Botanica e indipendenza: i discepoli di Mutis, il movimento indipendentista e il genere Lozania30/6/2022 José Celestino Mutis morì l'11 settembre 1808. Non assistette dunque agli eventi che tra il 20 luglio 1810 e l'agosto 1819 portarono all'indipendenza del Vicereame della Nuova Granada, a partire dal 1831 Repubblica di Colombia. Vi ebbero invece un ruolo di primo piano molti dei suoi discepoli e collaboratori, a cominciare dal nipote Sinforoso Mutis e dal più noto di tutti, Francisco José de Caldas. Sorge spontanea la domanda: la Real Expedición Botánica ebbe anche un contenuto politico? Fu un covo di cospiratori (dal punto di vista spagnolo) o di patrioti (dal punto di vista colombiano)? Gli storici tendono ad escluderlo, sottolineando che le idee di emancipazione, più che nei laboratori della Casa della Botanica, nacquero nelle aule universitarie e nei circoli letterari frequentati anche dai giovani intellettuali creoli reclutati dalla spedizione. Da Mutis però essi furono educati al pensiero libero e rigoroso, al metodo scientifico, agli ideali illuministi, e certo anche la partecipazione alla spedizione rafforzò in loro la coscienza della diversità americana non solo dal punto di vista della natura. Così, allo scoppio dell'insurrezione, guidata da intellettuali come loro, li troviamo in prima fila; una scelta che molti pagarono con la vita. Come naturalista, più di uno ha avuto l'onore di essere ricordato da un genere botanico, ma rimane valido solo Lozania, dedicato a Jorge Tadeo Lozano, zoologo della spedizione e primo presidente della Repubblica di Cundinamarca. Quale fu la culla dell'indipendenza? A partire dal 1808, in seguito all'occupazione francese della Spagna, le colonie dell'America latina si trovarono isolate dalla madrepatria e le élites creole approfittarono del vuoto di potere per proclamare l'indipendenza. Inizia così un tumultuoso susseguirsi di eventi che, tra guerra tra spagnoli e insorti e guerre civili, si protrarrà fino ai primi anni '30 e sfocerà nella nascita dei paesi latino-americani. Nel Regno di Nuova Granada la rivolta iniziò il 20 luglio 1820. Era venerdì, giorno di mercato e di grande affluenza nella piazza principale di Santa Fé di Bogotà; facendo leva sulle tensioni latenti tra spagnoli e "americani", un gruppo di agitatori riuscì a provocare un'insurrezione che la sera stessa portò alla creazione di una Giunta suprema di governo e alla proclamazione dell'Indipendenza. La giornata era stata attentamente pianificata da un gruppo di intellettuali creoli di idee liberali che da qualche tempo si riunivano in un luogo insospettabile: l'Osservatorio voluto da José Celestino Mutis e diretto dal più noto dei suoi discepoli, Francisco José de Caldas, che fu anche coinvolto negli incidenti del 20 luglio. Tra i firmatari dell'Atto di indipendenza e membri della Giunta suprema anche altri provenivano dalle file della Real Expedición Botánica; José María Carbonell che ne era lo scrivano; Jorge Tadeo Lozano, che dirigeva le ricerche zoologiche; Sinforoso Mutis Consuegra, nipote di Mutis e direttore del ramo botanico della spedizione dopo la morte dello zio. Più tardi si sarebbe unito agli indipendentisti anche il capo dei pittori della spedizione e "maggiordomo" di Mutis, Salvador Rizo Blanco. Ne dobbiamo concludere che la spedizione fu la culla del movimento indipendentista? Non in modo diretto, ma certamente l'insegnamento di Mutis ne gettò le basi, educando un'intera generazione al pensiero scientifico e agli ideali illuministi e aprendola alle nuove idee che venivano dall'Europa. Come notò con stupore Humboldt, l'ambiente intellettuale del vicereame era vivacissimo; a Santafé di Bogotà si pubblicavano diversi giornali; si traducevano libri europei; c'erano circoli letterari e associazioni culturali in cui si incontravano giuristi, giornalisti, scienziati e altri intellettuali e si discutevano appassionatamente idee di riforma. In qualcuna di queste tertulias, come erano chiamate, circolavano idee decisamente radicali; è il caso del Casino Literario che si riuniva a casa di Antonio Nariño (anche lui un ex allievo di Mutis al Colegio del Rosari) ed era frequentato da latri "rosaristi" come Lozano; tra gli habitué uno dei più stretti collaboratori di Mutis, il botanico Francisco Antonio Zea, e il giovanissimo Sinforoso Mutis. La vera culla del movimento indipendentista, dunque, più che la spedizione stessa, furono i collegi universitari e i circoli intellettuali. La posizione personale di Mutis era moderata e prudente e nelle sue lettere traspare grande preoccupazione per le frequentazioni pericolose del nipote e di Zea. La sua vera rivoluzione, è stato scritto, non fu politica, ma scientifica ed educativa. La preoccupazione del sapiente Mutis era più che fondata. Nel 1794 Nariño tradusse e pubblicò clandestinamente la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino; contemporaneamente sui muri di Bogotà comparvero manifesti (pasquinas, ovvero pasquinate) che denunciavano l'oppressione spagnola e inneggiavano alla libertà, presumibilmente opera di studenti dei Collegi del Rosario e di San Bartolomé. La repressione colpì duro: sia Nariño sia altri membri del circolo vennero arrestati, inclusi Zea e Sinforoso, che insieme a lui furono tradotti al carcere del Castillo de San Sebastián di Cadice; mentre Nariño riuscì a evadere quindi a raggiungere la Francia, Zea e Sinforoso rimasero agli arresti fino al 1799. Prima di tracciare un breve profilo dei collaboratori e discepoli di Mutis coinvolti nel movimento indipendentista, riassumiamo brevemente le vicende di quest'ultimo. Gli anni tra il 1810 e il 1814 furono caratterizzati da un duplice conflitto: da una parte, la guerra d'indipendenza contro gli spagnoli, dall'altra la guerra civile tra le due autoproclamate repubbliche delle Provincias Unidas de la Nueva Granada e dell'Estado Libre e Independiente de Cundinamarca, la prima decisamente federalista, la seconda tendenzialmente centralista. Nel 1814, per ordine del Congresso delle Province unite, Bolivar conquistò la capitale, costringendo Cundinamarca a unirsi alle altre province. Anche queste divisioni favorirono la ripresa realista; nel 1815 il generale Morillo invase il paese e nel 1816 mise fine all'effimera repubblica, scatenando una pesantissima repressione contro i patrioti colombiani, con centinaia di condanne a morte; tra i caduti i protagonisti di questa storia: José María Carbonell, Jorge Tadeo Lozano, Salvador Rizo Blanco e Francisco José de Caldas. Sinforoso Mutis invece ebbe salva la vita; vedremo più avanti perché e come. Dalla spedizione alla politica Iniziamo con un non scienziato, José María Carbonell (1778 - 1816); nato a Bogotà, studiò al Colegio Mayor de San Bartolomé, quindi fu assunto come scrivano della Expedición Botánica. Il suo compito era trascrivere i materiali necessari; probabilmente fu lui a ricopiare per la stampa l'opera postuma di Mutis El arcano de la quina. Durante la giornata del 20 luglio 1810 fu tra i più attivi soprattutto nel coinvolgere gli strati più popolari; acceso centralista, durante la Repubblica occupò diversi incarichi: primo presidente della Giunta, capitano delle milizie di fanteria, ufficiale maggiore cassiere, contabile e tesoriere del Tesoro di Cundinamarca. Al momento della repressione la sua condanna fu senza appello: definito da Morillo "uno degli uomini più preversi e crudeli che si siano segnalati tra i traditori", venne impiccato il 19 giugno 1816. Jorge Tadeo Lozano (1771-1816) apparteneva a una famiglia nobile, una delle più prestigiose e influenti del vicereame; ricevette un'approfondita educazione, quindi studiò letteratura, filosofia e medicina al Collegio del Rosario, dove fu allievo di Mutis. Inizialmente abbracciò la carriera militare e combatté contro la Francia nella Guerra dei Pirenei; approfittò del soggiorno a Madrid anche per studiare matematica e chimica presso il Real Laboratorio de Química e viaggiò in Europa, vivendo per qualche tempo a Parigi. Al suo ritorno a Nuova Granada nel 1797, divenne un membro attivo dei circoli letterari, in particolare del Casino di Nariño. Nel 1801 fondò il settimanale Correo curioso, erudito, económico y mercantil de la ciudad de Santafé de Bogotá, in cui propugnò tra l'altro la fondazione di una Società patriottica. Nel 1802, su proposta di Mutis, ottenne la cattedra di chimica al collegio del Rosario e gli succedette in quella di matematica; resse le due cattedre fino al 1806, quando fu aggregato alla Real Expedición Botánica come zoologo. Indirizzò i suoi studi sugli anfibi e i rettili, pubblicando nel 1810 Memoria sobre las Serpentes e diversi saggi sul Semanario, tra cui l'inizio di un'annunciata Fauna cundinamarqiesa. Poi la politica travolse anche lui. Dopo la proclamazione dell'indipendenza, fu nominato presidente della commissione incaricata di redigere la nuova costituzione: il risultato fu la Constitución de Cundinamarca, che trasformava lo stato in una monarchia costituzionale. Nell'aprile 1811 fu eletto primo presidente della Cundinamarca, ma dopo pochi mesi fu costretto alle dimissioni in seguito a una campagna di discredito orchestrata da Nariño. Ritornò ai suoi studi ma non abbandonò del tutto la politica; nel 1814 fondò un secondo giornale di orientamento più politico, Anteojo de Larga Vista, e nel 1815 prese parte al Congresso generale della Nuova Granada come deputato della provincia del Chocó. La posizione relativamente defilata e le idee moderate non gli salvarono la vita: anche lui fu condannato a morte e fucilato alla schiena il 6 luglio 1816. Porta il suo nome l'Universidad Jorge Tadeo Lozano, un ateneo privato di Bogotà. Con Salvador Rizo Blanco (1760-1816) andiamo al cuore della Real Expedición Botánica. Mutis lo incontrò nel 1784, quando Rizo lavorava come disegnatore per un ingegnere stradale. Notando le eccellenti qualità del suo tratto, lo portò con sé a Mariquita per farne il primo pittore della spedizione. Era abile, fedele, infaticabile; Mutis gli affidò non solo la direzione del laboratorio di pittura, ma anche quella che chiamava "mayordomia", ovvero l'amministrazione e l'organizzazione finanziaria della spedizione. Quale fosse il suo lavoro, e quanto centrale, lo spiegò egli stesso in un memoriale rivolto al Viceré qualche anno dopo: "Erano affidate a me la riscossione delle rendite destinate alla spedizione e le spese ordinarie; incarichi, viaggi, escursioni botaniche, tutto passava per le mie mani. Allo stesso tempo disegnavo e coloravo le tavole della Flora che mi erano state affidate, e cercavo di dare la maggiore perfezione possibile a quelle curate da altri artisti venuti da Quito; ho trasmesso i miei principi ai giovani che mi erano stati affidati, creando a tal fine una scuola". Tra i disegni della spedizione si conservano 140 tavole firmate da Rizo (probabilmente ne produsse molte di più senza firma); sebbene siano di qualità artistica inferiore rispetto a quelli dell'altro pittore principale, Francisco Javier Matís, si distinguono per la fedeltà al modello e il disegno sicuro. Fu anche un valido ritrattista: gli si devono un busto di Mutis e un ritratto di Cavanilles, dipinto in abito talare di profilo, mentre tiene davanti a sé la tavola botanica di Rizoa ovatifolia (la pianta che aveva dedicato a Rizo) e ne completa la descrizione. Mutis aveva tale fiducia in lui da nominarlo suo esecutore testamentario. Dopo la sua morte, Rizo riuscì a far completare oltre 200 tavole botaniche, ma dovette scontrarsi con l'ostilità della famiglia Mutis, con invidie e sospetti, che si fecero anche più pressanti dopo il 20 luglio; Nariño fece perquisire la sua casa con l'accusa di aver sottratto materiali e manoscritti, spingendolo ad abbandonare la città con la sua famiglia. Nel 1813 si arruolò nell'esercito delle Province unite sotto il comando di Bolivar, come Provveditore generale dell'Esercito. Nel dicembre 1814 tornò a Bogotà con Bolivar, e si trovò invischiato in una causa intentatogli dai suoi nemici che ribadiva l'accusa di furto di manoscritti e averi di Mutis. Si trovava dunque in città quando Murillo scatenò il terrore contro i patrioti. Arrestato, fu detenuto per cinque mesi, senza avere la consolazione di vedere riconosciuta la sua innocenza dai vecchi compagni di spedizione che pure condividevano la stessa sorte. Condannato a morte, fu fucilato il 12 ottobre 1816. Astronomo, botanico, ingegnere militare Tra i discepoli e collaboratori di Mutis il più noto è Francisco José de Caldas (1768-1816) che, come il suo mentore, si guadagnò il soprannome di "el sabio", il sapiente. Egli nacque a Popoyán, dove iniziò gli studi nel Seminario Mayor, dimostrando una particolare attitudine per la matematica. La famiglia voleva farne un avvocato; continuò dunque gli studi al Colegio del Rosario di Bogotà, laureandosi in legge nel 1793. Tornò a Popoyan e per qualche tempo divise il suo tempo tra l'avvocatura e i viaggi d'affari in Ecuador. Intorno al 1796 la lettura di alcuni testi della Spedizione geodetica all'equatore riaccese la sua passione scientifica; acquistò un barometro, due termometri e un ottante e approfittò dei suoi viaggi tra Popoyan e Quito per misurare l'altitudine e la latitudine di diverse località e raccogliere dati geografici ed astronomici. Tra il dicembre 1798 e il febbraio 1799, su richiesta della comunità di Timaná alle prese con alcuni problemi di confine, ne tracciò la carta e stabilì la latitudine basandosi su un'eclissi lunare. Si procurò un telescopio, costruì da se stesso altri strumenti, come uno gnomone e un quadrante, e creò una specie di osservatorio nel patio della casa di famiglia. Nel 1801, avendo letto sul Correo curioso di Lozano una stima scorretta dell'altezza dei monti Guadalupe e Monserrate, che egli stesso aveva misurato, rispose con un articolo di rettifica che fu pubblicato e cominciò a farlo conoscere al di fuori dell'ambiente provinciale. I suoi amici di Bogotà ne approfittarono per fare il suo nome a Mutis; tra i due iniziò una corrispondenza. Nel maggio di quell'anno Caldas fece la sua più importante scoperta; scoprì che, poiché la temperatura a cui bolle l'acqua varia con l'altitudine, essa può essere utilizzata con notevole precisione per stabilire l'altitudine stessa, senza altri strumenti che un termometro. A tal fine elaborò una formula matematica e costruì un apposito termometro ipsometrico. Il 4 novembre di quel memorabile 1801 Humboldt e Bompland, dopo aver trascorso diversi mesi a Bogotà accolti da Mutis, arrivarono a Popoyán. Il barone aveva letto l'articolo di Caldas sul Correo Curioso che lo aveva stupito per la grande esattezza, aveva sentito parlare di lui dai suoi amici di Bogotà, ed era ansioso di incontrarlo ma el sabio non era in città: era a Quito ad occuparsi di affari di famiglia. Humboldt visitò però il padre di Caldas che gli mostrò i quaderni del figlio. L'incontro tra i due scienziati sarebbe avvenuto l'ultimo giorno dell'anno a Ibarra in Ecuador. Quindi viaggiarono insieme fino a Quito, confrontandosi e discutendo di molti argomenti scientifici. Per l'autodidatta Caldas fu quasi un corso d'aggiornamento accelerato: Humboldt gli mostrò i suoi quaderni di campo, gli insegnò nuovi metodi per misurare l'altitudine e come usare l'ottante. Tra febbraio e marzo 1802 per 37 giorni i tre naturalisti lavorarono insieme a Chillo. Caldas fece escursioni botaniche con Bompland e misurazioni trigonometriche con Humboldt. A questo punto avrebbe voluto con tutte le forze unirsi ai due europei, ma il progetto fu respinto dal tedesco, nonostante la raccomandazione di Mutis. Svanito questo sogno, fu proprio Mutis a invitarlo a partecipare alla spedizione botanica. Gli chiese in particolare di studiare le piante utili, soprattutto le varie specie di Cinchona dell'Ecuador. Caldas accettò con entusiasmo e per qualche anno, da astronomo, divenne botanico. Tra il 1802 e il 1805 esplorò intensamente la flora della regione, sempre prendendo note accuratissime sui luoghi di crescita e gli eventuali usi; nel 1802 viaggiò da Ibarra a Imbabura, nel 1803 da Ibarra al Pacifico, nel 1804, di nuovo alla ricerca delle piante di china, visitò Latacunga, Ambato, Cuenza e Loja; nel 1805 ritornò a Popayán e da qui Bogotá, con un bottino di più di 6000 fogli di erbario. In tal modo la Real Expedición Botánica si allargò all'Ecuador. Al suo arrivo a Bogotà, Mutis lo incaricò di dirigere l'appena inaugurato Osservatorio astronomico. Anche se ormai si sentiva più botanico (stava lavorando a una Fitogeografia dell'Ecuador, in cui era giunto a conclusioni simili a quelle di Humboldt sulla distribuzione altimetrica delle piante), egli si gettò con tutta l'impulsività della sua natura anche in questa avventura stabilendo un programma regolare di osservazioni astronomiche, geografiche e meteorologiche; inoltre fondò e redasse un giornale scientifico El semanario del Nuevo Regno de Granada sul quale vennero pubblicati articoli suoi e di altri membri della spedizione nonché traduzioni dal francese di Lozano. Per la botanica, di particolare importanza la pubblicazione di una serie di nuovi generi stabiliti da Mutis, ma mai pubblicati. Abbiamo già visto che si trovò al centro degli eventi del 20 luglio, anche se forse aveva ospitato i congiurati nel suo alloggio all'osservatorio più per amicizia che per convincimento politico. Ancora una volta cambiò totalmente vita e rivolse il suo genio alla fabbricazione di armi e all'allestimento di fortificazioni: nel 1811 fu nominato capitano del corpo degli ingegneri militari e dal 1812 fu promosso tenente colonnello. Nel 1813, avendo partecipato a un tentativo di deporre Nariño, si rifugiò a Antioquia dove fu ancora ingegnere militare con il grado di colonnello. Tra il 1813 e il 1814 si occupò delle fortificazioni del fiume Cuaca e della creazione di una polveriera e di una fabbrica di fucili. Nel 1815 il presidente Camilo Torres gli chiese di fortificare Bogotà in vista dell'attacco spagnolo e lo incaricò di dirigere la Scuola militare. Quando gli spagnoli invasero il paese, tentò la fuga ma fu catturato e anche lui condannato a morte. Si racconta che nel sentire la sentenza egli stesso o i presenti facessero appello a Morillo oppure a Pascual Enrile y Acedo (esistono varie versioni) perché fosse risparmiata la vita a quel sapiente. La risposta fu: "La Spagna non ha bisogno di sapienti". Come gli altri patrioti, fu fucilato alla schiena come traditore. La fine della spedizione L'unico a sfuggire a questo destino fu Sinforoso Mutis Consuegra (1773-1822); era uno dei tre figli di Manuel Mutis Bosio, fratello di José Celestino, e della colombiana María Ignacia Consuegra. Quando il padre morì, aveva solo tredici anni e lo zio si fece carico della sua educazione, affidandolo a un altro ex membro della spedizione, Juan Eloy Valenzuela, parroco a Bucaramanga. Sinforoso poi studiò al Colegio del Rosario dove seguì i corsi di Filosofia naturale in cui si studiava matematica, fisica, astronomia e scienze naturali. Nel 1791, proprio nel momento in cui la sua sede veniva spostata da Mariquita a Santafé, fu aggregato alla spedizione come disegnatore apprendista; si dimise nel 1793 per riprendere gli studi di legge al Colegio del Rosario. Fu probabilmente in queste circostanze che incominciò a frequentare gli ambienti "sovversivi" e finì implicato nell'affare delle pasquinate. La brutta avventura ebbe però anche risvolti positivi: nel 1799 il carcere fu mutato in arresti domiciliari, il che gli permise di frequentare il corso di botanica tenuto nell'Ospedale reale di Cadice da Francisco Arjona. Finalmente amnistiato, fu reintegrato nella spedizione e gli fu concesso di approfondire gli studi di botanica all'orto botanico di Madrid seguendo le lezioni di Miguel Barnades junior e lavorando accanto a Cavanilles, Nel 1802 ritornò a Bogotà; Mutis lo inviò a studiare la flora di Cartagena de Indias, quindi a Cuba in una missione tanto scientifica quanto commerciale: doveva infatti vendere la corteccia di china, ma anche raccogliere piante e riportare nella colonia il vaccino contro il vaiolo. Rientrò a Bogotà nell'agosto 1808, appena due settimane prima della morte dello zio. Nel testamento scientifico di quest'ultimo non veniva indicato un direttore della spedizione, ma piuttosto un triumvirato: Rizo avrebbe continuato a dirigere il lavoro dei pittori, Caldas si sarebbe occupato dell'osservatorio e Sinforoso sarebbe stato il direttore scientifico per la botanica, con il risultato che al momento furono tutti scontenti, soprattutto Caldas che si aspettava da Mutis la consacrazione a suo successore. L'incarico venne confermato a Sinforoso dal viceré nel febbraio 1809. Egli si concentrò sul completamento e nella pubblicazione del libro sulle piante di china di suo zio, integrato con le scoperte di altri membri della spedizione, soprattutto Caldas. Giunse a un accordo con quest'ultimo, riconoscendogli la priorità sulla pubblicazione delle piante dell'Ecuador; entrambi contavano di continuare, concludere e pubblicare la Flora di Bogotà. Sinforoso dedicò qualche mese a fare un inventario dei materiali, poi pubblicò sul Semanario una memoria sulla spedizione e diverse nuove piante; nel numero seguente altre furono pubblicate da Caldas, che sigillò la pacificazione con la dedica del genere Consuegria. Si era ormai nel 1810 e anche Sinforoso finì nel vortice della politica. Dopo il 20 luglio, fu nominato deputato del popolo e membro della Giunta suprema e come tale firmò l'Atto di Indipendenza. Nel 1811 fece parte della commissione che redasse la Costituzione della Repubblica di Cundinamarca. Nel 1812 riprese la direzione della spedizione, anche se ormai le ricerche erano bloccate da tempo e il gruppo dei pittori si era dissolto con la partenza di Rizo. Nel novembre del 1814 il governo gli affidò l'inventario della parte botanica della spedizione; grazie a questa fortunata circostanza, in materiali si salvarono dal saccheggio dell'Osservatorio e della Casa della Botanica invasi dai soldati di Bolivar. Nel 1816 anche lui fu accusato di sedizione e incarcerato nel Colegio del Rosario; qui dovette occuparsi di allestire e imballare i materiali della spedizione per l'invio a Madrid, con l'aiuto del pittore Francisco Javier Matís. Il gravoso (e doloroso) compito, insieme al nome di suo zio e alla sua origine spagnola, probabilmente gli salvò la vita: anziché essere condannato a morte come i suoi compagni, gli furono comminati due anni di carcere e l'esilio a Panama. Nel 1817 in seguito a indulto reale, fu confinato a Cartagena. Solo nel 1821 poté tornare a Bogotà con la sua famiglia e fu nominato deputato dell'Assemblea costituente da cui doveva nascere la Repubblica di Colombia. Tuttavia, ormai minato nella salute, morì l'anno dopo a soli 49 anni. Generi per quattro naturalisti Ad eccezione di Carbonell che come abbiamo visto non era un naturalista, tutti gli altri hanno avuto l'onore di dare il loro nome ad almeno un genere botanico, anche se uno solo è oggi accettato. Si tratta di Lozania che fu pubblicato sul Semanario del Nuevo Reino de Granada da Caldas, rispettando la volontà di Mutis. E' uno dei due generi della piccola famiglia Lacistemataceae (l'altro è appunto Lacistema) e gli sono attribuite cinque specie di piccoli alberi o anche arbusti distribuiti nel Centro America meridionale (dal Nicaragua a Panama), nel sud America tropicale (dal Venezuela alla Bolivia) e nella regione amazzonica occidentale, dove tipicamente crescono nel sottobosco delle foreste umide fino a 2400 m di altitudine. Hanno foglie alternate, da ellittiche a obovate, e infiorescenze terminali raccolte in racemi. I fiori minuscoli (circa un mm) consistono in un disco munito di sepali e di un unico stame che si divide in due antere. Il frutto è una capsula che si apre in tre valve e contiene un singolo seme circondato da un arillo. Come ho anticipato, fu invece Cavanilles a dedicare a Rizo Rizoa (oggi sinonimo di Clinopodium). A Caldas (e la cosa non stupisce, visto che era l'unico ad avere una reputazione internazionale) sono stati dedicati ben tre generi Caldasia, nessuno dei quali è però oggi accettato; in ordine cronologico, il primo giunse già nel 1806 da Willdenow, direttore dell'orto botanico di Berlino, a cui le attività scientifiche del sabio Caldas erano note grazie a Humboldt (oggi è sinonimo di Bomplandia); quindi lo stesso Caldas pubblicò ancora sul suo Semanario l'omonimo genere che gli era stato dedicato da Mutis (oggi sinonimo di Helosis); infine nel 1821 fu la volta dello spagnolo Lagasca, che intese così anche riabilitare la memoria del naturalista fucilato alla schiena come traditore dai suoi compatrioti (oggi sinonimo di Chaerophyllum). Concludiamo la rassegna con un ultimo genere valuto da Mutis e pubblicato da Caldas, Consuegria; non solo non è valido, ma di incerta sede, ovvero non identificato.
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L'irruzione in Messico della Real Expedicion Botanica favorisce la diffusione delle idee illuministe e del pensiero scientifico, ma incontra anche l'ostilità accanita degli ambienti più tradizionalisti, primo fra tutti la Real y Pontificia Universidad, con i suoi medici ancora arroccati a difesa della tradizionale teoria degli umori e di una formazione tutta libresca. Contro questa situazione stagnante si batte uno dei più brillanti allievi di Vicente Cervantes, il dottor Luis José Montaña, convinto sostenitore dell'introduzione del metodo scientifico anche in medicina e di un nuovo modello di insegnamento, basato sulla pratica clinica e sull'integrazione tra medicina, chimica, fisica, botanica. Osteggiato per tutta la vita e sepolto in segreto, anche per le sue origini oscure, il suo contributo al rinnovamento della medicina messicana venne riconosciuto solo dopo la sua morte, grazie soprattutto ai numerosi e reverenti allievi. Ma prima, a ricordarlo nella nomenclatura botanica aveva già pensato il suo maestro Vicente Cervantes, che gli dedicò lo stupefacente genere Montanoa, uno dei pochi della famiglia Asteraceae a comprendere veri e propri alberi. Per una medicina scientifica e sperimentale Tra i giovani medici che nel 1788 seguono il primo corso di botanica tenuto da Vicente Cervantes a Città del Messico, il dottor José Luis Montaña non è certo un novellino; si è laureato in medicina presso la Real y Pontificia Universidad, ottenendo la licenza già nel 1777 e ha lavorato dapprima presso l'opedale San Pedro di Puebla, la sua città natale. Nel 1779 è stato uno dei medici incaricati ufficialmente di inoculare il vaccino contro il vaiolo. Ma ha deciso di ritornare sui banchi (e tra le aiuole), convinto com'è dell'anacronismo del modo in cui si insegna medicina nel Viceregno: tutto libresco, basato ancora sulla lettura reverente dei classici come Ippocrate e sulla teoria degli umori da riequilibrare con la triade salassi - purganti - emetici; non è previsto alcun tirocinio clinico. Mentre in Europa da tempo i medici si stanno convincendo dell'importanza dell'apprendimento pratico sui pazienti, l'Università messicana vede ancora il medico come un intellettuale, un teorico, da tenere rigorosamente separato dai "meccanici" come chirurgi e farmacisti, che esercitano una professione manuale e non hanno una formazione accademica, ma artigianale, acquisita nella pratica delle corsie ospedaliere per gli uni, nelle botteghe di farmacia per gli altri. L'incontro con gli scienziati illuministi arrivati da Madrid conferma Montaña nei suoi convincimenti profondi: la medicina deve diventare scientifica e basarsi sullo stesso metodo delle altre scienze sperimentali, a partire da un'osservazione costante, metodica e priva di pregiudizi dei fenomeni. Secondo l'insegnamento di Boerhaave, è poi convinto che nella formazione del medico lo studio della medicina debba essere integrato da quello di altre scienze: la fisica, la chimica, e, ovviamente, la botanica; per Montaña, i medici devono essere anche naturalisti, perché l'uomo è parte della natura. Segue i corsi di Cervantes con tanta passione e con risultati così brillanti che il maestro lo sceglie come assistente e già nel 1792 gli affida ufficialmente un corso di botanica. Nel 1795 sarà lui a pronunciare la prolusione dei corsi (nel suo discorso, farà l'elogio del metodo scientifico). L'incontro con Sessé, Cervantes e il quasi coetaneo Mociño, permette poi a Montaña di praticare quella medicina sperimentale che tanto auspica. Nel 1799, Sessé aveva proposto che nei due ospedali principali di Città del Messico, l'Hospital General de San Andrés e l'Hospital Real de los Naturales (riservato alla cura degli indigeni) venisse istituita una "Sala di osservazione", ovvero un laboratorio che permettesse di mettere alla prova le proprietà delle piante cui la tradizione locale attribuiva virtù officinali. Le osservazioni sarebbero state condotte sui ricoverati dei due ospedali dai medici José Mariano Mociño e Luis José Montaña e dal chirurgo Francisco Valdés, affiancati dal primo praticante Manuel Vasconcelos. Con l'approvazione del viceré, le sale di osservazione furono aperte nel dicembre 1800. La loro vita fu tuttavia breve, perché cessarono di esistere dopo il 1803, con la partenza di Sessé e Mociño per la Spagna. Una nuova didattica della medicina Non potendo accedere a una cattedra universitaria - la facoltà gli era ostile per i suoi metodi innovatori, ma anche per l'oscurità delle sue origini (Montaña era cresciuto in un orfanatrofio) - il medico pueblano negli anni in cui lavorò prima all'Hospital de los Naturales e poi al San Andrès riunì intorno a sé un gruppo di allievi privati, che lo affiancavano in corsia, conducevano le osservazioni sui pazienti, e poi, nella sua stessa casa, partecipavano a una sorta di accademia in cui i casi erano analizzati, paragonati, discussi. Intanto, in madrepatria le cose stavano cambiando. A partire dal 1795, a chi intendeva diventare medico fu imposto un anno di praticantato a Madrid, e a tal fine venne istituito il corso di Medicina pratica. Immediatamente, il viceré chiese alla Real y Pontificia Universidad di estendere la riforma alla Nuova Spagna, ma senza esito. Intorno al 1804, fu probabilmente proprio l'esperienza di Montaña a spingere l'arcivescovo Lizana y Beaumont a sollecitare l'autorizzazione del re, che venne concessa nel giugno 1805; nell'agosto 1806 anche la facoltà si rassegnò a dare l'imprimatur. Il corso di Medicina pratica poté così iniziare ufficialmente, e dal 1808 fu reso obbligatorio. Fu ovviamente affidato al nostro José Luis Montaña, finalmente uscito dalla dimensione "carbonara" dei corsi privati. Nel 1815 poté anche accedere alla sospirata cattedra universitaria, divenendo titolare di Visperas (ovvero la cattedra vespertina, meno prestigiosa e molto meno remunerata di quella principale, detta prima). Per le lezioni era prescritto come libro di testo gli Aforismi del vecchio Ippocrate. Montaña, preoccupato che i suoi studenti, non capendo il senso di precetti disposti in modo causale, lo studiassero a memoria, approntò per loro una selezione tra gli aforismi, raggruppati in modo logico e in coerenza con il suo metodo basato sull'osservazione diretta. Nacque così un'opera di un centinaio di pagine, Praelectiones et concertationes medicas pro Hippocratis magni aphorismis, pubblicata a partire dal 1817, seguita dalla traduzione spagnola, Las lecciones interpretativas de los aphorismos de Hipocrates. La decisione di basare la sua silloge su un'edizione diversa da quella obbligatoria, che giudicava assai corrotta, lo mise però ulteriormente in urto con la facoltà. Vicino al movimento indipendentista, Montaña era un medico impegnato nel sociale: scrisse memorie e opuscoli che sollecitavano misure igienico-sanitarie, come l'istituzione di bagni pubblici e la bonifica delle paludi. Denunciava la miseria in cui viveva il popolo e lo sfruttamento degli indios. Queste posizioni politiche fecero si che ben presto la facoltà lo privasse della cattedra. Quando morì, nel 1820, usando come pretesto le sue origini oscure, non gli furono resi gli onori che spettavano a un cattedratico, anzi fu sepolto in segreto. A rinnovarne la memoria e a salutarlo come precursore dell'insegnamento della Medicina clinica nel paese furono però i suoi numerosi allievi, che a partire dagli anni '30 furono tra i protagonisti del rinnovamento dell'insegnamento della medicina nel Messico ormai indipendente. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Montanoa, gli alberi delle margherite Immediatamente dopo la sua morte, a ricordare l'allievo, collaboratore e amico aveva però già provveduto Vicente Cervantes, dedicandogli una pianta medicinale, il cihuapatli ("medicina delle donne"), da secoli utilizzata nelle culture indigene per accelerare il parto e in diverse affezioni femminili, che ribattezzò Montanoa tomentosa. Il nuovo genere Montanoa, della famiglia Asteraceae, fu poi ufficializzato dal La Llave e Lexarza nel 1825. In precedenza (1820), la pianta era già stata descritta da Kunth come Eriocoma floribunda (nome non valido perché già utilizzato da Nuttall per una Poacea). Tralasciando i nomi proposti successivamente da altri botanici, vale la pena di ricordare che nel 1836 de Candolle propose di adottare la grafia Montagnaea, più vicina alla pronuncia del cognome del dedicatario (che si pronuncia "montagna"); per la regola della priorità, il nome oggi riconosciuto valido è quello di Cervantes, La Llave e Lexarza. Il genere Montanoa, della famiglia Asteraceae, comprende circa 25 specie distribuite in una fascia che va dal Messico centro-settentrionale alla Colombia centrale, lungo le catene montuose; alcune sono state introdotte come ornamentali in altri paesi tropicali, dove in alcuni casi si sono spontaneizzate. Tutte le specie sono legnose e caratterizzate da grandi fiori simili a margherite, con i fiori del raggio candidi e i fiori del disco gialli, verdastri o neri, il che ha loro guadagnato il nome inglese daisy tree, "albero delle margherite". La maggior parte delle specie sono arbusti, anche se spesso di grandi dimensioni (ad esempio, la specie tipo, M. tomentosa, può raggiungere i tre metri di altezza); quattro specie sono liane; cinque veri e propri alberi (tra i pochi in questa famiglia). Tutte e cinque le specie arboree vivono ad altitudini maggiori rispetto a quelle arbustive e condividono lo stesso habitat: la foresta nebulosa d'altura, dove la nebbia e la pioggerellina orizzontale assicurano umidità costante tutto l'anno. In ogni caso, lo spettacolo di una Montanoa in fiore è indimenticabile; mai scorderò il meraviglioso esemplare di M. hibiscifolia in piena fioritura che ho incontrato durante una lontana vacanza natalizia nelle isole Canarie: con i suoi mazzi di fiori candidi, messi ancora più in rilievo dal verde scurissimo della grandi foglie palmate, questo enorme arbusto che supera sei metri di altezza è a dir poco impressionante. Solo in fotografia ho visto i fiori meravigliosi di M. bipinnatifida, simili a dalie pon pon dal profumo di cioccolato. E rimane un sogno contemplare la fioritura di una Montanoa arborea, magari M. quadrangularis, l'arboloco (albero pazzo, forse perché ha fusti cavi che contengono un midollo bianco), una specie dei boschi umidi premontani della Colombia che può raggiungere i venti metri. Lo spettacolo della sua fioritura, a quando si dice, è indescrivibile. Qualche approfondimento e informazioni su una selezione di specie nella scheda. Sono arrivate sui banconi dei fiorai da meno di trent'anni e hanno conosciuto un successo travolgente, tanto da incominciare a minacciare la popolarità delle loro cugine maggiori, le petunie. Sono le Calibrachoae, lanciate sul mercato all'inizio degli anni '90 da una ditta giapponese come minipetunie, e oggi vendute in milioni di esemplari in una gamma di colori e forme sempre più ampia, tanto che il National Garden Bureau statunitense le ha proclamate piante dell'anno 2018. Sul finire del Novecento, dopo essere state assegnate per un secolo e mezzo al genere Petunia, hanno anche ritrovato la loro identità e il loro nome, un omaggio al farmacista ispano-messicano Antonio de la Cal y Bracho, uno dei protagonisti del "trapianto" della botanica moderna nel neonato Messico indipendente e fondatore del secondo orto botanico del paese. Una botanica alla ricerca dell'indipendenza L'opera del botanico e farmacista Antonio de la Cal y Bracho a Puebla de los Angeles è in perfetta continuità e comunanza di intenti con l'operato di Vicente Cervantes a Città del Messico. Come il più illustre collega, de la Cal era un farmacista spagnolo che si era formato al Real Jardin botanico di Madrid alla scuola di Casimiro Gomez Ortega; come lui, aveva una formazione scientifica che integrava la farmacia, la botanica, la chimica. E come lui si era trasferito in Messico, dove avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni, divenendo un membro di rilievo della comunità di intellettuali e studiosi che vi rinnovò lo studio della botanica e lo status delle professioni di cura, trasferendo nel viceregno gli insegnamenti di Linneo e Lavoisier e dando impulso alla nascita di una scuola botanica indigena (e spesso orgogliosamente indigenista). Non sappiamo quando fosse giunto in Messico, forse nel 1789, insieme al nuovo viceré, il filo illuminista Revillagigedo, e al suo futuro protettore, il canonico Ignacio Domeneq. Il primo dato certo ci porta al 1793, anno in cui il suo nome - con la qualifica di farmacista - compare tra i medici, farmacisti e chirurghi che assistettero alle dimostrazioni finali del corso di botanica di Cervantes, dove intervenne con alcuni quesiti; all'epoca prestava servizio come farmacista presso l'Hospital General de San Andrés di cui Cervantes era capo farmacista (Boticario Major). A Puebla arrivò nel 1795, per volontà di Domeneq, canonico prebendario della cattedrale di Puebla e commissario dell'Ospedale di San Pedro, che istituì per lui il posto di Boticario Major di quel nosocomio. Dopo i due ospedali della capitale, l'Hospital General de San Andrés e l'Hospital de San José de los Naturales, era il più importante del paese, anche per la sua posizione geografica che attirava i malati da tutto il Centro America. In stretto contatto con gli orti botanici di Madrid (cui inviava semi, tanto da essere riconosciuto nel 1796 come membro corrispondente) e Città del Messico, con cui scambiava piante e conoscenze scientifiche, de la Cal si impegnò attivamente per trasferire a Puebla le linee di rinnovamento scientifico già imposte da Sessé e Cervantes nella capitale. Come capo farmacista, curò la preparazione botanica del personale della farmacia dell'ospedale e assisté i medici nella sperimentazione clinica degli effetti delle risorse naturali autoctone (analogamente a quanto andava facendo Cervantes nei due ospedali della capitale). La posta in gioco era scientifica, economica e più tardi anche politica, tanto che con l'indipendenza del paese sarebbe stato imposto ufficialmente di sostituire i semplici e i preparati tradizionali, per lo più importati dalla Spagna o da oltremare, con medicamenti messicani. A tal fine, del la Cal elaborò una "Lista di piante e dei loro sostituti per l'uso dell'ospedale", che è considerato il primo nucleo del suo Ensayo para la Materia Medica Mexicana ("Saggio per una Materia medica messicana"). A Puebla de la Cal fu anche tra i protagonisti del movimento che mirava a sganciare la professione di farmacista dal controllo dal Tribunale del Protomedicato, l'organismo che in Spagna come nelle colonie vigilava su tutte le professioni sanitarie. Tra il 1803 e il 1810, i farmacisti di Puebla denunciarono la corruzione dell'ispettore delle farmacie designato dal Tribunale, chiedendo che il controllo sulle farmacie e sui loro prodotti fosse affidato a periti debitamente formati; a tal fine avrebbe dovuto essere istituito un fondo, parte destinato al pagamento dei periti, parte all'istituzione di un giardino botanico, affiancato da una cattedra di botanica dove professionisti e giovani praticanti fossero istruiti nella preparazione dei medicamenti. Di fronte alla sordità del Tribunale, nel 1807, de la Cal e alcuni colleghi passarono all'azione, aprendo una pubblica sottoscrizione per l'acquisto di un terreno adatto; il documento presentato ai patrocinatori è quasi un manifesto in cui si esalta l'importanza della botanica per il progresso, si sottolineano i rischi per la salute pubblica di medicamenti preparati da "indii erboristi" e da farmacisti incapaci di distinguere una specie dall'altra, si insiste sui risvolti anche economici dello studio della botanica (consigliando ad esempio l'introduzione nel paese di piante tessili come la canapa, di cui al tempo vi era grande richiesta per la fabbricazione di corde e vele navali), si propugna infine l'urgenza dello studio della chimica, secondo il metodo di Lavoisier. Come primi sottoscrittori de la Cal e un altro farmacista illuminato della città, Rodriguez de Alconedo, nel 1808 versarono 2500 pesos per l'acquisto di un terreno nei pressi del convento di Santa Rosa; i farmacisti poi nominarono patroni del progetto le due massime autorità religiose e civili: Manuel Ignacio del Campillo, vescovo di Angelopolis, e il conte de la Cadena, intendente di Puebla, che contribuì con mille pesos. La realizzazione del giardino fu diretta dallo stesso de la Cal, sulla base di un progetto disegnato da Luis Martin, un tecnico raccomandato da Cervantes. Tuttavia, proprio quando erano da poco iniziati i lavori, giunse la notizia dell'imprigionamento del re Ferdinando VII da parte di Napoleone; in questa difficile situazione politica, cessarono le sottoscrizioni e dal 1811 la realizzazione del giardino venne sospesa, tanto più che nel paese era scoppiata la guerra di Indipendenza e lo stesso conte de la Cadena era morto in battaglia, combattendo contro i ribelli. Soltanto nel 1824, a tre anni dalla proclamazione dell'Indipendenza del Messico, i lavori ripresero. Quell'anno venne fondata l'Accademia medico-chirurgica dello stato di Puebla de los Angeles, una nuova corporazione che univa i due gruppi di professionisti; tra i suoi intenti la creazione di una farmacopea indigena e la valorizzazione del contributo delle "scienze ausiliarie" alla medicina (botanica, farmacia, chimica, fisica). Il giardino passò sotto la giurisdizione del nuovo organismo, che nominò tra i responsabili della gestione Antonio de la Cal e suo genero, Manuel Garzòn. L'anno successivo l'Accademia, su suggerimento di de la Cal, finanziò la pubblicazione delle Tablas botanicas, un agile strumento di divulgazione della botanica linneana redatto da Julian Cervantes, figlio del cattedratico di Città del Messico. La stampa, finanziata con una pubblica sottoscrizione, si inquadrava nel progetto, ancora una volta suggerito dall'intraprendente farmacista, di istituire presso l'orto botanico una cattedra di botanica, con lezioni tre volte alla settimana, secondo il modello dei corsi di Cervantes nella capitale. Inoltre, nel giardino de la Cal impiantò coltivazioni sperimentali di piante da reddito, in particolare la canapa, alla quale dedicò un opuscolo. Nel 1828 il giardino passò sotto la giurisdizione del governo messicano, che previde anche forme di finanziamento; nel 1831, sempre per opera di de la Cal, fu dotato di un regolamento; ma nel 1838, nella situazione politica sempre più confusa del paese, cessò di esistere. Era sopravvissuto solo cinque anni a colui che l'aveva voluto con tutte le sue forze e aveva fatto di quel giardino la sua ragione di vita. Antonio de la Cal y Bracho era infatti morto nel 1833; ma l'anno prima era riuscito a dare alle stampe la sua opera più importante, Ensayo para la Materia Medica Mexicana. Con quest'opera, il farmacista pueblano si proponeva di integrare l'Ensayo a la Materia medica vegetal di Cervantes (suo costante punto di riferimento, insieme ai contributi dei suoi allievi José Mariano Mociño e Luis Montaña), approfondendo lo studio delle piante medicinali offerte dal fertile suolo messicano che, ne era convinto, avrebbero potuto sostituire del tutto quelle importate, con detrimento dell'economia nazionale e anche della salute pubblica, poiché "quelle che ci portano gli stranieri spesso ci arrivano prive di efficacia per la cattiva conservazione, e molte anche adulterate; mentre sarebbe facile, raccogliendole nel paese, averle più fresche e a prezzi più convenienti". L'opuscolo, di circa cento pagine, è una lista alfabetica di 116 piante, ordinate in base al nome latino (seguito da quello spagnolo e talvolta indigeno), integrata da una brevissima sezione sui semplici ricavati da animali e minerali. Pubblicato dall'Accademia medica di Puebla, ha come primi destinatari proprio i medici dell'Accademia stessa, che sono invitati a testare l'efficacia dei semplici elencati, integrando e perfezionando la lista. In questo modo, de la Cal congiunge la valorizzazione dei saperi tradizionali indigeni (puntando il suo interesse verso le piante cui da secoli le comunità locali riconoscono efficacia terapeutica) e il metodo della ricerca sperimentale di matrice colta e europea. D'altra parte, l'opera semplice e agile si rivolgeva anche ai non specialisti, con il proposito di offrire alle persone che vivevano in zone prive di assistenza medica un prontuario di preparati basati su piante facilmente reperibili, con l'indicazione delle dosi opportune per le più comuni affezioni. Una breve sintesi della vita di Antonio de la Cal y Bracho (sulla cui vita personale ho però trovato ben poco) come sempre nella sezione biografie. Petunia? No, Calibrachoa! La stima tra Cervantes e de la Cal era reciproca. Se il farmacista pueblano non manca mai di citare e rendere omaggio a quello che considera il suo maestro, il direttore dell'Orto botanico della capitale ricambiò sia aiutando concretamente l'amico (tra l'altro nel 1805 finananziò l'apertura della sua farmacia privata) sia dedicandogli uno dei tanti generi scoperti dai ricercatori della Real Expedicion Botanica. Come spesso accade per le denominazioni di Cervantes, utilizzate nei suoi corsi di botanica e preservate dagli appunti dei suoi allievi, ma non pubblicate in testi a stampa, il genere Calibrachoa fu ufficializzato dai due campioni della botanica indigenista, Pablo de la Llave e Juan José Lexarza, che vedevano in Cal y Bracho un precursore della lotta per l'indipendenza (per la sua battaglia contro il Tribunal de Protomedicado) e un padre fondatore della botanica messicana. La denominazione, pubblicata nel 1825 nella seconda parte di Novorum Vegetabilium Descriptiones, non ebbe però fortuna. I maggiori botanici del tempo (a partire da Don) ne assegnarono le specie al genere Petunia, e tale rimase la situazione fin quasi alla fine del Novecento. Tutto iniziò a cambiare negli anni '80 del secolo scorso. Mentre fino ad allora queste Solanaceae dai fiori piuttosto minuti erano passate pressoché inosservate, le loro potenzialità come piante ideali per i nostri balconi furono intuite dalla ditta giapponese Suntory, che in quegli stessi anni stava lavorando agli ibridi di Petunia che di lì a poco avrebbero invaso i mercati con il nome Surfinia. Le Calibrachoae sono originarie delle regioni tropicali del Sud America, in particolare del Brasile, dove vivono soprattutto sulle rocce o sui pendii aridi. Questa capacità di crescere in situazioni in cui il suolo è scarso e asciuga rapidamente, le rendono particolarmente adatte alla coltivazione in vaso, soprattutto in cestini appesi. Inoltre, le specie numerose (circa 28) e la vasta gamma di colori delle corolle le rendono particolarmente interessanti per un programma di ibridazione. Fu così nel 1992 (tre anni dopo il lancio di Surfinia), Suntory lanciò una prima gamma di ibridi di Calibrachoa, per il momento ancora chiamati Millon bells Petunias. Più o meno nello stesso periodo, anche i botanici stavano riconsiderando la posizione della bella addormentata del regno vegetale. Da tempo erano emerse evidenti linee di separazione rispetto al genere Petunia; dava da pensare, in primo luogo, il fatto che questo gruppo di specie non si ibridasse con le altre del genere (che invece tendono a incrociarsi con facilità). La ragione, si scoprì, è molto semplice: il genere Petunia ha 14 cromosomi, il genere Calibrachoa ne ha 18. Si osservarono poi differenze nella corolla (in Petunia durante l'estivazione i lobi sono sovrapposti, imbricati, su entrambi i margini, in Calibrachoa il lobo anteriore copre gli altri quattro), nella struttura cellulare delle foglie, nelle stesse caratteristiche generali (le Calibracoae sono piccole piante arbustive, le Petuniae sono grandi piante erbacee). Insomma, nel 1990, proprio mentre Suntory si preparava a lanciarle sul mercato, il botanico olandese H.J.W. Wijsman ristabilì ufficialmente il genere Calibrachoa, rimasto in soffitta per oltre 160 anni. Oggi, con milioni di piante vendute, e molte gamme che si sono aggiunte alla prima serie Million bells, Calibrachoa è ormai una superstar dei nostri balconi. Nel frattempo si è fatta più grande (le corolle di alcune serie non hanno niente da invidiare quanto a dimensioni a quelle della cara cugina), ha assunto una infinita gamma di sfumature (che copre l'intero arcobaleno, dal bianco al quasi nero passando per il giallo, l'aranciato, il rosso, il rosa, il viola, il blu), si è fatta bicolore, policroma, doppia, arricciata... E per non farci mancare niente, un'altra firma giapponese, la Sakata, ha creato x Petchoa, un ibrido intergenerico (ovviamente sterile) prodotto dell'ingegneria genetica che è riuscita a superare le barriere riproduttive tra i due generi. Prepariamoci all'invasione di SuperCal e Calitunia! Qualche approfondimento, come sempre, nella scheda. Nel 1803, ultima tappa del lungo viaggio sudamericano, Humboldt e Bonpland si trattengono a lungo a Città del Messico. Il barone tedesco è ammirato dalla bellezza, dall'ordine "rinascimentale" della città, dai suoi giardini colmi di alberi da frutto. Ne visita le istituzione scientifiche, tra cui immancabile il neonato orto botanico (Real Jardín Botánico), rimarchevole per organizzazione e ricchezza delle collezioni nonostante lo spazio angusto, non mancando di elogiarne il curatore, il professor Cervantes, che tanto "si distingue per lo zelo per le scienze della natura". Quel giardino botanico, che al momento aveva appena dodici anni di vita, fu il primo del continente americano (escludendo il giardino di John Bartram a Filadelfia, del 1728, più un giardino-vivaio di acclimatazione che un orto botanico, per gli Stati Uniti bisogna attendere il 1821, con la nascita dell'United States Botanic Garden di Washington). Nato come costola e base operativa della Real Expedición Botánica a Nueva España attorno al 1791, organizzato secondo il sistema linneano, ebbe un ruolo importante per far conoscere la flora del paese e rinnovare lo stesso insegnamento della botanica. La sua anima, più che il direttore nominale Martin de Sessé, fu Vicente Cervantes, che lo resse per un quarantennio, anche dopo il distacco dalla Spagna e l'indipendenza del Messico. Grande didatta, che formò più di una generazione di studiosi, nel suo insegnamento unì la botanica alla chimica, campo in cui fu tra i diffusori del pensiero di Lavoisier. A ricordarlo il poco noto genere Cervantesia, che comprende alberi emiparassiti endemici delle foreste andine. Insegnare Linneo e Lavoisier in Messico La creazione di un orto botanico a Città del Messico, con annessa cattedra universitaria, sul modello del Real Jardin Botanico di Madrid, era stata uno degli obiettivi principali della Real Expedición Botánica a Nueva España che, come ho già raccontato in questo post, si proponeva non solo di esplorare e inventariare la flora del viceregno, ma anche di rifondare l'insegnamento della botanica nella colonia, sul modello "illuminista" ormai impostosi nella madrepatria. Per questo compito, il deus ex machina della spedizione, Casimiro Gomez Ortega, direttore dell'orto madrileno e grande organizzatore delle spedizioni scientifiche che segnarono gli anni a cavallo tra i regni di Carlo III e Carlo IV, scelse il più promettente dei suoi allievi, Vicente Cervantes. Anche se Sessé, come capo della spedizione, era nominalmente sia il titolare della cattedra sia il direttore dell'orto, di fatto, essendo egli principalmente impegnato nelle attività di esplorazione e raccolta, queste funzioni furono esercitate da Cervantes. Quest'ultimo, farmacista di formazione, si era perfezionato come botanico all'Orto di Madrid, dove si era segnalato per la profonda conoscenza sia della sistematica vegetale sia della chimica. Meno coinvolto nelle attività di ricerca (che limitò alle aree prossime alla città, mentre i suoi compagni si muovevano in un vastissimo territorio compreso tra il Canada e la Costa Rica), egli rimase a Città del Messico, dove si occupò dei rapporti (tempestosi) con l'ambiente medico-scientifico locale, delle questioni amministrative, dell'insegnamento universitario, dell'organizzazione delle collezioni, della creazione e della cura dell'orto botanico. Fu lui a scontrarsi con l'Università e il Real Tribunal de Protomedicado, ostili all'introduzione dell'insegnamento della botanica nel curriculum dei futuri medici e preoccupati per la loro indipendenza professionale, minacciata ai loro occhi dagli scienziati illuministi catapultati da Madrid; fu lui a ingaggiare una battaglia aperta con l'erudito messicano José Antonio de Alzate, nemico giurato della nomenclatura e del sistema linneano. Fu soprattutto lui a tenere le lezioni di botanica, divenendo ben presto un insegnante rinomato e carismatico. Installata dapprima nel Collegio dei gesuiti, quindi presso la casa privata di Ignacio Castera, primo architetto di Città del Messico, infine trasferita dal 1790 nei giardini del palazzo del viceré, la cattedra di botanica fu solennemente inaugurata il 6 maggio 1788, con una prolusione di Sessé che esaltava il contributo della scienza botanica al progresso; si trattò anche di un evento mondano, seguito da uno spettacolo pirotecnico durante il quale i fuochi disegnarono tre alberi di papaya con fiori femminili e maschili; da questi ultimi, a imitazione del polline, muovevano raggi di luce che andavano a fecondare i fiori femminili. Secondo alcuni testimoni, comparve anche un ritratto di Linneo e il motto linneano Amor urit plantas, "l'amore infiamma le piante". I corsi, la cui frequenza fu resa obbligatoria per i futuri medici, chirurghi e farmacisti, richiamarono anche un pubblico più ampio di curiosi che includeva militari, religiosi, intellettuali, studenti del Seminario Reale di mineralogia e della scuola d'arte San Carlos. Tra i primissimi allievi Mociño e Maldonado, poi cooptati nella spedizione, seguiti da intellettuali impegnati nei campi più vari, come il medico Luis Josė Montaña, il botanico Juan José de Lexarza, il futuro ministro e naturalista dilettante Lucas Alamán, il compositore José María Bustamante. I corsi, che avevano finalità eminentemente pratiche, univano all'insegnamento del sistema linneano esercitazioni di riconoscimento e nozioni di chimica. L'unione tra botanica e chimica fu anzi la principale peculiarità del magisterio di Cervantes, che adottò come libri di testo il Corso elementare di botanica del suo maestro Casimiro Gomez Ortega e la traduzione spagnola del Corso elementare di chimica di Lavoisier. Centrale per Cervantes fu anche l'indagine sulle proprietà mediche delle piante indigene, che avrebbero dovuto sostituire nella pratica farmaceutica le costose e meno efficaci droghe importate dall'Europa o da altri paesi dell'impero spagnolo. D'altronde, per tutta la vita egli affiancò all'insegnamento (che non gli garantiva entrate sufficienti per mantenere sé e la famiglia) anche l'attività di farmacista, prima presso il principale ospedale della città, poi in una rinomatissima bottega privata (che esportava i suoi preparati, come fornitrice ufficiale della corona, fin nelle Filippine). Pubblicò anche diverse opere sulle piante officinali, destinate a medici e farmacisti, tra cui spiccano Discurso sobre las plantas medicinales que crecen en las cercanías de México (1791) e il postumo Ensayo para la materia médica mexicana (1832). Il primo orto botanico scientifico delle Americhe Ma torniamo all'orto botanico, che fu inaugurato nel 1791. Occorse infatti qualche anno per il progetto e per trovare un luogo adatto; dopo qualche ripensamento, grazie all'offerta del Viceré Revillagigedo, sensibile alle istanze illuministe, fu infine ospitato in un angolo dei giardini del palazzo vicereale. Era uno spazio limitato, ma che offriva il vantaggio di trovarsi nel centro di potere del viceregno ; oltre ad essere la base operativa della spedizione, divenne così il punto di ritrovo dei circoli scientifici della capitale, nonché quasi un'attrazione alla moda. Era organizzato secondo il modello dell'orto botanico di Madrid; c'era in primo luogo un'area didattica, dove si coltivavano le piante utilizzate durante il corso accademico, disposte in 24 parcelle secondo il sistema linneano e separate da canaletti di irrigazione. C'era poi uno spazio riservato alle piante officinali e una serra, destinata all'acclimatazione delle piante. Il viceré mise poi a disposizione alcuni locali: un'aula per le lezioni, una stanza per l'erbario, l'abitazione stessa dei cattedratici. Quando Humboldt lo visitò nel 1803, appariva ammirevole per la buona organizzazione e per la ricchezza delle collezioni, che ammontavano a 1500 specie. Il giardino assolse contemporaneamente a più funzioni. La prima era ovviamente quella didattica: ogni corso (che durava da quattro a sei mesi) prevedeva sei ore di insegnamento teorico alla settimana e esercitazioni pratiche, per le quali Cervantes - oltre ad accompagnare gli studenti a erborizzare nei dintorni della capitale - utilizzava le piante raccolte dai suoi compagni di spedizione nei vari angoli del viceregno. Fu così che descrisse per la prima volta e denominò alcune decine di piante prima poco note o sconosciute alla scienza. Il giardino era poi un centro di acclimatazione dove affluivano le piante raccolte nel corso della spedizione, insieme ai disegni, agli esemplari essiccati, agli animali impagliati, ai minerali. Seguendo le direttive molto precise stilate da Casimiro Gomez Ortega nel 1779, i membri della spedizione erano infatti tenuti a inviare piante vive, scelte per le loro potenzialità economiche o il pregio estetico, che dopo essere state coltivate e acclimatate a Città del Messico, sarebbero state avviate al giardino di Madrid, che a sua volta in diversi casi provvide a distribuirle ai principali orti botanici europei. Fu così che il piccolo giardino di Cervantes giocò un ruolo importante nell'introduzione di specie americane in Europa; tra tutte, vorrei ricordare almeno le Dahliae che nel 1789 Cervantes spedì a Cavanilles, direttore dell'orto madrileno, prima tappa di un viaggio che le ha portate in tutti i nostri giardini. Il giardino del palazzo del viceré era poi una vetrina delle ricchezze naturali del viceregno, uno spazio allo stesso tempo naturale e "costruito", pensato anche per il godimento degli abitanti della capitale e per l'ammirazione dei visitatori stranieri, come Humboldt e l'amico Bonpland, cui doveva dimostrare che, quanto a avanzamento della ricerca scientifica, il regno iberico era ormai all'altezza, se non superiore, delle maggiori nazioni europee. Rimasto in Messico quando Sessé e Mociño passarono in Spagna, dal 1803 Cervantes esercitò anche di nome il ruolo di professore di botanica e direttore dell'orto che aveva fino ad allora sostenuto di fatto. Come riconoscimento dei suoi meriti di pioniere della scienza botanica messicana e studioso della flora nazionale, all'atto della proclamazione dell'indipendenza (1821) non solo non fu espluso, come toccò agli spagnoli, ma, mantenne i suoi incarichi fino alla morte avvenuta nel 1829. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tuttavia nei decenni successivi, anche come conseguenza della turbolenta situazione politica del Messico, la cattedra rimase vacante e il giardino fu di fatto abbandonato a se stesso, come testimonia una lettera della signora Calderón de la Barca che lo visitò nell'aprile 1840; benché conservasse alcuni resti del passato splendore nel suo stato d'abbandono era "un malinconico esempio dell'arretramento della scienza in Messico". Dopo un episodico tentativo di rilancio voluto dall'imperatore Massimiliano (1864-1867), bisognò attendere i grandi lavori di ristrutturazione degli spazi aperti del Palazzo nazionale (così fu ribattezzato il Palazzo del Viceré all'atto dell'indipendenza) della fine del secolo scorso per un restauro - anche se su un'estensione alquanto ridotta - di questo giardino tanto importante nella storia del paese. Anzi, dell'intero continente americano, visto che precedette di decenni la fondazione del primo orto botanico scientifico degli Stati Uniti, quello sorto a Washington nel 1821 per decreto del Congresso. Cervantesia, alberi emiparassiti Furono i protagonisti di un'altra delle grandi spedizioni botaniche della Spagna di fine Settecento, Hipolito Ruiz e José Anton Pavón, a dedicare all'allora giovane collega "messicano" una delle innumerevoli piante da loro scoperte nel corso dell'esplorazione del Viceregno di Perù. Il genere Cervantesia, da loro stabilito nel 1794, appartenente alla famiglia Santalaceae, comprende due specie di alberi - C. bicolor e C. tomentosa - native di Colombia, Ecuador e Bolivia. Come tutti i membri di questa famiglia, si tratta di piante semiparassite delle radici o delle parti aree dell'ospite; la specie più nota, C. tomentosa, è un arbusto o albero delle foreste andine, coperto in tutte le sue parti da un denso indumento rossastro, con piccoli fiori verdastri a stella privi di petali e frutti a capsula. Mentre di questa specie sono reperibili alcune fotografie e la descrizione, per C. bicolor non ho trovato nulla al di là del nome e della distribuzione. Rimando comunque alla scheda per una sintesi delle scarse informazioni reperite. Le storie della botanica riservano continue sorprese. Nel periodo ancora eroico di inizio Ottocento poteva capitare che un giovane botanico, partito da Ginevra e dal lago Lemano, finisse la sua vita nel fiume San Fernando in Messico. Non senza avere cacciato, nel frattempo, orsi e bisonti insieme ai temibili indiani Comanche ed essere diventato consulente militare di un futuro presidente, grazie alla sua conoscenza ineguagliabile del territorio e ai suoi studi pionieristici sulle tribù indiane stanziate lungo la frontiera tra Stati Uniti e Messico. Questo fu il destino di Jean Louis Berlandier, allievo di de Candolle, trasformatosi per una serie di circostanze in un vero botanico della frontiera. E' giustamente endemico dell'area che esplorò il genere Berlandiera, la cui specie più nota, con il suo profumo di cioccolato, è perfetta per un ginevrino, anche se preferì dichiararsi prima francese, poi messicano. Incidenti di frontiera Nel 1821, al momento dell'indipendenza, faceva parte del territorio messicano anche il Texas, un'area tanto vasta quanto spopolata; i coloni non erano più di 3500, concentrati a San Antono e La Bahia. Per incoraggiare il popolamento, nel 1824 il governo messicano emanò la Ley General de Colonisation, che concedeva una terra a qualsiasi capo famiglia disposto a trasferirsi in Texas, quale che ne fosse la nazionalità, la religione, lo status di immigrazione. A rispondere all'appello furono sì messicani e spagnoli, nonché qualche altro europeo, ma soprattutto statunitensi. Bastarono pochi anni perché la crescente penetrazione di cittadini statunitensi, presto organizzata da imprenditori senza scrupoli, destasse la preoccupazione del governo messicano, tanto più che i confini stessi tra i due stati non erano ben definiti e si faceva sentire un'altra ingombrante presenza: quella dei nativi, in particolare i temibili Comanche. Questi ultimi, grazie alle superiori capacità militari ma anche all'abilità nel gestire i commerci a lunga distanza, avevano imposto il loro controllo sulle altre tribù; nei confronti dei coloni, alternavano l'approccio diplomatico con veri e propri attacchi, imposizione di tributi, sequestri di persona e saccheggi. Vista la scarsa presenza dell'esercito messicano, debole numericamente e privo di fondi, i coloni rivendicavano il diritto di creare proprie milizie di autodifesa contro gli attacchi indiani. Un altro motivo d'attrito con i coloni statunitensi era il possesso di schiavi, proibito o almeno ostacolato in Messico. Nel 1826, un impresario statunitense, H. Edwards, incominciò a sequestrare terre di messicani che non potevano esibire certificati di proprietà, per distribuirle ai coloni che faceva arrivare dagli Stati Uniti; di fronte alle rimostranze del governo messicano, con un gruppo di 30 coloni giunse a proclamare l'indipendenza. Il tentativo fu prontamente represso delle forze messicane, ma era un segnale decisamente preoccupante. In questa situazione esplosiva, fin dal 1825 fu decisa la creazione della Comision de Limites (Commissione della frontiera), con l'incarico di visitare il Texas per fare osservazioni astronomiche e meteorologiche, esplorare le risorse naturali, studiare la presenza indiana, censire gli insediamenti dei coloni nordamericani e determinare la linea di confine tra Messico e Stati Uniti tra i fiumi Sabina (Sabine) e Red River. Fortemente voluta dal ministro degli esteri Lucas Alamán, che aveva studiato in Europa e aveva una formazione scientifica, la commissione fu concepita come missione militare unilaterale, ma anche come una spedizione scientifica (la prima di uno dei neonati stati latinoamericani). Al comando vi era il generale Manuel de Mier y Terán, che, oltre ad essere un eroe della guerra d'indipendenza, era un uomo colto che ne curò attentamente la preparazione, procurando tra l'altro molti degli strumenti scientifici; oltre a una scorta militare, lo accompagnavano il suo segretario, il colonnello José María Díaz Noriega; il medico e tenente colonnello José Batres e il tenente colonnello del genio Constantino Tarnava, incaricati dei rilievi militari e geografici; un mineralogista, Rafael Chovell, un cartografo e disegnatore, José María Sánchez y Tapía e un medico-botanico, che avrebbe raccolto esemplari naturalistici e si sarebbe occupato della salute dei suoi compagni. Arrivava niente meno che da Ginevra; infatti Alamán, che aveva studiato con de Candolle, si era rivolto al suo maestro perché gli trovasse un naturalista che avesse anche competenze mediche; con il consenso della Società di storia naturale di Ginevra, la scelta di de Candolle cadde su Jean Louis Berlandier, allora ventitreenne, che aveva collaborato al suo Prodromus con un saggio sulle Grossulariaceae. Farmacista di formazione, Louis (come preferiva firmarsi) aveva conoscenze di base di medicina, una buona preparazione in sistematica ed era anche un ottimo disegnatore. Partito da Le Havre il 14 ottobre 1826, Berlandier circa due mesi dopo sbarcava nel porto di Tampico. Dopo circa quattro mesi trascorsi sulla costa del Golfo del Messico, da cui inviò due casse di esemplari a de Candolle, a maggio 1827 si spostò a Città del Messico, passando dalla regione di Huasteca. In attesa della partenza della spedizione, ne esplorò i dintorni, inviando ulteriori materiali a Ginevra. Nelle pianure del Texas La Commissione lasciò Città del Messico il 10 novembre 1827 per dirigersi verso i "paesi del nord". A febbraio raggiunse Laredo, sulla riva sinistra del Rio Bravo, dove era atteso dal Comandante delle Province interne del Nord, Anastasio Bustamante. Il gruppo iniziò a esplorare il territorio texano, arrivando alla fine del mese al fiume Medina, dove incontrò il generale Elosúa, che lo guidò fino a Béjar (oggi San Antonio), dove venne fissato il quartier generale. Tra marzo e maggio Berlandier raccolse esemplari botanici intorno a Béjar, Gonzales e San Felipe, quindi, dopo un breve viaggio nell'interno, durante il quale contrasse la malaria, ritornò a San Antonio. La sua attenzione si concentrò soprattutto sulle piante utilizzate dagli indigeni nell'alimentazione quotidiana o come medicinali, come Terania (oggi Leucophyllum) frutescens, che gli indiani usavano contro la sifilide, dedicata al capo della spedizione. Sviluppò anche un forte interesse per la vita e la cultura delle tribù indiane (ce n'erano circa una quarantina), in particolare per i due gruppi maggiori, gli Apache Lipane e i Comanche; con questi ultimi furono stretti rapporti cordiali, tanto che a novembre, con un gruppo di trenta soldati comandati dal colonnello José Francisco Ruiz, Berlandier poté partecipare a una battuta di caccia all'orso e al bisonte a nord ovest di San Antonio, accompagnato dai capi Comanche Reyuna e El Ronca. Alla fine dell'anno accompagnò Ruiz ad esplorare le miniere d'argento presso il fiume San Saba. Intanto il generale Mier y Terán si occupava della parte politica della missione: stabilire la linea di frontiera con gli Stati Uniti e, ancor più, visitare gli insediamenti degli immigrati statunitensi per valutare se la loro presenza fosse legale. Il risultato fu desolante: la popolazione messicana era in netta minoranza rispetta a quella anglosassone, costantemente accresciuta da un flusso di emigrati illegali, e tra i due gruppi c'era uno stato di tensione permanente. Quando, nel gennaio 1829 il generale rientrò a Città del Messico (fu richiamato per bloccare un tentativo di invasione spagnola), nel suo rapporto raccomandò di mettere fine all'immigrazione di statunitensi, costruire forti di confine, rafforzare le guarnigioni militari attorno agli insediamenti già esistenti, incoraggiando al contrario l'arrivo di coloni messicani e europei. Le misure vennero adottate troppo timidamente per essere efficaci: gli insediamenti statunitensi continuarono a crescere in modo esponenziale e nel 1836, dopo insurrezioni e battaglie, il Texas si rese indipendente, per poi aderire un decennio dopo agli Stati Uniti. Ma torniamo a Berlandier, che durante l'assenza di Mier y Terán capeggiò di fatto la commissione. A febbraio si unì a un distaccamento comandato da Antonio Elosúa, inviato a reprimere una sommossa contro il presidio militare di Goliad. Poi, in base agli ordini ricevuto da Mier y Terán, tornò a San Antonio per sistemare le proprie raccolte, da spedire a New Orleans e da qui in Europa. Secondo alcuni biografi, lo stesso Berlandier si sarebbe recato a New Orleans per mare per curare la spedizione; il viaggio è però negato da altri studiosi. Certi invece sono due fatti: il materiale giunto a Ginevra era immenso (tra il 1827 e il 1831, circa 52.000 esemplari di piante essiccate), ma invece degli elogi che si aspettava, dai de Candolle (Augustin Pyrame e suo figlio Alphonse) giunsero aspre critiche sul cattivo stato di conservazione dei materiali, a loro parere non adeguatamente preparati da Berlandier. Sarò stato forse questo a spingere il nostro botanico a decidere di rimanere in Messico; contò sicuramente anche il legame personale con il generale Terán, che, dopo aver respinto gli spagnoli a Tampico divenne un eroe nazionale; nominato comandante generale delle Province interne orientali, fissò il suo quartiere generale a Matamoros, nello stato di Tamaulipas. Qui lo raggiunse Berlandier che almeno fino al 1831 fu coinvolto in alcune missioni per conto del generale (come un'ispezione dello stato delle strade). Dopo la tragica scomparsa di Terán (che nel 1832 morì suicida), divenne medico e farmacista. Nella sua casa di Matamoros, custodì la monumentale collezione raccolta da lui stesso e dai suoi compagni, che includeva piante essiccate, animali imbalsamati, minerali, note naturalistiche sul campo, osservazioni meteorologiche e astronomiche, dati etnografici e oggetti materiali delle culture indigene del Texas e del Messico nordorientale, diari di viaggio, mappe e disegni (alcuni dei quali di sua mano). Lui vivo, a parte alcuni brevi articoli, venne pubblicato solo il diario di viaggio (Diario de viaje de la Comisión de Límites, 1850), scritto insieme a Chovell. Berlandier divenne cittadino messicano, si sposò con una messicana, da cui ebbe diversi figli, e anche dopo la rottura con de Candolle continuò i suoi viaggi e le sue raccolte, visitando sia il Texas (fu di nuovo a Goliad nel 1834) sia altre aree del paese. La sua profondissima conoscenza dei territori di frontiera divenne una risorsa strategica nel 1846, quando scoppiarono le ostilità tra Messico e Stati Uniti. Arruolato nell'esercito messicano con il grado di capitano, servì come cartografo e aiuto di campo del generale Mariano Arista (futuro presidente del Messico), disegnando le carte preparatorie della battaglia di Palo Alto (8 maggio 1846, la prima del conflitto), Terminata la guerra nel febbraio 1848 con la sconfitta messicana, nel 1850 Berlandier fu di nuovo nominato membro della commissione (questa volta internazionale) che doveva definire la frontiera tra i due stati nordamericani. Ma un incidente tragico mise fine alla sua vita nella primavera del 1851: annegò infatti mentre attraversava il fiume San Fernando. Una sintesi della sua vita, che conosciamo in realtà molto poco, nella sezione biografie. Con la sua morte, l'importantissimo materiale di cui era stato raccoglitore e custode rischiò di andare perduto. A salvarlo dall'oblio fu un ufficiale americano, Darius Nash Couch, che aveva partecipato alla guerra messicano-americana e nel 1853 era ritornato in Messico per contro dello Smithsonian Institute per esplorare la flora e la fauna del nordest messicano. Attraverso uno degli aiutanti di Berlandier, ne rintracciò la vedova, Beatriz María Concepción Villaseñor, e riuscì ad acquistare la collezione per 500 dollari per conto dello Smithsonian. Tuttavia, poiché l'istituzione statunitense era in un momento di difficoltà finanziaria e non si trovarono altri finanziamenti (un appello rivolto a Asa Gray cadde nel vuoto, poiché il celebre botanico condivideva i pregiudizi dei de Candolle sulla cattiva qualità degli esemplari di Berlandier), egli ne consegnò solo una parte allo Smithsonian - le note meteorologiche, le collezioni di minerali, piante e animali, nonché i manoscritti - rivendendo il resto a privati. Di grande importanza storica, oltre agli scritti di storia naturale, le osservazioni sulle tribù indiane, che fanno di Berlandier uno dei precursori dello studio etnografico di quelle culture; saranno pubblicate solo nel 1969 con il titolo The Indians of Texas in 1830. Un fiore dal profumo di cioccolato Nonostante le critiche, i de Candolle furono abbastanza generosi da dedicare all'infaticabile esploratore della flora texana il genere Berlandiera (nel quinto volume del Prodromus, 1836). A ricordare il botanico franco-messicano è anche il nome specifico di piante come Echinocereus berlandieri o Vitis bertlandieri e di animali come Gopherus berlandieri, la tartaruga del Texas. Il genere Berlandiera, della famiglia Asteraceae, comprende otto specie (inclusi tre ibridi naturali) di erbacee perenni o suffrutici distribuiti nelle aree aride degli Stati Uniti sudorientali e del Messico nordorientale. Morfologicamente molto variabili per dimensioni (da pochi centimetri a un metro) e forma delle foglie, sono caratterizzati da capolini i cui flosculi ligulati solitamente gialli contrastano con il disco di colore scuro. La specie più nota e più coltivata è B. lyrata, nota come chocolate flower per i suoi capolini gialli intensamente profumati di cioccolato. Molto decorativi sono anche i boccioli verde chiaro, il calice persistente dopo la caduta dei fiori e i frutti secchi. Qualche informazione in più nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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