A Santa Maria dell'Anima, la chiesa della nazione tedesca a Roma, un tempo si poteva leggere la commovente epigrafe funebre di un giovane rapito agli amici da una febbre crudele; era di carattere gentile ed amabile; pieno di talento, conosceva le erbe e sapeva svelare i segreti della natura a quelli più vecchi di lui; non contento di aver esplorato la Germania, era venuto in Italia spinto dalla sete di conoscenza. Ma la natura matrigna, che non ammette che si carpiscano i suoi segreti, lo spazzò via, a soli ventinove anni. Quel "giovane meraviglioso" era il botanico tedesco Valerius Cordus, morto a Roma l'ultima settimana di settembre 1544 martire del suo amore per il sapere, il primo di una lunghissima serie di naturalisti periti per la scienza. Cresciuto tra le erbe fin dalla culla, come ricorda Plumier dedicandogli il genere Cordia, se il destino gli avesse concesso ancora qualche anno forse avrebbe cambiato la storia della botanica. Talis pater, talis filius Intorno al 1515, Heinrich Ritze (1485-1535) viveva nel villaggio di Simsthausen dove lavorava come cancelliere della vedova del langravio; fare lo scrivano non era ciò che sognava da ragazzo, quando frequentava la scuola latina di Marburg e i circoli umanistici dell'Assia. Poi si era iscritto all'università e aveva cominciato a farsi conoscere per i suoi versi in latino; aveva persino trovato uno splendido pseudonimo: Euricius Cordus, il bravo Enrichetto nato tardi (era l'ultimo di tredici figli). Ma mancavano i soldi per continuare gli studi; era stato costretto a tornare al paesello, si era trovato un lavoro, e a poco più di vent'anni si era sposato. Forse si sarebbe rassegnato, ma non voleva questo destino per i suoi figli, che intanto si stavano moltiplicando (ne ebbe in tutto otto). A loro voleva dare altre opportunità, e seguire di persona la loro educazione. Fu così che a quasi trent'anni Euricius Cordus tornò sui banchi dell'università di Erfurt e si laureò in lingue antiche e filologia. Insieme a due amici, il poeta Eobanus Hessus (che in realtà si chiamava Koch) e Joachim Camerarius il vecchio (che invece si chiamava Kammermeister) nel 1520 aprì una scuola latina a Erfurt. Non potevano scegliere un momento peggiore, con il paese scosso dalla Riforma luterana, alla quale tra l'altro tutti e tre avevano aderito con entusiasmo. La scuola chiuse presto i battenti e Euricius, per mantenere la famiglia, decise di diventare medico. Grazie a uno sponsor, partì per l'Italia e si laureò nella prestigiosa università di Ferrara, dove fece in tempo ad essere uno degli ultimi allievi del medico umanista Niccolò Leoniceno, all'epoca ultranovantenne. Dal suo maestro imparò soprattutto due cose: leggere gli antichi con spirito critico e studiare le piante dal vivo, non solo sui libri. Dopo aver lavorato per qualche tempo come medico cittadino a Braunschweig, nel 1527 il langravio Filippo di Assia lo chiamò a insegnare medicina a Marburg, nella prima università riformata. Qui Euricius divenne l'idolo degli studenti e lo zimbello dei suoi colleghi: che razza di professore era, uno che invece di spiegare Dioscoride e Galeno portava i suoi allievi a scarpinare in campagna a cercare piante nei boschi e nei fossi? Cordus, che era famoso per la ferocia dei suoi epigrammi, rispondeva letteralmente per le rime, finché i suoi nemici la ebbero vinta e lo espulsero dal Senato accademico. Dopo sette anni di insegnamento, fu costretto a lasciare l'università e trasferirsi a Brema, di nuovo come medico cittadino; qui morì un anno dopo, ad appena 49 anni. Una testimonianza diretta del suo metodo di insegnamento e del suo approccio alla botanica è la sua unica opera sulle piante, Botanologicon (ovvero "Dialogo sulle erbe"), sotto forma di dialogo tra lo stesso Cordus e quattro suoi ex allievi dei tempi di Erfurt. Insieme ai suoi ospiti visitiamo il piccolo orto dei semplici che il medico aveva creato accanto alla sua casa, e poi partecipiamo a un'escursione botanica per raggiungere il più ricco giardino che egli aveva allestito fuori città, una specie di orto botanico ante litteram. Per identificare le piante, uno degli ospiti ha portato due libri: Materia medica di Dioscoride e l'ultima novità editoriale, le prime due parti di Herbarum novae eicones di Brunfels. Prima a casa, dove fanno colazione, poi in giardino, quindi lungo il cammino, i cinque discutono dell'argomento preferito dei botanici del Rinascimento: la corretta identificazione delle piante di Dioscoride. Cordus è un grande filologo (e il più importante poeta satirico del Rinascimento tedesco), ma la sua conoscenza delle piante non è libresca: deriva dalla consuetudine quotidiana e amorevole. E' stato in Italia, e, a differenza di Brunfels, gli è chiaro che le piante che crescono in Germania non sono le stesse dei paesi mediterranei e non ha senso cercare di identificarle a forza con le piante di Dioscoride. Tanto meno bisogna fidarsi delle etichette dei vasi dei farmacisti, che spacciano tutt'altro sotto i nomi delle piante degli antichi. Purtroppo il suo libro, un dialogo dotto in latino, senza figure, non è mai diventato un bestseller come gli erbari illustrati di Brunfels e Fuchs; Cordus non è mai entrato nel canone dei "padri tedeschi della botanica"; ma oltre a questo piccolo libro, ha dato alla botanica un altro lascito: suo figlio Valerius, che fa capolino in qualche riga del Botanologicon. All'epoca ha quindici o sedici anni e suo padre lo descrive come «un ragazzo diligente e uno studioso osservatore». Fin da piccolissimo, ha dimostrato un ingegno precoce e, come dirà Plumier, è stato allevato tra le erbe fin dalla culla. E' il migliore allievo di Euricius che gli ha insegnato a padroneggiare perfettamente il latino e il greco (tanto che consegue il baccalaureato a sedici anni) ma soprattutto ad amare, studiare, osservare le piante. Un giovane geniale e una morte tragica Quando il padre muore, Valerius ha diciannove anni. Va a vivere a Lipsia da suo zio Johannes Ralla (uno degli interlocutori del Botanologicon); studia all'università, ma contemporaneamente lavora nella farmacia di famiglia, e impara tutto quello che c'è da imparare sulla preparazione dei farmaci e anche sulla chimica. Su suggerimento dello zio, scrive un prontuario delle ricette in uso nelle farmacie: per Valerius, è solo un passatempo, un'esercitazione, senza nulla di originale, ma suo zio lo stima tanto che attraverso alcuni amici lo fa pervenire a Norimberga, dove avrà l'onore di essere adottato come farmacopea ufficiale della città, la prima al di là delle Alpi. Nel 1539 Valerius si trasferisce a Witteberg, per completare gli studi e laurearsi in medicina. Tra i suoi insegnanti, c'è anche Filippo Melantone. Contemporaneamente, tiene lezioni in cui commenta Dioscoride; sono molto brillanti e attirano numerosi studenti, anche dall'estero. Uno di loro è il francese Pierre Belon (1517-1564), che ha appena due anni in meno e diventa un amico. Molti anni dopo la morte di Cordus, sulla base degli appunti di qualche allievo, Gessner pubblicherà questi Commentari insieme alla Historia stirpium. Il giovane è assetato di sapere e non tralascia la chimica, tanto che nel 1540 è il primo a sintetizzare l'etere. Si interessa di mineralogia e geologia, ma la sua vera passione sono le piante. Nei momenti di sospensione dell'attività didattica, da solo o in compagnia di amici-allievi come Belon, perlustra la Germania centrale e meridionale, per raccogliere campioni di minerali ma soprattutto per studiare le piante dal vivo, nel loro ambiente naturale. Abbiamo visto che lo faceva anche Bock, ma il suo era un approccio da autodidatta, per così dire d'istinto. Invece Valerius ha una conoscenza perfetta delle lingue classiche, conosce a memoria i testi di Dioscoride e soci, ed è dotato di una strabiliante memoria fotografica: gli basta aver letto la descrizione di una pianta per riconoscerla la prima volta che la vede. Ha una mente filosofica e fin da bambino è abituato a osservare, confrontare, dedurre. Non è interessato solo alle virtù medicinali delle erbe, ma alle piante di per sé e, come avrebbe detto Teofrasto, è alla ricerca di un metodo "proprio" per studiarle. Entro il 1542, ha messo insieme un manoscritto in quattro libri, suddivisi in 446 capitoli, ciascuno dei quali è dedicato a una specie. Nel 1544 si laurea in medicina e parte per l'Italia (dove era già stato due anni prima per seguire corsi a Padova e Ferrara), deciso ad estendere le sue ricerche alla penisola, per verificare se le piante descritte da Dioscoride trovano una più stretta corrispondenza nella flora mediterranea. Vuole anche incontrare i botanici italiani e imparare dalle loro esperienze all'avanguardia. Viaggia con uno dei suoi professori di Wittenberg, il medico e astronomo Hyeronimus Schreiber, e due allievi francesi, uno dei quali molto probabilmente va identificato in Pierre Belon. Visitano molte città, tra cui Padova, Venezia, Bologna e Firenze; a Bologna si trattengono a lungo, per fare visita a Luca Ghini. Verso la metà di settembre sono a Siena, da dove intendono raggiungere Roma attraversando la Maremma. E' una zona notoriamente insalubre, infestata dalla malaria, ma anche ricca di piante particolari, dunque irresistibile per Valerius che si addentra dove non dovrebbe. E' così che molto probabilmente contrae la malaria; forse è già ammalato quando viene ferito a una gamba dal calcio di un cavallo. E' una brutta ferita e la febbre sale rapidamente; i suoi compagni con grande fatica riescono a trasportarlo a Roma, dove sono accolti da altri amici della comunità tedesca. Valerius sembra riprendersi, tanto che Schreiber e i due francesi decidono di proseguire per Napoli; ma quando rientrano a Roma, scoprono che il loro amico è morto. Dopo una battaglia con le autorità pontificie (come luterano eretico il suo cadavere rischia di essere gettato nel Tevere) possono infine farlo seppellire a Santa Maria dell'Anima, la chiesa della nazione tedesca. Il loro strazio e la consapevolezza di quanto sua irreparabile per la scienza la perdita di quella giovane vita traspare dalla lapide funeraria, che purtroppo non esiste più ma ci è stata tramandata da un viaggiatore secentesco: "Per Valerius Cordus di Simsthausen in Assia, figlio di Euricio, medico e poeta. Con il suo carattere innocente, il suo talento e la sua straordinaria gentilezza si guadagnò l'ammirazione di tutti i medici. Lui giovane spiegava a quelli più vecchi i misteri della natura e le virtù delle piante. Dopo aver vagato per la Germania, poiché la sua sete di conoscenza non poteva essere soddisfatta, venne in Italia dove fu tenuto in molto onore, ma era appena arrivato a Roma quando fu spazzato via da una febbre crudele al culmine dei 29 anni, mentre le lacrime degli amici scorrevano per l'insostituibile perdita per la scienza". Seguono alcuni distici che chiamano in causa la natura matrigna gelosa dei suoi segreti e il crudele dio Apollo. Una sintesi della breve vita di colui che possiamo considerare il primo martire della botanica nella sezione biografie. Un'opera pionieristica e la nascita della fitografia Che la perdita per la scienza fosse gravissima è innegabile. Per fortuna, benché giovanissimo, Valerius aveva già scritto molto, ma le sue opere (ad eccezione di Dispensatorium pharmacorum omnium, la farmacopea scritta per Norimberga) vennero pubblicate più di vent'anni dopo la sua morte. Il manoscritto di Historia stirpium venne inviato a Gessner, che ne capì immediatamente il valore e si diede da fare perché fosse stampato; ma purtroppo accettò la proposta dell'editore Rihelius, che deteneva le tavole dell'erbario di Bock, di accompagnare il testo con circa 250 illustrazioni; dato che molte piante non erano mai state descritte in precedenze e Gessner non le conosceva, egli commise molti errori nell'associare le figure al testo; errori che più tardi vennero ingiustamente attributi all'autore anziché al curatore. Nonostante ciò, l'importanza dell'opera di Cordus non sfuggì a grandi botanici come Tournefort e Haller: per il primo egli fu "il primo a eccellere nella descrizione delle piante"; per il secondo fu "il primo a rompere con la dipendenza dalle povere descrizioni degli antichi e a descrivere nuovamente le piante dal vero". Secondo il botanico statunitense Spargue, che ne fu in un certo senso lo scopritore dopo secoli di oblio, "supera di gran lunga Bock per l'esattezza e la natura dettagliata delle sue descrizioni, che ne fanno il vero padre della fitografia". In effetti Cordus, invece di prendere a modello le descrizioni di Dioscoride, come avevano fatto tutti i botanici prima di lui, inventò un metodo del tutto innovativo, che non teorizzò in modo esplicito, ma che è possibile ricavare dalle sue descrizioni. In primo luogo, egli presenta ciascuna pianta dal punto di vista di un osservatore che abbia davanti a sé non un campione di erbario, ma una pianta viva, un esemplare maturo, o almeno nel momento della fioritura; e torna ad osservarla nel momento della fruttificazione, non trascurando mai frutti e semi. La descrizione inizia con la parte più cospicua, più evidente per l'osservatore: per le piante erbacee, prima le foglie, poi il fusto; per le piante con fusto significativo, prima il fusto poi le foglie. Il terzo elemento è il fiore, di cui indica la stagione di fioritura e descrive con precisione analitica calice e corolla. Passa poi al frutto e ai semi, descritti sempre in modo molto preciso, annotando ad esempio il numero di celle, le linee di deiscenza, il numero e la forma dei semi. L'ultimo elemento è quasi sempre la radice, che l'osservatore non vede senza estrarre la pianta dal terreno; è il contrario di quanto facevano gli antichi che partivano proprio da quella, di solito la parte della pianta più importante dal punto di vista erboristico. Per le piante erbacee, se gli è noto, non manca di indicare se sono perenni, biennali o annuali; inoltre aggiunge elementi come il colore, il gusto, l'odore (secondo suo padre, una caratteristica essenziale per il riconoscimento). Benché Valerius avesse lavorato per anni in una farmacia e fosse un esperto di farmaci, le informazioni sulle proprietà officinali sono ridotte al minimo: è chiara la sua intenzione di emancipare la botanica descrittiva dagli usi pratici. Lo schema è applicato sia alle piante nuove (in tutto 66) sia a quelle descritte dagli antichi, di cui non copia mai le descrizioni, come aveva fatto invece lo stesso Bock. Cordus dedicò particolare cura all'osservazione e alla descrizione delle infiorescenze; fu il primo dopo Teofrasto a distinguere le infiorescenze centrifughe (con fioritura dal centro verso l'esterno) e centripete (con fioritura dall'esterno verso il centro), fornendo una descrizione molto precisa delle complesse infiorescenze delle umbellifere. Fu il primo a chiamare corimbo l'infiorescenza di diverse comuni composite, e descrisse con precisione le brattee (anche se il nome non esisteva ancora). Esaminò e descrisse una dozzina di felci (tra l'altro, è il primo a descrivere Matteuccia struthiopteris). A proposito della felce maschio Dryopteris filix-mas scrive: "Cresce copiosamente sulle rocce umide, anche se non produce né fusti, né fiori, né semi. Ma si riproduce da sola per mezzo della polvere che si sviluppa sulla pagina inferiore delle foglie, come tutte le felci". Egli è infatti il primo a capire a grandi linee il meccanismo di riproduzione delle felci e che quella "polvere" è qualcosa di diverso dai semi. In Historia stirpium le piante sono distinte in erbacee (I e II libro), arbustive e arboree (III e IV libro. Dato che nel primo libro sono esaminate "Diverse erbe" e nel secondo "Piante la cui storia è stata trasmessa in modo inesatto dagli antichi, o sono state omesse del tutto", ne consegue che specie, che oggi assegneremmo alla stessa famiglia, o anche allo stesso genere, si trovano separate. Ciò nonostante Greene, che ha studiato molto attentamente i raggruppamenti interni dell'opera di Cordus, dimostra che egli aveva individuato, anche se non esposto in modo esplicito, diversi gruppi naturali, basati fondamentalmente sulle strutture del fiore. E' una grande novità che anticipa di oltre un secolo gli sviluppi della botanica; Cesalpino, che scrive parecchi decenni dopo ed è l'autore del primo tentativo di classificazione delle piante, ignorerà quasi del tutto i fiori, e si baserà invece sui frutti e sui semi (il cui legame con i fiori di cui sono la trasformazione gli era molto meno chiaro che a Cordus); e infatti Greene conclude il suo esame della "tassonomia implicita" di Cordus con queste parole: "Cesalpino, della fine del XVI secolo, è considerato il fondatore della Botanica sistematica. Ma se Valerius Cordus avesse potuto vivere altri ventinove anni, è facile pensare che il grande italiano avrebbe perso i suoi allori". Cordia, un genere mille usi Come molti botanici del Rinascimento, anche Valerius Cordus deve il suo ingresso nella nomenclatura botanica a padre Plumier, che come sempre sa trovare le parole giuste: "Valerius Cordus di Simsthausen in Assia nacque dal medico e famosissimo poeta Euricius Cordus. Fu sommo commentatore di Dioscoride e felicissimo indagatore di piante precedentemente sconosciute. Fu infiammato dall'esempio di tanto padre, che fin dalla culla volle educarlo tra erbe e fiori". Poi validato da Linneo, il genere Cordia, della famiglia Boraginaceae, comprende circa 250 specie di alberi e arbusti distribuiti nella fascia tropicale e subtropicale di America, Africa, Asia e Oceania. E' presente in vari ambienti, con molte specie notevoli per diverse ragioni. Alcune specie arboree trovano impiego come alberi da legname; quello più pregiato, detto bocote, ricavato da diverse specie messicane e centro americane, è caratterizzato da una piacevole trama zebrata e da proprietà acustiche che lo fanno apprezzare per la costruzione di strumenti musicali; impieghi simili ha il legname di C. dodecandra, noto come ziricote. Molte specie producono frutti eduli, consumati crudi, cotti o come sottaceti, come è il caso di C. dichotoma, una specie asiatica e australiana di ampia diffusione i cui frutti immaturi sottaceto sono una specialità di Taiwan. Il loro nocciolo ha proprietà medicinali, come varie parti di altre specie di questo versatile genere. Non mancano neppure gli usi ornamentali: sono piante dal bel portamento ordinato con vistose fioriture, anche se purtroppo adatte solo ai climi più miti. Forse la più bella, o per lo meno quella che più si fa notare, è C. sebestena, un alberello originario di un'area che va dalla Florida al Centro America, caratterizzato da rutilanti fiori rosso aranciato. Di grande impatto estetico anche due arbusti con fiori bianchi provenienti dagli Stati Uniti meridionali, C. boissieri e C. parviflora, notevoli per la resistenza alla siccità e la prolungata fioritura. Qualche approfondimento nella scheda.
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Come Brunfels, anche Hieronymus Bock, il secondo "padre della botanica tedesca", fu un fervente sostenitore della Riforma, divenendo anche predicatore e pastore. Ma la sua vera vocazione erano le piante: dal tempo di Teofrasto, è stato il primo a studiarle dal vivo, a provare a classificarle, a descrivere non ciò che ne dicevano i libri ma ciò che vedeva con i suoi occhi. Con i suoi estesi viaggi nella Germania meridionale, nelle Ardenne e in Svizzera, raccolse molte piante native mai descritte in precedenza; il suo New Kreütter Büch, scritto su sollecitazione di Brunfels, è il più innovativo degli erbari tedeschi del primo Cinquecento, grazie alle eccellenti descrizioni e all'abbozzo di una classificazione naturale. Pubblicato per la prima volta nel 1539 senza figure, fu ripubblicato nel 1546 con le illustrazioni del valente pittore David Kandel. Nel 1552 seguì la prima edizione latina con la prefazione di Gessner. E mentre la sua fama cresceva, Bock assumeva nuovi nomi: dapprima, modestamente, si firmò Hieronymus Herbarius, poi con il suo nome, infine con lo pseudonimo classicheggiante Hieronimus Tragus. Nello stemma della sua famiglia c'era un'ortica; chissà se fu questa la ragione che spinse Plumier a dedicargli l'urticante genere Tragia? Una vocazione botanica Nel 1533 Hieronymus Bock, che all'epoca viveva a Hornbach in Palatinato, ricevette una visita inaspettata. Si trattava di Otto Brunfels che, avendo sentito parlare dei suoi viaggi e dei suoi studi sulle piante, si era sobbarcato il viaggio da Strasburgo per vedere il suo giardino e le sue collezioni. Egli capì subito che quel patrimonio di conoscenze andava messo a disposizione di tutti e sollecitò Bock a scrivere un erbario in lingua tedesca. Secondo quanto racconta lo stesso Bock nella prefazione all'edizione latina del suo libro, è questa l'origine di New Kreütter Büch. Forse senza l'incoraggiamento del più celebre collega, che pubblicò anche un suo saggio in appendice al secondo volume di Herbarum vivae eicones, le due ricerche sarebbero rimaste una passione da praticare nel tempo libero e non si sarebbero trasformate in una delle opere più importanti della botanica rinascimentale. Sappiamo molto poco della giovinezza e delle formazione di Bock; nato in Palatinato intorno al 1498, fu educato in un monastero, dove i genitori avrebbero voluto prendesse i voti, ma egli riuscì a convincerli di non avere alcuna vocazione. Nel 1519 risulta immatricolato all'Università di Heidelberg, ma con ogni probabilità non completò gli studi; è possibile che abbia assistito alla cosiddetta "Disputa di Heidelberg", durante la quale Lutero espose le sue tesi teologiche, e che in questa occasione abbia aderito alla Riforma. Sicuramente nel 1522 iniziò a lavorare come rettore della scuola di Zweibrücken, la residenza del conte palatino Luigi II di cui divenne consigliere e medico personale (benché non avesse mai conseguito la laurea). Il conte gli affidò anche la direzione del suo giardino; fu probabilmente in questo modo che Bock incominciò ad interessarsi di piante. Durante i nove anni trascorsi a Zweibrücken, prese a studiarle in natura facendosi una fama come "herbarius", esperto di erbe. Nel 1532 Luigi II morì, lasciando un erede bambino; il potere passò a Federico II che all'epoca era vicino al cattolicesimo o, per lo meno, non desiderava inimicarsi l'imperatore Carlo V; alla sua corte non c'era posto per un fervente luterano come Bock. Intanto il protestantesimo aveva trovato terreno fertile nel monastero benedettino di Hornbach; l'abate Johann Kindhäuser, vicino ai riformati, offrì a Bock un beneficio come canonico di St Fabian, praticamente una sinecura per trattenerlo in Palatinato. Come predicatore laico e maestro, gli fu concesso di abitare con la sua numerosa famiglia (aveva dieci figli) nella Kooperatorhäusl, la residenza dei collaboratori esterni. Fu poco dopo essersi trasferito qui che Bock ricevette la visita di Brunfels da cui abbiamo preso le mosse. Nel 1536 Hornbach passò ufficialmente alla Riforma; i monaci lasciarono l'abbazia e Bock divenne il parroco luterano della chiesa cittadina, incarico confermato nel 1539 dal primo sinodo ufficiale della Chiesa regionale del Palatinato. Gli anni trascorsi in questa cittadina, posta al confine tra il Palatinato, l'Alsazia e la Svizzera, furono molto produttivi per Hieronymus herbarius (così amava firmarsi all'epoca) che ne approfittò per esplorare la flora della Germania meridionale, delle Ardenne e delle Alpi svizzere; erano viaggi faticosi e difficili, come racconta egli stesso nella prefazione del suo libro, duranti i quali, per non dare nell'occhio, si muoveva travestito da contadino; portava con sé un libretto su cui annotare le sue osservazioni e un cesto per riporre le piante da trapiantare nel suo giardino per studiarle con più agio. Fu dunque sulla base di un intenso lavoro sul campo che poté completare il New Kreütter Büch, pubblicato a Strasburgo nel 1539. Nel 1548, con l'Interim di Augusta, si aprì una fase di incertezza particolarmente acuta nel Palatinato, con il ritorno al cattolicesimo di diversi monasteri; tra questi l'abbazia di Hornbach, dove l'amico di Bock Kindhäuser dovette lasciare il posto al cattolico Johann Bonn von Wachenheim, che obbligò i canonici luterani a sottomettersi o a rinunciare al beneficio. Bock lasciò Hornbach e trovò un nuovo protettore in Filippo II di Saarbrücken che lo volle come medico personale; da Saarbrücken Bock inviò ai suoi ex-parrocchiani una lettera dai toni appassionati che è il suo unico scritto religioso rimastoci. Tuttavia già nel 1552, in seguito al trattato di Passau, poté ritornare a Hornbach come pastore e predicatore luterano. Qui morì poco più di un anno dopo, nel febbraio 1554. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Un libro di erbe rivoluzionario Tre circostanze contribuirono a fare del New Kreütter Büch un libro assai diverso, e anche molto più innovativo, rispetto sia a Herbarum novae eicones di Brunfels sia a De historia stirpium di Fuchs. In primo luogo, rispetto ai due colleghi, Bock era molto meno colto: abbiamo visto che si era iscritto all'università, ma non aveva completato gli studi. La sua formazione era quella ricevuta in convento e anche la sua sapienza medica era dovuta più alla pratica che allo studio libresco; dunque, rispetto agli altri due "padri" sentiva molto meno l'autorità (e l'influsso) dei classici; probabilmente, anche la sua padronanza del latino era modesta. Così scelse di scrivere in tedesco, anzi in dialetto alto tedesco (il suo libro è considerato anche un importante documento linguistico): il suo pubblico ideale non erano i dotti, ma le persone comuni. E' una scelta perfettamente coerente con l'adesione alla Riforma: sono gli stessi anni in cui Lutero traduce la Bibbia in tedesco e vengono aperte scuole popolari (una delle prime è quella di Brunfels a Strasburgo) per diffondere l'alfabetizzazione e permettere a tutti di accedere direttamente ai testi sacri. In secondo luogo, il suo interesse per le piante non si limitava alle specie officinali: amava e voleva conoscere il maggior numero possibile di piante. Mentre Brunfels studiava la flora tedesca convinto di ritrovare in essa le piante degli antichi, e pubblicò molto malvolentieri le indegne plantae nudae introdotte dal suo illustratore, Bock era consapevole che si trattava di una flora diversa, e voleva esplorarla e farla conoscere ai suoi conterranei, convinto che il buon Dio facesse crescere in ogni paese quanto era necessario per la sopravvivenza e la salute, senza bisogno di importare costose droghe straniere. In terzo luogo, Bock era una persona di mezzi limitati, talvolta precarie, con molti figli a carico, e quando scrisse il Kreütter Büch non poteva contare né su un protettore né su un editore disposto ad assumersi il rischio: una costosa edizione illustrata non era neppure pensabile. Dunque le sue descrizioni dovevano essere così precise da bastare al riconoscimento senza l'ausilio delle figure; d'altra parte, questa scelta corrispondeva a un convincimento profondo: "Chi ha un giardino e un giardiniere, non ha bisogno di illustrazioni". Come avevano fatto gli antichi, nel suo nuovo erbario Bock evita di descrivere le piante più comuni, quelle più coltivate nei giardini e nei campi: sono note a tutti e per farle riconoscere basta il nome. Dedica invece la massima cura a ritrarre con le parole quelle selvatiche o di più recente introduzione. Per la prima volta nella storia, queste descrizioni sono frutto di un'attenta osservazione dal vivo, che spesso segue la vita della pianta in tutte le sue fasi; ecco come viene descritto il verbasco (una new entry assoluta nella letteratura botanica): "Una cosa veramente notevole di questa pianta è la sua radice lunga, spessa e corta, di durezza legnosa. Le sue foglie, specialmente le prime, spuntano vicino al suolo, sono piuttosto larghe e lunghe, di aspetto biancastro e lanoso, più o meno come quelle dell'helenium [Inula helenium]. Soltanto il secondo anno spunta lo stelo, pieno di un midollo bianco all'interno, come quello del sambuco, e talvolta raggiunge l'altezza di un uomo, rivestito di foglie che gradualmente diventano più piccole e più strette man mano che si avvicinano alla cima. I fiori, gialli, lanosi, e dolcemente profumati, hanno cinque foglie [si tratta dei petali] e coprono completamente lo stelo da dove nasce alla cima; quando cadono ciascuno di essi è seguito da un globo lanoso pieno di semi non dissimili da quelli del papavero". Come si vede, la descrizione è mirabilmente precisa, ma prolissa, in mancanza di una terminologia tutta da inventare, e deve continuamente ricorrere a paragoni con piante più note (o, almeno, già descritte). Dall'osservazione diretta delle piante discende anche la scelta di respingere l'ordine alfabetico, artificiale e fonte di confusione, per cercare di disporre le piante in un ordine "naturale": "Nel descrivere le piante, ho cercato il più possibile di tenerle insieme nel modo in cui la natura sembra collegarle per la somiglianza di forma". E' il primo emergere del concetto di classificazione; Bock segue la tradizionale tripartizione delle piante in alberi, arbusti ed erbe, ma all'interno di ciascuna categoria cerca di raggruppare le piante in base alla somiglianza di forma; è il primo a individuare le labiate, le crucifere e le composite. Nella prima edizione del New Kreütter Büch egli descrive 478 specie, quasi tutte native della Germania o introdotte da lungo tempo; nella prefazione vanta di averle viste o sperimentate tutte di persona. La prima in assoluto è l'ortica: una pianta umile, a cui Bock è legato perché compare nello stemma della sua famiglia; ma è anche una pianta pura, aggiunge spiritosamente: dopo aver provveduto alle necessità naturali, nessuno sporca le sue foglie. Seguono le labiate (la somiglianza è data dal fusto squadrato e dalla disposizione delle foglie; del resto, nella tassonomia popolare Lamium album è accostato all'ortica con nomi come ortica bianca o falsa ortica), quindi le altre piante erbacee; poi gli arbusti; infine gli alberi. Il successo del libro fu buono, ma limitato dalla mancanza di illustrazioni; solo nel 1546 uscì una seconda edizione accresciuta e illustrata con 568 incisioni del valente pittore David Kandel. Nel 1551 fu seguita dall'edizione latina (la traduzione è di David Kyber) sotto il titolo De stirpium […] commentariorum libri tres, con la prefazione di Conrad Gessner; contiene 806 piante, ancora in gran parte native della Germania; il capitolo sulla vite è famoso perché contiene la prima menzione del Riesling. Abbiamo già visto che Bock aveva pubblicato i suoi primi contributi sotto lo pseudonimo Hieronymus herbarius; per il Kreütter Büch usa il suo vero nome, per De stirpium lo nobilita nel classicheggiante Hieronymus Tragus, dal gr. tragos, "caprone", l'equivalente del tedesco Bock. Per concludere, lascio la parola a Frank J. Anderson che di Bock ha scritto: "Era un dilettante, largamente un autodidatta; eppure le sue acquisizione hanno avvicinato lo studio delle piante alla scienza più di quanto avesse fatto chiunque altro dai tempi di Teofrasto". Euphorbiaceae... urticanti A celebrare il più grande, ma anche il più modesto e defilato dei tre padri della botanica tedesca non ci sono generi lussureggianti come Fuchsia o Brunfelsia; chissà perché padre Plumier ha voluto onorarlo con un genere di piante che non si distinguono per la bellezza, ma piuttosto per essere armate di dolorosissimi peli urticanti. Sarà un'allusione indiretta alla scelta controcorrente di Bock di far iniziare il suo erbario con l'umile ma pura ortica, emblema della sua famiglia ma forse anche simbolo della sua personalità di uomo schivo e alieno dai compromessi? Il genere Tragia, della famiglia Euphorbiaceae, creato appunto da Plumier e validato da Linneo, è distribuito nella fascia tropicale e temperata delle due Americhe, in Asia, nella penisola arabica, in India e nell'Australia settentrionale, soprattutto in ambienti aridi o ai margini delle foreste asciutte. Comprende circa 150 specie, di aspetto piuttosto variabile; sono suffrutici o erbe erette, ma soprattutto liane volubili, con fusti, foglie e frutti coperti di peli urticanti. I fiori, raccolti in racemi o tirsi, hanno sepali giallo-verdastri e sono privi di corolla; quelli femminili sono seguiti da capsule pelose con tre loculi. Insomma, piante da trattare decisamente... con i guanti, visto che il contatto con il loro peli è considerato particolarmente doloroso. Negli Stati Uniti, dove è presente almeno una decina di specie, chiamano le Tragia noseburn, "brucia naso", perché, piccole e insignificanti, passano inosservate ed è facile pungersi senza neppure vederle. In compenso, diverse specie hanno proprietà medicinali; tra di esse la più notevole è T. involucrata, un'erbacea eretta con foglie ovoidali, nota come "ortica indiana", usata nella medicina ayurvedica come febbrifugo e antimicrobico. Nel 1919 Pax e Hoffmann separarono da Tragia alcune specie africane, creando il genere Tragiella; oggi comprende quattro specie distribuite tra l'Africa tropicale e meridionale. Anch'esse hanno stelo munito di peli urticanti, ma si distinguono per la presenza di brattee cospicue, per varie particolarità dei fiori e per i frutti trilobati con pericarpo legnoso. Per qualche notizia in più su Tragia e Tragiella si rimanda alle rispettive schede. Nel 1768 il naturalista svizzero Albrecht von Haller creò il genere Tragus (Poaceae), senza spiegarne l'etimologia. Alcuni pensano che si tratti di un altro omaggio al nostro Bock / Tragus, ma è molto più probabile che Haller intendesse alludere alle foglie appuntite e bordate di peli, che possono ricordare le orecchie di una capra. La forma Tragus è davvero insolita per un nome celebrativo e capre e caproni sono di casa nei nomi botanici: basti pensare a Salsola tragus, per l'odore pungente come quello di un caprone, o ancoraTragacantha, per una pianta spinosa e puzzolente, oppure Salix caprea, il "salice delle capre". Insieme a Hieronymus Bock e Leonhart Fuchs, Otto Brunfels è uno dei tre "padri della botanica tedesca" (o, secondo alcuni, della botanica tout court). E' vero che, in area tedesca, il suo Herbarum Vivae Eicones è il primo a superare gli erbari figurati di tradizione medievale, messi insieme con il copia-incolla. Ma se il volume segna una tappa nella storia della botanica, non è tanto per i suoi testi (anch'essi ben poco originali) quanto per le incisioni di Hans Weiditz , il primo a ritrarre le piante dal vero e a farle vivere sulla pagina stampata. Il primo vero illustratore botanico della storia avrebbe meritato un genere celebrativo, ma così non è; invece a celebrare Brunfels, per volontà di Plumier e Linneo, c'è il magnifico genere Brunfelsia. Come si confeziona un prodotto editoriale di successo Come ho raccontato in questo post, il mercato editoriale tedesco aveva scoperto precocemente le potenzialità economiche degli erbari figurati, con una vivace produzione di Kräuter Bücher in lingua tedesca, assai apprezzati da un pubblico relativamente vasto di "illetterati", ovvero di persone che non conoscevano il latino. Costruiti con il copia-incolla riprendendo testi e immagini dalla tradizione manoscritta medievale, non brillavano certo per originalità. Il primo a capire che il mercato era pronto per qualcosa di nuovo fu probabilmente l'editore di Strasburgo Johann Schott, tanto più che aveva sotto mano la persona giusta per scrivere il testo; da qualche anno si era infatti trasferito in città il teologo Otto Brunfels che, oltre ad aver aperto una scuola per i ragazzi, era un poligrafo che aveva già pubblicato per lui due libri di biografie, l'una dedicata agli uomini illustri dell'Antico e del Nuovo testamento, l'altra ai medici celebri. Non era un medico (lo sarebbe diventato poco dopo), ma, oltre ad essere un eccellente latinista, si interessava di botanica ed era aggiornato sulle ultime tendenze che arrivavano dall'Italia. Per altro, più che sul testo, l'avveduto Schott puntava sulle immagini; e anche per quelle aveva la persona giusta: il pittore e incisore Hans Weiditz, figlio di un affermato scultore locale e allievo di Albrecht Dürer. Le xilografie del suo nuovo erbario non sarebbero state l'ennesimo rifacimento di miniature medievali, ma, per la prima volta in assoluto, avrebbero ritratto le piante dal vivo, secondo il nuovo stile naturalistico imposto appunto da Dürer. Che nelle intenzioni di Schott le immagini fossero l'elemento più importante si vede fin dal titolo: Herbarum vivae eicones, ad naturae imitationem, summa cum diligentia et artificio effigiatae, ovvero "Immagini vive delle erbe, effigiate con la massima diligenza e virtuosismo, in modo da imitare la natura". Un titolo che equivale a uno spot pubblicitario. Grazie a quelle immagini senza precedenti, Herbarum vivae eicones di Brunsfeld segnò una tappa fondamentale nella storia della botanica, tanto che Julius von Sachs nella sua Geschicte der Botanik scelse la sua data di pubblicazione, il 1530, come anno di inizio della storia della botanica moderna e proclamò l'autore, insieme a Bock e Fuchs, padre della botanica. Un titolo quanto meno esagerato, anche se l’autore ha i suoi meriti e il libro ne ha ancora di più. Da teologo, a botanico e medico Quando arrivò a Strasburgo, Brunfels era sulla trentina, ma aveva già alle spalle una vita travagliata, vissuta nel fuoco della passione per il rinnovamento religioso e morale, ma anche civile e politico annunciato dalla Riforma. Figlio di un bottaio, giovanissimo si laureò in filosofia e teologia, quindi si fece monaco, prima nella certosa della città natale Magonza, poi in quella di Königshofen nei pressi di Strasburgo. Qui poté frequentare gli ambienti umanistici e pubblicare i suoi primi scritti, dedicati a problemi morali e teologici sulla scia di Erasmo da Rotterdam. La Riforma protestante lo vide in prima fila, schierato al fianco di Lutero ma ancora di più di Ulrich von Hutten, il leader della guerra dei cavalieri. Le sue posizioni erano dunque decisamente radicali e lo costrinsero prima ad abbandonare il monastero, poi a diventare una specie di pastore itinerante, in conflitto non solo con la Chiesa cattolica ma anche con Zwingli e lo stesso Lutero. Negli anni caldi della nascita della Riforma, tra il 1519 e il 1524 egli scrisse copiosamente di argomenti morali e teologici, che spesso avevano anche risvolti politici: in particolare, denunciò l'arbitrarietà delle decime, anche se non fino al punto di invitare i contadini a non pagarle; la sconfitta della guerra dei cavalieri e la morte di von Hutten (che difese ancora dopo la sua scomparsa contro le critiche di Erasmo, ai suoi occhi un opportunista che non aveva avuto il coraggio di schierarsi apertamente con la Riforma) lo spinsero a moderare le sue posizioni e soprattutto ad abbandonare la polemica religiosa, per tornare a Strasburgo. Città libera dell'Impero, ma in posizione decentrata, e dominata dalle posizioni conciliatrici di Martin Butero, rispetto alla Germania poteva essere un asilo abbastanza sicuro e quasi un'oasi di tranquillità. Come ho già accennato, negli otto anni in cui visse a Strasburgo, forse anche in connessione con la professione di maestro, scrisse di molti argomenti, anche se Herbarum vivae eicones rimane la sua opera di maggior impegno. Divisa in tre parti, uscite rispettivamente nel 1530, nel 1532 e nel 1536, si concluse solo dopo la morte dell'autore, avvenuta nel 1534. Non sappiamo se Brunfels si fosse già interessato di botanica in precedenza, magari fin dagli anni in cui era monaco certosino; ma, a parte la raccolta di biografie di medici pubblicata da Schott, non aveva mai scritto nulla né di medicina né di piante medicinali. Ma si appassionò tanto all'argomento che, benché avesse ormai superato la quarantina, andò a Basilea a studiare medicina e, dopo essersi laureato nel 1532, si trasferì a Berna come medico della città. Qui morì nel 1534. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Quando le immagini prevalgono sul testo E' molto probabile che Herbarium vivae eicones come lo leggiamo oggi non corrisponda affatto al progetto che aveva in mente Brunfels quando iniziò a scriverlo. Sulla scorta delle indicazioni degli umanisti italiani, in particolare dei medici dello Studio ferrarese Niccolò Leoniceno e Giovanni Manardo, che invitavano ad abbandonare Plinio per riscoprire Dioscoride nella sua veste originale, e a verificare l'identificazione delle piante dal vivo, l'ex teologo si proponeva di superare i vecchi erbari tedeschi attingendo direttamente alle fonti antiche, prima tra tutte la Materia medica di Dioscoride. Probabilmente intendeva presentare le piante in ordine alfabetico, dando la precedenza o forse l'esclusiva alle specie medicinali citate dagli antichi. Per identificarle correttamente, anche lui, seguendo l'esempio di Leoniceno e Manardo, percorreva le campagne attorno a Strasburgo cercando di identificare le piante mediterranee nominate da Dioscoride nella ben diversa flora del centro Europa, ovviamente incappando in identificazioni forzate o arbitrarie. e le cose non andarono come avrebbe voluto, la colpa (o il merito) fu di Hans Weidnitz. Il pittore doveva essere uno spirito indipendente (e intraprendente) e prese l'iniziativa di ritrarre dal vivo anche piante non previste dall'autore, non solo mai citate da Dioscoride o Plinio, ma spesso pure prive di proprietà officinali. Insomma, vere e proprie erbacce. Brunfels le avrebbe espunte volentieri, o almeno relegate in un'appendice, ma l'editore premeva perché il lavoro procedesse in fretta, e, mano a mano che le matrici erano pronte, venissero stampate le xilografie con i testi relativi. Così l'ordine previsto da Brunfels saltò, e le specie vennero disposte in un ordine casuale, dettato dalle esigenze editoriali. Per Brunfels fu sicuramente uno smacco, tanto che si scusa addirittura con i lettori di aver inserito queste piante nel corpo del testo e le chiama spregiativamente “plantae nudae”, indegne di essere illustrate perché non coperte dal prestigio di una designazione autorevole. Eppure sono proprio le spregevoli piante nude a rendere interessante il libro di Brunfels ai nostri occhi: su 258 specie o varietà illustrate, quelle mai descritte in precedenza sono 47, e sono le uniche per le quali il supposto "padre della botanica" scrive ciò che vede con i suoi occhi o ha saputo dai suoi informatori, e non ciò che riprende diligentemente dalle fonti antiche. Per scoprire i loro nomi e sapere qualcosa dei loro eventuali usi, senza alcuna spocchia intellettuale, egli si rivolse infatti agli erboristi e anche alle «vecchiette espertissime» che «non conoscono le piante grazie ai libri, ma sono stati ammaestrati dall'esperienza». E sicuramente non gli spiacque che l’editore prendesse l’iniziativa di affiancare all'edizione latina una versione tedesca, il Contrafayt Kreüterbuoch (ovvero “Libro d’erbe illustrato”), con l’aggiunta di una cinquantina di illustrazioni originali. Oggi si tende sostanzialmente a ridimensionare il valore storico dell’opera di Brunfels, giudicata un lavoro sostanzialmente compilatorio, mentre non si manca di sottolineare l’altissima qualità delle illustrazioni di Hans Weiditz (1497-1537 circa). Probabilmente si deve a lui la maggior parte delle immagini dei primi due volumi dell’Herbarum Vivae Eicones, anche se fu assistito da altri pittori e da uno o più incisori. Weiditz, come abbiamo già visto, scelse con una certa autonomia le piante da ritrarre; le disegnò e le dipinse da vivo, non in modo idealizzato, ma estremamente realistico tanto che in alcune tavole vediamo fiori appassiti, foglie strappate o mangiate dagli insetti. Da questo punto di vista, le sue immagini sono abbastanza lontane dalle future convenzioni dell’illustrazione botanica che rappresenta le piante non in modo individuale, ma ideale; invece troviamo già le piante decontestualizzate, disposte sul foglio bianco staccate dal loro habitat; in alcuni esemplari sono presentati diversi stati della vita della pianta ritratta, con fiori e frutti insieme. Nel 1930 a Berna, in un volume appartenuto a Felix Platter, furono ritrovati settantasette acquarelli di piante dipinte da Weiditz: si tratta di una parte degli originali da cui furono tratte le xilografie dei volumi di Brunfels. Rispetto a queste ultime, sono ancora più notevoli per virtuosismo e naturalismo; gli incisori non di rado le adattarono alla pagina, spesso disponendole in posizioni innaturali e le riprodussero con un tratto piuttosto sottile, senza chiaroscuro; inoltre le dimensioni delle xilografie sono molto variabili, dalla pagina piena a pochi centimetri, con il testo che si dispone intorno in modo a volte un po' disordinato. Probabilmente, erano previste copie di lusso acquarellate a mano, di cui gli originali di Weiditz costituiscono il modello per i colori. Le illustrazioni di Weidnitz imposero un nuovo standard, tanto che furono immediatamente piratate: nel 1533 l’editore Egenolph ne fece copiare alcune (invertite e ridotte nelle dimensioni) per illustrare il Kreutterbuoch di Eucharius Rösslin; Schott gli fece causa e l’editore rivale fu costretto a desistere (ne ho parlato in questo post). Qualche anno più tardi, esercitarono una notevole influenza sugli artisti che illustrarono De historia stirpium di Fuchs. Fiori profumati, fiori cangianti A far entrare Brunfels nella terminologia botanica con la dedica di uno dei suoi generi americani fu il solito padre Plumier, che con tono lievemente apocalittico sottolinea il ruolo di precursore del botanico-teologo: «Per primo in Germania cercò di strappare la botanica medica, quasi estinta, da profondissime tenebre». E ciò resta vero non solo per il pionieristico Herbarum vivae eicones, ma anche per aver stimolato e incoraggiato altri botanici a seguirlo sulla stessa strada: fu lui a persuadere Hieronymus Bock a pubblicare il suo erbario tedesco, sobbarcandosi un viaggio a piedi da Strasburgo a Hornbach per convincerlo di persona; in appendice a Herbarum vivae eicones, pubblicò i primi scritti dello stesso Bock e di Fuchs; e fu certo l’interesse suscitato dal libro di Brunfels a spingere Euricius Cordus a scrivere e pubblicare il suo Botanologicon. Validato da Linneo nel 1753, il genere Brunfelsia, della famiglia Solanaceae, comprende una cinquantina di specie di piccoli alberi e arbusti, più qualche liana, diffuse esclusivamente nell'America tropicale, dalle Antille all'Argentina. Hanno grandi fiori profumati tubolari, con corolla piatta, lievemente zigomorfi, con cinque grandi lobi, simili a quelli delle petunie (i generi sono piuttosto affini e appartengono alla medesima tribù, quella delle Petunieae). Come molte piante di questa famiglia, contengono sostanze medicinali e alcaloidi, le cui proprietà sono state scoperte e sfruttate dalle culture indigene; tuttavia diverse componenti sono tossiche e possono causare problemi sia all'uomo sia agli animali domestici. Diverse specie di Brunfelsia sono coltivate per il grande valore ornamentale nei paesi a clima mite. Le più note sono B. americana e B. pauciflora. B. americana è un piccolo albero originario delle Antille, dove lo vide e lo descrisse padre Plumier; sempreverde, ha grandi fiori solitari dapprima bianchi poi giallo crema, che si aprono di notte diffondendo un forte profumo che gli ha guadagnato il soprannome di “signora della notte”. Da noi è però più coltivata l’arbustiva B. pauciflora, originaria del Brasile, che al momento della fioritura dà spettacolo con le sue corolle in tre colori. Infatti i suoi fiori hanno la curiosa particolarità di cambiare colore: al momento dell’apertura sono viola purpureo, quindi lavanda, infine, poco prima di appassire, bianchi. Ecco perché gli inglesi la chiamano yesterday-today-tomorrow, “ieri, oggi, domani”. Nessuna delle due specie è rustica. Garantisce invece una buona resistenza al freddo B. australis, che come dice il nome specifico ha una distribuzione più meridionale (dal Brasile meridionale all’Argentina); è simile a B. pauciflora, ma con portamento più compatto e fiori più piccoli, anch'essi in tre colori. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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