Grazie alla grande variabilità morfologica e geologica del territorio, la flora sarda è particolarmente varia; inoltre, come avviene spesso nelle isole, è ricca di endemismi (circa 340 su un totale di 2410 entità, ovvero il 15% del totale). La Sardegna è dunque di grande interesse per i botanici anche oggi; tanto più lo era all'inizio dell'Ottocento quando era un territorio pressoché inesplorato per la scienza. Niente da stupirsi dunque se il giovane medico Giuseppe Giacinto Moris, appassionato botanico formatosi all'Orto di Torino, quando il governo piemontese lo spedì a Cagliari ad insegnare chirurgia, fece di tutto per non farsi sfuggire l'occasione di essere il primo a scrivere una Flora Sardoa. Fu l'impresa della sua vita: prima sette anni di ricerca sul campo in cui visitò quasi ogni angolo dell'isola, poi la pubblicazione di tre volumi (un quarto rimase inedito) protrattasi per oltre un ventennio. Capace e intraprendente direttore dell'Orto botanico di Torino per quasi quarant'anni, Moris fu anche senatore del Regno. A ricordarlo, oltre ai nomi specifici di diverse delle piante, la rara Morisia monanthos, endemica di Corsica e Sardegna. Un territorio tutto da scoprire Nei primi decenni dell'Ottocento, per un botanico entusiasta c'era ancora molto da scoprire anche nella vecchia Europa. Una delle aree pressoché inesplorate era la Sardegna che, al contrario delle regioni continentali degli stati sabaudi, era stata toccata solo marginalmente dalla grande ricognizione botanica promossa da Allioni e dai suoi allievi. Unica eccezione, le ricerche del medico Michele Antonio Plazza (1720-1791), titolare della prima cattedra di Chirurgia all'Università di Cagliari, che erborizzò nel Cagliaritano e nel sud dell'isola e fu in corrispondenza con Allioni; quest'ultimo, sulla base delle sue raccolte, nel 1759 pubblicò Fasciculus stirpium Sardiniae in Diocesi Calaris lectarum, il primo vero studio sulla flora sarda, in cui esaminò 136 specie (tutte abbastanza comuni). Plazza probabilmente intendeva scrivere egli stesso una flora sarda, ma il suo manoscritto, in cui le specie descritte sono 818, rimase inedito fino all'inizio del Novecento. Agli inizi degli anni '80, nel corso del suo viaggio mediterraneo, anche il celebre botanico norvegese Martin Vahl toccò rapidamente l'isola, dove scoprì una nuova specie di sparto o ginestra, di cui inviò un campione a L'Héritier de Brutelle (si tratta di Genista ephedroides DC, un endemismo sardo). Dunque, nel 1822, quando arrivò a Cagliari per assumere la cattedra di clinica medica, il ventiseienne medico Giuseppe Giacinto Moris, aveva un'intera flora da esplorare e da scoprire. Allievo prima di Balbis, che aveva acceso in lui l'entusiasmo per la botanica, poi di Capelli (direttore dell'orto torinese dal 1817 al 1831) probabilmente iniziò i suoi viaggi botanici fin da subito, e sicuramente dal 1823. Non era un compito facile: quasi non esistevano strade (la costruzione della Carlo Felice, che per la prima volta collegò il nord e il sud dell'isola era appena iniziata, e sarebbe stata terminata solo nel 1830), non c'erano alberghi, imperversavano il tifo e la malaria, non mancavano banditi e briganti. Bisognava dunque muoversi a cavallo, dormire all'aperto o chiedere ospitalità ai maggiorenti locali. Nelle sue prime spedizioni, Moris ebbe il sostegno di alcuni membri della Reale Società Agraria Economica di Cagliari, in particolare il canonico Murcas, Preside del Collegio dei Nobili e l'Intendente generale Greyffier, entrambi appassionati di botanica. Ma soprattutto trovò un compagno e un amico in Alberto La Marmora (1779-1863). Militare di carriera, quest'ultimo, sospettato di aver preso parte ai moti del 1821, era stato costretto alle dimissioni e esiliato in Sardegna, di cui cominciò a studiare la geologia, l'archeologia, la storia e a tracciare nuove carte, divenendo in breve il fondatore degli studi sardi in tutti questi campi. Un'esplorazione in profondità e un'opera fondamentale La prima spedizione documentata di Moris è del maggio 1823, quando insieme a Greyffier e La Marmora, muovendo da Cagliari visitò Aritzo e il Gennargentu. A giugno, ancora con La Marmora, era la volta di Domusnovas e del Sulcis. L'anno successivo, come riferisce in una lettera a Capelli, fu nelle zone più insalubri dell'isola (non sappiamo esattamente dove), forse in compagnia di Philippe Thomas, membro di una famiglia di botanici svizzeri, che in quel periodo viveva a Cagliari. Fino a quel momento, Moris, che era in Sardegna a insegnare chirurgia, non aveva alcun incarico ufficiale come botanico. Deciso a continuare le sue ricerche con l'obiettivo di scrivere una flora della Sardegna, attraverso Capelli incominciò a fare pressioni sul governo di Torino per essere esonerato dall'insegnamento e essere ufficialmente incaricato di esplorare la flora sarda; chiedeva anche finanziamenti, testi scientifici aggiornati e personale di supporto. La dispensa dall'insegnamento giunse nell'agosto del 1824 e all'inizio del 1825 da Torino arrivò Carlo Giuseppe Bertero, però non nelle vesti di aiutante, come credeva Moris, ma come direttore della missione; sebbene i rapporti personali tra i due fossero eccellenti e basati sulla stima reciproca, si generò una situazione equivoca cui mise fine lo stesso Bertero che preferì rientrare a Torino dopo pochi mesi. In ogni caso i due botanici piemontesi, sempre in compagnia di La Marmora, tra maggio e giugno avevano visitato il Sulcis e Iglesias. Partito Bertero, Moris continuò l'esplorazione con La Marmora, visitando Ogliastra, Fonni e nuovamente il Gennargentu. Fu durante una di queste escursioni che capitò un gustoso incidente riferito da La Marmora: Moris aveva raccolto numerose Malvaceae e le aveva disposte con cura in mezzo a fogli di carta in una cartella che portava sul dorso; avendo visto una pianta interessante, scese da cavallo, e, passandosi una briglia sotto il braccio per evitare che l'animale si allontanasse, si inginocchiò per raccogliere l'esemplare; nello sforzo, la cartella si aprì e venne a trovarsi proprio sotto il muso del cavallo che ne approfittò per farsi una bella scorpacciata. Il materiale raccolto incominciava ad essere ingente e, nonostante l'aiuto di Thomas, Moris si trovò in difficoltà. Fortunatamente, da Torino giunse l'incarico ufficiale e anche il sospirato assistente, nella persona di Domenico Lisa, giardiniere dell'Orto torinese, che sarebbe stato suo compagno nelle campagne del 1826-1827. Quella del 1826, con Lisa e La Marmora, fu un lungo giro di due mesi (maggio-luglio) nella Sardegna centrale, toccando tra le altre località Carloforte, Monte Arcuentu, Capo Frasca, Uras, Morgongiori, Flumentorgiu, Laconi, Gennargentu, Aritzo, Tonara, Desulo. Ancora più ampia fu la spedizione del 1827. Partiti da Cagliari l'ultima settimana di aprile, i tre compagni attraversarono l'intera isola, visitando Arbus, Ales, Santu Lussurgiu, Planargia, Bosa, Sindia, Bonorva, Monte Santo, Ozieri, Monte Rasu. Qui Moris e Lisa si separarono da La Marmora, continuando verso nord con un itinerario che non conosciamo con precisione. Del resto, oltre a quelle citate negli itinerari, molte altre località furono visitate da Moris, come risulta dalle note dell'erbario (nella cartina, sono indicate con un quadretto scuro). Malato, nella primavera del 1828 Moris rientrò a Torino, affidando a Lisa la continuazione del lavoro sul campo. Ancora a Cagliari, nell'aprile 1827 aveva in parte anticipato i risultati delle sue ricerche, pubblicando in contemporanea nella capitale sarda e a Torino Stirpium sardoarum elenchus, che contiene la descrizione di 1246 piante vascolari e la diagnosi di 26 specie nuove, seguito a giugno da un'Addenda e a dicembre da una seconda serie, con ulteriori 157 specie e la diagnosi di 17 specie nuove. A Torino nel 1829 diede poi alle stampe una terza serie, con altre 76 specie vascolari e un'ampia lista di crittogame. In tutto le specie descritte sono 1482. Moris non sarebbe più tornato in Sardegna, anche se le ricerche nelle zone che aveva dovuto tralasciare continuarono grazie a Lisa (ne parlerò in un altro post) e al sardo Simone Masala, che negli anni '60 raccolse molti esemplari nel Sarcidano e nell'area di Cagliari. Nel 1829 Moris fu nominato professore di medicina presso l'Università di Torino e nel 1831 succedette a Capelli come direttore dell'orto botanico torinese. Membro di molte istituzioni, senatore del Regno dal 1848, fu sempre più coinvolto in impegni accademici e amministrativi che rallentarono quella che riteneva la vera missione della sua vita: la stesura della Flora sardoa. Uscita nell'arco di un ventennio (nel 1837 il primo volume, tra il 1840 e il 1843 il secondo, tra il 1858 e il 1859 il terzo) è un'opera imponente, estremamente accurata nelle descrizioni e nelle determinazioni (a tal fine, Moris visitò importanti erbari a Parigi e Ginevra) e di grande pregio estetico, grazie alle 111 tavole che la illustrano, preparate sotto la sua stretta supervisione. La maggior parte è dovuta a Maria Maddalena Lisa Mussino, disegnatrice dell'orto torinese e moglie di Domenico Lisa. L'autore delle altre è John C. Heyland, disegnatore botanico che collaborò con celebri botanici dell'epoca, tra cui de Candolle. In tutto le specie descritte sono 1141, Benché incompleta (si limita alle fanerogame), Flora sardoa è un'opera fondamentale che divenne un punto di riferimento per tutti gli studi successivi, avendo anche il merito di stimolare l'interesse per la peculiare flora dell'isola e i suoi numerosi endemismi. Morisia, la pianta che si semina da sé Nelle opere maggiori e nei numerosi contributi usciti in diverse riviste, Moris pubblicò circa un centinaio di nuove specie. Sono numerose quelle che lo ricordano nel nome specifico, tra cui la bellissima Paeonia morisii Cesca, Bernardo & N.G. Passal. (anche se questa denominazione non è universalmente riconosciuta) e la rara Genista morisii Colla, limitata alla Sardegna sud-occidentale. Tra le specie più rare della nostra flora, inserite nella lista rossa, si fregiano del suo nome Borago morisiana e Dianthus morisianus. Nel 1832 lo svizzero Jacques Etienne Gay gli dedicò un nuovo genere endemico dell'area sardo-corsa, Morisia, famiglia Brassicaceae, anticipando di due anni l'omonimo Morisia, famiglia Cyperaceae, creato da Nees von Esembeck. A essere valido è dunque il primo, anche se nel 1838 de Candolle propose di cambiarlo in Morisea o Morisina per evitare confusioni con Morysia (genere oggi disusato, dedicato al collezionista francese Charles de Saint Morys). Morisia è un genere monospecifico rappresentato unicamente da M. monanthos, una specie endemica della Sardegna e della Corsica, che cresce in luoghi preferibilmente umidi e freschi, formando localmente colonie anche estese. E' un'erbacea perenne bassa, con rosette di foglie pennate con foglioline più o meno triangolari e fiori eretti a quattro petali giallo oro. La sua particolarità sta nel metodo di disseminazione; dopo la fioritura, i peduncoli si ripiegano verso il basso spingendo i frutti nel suolo, dove avverrà la maturazione e quindi la germinazione dei semi. E' considerata un paleo endemismo di origine nordafricana. Altre informazioni nella scheda.
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