lo accompagnavano era Nikolaj Ozereckovskij, destinato a sua volta a diventare un eminente scienziato. Il suo gruppo operò una sorta di collegamento tra le due aree di esplorazione: quella meridionale, con centro Astrachan', con i due gruppi affidati a Gmelin e Güldenstädt, e quella siberiana, centrata su Orenburg, con i gruppi guidati da Falk e Pallas. Partito da Pietroburgo nell'estate del 1768, seguì il Volga e raggiunse Astrachan', quindi esplorò il Caspio. L'anno successivo si mosse verso nord, perlustrando in modo sistematico gli Urali, muovendosi a zigzag lungo la catena e spostandosi sempre verso nord fino a raggiungere il mar Baltico a Arkangelsk; dopo aver esplorato la Russia settentrionale, rientrò a Pietroburgo negli ultimi giorni del 1772, primo gruppo a rivedere la capitale. Come quella dei compagni di avventura, anche la spedizione di Lepëchin fu assai proficua, ma soprattutto una lunga vita permise allo scienziato russo di pubblicarne i risultati (Dnevnye zapiski putešestvija po raznym protivintsiiam rossiskogo gosudarstva, 1771-1805, "Diario del viaggio attraverso diverse province dell'Impero russo") e di percorrere una brillante carriera scientifica. Membro effettivo dell'Accademia delle scienze dal 1771, oltre a brevi pubblicazioni originali, fu attivo soprattutto nel campo delle traduzioni (ad esempio tradusse in russo buona parte dell'Histoire Naturelle di Buffon); come redattore del Dizionario dell'Accademia delle scienze, contribuì inoltre a gettare le basi del lessico scientifico russo. Dal 1783 divenne segretario dell'Accademia delle Scienze, ma soprattutto dal 1774 fino alla morte (quindi per 28 anni) fu il direttore dell'orto botanico. Sotto la sua guida, l'istituzione subì la trasformazione da giardino dei semplici a grande giardino botanico, sancita vent'anni dopo dalla nuova denominazione di Giardino botanico imperiale. Altre notizie nella biografia. La grande Lepechinia e la piccola Lepichiniella Divenuto un grande esperto di piante medicinali, con i suoi viaggi e i suoi studi Lepëchin diede un importante contributo alla conoscenza della flora russa e siberiana, descrivendo 29 nuove specie. Gli onori postumi non mancarono; due località recano il suo nome: il monte Lepëchin negli Urali siberiani e la città di Lepechinka nella regione di Saratov. Due sono pure i generi che lo celebrano: Lepechinia, dedicatogli nel 1804 dal grande sistematista Willdenow, e Lepechiniella, stabilita nel 1953 dall'importante botanico russo Michail Popov. Fu proprio pensando alla sua autorità in fatto di piante medicinali che Willdenow gli dedicò il nuovo genere Lepechinia, da lui distinto dall'affine Horminum. Non dalla Russia o dalla Siberia, ma dalle Americhe proviene infatti questa bella Lamiacea, di aspetto simile alla salvia, tanto da guadagnarle il nome di falsa salvia o salvia a coppa (pitcher sage), per il calice rigonfio e tondeggiante. Alcune specie hanno infatti proprietà medicinali; tra esse la specie tipo, L. caulescens, un'erbacea messicana utilizzata per combattere numerose affezioni. Ancora scarsamente presente nei nostri giardini, Lepechinia meriterebbe una maggiore diffusione; l'unica specie reperibile nei nostri vivai, L. hastata, è un'alta erbacea perenne con tutti i numeri per diventare una star dei giardini in epoca di cambiamenti climatici: piuttosto rustica, benché nativa della California, resistente al caldo e alla siccità, adattabile in fatto di terreno e esposizione, è attraente sia per le foglie grigio-argento dal profumo di menta sia per le vistose spighe di fiori di un ricco rosa magenta. Di qualche altra specie si parla nella scheda. Alla vistosa Lepechinia fa da contraltare la minuscola e modesta Lepechiniella; è un piccolo genere di Boraginaceae che comprende tre o quattro specie endemiche delle montagne dell'Asia centrale (Turkestan, Afghanistan, Pakistan); sono piccole erbacee perenni o annuali con fiori generalmente azzurri campanulati dalla corolla non più grande di 2 millimetri. L. sarawschanica - che è la specie descritta da Popov nel suo volume sulla flora dell'URSS - ricorda nel nome specifico la valle del fiume Zeravshan (o Zarafshan), un'area in parte protetta caratterizzata da un grande varietà di suoli e quindi di flora; la formazione tipica è il tugay (o tugai), una foresta alluvionale caratteristica delle zone aride e desertiche dell'Asia centrale e del Tarim in Cina. Qualche notizia in più nella scheda.
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L'avventura del baltico Güldenstädt, tra i protagonisti della grande Spedizione dell'Accademia, ci insegna che nel Settecento non c'era separazione tra le cosiddette due culture: un medico e naturalista poteva interessarsi brillantemente di tutto, tanto da diventare il padre fondatore della linguistica caucasica. Ma il secondo insegnamento è che anche una spedizione scientifica può essere meno innocente di quel che sembra e che dopo gli scienziati e gli esploratori arrivano i soldati. Il suo viaggio in Georgia fu un'importante tappa della conoscenza scientifica della regione, ma anche un altrettanto decisivo passo avanti della penetrazione imperialistica russa. Quattro scienziati in Russia (più un gatto selvaggio) La spedizione dell'Accademia russa, con i suoi sette anni di durata, migliaia di chilometri percorsi e un inestimabile patrimonio di scoperte etnografiche, economiche, naturalistiche segnò una tappa fondamentale nella storia della scienza russa. Guidata da scienziati con una preparazione enciclopedica, i cui interessi spaziavano dalle scienze naturali alla geologia, dall'economia all'etnologia, permise la conoscenza scientifica di un vastissimo territorio fino allora quasi sconosciuto. Tanto per limitarci alla botanica, un dato ne evidenzia l'impatto: nel 1733 nel giardino dei farmacisti di S. Pietroburgo (antesignano dell'orto botanico) si coltivavano 1100 specie; nel 1808 erano diventate 2236. Grazie a Pallas venne anche pubblicata la prima flora della Russia (Flora Russica, 1774-1788). Anche se in modo parziale, la nomenclatura botanica rende giustamente omaggio agli scienziati che guidarono la spedizione. Nonostante tutti i suoi meriti, il leader, Peter Simon Pallas, ha rischiato di essere dimenticato dalla nomenclatura botanica; lo celebrano il nome comune di molti animali da lui scoperti, primo fra tutti il gatto di Pallas o manul (Otocolobus manul), nonché il nome specifico di diverse specie animali, ma anche vegetali (Crocus pallasii, Erysimum pallasii, Coriospermum pallasii), un tipo di meteorite (la pallasite), la città di Pallasovka. Per ben quattro volte gli fu dedicato un genere Pallasia, sempre ridotto a sinonimo. A rimediare, ci pensò verso la metà del secolo scorso il botanico russo Poljakov che creò in suo onore il monospecifico Neopallasia. Dunque potremo ritrovare lui e la sua Flora Russica in un altro post. Nessun riscatto invece per lo sfortunato Samuel Gottlieb Gmelin (che come si è visto nel post precedente morì in prigionia durante la spedizione) cui non è stato dedicato alcun genere; ma può vivere di gloria riflessa grazie allo zio Johan Georg Gmelin, che Linneo omaggiò con il genere Gmelina. Entrano invece a pieno diritto nella nostra lista di dedicatari di generi botanici, oltre a Falk, entrambi i sudditi dell'Impero russo: il baltico Johann Anton Güldenstädt, esploratore del Caucaso e della Georgia, e il russo Ivan Ivanovič Lepëchin, che perlustrò il Caspio, gli Urali e la Siberia, futuro direttore dell'orto botanico di S.Pietroburgo (ne parleremo in un prossimo post). Güldenstädt dal Caspio alla Georgia (per tacer del gatto della giungla) L'area toccata a Güldenstädt, il Caucaso, era una delle più calde sul piano politico e il suo viaggio rispondeva a un immediato interesse strategico per la Russia, in quegli anni impegnata in un conflitto con l'impero ottomano. Dunque si trattò sia di una missione scientifica, sia di una ricognizione a fini militari di una zona di confine, a cavallo tra i due imperi. Fu un tassello importante della penetrazione russa nell'area, che culminò nel 1783 con il trattato di Georgievsk con quale la Georgia - alleata dei russi contro i turchi - fu trasformata in protettorato dell'impero russo. Appena laureato in medicina il ventiduenne Güldenstädt fu invitato a partecipare alla spedizione dell'Accademia russa, di cui avrebbe diretto uno dei gruppi di Astrachan'; mentre a Gmelin toccò il settore più orientale, a lui fu assegnato quello a occidente del Caspio. Il suo corpo di spedizione, che comprendeva numerosi studenti e assistenti russi, fu il primo a partire da S. Pietroburgo nel giugno del 1768 e l'ultimo a rientrare, nel marzo del 1775. Dopo una sosta a Mosca, seguendo il Volga raggiunse Astrachan', sul mar Caspio, nell'inverno seguente. Nella primavera si spostò a Kizljar, fortezza russa sul delta del fiume Terek, che divenne la sua base operativa. Dopo aver esplorato le rive del Caspio, Güldenstäd nella primavera del 1771 risalì il corso del Terek e nel settembre varcò il Caucaso nella regione dell'Ossezia meridionale. Per circa un anno, da settembre 1771 a novembre 1772, esplorò estensivamente la Georgia, che a quel tempo era divisa in due regni: la Georgia governata da Eraclio II e l'Imerezia governata da Salomone II. Güldenstäd incontrò entrambi i sovrani da cui ebbe uomini e aiuti per continuare la sua esplorazione, oltre a doni di manufatti e molte preziose informazioni culturali, linguistiche e storiche. Benché richiamato dall'Accademia russa delle scienze che riteneva ormai conclusa la spedizione, lo scienziato si trattenne un altro anno nel Caucaso e rientrò a Pietroburgo solo nel marzo del 1775. In sette anni di esplorazione (metà dei quali dedicati alla Georgia) aveva raccolto un'imponente documentazione che includeva esemplari di piante e animali, minerali, monete, iscrizioni, osservazioni economiche, etnografiche e linguistiche puntigliosamente annotate nel suo diario di viaggio. Per i sette anni successivi (morì prematuramente nel 1781 vittima di un'epidemia contratta curando i suoi pazienti) si dedicò alla revisione del diario e al riordino dell'enorme massa di materiali raccolti, senza riuscire a portare a termine il compito. Fu quindi Pallas a curarne la pubblicazione; il suo diario di viaggio in due volume Dr. Johann Anton Güldenstädt: Reisen durch Russland und im kaukasischen Gebürge (Pietroburgo, 1787-1791, "Viaggio in Russia e nelle montagne del Caucaso") fu la prima opera scritta in una lingua europea a descrivere estesamente il Caucaso e segnò profondamente per almeno un secolo il modo di concepire quella regione. Particolarmente influente fu la classificazione delle lingue dei popoli del Caucaso; paragonando tra loro serie di parole (in un'epoca in cui la linguistica comparata non era ancora nata) egli identificò 17 lingue che classificò in quattro gruppi, divenendo di fatto il padre fondatore della linguistica caucasica. Anche se raccolse puntigliosamente una massa di notizie che, oltre alle lingue, includevano lo stato delle strade, le dimensioni degli abitati, le risorse minerarie, la natura del suolo e delle acque, gli usi e i costumi, le forme di governo e la storia, l'interesse principale di Güldenstädt rimaneva la medicina e le scienze naturali. Identificò molte specie di animali e piante mai descritte prima di lui: un felino selvatico, il gatto della giungla (Felis caus), uccelli come il piro-piro del Terek (Xenus cinereus) e il codirosso di Güldenstädt (Phoenicurus erythrogaster). E' ricordato dal nome specifico dello storione russo, Acipenser gueldenstaedtii. Raccolse una notevole collezione di piante lungo le sponde del Caspio, il bacino del Terek e le montagne del Caucaso georgiano; il semplice elenco delle specie che progettava di descrivere nella mai realizzata Flora del Caucaso occupa 18 pagine manoscritte. Qualche notizia in più nella biografia. Gueldenstaedtia, questa sconosciuta Nel 1823 un altro botanico tedesco naturalizzato russo, Friedrich Ernst Ludwig von Fischer, direttore dell'Orto botanico di San Pietroburgo, dedicò all'instancabile esploratore del Caucaso il genere Gueldenstaedtia, una Fabacea (leguminosa) che comprende una dozzina di specie delle aree temperate e montane della regione sino-himalayana e della Siberia. Si tratta di perenni quasi prive di stelo, con foglie composte pinnate aderenti al suolo e fiori relativamente grandi, dalla tipica corolla papilionacea. Lo status tassonomico di questo genere è stato oggetto di discussione tra i botanici; dopo aver rischiato di essere soppresso a favore di Amblyotropis, è stato confermato in un congresso internazionale nel 1959; più recentemente, nel 1979 ne è stato staccato il genere Tibetia, molti simile, che comprende cinque specie native delle aree montane di Bhutan, Cina, India, Nepal e Pakistan. Sono piante ancora poco note e raramente coltivate. La specie più diffusa è Gueldenstaedtia verna, un'erbacea che cresce in ambienti abbastanza vari in una vasta area che va dalla Russia al Myanmar, passando per il Pakistan, l'India, la Cina e il Laos. Se ne conoscono diverse varietà, tra cui G. verna f. alba, dai fiori bianchi (nella specie tipica sono invece da rosa a porpora). L'Alpine garden Society segnala come pianta da serra alpina o giardino roccioso di breve vita e non facile coltivazione G. himalaica, dai bei fiori azzurri, oggi rinominata Tebetia himalaica. Qualche informazione in più nella scheda. La grande Caterina, per dare lustro alla scienza russa e conoscere le risorse dell'immenso territorio che governa, finanzia generosamente una grande spedizione, guidata dallo zoologo tedesco Pallas; tra i capi della spedizione, anche il depresso apostolo di Linneo Johan Peter Falk. Anche se il suo maestro pensava che il moto e l'amore per la natura fossero il miglior rimedio per il più nero degli umori neri, la ricetta con Falk non funziona. E lo studioso si rivelerà il peggior nemico di se stesso, più pericoloso del freddo siberiano e dei ribelli di Pugačev. Il transito di Venere e la Spedizione dell'Accademia Nel 1761 e nel 1769, in occasione dei due "transiti" ravvicinati di Venere (ovvero dell'interposizione del pianeta tra la Terra e il Sole) le grandi monarchie europee organizzarono importanti spedizioni scientifiche. Fu anche uno dei primi casi di collaborazione scientifica internazionale, con il coinvolgimento di astronomi e scienziati di molti paesi. L'imperatrice di tutte le Russie Caterina II volle dare prestigio alla nascente scienza russa partecipando in grande stile all'impresa. Se nel 1761 nell'impero russo le osservazioni erano state deludenti a causa delle avverse condizioni atmosferiche, nel 1769 Caterina (che si era impadronita del potere nel 1762) non si fece cogliere impreparata: con un anticipo di alcuni anni, vennero predisposte le attrezzature e organizzate non una, ma una serie di spedizioni, in punti diversi del paese. Cinque furono concentrate nella durata e negli obiettivi, essenzialmente astronomici e geografici, ma la sesta (nata inizialmente come impresa collaterale) assunse proporzioni grandiose: gli scienziati avrebbero dovuto esplorare estensivamente la Russia orientale e meridionale, il Caucaso e la Siberia; oltre ad individuare i luoghi più favorevoli per l'osservazione del transito di Venere, avevano il compito di raccogliere quante più informazioni possibili sulle potenzialità economiche, gli usi e i costumi, le piante, gli animali e le ricchezze naturali dell'immenso impero russo. La grande spedizione venne organizzata dell'Accademia delle scienza russe, di cui coinvolse molti membri; a capeggiare l'impresa venne chiamato un brillante zoologo tedesco, Peter Simon Pallas, donde i due nomi con cui è nota: "spedizione dell'Accademia" e "spedizione di Pallas". Giunto a Pietroburgo all'inizio dell'estate 1767, Pallas impiegò un anno a pianificare accuratamente gli itinerari, la logistica e gli obiettivi scientifici, partendo tra l'altro dallo studio approfondito delle spedizioni precedenti, la più importante delle quali è la cosiddetta Grande spedizione del Nord degli anni 1733-1743. Venne deciso di suddividere l'esplorazione tra cinque corpi di spedizione indipendenti, tre dei quali avrebbero avuto come fulcro la regione di Orenburg (avamposto della colonizzazione della Siberia, sul fiume Ural) , la più promettente anche dal punto di vista economico; due la regione di Astrachan' (sul fiume Volga, da cui muoveva invece l'espansione verso il Caspio e il Caucaso). A capo di ciascun gruppo furono nominati prestigiosi scienziati, tutti stranieri con una sola eccezione; i tre gruppi di Orenburg furono guidati rispettivamente dallo stesso Pallas (che aveva anche il coordinamento generale della spedizione); da Ivan Ivanovič Lepëchin, russo ma formatosi all'Università di Strasburgo; da Johan Peter Falk, svedese e allievo di Linneo. I corpi di spedizione di Astrachan' furono capeggiati dal tedesco Samuel Gottilieb Gmelin e dal lettone Johann Anton Güldenstädt (suddito russo di lingua e cultura tedesca). Oltre a un numero variabile di servitori, cuochi, cacciatori, guide, li accompagnavano studenti e assistenti russi: il tal modo la spedizione fu anche un'eccezionale esperienza di formazione sul campo, da cui uscì un'intera generazione di scienziati. In corso d'opera, gli obiettivi si fecero più ambiziosi; dagli iniziali quattro anni, si passò a sette anni (1768-1774), con un ampliamento dell'area esplorata che si estese dal Mare del Nord al Caucaso, dal Volga alla Siberia orientale. Con una spedizione ottimamente pianificata da Pallas e finanziata da Caterina II senza badare a spese, i viaggiatori (almeno rispetto alle vicissitudine di tanti esploratori contemporanei) poterono far fronte con relativo successo alle indubbie difficoltà ambientali: il caldo torrido d'estate, il fango dopo il disgelo e dopo le piogge autunnali, ma soprattutto il proverbiale freddo siberiano; il termometro di Pallas gelò, mentre un assistente di Güldenstädt perse le dita dei piedi per assideramento. I pericoli vennero piuttosto dai fattori umani. Georg Moritz Lowitz, uno degli astronomi impegnati nell'osservazione del transito di Venere, incappò nella rivolta di Pugačev e fu impiccato dai ribelli; Gmelin fu catturato da un signorotto locale nella zona di Derbent (Dagestan) e morì in prigionia, mentre attendeva il pagamento del riscatto. Anche il destino di Falk, il dodicesimo apostolo di Linneo, si concluse in modo tragico. Il difficile viaggio di Johan Peter Falk Quando venne decisa la spedizione, Falk si trovava in Russia da qualche anno in veste di dimostratore dell'orto botanico di Pietroburgo. Inizialmente non si pensò a lui: aveva già più quarant'anni e, soprattutto, praticamente da sempre soffriva di ipocondria e depressione. Soltanto alla fine dell'estate 1768, quando gli altri gruppi erano già partiti da mesi, si decise di aggregare Falk alla spedizione, probabilmente per la sua competenza botanica e in quanto allievo di Linneo; per classificare le specie vegetali si decise infatti di applicare il sistema sessuale linneano. Dopo aver trascorso l'inverno a Mosca, nel maggio 1769 Falk raggiunse Pallas a Samara e per due settimane viaggiarono insieme. Quindi Falk si mosse verso sud, lungo il Volga, toccando Syzran, Saratov, Carycin (Volgograd), dove svernò. Nella primavera, fu ricevuto dal khan dei calmucchi, stanziati a occidente di Astrachan'. Già a Samara aveva dato segni di depressione, risentendo negativamente della responsabilità di dover dirigere una spedizione scientifica, tanto che l'accademia delle Scienze decise di affiancargli un giovane chimico tedesco, Johann Gottlieb Georgi, che lo raggiunse nel giugno 1770 a Uralsk. Insieme i due si recarono ad Orenburg dove rimasero fino alla fine dell'anno. A quanto sembra, Georgi non poté fare molto per alleviare i problemi di Falk, tanto più che i loro rapporti erano abbastanza tesi (lo svedese sospettava il giovane collega di volersi impadronire dei suoi risultati scientifici). All'inizio del 1771, si separarono: Falk si mosse a est lungo la linea fortificata che proteggeva Orenburg dalle incursioni dei nomadi, mentre Georgi esplorò la Baschiria e gli Urali meridionali. I due si ricongiunsero a Čeljabinsk nella Siberia meridionale, dove Georgi trovò Falk ammalato. Quando si fu rimesso, insieme, sempre spostandosi verso est, raggiunsero Omsk. Da qui attraverso la steppa di Barabinsk si mossero verso gli Altai settentrionali, esplorando la zona mineraria di Barnaul. Quindi si diressero verso nord, raggiungendo Tomsk, dove intendevano trascorrere l'inverno. Le condizioni di Falk erano però sempre più compromesse; a Tomsk, Georgi ricette l'ordine di raggiungere la spedizione di Pallas che affidò al suo assistente Anton Valter il compito di accompagnare Falk a Pietroburgo. Da questo momento la spedizione-Falk venne sciolta e i suoi membri si aggregarono al gruppo di Pallas. Nella primavera del 1772, Falk iniziò il suo viaggio di ritorno, muovendosi con lentezza; a ottobre raggiunse Kazan, dove trascorse l'inverno; prima di proseguire per Pietroburgo, chiese e ottenne di potersi curare alle terme di Kizljar, apparentemente con buoni risultati. Tuttavia quando alla fine dell'anno rientrò a Kazan, le sue condizioni precipitarono: per settimane, fu costretto a letto, nutrendosi solo di tè e di pane svedese (avete presente quel pane croccante che vendono all'Ikea?), soffrendo di mal di testa, insonnia, crampi e dolori di varia natura che cercò di alleviare con l'oppio (l'uso del laudano, tintura alcolica di oppio, era a quei tempi abituale, veniva addirittura prescritto ai lattanti che soffrivano per la dentizione). Nel gennaio del 1774, quando lo ritrovò a Kazan, Georgi si trovò di fronte uno scheletro, con lo sguardo selvaggio, che quasi non parlava. Tuttavia, Falk sembrò riprendersi e quella che doveva essere la sua ultima giornata trascorse abbastanza calma, tanto che alla sera Georgi e un servitore, su sua richiesta, lo lasciarono solo. Ma al mattino li aspettava un macabro spettacolo: il cadavere di Falk ricoperto di sangue e sfigurato. Durante la notte si era tagliato la gola con un rasoio, quindi si era sparato alla testa. Nonostante i tormenti della depressione e le continue malattie, reali o immaginarie del povero naturalista svedese, sul piano scientifico la spedizione di Falk ottenne risultati rilevanti. Raccolse materiali etnografici sulla vita quotidiana dei Russi meridionali e sui popoli tatari, baskiri, kalmucchi e cosacchi. Si distinse nell'esplorazione delle risorse minerarie e nello studio delle acque, di cui diede anche una prima classificazione (che sarà perfezionata proprio da Georgi). Quanto alla botanica, mise insieme una notevole collezione della flora della steppa delle rive del Volga, degli Urali, della Siberia occidentale e dei dintorni di Kazan. Georgi, oltre a spedire a Pietroburgo i materiali raccolti da Falk, curò anche la pubblicazione dei suoi diari di viaggio (Beiträge zur topographischen Kenntniss des Russischen Reichs). Qualche notizia in più sull'infelice allievo di Linneo nella biografia. Falkia, una tappezzante antidepressiva La pianta che onora la memoria di Falk non arriva dalla Siberia o dalle steppe russe, ma dal Sudafrica. Ancora una volta fu Thunberg a dedicare al condiscepolo da poco perito tragicamente uno dei tanti nuovi generi che veniva scoprendo in quel paradiso dei botanici. Egli raccolse la pianta nel 1774 e la pubblicò nel 1781 in Nova genera plantarum (con la grafia Falckia); l'anno successivo fu pubblicata anche dal figlio di Linneo, a cui il genere è stato a lungo attribuito. Il genere Falkia, della famiglia Convolvulaceae, comprende tre specie, tutte africane. La più nota è Falkia repens, una tappezzante dalla graziosa fioritura che nei climi miti può essere utilizzata in alternativa al tappeto erboso, particolarmente apprezzabile in tempi di siccità e riscaldamento globale. Simile alla più nota Dichondra, meriterebbe di essere più conosciuta e coltivata: è adattabile a diversi tipi di suolo; cresce all'ombra come al sole; forma un denso tappeto verde, con graziose foglioline tondeggianti che assomigliano a orecchie (il nome afrikaans è infatti oortjies, "piccole orecchie"); può essere utilizzata anche come ricadente. E soprattutto, regala una pregevole fioritura di un delicato bianco-rosato. Se si considera che, al contrario del tappeto erboso, non occorre neppure falciarla, nessuna depressione a coltivare la Falkia! Qualche approfondimento nella scheda. Intrepidi scienziati pronti ad ogni avventura, ricercatori entusiasti e instancabili raccoglitori di piante e animali. Così ci sono apparsi molti apostoli di Linneo; molti, ma non tutti. Göran Rothman, medico partito per il nord Africa in modo forse un po' improvvisato, non ha saputo (o potuto?) ricavare molto dal suo viaggio, a parte la rovina economica e una salute compromessa. Grazie a un caro amico, ha però lasciato il suo nome a una pianta bella tra le belle, la Rothmannia. Un inconcludente viaggio in Nord Africa Göran (o Georg) Rothman, l'undicesimo apostolo, è quello di cui probabilmente sappiamo meno. Era figlio d'arte: suo padre Johan Stensson Rothman, medico e botanico, era stato insegnante di Linneo a Växjö ed era rimasto in ottimi rapporti con lui. Göran, dopo aver studiato scienze naturali e medicina ad Uppsala, era diventato un medico molto stimato. Quando nel 1773 l'inviato di Tripoli a Stoccolma Hagi Abdrahman chiese l'invio di uno scienziato svedese per condurre ricerche naturalistiche in Libia, egli propose la propria candidatura. Linneo era perplesso; avrebbe preferito qualcuno con maggiore esperienza di ricerca naturalistica sul campo e magari bravo a disegnare (in particolare, pensava ad Osbeck). Nonostante ciò, la candidatura di Rothman fu accettata; l'Accademia svedese delle Scienze avrebbe pagato una parte dei costi della spedizione, mentre al resto avrebbe provveduto Abdrahman. Accompagnato da quest'ultimo, Rothman lasciò Stoccolma nell'agosto del 1773 per un viaggio che doveva durare quasi esattamente tre anni. Mal progettata e improvvisata, tuttavia, la spedizione fu un fallimento. Gli aiuti finanziari e logistici promessi da Abdrahman non si materializzarono; Rothman arrivò a Tripoli in piena stagione delle piogge. Secondo quanto egli stesso scrisse a Wargentin, segretario dell'Accademia svedese delle scienze, quando finalmente iniziò le esplorazioni dei dintorni, fu deluso dalla sterilità di un territorio che poco aveva da offrire a un botanico (non posso non pensare: a meno che si chiamasse Forsskål!); il calore intenso, la paura dei beduini e l'indifferenza delle autorità gli impedirono escursioni a più ampio raggio. Solo dopo un anno gli si offrì la possibilità di accompagnare un fratello del Pascià in direzione dell'Atlante; non sappiamo nulla di questo viaggio, ma in una lettera Linneo depreca che Rothman non abbia potuto raggiungere le montagne. Nel 1775 intraprese una breve spedizione costiera. Intanto la situazione finanziaria si faceva sempre più insostenibile - anche se Rothman collaborava con il consolato svedese a Tripoli - tanto che scrisse all'Accademia delle scienze per ottenere un ulteriore finanziamento. Rientrò quindi a Stoccolma nel luglio del 1776. I risultati scientifici del viaggio furono modesti e lasciarono insoddisfatti tanto l'Accademia delle scienze - che riteneva non valessero la spesa sostenuta - quanto Linneo, che in una lettera scrive che tutte le piante raccolte da Rothman erano già note. Anche in patria la situazione finanziaria di Rothman rimase precaria; nel 1776 fu nominato assessore del Collegium medicum, un incarico che non prevedeva stipendio. Per mantenersi, mise a frutto le sue notevoli competenze linguistiche e un indubbio talento letterario, come traduttore di opere liriche, poesie e romanzi (ma anche, anonimamente, di materiali giornalistici). Tra le sue traduzioni più notevoli, il romanzo di Voltaire Zadig, il carme di Pope Lettere di Eloisa ad Abelardo, il libretto dell'Orfeo ed Euridice di Gluck, scritto da Calzabigi. Il soggiorno in Tripolitania aveva per altro minato la sua salute; morì nel 1778, a soli 39 anni. Il suo diario di viaggio, rimasto inedito per oltre duecento anni, è stato recentemente pubblicato nell'abito del progetto dell'IK foundation sugli apostoli linneani. Qualche notizia in più nella biografia. Rothmannia, ovvero "Chi trova un amico trova un tesoro" Non i modesti meriti scientifici, ma l'amicizia ha guadagnato a Rothman l'onore di essere ricordato da una pianta. Nel 1774, mentre egli si trovava in Tripolitania, il suo vecchio amico e compagno di studi Carl Peter Thunberg esplorava - lui sì, con enorme successo! - il Sud Africa; a maggio inviò all'Accademia delle scienze la descrizione di una bellissima pianta che propose di chiamare Rothmannia, "in onore di Göran Rothman, un mio vecchio amico, che, ho sentito dire, sta per partire per la Turchia" (insomma, un onore per meriti futuri, e pure sulla base di informazioni errate, anche se è vero che sulla carta la Libia apparteneva all'impero ottomano). Linneo abbozzò e nel 1776 Thunberg ufficializzò la denominazione nell'articolo Rothmannia, ett nytt orte-genus, "Rothmannia, un nuovo genere". Cosa ci sarà stato in comune tra la spettacolare Rothmannia capensis e il caro vecchio amico? Non lo sappiamo, ma così va il mondo, anche dalle parti della botanica: al dolce e geniale Löfling una minuscola Caryophyllacea dai fiori invisibili, al titanico Forsskål un'ortica e all'inetto Rothman la splendida Rothmannia! Rothmannia è un genere di una quarantina di specie della famiglia delle Rubiaceae, che comprende alberi fioriferi di distribuzione tropicale (Africa meridionale, Oceano indiano occidentale, Cina meridionale, Indocina e Nuova Guinea). La specie più nota è proprio quella descritta e battezzata da Thunberg, R. capensis; diversamente da molte Rubiaceae (pensiamo al nostro Galium) in cui le infiorescenze sono formate da fiori piccoli e numerosissimi, porta grandi fiori solitari che ricordano quelli della Gardenia. In effetti i due generi appartengono alla stessa famiglia e sono molto affini, tanto da aver posto a lungo problemi di classificazione; il figlio di Linneo ricollocò la Rothmannia nel genere Gardenia e fino alla metà del Novecento non è stata riconosciuta come genere separato (ecco perché in molti siti R. capensis è ancora designata con il vecchio sinonimo Gardenia rothmannia). Meno frequentemente coltivate della Gardenia, le diverse specie di Rothmannia sono tuttavia piante di grande bellezza, fortemente profumate e attraenti anche per il lucido fogliame sempreverde. Altre informazioni nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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