Fresco di laurea, il medico di Basilea Werner de Lachenal si affrettò ad inviare la sua tesi ad Albrecht von Haller. Per anni, mentre lavorava come medico e farmacista, ne fu uno dei più assidui corrispondenti, informatori e raccoglitori, divenendo un reputato esperto della flora di Basilea e del Giura. Solo dopo diversi anni ottenne la cattedra di anatomia e botanica presso l'Università di Basilea, illustrandosi con due benemerenze: fece rinascere l'orto botanico universitario, pagando in gran parte di tasca propria, e salvò quanto rimaneva dell'erbario di Caspar Bauhin, oggi perla dell'erbario di Basilea. A ricordarlo il bellissimo genere di bulbose sudafricane Lachenalia, che meriterebbe di essere coltivato più spesso. Una lunga collaborazione con von Haller Come abbiamo visto in questo post, per ottenere gli esemplari e le informazioni necessari alle due edizioni della sua monumentale flora della Svizzera, Albrecht von Haller si servì, oltre della raccolta diretta, di una vasta rete di informatori, corrispondenti, raccoglitori. Ciò divenne tanto più indispensabile quando l'età, la gotta e la corpulenza lo costrinsero a delegare ad altri il grosso del lavoro di raccolta. I candidati ideali erano giovani medici o studenti di medicina, di cui nel suo saggio Making Natural History: Doing the Enlightenment, Bettina Dietz ha tracciato un identikit: "essere fisicamente abbastanza robusti da far fronte alle fatiche di escursioni in montagna protratte per diverse settimane; avere una buona conoscenza della botanica; avere scarse pretese per i pagamenti, che Haller sborsava di tasca propria; seguire le sue istruzioni su cosa cercare; consegnare ad Haller il bottino delle loro escursioni botaniche in ottimo stato". Quando entrò in contatto con von Haller, il neo-medico di Basilea Werner de Lachenal (1736-1800), che fu uno dei principali raccoglitori-informatori per Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata, apparve subito riunire tutti in requisiti. Figlio di un farmacista, fu egli stesso avviato alla farmacia, per poi iscriversi all'università di Basilea; nel 1755 ottenne il titolo di magister di filosofia e nel 1759 la licenza per esercitare la medicina con una tesi (Specimen Inaugurale Observationum Botanicarum) dedicata ad alcune piante poco note o mal determinate della flora locale. Si affrettò a mandarne copia a von Haller che ne fu piacevolmente colpito, gli rispose con una lettera di elogi e gli chiese di inviargli campioni di alcune di quelle specie rare. La corrispondenza proseguì mentre il giovane medico completava la sua formazione all'università di Strasburgo e il tirocinio pratico a Montbéliard con il medico di corte del Württemberg David Charles Emmanuel Berdot. Avendo ormai verificato la sua preparazione e la sua affidabilità, Haller gli propose una prima escursione botanica per suo conto e a sue spese, che nell'estate del 1760 portò Lachenal nel Vallese e nelle Alpi Graie fino al Piccolo San Bernardo. L'estate successiva, insieme a un altro giovane medico, Jean Jacques Châtelain (1736-1822), lo inviò fino a Mendrisio in Canton Ticino. un'area che riteneva quasi inesplorata. Anche se Lachenal fu piuttosto deluso della flora della meta designata, molto meno ricca di quanto pensasse, durante il viaggio fece molte raccolte e ne informò puntualmente von Haller, così soddisfatto del lavoro dei due botanici da elogiarli con insolito calore: "Non potevo sperare di riunire in un medesimo viaggio due compagni di uguale ardore. E' impossibile che l'uno superi l'altro per perizia e per passione". L'anno dopo avrebbe ancora voluto inviare Lachenal in Valtellina e in Engadina, ma questa terza spedizione non avvenne mai. Per il medico di Basilea era infatti ora di pensare a una sistemazione stabile. Haller aveva sì cercato di usare tutta la sua influenza per fargli assegnare una cattedra a Gottinga, ed egli era stato incluso nella terna dei nomi selezionabili, ma non si era andati oltre. Nel 1763 Lachenal conseguì il dottorato in medicina, quindi rilevò la licenza decennale per una farmacia. Con gli impegni professionali come medico e farmacista, i lunghi viaggi erano fuori discussione; continuò invece ad esplorare la flora dei dintorni e quella del vicino Giura borgognone e a soddisfare con sollecitudine le richieste di Haller, che non di rado gli chiedeva di procurargli questa o quella pianta. Raccoglieva anche per sè, in vista di una flora della regione di Basilea. La relazione tra Lachenal e Haller non era ovviamente paritaria, ma tipicamente quella tra discepolo e maestro; una volta il bernese giunse persino a rimproverare il suo giovane corrispondente per aver usato il nome linneano per designare Trifolium fragiferum; al che Lachenal ritenne necessario giustificarsi, spiegando che aveva usato quel nome perché al momento non ne aveva a disposizione nessun altro La corrispondenza tra i due botanici svizzeri durò 18 anni (dal 21 aprile 1759 al 31 giugno 1774). Durante questo lungo periodo, che lo vide trasformarsi da giovanissimo neolaureato in affermato medico di mezza età e riconosciuto esperto della flora locale, oltre che con moltissimi invii di campioni di erbario, Lachenal si rese utile al suo maestro come correttore delle bozze dei supplementi alla flora elvetica (Emendationes et auctaria ad stirpium Helveticarum historiam), pubblicati presso un tipografo di Basilea; compito difficilissimo e ingrato, vista l'impazienza di Haller e la sua grafia sempre più illegibile. La rinascita dell'orto botanico La grande svolta nella vita di Lachenal, forse inattesa persino per lui, avvenne nel 1776, quando per sorteggio gli fu infine assegnata la cattedra di anatomia e botanica all'università di Basilea. Era una cattedra prestigiosa con una lunga storia: quella di anatomia era stata creata addirittura nel 1571 da Felix Platter, grande anatomista e allievo di Rondelet a Montpellier, a sua volta maestro di Caspar Bauhin che nel 1589 fondò l'orto botanico universitario, uno dei più antichi d'Europa e il fu il primo titolare della cattedra di anatomia e botanica. Quando Lachenal assunse la cattedra, erano glorie del passato. Il suo predecessore Johann Rudolf Stähelin (titolare della cattedra di anatomia e botanica dal 1753, dal 1776 passò alla cattedra di medicina teorica) all'insegnamento preferiva l'esercizio della professione e i segni della trascuratezza si facevano sentire. Da un sopralluogo di quello stesso anno il teatro anatomico risultò "così fatiscente che rischiava di crollare da un momento all’altro”. Lachenal suggerì addirittura di demolirlo e trasferirlo nell'orto botanico; il consiglio cittadino preferì ristrutturarlo, rendendolo più ampio e luminoso. Né migliore era la sitazione dell'orto botanico; c'era un solo giardiniere, che, salvo qualche piccola regalia occasionale, non riceveva alcun salario; di fatto, gli era stato permesso di trasformare l'orto botanico in orto, frutteto e vigna, dalla vendita dei cui prodotti ricavava il suo unico reddito. Nel 1754 il Comune fece costruire una modesta casetta, composta da un atrio, due stanze e alcuni locali laterali, che serviva sia da appartamento del professore sia da auditorium per le lezioni. Anch'essa era inadeguata. Lachenal chiese la ristrutturazione del giardino, condizioni migliori per il giardiniere, un appartamento dignitoso per il professore. Offrì di pagare un quarto delle spese e di cedere all'università la sua biblioteca; in cambio, chiedeva di mantenere la cattedra vita natural durante e il versamento di una pensione alla moglie, nel caso gli fosse sopravvissuta. Nell'agosto 1777 le condizioni furono accettate e i lavori procedettero abbastanza celermente. L'orto botanico poté disporre di un budget annuale e da quel momento rinacque. Venne anche costruita una serra che, a quanto pare, Lachenal pagò di tasca propria. Nel venticinquennio in cui insegnò all'università di Basilea, egli acquisì una solida reputazione internazionale, anche se non pubblicò quasi nulla. Corrispondeva con numerosi colleghi, con i quali scambiava esemplari d'erbario, scriveva articoli per qualche rivista, ma non riuscì mai a completare e pubblicare la sua flora di Basilea (Catalogus stirpium Basiliensis). Conosciamo la sua esistenza, oltre che dalla corrispondenza con von Haller, che più volte lo sollecitò a concluderla, da diverse testimonianze contemporanee, ma dopo la morte di Lachenal l'opera scomparve. Il manoscritto incompleto è stato riscoperto solo nel 1987 durante lavori di ristrutturazione dell'Istituto botanico di Basilea e rimane inedito. Presumibilmente, Lachenal lo aveva lasciato in eredità all'istituto botanico, insieme a tutti i suoi libri e al suo erbario, di enorme importanza storica perché egli vi aveva incluso l'erbario di Caspar Bauhin, che aveva acquistato da un discendente del grande botanico intorno al 1774. Contrariamente all'uso del tempo, l'erbario di Bauhin non era rilegato, ma costituito da fogli sciolti, che egli poteva così facilmente riorganizzare per i suoi lavori tassonomici. Ciò ne aveva però favorito anche la dispersione, perché nel corso dei decenni la famiglia Bauhin aveva permesso a diversi botanici di consultarlo e anche di attingervi; quando Lachenal lo acquistò, era ridotto a un terzo dell'originale. Nuovamente separato da quello di Lachenal, oggi costuisce una collezione separata dell'erbario di Basilea ed è preziosissimo, sia come testimonianza del lavoro di uno dei padri fondatori della botanica moderna, sia come uno dei pochissimi erbari rinascimentali giunti fino a noi, Quanto all'erbario personale di Lachenal, comprendeva circa 3000 specie, in prevalenza elvetiche, ma anche un certo numero di esotiche, ottenute da corrispondenti o orti botanici; è interessante notare che per etichettare le piante svizzere egli usò le denominazioni di von Haller, per tutte le altre quelle di Linneo. Splendide bulbose sudafricane A ricordare Lachenal è oggi un busto nell'orto botanico di Basilea che ebbe il merito di far rinascere, l'eponimo di alcune piante più o meno rare che fu il primo a raccogliere o segnalare, come Hieracium lachenalii, Carex lachenalii, Festuca lachenalii e Oenanthe lachenalii, ma anche il bellissimo genere sudafricano Lachenalia, omaggio di Joseph Franz von Jacquin (il figlio di Nikolaus) che era uno dei suoi corrispondenti e gli fece visita quando passò dalla Svizzera durante il suo viaggio in Europa del 1788-91. In una lettera dell'ottobre 1790 al padre, lo ricorda con grande affetto e gli chiede di scrivergli per ringraziarlo delle tante cortesie che gli ha dimostrato. Ma a ben vedere lo aveva già ringraziato lui anticipatamente (la dedica risale al 1784) dedicandogli questo notevolissimo genere. Lachenalia (famiglia Asparagaceae) comprende circa 130 specie di bulbose perenni originarie della Namibia e del Sudafrica, distribuite in zone con piogge invernali; durante la stagione estiva, calda e arida, vanno in dormienza per poi entrare in vegetazione alle prime piogge autunnali; la fioritura, che è di relativamente lunga durata, avviene in inverno o all'inizio della primavera. Le foglie, che in alcune specie sono emesse prima dei fiori, in altre quasi contemporaneamente ad essi, sono basali e spesso graziosamente maculate, così come gli steli fiorali. I fiori campanulati, tubolari o cilindrici sono raccolti in spighe o racemi; a seconda delle specie, le corolle presentano una grande varietà di colori, dal bianco al rosa, dal lilla all'azzurro, dal giallo all'arancio e al rosso vivo. Il colore più raro e straordinario è il verde-turchese dei fiori di L. viridiflora. In varie specie, i fiori sono molti colori grazie agli apici più scuri. Le dimensioni dei bulbi e delle piante in fioritura sono molto varie, dai 5 cm di L. ensifolia e L. flava ai 40 di certe varietà di L. aloides. Lachenalia ha una lunga storia orticola, ma non è mai diventatomun genere popolare. La prima attestazione è un disegno dell'attuale L. hirta, risalente alla spedizione del Namaqualand del 1685-1686; da quel momento varie specie, sotto vari nomi, fecero qua e là la loro comparsa nel mercato dei bulbi e nelle raccolte dei collezionisti; il primo a studiare sistematicamente questo genere fu però verso la fine del Settecento von Jacquin padre, grazie alle raccolte sudafricane dei cacciatori di piante di Schönbrunn; come ho anticipato, il genere fu creato nel 1784 da suo figlio. Mano a mano che venivano scoperte nuove specie, con la loro grande varietà di dimensioni, forme e colori, attirarono l'attenzione degli ibridatori; il primo ibrido riconosciuto venne realizzato nel 1888 dal reverendo John G. Nelson, incrociando L. reflexa e L. aloides. A partire dal 1965, un vasto programma di ibridazioni è stato avviato dal Roodeplant Vegetable and Ornamental Plant Institute del Sudafrica; lo scopo era produrre, più che bulbi da giardino, fiori da taglio (i fiori di Lachenalia durano da due a quattro settimane) e piante fiorite in vaso per l'esportazione. I primi ibridi furono commercialmente disponibili nel 1997-1998, ma il programma fu rallentato da vari fattori, che vanno dall'isolamento politico del paese a causa dell'apartheid alle peculiarità del clima sudafricano che resero difficile adattare le condizioni di crescita di crescita all'emisfero nord. I primi ibridi (è la serie African Beauty) furono commercializzati alla fine del secolo, ma la risposta del mercato europeo fu minore di quanto sperato; il potenziale di queste splendide piante è ancora in gran parte da scoprire. Sono ancora soprattutto piante da collezionisti, piuttosto costose e non sempre facili da reperire. Anche in Olanda sono essenzialmente commercializzate da specialisti di bulbose rare; talvolta, come altre bulbose sudafricane, come Albuca o Ledebouria, sono offerte tra le succulente. Eppure sono bellissime e, a quanto pare, di non difficile coltivazione.
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Morto a soli 35 anni senza aver pubblicato nulla, il botanico inglese Edmund Davall - visse però gran parte della sua vita adulta in Svizzera - non avrebbe lasciato molte tracce di sè se non fosse stato amico e assiduo corrispondente di James Edward Smith, presidente e fondatore della Linnean Society. Una selezione delle sue lettere, pubblicata nelle memorie di Smith, ci fanno conoscere da vicino questo giovane di grande sensibilità e humour, un vero figlio del preromantcismo diviso tra l'entusiasmo per la natura e la malinconia di quello che considerava un vero e proprio esilio. Grazie a Smith, a ricordarlo ci sono soprattutto le bellissime felci del genere Davallia. Una vita attraverso le lettere Nel 1832, la vedova di James Edward Smith, Pleasance Reeve Smith, completò e pubblicò le memorie del defunto consorte, che includono una scelta della sua ampissima corrispondenza. Come sottolineava Mme de Lessens nella sua recensione di Memoirs and Correspondence of Sir James Edward Smith, "tra i corrispondenti più gradevoli di Mr. Smith, c'è un giovane svizzero, Mr. Davall di Orbe, entusiasta della botanica, della natura e del grande apprezzamento che ricevono in Inghilterra. Le sue lettere sono assai piacevoli". Queste lettere sono quasi tutto ciò che rimane di questo sfortunato botanico, morto troppo presto e senza aver potuto pubblicare nulla. Al contrario di quanto scrive Mme de Lessens, Edmund Davall (1762-1798) non era propriamente svizzero, ma piuttosti anglo-elvetico. Era infatti nato a Londra dall'omonimo Edmund Davall, ufficiale di approvvigionamento dell'ammiragliato, e da Charlotte Thomasset, figlia di una vedova svizzera che si era trasferita nella capitale inglese dove insieme alle sue figlie gestiva con un certo successo una scuola per giovinette. Come racconta egli stesso in una delle sue lettere al "più caro degli amici" Smith, benché avesse un'inclinazione per le scienze naturali, il loro studio non aveva fatto parte della formazione del giovane Edmund. Si interessava però di giardinaggio, e aveva acquistato una copia di The Gardeners Calendar di Miller, dove per la prima volta vide uno schema del sistema linneano, Ne fu "istantaneamente ispirato" e decise di "perseguire uno studio che certamente mi avrebbe procurato maggior felicità di qualsiasi progetto volto a un vantaggio pecuniario". Iniziò dunque a studiare la botanica da autodidatta e nel febbraio 1784 arrivò in Svizzera, deciso a esplorare la flora delle sue montagne. Si stabilì a Orbe, nella casa delle sue numerose zie Thomasset che erano tornate in Svizzera intorno al 1777; pochi mesi dopo, il padre morì in seguito a un'ampitazione e la madre decise di tornare in patria. Quattro anni dopo sarebbe morta anche lei, lasciando definitivamente legato il figlio a Orbe e alle "buone vecchie zie", di cui nelle lettere egli traccia un memoriabile ritratto dolce-amaro. Se in Inghilterra erano considerate povere, in Svizzera un piccolo patrimonio e qualche terra al sole le facevano senz'altro rientrare nella "bonne societé". Amavano ricevere e trascorrevano ore intere a giocare alle carte. A sentire il nipote, il jeu de Quadrille era la loro unica passione e il loro unico argomento di conversazione, al punto che una di loro sarebbe "letteralmente morta con le carte in mano". La migliore stanza della casa era dedicata alle interminabili partite di carte che riunivano il "gregge troppo numeroso" della buona società di Orbe, "eternamente desideroso di ammazzare il tempo che non sapeva come impiegare" e che esprimeva "la sua stima per chi aveva interessi intellettuali con un'alzata di spalle". Per sfuggire alla noia, Davall si gettò più che mai nella botanica. Creò un giardino che curava personalmente e intensificò le escursioni alla ricerca di piante da trapiantare e da montare nel suo erbario. Orbe sorge in un'amena posizione nel cuore del Giura svizzero; con una breve passeggiata si può raggiungere la cima del Suchet, dalla quale si gode uno splendido panorama sugli altopiani del Giura e su tutto l'arco alpino. Sulle sue pendici calcaree Davall trovò una flora particolare e interessante. Nell'estate del 1787 scoprì alcune piante rare in compagnia di Albrecht von Haller junior, il figlio omonimo del grande von Haller. Davall avea infatti cominciato a farsi conoscere nell'ambiente dei botanici svizzeri, in ciò incoraggiato da Charles Victor de Bonstetten, ultimo balivo di Nyon e membro del "gruppo di Coppet", un sodalizio intellettuale informale che si riuniva attorno a Mme de Stael e Benjamin Constant. Entrò così in contatto con il pastore e naturalista di Berna Jakob Samuel Wyttenbach, con il pastore, bibliotecario e botanico di Ginevra Jean Senebier e con il professore di anatomia e botanica dell'Università di Basilea Werner de Lachenal. Saussure nel suo Voyage dans les Alpes ricorda di avergli fatto visita ad Orbe. Nel 1784, munito di lettere di presentazione di Wyttenbach e Senebier, Davall partì per Londra e si presentò a James Edward Smith che aveva da poco creato la Linnean Society. Smith lo accolse con grande affabilità, lo ospitò in casa sua, lo presentò ai suoi amici e lo fece entrare nella Linnean Society, di cui Davall fu così uno dei primissimi membri. Da parte sua, Davall intodusse Smith presso la marchesa di Rockingham, con la quale forse era in contatto grazie alla posizione del padre all'ammiragliato. La nobildonna, grande appassionata di piante esotiche, avrebbe poi ispirato a Smith le magnifiche Icones pictae, in cui Sowerby ritrasse numerose piante coltivate nelle serre e nei giardini di Hillingdon. I giardini inglesi con le loro collezioni di piante esotiche, le società scientifiche con le loro animate discussioni, la grande considerazione in cui era tenuta la botanica entusiasmarono Davall e fecero del soggiorno londinese "il periodo più memorabile e felice della mia vita", nonostante cominciassero già amanifetarsi imprimi segni di una salute malferma. Lui e Smith erano quasi coetanei e strinsero una profonda amicizia, destinata a durare quanto la sua vita, anche se dopo il suo ritorno a Orbe non si sarebbero mai più incontrati. Continuarono invece a scriversi con assiduità; le lettere di Davall, pervase dall'entusiasmo e dal sentimento religioso per la natura, ma anche da quello che egli stesso definisce mal du pays, ovvero dalla nostalgia per l'Inghilterra, piacevolissime e spesso piene di humour, informano di gioie e dolori (il matrimonio, la nascita dei figli, la dolorosissima morte della primogenita a soli undici mesi), dei fastidi di una piccola vita di provincia, delle aspirazioni intellettuali presto frustrate da un ambiente chiuso, dalle necessità pratiche, ma soprattutto da una salute sempre più traballante. Nella casa di Orbe, dove il salotto buono rimaneva intoccabile santuario all'eterno gioco di carte, poté ricavare per sè solo un piccolo studio, dove un "angolo sacro" riuniva le opere di Linneo, il suo modesto erbario e due prezosi cimeli incorniciati sotto vetro: un esemplare di Diapensia lapponica, raccolto da Linneo in persona, dono dell'amico Smith ("un frammento della vera croce è meno prezioso per un cattolico bigotto"), e uno di Smithia sensitiva. Una grande fonte di piacere era il giardino, che egli coltivava di persona dedicandogli molto tempo e cura; e un'altra le escursioni botaniche in montagna. Ne riportava piante per il suo giardino ed esemplari che essiccava per il suo erbario e che spediva regolarmente all'amico Smith. Visitò ripetutamente il Suchet, ma le lettere documentano anche viaggi a più ampio raggio: attraversò il ghiacciaio di Valsorey nel Vallese alla ricerca di una pianta segnalata da von Haller e si spinse fino al Gran San Bernardo. Sappiamo che lavorò a lungo a un saggio sulla flora svizzera, ma non riuscì a terminarlo. Più ancora delle contingenze della vita materiale, a impedirglielo furono i problemi di vista sempre più gravi e una salute sempre più precaria. Le lettere stesse incominciarono a diradarsi. Davall iniziò l'ultima il 13 febbraio 1798. Ma ormai stava così male che non poté finirla; Smith l'avrebbe ricevuta solo dopo la sua morte. Certo avrà letto con grande commozione le ultime righe: "a lungo la mia più cara e unica speranza è stata quella di incontrare il mio amico in un mondo diverso e migliore". A informarci degli ultimi mesi di Davall sono le lettere a Smith di un altro amico comune: il veterinario Bracy Clark. Tra il 1797 e il 1798 egli fu impegnato in un grand tour continentale, anche se le condizioni di guerra gli impedirono di visitare la Francia. Soggiornò invece per qualche tempo in Svizzera; nel dicembre 1797 a Berna fece visita a Wyttenbach che lo informò che l'amico di Smith Davall aveva sofferto gravemente, forse di una paralisi, e gli scrisse una lettera di presentazione per lui. Il cattivo tempo e copiose nevicate impedirono a Clark di recarsi ad Orbe fino alla fine di marzo. Davall lo accolse cordialmente e lo ospitò a casa sua; era assai provato nel corpo e profondamente turbato dalla situazione politica, con i venti della rivoluzione che soffiavano anche in Svizzera. Durante l'estate, che Clark trascorse per lo più a Orbe, sembrò migliorare; poi la situazione precipitò e il 27 settembre Davall morì, ad appena 35 anni. Onorando le sue ultime volontà, la vedova fece pervenire a Smith la lettera mai terminata, l'erbario, i libri e i manoscritti del marito. Quest'ultimi sono tuttora conservati nella biblioteca della Linnean Society, mentre l'erbario è andato perduto. Nel pubblicare la corrispondenza di Davall con il marito, Pleasance Reeve scrive: "Assomigliava all'amico scelto dal suo cuore nel calore e nella devozione degli affetti, ma poté resistere meno di lui ai mali della vita. Molti passi delle lettere [...] mostrano il valore, la tenerezza, il raro affetto, la devozione alla scienza, il suo amore per la natura strettamente legato all'amore di Dio [...]. Se qualcuno considerasse [questi sentimenti] troppo acuti o riprovevoli, si ricordi che «quei teneri desideri che assorbivano la sua anima, logoravano il suo spirito, minavano la sua salute», erano i dolori di un uomo esiliato. Lasciamo che coloro che possono comandare a piacimento tanto il piacere quanto la società contemplino con profonda compassione il generoso e disinteressato Davall". Rizomi con la pelliccia Nella speranza che l'amico con le sue opere occupasse prima o poi il posto che gli spettava nella scienza delle piante, fin dal 1793 Smith aveva provveduto ad eternarne il nome con la dedica del genere Davallia, scrivendo: "Ho dedicato questo nuovo genere con grandissimo piacere al botanico instancabile e acutissimo, amabile di carattere, così come illustre per scienza, Edmund Davall, membro della Linnean Society, che vive in Svizzera". Gli dedicò anche Carex davalliana, una specie che cresceva copiosa nelle aree unide di orbe e che Davall aveva distinto per primo. Al contrario della insignificante Smithia - una dedica lievemente maligna, come ho raccontato in questo post, di cui il presidente della Linnean Society avrebbe volentieri fatto a meno - il genere dedicato all'amico del cuore è davvero un dono sontuoso. Davallia è l'unico genere della famiglia Davalliaceae (alcuni studiosi però preferiscono classificarla nelle Polypodiaceae, intese in senso largo) e raggruppa una cinquantina di specie di felci epifite o litofite delle aree tropicali e subtropicali del Vecchio mondo e dell'Australia. La caratteristica più evidente sono i lunghi rizomi aerei grazie ai quali si abbarbicano sulla corteccia degli alberi o si insinuano nelle fessure delle rocce. Intricati e solitamente ricoperti da fitte squame simili a una pelliccia, le hanno guadagnato nomignoli come "felce ragno", "felce zampa di coniglio", "felce zampa di scoiattolo". Curiose e molto decorative, diverse specie sono apprezzate come piante da interni. Alcune però sono rustiche e possono essere coltivate in giardino. È il caso della giapponese D. mariesii, una piccola felce decidua con sottili rizomi pelosi e fronde triangolari, che può essere utilizzata come coprisuolo in angoli ombrosi e umidi. Meno resistente al freddo è invece D. canariensis, una specie originaria della Macaronesia e del Mediterraneo occidentale (Marocco e penisola iberica occidentale), che in natura cresce sui tronchi e i rami degli alberi e sulle rocce silicee umide e muschiose, soprattutto dove può godere dell'umidità oceanica. Da noi viene solitamente coltivata in vaso o anche su zattera o bark per orchidee, in modo da godere dell'intrico delle radici che si interesecano e pendono al di fuori. Tra le specie solitamente coltivate all'interno, la più nota è probabilmente D. solida var. fejeensis, originaria delle isole Figi, un'epifita caratterizzata da rizomi densamente ricoperti da squame grigio-rosate e da brevi fronde triangolari. Per mettere in risalto la bellezza dei rizomi, è spesso coltivata in cestini appesi, così come D. tyermannii, originaria della Cina e dell'Asia orientale, nota anche come felce tarantola o felce ragno per l'intrico di lunghi rizomi pelosi che evocherebbero a questi animali. A Bex i Thomas non erano i soli a raccogliere piante e a commercializzare campioni d'erbario e semi di piante alpine. A far loro concorrenza, negli ultimissimi anni del Settecento e nei primi due decenni dell'Ottocento, c'era il farmacista di origini tedesche Johann Christoph Schleicher, che fu il primo ad avere l'idea di pubblicizzare il suo commercio prima con annunci in riviste scientifiche, poi con un catalogo che comprendeva circa 2000 piante e giunse a quattro edizioni. Pubblicò anche a più riprese cataloghi specifici per le crittogame. Per qualche anno ottenne un notevole successo, come testimonia la presenza dei suoi campioni negli erbari di moltissime istituzioni e di qualche pianta nata dai suoi semi nei cataloghi dei vivai inglesi. Poi si fecero sentire l'età e la concorrenza del molto più giovane e aguerrito Emmanuel Thomas, tanto che fu costretto a vendere il suo erbario e terminò i suoi giorni in miseria. Oltre all'eponimo di diverse specie, lo ricorda il genere asiatico Schleichera (Sapindaceae). Campioni d'erbario e semi a modico prezzo Intorno al 1790, si stabilì a Bex nel Vaud un giovane di origine tedesca, Johann Christoph Schleicher (1768/70-1834), che nella nuova patria si sarebbe fatto chiamare anche Jean Charles. Talvolta viene definito dottore, ma era piuttosto farmacista, e difficilmente, per la giovane età, avrà avuto una formazione completa. Dei suoi primi anni sappiamo pochissimo. Incerta è la stessa data di nascita, 1768 secondo alcune fonti, 1770 secondo altre. Nato a Hofgeismar nell'Assia da Anna Marie Sawitzky, ebbe inizialmente il cognome materno per poi assumere quello con cui è noto quando fu adottato da un certo Carl Schleicher. Nulla sappiamo della sua formazione; secondo varie fonti, incluso il data base biografico dell'Università di Gottinga, il botanico Heinrich Schräder sarebbe stato il suo padrino; la notizia è certamente priva di fondamento per banali ragioni anagrafiche: i due erano praticamente coetanei, essendo nato Schräder nel 1767. Al momento dell'arrivo di Schleicher, a Bex il ricordo (e il magistero) di Albrecht von Haller era tenuto vivo, oltre che dall'attività commerciale della famiglia Thomas, dai medici Bernard Jean François e Jean David Ricou. Bernard Jean François Ricou (1730-1798), medico cittadino, farmacista e capo chirurgo dell'ospedale, negli anni '50 era stato uno dei raccoglitori di von Haller, per il quale aveva erborizzato nelle valli di Saint-Nicolas e di Bagnes e nelle regioni del Sempione, del Gran San Bernardo, di Alesse e di Fully. Nel 1764, insieme al pastore Abram-Louis Decoppet, pubblicò nelle "Memorie della società economica" di Berna una lista di 128 piante della flora elvetica con i nomi in dialetto, francese e latino (Essai d'une collection de noms vulgaires ou patois des principales plantes de Suisse). Certamente si deve a lui la creazione del "bell'erbario" segnalato nel 1804 nella guida della Svizzera di Johann Gottfried Ebel, all'epoca di proprietà del figlio Jean David, anch'egli medico. Schleicher dovette legarsi strettamente alla famiglia Ricou (probabilmente lavorò per loro come aiuto farmacista e nel 1797 sposò Julie, figlia di Jean David) e fu probabilmente l'esempio delle raccolte di Bernard Jean François a spingerlo a sua volta a percorrere le montagne alla ricerca di piante rare. Il suo scopo era chiaramente commerciale: l'opera di von Haller aveva attirato l'attenzione dei botanici e degli amatori sulla flora elvetica e il mercato di campioni d'erbario era fiorente. Dotato di notevole spirito imprenditoriale, ispirato dall'esempio di raccoglitori di piante tedeschi, già nel 1794, nel numero 41 della rivista di Lipsia "Annalen der Botanik" Schleicher, sotto forma di lettera ai signori Le Royer e Tingry, proprietari di un'importante farmacia di Ginevra, offrì in vendita, al prezzo di 2 talleri francesi, una centuria di piante svizzere, assicurando la consegna in 4-6 settimane. Altre due centurie avrebbero fatto seguito nel numero successivo, pubblicato lo stesso anno. Nel 1796, ancora su "Annalen der Botanik" la snelle centurie si trasformarono in una più ambiziosa lista di quasi 700 "piante raccolte nel Vallese e nelle Alpi vicine nel 1795 da Schleicher", indicate con un nome binomiale, preceduto però (tranne un'appendice di una quarantina di specie scoperte successivamente alla pubblicazione di quest'opera) dal numero con cui compaiono in Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata di von Haller; non compaiono più né prezzi né indicazioni esplicite del fine commerciale, non perché Schleicher avesse cambiato intenzioni, ma probabilmente perché aveva ormai una clientela consolidata. Due anni dopo, sempre sulla stessa rivista, comparve una seconda lista sotto il titolo "Indice delle piante raccolte nel Vallese e nella Svizzera transalpina nel 1796 da C. Schleicher"; le modalità erano le stesse, ma la lista si era allungata, passando da 9 a 12 pagine, e, soprattutto, ora compariva a parte un elenco di 84 Musci & Algae (in realtà ci sono anche felci e numerosi licheni). Si trattava di un nuovo segmento di mercato che, come vedremo, sarebbe diventato una specialità del raccoglitore tedesco. Poi, nel 1800, il salto di qualità. Con quello che dovette essere un notevole impegno anche finanziario, Schleicher pubblicò a Bex quello che è considerato il primo catalogo commerciale di piante svizzero, Catalogus plantarum in Helvetia cis- et transalpina sponte nascentium; il sottotitolo precisa: "raccolte dall'autore con continui viaggi ad uso dei botanofili e verificate con sommo studio sulle descrizioni e le immagini degli autori più celebri". Nel volumetto di una settantina di pagine sono elencate circa 2000 piante, con il nome binomiale seguito dal nome d'autore e preceduto, nella maggior parte dei casi, dal rinvio numerico all'opera di Haller. Mentre le felci sono elencate nel catalogo generale, sono presentate nuovamente a parte alcune centinaia di Musci, Algae et Fungi. A chiudere il catalogo, una selezione di semi "raccolti e offerti da Schleicher"; come facevano anche i Thomas, anche i semi, come i campioni d'erbario, erano per lo più raccolti in natura. Anzi, da questo punto di vista sembra che Schleicher non andasse tanto per il sottile; secondo una nota pubblicata nel "Bulletin de l’Association pour la protection des plantes" del 1884, "distrusse [appositamente] diverse specie al solo scopo di aumentare il valore dei campioni che vendeva agli erbari, rendendole rare". Almeno alcune piante tuttavia dovevano essere coltivate nell'orto botanico che Schleicher aveva creato a Bévieux, non lontano dalla salina. Sempre secondo la guida di Ebel, meritava una visita; dopo aver parlato dell'erbario di Ricou, egli ci informa inoltre che "Suo genero M. Schleicher, abile erborizzatore che ha percorso gran parte delle montagne della Svizzera occidentale e meridionale, ha un consideravole magazzino di piante essiccate che vende per un luigi il centinaio. Ha scoperto una quantità di specie prima sconosciute in Svizzera". Per qualche anno il commercio di piante di Schleicher dovette andare a gonfie vele; numerosi suoi campioni sono presenti nei principali erbari europei; era in corrispondenza con molti importanti botanici (vendette molti esemplari a Balbis e ci è rimasta una lettera a Persoon); forniva semi al celebre vivaio londinese Loddiges che lo cita come fornitore di varie piante alpine offerte per la prima volta sul mercato britannico. L'ampliamento dell'offerta è testimaniato dalle successive edizioni del catalogo (1807, 1815, 1821, le ultime due con il titolo Catalogus hucusque absolutus omnium plantarum in Helvetia cis et transalpina sponte nascentium), e da una serie di cataloghi specifici, uno riservato ai salici (1807) e diversi alle crittogame (Plantae Cryptogamicae Helvetiae 1803-1807), parzialmente riprodotti nella rivista diretta da Schräder "Neues Journal für die Botanik", nella quale nel 1805 Schleicher pubblicò anche il resoconto di un viaggio nella Svizzera italiana. Nelle liste delle crittogame si precisa che esse erano state reccolte e essicate da Schleicher; la precisazione è significativa se considerimo che al raccoglitore tedesco si deve l'introduzione del sublimato corrosivo (cloruro di mercurio) per la trattazione dei campioni d'erbario. Tra riedizioni, supplementi e cataloghi specifici, le pubblicazioni si intensificarono tra il 1803 e il 1808, poi intorno al 1815 il successo dovette cominciare a declinare. Ne è spia la curiosa iniziativa che Schleicher prese nel 1816: una lotteria il cui premio era costituito da exsiccata. Probabilmente, incominciava a farsi sentire la concorrenza dei fratelli Thomas, che avevano pubblicato il loro primo catalogo intorno al 1806. Seguendo il loro esempio, nel catalogo del 1815, Schleicher aggiunse all'offerta minerali e plantule di conifere; c'erano anche campioni di erbario di piante esotiche, provenienti da Francia meridionale, Italia e Ungheria, e prezzi differenziati: cento esemplari costavano 36 lire francesi per acquisti di meno di 200 campioni, 30 lire da 200 a meno di 400, solo 24 lire da 400 in su. Offriva inoltre erbari completi della flora Svizzera, collezioni di piante medicinali, i semi di "tutte le piante che si coltivano o si possono coltivare in giardino" al costo di 24 lire il centinaio, piante a radice nuda pronte da piantare a 6 soldi l'una quelle erbacee, 9 soldi quelle arbustive e arboree. L'offerta non finiva qui. Leggiamo infatti: "Quest'anno e i seguenti, se Dio vorrà, a casa mia nel villaggio subalpino di Bex, darò lezioni di botanica - un corso completo di questa scienza - ai giovani botanici che me ne faranno richiesta. Quando il tempo lo permetterà, accompagnerò gli allievi in escursioni botaniche, non solo perché vedano e raccolgano le piante nel loro luogo natale, ma anche perché osservino con me le caratteristiche della flora d'altitudine. Mostrerò loro il metodo per essiccare le piante durante il viaggio stesso, in modo che conservate nel modo più perfetto possano ornare l'erbario". Lezioni in lingua francese e prezzi da concordare. Sei anni dopo, nella quarta e ultima edizione, escursioni botaniche e lezioni private non ci sono più (ora Schleicher era sulla cinquantina, e probabilmente non se la sentiva più). Scompaiono anche i minerali, mentre rimangono inalterati prezzi e offerta di exisiccata, erbari completi, semi e piante vive. Compare invece una nuova postilla che ci informa su cosa coltivasse Schleicher nel suo giardino botanico: "Oltre alle piante svizzere, coltivo un grande numero di sassifraghe esotiche, indicate in una speciale appendice in calce al catalogo. In questo giardino spuntano già diverse specie dei generi Aconithum, Delphinium, Narcissus e Allium di cui gli amanti di questi generi possono trovare presso di me un catalogo annuale, sia delle specie che possiedo sia di una moltitudine di piante esotiche che giungono per scambi con gli amici". Non abbiamo traccia di questi cataloghi annuali (erano forse manoscritti? o non furono mai realizzati?). In ogni caso, gli anni felici erano orami alle spalle. Vecchio e malato, Schleicher non poteva più salire in montagna e per sopravvivere dovette smantellare il suo prezioso erbario personale. Contrasse molti debiti; tra i suoi creditori c'era anche Emmanuel Thomas, al quale fu costretto a cedere, come pagamento, tutte le crittogame dell'erbario e diversi generi di fanerogame. Nel 1832 si rivolse al Consiglio di Stato per mettere in vendita quanto rimaneva: "Dal momento che la mia età e la mia salute non mi consentono più di salire in montagna e di continuare il mio commercio di piante, mi vedo costretto a vendere la mia biblioteca e il mio erbario per vivere". Le autorità incaricarono della perizia il direttore delle saline Jean de Charpentier, che provvide con l'assistenza dell'amico Emmanuel Thomas; nella sua relazione, emerge che l'erbario delle piante straniere (circa 10.000) "un tempo veramente magnifico, ha considerevolmente perso valore perché ne sono state tolte le specie più rare e interi generi"; per contro, il lotto di 4073 specie e varietà della flora svizzera "era ed è ancora unico nel suo genre, perché è senza discussione la collezioni più completa e curata della Svizzera. Vi si trovano non solo le piante selvatiche, ma anche le variazioni che subiscono in coltivazione". La vendita andò in porto e l'erbario delle fanerogame fu acquistato dal Museo di scienze naturali di Losanna. Schleicher investì una parte del ricavato per riscattare gli esemplari che aveva dovuto cedere a Emmanuel Thomas. Morì due anni dopo, nel 1834; nel 1837 gli eredi vendettero allo stesso museo l'erbario delle crittogame. La parte più preziosa di questa collezione è costituita dai licheni; nella proposta d'acquista dei conservatori del museo leggiamo: "Questa collezione, composta da più di 1060 campioni, la maggior parte su pietra o legno, è preziosa da ogni punto di vista [...]. Ha grande valore agli occhi dei botanici perché i campioni sono stati determinati con cura e perché è il frutto del lavoro di molti anni ed ha potuto essere formata solo a prezzo di pene, cure e spese". Dalla Svizzera all'Asia sud-orientale Il significativo ruolo per la conoscenza della flora elvetica di questo farmacista divenuto cacciatore e commerciante di piante alpine è testimoniato dalla sua notevole presenza nella nomenclatura botanica. In primo luogo, anche se i suoi cataloghi sono meri elenchi, grazie al riferimento numerico alla flora di Haller (che, lo ricordo, usava nomi polinomiali, quindi non validi) ha introdotto alcuni nomi validi, come Hieracium canescens e Cnicus nudiflorus. Più numerose le denominazioni risalenti a lui ma introdotte attraverso altri autori che lo conobbero, erborizzarono con lui o furono sui clienti, come Campanula excisa introdotto da Murith, Phyteuma umile, Pedicularis ascendens e Festuca valesiaca introdotti da Gaudin, Lotus alpinus introdotto da Ramond. Una ventina di taxa portano in suo onore gli epiteti schleicheri e schleicherianus; si tratta di specie delle Alpi elvetiche per lo più presenti nei suoi cataloghi o nel suo erbario, ma in qualche caso anche da lui introdotte nei giardini britannici attraverso i vivai che acquistavano i suoi semi. Quattro sono tuttora validi: Alpagrostis schleicheri, Erigeron schleicheri, Fumaria schleicheri, Rubus schleicheri. Nel 1806 Willdenow, direttore di uno degli orti botanici cui forniva campioni e sementi, quello di Berlino, gli dedicò il genere Schleichera, purtroppo senza esplicitare la motivazione; si limitò infatti a scrivere "Ho nominato questo genere in memoria del celebre Schleicher, svizzero". Con questo genere monotipico della famiglia Sapindaceae ci allontaniamo dalle Alpi svizzere per spostarci sulle pendici dell'Himalaya, sull'altopiano del Deccan e nelle foreste del sudest asiatico. Il suo unico rappresentante S. oleosa è infatti un albero tropicale presente soprattutto nelle aree aride e aperte del subcontinente indiano, di Ceylon, della Thailandia e dell'Indonesia. L'epiteto è dovuto all'alto contenuto di olio dei suoi semi; quest'ultimo, noto come olio di kusum, dal nome più comune della pianta in India, viene utilizzato per la cura dei capelli, ma anche come combustibile, in cucina e come unguento medicinale. Lo svizzero Albrecht von Haller fu una delle personalità più eminenti del secolo dei Lumi. Come poeta, ha mutato il modo di vedere la montagna, ha influenzato il sentimento romantico della natura e lanciato la moda delle escursioni alpine; come medico, ha distinto le funzioni dei nervi da quella dei muscoli e dato la prima descrizione completa delle funzioni del corpo umano; genio universale, poligrafo, giornalista e polemista, i suoi scritti si contano a migliaia, incluse le 9000 recensioni di pubblicazioni su argomenti che vanno dalla filosofia alla religione alla politica alla letteratura alle scienze naturali; ha influenzato il pensiero di personalità tanto diverse tra loro come Kant, Schiller e Hegel. Come botanico, ha donato alla Svizzera la flora più completa del suo tempo. Non era né amabile né modesto, anzi adorava la polemica, e Linneo era uno dei bersagli preferiti dei suoi strali; tuttavia non gli ha fatto mancare la dedica del vistoso genere Halleria. Poeta, fisiologo, bibliografo... Nel luglio 1777, di ritorno da Parigi, dove si era recato anche per risolvere l'imbarazzante situazione matrimoniale della sorella Maria Antonietta (a sette anni dalle nozze, mancava ancora un erede, per una ragione molto semplice: il matrimonio non era mai stato consumato), l'imperatore Giuseppe II passò da Berna. Viaggiava in incognito, sotto il nome di conte di Falkestein, e fece visita a una sola persona: il medico e scienziato Albrecht von Haller (1708-1777); tralasciò invece Ferney, con grande disappunto di Voltaire. Haller era da tempo malato (sarebbe morto pochi mesi dopo) e ricevette l'augusto e inatteso il visitatore in veste da camera e berretto da notte, semisdraiato su una bergère. L'imperatore conversò con lui per oltre un'ora, riconoscendo in quel vecchio piegato dalla malattia almeno lo spirito che l'aveva reso uno degli uomini più ammirati dell'Europa dei Lumi. A commento dell'episodio, nella mostra che il Museo storico di Berna dedicò al più illustre dei bernesi in occasione del trecentenario della nascita leggiamo: "Il segno di ammirazione più prestigioso gli fu tributato dall'imperatore d'Austria Giuseppe II che andò a fargli visita nella sua casa di Berna". E prosegue: "Un erudito universale e enciclopedico: Albrecht von Haller fu uno degli ultimi a poter abbracciare tutte le conoscenze del suo tempo". La sua cultura era vastissima e la sua opera ha lasciato un'impronta profonda nei campi più disparati: come poeta e cantore delle Alpi, mutò la concezione della montagna e lanciò la moda del turismo alpino in Svizzera; come medico, gettò le basi della moderna fisiologia del corpo umano; come botanico, scrisse la prima flora completa della Svizzera. Ma si occupò anche politica, della relazione tra scienza e fede, scrisse tre romanzi, creò una delle biblioteche più importanti d'Europa (ben 23.000 volumi). La sua corrispondenza conta quasi 17.000 lettere, scambiate con 1.139 corrispondenti. Haller (per quarant'anni non ci sarà alcun von davanti al suo cognome) era figlio di un avvocato e funzionario; dopo la formazione iniziale nella città natale, adolescente iniziò gli studi di medicina a Tubinga, poi li continuò a Leida dove fu allievo del grande Boerhaave, che gli trasmise un metodo strettamente sperimentale. A Leida incontrò un altro svizzero affamato di conoscenza, lo zurighese Johannes Gessner, con il quale strinse una fervida amicizia. Dopo la laurea nel 1727, approfondì gli studi di medicina a Londra e a Parigi; qui assistette a molti interventi chirurgici, praticamente tutti mortali, e decise che non sarebbe stato chrirugo, ma anatomista. A Parigi ritrovò anche Gessener, con il quale andò a Basilea per seguire i corsi di matematica di Bernoulli e nell'estate fece un memorabile viaggio a piedi nel Giura e nelle Alpi. Reduce dal soggiorno parigino, fu profondamente colpito dalla maestosità delle Alpi e dalla semplicità della vita dei loro abitanti, che contrapponeva a quella artificiosa e corrotta dei cittadini; sono i sentimenti che ispirarono il più celebre dei suoi poemi, Die Alpen ("Le Alpi"), scritto nel 1729. Come vedremo meglio più avanti, l'incontro con le montagne fu anche quello con la flora alpina. Per qualche anno fu attivo come medico a Berna, dove creò un teatro anatomico, ma non ebbe molto successo; dal 1735 fu bibliotecario della città. Anche se aveva già iniziato le ricerche di fisiologia e botanica che lo avrebbero reso famoso, in questi anni era noto soprattutto come poeta (è del 1732 la raccolta Versuch schweizerischer Gedichte): la sua è una poesia filosofica, in cui riflette sulla fede e sui limiti della ragione, sull'origine del male, sull'eternità. Aspirava a una carriera politica e polemizzò ferocemente contro la corruzione e la degenerazione oligarchica del governo della sua città; ciò finì per chiudergli tutte le porte. Nel 1736, quando le sue candidature a medico cittadino e professore di eloquenza furono respinte, decise di accettare la cattedra di anatomia, chirurgia e botanica all'Università di Gottinga. L'università Georg-August era appena nata (era stata fondata due anni prima dall'elettore di Hannover, ovvero dal re d'Inghilterra Giorgio II), Gottinga era ancora una cittadina di provincia, non mancarono le difficoltà e i lutti privati (la morte delle prime due mogli), ma si respirava un'atmosfera aperta di libera ricerca. Haller creò il teatro anatomico, l'orto botanico e la prima clinica ostetrica di Germania. Come insegnante, attirò frotte di studenti da tutta la Germania. All'insegnamento poté affiancare un'ampissima attività sperimentale; grazie a non meno di 350 autopsie e a esperimenti sistematici sugli animali (purtroppo sì, su di essi praticava la vivisezione) diede una descrizione completa del sistema arterioso, approfondì le conoscenze sulla respirazione e lo sviluppo del feto e dimostrò che l'irritabilità è dovuta ai muscoli e la sensibilità ai nervi. Cominciarono a susseguirsi una serie di opere monumentali, a cominciare dai sette volumi di Erläuterungen zu Boerhaaves Institutiones (1739-1744) e dagli otto fascicolo delle Icones anatomicae (1743-1756), per culminare con gli otto volumi di Elementa physiologiae corporis humani (1757-1766). In questo testo di riferimento fondamentale, riedito fino all'inizio del Novecento, che lo fece salutare "padre della fisiologia", diede una descrizione completa delle strutture del corpo umano e delle loro funzioni. Non meno importante il suo ruolo come organizzatore culturale. Nel 1747 fu nominato direttore scientifico della rivista Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen, che nel 1752 mutò il titolo in Göttingische Gelehrte Anzeigen e dal 1753 divenne l'organo della Società reale delle Scienze di Gottinga. Di quest'ultima, fondata nel 1751 per volontà di Giorgio II, fu uno dei soci fondatori e presidente a vita. La rivista, seguitissima anche al di fuori della Germania, aveva (anzi ha, visto che ancora esiste ed è la più antica rivista scientifica di lingua tedesca ancora in attività) carattere universalistico e pubblicava recensioni critiche delle pubblicazioni tedesche e straniere in campo letterario, scientifico, economico, storico, ecc. Per Haller divenne la palestra dove esercitare il suo sapere enciclopedico e il suo spirito critico (e non di rado la sua vis polemica). Continuò a scrivervi anche dopo il ritorno a Berna, pubblicando più di 9000 recensioni. Inoltre collaborava con moltissime altre riviste scientifiche, sulle quali pubblicava soprattutto articoli di medicina e botanica. La fama e gli onori incominciarono a moltiplicarsi. Nel 1743 fu ammesso alla Royal Society, nel 1747 all'Accademia delle Scienze svedese; le università di Oxford e Utrecht gli offrirono una cattedra, le rifiutò così come l'invito di Federico II a trasferirsi a Berlino. Accolse invece con soddisfazione il cavalierato e il titolo onorifico di medico di corte conferitogli da Giorgio II e il titolo nobiliare che venne dall'imperatore Francesco. Ma il suo vero sogno era tornare in patria e ottenere il meritato riconoscimento di una carriera pubblica. Fin dal 1745, benché risiedesse a Gottinga, era membro del Gran consiglio della città e nel 1753, rifiutato per la seconda volta l'invito di Federico II, tornò a Berna. Come si sa, nemo profeta in patria. I maggiorenti della città non aveva dimenticato le satire politiche dell'età giovanile. Ottenne solo incarichi di secondo piano: dal 1753 al 1757 fu intendente di palazzo della città (Rathausammann); fu eletto presidente della Società economica e cofondatore dell'orfanatrofio. Nel 1758 fu nominato direttore delle saline di Roche nel Vaud e dal 1762 vicegovernatore d'Aigle; fino al 1764, quando l'incarico terminò, visse a Roche, dove ebbe modo di estendere i suoi studi ai modi più economici per ricavare il sale e poté riprendere le ricerche sulla flora alpina. Nel 1764 acquistò la signoria de Goumoens-le-Jux e assunse il nome di Haller von Goumoens. Fece poi ritorno a Berna. Tra il 1764 e il 1773, per ben nove volte, si candidò al Piccolo consiglio, ma non fu mai eletto. Nel 1769, fu richiamato a Gottinga nella veste di cancelliere, ma rifiutò in seguito alla nomina ad assessore perpetuo del Consiglio della sanità di Berna. A trattenerlo a Berna era anche la salute ormai compromessa. Da ragazzo, era stato malaticcio, ma poi le camminate e le scalate lo avevano reso un agile e vigoroso alpinista. A Göttingen, con il superlavoro, vennero l'insonnia, i mal di testa feroci, lo stomaco in disordine. Con l'età si aggiunsero verigini, artrite, gotta, obesità, una tormentosa infezione delle vie urinarie. Per ritrovare il sonno ed alleviare il dolore incominciò a ricorrere all'oppio; ne divenne dipendente e dovette assumerme quantità sempre maggiori. I suoi ultimi anni furono quelli di un valetudinario, precocemente invecchiato. Eppure riuscì ancora a scrivere un'altra opera gigantesca, la quattro Bibliothecae, in parte pubblicate postume: Bibliotheca botanica (1771-72), Bibliotheca anatomica (1774-1777), Bibliotheca chirurgica (1774-1775), Bibliotheca medicinae practicae (1788). Si tratta di una bibliografia completa, e spesso di un esame critico, di tutto ciò che era stato pubblicato su queste materie dall'antichità ai suoi tempi, per un totale di 52.000 titoli. Nei suoi ultimi anni, la maggiore preoccupazione di von Haller andava alla sorte della sua immensa biblioteca. Dopo la sua morte, gli eredi la vendettero al governo austriaco, a condizione che fosse mantenuta intatta; destinata alla Lombardia, fu invece smembrata tra varie biblioteche. I due fondi più consistenti sono conservati alla Braidense di Milano e alla biblioteca universitaria di Pavia, con circa 3000 volumi e altrettante dissertazioni. A Pavia era giunto anche l'immenso erbario di Haller; durante la Campagna d'Italia nel 1796 i francesi se ne appropriarono e fu portato a Parigi; dopo la caduta di Napoleone, il governo austriaco non lo reclamò (scarso interesse per la botanica?) e lì è rimasto. I suoi 59 volumi in folio sono oggi conservati all'Herbier national presso il Museum d'Histoire naturelle. E botanico! Quel gigantesco erbario era frutto degli invii dei suoi numerosissimi corrispondenti, ma in larga parte anche delle raccolte dirette di van Haller che nella sola Svizzera compì almeno 25 escursioni botaniche. Infatti la botanica, dopo la fisiologia e l'anatomia, fu il campo scientifico cui più applicò il suo genio. Egli aveva trascorso l'infanzia in una piccola proprietà a circa cinque km da Berna, sulla riva dell'Aar, tra una collina e una foresta, un paesaggio amato che indirizzò i suoi futuri sentimenti verso la natura. All'epoca la botanica (dalle piante si ricavano gran parte dei medicamenti) faceva parte del bagaglio professionale di ogni medico, e certo Haller l'avrà studiata già a Tubinga, ma il primo contatto documentato avvenne a Leida, dove il venerato maestro Boerhaave nella stagione propizia aveva l'abitudine di iniziare ogni giornata didattica con una rituale visita all'orto botanico, circondato dai suoi studenti. La botanica era già una passione per l'amico Gessner, che prima di spostarsi a Leida aveva raccolto un erbario nello zurighese e sulle Alpi. È possibile che, quando studiavano insieme a Basilea, sia stato lui a proporre di percorrere a piedi i distretti alpini della Svizzera occidentale e centrale durante le vacanze accademiche, anche e soprattutto per raccogliere piante. Se fino ad allora per Haller il loro studio aveva fatto parte del necessario bagaglio professionale, quel viaggio fatidico ebbe il senso di una duplice scoperta: delle Alpi e dei loro abitanti, cantati nel suo celebre poema, e delle piante alpine. Dopo il ritorno a Berna nella primavera del 1729, Halle rcominciò a dedicare il tempo libero agli studi botanici; fece molte spedizioni, brevi o lunghe, in diverse valli alpine e fino alla sua partenza per Gottinga ogni anno dedicò a questi viaggi botanici almeno un mese delle vacanze estive. Per quest'uomo iperattivo e fondamentalmente asociale, che oggi definiremmo senza mezzi termini workaholic, le lunghe escursioni, le scalate anche impegnative, il contatto con la gente semplice della montagna, la raccolta e la metodica preparazione delle piante alpine aveva anche un forte valore terapeutico. Lettore compulsivo, accompagnava la ricerca sul campo con lo studio metodico di tutto ciò che era stato scritto e si andava scrivendo sulla scienza delle piante; aveva grande venerazione per i grandi botanici del passato, e in particolare per Tournefort, la cui opera a suo parere segnava un tale spartiacque che in Bibliotheca botanica intitolerà il primo tomo "Epoche prima di Tournefort" e il secondo "Da Tournefort ai nostri tempi". Tuttavia il suo approccio era totalmente diverso; anche in botanica era essenzialmente un empirico e rifiutava una netta gerarchia tra classi, ordini, generi. Il suo stesso concetto di specie era aperto e sfumato (e sorprendentemente moderno): al contrario di Linneo, che credeva nella fissità delle specie, immutate dal momento della creazione, egli aveva invece constatato che in natura la variabilità è la norma: non solo la vegetazione muta con l'ambiente e l'altitudine, ma la stessa pianta cresciuta in ambienti diversi, oppure in natura o in coltivazione, assume caratteristiche differenti. Strumento essenziale per studiare questa variabilità era l'erbario, dove raccoglieva molti esemplari della stessa pianta in diversi stadi di sviluppo raccolti in più località e habitat. Mentre andava preparando un'opera complessiva sulla flora svizzera, pubblicò su varie riviste scientifiche brevi articoli di argomento botanico o monografie su generi specifici, come De alii genere naturali (1745); infine nel 1742, diede alle stampe la prima versione della sua flora svizzera, Enumeratio methodica stirpium Helvetiae indigenarum, in due volumi, corredati da 24 eccellenti tavole disegnate dal pittore ginevrino Jean Huber e incise dall'artista di Gottinga G.D. Heumann. Mentre il suo amico Johannes Gessner fu uno due primi ad adottare il sistema linneano, Haller lo considerava del tutto lontano dalla natura; si sforzò dunque di creare un proprio sistema "naturale" basandosi su un insieme di caratteristiche, e in particolare la mancanza o la presenza di fiori e semi, le caratteristiche dei fiori e quelle dei semi. A inaugurare l'opera sono le tre classi delle "piante apetale prive di stami", ovvero alghe, funghi, licheni, "piante apetale prive di stami cospicui", ovvero muschi, licopodi, marsilie, "piante con semi prive di fiori e apici cospicui", ovvero le felci. Seguono le piante "dotate di petali e stami cospicui", suddivise in un numerose classi, generi e ordini (una categoria inferiore al genere, corrispondente grosso modo al sottogenere). Di ogni specie è data una breve diagnosi, che ne è anche il nome polinomiale, seguita dai sinonimi degli autori precedenti, una descrizione più dettagliata, informazioni sulla localizzazione e l'habitat (mai così attente e dettagliate in nessun autore precedente); concludono, ove noti, gli eventuali usi medici e economici. Rilevante per il gran numero di specie descritte e per l'attenzione riservata a distribuzione e habitat, l'opera è particolarmente notevole per le crittogame, molte delle quali descritte per la prima volta. Essa fu pubblicata a Gottinga, che Haller aveva trasformato in un importante centro di studi botanici con la creazione di un orto botanico che si ispirava a quello di Leida. Presto si arricchì di piante fatte venire dai quattro angoli del mondo e divenne una delle principali attrazioni della città. Haller ne diede anche il catalogo; inoltre completò e pubblicò Flora jenensis di Heinrich Bernhard Ruppius. Intanto continuava ad arricchire il suo erbario grazie agli invii dei suoi corrispondenti, perfezionava il suo sistema e meditava una seconda edizione della sua flora. A dare nuovo impulso alle sue ricerche sulla flora elvetica fu però la nomina a sovrintendente delle saline e il trasferimento a Roche, nel cuore delle montagne del Vaud. Riprese a percorrere le montagne, ma soprattutto ingaggiò, perché raccogliessero per lui, le guardie forestali delle saline; i più attivi ed abili si rivelarono Pierre e Abraham Thomas. Anche altri raccoglievano per lui; citiamo almeno il giovane Horace Bénédict de Saussure che fece la sua prima escursione nella Valle di Chamonix proprio come raccoglitore di von Haller. Il risultato non fu una semplice seconda edizione, ma una nuova opera fortemente ampliata, Historia stirpium indigenarum Helvetiae inchoata, in tre volumi, pubblicata a Berna nel 1768. Secondo Cuvier, "a quei tempi era la più ricca flora d'Europa". Arricchito era anche l'apparato iconografico, con 25 tavole aggiuntive. Complessivamente, tra piante da fiore, felci, muschi, licheni, alghe e funghi, le specie trattate sono circa 2000; le specie descritte per la prima volta, prevalentemente alpine, sono circa 300. Il primo volume si apre con una prefazione di enorme importanza storica, De plantis Helveticis, in cui von Haller illustra le caratteristiche geografiche, climatiche, geologiche del paesaggio elvetico, individua una serie di ambienti naturali e analizza la distribuzione delle specie in base all'altitudine e al clima, giungendo anche a definire diverse associazioni vegatali. È insomma un vero saggio di fitogeografia che non mancherà di influenzare Humbold. Rispetto all'ancora incerto sistema di Enumeratio methodica, Haller ha fatto enormi passi nella ricerca di un sistema naturale; ora le piante sono raggruppate in diciannove classi, a partire da quelle dotate di petali e stami fino ai funghi ("plantae staminibus nullis"), procedendo quindi in ordine inverso rispetto all'opera precedente. Siamo ancora lontani dal sistema naturale basato sul concetto di famiglia (anche se qualche famiglia naturale fa qua e là capolino), ma il sistema di Haller non mancò di esercitare qualche influenza su de Candolle. De Candolle ruppe con il sistema sessuale di Linneo a favore di sistema naturale, ma mantenne la nomenclatura binaria. Invece von Haller rimase ostinatamente legato alla tradizionale nomenclatura polinomia. Le motivazioni sono molteplici; c'entravano il rispetto per la tradizione e i grandi botanici del passato, la rivalità personale con Linneo, ma soprattutto per lui era inaccettabile una nomenclatura basata sui concetti di genere e specie; abbiamo già visto che concepiva le specie in modo diverso da Linneo; quanto al genere, a parte qualche caso evidente, distaccandosi anche dall'ammirato Tournefort, lo riteneva un'unità artificiale, una creazione speculativa dei botanici. Non comprendendo l'importanza di separare la denominazione dalla determinazione, riteneva i nomi binomi inadeguati e imprecisi. Questa scelta gli costò cara: dato che la nomenclatura binomiale è diventata lo standard, le specie da lui scoperte, prive di un nome binomiale valido, oggi portano nomi stabiliti da altri; qualcuno lo recuperò, adattandolo, il suo discepolo de Saussure. Alle offese, si risponde con un fiore Fin dalla gioventù, quando si alienò i maggiorenti di Berna con le sue satire, von Haller non si tirava indietro quando si trattava di polemizzare. Polemizzò con Voltaire, di cui lui, luterano profondamente religioso, detestava l'irriverenza, il teismo e la filosofia pessimistica della storia; con il materialismo di La Mettrie, che riduceva il corpo umano a una macchina; con le idee politiche di Rousseau, che pure era un grande ammiratore della sua flora. E soprattutto, polemizzò instancabilmente contrò Linneo, il suo sistema, i suoi nomi, la sua pretesa di essere il "principe dei botanici" e il "nuovo Adamo" che aveva ribattezzato piante e animali. Nelle sue lettere a de Saussure, lo chiamava sarcasticamente "il tiranno del Nord". Al di là delle concezioni profondamente diverse della botanica, contavano molto anche tratti caratteriali e il desiderio di entrambi di imporre la propria supremazia sulla "repubblica delle lettere". Un contemporaneo svedese ebbe a dire: "Assomigliavano a Cesare e Pompeo. Uno, il nostro Linneo, non tollerava uguali, e l'altro, Haller, non tollerava superiori. E vice versa". Per qualche anno i due avevano manifestato reciproca stima, furono addirittura amici di penna e corrisposero a lungo. Nonostante le critiche di Haller alla sua Flora svecica (1743), Linneo manifestò grande apprezzamento per la trattazione della crittogame di Enumeratio methodica e nel 1747 favorì l'ammissione di Haller all'Accademia svedese delle scienze. Poi le cose incominciarono a guastarsi, tra insinuazioni e pettegolezzi dei reciproci entourages, e nel 1749 le relazioni si interruppero definitivamente. Nelle sue recensioni per la rivista di Gottinga, lo svizzero demolì sistematicamente le opere dello svedese e addirittura tra il 1750 e il 1753 incaricò il figlio Gottlieb Emanuel di scrivere una serie di pamphlet contro Linneo. Bisogna ammettere che in questo scontro il più signorile fu quest'ultimo: come aveva promesso al comune maestro Boerhaave non interveniva mai di persona nelle polemiche, e in Species plantarum fu abbastanza magnanimo da confermare la dedica al rivale di un genere che aveva istituito ai tempi della loro amicizia, in Hortus Cliffortianus, Halleria "in onore del dottissimo botanico Albrecht Haller, professor di botanica a Gottinga. E non si tratta di una pianta sgradevole e puzzolente, come la Siegesbeckia affibiata all'odiato Siegesbeck, o di un ritratto vegetale per lo meno ambiguo come Milleria per un altro pervicace oppositore delle denominazioni binomiali, Philip Miller. Le sudafricane Halleria lucida e H. elliptica, le due specie note a Linneo, sono infatti piante di sontuosa bellezza, potremmo dire un omaggio regale. Il genere Halleria (Stilbaceae, in precedenza Scrophulariaceae) comprende cinque specie di alberi e arbusti diffusi nell'Africa tropicale e meridionale e in Madagascar. Per i loro fiori spettacolari in inglese sono dette Tree fuchsia, fuchsia arborea, anche se con le vere fucsie non hanno alcuna parentela. Il centro di diversità è il Sudafrica, dove sono presenti tre specie su cinque, una delle quali (H. ovata) endemica; H. ligustrifolia e H. parviflora sono endemiche del Madagscar; H. lucida ha un ampio areale che va dall'Etiopia al Sudafrica, mentre H. elliptica ha distribuzione digiunta ( Malawi, Sudafrica, Madagascar). La specie di maggiore diffusione è anche probabilmente la più attraente. H. lucida è un piccolo albero dalla chioma arrotondata, con rami elegantemente arcuati e foglie lucide persistenti; diventa spettacolare al momento della fioritura, quando si ricopre di fiori tubolari da arancio a rosso mattone, raccolti in infiorescenze a grappolo alle ascelle delle foglie o portate direttamente sul tronco. Molto attraenti anche i frutti, bacche dapprima verdi poi nere a maturazione, eduli, di sapore dolce ma tendenzialmente allappanti. I fiori sono ricchi di nettare e sono impollinati da uccelli nettarini. Non è raro che un genere celebrativo onori allo stesso tempo due persone: un padre e un figlio, come Tradescantia per i due John Tradescant, due fratelli come Bauhinia per Jean e Gaspard Bauhin, magari due ricercatori che hanno collaborato, come Whitesloanea per gli specialisti di Cactaceae A. C. White e B. L. Sloane. Tuttavia è certo eccezionale il caso del genere Thomasia che celebra ben cinque persone, ovvero tre generazioni della stessa famiglia, quella dei raccoglitori e commercianti di piante svizzeri Thomas. A inaugurare la serie è a metà Settecento Pierre, guida e raccoglitore di Albrecht von Haller; quindi suo figlio Abraham, che ne prosegue l'attività e collabora con molti botanici affascinati dalle piante alpine; infine i suoi tre figli Philippe, esploratore della flora sardo-corsa, Louis, grande raccoglitore della flora calabra e collaboratore di Tenore, e Emmanuel, che trasformò la raccolta di piante e semi in un'impresa commerciale di successo. Tutti insieme scrissero una pagina importante della scoperta delle piante svizzere (ma anche italiane). I fondatori: Pierre e Abraham Nel 1754 il grande scienziato Albrecht von Haller venne nominato sovrintendente delle saline del distretto di Aigle nel Vaud, di proprietà del cantone di Berna. Egli prese molto sul serio l'incarico, benché gli garantisse entrate più che modeste: gli permetteva infatti di ritrovare l'amato paesaggio delle Alpi, alle quali in gioventù aveva dedicato un celebre poema, e di riprendere le ricerche sulla flora svizzera, in vista della seconda edizione ampliata della sua Enumeratio metodica stirpium Helvetiae indigenarum (la prima edizione era uscita nel 1742). Dal 1758 al 1764 visse nel castello di Roche, come un po' pomposamente veniva chiamata la dimora del sovrintendente, vi traferì la sua immensa biblioteca, il suo studio e il suo laboratorio; finché l'età e la salute glielo permisero, percorreva regolarmente le foreste e le montagne del distretto, sia per assolvere le sue funzioni sia per raccogliere piante e studiarle dal vivo. A fargli da guida erano le guardie forestali dipendenti dalle saline, alle quali demandò la raccolta di piante, quando per lui si fece difficile salire in montagna, o, come si espresse poeticamente, "alzarsi come un uccello sulle altezze". Insegnò loro a raccogliere e seccare correttamente gli esemplari, a distinguere le piante rare, a osservare e annotare i luoghi di raccolta, le condizioni di crescita, gli habitat. Nella prefazione a Historia Stirpium Indigenarum Helvetiae Inchoata, Haller ricordò con gratitudine i nomi di alcuni di loro; tra tutti spiccano quelli di Pierre Thomas (1708-1781) e di suo figlio Abraham (1740-1824). Pierre era un montanaro di Frenières; abitava con la moglie Madeleine in uno chalet della frazione di Les Plans, situata a circa 1000 metri in una valle circondata da imponenti monti calcarei; dai documenti risulta che fu assunto ufficialmente come guardia forestale delle saline nel 1761, ma il suo incontro con Haller risale a diversi anni prima. Anche se la sua istruzione era quella modesta dell'abitante di un piccolo villaggio di montagna, era dotato di intelligenza naturale, di una grande capacità di osservazione ed era un camminatore instancabile; a cementare l'insolita amicizia tra questo montanaro taciturno e il patrizio bernese Haller, il comune amore per la montagna e le sue piante. Pierre dapprima lo accompagnò alla scoperta delle montagne che circondano Les Plains, poi percorse per lui alla ricerca di piante il Vallese, i Grigioni e si spinse fino alle Alpi italiane. Ecco l'itinerario di uno di questi viaggi: nel 1763, partito da Bex, Pierre attraverso il passo di Cheville che collega il Vaud con il Vallese raggiunse Zermatt, quindi passò in Valtournenche, rientrando attraverso il colle del Gran San Bernardo. Gli era compagno il figlio Abraham, che partecipava alle raccolte paterne fin da bambino; era così abile e sveglio che appena diciottenne fu inviato da Haller ad esplorare da solo l'area del Furka. L'opera di Haller aveva attirato l'attenzione dei botanici sulla flora delle montagne svizzere e il ritorno dello studioso a Berna (il suo incarico terminò nel 1764) non mise fine alle attività botaniche di Pierre ed Abraham, che anzi si traformarono in un piccolo commercio. I Thomas accompagnavano i visitatori come guide in spedizioni botaniche, raccoglievano e preparavano esemplari per i collezionisti; si deve probabilmente a Abraham la creazione di un piccolo orto botanico dove seminava piante alpine destinate soprattutto alla produzione di sementi e piante vendute a radice nuda. Nel 1775, per essere più vicini ai potenziali clienti, i Thomas trasferirono la loro abitazione a Fenalet, a metà strada tra i Plans e Bex. Pierre incominciava a sentire il peso dell'età; nel 1764 chiese alla direzione delle saline di essere affiancato come guardia forestale dal figlio, che nel 1779 gli subentrò. Due anni dopo Pierre moriva all'età di 73 anni. Grazie alle testimonianze dei diversi visitatori che nell'ultimo quarto del secolo frequentarono la casa di Fenalet, trasformata in un vero e proprio cenacolo di botanica da Abraham, conosciamo il figlio molto meglio del padre. Il giardiniere e botanico Thomas Blaikie (il creatore del parco di Bagatelle) che fu più volte ospite dei Thomas nel 1775, ha scritto di lui: "superava suo padre in intelligenza. Era dotato di un'agilità, di un vigore e di una memoria stupefacenti, accompagnati da un vero genio per l'osservazione". Un altro habitué, il poeta tedesco Matthison, afferma: "quest'uomo conosce a memoria e in modo esatto la flora alpina [...]. Mostrategli una qualsiasi montagna del Vallese o del distretto di Aigle: vi indicherà in modo infallibile le piante di ogni zona, il mese di fioritura, se all'ombra o al sole, nelle paludi o vicino a una sorgente, nel bosco o tra le rocce". Furono molti i visitatori che approfittarono della sua sapienza (e della sua agilità: sempre secondo Matthison, già vecchio nelle arrampicate ancora sfidava camosci e stambecchi)le della generosa ospitalità di sua moglie Marie-Susanne-Catherine Echenard - una grande appassionata di mitologia, sempre con un libro in mano mentre si occupava della cucina e delle faccende di casa: il botanico ginevrino Jacques Roux, il naturalista di Nechâtel Louis Perrot, il pastore e botanico Gaudin, autore di Flora helvetica, l'allievo di questi Jacques Étienne Gay, il canonico Laurent-Joseph Murith, autore del primo libro dedicato alla flora del Vallese, Le guide du botaniste qui voyage dans le Valais, che molto deve all'assistenza di Abraham Thomas e di suo figlio Louis, costante compagno di viaggio del canonico. Murith collezionava anche minerali, conchiglie e fossili, che probabilmente su suo suggerimento andarono ad aggiungersi agli oggetti naturali raccolti e forniti dai Thomas. In quarant'anni di attività, Abraham fece progredire la conoscenza delle piante alpine, percorrendo e ripercorrendo le valli di Saas, Saint-Nicolas, Bagnes, Anniviers, Hérens e Binn, le pendici del Gran San Bernardo, del Cervino, del Monte Moro e i passi del Sempione, del Gries, del Furka, del Grimsel, della Gemmi, e molti altri. Stimato dai concittadini, nel 1781 fu nominato "giustiziere e consigliere di Bex per la competenza di Fenalet". Intorno al 1802, la famiglia si spostò ai Dévens, dove Abraham fece costruire per la comodità dei suoi ospiti la "casa rossa", attorno alla quale trasferì il suo orto botanico alpino. Una sola cosa mancava a quest'uomo ammirevole: il senso degli affari. Era troppo generoso con i suoi clienti, che considerava più che tali amici ed ospiti, per arricchirsi con il commercio di exsiccata, sementi, minerali, conchiglie, e di un "tè svizzero" la cui formula gli era stata insegnata da von Haller in persona. Mme la justicière trattava fin troppo generosamente i visitatori che, tra una scalata e l'altra, erano ospiti dello chalet di Fenalet e il marito non di rado inseriva una pianta rara, a titolo gratuito, nel plico di un invio. Intanto la famiglia cresceva: la coppia Thomas ebbe sette figli, due femmine e cinque maschi, ma solo tre raggiunsero l'età adulta: in ordine di età, Philippe, Louis e Emmanuel. . I figli: Philippe, Louis e Emmanuel Come il nonno e il padre, i tre ragazzi Thomas avevano la botanica nel DNA. Fin da piccoli furono abituati a percorrere le montagne e ad imparare a distinguere le piante direttamente dal libro della natura, ma contrariamente a loro poterono anche viaggiare e godere di un'educazione formale. Quello che conosciamo meno è il maggiore dei tre sopravvissuti, Philippe (Pierre-Philippe-Louis, 1782-1831), al quale finora non è stato dedicato alcun studio approfondito, nonostante la sua importanza tra i primi esploratori della flora corso-sarda. Sappiamo che studiò medicina e che, oltre che in Svizzera e sulle Alpi, fece raccolte nei Pirenei. Nel 1814 fu la guida di William Jackson Hooker in un ampio viaggio in Svizzera. In una lettera di diversi anni dopo a Henry Fox Talbot, Hooker lo ricorda così: "Il Thomas che mi accompagnò in larghissima parte della Svizzera era Philippe; lo considero un compagno eccellente e onorevole, profondo conoscitore della botanica dell'intero paese [...]. Thomas intendeva visitare alcune isole del Mediterraneo". Qualche anno dopo avrebbe realizzato il suo sogno trasferendosi come medico a Cagliari, dove giunse tra il 1823 e il 1825. Presto entrò in contatto con Moris, di cui divenne uno dei più assidui collaboratori; in Flora sardoa, è citato quasi cento volte per esemplari raccolti sia in Sardegna, sia (sono i più numerosi) in Corsica. Doveva spedire regolarmente le sue raccolte al fratello Emmanuel che vendette piante sarde a musei, orti botanici e collezionisti. Ne troviamo un elenco nei due cataloghi (Catalogue des plantes de Sardaigne, qui se vendent chez Emmanuel Thomas, à Bex), pubblicati da Emmanuel rispettivamente nel 1837 e nel 1841. All'epoca però Philippe era già morto; morì infatti a Cagliari nel 1831. Un ruolo ancora più importante di quello di Philippe per la flora sardo-corsa ebbe Louis (Charles-François-Louis-Alexandre, 1784-1823) per la flora del regno di Napoli. Anch'egli naturalmente ricevette l'addestramento paterno en plein air e fu frequente compagno di escursioni del canonico Murith, che fu dunque il suo secondo maestro. Aveva ereditato dal nonno e dal padre l'occhio clinico e ancora ragazzo scoprì nuove specie. Ma fece anche buoni studi: studiò latino e scienze naturali, quindi si spostò a Parigi e al Jardin des Plantes seguì le lezioni di botanica di Desfontaines e quelle di mineralogia di Haüy. Quindi viaggiò nel sud della Francia, nella Repubblica di Genova, in Piemonte e in Lombardia, dove frequentò per qualche tempo l'università di Pavia. Ritornato in patria, fu nominato guardia forestale del distretto di Aigle. Probabilmente progettava di rimanere in Svizzera e di rilanciare su basi economicamente più solide l'attività di famiglia. Seguendo l'esempio di un vicino e concorrente, J.-C. Schleicher, un farmacista di origine tedesca considerato l'inventore del primo catalogo commerciale di piante, Louis predispose e fece stampare il primo Catalogue de plantes suisses, pubblicato intorno al 1806. Nell'avvertenza ai lettori, Louis scrive: «Sull'esempio di mio padre, al quale l'immortale Haller ispirò il gusto per la botanica, consacrandone il nome nei suoi scritti, anch'io, fin dalla più tenera giovinezza ho dedicato gran parte del mio tempo a percorrere diverse parti della Svizzera, e soprattutto le Alpi, nelle cui vicinanze abito. Avendo così formato una numerosa collezione di piante, di cui posso fornire agli amatori esemplari ben preparati, così come semi e radici di specie rare che io coltivo a tale scopo in un giardino, ho ritenuto di dover porre sotto gli occhi del pubblico il catalogo di queste piante. Avrei potuto aumentarlo con un gran numero di specie comuni che non mi è sembrato necessario nominare; tuttavia coloro che desiderano procurasi un erbario completo della Svizzera lo troveranno presso di me». Forse alla fine del 1806 o all'inizio del 1807, il giovane botanico slesiano Berger, in viaggio per le Calabrie da poco riconquistate dai francesi, di passaggio in Svizzera propose a Louis di unirsi a lui nell'esplorazione della flora di quella regione ancora tutta da scoprire. Egli accettò e i due, muniti di salvacondotti, poterono fare ampie raccolte, che poi affidarono per la pubblicazione a Michele Tenore. Sulla strada del ritorno, erborizzarono in Puglia, quindi rientrarono a Bex dove si divisero. Ma Louis non rimase a lungo in patria; egli soffriva di una grave forma di asma, aggravata dal rigido clima alpino. In Italia era entrato in contatto con Louis Reynier, un funzionario originario del Vaud, appassionato di botanica; nel 1808 Murat lo nominò direttore delle poste e responsabile delle foreste. In questa veste, egli offrì a Louis Thomas l'incarico di ispettore forestale delle due Calabrie. Egli assolse così bene questa funzione che il governo borbonico gli mantenne l'incarico, aggiungendovi anzi la direzione di una salina. Con le sue raccolte della flora calabra, diede un prezioso e imponente contributo alla Flora napoletana di Tenore che così scrive di lui "diligentissimo e dotto botanico, corrispondente al Real Giardino per le Calabrie", arrivando addirittura a definirlo "divus Thomas". Anche se non pubblicò nulla, il suo contributo è ricordato dalle numerose specie da lui scoperte e dedicatogli da Tenore: Crocus thomasii, Sison thomasii, Cerastium thomasii, Quercus thomasii, Ranunculus thomasii, Campanula thomasii. Purtroppo anche in Calabria la sua asma andò progressivamente aggravandosi e Louis Thomas morì nel 1823, a soli 39 anni. A portare avanti gli affari di famiglia rimaneva il solo Emmanuel (Abraham Louis Emmanuel 1788-1859). Aveva ricevuto la stessa educazione dei fratelli e ne condivideva la competenza botanica e l'occhio del raccoglitore, ma in più aveva il senso degli affari. Fu lui a trasformare il piccolo commercio avviato dal nonno e dal padre in un'impresa commerciale di risonanza europea. Come il nonno Pierre aveva scoperto la botanica grazie a Haller, così Emmanuel trovò un amico in un grande studioso, Jean de Charpentier. Nominato direttore delle saline nel 1813, egli le rilanciò, sostituendo l'estrazione diretta del salgemma allo sfutttamento delle acque delle sorgenti salate che andavano progressivamente esaurendosi. Appena arrivato a Dévens, in attesa che la direzione delle saline gli costruisse una casa, Charpentier si stabilì al primo piano della casa rossa, mentre i Thomas abitavano al piano terra. Tra Emmanuel Thomas e Charpentier si stabilì una grande amicizia e uno scambio scientifico, che andava nelle due direzioni: grazie a Charpentier, Thomas divenne un eccellente conoscitore dei minerali della Svizzera, mentre a sua volta incoraggiò Charpentier a creare un erbario e lo assisté nella stesura della sua unica opera di botanica (Catalogue des plantes qui croissent spontanément dans les districts d'Aigle). Ma soprattutto, la presenza di Charpentier (divenuto una celebrità europea per i suoi studi sui ghiacciai) attirò ai Dévens molti rinomati naturalisti. La casa rossa e la casa del direttore delle saline sorgevano l'una vicina all'altra e le piante - alpine ma anche esotiche - passavano da un giardino all'altro, così come i visitatori. Tra di loro, per citare solo qualche nome più familiare agli amanti della botanica, troviamo Alphonse de Candolle, Adrien de Jussieu, Jean Gaudin, Jean Muret, creatore del più completo erbario della flora svizzera; tra i geologhi, Charles Lardy, Elie de Beaumont, Leopold von Buch, Louis Agassiz. L'attività commerciale di Emmanuel è testimoniata dai tre cataloghi (Catalogue des plantes suisses qui se vendent chez Emmanuel Thomas à Bex) che egli pubblicò tra il 1818 e il 1841, cui vanno aggiunti i due già citati cataloghi di piante sarde e due supplementi, usciti rispettivamente nel 1842 e nel 1853. Il più ricco è quello del 1837 che offre più di 600 generi e quasi 2000 specie. Il grosso è costituito da gimnosperme e angiosperme, ma c'è anche una discreta scelta di felci e qualche equiseto e licopodio. Il catalogo del 1841 è invece interamente dedicato alle crittogame e ai licheni, per reggere la concorrenza di Scleicher che era uno specialista di muschi e licheni. Per mettere insieme le collezioni, Emmanuel Thomas continuava a raccogliere in natura, viaggiava molto raccogliendo anche in Piemonte, nelle Alpi italiane, in Austria; per curare le relazioni con la sua clientela internazionale (musei, orti botanici, studiosi, grandi collezionisti) fu anche a Vienna, Parigi, Londra, dove visitò l'esposizione universale. Una parte dello stock di piante vive e semi, probabilmente minoritaria, era coltivata nel giardino-vivaio di Dévens, di cui però non conosciamo l'estensione (dunque neppure le capacità produttive). I prezzi erano modici e le consegne relativamente rapide. Una delle specialità erano le conifere. Nel 1807 già Abraham Thomas pubblicò una memoria sull'utilità di pini e abeti per il rimboschimento. Tra il 1835 e il 1872, la famiglia Thomas consegnò 250.000 pianticelle e più di quattro tonnellate di semi di larice, abete rosso e bianco, pino cembro e altre conifere. Il cliente più importante era il cantone del Vaud, ma molte piante venivano inviate in altre parti della Svizzera, in Francia o addirittura in Inghilterra. Il commercio delle conifere acquistò sempre più importanza mano a mano che ne perdeva quello di exsiccata e piante rare. Dopo la morte di Emmanuel nel 1859, la ditta continuò sotto la direzione del figlio Jean-Louis (1824-1886) e poi dei suoi discendenti, ma i tempi d'oro erano terminati. Gli erbari dei musei e dei grandi orti botanici possedevano già esemplari anche delle piante svizzere più rare e tenere un erbario non era più un hobby alla moda, la concorrenza era sempre più forte e nessuno cercava più guide alpine esperte di piante. Il cliente principale divenne il vivaio Vilmorin, al quale i Thomas inviavano piante vive e sementi. Sempre più in crisi, resistettero fino al 1900, quando la ditta cessò di esistere. Ai Dévens si possono ancora vedere la casa rossa e la casa grigia, che Emmanuel fece costruire intorno al 1825, poco dopo la nascita dell'unico figlio maschio Jean-Louis. L'orto botanico di Abraham e Emmanuel è tornato ad essere un semplice orto. Tuttavia nel 1891 per iniziativa della città di Bex il botanico Ernest Wilczek, direttore dell'orto botanico di Losanna, creò un orto botanico alpino nella Valle di Nant, al di sopra dei Plans-sur-Bex, dove era iniziata l'epopea dei Thomas. Battezzato in loro onore La Thomasia, ospita un arboreto e una collezione di quasi 3000 piante alpine provenienti da tutto il mondo. Un genere australiano per i botanici delle Alpi Abbiamo già visto che Tenore dedicò al "divus Thomas" diverse specie. Lo stesso onore è toccato ai fratelli Philippe, ricordato da specie della flora corsa come Armeria thomasii (oggi A. leucocephala) o sarda come Olopitum thomasii, ed Emmanuel, ricordato da una quindicina di specie alpine. Fu però un antico ospite della famiglia, il botanico Jacques Étienne Gay, nato nel Vaud ma fattosi parigino, a celebrare allo stesso tempo tre generazioni della famiglia con la dedica cumulativa del genere Thomasia: "Ho consacrato questo genere agli svizzeri Pierre e Abraham Thomas, contemporaei di Haller, nonché ai fratelli Philippe, Louis e Emmanuel Thomas, figli di Abraham e nipoti di Pierre, che, presi da fervido amore per la botanica, per un sessantennio non cessarono di percorrere le montagne e di conquistare piante per l'uso dei botanofili, che infine, grazie allo loro operosità, diedero un catalogo della flora svizzera tale che oggi essa è considerata tra le più ricche della superficie terrestre". A questi instancabili raccoglitori della flora elvetica però Gay non dedicò un genere svizzero e neppure alpino: le circa trenta specie del genere Thomasia (famiglia Malvaceae, in precedenza Sterculiaceae) sono infatti endemiche dell'Australia sud-occidentale, eccetto T. petalocalyx che è nativa del Victoria nell'Australia sud-orientale. Vivono in diversi ambienti, che vanno dalle dune sabbiose e gli affioramenti rocciosi, come T. sarotes, al sottobosco delle boscaglie come T. solanacea, alle brughiere come T. purpurea, alle foreste di eucalipti come T. petalocalyx. Sono arbusti da nani a medi, spesso con foglie molto decorative e fiori dai colori pastello resi spettacolari non dai petali, assenti o piccoli e non appariscenti, ma dai sepali che formano corolle a coppa o a campana piatta che ricordano un po' quelle dei Solanum. Tra le più notevoli, T. purpurea che al momento della fioritura si ricopre letteralmente di racemi color malva; T. quercifolia, con foglie molto attraenti e fiori rosa-porpora; T. pygmaea, che forma cespugli bassi e compatti ed è adatta anche alla coltivazione in contenitori. Molto apprezzate dal giardinaggio australiano, anche perché molte sono piante da sottobosco che ben si adattano agli angoli ombrosi, sono praticamente sconosciute in Europa. Alcune specie erano commercializzate nei cataloghi ottocenteschi e risulta che nel giardino Ricasoli sul Monte Argentario verso la fine del secolo si coltivasse, insieme a moltissimi altri arbusti australiani, anche T. solanacea. A parte qualche vivaio californiano, oggi non sembra siano commercializzate al di fuori dell'Australia. Firenze è la sede dell'Erbario centrale italiano, il più grande del nostro paese e uno dei primi dieci al mondo. L'importante collezione di briofite risale al lascito di un medico svizzero appassionato di botanica che si traferì in Italia e si fece fiorentino: Émile Levier. Raccoglitore meticoloso ed entusiasta, erborizzò non solo in Toscana, ma anche in Campania, in Abruzzo, nelle Alpi e, al di fuori dei nostri confini, partecipò a quattro spedizioni in aree all'epoca poco conosciute. Quando le briofite (muschi ed epatiche) occuparono il centro dei suoi interessi, con raccolte proprie e con l'apporto di una gigantesca rete internazionale, creò un vastissimo erbario briologico che dopo la sua morte passò appunto all'Erbario centrale. Lo ricorda l'esotico genere Levieria. Piante montane e briofite Il 21 agosto 1875 due escursionisti affrontano l'impegnativa scalata del Corno grande del Gran Sasso. Sono il medico Émile Levier e sua moglie Mathilde. A motivarli, più della passione sportiva, è l'amore per le piante. Émile (ma da quando dalla nativa Svizzera si è trasferito a Firenze non gli spiace essere chiamato Emilio) è infatti un appassionato botanico e da quando vive in Italia dedica l'estate e tutto il tempo lasciato libero dalla professione medica all'esplorazione della flora e da qualche tempo l'Abruzzo è diventato la sua area di caccia preferita. Sui ghiaioni e nelle fessure delle rocce attorno ai 2700-2900 metri, vivono numerose specie rupicole: Levier riconosce Papaver alpinum (oggi Oreomecon alpina), Draba cuspidata e l'endemismo appenninico Cerastium thomasii. È Mathilde la prima a notare una piccola specie a pulvino con fiori ormai secchi. I due Levier ne raccolgono pochi esemplari per l'erbario. Nel luglio dell'anno successivo la pianticella viene rinvenuta in piena fioritura al di sopra del Campo di Giove sulla Majella da due dei numerosi corrispondenti botanici di Émile, Pierre Edmond Boissier e Louis Leresche, anch'essi svizzeri e appassionati raccoglitori. Gli esemplari prontamente e generosamente condivisi con Levier gli confermano che si tratta di una specie inedita di Androsace; la battezza doverosamente A. mathildae, in onore della "coraggiosa moglie che per prima vide la rara pianticella durante l' ascensione del Gran Sasso [...] e con me ne raccolse pochi esemplari". Segnalata solo in Abruzzo, appunto sulle pendici del Gran Sasso e della Majella, questa deliziosa piccola pianta è forse il più prezioso rinvenimento di Émile Levier (1839-1911). Nato a Berna, dove si laureò in medicina e per tre anni prestò servizio negli ospedali cittadini, dopo un anno trascorso a Parigi come medico interno, nel 1865 si trasferì a Firenze aprendo uno studio di medico-chirurgo. Apprezzato per le capacità professionali, l'affabilità e la conoscenza delle lingue, era ricercato soprattutto dalla folta colonia di stranieri che viveva nella capitale toscana. Per diversi anni, nel periodo estivo prestò servizio come medico termale ai Bagni di Bormio in Valtellina e per qualche estate a Boscolungo nel Pistoiese (oggi è la nota stazione sciistica dell'Abetone). Amava questi soggiorni in montagna perché gli offrivano molte occasioni per coltivare la sua passione per la botanica, nata nell'adolescenza grazie all'amicizia con Charles-Henri Godet. Dotato di "memoria ferrea, occhio sicuro e acuto" (come scrisse Sommier nel suo elogio funebre) era un raccoglitore nato. Dopo il trasferimento a Firenze, iniziò ad esplorare dapprima la flora dei dintorni, per poi allargare sempre più il raggio delle sue esplorazioni. Infatti nella capitale toscana trovò un ambiente assai stimolante; le sue ricerche furono incoraggiate da Filippo Parlatore, impegnato nella pubblicazione della sua Flora d'Italia, e da Teodoro Caruel che si avvalse di molti suoi materiali per i supplementi al Prodromo della flora toscana. Strinse poi una fervida amicizia con Stefano Sommier che, come vedremo, fu suo compagno nella sua più impegnativa avventura botanica. In Italia erborizzò, oltre che in Toscana, nelle Alpi Retiche, nella penisola sorrentina, a Capri, ad Ischia e ripetutamente in Abruzzo dove, oltre al Gran Sasso e alla Majella, esplorò il Monte Velino, Scanno e l'Altopiano delle Cinquemiglia, sempre riportando copiose raccolte che condivise generosamente con il Museo botanico fiorentino, pur andando a costituire anche un ricco erbario personale, accresciuto da scambi con i numerosissimi corrispondenti. Fuori d'Italia, partecipò a quattro spedizioni. Nel 1878 e poi nuovamente nel 1879 visitò il nord della Spagna e del Portogallo con Boissier e Leresche, come lui membri della Société botanique de Genève ; il capo incontestato della spedizione era il più esperto e noto Boissier, mentre a Levier, il solo medico, spettava il compito di "curare i suoi colleghi se si fossero ammalati, senza per questo perdere il suo diritto ad erborizzare". Inoltre, si contava sulla sua energia, visto che era "più giovane della metà e perciò più agile". Il momento culminante della spedizione fu l'esplorazione del Pico de Europa, all'epoca largamente inesplorato, dove i tre botanici poterono raccogliere molte piante alpine, tra cui una nuova specie di Pimpinella pubblicata da Leresche come P. siifolia (oggi Parapimpinella siifolia). Ma Levier poté anche approfittare del "diritto ad erborizzare" per fare un'ampia raccolta di muschi (oltre cento specie e varietà). Ne leggiamo l'elenco in Deux excursions botaniques dans le nord de l'Espagne et le Portugal en 1878 et 1879, scritto a quattro mani da Levier e Leresche. Nel 1880 esplorò la Corsica con Charles Forsyth Major, studiando in particolare le piante montane e le affinità e le differenze con la flora sarda; infine nel 1887 fu la volta di un viaggio di quattro mesi nel Caucaso con Sommier, nel corso della quale i due esaminarono la vegetazione di 85 località diverse, raccogliendo più di diecimila esemplari che poi descrissero in Enumeratio plantarum anno 1890 lectarum. Inizialmente, Levier si occupò di angiosperme, pubblicando una serie di rilevanti lavori sull'origine e la diffusione dei tulipani in Italia e in Europa, ma poi il centro del suo interesse si spostò sempre più verso le crittogame, in particolare i muschi e le epatiche (secondo Sommier "materia adattattissima [sic] al Levier, così oculato indagatore delle cose minute"). L'assidua ricerca di briofite lo portò in Toscana, in Valtellina, nell'alto Novarese e in Valle d'Aosta. Per procurarsi esemplari esotici creò una rete di corrispondenti - così vasta da essere stata definita "universo" - che includeva amici, viaggiatori, missionari, funzionari coloniali. Forse per eccessivo perfezionismo, pubblicò poco, ma diede un enorme contributo ai lavori altrui riorganizzando materiali, determinando esemplari, abbozzando studi che poi altri avrebbero completato. Per anni scrisse contributi e accumulò materiali per una monografia sul genere Riccia, per la quale preparò anche perfette tavole a colori (era un eccellente illustratore botanico), ma la morte gli impedì di completarla, così come uno studio sulla distribuzione altimetrica dei muschi. Forte fumatore, incominciò ad accusare problemi cardiaci che nel 1911 lo portarono alla morte. Una parte dell'erbario fu donato dalla vedova (Mathilde Levier, assidua compagna di escursioni botaniche) all'Erbario centrale di Firenze, il resto fu venduto dagli eredi ed acquistato sempre dalla stessa istituzione. La parte più preziosa è costituita dell'erbario briologico, creato da Levier sia con raccolte dirette sia con gli apporti dei suoi corrispondenti, fino a diventare il più vasto d'Italia. Lo è probabilmente ancora oggi, tanto da essere stato utilizzato ancora all'inizio di questo secolo come base di partenza della Flora dei Muschi d’Italia. Un omaggio dalla foresta pluviale Levier, finché la malattia non glielo impedì, fu un medico e, anche se collaborò al Museo botanico fiorentino e all'erbario, non ebbe mai alcun ruolo accademico o istituzionale (tranne che, a partire dal 1889, come membro della Società botanica italiana di cui fu più volte consigliere). Forse per questo andava a genio anche a quel bastian contrario che fu Odoardo Beccari che nel 1877 volle dedicargli il genere Levieria con parole affettuose: "È all'amico Dr. E. Levier, distinto ed appassionato cultore della botanica, che dedico questo nuovo genere". Con Levieria (famiglia Monimiaceae), dalla Toscana e dai monti d'Italia ci trasferiamo nelle foreste pluviali delle Molucche, della Nuova Guinea e dell'Australia settentrionale. Sono questi l'areale di diffusione e l'habitat delle sue sette specie, costituite da alberi o arbusti, raramente rampicanti, che vivono soprattutto nelle foreste pluviali di bassa montagna, tra 1200 e 3000 metri. Sono dioiche, con piante maschili distinguibili per i tepali separati ed arrotondati portati su un piccolissimo ricettacolo piatto e piante femminili caratterizzate da un ricettacolo a coppa usualmente quadrilobato; in fase di sviluppo le drupe rimangono esposte dall'arricciatura del ricettacolo, con i tepali al margine. Il centro di diversità è la Nuova Guinea, dove sono presenti tutte e sette le specie; una si estende alle Molucche e una al Queensland. La bella Choisya ternata, o arancio del Messico, piuttosto coltivata anche da noi, ricorda il pastore evangelico, filosofo e botanico Jacques-Denis Choisy, che senza quella dedica sarebbe del tutto dimenticato. Eppure ai suoi tempi fu una figura molto attiva nella vita intellettuale e religiosa della sua città, Ginevra, nonché uno dei più produttivi collaboratori del Prodromus dei de Candolle. Pastore, filosofo, tassonomista Il Prodromus systematis naturalis regni vegetabilis di Augustin Pyramus de Candolle è una delle grandi opere della botanica ottocentesca, una pietra miliare della classificazione naturale, con le piante disposte in famiglie (all'epoca si chiamavano ancora ordines), secondo il sistema elaborato dallo stesso de Candolle. Egli ne aveva esposto i criteri fin dal 1813 in Théorie élémentaire de la botanique, ou Exposition des Principes de la classification naturelle et de l'art de décrire et d’etudier les végétaux. Ne diede una prima applicazione in Regni vegetabilis systema naturale, di cui pubblicò i primi due volumi tra il 1818 e il 1821. A questo punto si rese conto che l'impresa era temeraria e ripiegò su una presentazione più sintetica, convinto di riuscire a completare la classificazione descrittiva di tutte le spermatofite conosciute in pochi anni. Il ridimensionamento non fu sufficiente: alla sua morte, nel 1841, aveva completato sette volumi, ma moltissimo rimaneva da fare. A farsi carico della prosecuzione fu il figlio Alphonse, che già da tempo collaborava con il padre; egli curò la pubblicazione di ulteriori dieci volumi, l'ultimo dei quali uscì nel 1873, seguito l'anno successivo dal quarto e ultimo volume degli indici. Il progetto concepito da Augustin Pyramus era comunque incompleto: la trattazione aveva dovuto fermarsi alle dicotiledoni. De Candolle padre aveva scritto da solo circa due terzi della grandiosa opera, per un totale di 4300 pagine e 28,234 specie, il resto fu scritto da 34 botanici di otto paesi, tra cui, accanto al figlio Alphonse e al nipote Casimir, troviamo grandi nomi della botanica di quegli anni: tra di essi l'inglese George Bentham, il secondo contributore con 5044 specie, i tedeschi C.G. Nees von Esenbeck e Grisebach, l'italiano Parlatore. Il gruppo più consistente, con una decina di contributori, era ovviamente quello degli svizzeri, allievi, amici e colleghi dei de Candolle; a parte de Candolle figlio (5044 specie), i più prolifici tra di loro furono Carl Meissner (3043 specie) e Johann Müller d'Argovia (2729); in posizione intermedia si colloca Jacques-Denis Choisy, con 234 pagine e 1226 specie. Figura eminente della Ginevra ottocentesca, Choisy (1799-1859) è oggi piuttosto dimenticato, tanto da essere ignorato dal Dizionario storico della Svizzera, che pure dedica due voci ai nipoti Eugène e Albert. A preservarne la memoria sono la dedica del bel genere Choisya e una sintetica e commossa biografia commemorativa, scritta poco dopo la sua morte da Alphonse de Candolle. Choisy apparteneva a una famiglia di pastori protestanti ginevrini ed si mantenne fedele a questa tradizione; ma era un giovane di ingegno versatile, e contemporaneamente agli studi teologici, seguì corsi di filosofia, scienze umane, matematica e scienze naturali all'Accademia di Ginevra. Come uditore seguì anche i corsi di botanica di Augustin de Candolle, che lo affascinarono al punto che incominciò ad assisterlo con l'erbario e ad occuparsi seriamente di tassonomia. Nel 1821 fu ordinato pastore e pubblicò la sua prima opera di botanica Prodromus d'une Monographie de la famille des Hypérecinées (ovvero le attuali Hypericacae). L'anno dopo si trasferì a Parigi per completare gli studi di matematica e fisica, seguendo tra l'altro le lezioni di Cauchy e Biot. La raccomandazione di de Candolle e la monografia sulle Hypericaceae gli aprirono le porte dell'ambiente botanico; così poté frequentare l'erbario del barone Delessert e stringere amicizia con le giovani leve della botanica francese, da Adolphe Théodore Brongniart a Achille Richard; nelle lettere al padre, descrive con entusiasmo un'escursione botanica nel bosco di Fointainebleau insieme ad altri 15 botanici, e racconta con emozione di aver erborizzato con Antoine Laurent de Jussieu, che all'epoca aveva 79 anni. Ammesso alla Societé d'histoire naturelle, pubblicò sul bollettino della società la sua seconda monografia sistematica, dedicata alle Guttiferae (oggi Clusiaceae). Nel 1823 l'Accademia di Ginevra mise contemporaneamente a concorso tre cattedre: matematica, fisica e filosofia razionale. Choisy, rientrato a Ginevra, presentò la candidatura a tutte, presentando tra l'altro una memoria sui massimi e i minimi, e a soli 24 anni fu nominato professore di filosofia razionale, un insegnamento che escludeva la metafisica, era soprattutto incentrato sulla logica e aveva molte relazioni con la matematica. Mantenne la cattedra fino al 1848, quando i rivolgimenti politici toccarono anche Ginevra, con la conseguente ristrutturazione dell'insegnamento universitario e l'allontanamento per ragioni esclusivamente politiche di diversi professori, in particolare quelli legati alla chiesa evangelica, come Choisy, In quegli anni, egli era in effetti divenuto anche una figura centrale della chiesa ginevrina; secondo le regole vigenti all'epoca, il titolare della cattedra di filosofia doveva essere un pastore, membro di diritto del Consiglio dei pastori; per una decina di anni ne fu segretario, principale redattore del suo organo di stampa, Le Pasteur; più tardi fu uno dei pastori della città, per qualche tempo vicepresidente del Consiglio e per due volte moderatore. Come segretario, nel 1835 gli fu affidata l'organizzazione del tricentenario dell'introduzione della Riforma a Ginevra. Nel ventennio di insegnamento universitario, fu membro attivo di comitati su vari argomenti, dall'organizzazione scolastica alla regolazione delle acque, nonché rettore dell'Università per un biennio. Continuò ad occuparsi intensamente di botanica: nel 1833 pubblicò Description des Hydroleacés, tra il 1834 e il 1842 tre memorie sulle Convolvulaceae orientali (a proposito delle quali corrispose con Torrey), nel 1844 note sulle Convolvulaceae brasiliane, nel 1848 sulle Nyctaginaceae, infine, dopo il pensionamento, sulle Guttiferae, le Ternostroemiaceae e le Theaceae (1858). Parte di queste memorie, a partire dal 1824, confluirono nel Prodromus, in cui curò sette famiglie: Hypericineae, Guttiferae, Marcgraviaceae, Selaginaceae, Convolvulaceae, Hydroleaceae, Nyctaginaceae. Fu anche membro del consiglio di amministrazione dell'orto botanico ginevrino. Dopo l'allontanamento dall'insegnamento con una modesta pensione, intensifico l'attività pastorale; pubblicò alcune delle sue conferenze o sermoni in Conférences, ou Discours sur les influences sociales du christianisme (1848). Alphonse de Candolle ricorda anche alcuni viaggi, in Germania e in Inghilterra (uno dei suoi figli era pastore della Chiesa svizzera a Londra) dove visitò i giardini di Kew e incontrò Hooker. Gli ultimi anni furono funestati da una serie di malattie, da cui cercò di trovare sollievo con un soggiorno nel clima più favorevole di Pau; ma qui lo colse una congestione cerebrale che lo portò alla morte non molto tempo dopo il suo rientro a Ginevra, nel 1859, ad appena sessant'anni. Il profumatissimo arancio messicano Furono il lavoro giovanile sulle Hypericaceae e l'amicizia con Kunth a guadagnare a Choisy la dedica del genere Choisya (voi come lo pronunciate? com'è scritto, come se fosse una parola latina, o alla francese, tenendo conto del cognome del dedicatario?), con una sinteticissima motivazione: "Genere consacrato a J. D. Choisy, ginevrino, autore di una lucidissima monografia sulle Hypericaceae". L'aggettivo ci ricorda una qualità di Choisy sottolineata anche da Alphonse de Candolle: la chiarezza di parola e la lucidità di pensiero in tutte le sue attività, come predicatore, professore, botanico. Choisya Kunth è un piccolo genere della famiglia Rutaceae che comprende sei specie di arbusti sempreverdi diffusi tra gli Stati Uniti meridionali e il Messico, noti con il nome comune "arancio messicano" (i fiori in effetti ricordano da vicino quelli dell'arancio sia per la forma sia per il profumo). Hanno foglie aromatiche, palmato-composte, coriacee e lucide; i fiori, raccolti solitari e ascellari o raccolti in racemi terminali, hanno quattro-cinque petali bianchi a stella, numerosi stami gialli e un unico stimma verde. Non aspettatevi però arance: i frutti coriacei, divisi in due-sei capsule, non sono commestibili. In giardino la specie più nota è senza dubbio C. ternata. Originaria del Messico, è un piccolo arbusto dal portamento naturalmente arrotondato e dalle dimensioni contenute; fiorisce a fine aprile-maggio e talvolta ripete la fioritura in estate, ma è gradevole tutto l'anno per il fogliame lucido verde chiaro, I fiori gradevolmente profumati sono graditissimi alle api e agli altri impollinatori. Nonostante sia coltivato nei giardini europei da circa duecento anni, è molto stabile; se ne conosce una sola varietà, 'Sundance', uno sport con fogliame giallo oro scoperto in un vivaio inglese nel 1979. Le novità sono arrivate piuttosto dalle ibridazioni. A partire dalla fine degli anni '80 del Novecento, il vivaista inglese Peter Moon ha incominciato a incrociare C. ternata con la più rustica C. arizonica (spesso indicata con il sinonimo C. dumosa var. arizonica), caratterizzata da foglie palmate con sette foglioline molto strette ed allungate, forte resistenza al caldo e all'aridità, nonché alle basse temperature. Il primo risultato fu 'Aztec Pearl', commercializzata a partire dal 1989, estremamente fiorifera e dal portamento allargato e compatto. A questi ibridi è stato assegnato il nome botanico C. x dewitteana; altre creazioni di Moon sono 'White Dazzler' (Moon la commercializza con lo slogan 'Aztec Pearl è buona, White Dazzler anche meglio'), 'Goldfingers', con strette foglie giallo oro, 'Royal Lace', simile ma con portamento più compatto, 'Apple Blossom' con petali toccati di rosa. Anche 'Harrinora' è una creazione di Moon (il nome è ricorda i suoi genitori Harry e Nora), ma è un ibrido tra C. ternata e C. dumosa var. mollis; ha foglie grigio-verdi e richiede una protezione invernale. Un carteggio di quattro lettere, tre sue e una di Linneo, un articolo di due pagine, quattro menzioni nell'ultima importante opera linneana: è quasi tutto quello che ci resta del medico svizzero Frédéric-Louis Allamand. Ma a preservare il suo ricordo provvede lo spettacolare genere Allamanda, che ebbe anche la ventura di essere scelto dal dedicatario stesso su una rosa di tre proposti da Linneo in persona. Un carteggio e una dedica Nel novembre 1770 Linneo ricevette dall'Olanda dal medico Frédéric Louis Allamand (1736-1809), svizzero ma vissuto fin da ragazzo nei Paesi Bassi dove era diventato medico navale, una lettera e un manoscritto di una dozzina di pagine; intitolato Genera plantarum Americanarum, conteneva la descrizione di 37 specie presumibilmente nuove. Nella missiva di accompagnamento, Allamand informava Linneo che durante un viaggio di qualche anno prima nell'America tropicale aveva avuto modo di osservare un certo numero di nuove piante; aveva raccolto esemplari e li aveva conservati accuratamente, ma i materiali erano andati perduti durante un attacco di pirati. Era poi tornato in America, soggiornando soprattutto in Suriname, una zona finora trascurata dai botanici; ora sottoponeva a Linneo il manoscritto, frutto di due anni di lavoro, rimettendosi alla sua autorità. L'invio deliziò l'ormai anziano scienziato, anche perché veniva a colmare una lacuna e a sanare una vecchia ferita: quella che gli aveva inferto l'infedele allievo Rolander rifiutandogli l'accesso ai suoi manoscritti e all'erbario raccolto proprio in Suriname. Il lavoro di Allamand era eccellente: come scrive Linneo nella sua risposta, l'aveva letto e riletto, e mai aveva incontrato descrizioni più accurate, tanto che gli pareva quasi di vedere quelle piante con i propri occhi; non era l'opera di un soldato semplice, ma di un comandante dell'esercito di Flora (quello di cui Linneo si considerava il generale in capo). Dopo aver commentato minutamente le singole descrizioni, informava Allamand di aver l'intenzione di pubblicare le specie nuove nella seconda parte della sua Mantissa e gli chiedeva quale tra tre nuovi generi ugualmente notevoli (Galarips, Caryocar, Clibadium) preferiva gli fosse dedicata con il nome Allamanda. Erano elogi insoliti che ovviamente colmarono di gioia Allamand: nella lettera di risposta, inviata in occasione del Capodanno 1771, oltre a fare gli auguri a Linneo, scrive che gli sarebbe bastato un cenno, la soddisfazione di essere stato ascoltato, e invece ha ottenuto molto di più. Ha iniziato a formulare i caratteri e altre informazioni sulle piante nuove o meno conosciute che Linneo gli ha chiesto per includerli nella sua opera; spera che il testo sarà pronto tra breve. Quanto alla specie che Linneo così cortesemente vorrà dedicargli, sceglie quella che aveva chiamato Galarpis; conta di poter ricambiare tanto onore mandandogli qualche esemplare di piante rare. Le promesse descrizioni saranno inviate qualche mese dopo e Linneo includerà in Mantissa plantarum altera, oltre a Allamanda, tre dei generi di Allamand, Caryocar, Clibadium e Guarea. Altri cinque generi (nessuno dei quali oggi riconosciuto) erano stati in precedenza pubblicati da Allamand negli atti dell'Accademia Cesarea Leopoldina. Dopo l'estate 1771 il carteggio si interruppe. Al suo ritorno in Europa Allamand aveva lasciato la marina olandese, per poi trasferirsi in Russia come medico di corte; si fece vivo da San Pietroburgo nel giugno 1776 mandando a Linneo un'ultima lettera in cui si scusa di non avergli scritto per cinque anni e di essersi preso la libertà di farlo nuovamente; gliene dà l'occasione il prossimo viaggio in Svezia di un amico di cui intende approfittare per far giungere a Linneo alcuni esemplari di piante del Suriname. Linneo era ormai malato e sarebbe morto poco più di un anno dopo. Probabilmente non rispose mai. Quanto ad Allamand, non sappiamo molto sulla sua vita successiva, tranne che nel 1793 ritornò in Olanda e divenne professore all'Università di Leida, nei cui archivi il suo nome non compare più dopo il 1803. Fioriture tropicali Allamand certo aveva scelto per sé il genere più bello, o almeno quello con fioriture più vistose. La specie dedicatagli da Linneo è infatti Allamanda cathartica, uno spettacolare rampicante con grandi fiori a tromba giallo vivo che nei climi tropicali si susseguono per tutto l'anno. Anche oggi è la più nota e coltivata delle quindici specie del genere Allamanda, della famiglia Apocynaceae: sono arbusti eretti o rampicanti, con foglie sempreverdi riunite in verticilli e grandi fiori con corolla ad imbuto lievemente asimmetrica, solitamente gialla, ad eccezione di A. blanchetii che ha fiori da rosa a viola; i frutti sono per lo più capsule globose armate di spine. I fusti contengono un latice bianco che può causare vari disturbi; tutte le parti di queste pianete sono per altro tossiche, anche se trovano impiego nella medicina tradizionale con usi in parti confermati dalle ricerche di laboratorio. Ad eccezione di qualche specie nativa di Venezuela, Colombia e Perù, il genere è ristretto al Brasile, dove cresce nelle radure delle foreste più o meno umide, spesso lungo corsi d'acqua. Per la loro bellezza, diverse specie sono state introdotte in coltivazione nei paesi tropicali, dove alcune sono diventate invasive. Nei climi temperati sono invece coltivate come piante da serra, dal momento che in genere richiedono temperature non inferiori a 15°. Le specie coltivate sono essenzialmente tre: A. cathartica, A. blanchetii e A. schottii. La prima secondo William Curtis fu introdotta in Inghilterra nel 1785 dal barone Christian Ludwig von Hake, curatore dei giardini di corte di Herrenhausen. Originaria di Brasile, Guyana e Perù, è un rampicante vigoroso (può però essere coltivata anche a siepe) che può superare i 6 metri d'altezza; ha foglie lanceolate raggruppate in verticilli di 4 a intervalli lungo il fusto e fiori giallo brillante portati in gruppi di 12 all'apice dei fusti o all'ascella del fogliame. Ne sono state selezionate diverse varietà: 'Handersonii', quella più frequentemente coltivata in Europa, ha fiori più grandi, mentre quelli di 'Williamsii' sono fragranti e semidoppi. A. blanchetii è originaria del Brasile nordorientale dove cresce nella foresta arida nota come caatinga; si distingue dalle altre specie per il colore dei fiori. Di dimensioni più contenute rispetto alla specie precedente, può essere coltivata a cespuglio o fatta arrampicare su un supporto, raggiungendo un altezza di 3 metri; produce grandi fiori campanulati con 5 lobi arrotondati lievemente sovrapposti da rosa a viola, più scuri alla gola. Più rustica di A. cathartica, può sopportare per brevi periodi temperature vicine allo 0, si adatta meglio alla siccità, ma non sopporta i ristagni d'acqua; per questo viene spesso innestata su A. cathartica. Anche di questa specie esistono diverse varietà, tra cui 'Cherry Jubilee' con fiori rosso ciliegia. A differenza della altre due specie, A. schottii non è una liana, ma un arbusto eretto, che forma cespugli alti fino a tre metri e larghi 2; ha foglie sempreverdi da obovate ad ellittiche raggruppate in verticilli di 3-5, lucide e verde chiaro, che contrastano piacevolmente con la massa di fiori gialli con tubo corollino lievemente gibboso, lobi arrotondati giallo chiaro e gola striata di arancio. Piuttosto variabile, è spesso commercializzata sotto sinonimi come A. neriifolia e A. cathartica var. schottii. In effetti, insieme a A. martii e A. polyantha, fa parte di un complex di specie strettamente imparentate originarie delle foreste umide del Brasile orientale; affine, è anche l'ultima arrivata, A. calcicola, in precedenza confusa con queste specie e riconosciuta come specie autonoma appena nel 2009. Anche se il lavoro degli ibridatori per questo genere sembra ancora all'inizio, sul mercato sono disponibili anche alcuni ibridi, per lo più tra A. cathartica e A. blanchetii, che hanno permesso di allargare la gamma dei colori al bianco e all'albicocca, Con le sue grandi foglie a cuore e i fiori azzurri simili a quelli del cugino nontiscordardimé, Brunnera macrophylla è una delle più simpatiche abitatrici dei giardini d'ombra. In natura, vive a cavallo del Caucaso, in un'area che va dall'Anatolia nord-orientale alla Transcaucasia; e infatti il suo primo raccoglitore, Johannes Michael Friedrich Adams (quello che scoprì il celebre mammut) la trovò - si era nei primissimi anni dell'Ottocento - "nei boschi ombrosi dell'Iberia", cioè della Georgia. La credette un Myositis, e la battezzò senz'altro M. macrophylla. A capire che si trattava di un genere a sé fu circa mezzo secolo dopo un altro botanico al servizio della Russia, Christian von Steven; lo battezzò Brunnera, in onore dell' "egregio botanico Samuel Brunner bernese che visitò due volte la Tauride". Ma non furono quelli in Crimea i viaggi più avventurosi dello svizzero, che amava definire se stesso reisender Wissenschafter, "scienziato in viaggio". Un botanico in viaggio dall'Italia alla Crimea Il medico, viaggiatore e naturalista (anzi, scienziato in viaggio, come gli piaceva definirsi) bernese Samuel Brunner (1790-1844) sta un po' a metà tra il cultore di scienza dilettante e lo studioso di professione. Era sì laureato in medicina e abilitato all'insegnamento della botanica, ma non esercitò mai la professione e mai insegnò. Era membro di diverse società scientifiche e pubblicò anche alcuni articoli di botanica su Flora, la rivista della Società reale di botanica di Ratisbona, ma la sua fama è legata soprattutto a tre libri di viaggio che, in un linguaggio accattivante, presentano una massa di informazioni geografiche, etnografiche e naturalistiche (con un occhio di riguardo alla botanica) a un ampio pubblico. Ancora ispirati al modello di Humboldt, sono già più simili a reportage che a saggi scientifici. Brunner prepara i suoi viaggi scrupolosamente, mette nei bagagli i testi più aggiornati, quindi viaggia, visita giardini e istituzioni scientifiche, incontra molte persone (la sua rete di corrispondenti è vasta e conosce l'arte di farsi molti amici), si incuriosisce di tutto, si informa sulle produzioni del territorio, osserva scrupolosamente ed elenca le piante spontanee e coltivate; a casa, nel trasformare i diari di viaggio in libri, non manca di aggiungere informazioni di varia natura attinte da molti testi di riferimento. E' certamente un buon botanico, ma le sue identificazioni sono a volte approssimative e le descrizioni si riducono spesso a poche righe. Due elementi colpiscono: benché abbia esplorato a fondo una flora all'epoca poco nota, quella dell'arcipelago di Capo Verde, gli si deve l'identificazione di una sola nuova specie (oggi non più valida); e soprattutto, anche se era in corrispondenza con de Candolle (la cui opera è perfettamente contemporanea alla sua) non figura tra i collaboratori del suo Prodromus, che vide la partecipazione di ben 35 studiosi di otto nazioni diverse, un terzo dei quali elvetici. In una fase in cui i naturalisti iniziavano a professionalizzarsi e a lavorare per università, istituti di ricerca e orti botanici, Brunner era ancora un agiato gentiluomo che poteva permettersi di non lavorare e di viaggiare a proprie spese grazie alla notevole fortuna lasciatagli dal padre omonimo, membro di una ricca famiglia a metà tra borghesia e patriziato della città di Berna. Samuel Brunner padre era membro del Gran consiglio cittadino, castellano di Wimmis, presidente della Società dei Calzolai e aveva fatto fortuna sia nel settore immobiliare sia con abili investimenti obbligazionari. Nel 1798, quando l'esercito francese occupò Berna, venne arrestato e trattenuto nella fortezza di Hüningen; poco dopo fu rilasciato, ma decise di lasciare la città in attesa di tempi migliori, rifugiandosi con la famiglia a Sciaffusa. All'epoca, il nostro Samuel aveva otto anni. Più tardi, lo troviamo a Würzburg dove nel 1813 si laureò in medicina; come medico militare, partecipò all'ultima fase delle guerre napoleoniche dalla parte degli alleati. Nel 1814 la famiglia Brunner poté rientrare a Berna e Samuel figlio ottenne il brevetto di medico, cui nel 1818 aggiunse l'abilitazione all'insegnamento come libero docente di pediatria e botanica. Il patrimonio ereditato dal padre (morto nel 1821) gli permise però di vivere di rendita e di dedicarsi interamente alla politica, agli interessi intellettuali e ai viaggi. Negli anni della Restaurazione, tra il 1821 e il 1830, come suo nonno e suo padre prima di lui, fu membro del Gran Consiglio e nel 1830 presentò una petizione decisamente conservatrice contro l'allargamento della base sociale del Consiglio stesso; tuttavia vi si sosteneva la necessità di migliorare il sistema scolastico e di pagare di più gli insegnanti. Subito dopo i liberali andarono al potere, e Brunner si trovò all'opposizione; probabilmente non fece più politica, ma nel 1832 si sfogò scrivendo Gemütliche Unterhaltung im politischen Klubb zum klugen Elefanten in Utopia, "Accogliente conversazione sul club politico L'elefante intelligente in Utopia", in cui prendeva in giro il governo liberale del cantone. All'epoca era già un viaggiatore di lungo corso, membro di diverse società scientifiche elvetiche e tedesche: la Società medico-chirurgica del Cantone di Berna, la Società dei naturalisti bernesi e svizzeri, la Società Botanica Reale di Ratisbona, la Società naturalistica Senkenberg di Francoforte sul Meno, l'Associazione di storia naturale di Mannheim. Aveva molti corrispondenti in diversi paesi europei, inclusi noti scienziati. Iniziò a viaggiare intorno al 1819; i suoi obiettivi, come egli stesso scriverà nella prefazione al resoconto del suo ultimo viaggio, erano soddisfare la curiosità personale, arricchire le proprie collezioni (mise insieme un erbario di circa 10.000 esemplari), ma anche ampliare il patrimonio di conoscenze di storia naturale e contribuire al progresso economico; ecco perché si definiva Reisender Wissenschafter, "scienziato in viaggio". Svizzero germanofono formatosi in Germania, conosceva bene quel paese e i territori dell'Impero asburgico, dove aveva molti amici che spesso risalivano agli anni universitari o alla comune militanza nell'esercito alleato. Conosceva anche la Gran Bretagna e nel 1821 visitò la Provenza (ne parlerà anni dopo, in un articolo su Flora), ma presto la sua meta preferita divenne l'Italia alla cui flora dedicò i suoi primi articoli per la rivista di Regensburg: nel 1825 Die botanische Gärten Italiens, in due puntate, che - nonostante il titolo - si occupa solo dei giardini napoletani; nel 1826 Uber de Vegetation des Festalandes des Italien, "Sulla vegetazione della terraferma italiana", anch'esso in due parti: la prima è uno schizzo sulle peculiarità della flora della penisola, la seconda una bibliografia relativamente ampia. Sempre all'Italia è dedicato il primo libro di viaggio di Brunner, Streifzug durch das östliche Ligurien, Elba, die Ostküste Siciliens, und Malta, zunächst in Bezug auf Pflanzenkunde im Sommer 1826 unternommen, uscito presumibilmente a spese dell'autore nel 1828, in cui racconta un viaggio dell'estate del 1826. Dopo aver visitato molte località della riviera ligure di Levante, soffermandosi soprattutto sui giardini, gli oliveti, gli agrumeti, Brunner andò via terra a Livorno, da dove si spostò all'Elba, ancora pervasa di memorie napoleoniche; quindi, tornato a Livorno, si imbarcò per Milazzo. In Sicilia - la meta più importante del viaggio - visitò Messina, Catania, le pendici dell'Etna, Siracusa, Capo Passero dove si imbarcò per Malta; qui visitò la Valletta, Mdina (che Brunner chiama Civita Vecchia), Gozo e Comino, per poi imbarcarsi alla volta di Livorno. In un linguaggio con qualche pretesa letteraria, il gentiluomo-viaggiatore racconta visite, incontri, impressioni, senza mancare di infarcire il testo con informazioni di ogni genere, spaziando dalla geografia alla geologia, dal folclore alla musica, dall'estrazione del marmo di Carrara alle tonnare sicule, dalla politica degli occupanti britannici allo stato delle farmacie maltesi; l'attenzione privilegiata va però sempre alle piante, tanto quelle native, quanto quelle introdotte o coltivate, e ogni capitolo si conclude con un elenco delle specie osservate. Probabilmente alla fine degli anni '20 la curiosità di Brunner sull'Italia e la sua flora era ormai soddisfatta. Orami sognava mete più lontane e ambiziose: così nell'estate del 1831, dopo aver fatto visita ad alcuni amici viennesi, eccolo a Trieste ad imbarcarsi per Costantinopoli; visitò puntigliosamente la città, compresi i giardini delle sponde europea e asiatica, ma si trattava solo di una tappa di avvicinamento alla vera destinazione: la Crimea. Da Costantinopoli si imbarcò dunque per Odessa, dove dovette sottostare a una quarantena di due settimane; si spostò quindi a Sinferopoli, il capoluogo del Governatorato di Tauride, dove stabilì il suo quartier generale per esplorare la penisola e la sua natura, caratterizzata da paesaggi spettacolari e di grande varietà: dalle piante della steppa alla macchia mediterranea, dalla vegetazione litoranea alle foreste delle montagne. Anche se la Russia l'aveva definitivamente annessa solo nel 1792 e in un certo senso la Crimea rimaneva un territorio di frontiera, sia nei confronti dell'Impero ottomano sia in vista dell'espansione verso il Caucaso, era già una delle mete preferite dell'aristocrazia russa, che vi creò a gara le proprie case di vacanza (di alcune Brunner, con il suo talento per le amicizia, sarà ospite coccolato). Ad aprire la strada era stato proprio un naturalista, Peter Pallas, che nel 1793, subito dopo l'occupazione, aveva iniziato ad esplorarne la flora e poi si era stabilito a Sinferopoli in una grande tenuta donatagli dall'imperatrice Caterina II. Un altro grande protagonista dello studio della flora della Crimea era il finno-svedese Christian von Steven, che aveva partecipato alla spedizione von Biberstein e poi era rimasto in Crimea per creare l'orto botanico di Nikita nei pressi di Yalta, che aveva diretto fino al 1826, quando fu nominato ispettore capo per la sericoltura, di fatto responsabile di gran parte dell'agricoltura della Russia meridionale. Nonostante fosse impegnatissimo e sempre in giro per il vasto territorio che doveva ispezionare, Brunner, che era uno dei suoi corrispondenti, poté incontrarlo; ma moltissimi furono i funzionari e i proprietari terrieri ad aiutarlo, accompagnarlo e ospitarlo. Dunque neppure la Crimea era terra incognita, e Brunner la percorse tenendo sotto mano i volumi di Pallas, Biberstein, Steven e soci. Vi si trattenne fino ad ottobre e visitò tutto il visitabile, innamorandosi della regione al punto da dedicarle un poema in ottave, Sehnsucht nach Taurien, "Nostalgia della Tauride", incluso nel libro di viaggio che ricavò dall'esperienza, Ausflug über Constantinopel nach Taurien im Sommer 1831, pubblicato nel 1833. Capo Verde: dalla delusione all'entusiasmo Brunner tornò in Crimea ancora una volta, ma evidentemente neppure la mitica Tauride era sufficiente a soddisfare il suo desiderio di esotismo. Erano gli anni in cui le potenze europee incominciavano la loro penetrazione coloniale in Africa; i francesi avevano da tempo un avamposto a Gorée e Saint Louis nel Senegal, a lungo centri del commercio degli schiavi ma ora, dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù, alla ricerca di nuove fonti di reddito. Per Brunner, da sempre interessato alle piante agricole e utilitarie, poteva essere un'occasione per approfondire sul campo la conoscenza di piante come la canna da zucchero, il caffè, la cannella, la melegueta (Aframomum melegueta); ma sperava anche di dare un contributo originale alla scienza botanica esplorando finalmente un'area inesplorata, o per lo meno poco battuta. Come al solito, si preparò con scrupolo leggendo ciò che avevano scritto i naturalisti che lo avevano preceduto, e come meta finale scelse le isole del golfo di Guinea, in particolare São Tomé che, tra l'altro, stava convertendo la sua economia dal traffico degli schiavi alla coltivazione del cacao e del caffè. Prima di partire, discusse il suo progetto con Augustin Pyramus de Candolle, che lo scongiurò di lasciar perdere São Tomé: "Non è il caso di andare a morire, vedete, non lo voglio, perché morto non fareste nulla. Mi oppongo!". Gli consigliò invece di optare per le isole di Capo Verde: facili da raggiungere come scalo di molte navi dirette in India o in Sud America, con un clima salubre e una flora ancora in larga parte sconosciuta. Ancora convinto a metà, nel novembre 1837 Brunner si imbarcò a Marsiglia alla volta di Saint Louis, da dove raggiunse Gorée. In porto c'era una piccola imbarcazione diretta a São Tomé; pensò di approfittarne, ma non c'era posto per lui, così dovette rassegnarsi a dare ascolto alla ragione e agli ammonimenti di de Candolle. Nel maggio 1838, eccolo dunque all'esplorazione delle isole di Cabo Verde. La prima che tocca è la desolata Ilha do Sal, dove visita le saline che le danno il nome e fa alcune escursioni all'interno, caratterizzato da una vegetazione desertica ma con molti endemismi. Dopo qualche giorno, a bordo di una goletta portoghese, raggiunge Boavista; la baia è splendida, e ricorda un po' quella di Napoli, ma anche quest'isola è quasi priva di vegetazione: ovunque nient'altro che rocce e sabbia. Va comunque a visitare le tenute di due portoghesi che ha conosciuto sulla gletta che lo ha portato a Boavista. Dopo pochi giorni lascia anche quest'isola per Santiago, la maggiore dell'arcipelago. La delusione continua. La capitale, Praia, un villaggio di non più di 2000 abitanti, gli lascia un'impressione di squallore: a parte poche case più grandi in stile europeo raggruppate nella via principale o attorno alla piazza del mercato, l'abitato è costituito da casupole con il tetto di foglie di palma, "più simili a porcili che a abitazioni umane. Dappertutto si vedono povertà e pigrizia". Ma quando finalmente penetra nell'interno per fare visita a un residente francese, la delusione si muta in entusiasmo: all'ingresso della valle d'Orgão lo accolgono le palme da cocco più belle che abbia mai visto, le piantagioni di canna da zucchero e di banani sono ben irrigate e lussureggianti, le cascine accoglienti e ben tenute. Ma i soldi stanno per finire, senza contare l'avvicinarsi dell'estate; Brunner decide di imbarcarsi su una ex nave negriera diretta in Europa; poco dopo la partenza, tuttavia, lo scafo imbarca acqua e si rende necessario uno scalo a Brava per le riparazioni. Anche questo porto è squallido e la sistemazione di fortuna disagevole, ma una gita verso le parti alte dell'isola lo rincuora con la bellezza delle fioriture e l'abbondanza di vigneti, piantagioni di manioca, caffè e banani. E' dunque con un pizzico di rimpianto che dopo dieci giorni può partire definitivamente per Lisbona, da dove raggiungerà Berna dopo un'assenza di circa otto mesi. Come i viaggi in Italia e in Crimea, anche quello in Senegal e Capo Verde si trasforma in un libro, Reise nach Senegambien und den Inseln des grünen Vorgebirges im Jahre 1838, che esce nel 1840. Ma Brunner questa volta decise di pubblicare separatamente la parte botanica, presentando le piante raccolte o osservate in un articolo in due parti comparso ancora su Flora, sotto il titolo Botanische Ergebnisse einer Reise nach Senegambien und den Inseln des grünen Vorgebürges ("Risultati botanici di un viaggio in Senegambia e nelle isole di Capo Verde). Con la trattazione in ordine alfabetico di circa 220 specie, è sicuramente il lavoro botanico più ampio di Brunner, ma, al contrario dei tre libri di viaggio, che ebbero un'accoglienza prevalentemente favorevole, passò praticamente inosservato. In effetti, con l'eccezione delle piante da reddito, le descrizioni sono molto brevi e le identificazioni non sempre accurate. L'unica segnalazione di una specie nuova è quella di Tylophora incana (oggi sinonimo di Leptadenia lanceolata). Era l'ultima fatica di Brunner che morì nella città natale appena quattro anni dopo, nel 1844. Brunnera, un tesoro per i giardini d'ombra Nel 1851 Steven volle commemorarlo dedicandogli il genere Brunnera, da lui separato da Myosotis; la motivazione è semplice e laconica: "per l'egregio botanico Samuel Brunner bernese che visitò due volte la Tauride". E' dunque come visitatore innamorato della Crimea, e non come esploratore della flora di Capo Verde, che lo svizzero è entrato a far parte della schiera dei dedicatari di generi botanici. Brunnera (Boraginaceae) è genere di piante erbacee piccolo, ma ben noto agli appassionati perché almeno una delle sue tre specie, B. macrophylla, è molto coltivata. Tutte sono originarie dei boschi di tre aree disgiunte tra il Mediterraneo e la Siberia, passando per l'Anatolia e il Caucaso, la terra di origine di B. macrophylla. Le altre due specie sono appunto la siberiana B. sibirica, originaria della Siberia centrale e meridionale (specie scoperta dallo stesso Steven) e la mediterranea B. orientalis, originaria dell'Anatolia e del Vicino oriente. La più nota è però B. macrophylla, il cui habitat naturale sono i boschi umidi dell'Anatolia orientale e di entrambi i versanti del Caucaso. Fu scoperta originariamente intorno al 1800 da Adams, che la battezzò Myosotis macrophylla. E' una delle specie più belle e utili nei giardini boschivi e d'ombra, con grandi foglie a cuore e piccoli fiori azzurri simili a quelli del nontiscordardimé, vigorosa ma non invadente, adatta anche come tappezzante. Non è affatto esigente, e sopporta anche il sole del mattino, purché possa godere di umidità e magari di un terreno umifero. Accanto alla specie tipica con foglie verde scuro, ne sono state selezionate diverse varietà a foglia variegata. Probabilmente la più nota è 'Jack Frost', con foglie argentate e venature verde scuro; altre cultivar interessanti sono 'Diane's Gold' con foglie giallo oro e fiori blu; 'Hadspen Cream' con foglie molto grandi e margini irregolarmente variegati di crema; 'Langtrees' (o 'Silver Spot') con foglie puntinate d'argento; 'Looking Glass' con foglie argentee dai riflessi metallici. 'Betty Bowring' è simile alla specie tipica, ma con fiori bianchi. Altre informazioni nella scheda. A partire dalla fine degli anni '30 del Settecento, a San Pietroburgo c'erano ben due orti botanici: uno dipendeva dalla Cancelleria medica e ospitava soprattutto specie medicinali; l'altro era annesso all'Accademia delle scienze ed era essenzialmente un giardino didattico e di acclimatazione. A volere fortemente il secondo fu il professore di botanica Johann Amman che, educato a Leida, pensava che il "vecchio" giardino (vecchio per modo di dire: aveva poco più di vent'anni) fosse ormai obsoleto, oltre che troppo lontano dall'Accademia. Ben presto i due giardini furono diretti dalla stessa persona e la bipartizione perse via via significato, finche nel 1823 vennero fusi a formare il nuovo Imperiale orto botanico. Amman, morto giovanissimo, fu ricordato dall'amico William Houstoun con il genere Ammania; Linneo lo fece proprio, ma lo ribattezzò Ammannia (con due enne) e lo dedicò a un omonimo: Paul Amman, direttore secentesco dell'orto botanico di Lipsia e precursore della classificazione naturale. Un giardino, anzi due... A studiare la storia russa, si ha sempre l'impressione che tutto sia complicato, non lineare, contraddittorio. E così capita che nell'arco di meno di mezzo secolo, l'autorità imperiale prenda l'iniziativa di fondare tre orti botanici, che poi continuano la loro vita parallela in una gran confusione di funzioni, conflitti personali, sperpero di denaro. Si comincia a Mosca nel 1706, quando Pietro il Grande ordina di creare un orto dei farmacisti (Aptekarskij ogorod) destinato alla coltivazione di piante officinali per le farmacie cittadine. Lo zar ci tiene tanto che, si racconta, vi piantò di sua mano tre conifere (l'ho raccontato qui). Il giardino è gestito dalla Cancelleria delle farmacie, un organismo tradizionale controllato da membri dell'alta aristocrazia. Ma intanto Pietro ha deciso di creare ex novo, facendola sorgere letteralmente dal mare e dalle paludi, la sua nuova capitale, San Pietroburgo, dove trasferisce a forza la corte e tutte le strutture amministrative. Mette mano anche alla riforma della medicina, affidandola al suo medico personale, lo scozzese Robert Erskine, che crea un nuovo organismo, la Cancelleria medica, che d'ora in avanti controllerà l'attività dei medici civili e militari e dei farmacisti. E' in un certo senso un doppione della Cancelleria dei farmacisti, che però per non creare un conflitto immediato con l'aristocrazia moscovita non viene abolita, ma svuotato dall'interno. Erskine dirige un gigantesco trasferimento di documenti, materiali e piante. La centrale operativa della Cancelleria medica viene stabilita in una delle isole settentrionali del delta della Neva, piuttosto distante dal nucleo centrale, dove vengono costruiti la sede degli uffici, un laboratorio per la preparazione dei medicamenti e un vasto orto botanico, la cui fondazione è decretata verso la fine del 1713. Si chiamerà Aptekarskij sad (giardino dei farmacisti) e l'isola stessa prenderà il nome Aptekarskij ostrog, Isola dei farmacisti. I due giardini hanno la stessa funzione, ma vista la distanza è sensato avere due giardini medici che coltivano piante officinali per le farmacie delle rispettive aree; un po' meno che uno dipenda dalla Cancelleria dei farmacisti (dunque da un organismo semi autonomo), l'altro dalla Cancelleria medica (dunque direttamente dal sovrano, attraverso il suo archiatra). Le cose si complicano quando, sull'esempio degli orti botanici di Parigi e Leida, si decide di farne anche dei giardini di acclimatazione delle piante esotiche ottenute con lo scambio semi da orti botanici europei e delle specie raccolte in natura nel vastissimo e variegato impero russo dalle numerose spedizioni naturalistiche che si succedono nel corso del secolo. Finisce per imporsi una certa specializzazione "geografica": fatto salvo che il centro è San Pietroburgo, le spedizioni che esplorano la Russia europea, le rive del mar Nero, il Caucaso tendono a far capo a Mosca, e il giardino moscovita si arricchisce soprattutto di piante delle steppe. I materiali raccolti dalle spedizioni che operano al di là degli Urali ed esplorano la Siberia fino alle rive del Pacifico, i confini con la Cina, l'Asia centrale tendono ad affluire all'Isola dei farmacisti. Le prime spedizioni, come quella di Messerschmidt in Siberia (1719-1727) o di Buxbaum (1724-1727) a Costantinopoli, sono organizzate dalla Cancelleria medica, ma nel 1724 viene fondato un terzo organismo, con compiti scientifici e didattici: l'Accademia russa delle Scienze, con sede nell'isola Vasil'ekskij, accanto all'edificio dove è conservata la Kunstkamera, la camera delle meraviglie imperiali. L'imperatore e il suo archiatra considerano tutto ciò che viene riportato dalle spedizioni russe un tesoro nazionale che va ad arricchire la Kunstkamera e deve essere studiato e pubblicato esclusivamente dai professori dell'Accademia. E così succede che le piante vive e i semi raccolti da Gmelin durante la Grande spedizione del Nord (salvo quelli che egli coltiva nel suo giardino privato) finiscono nelle aiuole dell'isola dei farmacisti, mentre gli esemplari d'erbario sono custoditi nell'isola Vasil'evskij. Qui il professore di botanica del ginnasio e dell'Università accademica tiene le lezioni teoriche, mentre lezioni pratiche, le "dimostrazioni", toccano al dimostratore del Giardino dei farmacisti. Meglio ancora, tre! All'inizio del 1733, mentre i professori dell'Accademia si preparano a partire per la Grande spedizione del Nord, da Londra arriva il giovane medico svizzero Johann Amman (1707-1741). Ha appena venticinque anni, ma ha ottime referenze: in primo luogo si è laureato a Leida con Boerhaave, il più grande professore di medicina e botanica dell'epoca; in secondo luogo, ha lavorato per tre anni come curatore della collezione naturalistica di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, alla quale egli stesso è stato ammesso nel 1731. Viene immediatamente nominato professore di botanica e scienze naturali in sostituzione di Gmelin in partenza per la Siberia e gli viene affidata la pubblicazione delle raccolte di Buxbaum e Messerschmidt. Nel 1735, dopo anni senza un direttore, al Giardino dei farmacisti viene nominato direttore e dimostratore il tedesco Johann Georg Siegesbeck, celebre per la sua polemica con Linneo e il suo pessimo carattere. La convivenza con Amman non è facile; Siegesbeck è frustrato perché briga inutilmente per essere ammesso all'Accademia e al rango di professore, Amman - la cui salute è purtroppo precaria - considera uno spreco di tempo e un disagio sempre più gravoso dover fare la spola tra le due isole, specie d'inverno, nel clima proverbialmente pessimo della capitale petrina. Incomincia così a fare pressioni perché l'Accademia si doti di un proprio orto botanico, dove studiare le piante dal vivo e impartire le lezioni pratiche. Educato a Leida, pensa che sia ora che anche San Pietroburgo abbandoni la vecchia concezione strumentale dell'hortus medicus, e si doti di un vero orto botanico moderno per la didattica e l'acclimatazione di piante esotiche e novità botaniche. Come ci informano le sue lettere a Sloane, l'idea fa breccia lentamente nell'amministrazione: all'inizio ha a disposizione solo un giardinetto, e come serra la sua stessa stanza. I finanziamenti per fare le cose in grande arrivano solo nel 1738 o nel 1739, quando la grande massa di piante giunte dalla Siberia e dalla Kamčatka grazie a Gmelin, Krašeninnikov e Steller rende urgente trovare loro una sede adeguata. E così, a San Pietroburgo, a pochi km di distanza, ci saranno due orti botanici: quello dell'Isola dei farmacisti, dipendente dalla cancelleria medica e principalmente orientato alle piante medicinali, e quello dell'isola Vasilev'skij, dipendente dall'Accademia, orientato alla didattica e alla coltivazione delle piante esotiche. Nel 1741 Amman, afflitto da ricorrenti problemi di salute fin dal suo arrivo a San Pietroburgo, morì a soli 34 anni. Siegesbeck ottenne finalmente la sospirata ammissione all'Accademia e gli succedette sia come professore sia come direttore del neonato orto accademico, mantenendo la direzione anche del Giardino dei farmacisti. Pochi anni dopo sarebbe stato scacciato con ignominia per il suo pessimo carattere e per la sua discutibile preparazione. Dopo di lui, i due giardini furono quasi sempre diretti dalla stessa persona, rendendo via via più assurdo il doppione, tanto più se si considerano gli angusti spazi dell'isola Vasil'evsij e il progressivo miglioramento dei trasporti urbani. Bisognò però attendere il 1823 perché i due orti botanici pietroburghesi fossero fusi in uno solo (denominato Imperiale orto botanico di san Pietroburgo), anche se il giardino dell'Accademia continuò ad esistere fino all'inizio del Novecento come sezione staccata. Un'Ammannia per due (forse) Prima di concludere, ancora due parole su Ammann. Testimonianze contemporanee lo descrivono come un uomo di grande cultura e insieme di grande umanità, che parlava molte lingue ed era profondamente dedito allo studio. La salute gli impedì di partecipare a raccolte sul campo, a parte brevi escursioni nei dintorni della capitale, ma fu un attivissimo "botanico da scrivania". Oltre a completare la pubblicazione dell'opera di Buxbaum, seminò nel giardino dell'Accademia i semi inviati dai suoi numerosi corrispondenti europei e raccolti dalle spedizioni di Orenburg, in Siberia e in Kamčatka e trasse un notevole erbario dagli esemplari adulti. Descrisse le specie nuove raccolte soprattutto da Heinzelmenn durante la spedizione di Orenburg, da Messerscmidt e da Gmelin in Siberia in Stirpium Rariorum in Imperio Rutheno Sponte Provenientium Icones et Descriptiones (1739) in cui descrisse 285 piante. Quest'opera illustrata, di grande impegno editoriale, fu una una delle prime a fare conoscere piante precedentemente inedite del Caucaso, dell'Asia centrale e della Siberia centro-meridionale. Oltre che con Sloane, era in corrispondenza con Collinson, Dillenius e Miller in Gran Bretagna cui inviò molte piante e ne ottenne i semi di molte piante nordamericane che fu il primo a introdurre in Russia. Fu uno dei primi corrispondenti di Linneo, neo professore a Uppsala, e molto contribuì al suo "giadino siberiano". Si ritiene che attraverso di lui abbiano fatto il loro ingresso nei giardini europei Lonicera tatarica, Gypsophila paniculata e Delphinium grandiflorum. Quando studiava a Leida, Amman aveva stretto amicizia con William Houstoun, che fu proprio la persona che lo presentò a Sloane. L'amico volle ricordarlo con uno dei nuovi generi da lui scoperti in Messico e nelle Antille, Ammania; egli non motivò la dedica, che però è confermata dalla testimonianza dell'amico comune Philip Miller. Linneo riprese il genere da Houstoun e lo ufficializzò in Species plantarum come Ammannia. In Critica botanica (1737) dichiara però di averlo dedicato al medico e botanico tedesco Paul Amman (1631-1694). Se pensiamo che all'epoca Johann Amman era ancora vivo, non aveva scritto nulla e la sua stessa corrispondenza con Linneo era ancora al di là da venire, non è strano che egli abbia cambiato il dedicatario. Inoltre, dal punto di vista di Linneo, Paul Amman (Paulus Ammannus) era certamente meritevole di essere ricordato. Direttore dell'hortus medicus di Lipsia nella seconda metà del Seicento ne fece il più importante della Germania; famoso per il suo sarcasmo e le sue critiche corrosive, oltre al primo catalogo del giardino, che comprende anche le piante della flora locale, scrisse Character plantarum naturalis (1676) in cui diede una prima diagnosi dei generi, basandosi principalmente sul frutto, e tentò una classificazione delle piante che riprende il sistema di Robert Morrison. Era dunque uno dei quei "sistematici" che Linneo considerava suoi predecessori. Per non fare torto né a Houstoun né a Linneo, ricordiamo dunque entrambi gli Amman, sia Johann sia Paul, delle cui vite troverete una sintesi nella sezione biografie. Il genere Ammannia L. (famiglia Lythraceae) - in seguito alla confluenza dell'affine genere Nesaea -comprende un centinaio di specie di piante erbacee acquatiche o di palude provenienti da varie zone temperate o tropicali; per lo più annuali, hanno fusti eretti o decombenti, che possono crescere sulle rive o fluttuare semisommersi, foglie da arrotondate a lanceolate o lineari, fiori minuti con 4-5 petali (ma talvolta apetali), in genere rosa, seguiti da capsule che contengono un grandissimo numero di semi. Questi ultimi, concavo-convessi, sono atti a fluttuare sulle acque e si mantengono vitali relativamente a lungo. Alcune specie (solitamente in precedenza classificate come Nesaea) sono utilizzate come piante da acquario. Tra di esse A. pedicellata, originaria di ambienti acquatici dell'Africa sudorientale, con folti ciuffi semisommersi di foglie lunghe e strette, che nella cultivar 'Golden' sono giallo dorato; A. gracilis ha invece foglie verdi nella parte inferiore e rosso vivo in quella superiore o emersa. Alcune specie sono presenti come avventizie nella nostra flora, soprattutto come occasionali infestanti delle risaie: A. coccinea (il nome deriva dal fatto che i fusti sono spesso rossastri) cresce in ambienti umidi della pianura padana, come fossi e arginelli delle risaie; A. robusta è segnalata in Lombardia e in Veneto; A. verticillata è naturalizzata in Sardegna e sporadicamente ritrovata altrove. Qualche approfondimento nella scheda. |
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November 2024
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