La bella Choisya ternata, o arancio del Messico, piuttosto coltivata anche da noi, ricorda il pastore evangelico, filosofo e botanico Jacques-Denis Choisy, che senza quella dedica sarebbe del tutto dimenticato. Eppure ai suoi tempi fu una figura molto attiva nella vita intellettuale e religiosa della sua città, Ginevra, nonché uno dei più produttivi collaboratori del Prodromus dei de Candolle. ![]() Pastore, filosofo, tassonomista Il Prodromus systematis naturalis regni vegetabilis di Augustin Pyramus de Candolle è una delle grandi opere della botanica ottocentesca, una pietra miliare della classificazione naturale, con le piante disposte in famiglie (all'epoca si chiamavano ancora ordines), secondo il sistema elaborato dallo stesso de Candolle. Egli ne aveva esposto i criteri fin dal 1813 in Théorie élémentaire de la botanique, ou Exposition des Principes de la classification naturelle et de l'art de décrire et d’etudier les végétaux. Ne diede una prima applicazione in Regni vegetabilis systema naturale, di cui pubblicò i primi due volumi tra il 1818 e il 1821. A questo punto si rese conto che l'impresa era temeraria e ripiegò su una presentazione più sintetica, convinto di riuscire a completare la classificazione descrittiva di tutte le spermatofite conosciute in pochi anni. Il ridimensionamento non fu sufficiente: alla sua morte, nel 1841, aveva completato sette volumi, ma moltissimo rimaneva da fare. A farsi carico della prosecuzione fu il figlio Alphonse, che già da tempo collaborava con il padre; egli curò la pubblicazione di ulteriori dieci volumi, l'ultimo dei quali uscì nel 1873, seguito l'anno successivo dal quarto e ultimo volume degli indici. Il progetto concepito da Augustin Pyramus era comunque incompleto: la trattazione aveva dovuto fermarsi alle dicotiledoni. De Candolle padre aveva scritto da solo circa due terzi della grandiosa opera, per un totale di 4300 pagine e 28,234 specie, il resto fu scritto da 34 botanici di otto paesi, tra cui, accanto al figlio Alphonse e al nipote Casimir, troviamo grandi nomi della botanica di quegli anni: tra di essi l'inglese George Bentham, il secondo contributore con 5044 specie, i tedeschi C.G. Nees von Esenbeck e Grisebach, l'italiano Parlatore. Il gruppo più consistente, con una decina di contributori, era ovviamente quello degli svizzeri, allievi, amici e colleghi dei de Candolle; a parte de Candolle figlio (5044 specie), i più prolifici tra di loro furono Carl Meissner (3043 specie) e Johann Müller d'Argovia (2729); in posizione intermedia si colloca Jacques-Denis Choisy, con 234 pagine e 1226 specie. Figura eminente della Ginevra ottocentesca, Choisy (1799-1859) è oggi piuttosto dimenticato, tanto da essere ignorato dal Dizionario storico della Svizzera, che pure dedica due voci ai nipoti Eugène e Albert. A preservarne la memoria sono la dedica del bel genere Choisya e una sintetica e commossa biografia commemorativa, scritta poco dopo la sua morte da Alphonse de Candolle. Choisy apparteneva a una famiglia di pastori protestanti ginevrini ed si mantenne fedele a questa tradizione; ma era un giovane di ingegno versatile, e contemporaneamente agli studi teologici, seguì corsi di filosofia, scienze umane, matematica e scienze naturali all'Accademia di Ginevra. Come uditore seguì anche i corsi di botanica di Augustin de Candolle, che lo affascinarono al punto che incominciò ad assisterlo con l'erbario e ad occuparsi seriamente di tassonomia. Nel 1821 fu ordinato pastore e pubblicò la sua prima opera di botanica Prodromus d'une Monographie de la famille des Hypérecinées (ovvero le attuali Hypericacae). L'anno dopo si trasferì a Parigi per completare gli studi di matematica e fisica, seguendo tra l'altro le lezioni di Cauchy e Biot. La raccomandazione di de Candolle e la monografia sulle Hypericaceae gli aprirono le porte dell'ambiente botanico; così poté frequentare l'erbario del barone Delessert e stringere amicizia con le giovani leve della botanica francese, da Adolphe Théodore Brongniart a Achille Richard; nelle lettere al padre, descrive con entusiasmo un'escursione botanica nel bosco di Fointainebleau insieme ad altri 15 botanici, e racconta con emozione di aver erborizzato con Antoine Laurent de Jussieu, che all'epoca aveva 79 anni. Ammesso alla Societé d'histoire naturelle, pubblicò sul bollettino della società la sua seconda monografia sistematica, dedicata alle Guttiferae (oggi Clusiaceae). Nel 1823 l'Accademia di Ginevra mise contemporaneamente a concorso tre cattedre: matematica, fisica e filosofia razionale. Choisy, rientrato a Ginevra, presentò la candidatura a tutte, presentando tra l'altro una memoria sui massimi e i minimi, e a soli 24 anni fu nominato professore di filosofia razionale, un insegnamento che escludeva la metafisica, era soprattutto incentrato sulla logica e aveva molte relazioni con la matematica. Mantenne la cattedra fino al 1848, quando i rivolgimenti politici toccarono anche Ginevra, con la conseguente ristrutturazione dell'insegnamento universitario e l'allontanamento per ragioni esclusivamente politiche di diversi professori, in particolare quelli legati alla chiesa evangelica, come Choisy, In quegli anni, egli era in effetti divenuto anche una figura centrale della chiesa ginevrina; secondo le regole vigenti all'epoca, il titolare della cattedra di filosofia doveva essere un pastore, membro di diritto del Consiglio dei pastori; per una decina di anni ne fu segretario, principale redattore del suo organo di stampa, Le Pasteur; più tardi fu uno dei pastori della città, per qualche tempo vicepresidente del Consiglio e per due volte moderatore. Come segretario, nel 1835 gli fu affidata l'organizzazione del tricentenario dell'introduzione della Riforma a Ginevra. Nel ventennio di insegnamento universitario, fu membro attivo di comitati su vari argomenti, dall'organizzazione scolastica alla regolazione delle acque, nonché rettore dell'Università per un biennio. Continuò ad occuparsi intensamente di botanica: nel 1833 pubblicò Description des Hydroleacés, tra il 1834 e il 1842 tre memorie sulle Convolvulaceae orientali (a proposito delle quali corrispose con Torrey), nel 1844 note sulle Convolvulaceae brasiliane, nel 1848 sulle Nyctaginaceae, infine, dopo il pensionamento, sulle Guttiferae, le Ternostroemiaceae e le Theaceae (1858). Parte di queste memorie, a partire dal 1824, confluirono nel Prodromus, in cui curò sette famiglie: Hypericineae, Guttiferae, Marcgraviaceae, Selaginaceae, Convolvulaceae, Hydroleaceae, Nyctaginaceae. Fu anche membro del consiglio di amministrazione dell'orto botanico ginevrino. Dopo l'allontanamento dall'insegnamento con una modesta pensione, intensifico l'attività pastorale; pubblicò alcune delle sue conferenze o sermoni in Conférences, ou Discours sur les influences sociales du christianisme (1848). Alphonse de Candolle ricorda anche alcuni viaggi, in Germania e in Inghilterra (uno dei suoi figli era pastore della Chiesa svizzera a Londra) dove visitò i giardini di Kew e incontrò Hooker. Gli ultimi anni furono funestati da una serie di malattie, da cui cercò di trovare sollievo con un soggiorno nel clima più favorevole di Pau; ma qui lo colse una congestione cerebrale che lo portò alla morte non molto tempo dopo il suo rientro a Ginevra, nel 1859, ad appena sessant'anni. ![]() Il profumatissimo arancio messicano Furono il lavoro giovanile sulle Hypericaceae e l'amicizia con Kunth a guadagnare a Choisy la dedica del genere Choisya (voi come lo pronunciate? com'è scritto, come se fosse una parola latina, o alla francese, tenendo conto del cognome del dedicatario?), con una sinteticissima motivazione: "Genere consacrato a J. D. Choisy, ginevrino, autore di una lucidissima monografia sulle Hypericaceae". L'aggettivo ci ricorda una qualità di Choisy sottolineata anche da Alphonse de Candolle: la chiarezza di parola e la lucidità di pensiero in tutte le sue attività, come predicatore, professore, botanico. Choisya Kunth è un piccolo genere della famiglia Rutaceae che comprende sei specie di arbusti sempreverdi diffusi tra gli Stati Uniti meridionali e il Messico, noti con il nome comune "arancio messicano" (i fiori in effetti ricordano da vicino quelli dell'arancio sia per la forma sia per il profumo). Hanno foglie aromatiche, palmato-composte, coriacee e lucide; i fiori, raccolti solitari e ascellari o raccolti in racemi terminali, hanno quattro-cinque petali bianchi a stella, numerosi stami gialli e un unico stimma verde. Non aspettatevi però arance: i frutti coriacei, divisi in due-sei capsule, non sono commestibili. In giardino la specie più nota è senza dubbio C. ternata. Originaria del Messico, è un piccolo arbusto dal portamento naturalmente arrotondato e dalle dimensioni contenute; fiorisce a fine aprile-maggio e talvolta ripete la fioritura in estate, ma è gradevole tutto l'anno per il fogliame lucido verde chiaro, I fiori gradevolmente profumati sono graditissimi alle api e agli altri impollinatori. Nonostante sia coltivato nei giardini europei da circa duecento anni, è molto stabile; se ne conosce una sola varietà, 'Sundance', uno sport con fogliame giallo oro scoperto in un vivaio inglese nel 1979. Le novità sono arrivate piuttosto dalle ibridazioni. A partire dalla fine degli anni '80 del Novecento, il vivaista inglese Peter Moon ha incominciato a incrociare C. ternata con la più rustica C. arizonica (spesso indicata con il sinonimo C. dumosa var. arizonica), caratterizzata da foglie palmate con sette foglioline molto strette ed allungate, forte resistenza al caldo e all'aridità, nonché alle basse temperature. Il primo risultato fu 'Aztec Pearl', commercializzata a partire dal 1989, estremamente fiorifera e dal portamento allargato e compatto. A questi ibridi è stato assegnato il nome botanico C. x dewitteana; altre creazioni di Moon sono 'White Dazzler' (Moon la commercializza con lo slogan 'Aztec Pearl è buona, White Dazzler anche meglio'), 'Goldfingers', con strette foglie giallo oro, 'Royal Lace', simile ma con portamento più compatto, 'Apple Blossom' con petali toccati di rosa. Anche 'Harrinora' è una creazione di Moon (il nome è ricorda i suoi genitori Harry e Nora), ma è un ibrido tra C. ternata e C. dumosa var. mollis; ha foglie grigio-verdi e richiede una protezione invernale.
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Un carteggio di quattro lettere, tre sue e una di Linneo, un articolo di due pagine, quattro menzioni nell'ultima importante opera linneana: è quasi tutto quello che ci resta del medico svizzero Frédéric-Louis Allamand. Ma a preservare il suo ricordo provvede lo spettacolare genere Allamanda, che ebbe anche la ventura di essere scelto dal dedicatario stesso su una rosa di tre proposti da Linneo in persona. ![]() Un carteggio e una dedica Nel novembre 1770 Linneo ricevette dall'Olanda dal medico Frédéric Louis Allamand (1736-1809), svizzero ma vissuto fin da ragazzo nei Paesi Bassi dove era diventato medico navale, una lettera e un manoscritto di una dozzina di pagine; intitolato Genera plantarum Americanarum, conteneva la descrizione di 37 specie presumibilmente nuove. Nella missiva di accompagnamento, Allamand informava Linneo che durante un viaggio di qualche anno prima nell'America tropicale aveva avuto modo di osservare un certo numero di nuove piante; aveva raccolto esemplari e li aveva conservati accuratamente, ma i materiali erano andati perduti durante un attacco di pirati. Era poi tornato in America, soggiornando soprattutto in Suriname, una zona finora trascurata dai botanici; ora sottoponeva a Linneo il manoscritto, frutto di due anni di lavoro, rimettendosi alla sua autorità. L'invio deliziò l'ormai anziano scienziato, anche perché veniva a colmare una lacuna e a sanare una vecchia ferita: quella che gli aveva inferto l'infedele allievo Rolander rifiutandogli l'accesso ai suoi manoscritti e all'erbario raccolto proprio in Suriname. Il lavoro di Allamand era eccellente: come scrive Linneo nella sua risposta, l'aveva letto e riletto, e mai aveva incontrato descrizioni più accurate, tanto che gli pareva quasi di vedere quelle piante con i propri occhi; non era l'opera di un soldato semplice, ma di un comandante dell'esercito di Flora (quello di cui Linneo si considerava il generale in capo). Dopo aver commentato minutamente le singole descrizioni, informava Allamand di aver l'intenzione di pubblicare le specie nuove nella seconda parte della sua Mantissa e gli chiedeva quale tra tre nuovi generi ugualmente notevoli (Galarips, Caryocar, Clibadium) preferiva gli fosse dedicata con il nome Allamanda. Erano elogi insoliti che ovviamente colmarono di gioia Allamand: nella lettera di risposta, inviata in occasione del Capodanno 1771, oltre a fare gli auguri a Linneo, scrive che gli sarebbe bastato un cenno, la soddisfazione di essere stato ascoltato, e invece ha ottenuto molto di più. Ha iniziato a formulare i caratteri e altre informazioni sulle piante nuove o meno conosciute che Linneo gli ha chiesto per includerli nella sua opera; spera che il testo sarà pronto tra breve. Quanto alla specie che Linneo così cortesemente vorrà dedicargli, sceglie quella che aveva chiamato Galarpis; conta di poter ricambiare tanto onore mandandogli qualche esemplare di piante rare. Le promesse descrizioni saranno inviate qualche mese dopo e Linneo includerà in Mantissa plantarum altera, oltre a Allamanda, tre dei generi di Allamand, Caryocar, Clibadium e Guarea. Altri cinque generi (nessuno dei quali oggi riconosciuto) erano stati in precedenza pubblicati da Allamand negli atti dell'Accademia Cesarea Leopoldina. Dopo l'estate 1771 il carteggio si interruppe. Al suo ritorno in Europa Allamand aveva lasciato la marina olandese, per poi trasferirsi in Russia come medico di corte; si fece vivo da San Pietroburgo nel giugno 1776 mandando a Linneo un'ultima lettera in cui si scusa di non avergli scritto per cinque anni e di essersi preso la libertà di farlo nuovamente; gliene dà l'occasione il prossimo viaggio in Svezia di un amico di cui intende approfittare per far giungere a Linneo alcuni esemplari di piante del Suriname. Linneo era ormai malato e sarebbe morto poco più di un anno dopo. Probabilmente non rispose mai. Quanto ad Allamand, non sappiamo molto sulla sua vita successiva, tranne che nel 1793 ritornò in Olanda e divenne professore all'Università di Leida, nei cui archivi il suo nome non compare più dopo il 1803. ![]() Fioriture tropicali Allamand certo aveva scelto per sé il genere più bello, o almeno quello con fioriture più vistose. La specie dedicatagli da Linneo è infatti Allamanda cathartica, uno spettacolare rampicante con grandi fiori a tromba giallo vivo che nei climi tropicali si susseguono per tutto l'anno. Anche oggi è la più nota e coltivata delle quindici specie del genere Allamanda, della famiglia Apocynaceae: sono arbusti eretti o rampicanti, con foglie sempreverdi riunite in verticilli e grandi fiori con corolla ad imbuto lievemente asimmetrica, solitamente gialla, ad eccezione di A. blanchetii che ha fiori da rosa a viola; i frutti sono per lo più capsule globose armate di spine. I fusti contengono un latice bianco che può causare vari disturbi; tutte le parti di queste pianete sono per altro tossiche, anche se trovano impiego nella medicina tradizionale con usi in parti confermati dalle ricerche di laboratorio. Ad eccezione di qualche specie nativa di Venezuela, Colombia e Perù, il genere è ristretto al Brasile, dove cresce nelle radure delle foreste più o meno umide, spesso lungo corsi d'acqua. Per la loro bellezza, diverse specie sono state introdotte in coltivazione nei paesi tropicali, dove alcune sono diventate invasive. Nei climi temperati sono invece coltivate come piante da serra, dal momento che in genere richiedono temperature non inferiori a 15°. Le specie coltivate sono essenzialmente tre: A. cathartica, A. blanchetii e A. schottii. La prima secondo William Curtis fu introdotta in Inghilterra nel 1785 dal barone Christian Ludwig von Hake, curatore dei giardini di corte di Herrenhausen. Originaria di Brasile, Guyana e Perù, è un rampicante vigoroso (può però essere coltivata anche a siepe) che può superare i 6 metri d'altezza; ha foglie lanceolate raggruppate in verticilli di 4 a intervalli lungo il fusto e fiori giallo brillante portati in gruppi di 12 all'apice dei fusti o all'ascella del fogliame. Ne sono state selezionate diverse varietà: 'Handersonii', quella più frequentemente coltivata in Europa, ha fiori più grandi, mentre quelli di 'Williamsii' sono fragranti e semidoppi. A. blanchetii è originaria del Brasile nordorientale dove cresce nella foresta arida nota come caatinga; si distingue dalle altre specie per il colore dei fiori. Di dimensioni più contenute rispetto alla specie precedente, può essere coltivata a cespuglio o fatta arrampicare su un supporto, raggiungendo un altezza di 3 metri; produce grandi fiori campanulati con 5 lobi arrotondati lievemente sovrapposti da rosa a viola, più scuri alla gola. Più rustica di A. cathartica, può sopportare per brevi periodi temperature vicine allo 0, si adatta meglio alla siccità, ma non sopporta i ristagni d'acqua; per questo viene spesso innestata su A. cathartica. Anche di questa specie esistono diverse varietà, tra cui 'Cherry Jubilee' con fiori rosso ciliegia. A differenza della altre due specie, A. schottii non è una liana, ma un arbusto eretto, che forma cespugli alti fino a tre metri e larghi 2; ha foglie sempreverdi da obovate ad ellittiche raggruppate in verticilli di 3-5, lucide e verde chiaro, che contrastano piacevolmente con la massa di fiori gialli con tubo corollino lievemente gibboso, lobi arrotondati giallo chiaro e gola striata di arancio. Piuttosto variabile, è spesso commercializzata sotto sinonimi come A. neriifolia e A. cathartica var. schottii. In effetti, insieme a A. martii e A. polyantha, fa parte di un complex di specie strettamente imparentate originarie delle foreste umide del Brasile orientale; affine, è anche l'ultima arrivata, A. calcicola, in precedenza confusa con queste specie e riconosciuta come specie autonoma appena nel 2009. Anche se il lavoro degli ibridatori per questo genere sembra ancora all'inizio, sul mercato sono disponibili anche alcuni ibridi, per lo più tra A. cathartica e A. blanchetii, che hanno permesso di allargare la gamma dei colori al bianco e all'albicocca, Con le sue grandi foglie a cuore e i fiori azzurri simili a quelli del cugino nontiscordardimé, Brunnera macrophylla è una delle più simpatiche abitatrici dei giardini d'ombra. In natura, vive a cavallo del Caucaso, in un'area che va dall'Anatolia nord-orientale alla Transcaucasia; e infatti il suo primo raccoglitore, Johannes Michael Friedrich Adams (quello che scoprì il celebre mammut) la trovò - si era nei primissimi anni dell'Ottocento - "nei boschi ombrosi dell'Iberia", cioè della Georgia. La credette un Myositis, e la battezzò senz'altro M. macrophylla. A capire che si trattava di un genere a sé fu circa mezzo secolo dopo un altro botanico al servizio della Russia, Christian von Steven; lo battezzò Brunnera, in onore dell' "egregio botanico Samuel Brunner bernese che visitò due volte la Tauride". Ma non furono quelli in Crimea i viaggi più avventurosi dello svizzero, che amava definire se stesso reisender Wissenschafter, "scienziato in viaggio". Un botanico in viaggio dall'Italia alla Crimea Il medico, viaggiatore e naturalista (anzi, scienziato in viaggio, come gli piaceva definirsi) bernese Samuel Brunner (1790-1844) sta un po' a metà tra il cultore di scienza dilettante e lo studioso di professione. Era sì laureato in medicina e abilitato all'insegnamento della botanica, ma non esercitò mai la professione e mai insegnò. Era membro di diverse società scientifiche e pubblicò anche alcuni articoli di botanica su Flora, la rivista della Società reale di botanica di Ratisbona, ma la sua fama è legata soprattutto a tre libri di viaggio che, in un linguaggio accattivante, presentano una massa di informazioni geografiche, etnografiche e naturalistiche (con un occhio di riguardo alla botanica) a un ampio pubblico. Ancora ispirati al modello di Humboldt, sono già più simili a reportage che a saggi scientifici. Brunner prepara i suoi viaggi scrupolosamente, mette nei bagagli i testi più aggiornati, quindi viaggia, visita giardini e istituzioni scientifiche, incontra molte persone (la sua rete di corrispondenti è vasta e conosce l'arte di farsi molti amici), si incuriosisce di tutto, si informa sulle produzioni del territorio, osserva scrupolosamente ed elenca le piante spontanee e coltivate; a casa, nel trasformare i diari di viaggio in libri, non manca di aggiungere informazioni di varia natura attinte da molti testi di riferimento. E' certamente un buon botanico, ma le sue identificazioni sono a volte approssimative e le descrizioni si riducono spesso a poche righe. Due elementi colpiscono: benché abbia esplorato a fondo una flora all'epoca poco nota, quella dell'arcipelago di Capo Verde, gli si deve l'identificazione di una sola nuova specie (oggi non più valida); e soprattutto, anche se era in corrispondenza con de Candolle (la cui opera è perfettamente contemporanea alla sua) non figura tra i collaboratori del suo Prodromus, che vide la partecipazione di ben 35 studiosi di otto nazioni diverse, un terzo dei quali elvetici. In una fase in cui i naturalisti iniziavano a professionalizzarsi e a lavorare per università, istituti di ricerca e orti botanici, Brunner era ancora un agiato gentiluomo che poteva permettersi di non lavorare e di viaggiare a proprie spese grazie alla notevole fortuna lasciatagli dal padre omonimo, membro di una ricca famiglia a metà tra borghesia e patriziato della città di Berna. Samuel Brunner padre era membro del Gran consiglio cittadino, castellano di Wimmis, presidente della Società dei Calzolai e aveva fatto fortuna sia nel settore immobiliare sia con abili investimenti obbligazionari. Nel 1798, quando l'esercito francese occupò Berna, venne arrestato e trattenuto nella fortezza di Hüningen; poco dopo fu rilasciato, ma decise di lasciare la città in attesa di tempi migliori, rifugiandosi con la famiglia a Sciaffusa. All'epoca, il nostro Samuel aveva otto anni. Più tardi, lo troviamo a Würzburg dove nel 1813 si laureò in medicina; come medico militare, partecipò all'ultima fase delle guerre napoleoniche dalla parte degli alleati. Nel 1814 la famiglia Brunner poté rientrare a Berna e Samuel figlio ottenne il brevetto di medico, cui nel 1818 aggiunse l'abilitazione all'insegnamento come libero docente di pediatria e botanica. Il patrimonio ereditato dal padre (morto nel 1821) gli permise però di vivere di rendita e di dedicarsi interamente alla politica, agli interessi intellettuali e ai viaggi. Negli anni della Restaurazione, tra il 1821 e il 1830, come suo nonno e suo padre prima di lui, fu membro del Gran Consiglio e nel 1830 presentò una petizione decisamente conservatrice contro l'allargamento della base sociale del Consiglio stesso; tuttavia vi si sosteneva la necessità di migliorare il sistema scolastico e di pagare di più gli insegnanti. Subito dopo i liberali andarono al potere, e Brunner si trovò all'opposizione; probabilmente non fece più politica, ma nel 1832 si sfogò scrivendo Gemütliche Unterhaltung im politischen Klubb zum klugen Elefanten in Utopia, "Accogliente conversazione sul club politico L'elefante intelligente in Utopia", in cui prendeva in giro il governo liberale del cantone. All'epoca era già un viaggiatore di lungo corso, membro di diverse società scientifiche elvetiche e tedesche: la Società medico-chirurgica del Cantone di Berna, la Società dei naturalisti bernesi e svizzeri, la Società Botanica Reale di Ratisbona, la Società naturalistica Senkenberg di Francoforte sul Meno, l'Associazione di storia naturale di Mannheim. Aveva molti corrispondenti in diversi paesi europei, inclusi noti scienziati. Iniziò a viaggiare intorno al 1819; i suoi obiettivi, come egli stesso scriverà nella prefazione al resoconto del suo ultimo viaggio, erano soddisfare la curiosità personale, arricchire le proprie collezioni (mise insieme un erbario di circa 10.000 esemplari), ma anche ampliare il patrimonio di conoscenze di storia naturale e contribuire al progresso economico; ecco perché si definiva Reisender Wissenschafter, "scienziato in viaggio". Svizzero germanofono formatosi in Germania, conosceva bene quel paese e i territori dell'Impero asburgico, dove aveva molti amici che spesso risalivano agli anni universitari o alla comune militanza nell'esercito alleato. Conosceva anche la Gran Bretagna e nel 1821 visitò la Provenza (ne parlerà anni dopo, in un articolo su Flora), ma presto la sua meta preferita divenne l'Italia alla cui flora dedicò i suoi primi articoli per la rivista di Regensburg: nel 1825 Die botanische Gärten Italiens, in due puntate, che - nonostante il titolo - si occupa solo dei giardini napoletani; nel 1826 Uber de Vegetation des Festalandes des Italien, "Sulla vegetazione della terraferma italiana", anch'esso in due parti: la prima è uno schizzo sulle peculiarità della flora della penisola, la seconda una bibliografia relativamente ampia. Sempre all'Italia è dedicato il primo libro di viaggio di Brunner, Streifzug durch das östliche Ligurien, Elba, die Ostküste Siciliens, und Malta, zunächst in Bezug auf Pflanzenkunde im Sommer 1826 unternommen, uscito presumibilmente a spese dell'autore nel 1828, in cui racconta un viaggio dell'estate del 1826. Dopo aver visitato molte località della riviera ligure di Levante, soffermandosi soprattutto sui giardini, gli oliveti, gli agrumeti, Brunner andò via terra a Livorno, da dove si spostò all'Elba, ancora pervasa di memorie napoleoniche; quindi, tornato a Livorno, si imbarcò per Milazzo. In Sicilia - la meta più importante del viaggio - visitò Messina, Catania, le pendici dell'Etna, Siracusa, Capo Passero dove si imbarcò per Malta; qui visitò la Valletta, Mdina (che Brunner chiama Civita Vecchia), Gozo e Comino, per poi imbarcarsi alla volta di Livorno. In un linguaggio con qualche pretesa letteraria, il gentiluomo-viaggiatore racconta visite, incontri, impressioni, senza mancare di infarcire il testo con informazioni di ogni genere, spaziando dalla geografia alla geologia, dal folclore alla musica, dall'estrazione del marmo di Carrara alle tonnare sicule, dalla politica degli occupanti britannici allo stato delle farmacie maltesi; l'attenzione privilegiata va però sempre alle piante, tanto quelle native, quanto quelle introdotte o coltivate, e ogni capitolo si conclude con un elenco delle specie osservate. Probabilmente alla fine degli anni '20 la curiosità di Brunner sull'Italia e la sua flora era ormai soddisfatta. Orami sognava mete più lontane e ambiziose: così nell'estate del 1831, dopo aver fatto visita ad alcuni amici viennesi, eccolo a Trieste ad imbarcarsi per Costantinopoli; visitò puntigliosamente la città, compresi i giardini delle sponde europea e asiatica, ma si trattava solo di una tappa di avvicinamento alla vera destinazione: la Crimea. Da Costantinopoli si imbarcò dunque per Odessa, dove dovette sottostare a una quarantena di due settimane; si spostò quindi a Sinferopoli, il capoluogo del Governatorato di Tauride, dove stabilì il suo quartier generale per esplorare la penisola e la sua natura, caratterizzata da paesaggi spettacolari e di grande varietà: dalle piante della steppa alla macchia mediterranea, dalla vegetazione litoranea alle foreste delle montagne. Anche se la Russia l'aveva definitivamente annessa solo nel 1792 e in un certo senso la Crimea rimaneva un territorio di frontiera, sia nei confronti dell'Impero ottomano sia in vista dell'espansione verso il Caucaso, era già una delle mete preferite dell'aristocrazia russa, che vi creò a gara le proprie case di vacanza (di alcune Brunner, con il suo talento per le amicizia, sarà ospite coccolato). Ad aprire la strada era stato proprio un naturalista, Peter Pallas, che nel 1793, subito dopo l'occupazione, aveva iniziato ad esplorarne la flora e poi si era stabilito a Sinferopoli in una grande tenuta donatagli dall'imperatrice Caterina II. Un altro grande protagonista dello studio della flora della Crimea era il finno-svedese Christian von Steven, che aveva partecipato alla spedizione von Biberstein e poi era rimasto in Crimea per creare l'orto botanico di Nikita nei pressi di Yalta, che aveva diretto fino al 1826, quando fu nominato ispettore capo per la sericoltura, di fatto responsabile di gran parte dell'agricoltura della Russia meridionale. Nonostante fosse impegnatissimo e sempre in giro per il vasto territorio che doveva ispezionare, Brunner, che era uno dei suoi corrispondenti, poté incontrarlo; ma moltissimi furono i funzionari e i proprietari terrieri ad aiutarlo, accompagnarlo e ospitarlo. Dunque neppure la Crimea era terra incognita, e Brunner la percorse tenendo sotto mano i volumi di Pallas, Biberstein, Steven e soci. Vi si trattenne fino ad ottobre e visitò tutto il visitabile, innamorandosi della regione al punto da dedicarle un poema in ottave, Sehnsucht nach Taurien, "Nostalgia della Tauride", incluso nel libro di viaggio che ricavò dall'esperienza, Ausflug über Constantinopel nach Taurien im Sommer 1831, pubblicato nel 1833. ![]() Capo Verde: dalla delusione all'entusiasmo Brunner tornò in Crimea ancora una volta, ma evidentemente neppure la mitica Tauride era sufficiente a soddisfare il suo desiderio di esotismo. Erano gli anni in cui le potenze europee incominciavano la loro penetrazione coloniale in Africa; i francesi avevano da tempo un avamposto a Gorée e Saint Louis nel Senegal, a lungo centri del commercio degli schiavi ma ora, dopo l'abolizione ufficiale della schiavitù, alla ricerca di nuove fonti di reddito. Per Brunner, da sempre interessato alle piante agricole e utilitarie, poteva essere un'occasione per approfondire sul campo la conoscenza di piante come la canna da zucchero, il caffè, la cannella, la melegueta (Aframomum melegueta); ma sperava anche di dare un contributo originale alla scienza botanica esplorando finalmente un'area inesplorata, o per lo meno poco battuta. Come al solito, si preparò con scrupolo leggendo ciò che avevano scritto i naturalisti che lo avevano preceduto, e come meta finale scelse le isole del golfo di Guinea, in particolare São Tomé che, tra l'altro, stava convertendo la sua economia dal traffico degli schiavi alla coltivazione del cacao e del caffè. Prima di partire, discusse il suo progetto con Augustin Pyramus de Candolle, che lo scongiurò di lasciar perdere São Tomé: "Non è il caso di andare a morire, vedete, non lo voglio, perché morto non fareste nulla. Mi oppongo!". Gli consigliò invece di optare per le isole di Capo Verde: facili da raggiungere come scalo di molte navi dirette in India o in Sud America, con un clima salubre e una flora ancora in larga parte sconosciuta. Ancora convinto a metà, nel novembre 1837 Brunner si imbarcò a Marsiglia alla volta di Saint Louis, da dove raggiunse Gorée. In porto c'era una piccola imbarcazione diretta a São Tomé; pensò di approfittarne, ma non c'era posto per lui, così dovette rassegnarsi a dare ascolto alla ragione e agli ammonimenti di de Candolle. Nel maggio 1838, eccolo dunque all'esplorazione delle isole di Cabo Verde. La prima che tocca è la desolata Ilha do Sal, dove visita le saline che le danno il nome e fa alcune escursioni all'interno, caratterizzato da una vegetazione desertica ma con molti endemismi. Dopo qualche giorno, a bordo di una goletta portoghese, raggiunge Boavista; la baia è splendida, e ricorda un po' quella di Napoli, ma anche quest'isola è quasi priva di vegetazione: ovunque nient'altro che rocce e sabbia. Va comunque a visitare le tenute di due portoghesi che ha conosciuto sulla gletta che lo ha portato a Boavista. Dopo pochi giorni lascia anche quest'isola per Santiago, la maggiore dell'arcipelago. La delusione continua. La capitale, Praia, un villaggio di non più di 2000 abitanti, gli lascia un'impressione di squallore: a parte poche case più grandi in stile europeo raggruppate nella via principale o attorno alla piazza del mercato, l'abitato è costituito da casupole con il tetto di foglie di palma, "più simili a porcili che a abitazioni umane. Dappertutto si vedono povertà e pigrizia". Ma quando finalmente penetra nell'interno per fare visita a un residente francese, la delusione si muta in entusiasmo: all'ingresso della valle d'Orgão lo accolgono le palme da cocco più belle che abbia mai visto, le piantagioni di canna da zucchero e di banani sono ben irrigate e lussureggianti, le cascine accoglienti e ben tenute. Ma i soldi stanno per finire, senza contare l'avvicinarsi dell'estate; Brunner decide di imbarcarsi su una ex nave negriera diretta in Europa; poco dopo la partenza, tuttavia, lo scafo imbarca acqua e si rende necessario uno scalo a Brava per le riparazioni. Anche questo porto è squallido e la sistemazione di fortuna disagevole, ma una gita verso le parti alte dell'isola lo rincuora con la bellezza delle fioriture e l'abbondanza di vigneti, piantagioni di manioca, caffè e banani. E' dunque con un pizzico di rimpianto che dopo dieci giorni può partire definitivamente per Lisbona, da dove raggiungerà Berna dopo un'assenza di circa otto mesi. Come i viaggi in Italia e in Crimea, anche quello in Senegal e Capo Verde si trasforma in un libro, Reise nach Senegambien und den Inseln des grünen Vorgebirges im Jahre 1838, che esce nel 1840. Ma Brunner questa volta decise di pubblicare separatamente la parte botanica, presentando le piante raccolte o osservate in un articolo in due parti comparso ancora su Flora, sotto il titolo Botanische Ergebnisse einer Reise nach Senegambien und den Inseln des grünen Vorgebürges ("Risultati botanici di un viaggio in Senegambia e nelle isole di Capo Verde). Con la trattazione in ordine alfabetico di circa 220 specie, è sicuramente il lavoro botanico più ampio di Brunner, ma, al contrario dei tre libri di viaggio, che ebbero un'accoglienza prevalentemente favorevole, passò praticamente inosservato. In effetti, con l'eccezione delle piante da reddito, le descrizioni sono molto brevi e le identificazioni non sempre accurate. L'unica segnalazione di una specie nuova è quella di Tylophora incana (oggi sinonimo di Leptadenia lanceolata). Era l'ultima fatica di Brunner che morì nella città natale appena quattro anni dopo, nel 1844. ![]() Brunnera, un tesoro per i giardini d'ombra Nel 1851 Steven volle commemorarlo dedicandogli il genere Brunnera, da lui separato da Myosotis; la motivazione è semplice e laconica: "per l'egregio botanico Samuel Brunner bernese che visitò due volte la Tauride". E' dunque come visitatore innamorato della Crimea, e non come esploratore della flora di Capo Verde, che lo svizzero è entrato a far parte della schiera dei dedicatari di generi botanici. Brunnera (Boraginaceae) è genere di piante erbacee piccolo, ma ben noto agli appassionati perché almeno una delle sue tre specie, B. macrophylla, è molto coltivata. Tutte sono originarie dei boschi di tre aree disgiunte tra il Mediterraneo e la Siberia, passando per l'Anatolia e il Caucaso, la terra di origine di B. macrophylla. Le altre due specie sono appunto la siberiana B. sibirica, originaria della Siberia centrale e meridionale (specie scoperta dallo stesso Steven) e la mediterranea B. orientalis, originaria dell'Anatolia e del Vicino oriente. La più nota è però B. macrophylla, il cui habitat naturale sono i boschi umidi dell'Anatolia orientale e di entrambi i versanti del Caucaso. Fu scoperta originariamente intorno al 1800 da Adams, che la battezzò Myosotis macrophylla. E' una delle specie più belle e utili nei giardini boschivi e d'ombra, con grandi foglie a cuore e piccoli fiori azzurri simili a quelli del nontiscordardimé, vigorosa ma non invadente, adatta anche come tappezzante. Non è affatto esigente, e sopporta anche il sole del mattino, purché possa godere di umidità e magari di un terreno umifero. Accanto alla specie tipica con foglie verde scuro, ne sono state selezionate diverse varietà a foglia variegata. Probabilmente la più nota è 'Jack Frost', con foglie argentate e venature verde scuro; altre cultivar interessanti sono 'Diane's Gold' con foglie giallo oro e fiori blu; 'Hadspen Cream' con foglie molto grandi e margini irregolarmente variegati di crema; 'Langtrees' (o 'Silver Spot') con foglie puntinate d'argento; 'Looking Glass' con foglie argentee dai riflessi metallici. 'Betty Bowring' è simile alla specie tipica, ma con fiori bianchi. Altre informazioni nella scheda. A partire dalla fine degli anni '30 del Settecento, a San Pietroburgo c'erano ben due orti botanici: uno dipendeva dalla Cancelleria medica e ospitava soprattutto specie medicinali; l'altro era annesso all'Accademia delle scienze ed era essenzialmente un giardino didattico e di acclimatazione. A volere fortemente il secondo fu il professore di botanica Johann Amman che, educato a Leida, pensava che il "vecchio" giardino (vecchio per modo di dire: aveva poco più di vent'anni) fosse ormai obsoleto, oltre che troppo lontano dall'Accademia. Ben presto i due giardini furono diretti dalla stessa persona e la bipartizione perse via via significato, finche nel 1823 vennero fusi a formare il nuovo Imperiale orto botanico. Amman, morto giovanissimo, fu ricordato dall'amico William Houstoun con il genere Ammania; Linneo lo fece proprio, ma lo ribattezzò Ammannia (con due enne) e lo dedicò a un omonimo: Paul Amman, direttore secentesco dell'orto botanico di Lipsia e precursore della classificazione naturale. ![]() Un giardino, anzi due... A studiare la storia russa, si ha sempre l'impressione che tutto sia complicato, non lineare, contraddittorio. E così capita che nell'arco di meno di mezzo secolo, l'autorità imperiale prenda l'iniziativa di fondare tre orti botanici, che poi continuano la loro vita parallela in una gran confusione di funzioni, conflitti personali, sperpero di denaro. Si comincia a Mosca nel 1706, quando Pietro il Grande ordina di creare un orto dei farmacisti (Aptekarskij ogorod) destinato alla coltivazione di piante officinali per le farmacie cittadine. Lo zar ci tiene tanto che, si racconta, vi piantò di sua mano tre conifere (l'ho raccontato qui). Il giardino è gestito dalla Cancelleria delle farmacie, un organismo tradizionale controllato da membri dell'alta aristocrazia. Ma intanto Pietro ha deciso di creare ex novo, facendola sorgere letteralmente dal mare e dalle paludi, la sua nuova capitale, San Pietroburgo, dove trasferisce a forza la corte e tutte le strutture amministrative. Mette mano anche alla riforma della medicina, affidandola al suo medico personale, lo scozzese Robert Erskine, che crea un nuovo organismo, la Cancelleria medica, che d'ora in avanti controllerà l'attività dei medici civili e militari e dei farmacisti. E' in un certo senso un doppione della Cancelleria dei farmacisti, che però per non creare un conflitto immediato con l'aristocrazia moscovita non viene abolita, ma svuotato dall'interno. Erskine dirige un gigantesco trasferimento di documenti, materiali e piante. La centrale operativa della Cancelleria medica viene stabilita in una delle isole settentrionali del delta della Neva, piuttosto distante dal nucleo centrale, dove vengono costruiti la sede degli uffici, un laboratorio per la preparazione dei medicamenti e un vasto orto botanico, la cui fondazione è decretata verso la fine del 1713. Si chiamerà Aptekarskij sad (giardino dei farmacisti) e l'isola stessa prenderà il nome Aptekarskij ostrog, Isola dei farmacisti. I due giardini hanno la stessa funzione, ma vista la distanza è sensato avere due giardini medici che coltivano piante officinali per le farmacie delle rispettive aree; un po' meno che uno dipenda dalla Cancelleria dei farmacisti (dunque da un organismo semi autonomo), l'altro dalla Cancelleria medica (dunque direttamente dal sovrano, attraverso il suo archiatra). Le cose si complicano quando, sull'esempio degli orti botanici di Parigi e Leida, si decide di farne anche dei giardini di acclimatazione delle piante esotiche ottenute con lo scambio semi da orti botanici europei e delle specie raccolte in natura nel vastissimo e variegato impero russo dalle numerose spedizioni naturalistiche che si succedono nel corso del secolo. Finisce per imporsi una certa specializzazione "geografica": fatto salvo che il centro è San Pietroburgo, le spedizioni che esplorano la Russia europea, le rive del mar Nero, il Caucaso tendono a far capo a Mosca, e il giardino moscovita si arricchisce soprattutto di piante delle steppe. I materiali raccolti dalle spedizioni che operano al di là degli Urali ed esplorano la Siberia fino alle rive del Pacifico, i confini con la Cina, l'Asia centrale tendono ad affluire all'Isola dei farmacisti. Le prime spedizioni, come quella di Messerschmidt in Siberia (1719-1727) o di Buxbaum (1724-1727) a Costantinopoli, sono organizzate dalla Cancelleria medica, ma nel 1724 viene fondato un terzo organismo, con compiti scientifici e didattici: l'Accademia russa delle Scienze, con sede nell'isola Vasil'ekskij, accanto all'edificio dove è conservata la Kunstkamera, la camera delle meraviglie imperiali. L'imperatore e il suo archiatra considerano tutto ciò che viene riportato dalle spedizioni russe un tesoro nazionale che va ad arricchire la Kunstkamera e deve essere studiato e pubblicato esclusivamente dai professori dell'Accademia. E così succede che le piante vive e i semi raccolti da Gmelin durante la Grande spedizione del Nord (salvo quelli che egli coltiva nel suo giardino privato) finiscono nelle aiuole dell'isola dei farmacisti, mentre gli esemplari d'erbario sono custoditi nell'isola Vasil'evskij. Qui il professore di botanica del ginnasio e dell'Università accademica tiene le lezioni teoriche, mentre lezioni pratiche, le "dimostrazioni", toccano al dimostratore del Giardino dei farmacisti. ![]() Meglio ancora, tre! All'inizio del 1733, mentre i professori dell'Accademia si preparano a partire per la Grande spedizione del Nord, da Londra arriva il giovane medico svizzero Johann Amman (1707-1741). Ha appena venticinque anni, ma ha ottime referenze: in primo luogo si è laureato a Leida con Boerhaave, il più grande professore di medicina e botanica dell'epoca; in secondo luogo, ha lavorato per tre anni come curatore della collezione naturalistica di Hans Sloane, il presidente della Royal Society, alla quale egli stesso è stato ammesso nel 1731. Viene immediatamente nominato professore di botanica e scienze naturali in sostituzione di Gmelin in partenza per la Siberia e gli viene affidata la pubblicazione delle raccolte di Buxbaum e Messerschmidt. Nel 1735, dopo anni senza un direttore, al Giardino dei farmacisti viene nominato direttore e dimostratore il tedesco Johann Georg Siegesbeck, celebre per la sua polemica con Linneo e il suo pessimo carattere. La convivenza con Amman non è facile; Siegesbeck è frustrato perché briga inutilmente per essere ammesso all'Accademia e al rango di professore, Amman - la cui salute è purtroppo precaria - considera uno spreco di tempo e un disagio sempre più gravoso dover fare la spola tra le due isole, specie d'inverno, nel clima proverbialmente pessimo della capitale petrina. Incomincia così a fare pressioni perché l'Accademia si doti di un proprio orto botanico, dove studiare le piante dal vivo e impartire le lezioni pratiche. Educato a Leida, pensa che sia ora che anche San Pietroburgo abbandoni la vecchia concezione strumentale dell'hortus medicus, e si doti di un vero orto botanico moderno per la didattica e l'acclimatazione di piante esotiche e novità botaniche. Come ci informano le sue lettere a Sloane, l'idea fa breccia lentamente nell'amministrazione: all'inizio ha a disposizione solo un giardinetto, e come serra la sua stessa stanza. I finanziamenti per fare le cose in grande arrivano solo nel 1738 o nel 1739, quando la grande massa di piante giunte dalla Siberia e dalla Kamčatka grazie a Gmelin, Krašeninnikov e Steller rende urgente trovare loro una sede adeguata. E così, a San Pietroburgo, a pochi km di distanza, ci saranno due orti botanici: quello dell'Isola dei farmacisti, dipendente dalla cancelleria medica e principalmente orientato alle piante medicinali, e quello dell'isola Vasilev'skij, dipendente dall'Accademia, orientato alla didattica e alla coltivazione delle piante esotiche. Nel 1741 Amman, afflitto da ricorrenti problemi di salute fin dal suo arrivo a San Pietroburgo, morì a soli 34 anni. Siegesbeck ottenne finalmente la sospirata ammissione all'Accademia e gli succedette sia come professore sia come direttore del neonato orto accademico, mantenendo la direzione anche del Giardino dei farmacisti. Pochi anni dopo sarebbe stato scacciato con ignominia per il suo pessimo carattere e per la sua discutibile preparazione. Dopo di lui, i due giardini furono quasi sempre diretti dalla stessa persona, rendendo via via più assurdo il doppione, tanto più se si considerano gli angusti spazi dell'isola Vasil'evsij e il progressivo miglioramento dei trasporti urbani. Bisognò però attendere il 1823 perché i due orti botanici pietroburghesi fossero fusi in uno solo (denominato Imperiale orto botanico di san Pietroburgo), anche se il giardino dell'Accademia continuò ad esistere fino all'inizio del Novecento come sezione staccata. ![]() Un'Ammannia per due (forse) Prima di concludere, ancora due parole su Ammann. Testimonianze contemporanee lo descrivono come un uomo di grande cultura e insieme di grande umanità, che parlava molte lingue ed era profondamente dedito allo studio. La salute gli impedì di partecipare a raccolte sul campo, a parte brevi escursioni nei dintorni della capitale, ma fu un attivissimo "botanico da scrivania". Oltre a completare la pubblicazione dell'opera di Buxbaum, seminò nel giardino dell'Accademia i semi inviati dai suoi numerosi corrispondenti europei e raccolti dalle spedizioni di Orenburg, in Siberia e in Kamčatka e trasse un notevole erbario dagli esemplari adulti. Descrisse le specie nuove raccolte soprattutto da Heinzelmenn durante la spedizione di Orenburg, da Messerscmidt e da Gmelin in Siberia in Stirpium Rariorum in Imperio Rutheno Sponte Provenientium Icones et Descriptiones (1739) in cui descrisse 285 piante. Quest'opera illustrata, di grande impegno editoriale, fu una una delle prime a fare conoscere piante precedentemente inedite del Caucaso, dell'Asia centrale e della Siberia centro-meridionale. Oltre che con Sloane, era in corrispondenza con Collinson, Dillenius e Miller in Gran Bretagna cui inviò molte piante e ne ottenne i semi di molte piante nordamericane che fu il primo a introdurre in Russia. Fu uno dei primi corrispondenti di Linneo, neo professore a Uppsala, e molto contribuì al suo "giadino siberiano". Si ritiene che attraverso di lui abbiano fatto il loro ingresso nei giardini europei Lonicera tatarica, Gypsophila paniculata e Delphinium grandiflorum. Quando studiava a Leida, Amman aveva stretto amicizia con William Houstoun, che fu proprio la persona che lo presentò a Sloane. L'amico volle ricordarlo con uno dei nuovi generi da lui scoperti in Messico e nelle Antille, Ammania; egli non motivò la dedica, che però è confermata dalla testimonianza dell'amico comune Philip Miller. Linneo riprese il genere da Houstoun e lo ufficializzò in Species plantarum come Ammannia. In Critica botanica (1737) dichiara però di averlo dedicato al medico e botanico tedesco Paul Amman (1631-1694). Se pensiamo che all'epoca Johann Amman era ancora vivo, non aveva scritto nulla e la sua stessa corrispondenza con Linneo era ancora al di là da venire, non è strano che egli abbia cambiato il dedicatario. Inoltre, dal punto di vista di Linneo, Paul Amman (Paulus Ammannus) era certamente meritevole di essere ricordato. Direttore dell'hortus medicus di Lipsia nella seconda metà del Seicento ne fece il più importante della Germania; famoso per il suo sarcasmo e le sue critiche corrosive, oltre al primo catalogo del giardino, che comprende anche le piante della flora locale, scrisse Character plantarum naturalis (1676) in cui diede una prima diagnosi dei generi, basandosi principalmente sul frutto, e tentò una classificazione delle piante che riprende il sistema di Robert Morrison. Era dunque uno dei quei "sistematici" che Linneo considerava suoi predecessori. Per non fare torto né a Houstoun né a Linneo, ricordiamo dunque entrambi gli Amman, sia Johann sia Paul, delle cui vite troverete una sintesi nella sezione biografie. Il genere Ammannia L. (famiglia Lythraceae) - in seguito alla confluenza dell'affine genere Nesaea -comprende un centinaio di specie di piante erbacee acquatiche o di palude provenienti da varie zone temperate o tropicali; per lo più annuali, hanno fusti eretti o decombenti, che possono crescere sulle rive o fluttuare semisommersi, foglie da arrotondate a lanceolate o lineari, fiori minuti con 4-5 petali (ma talvolta apetali), in genere rosa, seguiti da capsule che contengono un grandissimo numero di semi. Questi ultimi, concavo-convessi, sono atti a fluttuare sulle acque e si mantengono vitali relativamente a lungo. Alcune specie (solitamente in precedenza classificate come Nesaea) sono utilizzate come piante da acquario. Tra di esse A. pedicellata, originaria di ambienti acquatici dell'Africa sudorientale, con folti ciuffi semisommersi di foglie lunghe e strette, che nella cultivar 'Golden' sono giallo dorato; A. gracilis ha invece foglie verdi nella parte inferiore e rosso vivo in quella superiore o emersa. Alcune specie sono presenti come avventizie nella nostra flora, soprattutto come occasionali infestanti delle risaie: A. coccinea (il nome deriva dal fatto che i fusti sono spesso rossastri) cresce in ambienti umidi della pianura padana, come fossi e arginelli delle risaie; A. robusta è segnalata in Lombardia e in Veneto; A. verticillata è naturalizzata in Sardegna e sporadicamente ritrovata altrove. Qualche approfondimento nella scheda. Torniamo a solcare i mari delle Indie orientali per incontrare, dopo Garcia de Orta, l'altro dedicatario del genere linneano Garcinia. E' il chirurgo e poi medico franco-svizzero Laurent Garcin che per otto anni lavorò per la VOC visitando molti dei paesi che si affacciano sull'Oceano indiano, dalla Persia all'Indonesia. Oltre alla dedica da parte di Linneo, vari aspetti della sua biografia lo accomunano a Orta: entrambi sono figli di rifugiati per motivi religiosi, entrambi studiano da pionieri flore quasi sconosciute in Europa, entrambi tengono in grande considerazione le tradizioni mediche locali. E, ovviamente, entrambi hanno scritto del mangostano, ovvero Garcinia mangostana. ![]() Un chirurgo navale fuori dal comune Nel 1733, il medico franco-svizzero Laurent Garcin pubblica nelle Transactions della Royal Society, di cui è membro corrispondente, una memoria in cui propone l'istituzione di un nuovo genere di piante "detto secondo i malesi Mangostano". Qualche anno dopo (1737), Linneo, che probabilmente lo conosce di persona (all'epoca entrambi vivono nei Paesi Bassi e frequentano gli stessi ambienti), in Hortus Cliffortianus gli intesta il nuovo genere, con la seguente motivazione: "Ho chiamato questo nuovo genere di albero Garcinia, da Garcin, che primo ne ha dato i caratteri nelle Transactions, e da Garcia de Horta che l'ha descritto per primo". E' perciò nel segno del mangostano che due pionieri dello studio della flora delle Indie orientali si trovano congiunti nella nomenclatura botanica. Torniamo dunque anche noi nelle Indie, quasi un secolo e mezzo dopo il rogo di Goa che ridusse in cenere le spoglie di Garcia de Orta e le pagine dei suoi Colóquios dos simples (l'ho raccontato in questo post), per seguire i passi del co-dedicatario Laurent Garcin. Nel loro destino c'è una strana coincidenza: come il medico portoghese era figlio di ebrei spagnoli, espulsi dalla loro patria nel 1492, Garcin era figlio di calvinisti francesi che dovettero abbandonare la Francia in seguito alla revoca dell'editto di Nantes del 1685. Il padre era un medico e decise di stabilirsi con la famiglia non lontano dal confine, a Neuchâtel, all'epoca un principato retto in unione personale dal re di Prussia, ma di fatto largamente autonomo. All'epoca in cui lasciò la Francia, Laurent, di cui non conosciamo con esattezza la data di nascita, doveva avere circa 4 anni. Intorno ai 14 anni fu mandato a studiare nei Paesi Bassi (un paese calvinista e assai all'avanguardia nella scienza medica); secondo alcune fonti, studiò medicina sotto il celebre Boerhaave, ma poiché non risulta immatricolato in nessuna università olandese, è più probabile che sia stato affidato come apprendista a un maestro chirurgo. Intorno al 1704 (di nuovo, poco sappiamo della sua giovinezza) si arruolò come chirurgo militare in un reggimento fiammingo nel quale servì per sedici anni, nelle Fiandre, in Spagna e in Portogallo. Nel 1720 lasciò l'esercito e fu assunto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali (d'ora in avanti VOC) come chirurgo di bordo di una nave in partenza per Batavia, il quartier generale dell'impero olandese delle spezie. Aveva dunque circa 40 anni, un'età in cui - lo sottolinea egli stesso - i suoi colleghi, se erano stati abbastanza fortunati da sopravvivere, intraprendevano il viaggio di ritorno. La VOC lo assegnò come capo chirurgo (oppermeester) alla Oudenaarde, in partenza il 20 maggio dal porto di Middelburg. Circa sette mesi dopo, il 19 gennaio 1721, Laurent Garcin sbarcava a Batavia. A questo punto, avrebbe potuto essere assegnato all'ospedale della VOC a Batavia oppure alle navi della compagnia che facevano la spola tra i porti e gli empori asiatici. Probabilmente prestò servizio in entrambi i ruoli, ma soprattutto come chirurgo di bordo, visto che risulta abbia visitato la Persia, Surat, la costa del Coromandel, il Bengala, Ceylon e varie isole indonesiane, nel corso di almeno tre viaggi. In tutti questi paesi, osservò fenomeni naturali poco noti, si dedicò a osservazioni barometriche, raccolse semi e esemplari di piante, e si informò sistematicamente sulle pratiche mediche locali. A impressionarlo, furono soprattutto la competenza medica dei bramini indù e dei medici cinesi che incontrò in Malacca. Oltre a corrispondere ai suoi interessi, imparare a riconoscere le erbe locali e le loro proprietà officinali era anche una necessità per un chirurgo impegnato nelle Indie, sia per rifornire la farmacia della nave con rimedi freschi, sia per far fronte alle malattie tropicali che i medici europei non conoscevano e non sapevano come affrontare; invece i medici locali possedevano un tesoro di pratiche e saperi tradizionali che, forse, erano più disponibili a spartire con un chirurgo che con uno spocchioso medico formato in un'università europea. Fu dunque con un bagaglio materiale di semi e piante essiccate e immateriale di conoscenze mediche (ma non solo) che il 1 novembre 1728 Garcin si imbarcò sulla Valkenisse per il viaggio di ritorno. Il 26 giugno sbarcò nei Paesi Bassi. Deciso a esercitare la medicina anche in Europa, a quasi cinquant'anni dovette rimettersi a studiare: si fermò ancora un anno a Leida per completare gli studi medici con Boerhaave e si laureò a Reims. Le competenze acquisite nelle Indie in medicina, botanica, meteorologia gli aprirono le porte della società scientifica europea, come attesta la corrispondenza con personaggi come Daniel Bernoulli, Pieter van Musschenbroek (l'inventore della bottiglia di Leida), Hans Sloane, Réamur, Bernard de Jussieu. Nel 1731 fu ammesso alla Royal Society come membro onorario. Nei Paesi Bassi, oltre a Boerhaave, il suo principale referente era Johannes Burman, cui cedette gran parte dell'erbario raccolto nelle Indie, che fu poi utilizzato dal figlio Nicolaas Laurens Burman per la sua Flora indica (1768). E' probabile che a casa di Burman abbia conosciuto Linneo, anche se non sono rimaste lettere tra i due. E' certo però che fu il primo a far conoscere il sistema linneano in Svizzera, preferendolo a quello di una gloria locale come Haller. Dopo la laurea, ritornò per qualche tempo in Svizzera per sposarsi e rivedere la famiglia. Quindi lavorò come medico a Hulst, in Zelanda e dal 1739 si stabilì definitivamente a Neuchâtel, divenendo un membro eminente della piccola comunità scientifica del principato. Ammesso come membro corrispondente anche all'Accademia delle scienze francese, pubblicò articoli su diversi argomenti, oltre che sulle Transactions della Royal Society, sul Journal helvétique/Mercure Suisse, per il quale teneva anche una rubrica meteorologica, e collaborò alla revisione del Dictionnaire universel de commerce (1742). Morì a Neuchâtel nel 1752. Una sintesi della vita nella sezione biografie. Anche suo figlio Jean-Laurent Garcin (1733–1781), poeta e letterato, si occupò di botanica e rivide per l'Encyclopédie d’Yverdon le voci botaniche scritte da Jean-Jacques Rousseau. ![]() Frutti tropicali e pigmenti trasparenti Il mangostano, nome botanico Garcinia manogostana, è la specie più nota di un genere molto vasto delle Clusiaceae (il secondo per dimensioni della famiglia), che comprende da 260 a 400 specie di alberi e arbusti diffusi nella fascia tropicale e subtropicale di tutti i continenti. Sempreverdi, sono in genere dioici e in qualche caso possono riprodursi per apomissia (ovvero senza fecondazione). Per l'estrema varietà delle strutture fiorali, Garcinia è considerato un genere dalla tassonomia discussa, come dimostra anche l'incerto numero di specie. Molte di esse, come altre Clusiaceae (che proprio per questa ragione un tempo si chiamavano Guttiferae), producono resine bruno-giallastre per la presenza di xantonoidi come la mangostina, talvolta usate come purganti o lassativi piuttosto drastici, ma più spesso come coloranti. Molte specie producono frutti eduli, talvolta dolci e da consumare crudi, talvolta acidi e da consumare essiccati. Il frutto più noto è ovviamente proprio il mangostano: è originario del Sud Est asiatico (il nome deriva dalla lingua malese) dove è talmente amato da essere chiamato "regina dei frutti"; già prima dell'arrivo degli europei, fu diffuso in altri paesi asiatici: sicuramente era già noto in India nel Cinquecento, come attestano proprio i Colóquios dos simples di Garcia de Orta. Furono gli inglesi a introdurlo nel resto del mondo: arrivato a Kew intorno 1850, fu importato nelle Antille britanniche, specialmente in Giamaica, che divenne il centro di diffusione in paesi come Guatemala, Honduras, Panama e Ecuador. Tuttavia richiede condizioni ambientali difficili da riprodurre; il sudest asiatico conserva il primato nella produzione mondiale (il paese leader è la Thailandia), e le coltivazioni in altre aree giocano un ruolo marginale. Poco noto da noi fino a pochi anni fa, oggi non è difficile vederlo in vendita tra i frutti tropicali anche sui banchi dei supermercati. I frutti di altre specie sono consumati per lo più a livello locale. Ma non sono solo i frutti a rendere interessanti le Garciniae. Da qualche anno sono stati lanciati sul mercato capsule o estratti di Garcinia gummi-gutta (in genere commercializzati sotto il sinonimo G. cambogia); ricavati dalla scorza dei frutti, dovrebbero facilitare la perdita di peso. Studi scientifici in doppio cieco hanno in realtà dimostrato che la loro efficacia è pari a quello del placebo, mentre sono stati evidenziati effetti collaterali a carico del fegato e dell'apparto gastro-intestinale. Nel sudest asiatico, i frutti essiccati di G. gummi-gutta, ma anche di molte altre specie, dal gusto acido, sono un ingrediente di diversi piatti della cucina tradizionale, come il kaeng-som della Tailandia meridionale. In Vietnam, per dare colore e sapore al bún riêu, si usa G. multiflora. La resina estratta da varie specie di Garcinia, in particolare G. hanburyi, G. morella, G. elliptica e G. heteranda, è nota con il nome gommagutta; in inglese è conosciuta come gamboge, derivato dal Gambogia, il nome latino della Cambogia, paese di origine di G. hanburyi. Trasparente e di colore giallo vivo, arrivò in Europa nel Seicento (la prima attestazione come nome di colore in Inghilterra è del 1634) e fu assai apprezzata come pigmento nella pittura a olio e ad acquarello: la utilizzarono, tra gli altri, Rembrandt, Turner e Reynolds. All'inizio dell'Ottocento l'illustratore botanico William Hooker (omonimo del celebre botanico), avendo bisogno di un verde trasparente per le sue illustrazioni di frutti, mescolò la gommagutta con il blu di Prussia, ottenendo il pigmento ancora oggi noto come verde di Hooker. Un tempo la gommagutta era anche utilizzata come velatura per le stampe, ma all'inizio del Novecento, essendo molto costosa, è stata sostituita da un colorante sintetico, l'aureolina, che è anche più resistente alla luce. Altri approfondimenti su questo interessante genere nella scheda. C'è chi lo chiama il Plinio tedesco (anche se non era tedesco, ma svizzero, era erudito quanto Plinio, ma molto più dotato di senso critico), oppure il Leonardo svizzero (dato che, oltre a essere un genio poliedrico, era anche un disegnatore di talento, il paragone calza di più). In ogni caso, anche per gli standard del Rinascimento, epoca che coltivò più d'ogni altra l'aspirazione all'uomo universale, lo svizzero Conrad Gessner fu certamente una personalità d'eccezione. Fu teologo, medico, insegnante, linguista, filologo, bibliografo, naturalista, un poligrafo che scrisse degli argomenti più diversi. Per i posteri è il padre di due discipline tanto lontane come la bibliografia e la zoologia, con le enciclopediche Bibliotheca universalis e Historia animalium. Ma per i contemporanei, e forse per lui stesso, era soprattutto un botanico; la morte precoce e improvvisa gli impedì di completare e pubblicare quella che riteneva la vera grande opera della sua vita, l'altrettanto enciclopedica Historia plantarum. Rimasta manoscritta e pubblicata parzialmente solo duecento anni dopo la morte dell'autore, è la grande opera mancata della botanica rinascimentale. A rivelarci il metodo innovativo di Gessner, basato sull'osservazione minuziosa delle piante e sul confronto tra il maggior numero possibile di specie alla ricerca di una chiave di classificazione, sono soprattutto le lettere ai numerosissimi corrispondenti e ancor più i disegni allestiti per il suo magnum opus, sorprendenti per la precisione e per la scelta dei particolari, del tutto inconsueti per l'epoca. Il poligrafo svizzero era anche un alpinista entusiasta, oltre che il primo in età moderna a rimarcare il legame tra la distribuzione delle piante, il terreno e l'altitudine. Inoltre fu uno degli animatori della grande rete di scambio di informazioni, semi, piante, esemplari che caratterizzò l'ambiente naturalistico del Cinquecento; in relazione con molti dei maggiori botanici del suo tempo, influenzò direttamente l'opera di Jean Bauhin, che fu suo allievo. Stimato dai botanici delle generazioni successive, fu ricordato da Plumier (e da Linneo) con la dedica del genere Gesneria, che dà il nome alla famiglia Gesneriaceae. ![]() Una memorabile ascensione Nel 1541, Conrad Gessner (all'epoca aveva ventisei anni) in una lettera all'amico Jakob Vogel, poi pubblicata come dedicatoria dell'opuscolo Libellus de lacte ac operibus lactariis, espresse tutto il suo entusiasmo per le montagne e promise: "Mi propongo per il futuro, finché Dio mi concede di vivere, di scalare le montagne, o almeno di scalare una montagna all'anno". Sappiamo che tenne fede alla promessa, ma di queste escursioni annuali purtroppo ci rimane un solo resoconto: quella della scalata del Grepfstein (1926 m. sul livello del mare), una delle cime del gruppo del Pilatus, alle spalle di Lucerna, nell'agosto 1555. Insieme ad alcuni amici, da Zurigo, dove abitava, Gessner raggiunse Lucerna, dove assunse una guida, dal momento che le autorità cittadine vietavano di accedere al Pilatus da soli. Si credeva infatti che la montagna fosse infestata dal fantasma di Ponzio Pilato, che qui sarebbe stato esiliato e qui sarebbe morto suicida; meglio non sfidare quell'anima in pena, che alla minima provocazione scatenava terribili tempeste! Gessner non ci crede più di tanto e si gode la gita con tutti i sensi: la vista ammaliata dallo spettacolo delle cime e dal magnifico panorama; il tatto piacevolmente solleticato dalle fresche e pure brezze alpine, tanto in contrasto con l'inquinata aria cittadina; l'olfatto deliziato dal profumo dei fiori e delle erbe; persino il gusto è appagato da uno rustico spuntino a base di pane e acqua di fonte: "Dubito che i sensi umani possano assaporare un piacere più grande e più epicureo". Prima di affrontare l'ultimo tratto, nell'ultima malga Gessner vede e ascolta un corno delle Alpi e, quasi per sfida, prova a suonarlo. Quindi la guida li conduce alla cima, attraverso un cammino abbastanza arduo e non segnato da sentieri. Sulla cima, gli amici incidono il loro nome sulle rocce, come hanno fatto molti altri viandanti prima di loro; di Pilato nessun segno, da nessuna parte. Gessner conclude: "Da parte mia, sono inclinato a pensare che non sia mai stato qui". All'andata e al ritorno, il naturalista osserva gli animali (le trote del torrente Rumling, camosci, stambecchi, marmotte) e erborizza, raccogliendo una quarantina di specie diverse. E' affascinato dalla maestosità delle montagne, che per un uomo profondamente religioso come lui è segno e prova della grandezza di Dio, e dalla varietà della natura alpina: "In nessun altro luogo come in montagna è possibile incontrare tanta varietà; a parte ogni altra considerazione, solo in montagna è possibile contemplare e sperimentare le quattro stagioni, estate, autunno, inverno e primavera, riuniti in una sola giornata". Al ritorno a Zurigo, racconterà l'escursione in Descriptio Montis fracti sive Montis Pilati ut vulgo nominant, la prima monografia dedicata alla descrizione di un ambiente alpino, tanto precisa da essere in gran parte valida ancora oggi. In quel laboratorio all'aria aperta che è per lui la montagna, Gessener osserva le piante nel loro ambiente naturale e, secoli prima di Humboldt, è il primo naturalista a intuire l'influenza della temperatura e dell'altitudine sulla distribuzione della flora alpina. Per le sue precise notazioni sull'ecologia delle piante osservate, Descriptio Montis fracti è considerata la prima opera di geografia botanica. ![]() L'opera poliedrica di un genio universale Quando organizza la memorabile escursione, Gessner ha già dato alle stampe Bibliotheca universalis (1545-1549) ed è impegnato nella stesura e nella pubblicazione di Historia animalium (1551-1587). Sono le due grandi opere enciclopediche che hanno consegnato la sua fama ai posteri. Gessner era nato a Zurigo in una famiglia con troppi figli e troppi pochi soldi. Il padre, che secondo alcune fonti era un pellicciaio, era un seguace di Zwingli e morì insieme a lui nella battaglia di Kappel. Il quindicenne Conrad fu affidato a uno zio materno, un canonico che coltivava un piccolo giardino ed era esperto di erbe medicinali; fu lui, a quanto pare, a trasmettergli l'amore per la natura. Per il dotatissimo adolescente iniziava una vita errabonda: sempre a corto di soldi e dipendente dal sostegno finanziario di diversi mecenati, lo troviamo a studiare ebraico a Strasburgo, lingue classiche e medicina a Brouges, teologia e medicina a Parigi. Nel 1535 tornò in patria e a soli 19 anni si sposò con una ragazza povera quanto lui nonché malaticcia. Una scelta che egli stesso anni dopo giudicherà avventata e che lo privò momentaneamente dell'aiuto dei suoi protettori. Per vivere, fu costretto a insegnare per qualche tempo in una scuola elementare. Presto fu perdonato e poté riprendere gli studi di medicina a Basilea, quindi si spostò a Losanna, dove per tre anni (1537-1540) insegnò latino e greco all'Accademia cittadina, appena fondata; fu un periodo relativamente tranquillo, durante il quale godette di una certa tranquillità economica e iniziò a pubblicare i primi scritti di medicina, filologia e filosofia. Risalgono a questi anni anche le prime escursioni nel Giura, nel Vallese e sulle Alpi della Savoia e i primi testi di botanica, in cui l'interesse per le piante si coniuga con quelle per le lingue: Historia plantarum ordine alphabetico ex Dioscoride sumtis descriptionibus, et multis ex Theophrasto, Plinio et recentioribus Graecis (1541), una lista in ordine alfabetico dei nomi di piante che compaiono negli autori dell'età classica e del primo Medioevo; Catalogus Plantarum Latine, Graece, Germanice, et Gallice, un catalogo quadrilingue (1542) in ordine alfabetico dei nomi delle piante in latino, greco, tedesco e francese. Nel 1540, sollecitato dalla città di Zurigo che gli offrì una borsa di studio, Gessner riprese gli studi di medicina a Montpellier; un soggiorno breve, ma decisamente importante, che consolidò le sue conoscenze in botanica e anatomia e gli permise di stringere legami personali con altri studiosi, primo fra tutti Rondelet. L'anno successivo si laureò in medicina a Basilea e tornò a Zurigo; qui, a parte le consuete escursioni in montagna e qualche viaggio occasionale, sarebbe rimasto fino alla morte, mantenendosi con vari incarichi: lettore di Aristotele al Carolinum; medico capo della città dal 1554; docente di fisica, scienze naturali ed etica al Carolinum dal 1557 alla morte, avvenuta nel 1565 in seguita a un'epidemia di peste. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Negli anni zurighesi Gessner pubblicò numerose traduzioni e edizioni di testi classici, soprattutto di argomento medico, e scrisse copiosamente di teologia, medicina, linguistica, zoologia, botanica. Soffermiamoci solo sulle opere maggiori. Subito dopo il ritorno a Zurigo, egli fu impegnato nella stesura della monumentale Bibliotheca universalis: impressionato dalla distruzione della biblioteca di Buda, data alle fiamme dai Turchi, che aveva causato la perdita di numerosi inestimabili manoscritti, egli decise di pubblicare un catalogo completo di tutte le opere "esistenti o no, antiche o più recenti fino ai giorni nostri, dotte o no, pubblicate o conservate manoscritte nelle biblioteche". Dopo tre anni di ricerche, che egli stesso definì "un labirinto", il grandioso catalogo uscì infine a Zurigo nel 1545. E' la prima bibliografia dell'età moderna. Nel 1548, l'erudito svizzero la completò con le Pandectae, un indice tematico in cui i testi sono catalogati in 19 materie e 3000 voci; potremmo definirlo il primo motore di ricerca della storia. Subito dopo, egli iniziò a lavorare alla enciclopedia zoologica Historia animalium, una grandiosa opera in cinque volumi: il primo uscì nel 1551, l'ultimo nel 1587, ventidue anni dopo la morte dell'autore. L'intento di Gessner era presentare tutti gli animali conosciuti, nonché una bibliografia di tutte le opere di storia naturale a partire dall'antichità. In mancanza di un criterio di classificazione globale soddisfacente, gli animali, divisi in quadrupedi (I volume), ovipari (II volume), uccelli (III volume), pesci e animali acquatici (IV volume), serpenti e scorpioni (V volume), compaiono in ordine alfabetico; tuttavia alcune grandi categorie sono raggruppate insieme: ad esempio, tutti i bovini sono trattati sotto la voce Bos e tutte le scimmie sotto la voce Simia. Historia animalium è indubbiamente un'opera contraddittoria, con un piede nel passato e uno nel futuro. Da una parte è una compilazione erudita, in cui si riversa il patrimonio di conoscenze zoologiche ereditato dall'antichità o anche dal folklore, tanto che, accanto agli animali reali, non mancano quelli fantastici. Dall'altra parte, Gessner cerca di distinguere i fatti dai miti, e spesso si basa sull'osservazione diretta degli animali e delle loro abitudini; inoltre introduce informazioni sugli animali esotici recentemente conosciuti nelle Americhe o nelle Indie orientali. Di grande rilevanza è poi l'apparato iconografico, con oltre 1500 tavole spesso di grande precisione e realismo. Tra gli autori delle xilografie, va ricordato Albrecht Dürer. Nel 1555, Gessner pubblicò una terza opera notevole, Mithridates sive de differentiis linguarum, che possiamo considerare il testo fondante della linguistica comparata. Il breve opuscolo contiene un elenco in ordine alfabetico di 130 lingue e dialetti, corredato da osservazioni linguistiche, da informazioni sui popoli che li parlano, da esempi testuali e dal testo del Padre nostro in ventisei lingue. ![]() Alla ricerca di una chiave per classificare le piante Nonostante questa mole di lavori in altri campi, il principale interesse di Gessner fin dagli anni di Losanna, quando si era innamorato delle piante alpine del Vallese, era la botanica. Negli anni in cui scriveva le grandi opere erudite, continuava a raccogliere e studiare le piante: nei suoi viaggi ne scoprì almeno 200 specie. Corrispondeva con molti colleghi, con cui scambiava esemplari e osservazioni e talvolta polemizzava, nonostante il carattere mite e conciliante (celebre è la controversia con Mattioli sull'identificazione dell'Aconitum primum di Dioscoride). Negli anni cinquanta, diede alle stampe una serie di brevi opere botaniche, talvolta in forma di lettera, tra cui De raris et admirandis herbis, quae sive quod noctu luceant, sive alias ob causas, Lunariae nominantur (1556) in cui si occupa del fenomeno della luminescenza e espone le sue osservazioni sulle differenze tra alcune piante con nomi simili. All'inizio del decennio successivo risale De hortis Germaniae (1561), che contiene la descrizione di varie giardini botanici tedeschi, svizzeri, polacchi, francesi e italiani, incluso quello dello stesso Gessner a Zurigo, piccolo ma ricco di piante particolari; seguono indicazioni per la scelta e la coltivazione delle piante e una lista di piante coltivate in ordine alfabetico. E' interessante sottolineare che non si tratta solo di specie officinali o utilitarie, ma anche ornamentali. Terminata la stesura di Historia animalium (anche se la pubblicazione, come abbiamo già visto, si protrasse per decenni oltre la sua morte), Gessner decise che era venuto il tempo di dedicarsi interamente alle piante. Gli ultimi dieci anni della sua vita furono così consacrati alle ricerche e alla scrittura di un'altrettanto enciclopedica Historia plantarum. Fu un lavoro febbrile, una lotta contro il tempo: da sempre di salute cagionevole, miope e con la vista compromessa dallo studio e dall'uso delle lenti di ingrandimento, il grande naturalista temeva che la sua vita non sarebbe durata abbastanza per consentirgli di portare a termine l'impresa. E, come abbiamo visto, purtroppo non si sbagliava. Nella sua casa, che già da tempo era un piccolo museo naturalistico, incominciarono ad ammassarsi fogli di erbario inviati da amici (come Daléchamps e l'allievo Jean Bauhin, piuttosto nervoso quando il maestro li trattenne molto oltre le promesse), testi di altri botanici con le pagine fitte di annotazioni di mano di Gessner, e soprattutto disegni su disegni. Le oltre 1500 illustrazioni, in gran parte disegnate da lui stesso (era un disegnatore di grande talento) o affidate a collaboratori sotto la sua supervisione, erano diventate il suo principale strumento di lavoro, un modo per fissare sulla carta e rendere evidenti i particolari anatomici di ciascuna specie: ogni pianta era "fotografata" in tutti gli stadi di sviluppo, con tutti gli organi disegnati con la massima precisione e gli ingrandimenti di particolari significativi come i petali, gli organi riproduttivi, il sacco pollinico, i frutti e i semi. Attorno ai disegni, una ragnatela di annotazioni in una scrittura minutissima, con osservazioni sulla località di crescita, le forme di sviluppo, i particolari morfologici, le caratteristiche distintive. Attraverso queste osservazioni e questi disegni, Gessner stava cercando di scoprire una chiave di classificazione del vasto mondo vegetale, i cui confini non facevano che allargarsi con l'afflusso di sempre nuove specie da altri continenti. Una fatica di Sisifo e un fallimento annunciato. Anche se da nessuna parte Gessner ha esposto le sue conclusioni e in Historia plantarum le piante sono effettivamente raggruppate in modo incoerente ed empirico, dai particolari su cui insiste nei disegni e da alcune lettere possiamo ricavare chiaramente che aveva capito l'importanza dei fiori, dei frutti e dei semi per classificare le piante. Non a caso, la sua opera fu particolarmente apprezzata da Tournefort che possedeva una copia di De raris et admirandis herbis fittamente annotata. Inoltre fu tra i primi a distinguere con una certa chiarezza i concetti di genere e specie, scrivendo tra l'altro: "Non esiste quasi pianta che costituisca un genere che non possa essere diviso in due o tre specie. Gli antichi descrissero una specie di genziana. Io ne conosco dieci o più". Abbiamo già anticipato che Historia plantarum rimase incompleta ed inedita. Alla morte dell'autore i disegni furono acquistati da Camerario il Giovane che ne utilizzò una quarantina per il suo Hortus medicus (1588); il manoscritto passò per varie mani e fu parzialmente riscoperto da Trew, che lo pubblicò sotto il titolo Opera botanica tra il 1753 e il 1759, quando ormai era troppo datato per influire sugli sviluppi della scienza botanica. Circa 150 disegni furono scoperti nel 1927 nella Biblioteca di Erlangen; il terzo volume dell'opera, che si credeva perduto, è stato ritrovato solo nel 2013 nella biblioteca dell'Università di Tartu. ![]() Gesneria, tropicali per intenditori L'ammirazione di Tournefort per Gessner era condivisa dal suo amico Plumier, che volle celebrare il botanico svizzero dedicandogli uno dei suoi nuovi generi americani. La dedica di Gesneria fu poi confermata da Linneo, che riteneva Gessner uno dei botanici più importanti delle generazioni precedenti e gli riconosceva il merito di essere stato il primo ad usare la struttura dei fiori come criterio di classificazione delle piante. Grazie a Plumier e Linneo, Gessner è diventato così il patrono non solo del genere Gesneria, ma delle Gesneriacae, una grande famiglia di più di 150 generi e 3500 specie, per lo più tropicali, caratterizzate da fiori vistosi e di grande bellezza. Molto meno nota delle cugine Achimenes, Gloxinia, Sinningia, Streptocarpus o Saintpaulia, anche Gesneria non manca di farsi notare per le fioriture smaglianti. Con circa cinquanta specie di piccoli arbusti, suffrutici ed erbacee perenni, è un genere quasi esclusivamente caraibico, ad eccezione di due o tre specie dell'America meridionale. Le Gesneriae sono vere tropicali, abitanti delle foreste d'altura, dove vivono sulle rocce e sulle pareti rocciose, godendo di ombra luminosa, suolo ricco e sciolto e umidità costante. Condizioni difficili da riprodurre in coltivazione, tanto più che basta che il terreno secchi troppo anche per un breve periodo per ucciderle; ecco perché sono piante da collezione, da coltivare in un terrario o in una serra protetta. Tra le poche specie relativamente diffuse, G. cuneifolia, nativa dei Caraibi orientali; è una erbacea in miniatura con foglie alternate lucide e fiori tubolari arancio vivo. Ne sono stati introdotti anche alcuni ibridi. G. ventricosa, nativa della Giamaica e delle piccole Antille, è invece un arbusto relativamente grande che vive in spazi semi-aperti sulla sommità delle colline nelle foreste pluviali di mezza montagna; ha corolle a imbuto rosso aranciato lievemente ricurve e rigonfie. Qualche approfondimento nella scheda. Chi ha inventato i nomi scientifici formati dalla combinazione di due nomi, uno per il genere, l'altro per la specie? Risposta facile: Linneo. Risposta facile ma sbagliata! L'inventore è Gaspard Bauhin. Scopriremo in che modo ha anticipato la nomenclatura linneana e perché è stato importante nella storia della botanica. E troveremo anche la risposta a un altro interrogativo: come mai una coppia di severi calvinisti svizzeri (Gaspard e suo fratello Jean) è stata immortalata dal genere Bauhinia, le cui fioriture sgargianti le hanno guadagnato il nome di albero delle orchidee? ![]() Chi ha inventato la nomenclatura binomiale? Tutti conosciamo Linneo come l’inventore della nomenclatura binomiale, ma non si trattava di un'invenzione del tutto originale. Lo studioso svedese la riprese da un medico e botanico franco-svizzero, vissuto un centinaio di anni prima: Gaspard (o Caspar) Bauhin. Costui, nel suo Pinax theatri botanici (1596) introdusse per primo i concetti di genere e specie. Fino ad allora, negli erbari e nei testi di botanica la denominazione della pianta era costituita da una descrizione in latino più o meno ampia, che inoltre variava da autore ad autore: ad esempio il comune ranuncolo dei prati (Ranunculus acris) poteva essere denominato Ranunculus pratensis reptante caulicolo oppure Ranunculus magnus hirsutus flore pleno, e così via. Questi nomi-descrizione vengono definiti nomi polinomiali, o denominazione polinomia, in contrapposizione ai futuri nomi binomiali e alla denominazione binomia. Bauhin ridusse tale descrizione al minimo, spesso utilizzando due parole: una per il genere, l’altra per la specie, analogamente al sistema attuale. Tuttavia non lo fece in modo sistematico; spesso mantenne nomi-descrizione; inoltre per i generi costituiti da una sola specie o per le specie tipiche, spesso usò un solo nome; non si tratta dunque né di un sistema coerente né di un metodo universale. In ogni caso, Pinax theatri botanici può essere considerato una pietra miliare della storia della botanica; Gaspard Bauhin vi descrisse e classificò quasi 6000 specie, facendone uno dei testi botanici più reputati e consultati del tempo. Lo stesso Linneo lo utilizzò largamente, riprendendo molte denominazioni introdotte da Bauhin; lo dimostrano anche le oltre 300 annotazioni di sua mano che costellano l’esemplare del Pinax a lui appartenuto. Per un approfondimento sul ruolo di Bauhin nella invenzione della nomenclatura binomiale e sulle ragioni per cui Linneo ne ha oscurato la fama, si rimanda all'interessante articolo di C. Sorrentino. Anche Jean (o Johann) Bauhin, fratello maggiore di Gaspard, era medico e botanico; a sua volta, dedicò una grande opera, Historia plantarum universalis, alla descrizione di tutte le piante allora conosciute; il lavoro, rimasto incompiuto, ne registra oltre 5000. Altre notizie sui fratelli Bauhin nella sezione biografie. ![]() Le foglie "fraterne" della Bauhinia La Bauhinia venne dedicata ai fratelli Bauhin dal suo scopritore, il frate francese Charles Plumier, che l'aveva raccolta nel 1690, durante il suo primo viaggio nelle Antille. Era stato proprio Plumier a inaugurare l'abitudine di dedicare i nuovi generi che andava scoprendo a botanici del passato, viaggiatori, scienziati nonché personaggi influenti della corte del re Sole. Nell'assegnare questo genere ai due fratelli padre Plumier aveva in mente una sua caratteristica peculiare. Le foglie di diverse specie di Bauhinia sono formate da due lobi divergenti ma uniti alla base (appaiono abbastanza simili a quelle del nostro albero di Giuda, Cercis siliquastrum, che del resto è strettamente imparentato). In tal modo egli intese disegnare un ritratto vegetale dei due fratelli, diversi e allontanati dalle vicende biografiche, ma uniti dall'amore per la botanica di cui furono tra i più importanti pionieri. Per classificare e nominare le piante americane Linneo si avvalse ampiamente delle opere di Plumier e spesso - come in questo caso - riprese i nomi da lui assegnati. Convalidato in Species Plantarum 1753, questo genere è dunque per noi Bauhinia L. (dove la sigla sta per Linneo). Nella sezione schede, un profilo del genere Bauhinia, con sintetiche informazioni sulle specie più significative. E se leggerete attentamente, scoprirete anche un modo per superare brillantemente gli esami! |
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Da gennaio è in libreria La ragione delle piante, che costituisce l'ideale continuazione di Orti della meraviglie. L'avventura delle piante continua! CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2023
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