Nel 1787, Ramond de Carbonnères, che all'epoca è il segretario del cardinale di Rohan, capita un po' per caso nei Pirenei. Da quel momento lo scopo della sua vita sarà scoprire i segreti della formazione geologica della catena, che all'epoca costituiva un enigma; per svelarli, ne esplora per decenni la sezione centrale, con un'ossessione: riuscire a scalare quella che al tempo se ne riteneva la massima cima, il Monte Perdido o Mont Perdu. Vero padre della scoperta scientifica dei Pirenei, Ramond era anche un appassionato botanico e uno specialista della flora di alta montagna. La dedica del bel genere Ramonda, che annovera un endemismo dei Pirenei e due specie balcaniche, è assolutamente perfetta. ![]() Da poeta a scienziato: un percorso di vita Nella primavera del 1787, quando per la prima volta arriva nei Pirenei, Louis Ramond (1755–1827) non sa ancora che quelle montagne diventeranno la sua passione, anzi la sua ossessione. Ha poco più di trent'anni, ma è come se avesse già vissuto almeno due vite. Nato a Strasburgo, una città-frontiera, è diviso tra due culture anche nell'identità personale, figlio com'è di un padre francese della Linguadoca e di una madre alsaziana di origine tedesca. Dunque, nulla di strano che sia tra i primi a scoprire il preromanticismo tedesco dello Sturm und Drang. Ha appena diciannove anni quando esce I dolori del giovane Werther di Goethe; la lettura di quel romanzo generazionale è una tale folgorazione che decide di diventare a sua volta scrittore e nel 1777 (ora ha ventidue anni) pubblica a sua volta Les Dernières aventures du jeune d'Olban, che, come il suo modello goethiano, si conclude con un colpo di pistola. Come Werther, anche Louis (che quell'anno si è anche laureato in legge) ha vissuto un amore impossibile, ma lascia che a suicidarsi per lui sia il suo eroe, e per consolarsi parte per la Svizzera; è alla ricerca di paesaggi che nutrano la sua ispirazione poetica e, come scrive in una lettera al padre, si mette in viaggio per "osservare e non per arrivare"; ci sono incontri con personalità importanti, come il patriarca dei naturalisti Albrecht von Haller, il biologo Charles Bonnet e il fondatore della fisiognomica Lavater, ma c'è soprattutto la scoperta delle alte montagne: scala diverse cime del Bernese, poi si sposta al San Gottardo e va all'esplorazione delle Alpi ticinesi. Poi, per tre anni, è soprattutto uno scrittore. Pubblica una raccolta di poesie, poi si trasferisce nella capitale dove dà alle stampe un dramma romantico e la traduzione di Sketches of Swisserland di William Coxe (Lettres de M. William Coxe à M. W. Melmoth sur l'état politique, civil et naturel de la Suisse), che infarcisce di note e osservazioni tratte dal suo viaggio svizzero al punto da irritare l'autore. Il successo letterario a cui aspira non arriva: ci vorranno anni perché il gusto romantico conquisti Parigi; per i milieu letterari, Ramond è uno scrittore appena mediocre, più tedesco che francese. Ma la contestata traduzione ha un merito: attira l'attenzione del vescovo di Strasburgo, il cardinale di Rohan, che nel 1781 lo assume come segretario; per sette anni ne sarà il più ascoltato consigliere e gli sarà fedelissimo; sbriga i suoi affari, organizza le sue feste, lo accompagna in tutti i viaggi, viaggia per suo conto quando il cardinale preferisce rimanere nella prediletta residenza di campagna di Saverne, ai piedi dei Vosgi. Alla colorita corte del cardinale, conosce Cagliostro, che lo inizia alla massoneria e ne fa il suo discepolo nelle sedute di magia e ipnosi. Per adeguarsi al nuovo ambiente, cambia anche nome: ora si fa chiamare Louis Ramond de Carbonnières, pretendendo che si tratti di un vecchio nome che da tre secoli distingue un ramo della sua famiglia . Quando il cardinale viene arrestato in seguito all'affare della collana, Ramond- uno dei pochi del suo entourage rimasto a piede libero - si incarica di far sparire le lettere compromettenti; poi va in Inghilterra a cercare le prove che la collana è stata venduta dai truffatori e il cardinale è stato ingannato; anche grazie ad esse, Rohan viene assolto, ma il re lo manda in esilio all'abbazia di Chaise-Dieu in Alvernia. Ramond è con lui e approfitta di quella che per il suo padrone è una orribile seccatura per immergersi nella natura e dedicarsi alle passeggiate botaniche. Quando arriva l'inverno, il cardinale e il suo seguito sono autorizzati a trasferirsi a Marmoutier, in Touraine. Poi, gli viene permesso di viaggiare per "passare le acque"; così nella primavera del 1787, sua Eminenza lo manda in avanscoperta nei Pirenei. La scelta cade su Barèges, un villaggio a circa 1200 metri d'altitudine, annidato nelle montagne, lungo la strada che conduce al Col Tourmalet, ai piedi del Pic du Midi; all'epoca reputata per le sue acque solforose, è la stazione termale più elevata dei Pirenei. La comitiva del cardinale vi arriva alla fine di luglio, e già il 2 agosto Ramond scala per la prima volta il Pic de Midi: ai suoi occhi si mostra una gran parte dei Pirenei centrali, fino alla vetta culminante, il Monte Perdido/ Mont Perdu. Diverse escursioni seguiranno nei giorni successivi; la maggiore, dal 16 al 24 agosto, lo porta a percorrere ben 250 km e un dislivello di 13 km, da Barèges al ghiacciaio della Maladeta e ritorno. Non sono solo la passione alpinistica e il gusto romantico a spingerlo a percorrere il massiccio, solo o accompagnato da pastori locali; in gioco c'è anche una disputa scientifica. L'idea dominante all'epoca, confermata dall'ascensione al Monte Bianco di Saussure, era che le montagne più alte ed antiche fossero granitiche, mentre quelle più recenti e basse calcaree; secondo Dolomieu (un uomo che destava i sistemi) la catena centrale dei Pirenei faceva eccezione, essendo calcarea. Per verificare se abbia ragione, Ramond si propone di raggiungere il centro della catena, ovvero quel Mont Perdu che ha visto come un miraggio fin dalla sua prima ascensione. Ma come arrivarci nessuno lo sa. Così, quando, venuto l'autunno, tocca ripartire, egli si rassegna a rimandare il problema alla prossima occasione, Nel dicembre 1788, lascia il servizio del cardinale e si trasferisce a Parigi, deciso a fare della scienza la sua nuova professione. Pubblica Observations faites dans les Pyrénées, pour servir de suite à des observations sur les Alpes e segue le lezioni di Antoine Laurent de Jussieu e René Desfontaines al Jardin des Plantes. Ma a imporre una momentanea battuta d'arresto è la politica: nel settembre 1791 è eletto deputato all'Assemblea legislativa; esponente di spicco dei Foglianti, è strettamente legato a La Fayette e avverso ai giacobini. Nell'estate del 1792, mentre la situazione politica precipita, Ramond si allontana prudentemente dalla capitale e torna a Barèges. L'8 agosto è di nuovo sul Pic du Midi. Durante la Convenzione, rimane nei Pirenei, fissando la sua residenza prima a Barèges poi a Gèdre; continua ad esplorare la catena, anche se le tensioni tra Francia e Spagna ostacolano i suoi movimenti. Finché nel gennaio 1794 viene arrestato come "elemento controrivoluzionario" e condotto nel carcere di Tarbes; rimarrà agli arresti per più di sette mesi, fino a novembre, rischiando anche la condanna capitale. Se ne salva grazie ad alcuni amici, tra cui l'illustre botanico Desfontaines. ![]() La difficile conquista del Mont Perdu Ora per Ramond de Carbonnières inizia una nuova vita, l'ennesima. Lasciatosi alle spalle l'ambizione politica, vuole essere solo scienziato. Così scrive a Philippe Picot de Lapeyrouse, colui che considera il suo maestro e la sua guida per la storia naturale dei Pirenei: "Non sono posseduto da alcuna ambizione [...]. Sono amico della natura e nient'altro. Non posso essere utile ai miei concittadini che sotto questa forma". Si stabilisce a Bagnères-de-Bigorre, ma Barèges, dove ora abita sua sorella che ha sposato il capo chirurgo del locale ospedale, continua ad essere il punto di partenza delle sue escursioni; arricchisce l'erbario, raccoglie campioni di rocce e fossili, disegna schizzi (è infatti anche un ottimo disegnatore), corrisponde con altri studiosi, tra cui Dominique Villars, grande esperto di flora alpina. Nel 1795, alla creazione della scuola centrale degli Alti-Pirenei a Tarbes, viene nominato professore di storia naturale, e si dedica al nuovo compito con grande serietà. Le sue lezioni entusiasmanti lo rendono presto popolare tra gli studenti, ai quali vuole trasmettere “non la scienza, ma il desiderio e il modo di apprendere”. Momento chiave di questo insegnamento sono le erborizzazioni e le escursioni in natura, anche di più giorni e anche in montagna. Non ha rinunciato al progetto di scalare il Mont Perdu; è convinto che l'unica via per raggiungere quella montagna proibita ("mai, da quando si dà un nome alle montagne, ce n'è stata una con un nome così appropriato") sia la valle d'Estaubé. Nell'estate del 1797 è pronto ad affrontare la sfida con due guide fidate e pochi allievi già esperti alpinisti, quando vede arrivare Picot de Lapeyrouse, che è venuto a Barèges a curarsi i reumatismi. Tra lui e Ramond c'è una disputa: entrambi concordano sulla natura calcarea della catena centrale dei Pirenei, ma mentre il primo pensa che non presenti tracce di fossili e dunque sia di orogenesi primitiva, il secondo ne dubita, convinto che l'ipotesi vada per lo meno verificata sul campo, e che la risposta la darà il Mont Perdu. Così l'11 agosto quello che parte da Barèges è un folto gruppo: Picot de Lapeyrouse, suo figlio Isidore, due allievi e il giardiniere della scuola centrale di Tolosa, due pastori che hanno già accompagnato Ramond in molte gite, Ramond stesso e quattro allievi della scuola centrale di Tarbes; uno di loro è Charles-François Brisseau de Mirbel, futuro padre della citologia vegetale. Da Gèdre il gruppo sale a Coumélie lungo un sentiero tortuoso; Ramond nota qui e là un fiore simile al colchico che annuncia già l'autunno. Lo ritiene un genere nuovo e lo battezza Merendera (oggi l'unico genere da lui creato non è accettato, ed è sinonimo di Colchicum); passano la notte in una grangia e Ramond ingaggia altre tre guide, due pastori di Coumélie e un cacciatore, che aveva fama di conoscere il Mont Perdu ("il fatto è che non ne sapeva niente più di noi"). All'alba del giorno successivo, procedendo lungo i pascoli, si dirigono verso la valle di Estaubé. In quel paesaggio imponente e severo, fioriscono in abbondanza i lunghi pennacchi di Saxifraga longifolia, di cui Lapeyrouse è stato il primo scopritore. Mano a mano che avanzano nella valle, il Mont Perdu sembra giocare a rimpiattino, sempre più nascosto da imponenti bastioni di roccia, fino a scomparire del tutto. Non si scoraggiano e continuano a salire, fino a giungere ai piedi del ghiacciaio mediano di Tuquerouye, dove incontrano un contrabbandiere che, finalmente, sembra saperne qualcosa, e consiglia loro di tornare indietro, ridiscendere e risalire da un'altra via; sono ore di marcia perdute, e Ramond propone ai suoi compagni una strada più diretta e audace: salire fino al ghiacciaio e attraversarlo. Il contrabbandiere approva, e presto si dilegua. Eccoli dunque risalire lungo la morena del ghiacciaio, fino a toccare la neve. La traversata è impegnativa, Lapeyrouse è sempre più in difficoltà, finché Ramond lo convince a fermarsi; lo lascia ad attenderli in compagnia della più fidata delle sue guide, mentre gli altri proseguono. Dopo un'ora di difficile marcia, ritrovano il contrabbandiere, caduto in un precipizio. Lo recuperano e lo uniscono a loro, anche se la disavventura nella quale ha perso, insieme alla piccozza, gran parte della sua sicurezza, semina la sconforto. Finché, superato il punto di massima inclinazione del ghiacciaio, la pendenza si addolcisce visibilmente e riprendono fiducia e slancio. Un grido di gioia annuncia il cambiamento di scena: la montagna, cinta da nubi, avvolta di ghiacci, separata da loro da abissi, si è degnata di mostrarsi, come "un Dio la cui presenza è sentita più che vista e che si manifesta in tutto ciò che lo circonda prima di rivelarsi". La cima è davanti a loro, ma è anche chiaramente irraggiungibile. Ramond e i suoi compagni decidono di esplorare il lago ghiacciato che si occupa una valletta ai piedi della montagna. Lo attraversano e sondano le rocce che lo circondano; dappertutto, trovano "vestigia di abitanti del mare. Sostanzialmente ostriche e una moltitudine di madrepore costituiscono la parte più appariscente di questi venerabili resti". Ormai è mezzogiorno, ed è tempo di ritornare. Pensare di trascorrere lì la notte, al freddo e senza viveri, per tentare la scalata il giorno dopo, sarebbe follia. Ramond, preoccupato per i suoi compagni, provati dalla salita, decide di scendere per la strada inizialmente indicata dal contrabbandiere, che nel frattempo si è ecclissato di nuovo. E' poco meno difficile e pericolosa. Ore dopo, più in basso, al Port de Pinède, ritrovano Lapeyrouse, che Ramond ha fatto avvertire del cambio di programma da una delle guide; gli mostra le sue scoperte che provano l'indubbia natura secondaria dell'asse dei Pirenei. Il vecchio scienziato è amareggiato e deluso e, anche se non cesseranno di corrispondere, continuerà a nutrire rancore verso il più giovane collega, cercando di sminuirne le scoperte. L'8 settembre, ancora con i suoi allievi e le due guide più fidate, Ramond ritorna al lago glaciale per tentare la scalata alla cima; devono di nuovo rinunciare, ma raccolgono altri fossili. Negli anni successivi, è impegnato in molte ascensioni lungo il massiccio, talvolta da solo, talvolta con Mirbel e altri allievi, o amici come Jean-Florimond Boudon de Saint-Amans, professore di storia naturale alla scuola centrale di Agen. Nel 1801, racconta le sue ascensioni ed espone la sua teoria generale sulla formazione dei Pirenei in Voyages au Mont-Perdu et dans la partie adjacente des Hautes-Pyrénées, un libro di grande precisione scientifica ma anche di lettura appassionante, in cui dietro lo scienziato si avverte la mano del poeta romantico. Il Mont Perdu è ancora inviolato. Lo rimane fino al 6 agosto 1802, quando le due fidate guide di Barèges, Rondo e Laurens, inviati in avanscoperta da Ramond, riescono a raggiungere la cima. Tre giorni più tardi vi guidano Ramond, che poi racconterà l'impresa in Voyage au sommet du Mont-Perdu in uno stile che Henri Beraldi ha definito "molto veni, vidi, vici". Lo stesso anno la sua fama di scienziato è consacrata dall'ammissione all'Institut de France (la vecchia Accademia delle scienze) nella classe di scienze fisiche e matematiche. ![]() Piante d'alta quota Dopo il colpo di stato di Napoleone, Ramond, molto stimato dal primo console, ha anche ripreso a fare politica. Dal 1800 al 1806 è deputato del corpo legislativo. Nei cinque mesi in cui avvengono le sedute, vive a Parigi; il resto dell'anno è ospite della sorella e del cognato a Barèges. Alle ricerche geologiche e botaniche, si sono aggiunti anche i rilievi barometrici, cui è stato iniziato dall'amico Bon-Joseph Dacier, conservatore della biblioteca imperiale. Nel 1806 Bonaparte lo nomina prefetto del Puy-de-Dome. Come funzionario, è serio ed efficiente come lo è stato come professore. Ma è ancora soprattutto uno scienziato, che fa rilievi barometrici dal balcone della prefettura, esplora i monti Dores, i monts Dômes e il massiccio del Sancy. Frutto di queste ricerche è Nivellement des Monts Dores et des Monts Dômes disposé par ordre de terrains (1815). Nel 1809 l'imperatore premia la sua fedeltà facendolo barone dell'Impero. Nel 1810, torna ancora una volta nei Pirenei e il 28 settembre scala per la 33 e ultima volta il Pic du Mid. La morte della sorella nel 1812, poi del cognato nel 1815, chiude definitivamente il capitolo Pirenei. Nel 1813 lascia la funzione di prefetto, e si stabilisce definitivamente a Parigi, con la giovane moglie, figlia dell'amico Dacier. Anche se durante i Cento giorni è nuovamente deputato, questo volta per il dipartimento di Puy-de-Dome, la Restaurazione lo lascia indenne, tanto che nel 1818 è nominato al Consiglio di Stato. Nell'estate nel 1821, torna in Alvernia e inizia alla geologia e alla botanica del massiccio centrale due giovani naturalisti parigini, Victor Jacquemont e Hippolte Jaubert. Ma è ancora dedicata ai Pirenei l'ultima memoria, Sur l’état de la végétation au sommet du Pic du Midi (1825). Muore a Parigi nel 1827. Anche se i suoi contributi più decisivi sono nel campo della geologia, Ramond è stato un appassionato botanico, fin dai tempi in cui ancora al servizio del cardinale di Rohan erborizzava a Saverne. Le narrazioni delle sue escursioni sono costellate di puntuali riferimenti alla flora; persino nei momenti più difficili, quando ciascuno di noi baderebbe più che altro a dove mette i piedi, non manca di osservare ed elencare le piante che si offrono al suo sguardo attento e innamorato. Il suo contributo principale alla botanica è ovviamente nello studio della flora di alta quota, là dove pochi erano andati ad erborizzare prima di lui. Gli si deve la scoperta di nove specie, sette delle quali endemiche dei Pirenei: Arenaria purpurascens, Asperula hirta (oggi Hexaphylla hirta), Festuca eskia, Leucanthemum maximum, Medicago suffruticosa, Scorzonera aristata, Pinguicola longifolia, scoperta durante una delle sue ascensioni al Mont Perdu. Le altre due sono Potentilla micrantha e Viola pirenaica, presenti rispettivamente nell'Europa centrale e meridionale e nelle montagne europee. Ad eccezione di Asperula hirta, pubblicata dallo stesso Ramond, furono tutte pubblicate da de Candolle, a cui egli aveva affidato le sue osservazioni e i fogli d'erbario. Ramond considerava il suo erbario l'oggetto più prezioso, il custode della memoria della sua vita: "Ora sono vecchio e mi riposo [...]. Diminuisco la mia biblioteca, e conservo solo ciò che è necessario per me e mio figlio, soprattutto il mio erbario, perché è la storia di mezzo secolo della mia vita. Adesso vivo con il mio erbario e i ricordi che lo accompagnano; al di fuori di questo, tutto mi è superfluo". Conservato in 68 sacchi di tela e donato dagli eredi alla Societé Ramond (creata nel 1866 per promuovere la scoperta naturalistica, storica, etnologica e sportiva dei Pirenei), dal 2003 è stato affidato al Conservatoire botanique nationale des Pyrénées et de Midi-Pyrénées, che ne ha curato la pubblicazione on line a questo indirizzo. ![]() Gioielli vegetali dai Pirenei e dai Balcani A celebrare il padre degli studi pirenaici non poteva che essere una pianta di quelle montagne. Nel 1805 Louis Claude Richard, nell'assegnare a un nuovo genere una pianta che Linneo aveva descritto come Verbascum myconi, la rinominò Ramonda pyrenaica, "così chiamata in memoria del celebre Ramond per i suoi meriti nell'osservazione delle piante pirenaiche". Qualche anno dopo Lapeyrouse nel suo Histoire Abrégée des Plantes des Pyrénées, forse memore dello sgarbo di Ramond, la ribattezzò Myconia borraginea. Troppo tardi. Il nome valido è quello di Richard, anche se ovviamente la specie ha recuperato il più antico eponimo linneano e oggi si chiama Ramonda myconi. E' una delle tre (o quattro) specie di questo genere della famiglia Gesneriaceae, diffusa soprattutto ai tropici, di cui, insieme a Haberlea e eventualmente Jancaea, è l'unico rappresentante europeo. Vestigio dell'epoca terziaria, quando il nostro continente godeva di un clima subtropicale, più caldo e umido, queste piante all'arrivo delle glaciazioni si sono rifugiate in enclave montane. R. myconi è stata a lungo l'unica specie conosciuta; è ristretta ai Prepirenei, ai Pirenei e alla catena costiera catalana, dove vive nelle gole calcaree e nelle valli umide di montagna. La sua scoperta risale addirittura al Cinquecento, quando venne raccolta nella montagna di Montserrat dal farmacista e botanico catalano Francisco Micó, che la comunicò a Jacques Dalechamps che a sua volta la pubblicò in Historia generalis plantarum sotto il nome Auricula ursi myconi. E' una piccola è graziosissima semoreverde rupicola, con foglie a rosetta e fiori viola che ricordano da vicino quelli della Saintpaulia. Verso la fine dell'Ottocento si aggiunsero altre due specie, scoperte in Serbia da Joseph Pančić, R. serbica e R. nathaliae. Entrambe vivono in habitat calcarei, ma hanno distribuzione diversa. R. serbica, scoperta da Pančić nel 1874 sul monte Rtanj, appartiene al bacino idrografico adriatico ed ha areale più ampio (Serbia, Albania; Montenegro, Macedonia, Grecia settentrionale, tra 200 e 1950 metri sul livello del mare); R. nathaliae, scoperta nel 1884 nella gola di Jelašnica presso Niš dallo stesso Pančić e dal medico di corte Sava Petrović, che la dedicarono alla regina di Serbia Natalija Obrenović, è ristretta alla Macedonia e ad aree adiacenti di Grecia, Serbia e Kosovo ed appartiene al bacino idrografico egeo. Le due specie sono molto simili, ma R. serbica ha foglie più romboidali con margini vistiosamente dentati o incisi, fiori più piccoli e meno numerosi portati su lunghi scapi, R. nathaliae foglie più arrotondate, fiori più grandi e scapi più brevi. Nel 1928 il botanico russo Pavel Černjavskij stava riordinando il suo erbario quando casualmente vi rovesciò sopra un bicchiere d'acqua; per rimediare al disastro, lasciò asciugare le carte e le piante per tutta la notte; al mattino dopo, scoprì che un esemplare di R. nataliae, che faceva parte della sua collezione da un anno e mezzo ed era totalmente disseccato, si era reidratato ed appariva vivo e vegeto. Pubblicò subito la scoperta sulla rivista della società botanica russa, con una conseguenza politica; da allora R. nataliae è stata scelta come simbolo della "resurrezione" della Serbia e del suo esercito dopo la Prima guerra mondiale. La rara particolarità di potersi disseccare completamente e di riprendersi alla prima pioggia, diffusa tra licheni, epatiche e muschi, ma rarissima tra le Angiosperme, è condivisa da tutte le specie del genere, anzi da tutte le Gesneriaceae europee; hanno sviluppato questa capacità per poter sopravvivere, nonostante la loro origine tropicale, in aree montane con estati secche e temperature invernali che scendono di molto sotto zero. Nel 1851, Theodor von Heldreich, all'epoca direttore dell'orto botanico di Atene, scoprì sulle pendici del monte Olimpo un'altra gesneriacea, di cui però non vide i fiori. Inizialmente Boissier la classificò come Haberlea heldreichii, poi, dopo la raccolta di esemplari fioriti, la trasferì a un genere proprio, Jancaea, in onore di Viktor Janka, curatore dell'erbario di Budapest ed esploratore della flora dei Balcani. Non tutti erano d'accordo: Alphonse e Casimir de Candolle la collocarono nel genere Ramonda, come R. heldreichii. Recentemente, l'appartenenza a Ramonda è stata supportata da dati molecolari; Plant of the World on line ne prende atto, riducendo Jancaea a sinonimo. Ma poiché la maggioranza dei repertori, inclusi il sito della Gesneriad Society e Flora of Greece on line, lo trattano ancora come genere a sé, così farò anch'io, soprattutto per poter dedicare un post a Janka.
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Quando il suo professore gli propose una tesi sul genere Solanum, Michel Félix Dunal probabilmente non immaginava che la famiglia delle patate e dei pomodori avrebbe segnato la sua carriera scientifica. Invece è proprio per i suoi contributi allo studio delle Solanaceae, culminato con la loro trattazione nel Prodromus di de Candolle (era lui il suo maestro), che egli è ancora noto nella storia della botanica. A celebrarlo non poteva che essere un genere di quella famiglia, Dunalia. ![]() Dalle Solanacee alle Solanacee Nel sostenere l'utilità anche pratica del suo sistema naturale, Antoine-Laurent de Jussieu aveva osservato che piante che si assomigliano devono condividere anche le proprietà medicinali; a partire da questa osservazione, Augustin Pyrame de Candolle, che nel 1807 era stato nominato professore di botanica e direttore dell'Orto botanico di Montpellier, suggerì alla facoltà di medicina di assegnare come tesi monografie su gruppi di piante. A fare da apripista fu il suo allievo più promettente, Michel Félix Dunal (1789-1856), con la tesi Histoire naturelle, médicale et économique des Solanum, et des genres qui ont été confondues avec eux, discussa e pubblicata nel 1813. Così, nel doppio segno di Solanum e di de Candolle, iniziò la carriera scientifica di Dunal; e così sarebbe terminata, con la trattazione della famiglia Solanaceae del Prodromus di de Candolle nel 1852. Michel Félix Dunal apparteneva a una ricca famiglia della borghesia calvinista di Montpellier. Il padre era un banchiere e lo costrinse ancora adolescente a lasciare gli studi per lavorare con lui in banca; il ragazzo obbedì, ma sognava altro: di carattere ardente e romantico, si era innamorato della botanica leggendo le Lettres sur la botanique di Rousseau. Alla fine riuscì a convincere il padre a permettergli almeno di seguire come uditore qualche lezione di botanica e anatomia. Le gite nelle Cevenne con il suo primo maestro Guillaume-Joséph Roubieu gli confermarono che quella era la sua strada. L'arrivo a Montpellier di de Candolle segnò la svolta definitiva; finalmente libero di seguire la sua vocazione, Dunal si iscrisse a medicina e divenne l'allievo preferito del professore ginevrino. Nel 1811, fu uno dei suoi compagni in una lunga escursione che toccò le Cevenne, il Vivarais, il Velais, l'Alvernia, il Périgord, il Médoc, il Bourbonnais e la Sologne. Quindi accompagnò il maestro a Parigi, dove, grazie a lui poté frequentare i circoli scientifici e stringere amicizie, soprattutto con Augustin de St. Hilaire e Carl Sigismund Kunth. Tornò quindi a Montpellier per preparare la tesi da cui ho preso le mosse, per la quale poté avvalersi, oltre che delle piante vive dell'orto botanico, dei disegni della spedizione di Sessé e Mociño, fortunosamente approdati nella città occitana come ho raccontato in questo post, il che gli permise di pubblicare numerose specie ancora ignote in Europa. La monografia si divide in due parti: la prima è dedicata alla storia e agli usi economici e medici del genere, con approfondimenti per la patata (trattata a proposito delle radici), la dulcamara e le morelle (trattate a proposito di fusti e foglie), la melanzana (trattata a proposito dei frutti); la seconda contiene la descrizione botanica di 2 specie del genere Witheringia, 6 del genere Lycopersicon, 199 del genere Solanum (che salgono a 235 aggiungendo le specie "non sufficientemente note"). A conclusione una breve lista di specie erroneamente assegnate al genere Solanum, tra cui Atropa belladonna. Numerose le specie descritte per la prima volta; ma soprattutto, Dunal tenta una classificazione del genere, dividendolo nei due gruppi Inermia (senza spine) e Aculeata (spinose) e in 12 "serie naturali" sulla base di caratteristiche morfologiche quali le foglie, le infiorescenze, il calice; alcuni dei gruppi individuati corrispondono a sezioni attualmente accettate. Ne risulta una voluminosa opera di oltre 300 pagine, che egli poté permettersi di far stampare in una curata veste tipografica e di corredare di 26 tavole disegnate da François Toussaint Node-Véran, l'artista dell'orto botanico di Montpellier. Conseguita la laurea, Dunal tornò a Parigi, dove si trattenne per circa un anno, finché nel 1814 l'invasione della Francia lo costrinse a tornare a Montpellier, dove come medico fu impegnato a contrastare l'epidemia di tifo. Contrasse la malattia, e dedicò la lunga convalescenza a una monografia sulle Annonaceae; anche in questo caso si tratta della prima trattazione sistematica di questa famiglia, cui Dunal assegnò nove generi, incluso Monodora, da lui istituito e tuttora riconosciuto; pubblicata nel 1817, anch'essa illustrata da Node-Véran, contribuì a consolidare la reputazione del giovane botanico. L'anno prima aveva dato alle stampe un'edizione rivista della tesi, Solanorum generumque affinium synopsis, in cui le specie di Solanum salgono a 320, ma senza grandi novità sistematiche. Intanto la politica aveva provocato un terremoto anche nella vita universitaria di Montpellier. De Candolle, considerato troppo allineato al regime napoleonico e inviso agli ambienti cattolici, nel 1816 diede le dimissioni e tornò a Ginevra, dove l'Accademia creò immediatamente una cattedra per lui. Delle due cattedre di botanica che teneva a Montpellier, quella della facoltà di scienze fu soppressa, mentre quella della facoltà di medicina rimase vacante fino al 1819. La facoltà di medicina nominò Dunal direttore ad interim della Scuola di botanica e dell'orto botanico. Certo egli si aspettava che gli fosse assegnata la cattedra, invece fu nominato Alire Raffeneau Delile (per ironia, ben più legato a Napoleone ben più di de Candolle e tanto più di Dunal, visto che era stato il botanico della spedizione in Egitto). Dunal, che in quel momento si trovava in Inghilterra a consultare erbari, accettò il fatto compiuto con grande signorilità. Contemporaneamente, la sua famiglia conobbe un rovescio di fortuna. Dunal si ritirò in campagna, affiancando al lavoro come medico la gestione di due aziende agricole; in questa veste inventò uno strumento che chiamò eno-alcolometro, utile per misurare la gradazione alcoolica del vino. Non aveva per altro lasciato la botanica: de Candolle gli affidò la trattazione delle Cistineae (oggi Cistaceae) nel primo volume del Prodromus (1824). Questa parentesi durò fino al 1829, quando la facoltà di scienze decise di ristabilire la cattedra di botanica e di assegnarla a Dunal. Per poterla assumere, egli provvide a laurearsi in scienze naturali, discutendo la tesi Considérations sur la nature et les rapports de quelques-uns des organes de la fleur, che si basa sulla teoria della metamorfosi degli organi vegetali e incontrò seguito limitato (come dimostra il fatto che il termine "lepali" che egli coniò per le appendici del ricettacolo non è entrato nella terminologia botanica). Dunal fu un professore molto amato dai suoi studenti, il più famoso dei quali è Jules Émile Planchon. Dal 1830, ai doveri didattici,ù si aggiunse l'incarico di decano della Facoltà, con tutta una serie di compiti amministrativi. Tra i suoi successi, l'acquisizione all'università di una serie di erbari, incluso quello del botanico dilettante e collezionista Bouché-Doumenq, prezioso perché contiene gli erbari di Magnol e Broussonet. Insieme a un altro botanico, Frédéric de Girard (1810-1850), progettò una Flora di Montpellier che però si arenò presto. L'ultimo lavoro che lo attendeva era un ritorno alle origini: Alphonse de Candolle gli affidò la trattazione delle Solanaceae per il Prodromus, di cui forma quasi interamente il 13° volume (1852), per un totale di poco meno di 700 pagine. A sentire Planchon, questo enorme lavoro ha pesato su di lui "come un fardello di cui solo il suo rispetto per de Candolle poteva alleggerire il peso". Con la salute ormai da tempo deteriorata, lontano dalle grandi biblioteche e dai grandi erbari, certo non fu facile per Dunal portare a termine il compito "ingrato", "spaventevole" (a definirlo così è ancora Planchon), se consideriamo che per il solo genere Solanum trattò oltre 850 specie (oggi sono oltre 1200). Ne risultò comunque una trattazione che rimase un punto di riferimento per oltre un secolo, se pensiamo che nessuno tentò più una sistematizzazione complessiva della famiglia prima di Solanaceae Biology and Systematics di William D'Arcy (1986). Oltre ad ampliare enormemente le specie trattate e a estendere il lavoro a tutti i generi della famiglia, Dunal approfondisce il tentativo di suddividere in sezioni il genere Solanum. I giudizi sui risultati sono quanto meno vari. Planchon sorvola, definendo la monografia "opera del declino"; altri, compreso lo stesso D'Arcy, ne riconoscono il ruolo pionieristico per essere stato il primo a presentare divisioni e suddivisioni come categorie gerarchiche formali; piuttosto duro il giustizio di C. V. Morton che in Taxonomic studies of tropical american plants scrive senza troppi peli sulla lingua: "Dunal era un lavoratore attento e le sue descrizioni sono un modello di accuratezza. Tuttavia il suo modo di concepire le relazioni non è affidabile, tanto che spesso nella sua trattazione specie correlate sono ampiamente separate. In effetti, la stessa specie è talvolta descritta sotto nomi diversi in sezioni differenti, La monografia è di difficile uso perché manca una chiave e le descrizioni non sono contrastive e non fanno emergere chiaramente i caratteri differenziali. Chiunque tenti di identificare un esemplare sconosciuto di Solanum per mezzo della monografia di Dunal si sente come se fosse perso in un labirinto di parole". Forse, come sostiene Planchon, l'immane lavoro logorò davvero Dunal, che un anno dopo averla terminata fu costretto a rinunciare alle lezioni e cedette appunto a lui la direzione del dipartimento di botanica. Come ricorda nel commosso elogio funebre lo stesso Planchon, cercò con le poche forze che gli rimanevano di seguire quanto possibile la vita della facoltà e mai rinunciò a partecipare alle escursioni botaniche, nonostante le difficoltà crescenti. Morì il 29 luglio 1856, due giorni dopo aver presieduto a una sessione d'esami. ![]() Una Solanacea andina Non poteva che appartenere alla famiglia Solanaceae il genere che lo celebra; a dedicarglielo fu Kunth, con un tributo insieme all'amico e al botanico: "L'ho denominato in onore di Michel Félix Dunal, dottore in medicina di Montpellier, per la soavità dei costumi a tutti caro e a me amicissimo, e per i lucidissimi scritti sui Solanum e le Annonaceae finora non trattati da nessun botanico". La fama di cui godette in quegli anni il giovane botanico occitano è dimostrata da altre due Dunalia, ovviamente non valide che gli furono tributate quasi contemporaneamente da Robert Brown e Curt Sprengel, cui dopo la morte si aggiunse un quarto genere omonimo, omaggio di Montrouzier. Gli è stata dedicata anche l'alga Dunaniella, che egli scoprì per primo negli stagni nei pressi della sua città. Dunalia Kunth è un piccolo genere di cinque specie di arbusti o piccoli alberi che vivono in ambienti aridi d'altura nel Sud America centro orientale, con centro di diversità in Perù e qualche specie che si spinge in Argentina e in Cile; è affine al più noto genere Iochroma, il maggiore della sotto tribù Iochrominae. Come adattamento all'aridità, in genere sono piante spinose con foglie più o meno coriacee per lo più riunite in verticilli; i fiori tubolari sono viola, molto stretti (presumibilmente sono impollinati da colibrì), mentre i frutti sono bacche carnose rosso aranciato. Purtroppo non sono disponibili studi recenti e in rete si trovano poche informazioni sulle singole specie, ad eccezione di D. spinosa, un arbusto estremamente spinoso e intricato che vive in biomi desertici dal Perù al Cile e all'Argentina settentrionale tra 500 e 2000 metri. I fiori, viola scurissimo quasi bruno, hanno corolla stretta con dieci brevi lobi dentati e sono seguite da bacche aranciate simili a pomodorini. E' una pianta medicinale, usata nella medicina tradizionale per curare varie affezioni; le analisi di laboratorio le hanno riconosciuto proprietà antimicrobiche. Inoltre c'è una certa confusione, perché in passato il genere era molto più ampio, comprendendo specie che poi sono state trasferite a generi affini; come capita in questi casi, i vecchi nomi sono ancora diffusi, quando non prevalenti. E' il caso di Iochroma arborescens, in passato Dunalia arborescens, e soprattutto di Saracha ferruginea, precedentemente Dunalia solanacea e di Eriolarnyx australis, in precedenza Dunalia australis. Il genere Eriolarnyx è affine a Dunalia, me se ne distingue per le corolle campanulate. Nella primavera del 1788, il botanico francese André Michaux e suo figlio François André visitano la Florida occidentale dove sono accolti con squisita cortesia dal governatore Vicente Manuel de Céspedes. Memore di quell'accoglienza, qualche anno dopo Michaux gli dedica uno dei suoi nuovi generi americani, ma un errore di lettura o una svista del tipografo trasformano il buon governatore in Lespedez e il genere in Lespedeza. ![]() Un memorabile viaggio in Florida Inviato negli Stati Uniti come botanico reale alla ricerca di piante utili per ripopolare le foreste francesi, André Michaux era invece intenzionato ad andare oltre questo mandato: voleva scrivere una flora del Nord America, e per questo desiderava visitare tutte le zone accessibili, incluse la Florida spagnola e le Bahamas, nonostante la loro flora tropicale o subtropicale poco si adattasse all'introduzione in terra francese. Già nel 1787 aveva comunicato al Conte d'Angevilliers, direttore generale dei Bâtiments du Roi (da cui dipendeva la sua missione) la sua intenzione di visitare la Georgia e la Florida. Tensioni di frontiera bloccarono per qualche mese il progetto, finché alla fine del febbraio 1788, accompagnato dal figlio François André e da un servitore, egli salpò da Charleston alla volta di St. Augustine, la capitale della Florida occidentale. Agli ufficiali di porto dichiarò di essere stato autorizzato a studiare la storia naturale della provincia dal governatore, Vicente Manuel de Céspedes (o Zéspedes), al quale evidentemente aveva scritto, anche se il carteggio non ci è pervenuto. Condotto alla presenza del governatore, fu ricevuto con grande calore e cortesia. Solo qualche giorno dopo scrisse nuovamente a d'Angevilliers per ottenere il permesso ufficiale di fare raccolte botaniche in Florida. Di fatto, si era già messo al lavoro. Oltre a esplorare i dintorni della città, dove scoprì una nuova specie di Ericacea, Lyonia ferruginea, si era procurato un terreno dove creare un vivaio temporaneo e aveva affittato una canoa e due rematori. Il 12 marzo partì alla volta dell'Anastasia Island, dove fu ospite del mercante Jesse Fish che nella sua residenza, chiamata El Verge, aveva creato un giardino ricco di olivi, palme da dattero, limoni e aranci; Michaux nelle sue memorie lo definisce un paradiso. Era la prima tappa di un viaggio, parte in canoa, parte a piedi, parte a cavallo, che li portò in direzione sud, sempre erborizzando, ad esplorare la costa orientale della Florida lungo il Northwest River e l'Indian River fino all'altezza dell'attuale Bonaventure, dove giunsero all'inizio di aprile; oltre non era possibile andare, essendo ormai penetrati in territorio indiano. Durante il viaggio di ritorno affittarono dei cavalli per riportare le raccolte a St. Augustine e osservarono un incendio: sia gli indiani sia gli europei usavano applicare incendi per facilitare la caccia o per liberare terreni per il bestiame, una pratica altamente disapprovata da Michaux. Rientrato a St. Augustine il 17 aprile, Michaux fece subito visita al governatore, che nei giorni successivi volle visitare di persona le collezioni e invitò il botanico a pranzo. Quest'ultimo era impegnato a riordinare le raccolte (stando al suo diario, fino a quel momento ammontavano a 105 specie), a scrivere lettere in Francia e ai rappresentanti diplomatici francesi, anche per battere cassa, e a preparare la prossima escursione. Il 29 aprile era infatti di nuovo in partenza con gli stessi compagni, questa volta a cavallo, alla volta della residenza di Job Wiggins, che aveva accompagnato William Barton nella spedizione del 1774. Situata sulla riva orientale del St. Johns River, era un buon punto di partenza per esplorare il bacino del fiume, il maggiore della colonia; nei dintorni, Michaux trovò una nuova specie di graminacea, Stenopholis obtusata. Da quel momento il viaggio proseguì in canoa, toccando Mount Royal, una collina sabbiosa visitata e così denominata da John Bartram nel 1765, e Drayton Island sul lago George; quindi continuò lungo il St Johns River e nella strettoia oggi chiamata Salt Springs Run fino alla sorgente dove Michaux raccolse Illicium parviflorum, già osservato nei lori viaggi dai due Bartram ma ancora non descritto. Quindi il gruppo esplorò Silver Gleb Spring e proseguì fino alla confluenza tra il lago George e il St. Johns River, quindi lungo il fiume dove dopo qualche giorno si imbatté in correnti contrarie e grandi masse di alligatori; giunto all'altezza dell'attuale High Bank, avendo trovato poche specie nuove, Michaux decise di rientrare a St. Augustine. Il viaggio volgeva al termine. Dopo un'ulteriore visita al governatore e ad alcune famiglie influenti, i Michaux si imbarcarono con loro raccolte alla volta di Charleston; qui le talee prese in Florida furono trapiantate nel vivaio, mentre i semi di molte piante venivano spediti in Francia; tra le altre, Guilandina bonduc, Sophora tomentosa, Chiococca alba, Ceanothus microphyllus, Conocarpus erectus, Psychoria nervosa, Amyris eleifera, Zamia integrifolia, Tillandsia utriculata, Modiola caroliniana. ![]() Ripopolare la Florida E' ora di sapere qualcosa di più dell'ospitale governatore Vicente Manuel de Céspedes (1721?-1794); appartenente a una famiglia di militari e militare egli stesso, prima di arrivare in Florida per circa un anno era stato governatore facente funzione a Santiago de Cuba; nel 1783 fu nominato primo governatore della Florida orientale che, dopo vent'anni di occupazione britannica, tornava sotto sovranità spagnola in forza del trattato di Parigi. Céspedes si trovò così a gestire una difficile transizione. Il problema principale era quello del popolamento. La popolazione era molto mista: c'erano spagnoli provenienti dalla madre patria, cubani, minorchini (Minorca nel Settecento era passata più volte dalla sovranità spagnola a quella britannica e viceversa, e molti erano di lingua inglese), francesi, italiani, greci, britannici che durante l'occupazione inglese erano subentrati agli spagnoli che avevano preferito lasciare la colonia. Il timore era che con il tempo gli anglofoni potessero prendere il sopravvento o che gli Stati Uniti decidessero di invadere il paese; venne così fissato l'obiettivo di aumentare la popolazione, fino a eguagliare nell'arco di 25 anni quella della Georgia. La corona fissò regole molto stringenti per i nuovi immigrati, la principale delle quali era che dovevano essere di religione cattolica; anche gli stranieri erano ben accetti, purché fossero appunto cattolici e imparassero la lingua spagnola. Céspedes, da parte sua, cercò di favorire i nuovi arrivi, garantendo dieci anni di esenzione dalle tasse, terre, aiuti come bestiame, sementi, attrezzi. Buona parte del territorio era disabitato, e le terre non mancavano, ma la questione del ripopolamento si incrociava con quella delle proprietà. Alcune, i cui proprietari ispanici avevano preferito lasciare la Florida, erano rimaste vacanti al momento dell'occupazione inglese, altre erano state abbandonate dagli inglesi al ritorno degli spagnoli. Céspedes propose che tutte le proprietà vacanti e non rivendicate entro una certa data fossero confiscate dalla corona, per essere ridistribuite ai nuovi immigrati, in particolare i cosiddetti floridanos, ovvero quelle persone che si erano stabilite a Cuba dopo l'occupazione inglese della Florida, di cui voleva incoraggiare il ritorno nella penisola. Un'ultima questione riguardava gli schiavi neri. Poiché nella Florida spagnola non c'erano né piantagioni né miniere, erano pochi; inoltre, nel 1693, il re Carlo II aveva emanato un decreto che concedeva la libertà agli schiavi fuggiti dall'America britannica, purché accettassero la religione cattolica. Così si era formato un notevole insediamento di neri liberi a nord di S. Augustine; godevano della libertà personale, non erano discriminati e formarono persino un reggimento di milizia. Altri schiavi fuggiti si erano rifugiati presso gli indigeni Creek e Seminole. Durante il ventennio di occupazione, i coloni britannici avevano introdotto l'economia di piantagione (si coltivavano cotone, indaco, canna da zucchero) e con essa schiavi neri portati dall'Africa. Al ritorno degli Spagnoli, essi chiesero di essere liberati in osservanza alla legge di Carlo II, mentre i loro proprietari, che ora si era stabiliti in Georgia o nelle Caroline, ne chiedevano la restituzione; Céspedes, anche se temeva che molte conversioni fossero di comodo, li trattenne in Florida. Buona parte del territorio era inesplorato; gli abitati si concentravano lungo la costa, con centro principale a St. Augustine (Jacsksonville e Miami non esistevano ancora) e non si spingevano oltre il Río de Mosquitos, forse a sud dell'attuale Cape Canaveral. Gli inglesi avevano poi creato una serie di piantagioni lungo il St Johns River, il più lungo e importante della regione anche per i commerci, anche se, per le sue acque basse e paludose, era navigabile solo in canoa. Si capisce dunque perché il governatore si sia mostrato così amichevole verso Michaux e abbia incoraggiato la sua esplorazione. Nel 1784, ordinò un censimento, seguito nel 1786 da un secondo più dettagliato. La conoscenza del territorio, delle sue caratteristiche geografiche e umane, delle sue risorse, erano per lui un dovere d'ufficio, come dimostra il suo unico scritto noto, Descripción de la Florida Oriental: su clima, terreno, productos, ríos, barras, bahías, puertos, números y calidades de la gente que la habitan, un manoscritto inedito oggi conservato nell'Audiencia de Santo Domingo dell'Archivio General de Indias, da lui inteso come una vera e propria guida per indirizzare la politica immigratoria. Il documento inizia con una una descrizione geografica della Florida orientale, soffermandosi sull'estensione, il clima, le forme del territorio; si trattano poi i fiumi principali, i laghi, le lagune costiere, sempre indicando gli eventuali popolamenti e la loro consistenza, i pochi nuclei urbani. Dopo aver trattato in modo abbastanza generico le risorse naturali (che sono comunque abbondanti e promettenti), Céspedes conclude con la parte più politica: le sue indicazioni per incrementare il commercio (che a suo parere deve avvenire soprattutto da e verso Cuba) e per favorire l'immigrazione, terminando con le Reglas y condiciones para pobladores tanto extranjeros como naturales di cui abbiamo già parlato. L'incarico di Céspedes terminò nel 1790; dovette quindi ritornare a Cuba, dove sappiamo che morì nel 1794 e fu sepolto nella cattedrale dell'Avana. ![]() Un errore... di sbaglio Michaux non dimenticò mai la cortesia con la quale era stato accolto dal governatore Céspedes, che la sua lotta con l'avara e poco sollecita amministrazione francese prima e dopo la rivoluzione gli facevano apprezzare anche più. Così nella sua Flora boreali-americana non poteva mancare di rendergli omaggio, dedicandogli uno dei suoi nuovi generi. Il libro fu pubblicato postumo nel 1803 a cura del figlio François André e questo forse spiega il fattaccio: tanto il nome del genere quanto quello del dedicatario sono infatti sbagliati. Il genere si chiama Lespedeza, non Cespdeza o Zespedeza (le due forme sotto le quali conosciamo il nome del governatore) e del dedicatario si dice "Per il sig. Lespedez, governatore della Florida, cortesissimo nei confronti dei miei viaggi". Eppure anche François André era della partita... ma, come si dice in questi casi, la colpa è del proto che avrà scambiato la lettera iniziale C con L. Lespedeza Mich. è un genere di una quarantina di specie della famiglia Fabaceae, con una distribuzione nettamente disgiunta: una trentina vivono nelle zone temperate e subtropicali dell'Asia orientale e in Australia, mentre le altre sono originarie del Nord America orientale. Il numero delle specie e la loro corretta individuazione hanno dato filo da torcere ai botanici a causa sia dell'estrema variabilità delle specie, sia della tendenza a produrre con facilità ibridi naturali. Il genere, caratterizzato dai fiori papilionacei (ma molte specie hanno anche fiori cleistogami, cioè autofecondanti, privi di petali) e da baccelli tipici di questa famiglia, è piuttosto vario: comprende infatti erbacee perenni, arbusti e rampicanti. La specie più nota e coltivata nei giardini è senza dubbio L. thunbergii, uno splendido arbusto originario della Cina e del Giappone con eleganti rami arcuati che alla fine dell'estate si trasformano in una cascata di fiori rosa-porpora. L'americana L. capitata è invece famosa per altre ragioni: già gli indiani ne usavano le foglie per preparare tisane medicamentose; oggi è usata in fitoterapia per le sue proprietà drenanti, diuretiche e antiossidanti, che la rendono particolarmente indicata per migliorare le funzioni renali. Come molte leguminose, anche le piante di questo genere hanno radici dotate di noduli che ospitano batteri in grado di fissare l'azoto, arricchendo così il terreno. In Asia diverse specie sono usate come foraggere e appunto per il sovescio. Le loro forti radici sono utili anche per arginare il terreno, contenendo gli smottamenti. Ma queste belle qualità possono anche presentare un rovescio della medaglia, come dimostra la storia dell'asiatica L. cuneata. Questa pianta è stata introdotta in diversi paesi, a cominciare dagli Stati Uniti dove venne piantata per la prima volta nel 1896 nel Nord Carolina per bonificare i terreni di miniere abbandonate, e anche come foraggiera; grazie alle radici molto profonde, non solo trattiene il terreno, ma riesce a sopravvivere a lunghi periodi di siccità. Ne sono anche state sviluppate diverse varietà. Eppure tanto vigore ha un rovescio della medaglia: una singola pianta può produrre 1000 semi all'anno, dove si insedia invade gli spazi delle piante native, inibisce la crescita dei semenzali degli alberi, produce sostanze chimiche che inibiscono la crescita di altre piante. Negli Stati Uniti è già un problema, in Europa non ancora, ma l'Unione europea l'ha inserita nella lista delle piante invasive e ne ha vietato la commercializzazione. Jean-Baptiste Leschenault de La Tour è stato definito da Lucille Allorge "il più viaggiatore dei botanici viaggiatori". In effetti, da quando ventisettenne si imbarcò sul Géographe alla volta dell'Australia, non smise mai di spostarsi da un paese all'altro, eccetto quando ne fu impedito dalla guerra. Dal 1800 al 1803 fu appunto il botanico (l'unico rimasto) della spedizione Baudin nelle Terre Australi; sbarcato malato a Timor, si spostò a Giava, dove rimase tre anni a botanizzare in un ambiente naturale ricchissimo e quasi inesplorato. Dal 1807 al 1815 la guerra lo bloccò in Francia; ma, appena tornata la pace, eccolo ad esplorare l'India meridionale. Ritornò in patria solo nel 1822, ma dopo meno di un anno ripartì, alla volta del Sud America. La salute precaria (che già lo aveva tradito altre volte) lo costrinse a un rientro anticipato, l'ultimo. Si potrebbe però anche definirlo botanico coloniale perché dedicò quasi metà della sua vita a cercare piante adatte alla naturalizzazione nelle colonie francesi. A ricordarlo il bellissimo genere australiano Lechenaultia (o Leschenaultia), omaggio dell'amico Robert Brown. Australia, India, Sud America Non conosciamo molto della giovinezza di Jean-Baptiste Leschenault de La Tour (1773-1826), soprattutto ignoriamo per quali vie si fosse avvicinato alla botanica. Nel 1798 dalla natia Borgogna si traferì a Parigi e si presentò a Antoine Laurent de Jussieu, nella speranza di essere ammesso come allievo al Museum National d'Histoire naturelle. Probabilmente ci riuscì, visto che Jussieu, nel sostenere la sua candidatura per la spedizione Baudin alle Terre australi, lo presenta come allievo dell'istituto. Si dice che Leschenault l'avesse presentata spinto dal motivo apposto rispetto allo zoologo François Péron: questi voleva partire perché il padre di lei gli aveva rifiutato la mano della ragazza che amava, lui invece voleva sottrarsi a un matrimonio mal riuscito. Come che sia, Jussieu era abbastanza soddisfatto delle sue competenze da proporlo come allievo botanico della spedizione; così scrive di lui: "Il cittadino Leschenault si occupa da qualche anno di botanica e ne sa abbastanza da nominare un certo numero di piante senza ricorrere a libri e da decifrare in questi ultimi la maggior parte di quelle che non conosce". Inoltre, sapeva essiccare correttamente le piante, le disegnava in modo abbastanza corretto, era di buon carattere e di eccellente educazione. Ma dopo la rinuncia di Ledru, da allievo Lechenault passò a botanico, rimasto poi l'unico della sventurata spedizione. In Australia, egli visse questa nuova responsabilità diviso tra un forte senso del dovere e la coscienza della propria inadeguatezza; entrambi i sentimenti emergono in una bella lettera inviata a Jussieu da Port Jackson in cui non può nascondere la sua invidia per il botanico della spedizione Flinders. A lui tocca raccogliere le piante, essiccarle, descriverle e pure disegnarle, visto che i disegnatori Lesueur e Petit sono divisi tra il lavoro per il comandante e quello per lo zoologo Péron. "Che contrasto - scrive - con gli aiuti di ogni tipo accordati al mio buon amico Robert Brown!" Certo fece il suo dovere fino in fondo e le sue raccolte furono notevolissime, anche se durante la spedizione ebbe ricorrenti problemi di salute. Durante il soggiorno a Port Jackson era tanto deteriorata che in un primo tempo egli pensò di chiedere l'autorizzazione a rientrare in Francia con il Naturaliste. Poi si riprese, poté partecipare a diverse escursioni botaniche nei dintorni di Port Jackson, a Parramatta e sulle Blue Mountains; ma a dissuaderlo fu soprattutto il capitano Baudin che seppe trovare le parole giuste per rassicurarlo, con un atteggiamento comprensivo e paterno (decisamente non era il mostro che è stato dipinto). Sicuramente Leschenault non si pentì di essere rimasto, visto che l'ultima parte del viaggio fu la più produttiva. Ma il prezzo fu il deterioramento della sua salute: nel maggio 1803 arrivò a Timor in tali condizioni che dovette essere lasciato a terra. Sperava di rimettersi e di tornare quanto prima a casa. Un mese dopo la partenza dei suoi compagni, si imbarcò su una nave olandese diretta a Batavia, dove giunse così malato da non potere proseguire. Chiese però il premesso di trasferirsi a Samarang, che godeva di un clima un po' meno insalubre. Vi giunse a ottobre e fu accolto dal governatore Engelhard, in cui trovò un uomo colto e interessato alle scienze naturali. Nacque così un nuovo progetto: Leschenault sarebbe rimasto a Giava e avrebbe esplorato le ricchezze naturalistiche dell'isola, solo marginalmente sfiorate dai naturalisti che l'avevano visitata in precedenza. L'amministrazione olandese fornì uomini e mezzi, permettendogli di muoversi in sicurezza e con relativo agio. L'esplorazione iniziò con un viaggio nelle due capitali dei sultanati di Surakarta e Yogykarta. Partito da Samarang il 24 ottobre, Leschenault si diresse dapprima a Surakarta, passando per i monti Ungaran, Merbabu e Merapi, un vulcano attivo; per un mese esplorò la città e i suoi dintorni, quindi passò a Yogykarta, visitando lungo il cammino le rovine del tempio buddista di Prambanang. Aveva di nuovo preteso troppo da se stesso: dopo due settimane a Yogyakarta, ebbe un crollo; trasportato in barella a Samarang, vi giacque malato dal febbraio all'ottobre 1804. Quando si fu ristabilito, ripartì per visitare la parte orientale di Giava, di cui toccò tutti i distretti costieri; quindi si imbarcò per l'isola di Madura, dalla quale sarebbe stata sua intenzione proseguire per l'arcipelago Kangean, ma la notizia di un'incursione di pirati malesi lo indusse a desistere; tornato sulla terraferma, esplorò la regione sud orientale fino a Banyuwangi, dove si fermò due mesi; quindi passò a Bali, di cui visitò le coste. Tornato a Banyuwangi, passando dall'interno e toccando i monti Tingar si diresse a Surabaya. Qui si imbarcò infine per Samarang, dove rientrò nell'agosto 1806, dopo un viaggio di 18 mesi. Andò poi a Batavia, con l'intenzione di imbarcarsi per la Francia. In Europa infuriava la guerra e non era facile trovare un imbarco su una nave neutrale, tanto più che portava con sé molte casse di piante, animali, conchiglie, oggetti etnografici; finalmente, a novembre riuscì a trovare un passaggio su una nave americana. Nell'aprile 1807 era a Filadelfia dove riuscì a ottenere dall'ambasciatore inglese un passaporto per sé e le proprie collezioni. A luglio, dopo sette anni di assenza, toccava il suolo francese. Quasi il suo primo atto fu scrivere a Jussieu per informarlo del suo ritorno e delle sue avventure. Le raccolte furono esaminate da una commissione designata dal ministero dell'Interno (ne facevano parte anche Lamarck e Cuvier) che le giudicò così importanti da proporre di considerare l'esplorazione di Giava parte integrante della missione nelle Terre Australi: a condizione che consegnasse le collezioni al Museum, era giusto pagargli quattro anni di stipendio arretrato e assegnargli una pensione analoga a quella concessa a Péron. Napoleone acconsentì. Fino alla caduta di quest'ultimo, venne l'ora di lavori da scrivania (tra gli altri, la stesura di un dizionario di lingua malese); nel 1816, ritornata la pace, ripartì. La nuova destinazione era Pondichéry (oggi Pondicherry), la capitale dell'"India francese", costituita da cinque empori situati lungo la costa del Malabar e recentemente restituita alla Francia dal Congresso di Vienna. Era invece rimasta in mani inglesi l'Ile de France, ovvero Mauritius: una perdita molto dolorosa perché per quasi un secolo l'isola e il suo giardino di Pamplemousses avevano costituito il principale luogo di acclimatazione delle specie esotiche da diffondere nelle colonie francesi. Ora quel ruolo passava all'altra isola delle Mascarene, la Réunion, tornata a chiamarsi Ile Bourbon con la restaurazione, e al suo giardino di Saint Denis, appena creato dal botanico Nicolas Bréon. La missione di Leschenault era proprio quella di cercare piante indiane utili per l'agricoltura e il commercio, da acclimatare a Bourbon per essere poi distribuite in quanto rimaneva delle colonie francesi. Il botanico prese molto sul serio il compito. Anche se nei sei anni in cui rimase in India raccolse anche un'imponente quantità di esemplari di piante, animali e minerali e si interessò di molti aspetti della vita e della cultura indiane, ne fece il principale oggetto delle proprie ricerche. Prima di partire per l'India, andò in Inghilterra ad incontrare il vecchio Banks, per ottenere lettere di raccomandazione per gli amministratori e i botanici inglesi, che in effetti gli furono di grande aiuto. Giunto a Pondichéry nel settembre 1816, dedicò il primo anno allo studio dei sistemi di coltivazione in uso lungo la costa del Coromandel. Studiò anche le tecniche tintorie tradizionali a Karikal, l'altra enclave francese. Nel 1818, il primo viaggio alla ricerca di piante utili lo portò a Salem, da cui riportò, oltre a un erbario di 400 specie e semi di circa 160, il primo carico di piante vive e semi destinato a Bourbon: c'era la pianta tintoria Nerium tinctorium (oggi Wrightia tinctoria), due specie di canna da zucchero, una nera e una bianca, alberi di sandalo e di teak, semi di papavero da oppio e di quattro tipi di cotone. Poi la salute lo tradì di nuovo: nel mese di ottobre ripartì per visitare i Ghati occidentali, ma a Coimbatore fu colpito da un pericoloso attacco di febbre gialla che lo costrinse a rientrare a Pondichéry. Appena il tempo di ristabilirsi, ed eccolo di nuovo a Coimbatore, punto di partenza per una lunga escursione sulle Nigiri Hills, in cui fu accompagnato da due amici inglesi, Mr. Sullivan e il dr. Jones. Su queste montagne, non molto elevate ma dai fianchi assai ripidi e difficili da scalare, caratterizzate da un clima fresco e ricchezza di acqua, trovò una ricca flora con molti generi presenti anche in Europa (Rhododedndron, Rubus, Geranium, Impatiens, Rosa, Salix, Berberis), che egli giudicò particolarmente adatte alla naturalizzazione nei giardini europei; tra le piante utili, una nuova specie di Berberis che per le sue eccellenti qualità tintorie battezzò B. tinctoria. Nel 1819 andò in nave in Bengala e ne tornò con molte piante da inviare a Bourbon, ma anche in Senegal. Oltre a molti alberi da legname o falegnameria, nella sua relazione all'Accademia delle scienze, egli cita la palma da zucchero Saguerus rumphii (oggi Arenga pinnata), Ficus elastica per la sua gomma elastica, piante tessili come Asclepias (oggi Marsdenia) tenacissima, Urtica tenacissima (oggi Bohemeria nivea), Boswellia thurifera (oggi B. serrata), da cui si ricava un tipo d'incenso. Il viaggio più lungo e impegnativo fu l'ultimo, dedicato all'estrema regione dell'India sud-orientale e all'isola di Ceylon. Leschenault visitò i due piccoli regni di Thanjavur e Tondiman, il distretto di Madurai e le montagne di Cottalam, punto di incontro tra i due monsoni, con una flora assai variata. Dal sud dell'India inviò a Pondichéry un convoglio di carri con 35 balle di alberi di 42 specie diverse, tra cui il teak Tectona grandis. Al loro arrivo, furono trapiantati nel giardino del governatore, primo nucleo dell'orto botanico di Pondichéry che sarebbe stato creato nel 1826 sui terreni dell'ex Campo di Marte. Torniamo a Leschenault. Dopo aver visitato la provincia di Tinnevelly, si imbarcò per Ceylon; dopo aver soggiornato per qualche tempo a Colombo, ottenne il permesso di visitare l'interno, cosa che fece per tre mesi, finché nel febbraio 1821 l'ennesima malattia lo costrinse a imbarcarsi per Pondichéry. Portava però con sé molti esemplari di Cinnamomum verum, l'albero da cui si ricava la pregiata cannella di Ceylon. Ad agosto lasciò l'India per Bourbon, accompagnato da cinque pecore e da un montone della razza di Coimbatore, 130 piante vive, compresi 32 pianticelle di Cinnamomum verum, e circa 200 specie di semi. Mentre si trovava sull'isola, con l'aiuto di Bréon tentò esperimenti di innesto del cotone su Thespesia populnea, Hibiscus liliflorus e Guazuma ulmifolia. Infine, il 15 febbraio 1822 si imbarcò alla volta della Francia via Capo della Buona speranza, dove approfittò di uno scalo di due settimane per incrementare la collezione di semi, acquistare qualche tartaruga e una nuova specie di uccello. Al suo rientro in Francia l'enorme contributo alle collezioni botaniche, zoologiche e mineralogiche del Museo e all'introduzione di specie coloniali utili gli valse l'attribuzione della Legion d'onore. Dopo meno d'un anno, arrivò una nuova missione: con il titolo ufficiale di "botanico della corona" (ne aveva fatta di strada dai tempi in cui era "allievo botanico"!) fu inviato nella Guaiana francese per rilanciare l'agricoltura di quella colonia. L'11 giugno 1823 egli partì da Brest in compagnia di A. J. L. Doumerc, diretto a Cayenne, dove giunse il 5 novembre, dopo due scali a Rio e Bahia. Portava con sé pianticelle di tè per l'orto botanico. Dopo un breve soggiorno nella capitale, i due si spostarono a Nouvelle Angoulême sul fiume Mana, dove si separarono. Doumerc visitò le tribù amerinde Galibi e Arrowali, mentre Leschenault proseguiva alla volta del Suriname (Guaiana olandese). Anche qui fece notevoli raccolte, ma la salute malferma lo costrinse a interrompere il viaggio e a rientrare a Parigi nel novembre 1824. Quando sembrava aver recuperato, morì all'improvviso il 14 marzo 1826 all'età di 52 anni. ![]() Lechenaultia o Leschenaultia? Sempre in viaggio, Leschenault de La Tour raccolse moltissimo ma pubblicò molto poco. Al ritorno da Giava diede alle stampe due brevi testi relativi alla spedizione Baudin, uno sulla città di Kupang a Timor, l'altro sulla vegetazione della Nuova Olanda (pubblicato nel secondo volume della relazione ufficiale di Péron e Freycinet), e una memoria su alcune piante velenose di Giava. Ugualmente scarsi gli scritti sull'India, che si limitano alla relazione sul viaggio letta all'Accademia delle scienze, alla pubblicazione del Berberis scoperto sulle Nigiri Hills e a una memoria sulla cannella di Ceylon. Ad approfittare delle sue raccolte e dei suoi erbari furono altri naturalisti. Senza dimenticare che quando Leschenault tornò in Europa Robert Brown, che invece era rientrato nel 1805, aveva già fatto in tempo a pubblicare un certo numero di specie australiane raccolte da entrambi, rendendo in qualche modo superato almeno in parte un suo eventuale lavoro. Un certo numero di piante raccolte da Leschenault in Australia furono descritte da Etienne Ventenat e da Aimé Bonpland nelle loro opere sul giardino di Malmaison, altre furono pubblicate da Labillardière, altre ancora da R. L. Desfointaines, che descrisse anche alcune delle sue specie indiane nei cataloghi delle collezioni del Jardin des plantes. Moltissimo ovviamente rimase non pubblicato nei depositi del Museo Nazionale. Diverse decine di piante ricordano il nostro botanico viaggiatore nel nome specifico e con le loro diverse origini riassumono le tappe dei suoi viaggi: tra le altre, citiamo le australiane Beyeria leschenaultii e Calitrix leschenaultii, le indonesiane Hypericum leschenaultii e Aralia leschenaultii, le indiane Argureya leschenaultii e Impatiens leschenaultii. Tra gli animali, ricordiamo il corriere di Leschenault Charadius leschenaultii, il cuculo di Sirkeer Toccocua leschenaultii, il codaforcuta capobianco Enicurus leschenaulti, il pipistrello Rousettus leschenaultii, la lucertola Ophiosops leschenaultii. In Australia conserva il suo nome la bellissima laguna Leschenault Estuary, separata dall'Oceano Indiano dalla penisola Leschenault. Nel breve periodo in cui entrambi si trovavano a Port Jackson come botanici rispettivamente delle spedizioni Baudin e Flinders, Leschenault de La Tour e Robert Brown avevano stretto amicizia. Nel giugno 1802 fecero almeno un'escursione insieme, nella quale lo scozzese ebbe modo di apprezzarne le doti di acuto osservatore. Fu proprio lui a dedicare un genere al collega francese in Prodromus Florae Novae Hollandiae, con una motivazione piena di elogi: "L'ho nominato in onore del mio stimato amico Lechenault, celebre viaggiatore, esperto botanico, da cui si attende avidamente la pubblicazione delle piante della costa occidentale della Nuova Olanda e delle isole di Giava e Timor". La grafia del cognome non è un mio errore di battitura: così lo trascrive un po' ad orecchio Brown, che infatti denominò il nuovo genere Lechenaultia, senza esse. Qualche anno dopo George Bentham lo corresse in Leschenaultia, nome che si impose a lungo, finché in rispetto delle norme della nomenclatura botanica, si è tornati alla denominazione originale. Ma l'incertezza rimane: mentre nella letteratura botanica prevale Lechenaultia, Plants of the World on line usa Leschenaultia, che è anche la forma più usata come nome comune. Lechenaultia / Leschenaultia (famiglia Goodeniaceae) è un genere endemico dell'Australia con una ventina di specie; per lo più sono piccoli arbusti, con qualche erbacea annuale; in genere hanno portamento prostrato e tappezzante. La maggior parte si trova nei suoli sabbiosi e nel clima arido o semi-arido dell'Australia occidentale, una in condizioni simili nell'Australia orientale, due nella regione tropicale del nord; L. filiformis si spinge in Nuova Guinea, unica specie al di fuori dell'Australia. Attraenti sia per l'aspetto generale sia per le fioriture, diverse specie sono coltivate come ornamentali. Solitamente hanno foglie lineari e carnose, di colore grigio-verde, che al momento della fioritura formano uno sfondo perfetto per i numerosi fiori dalle coloratissime corolle asimmetriche: blu intenso per L. biloba, giallo luminoso o rosso carminio per L. formosa, rosa carico per L. macrantha. Anche da noi in vivai ben forniti è possibile reperire almeno la prima, di cui sono state selezionate alcune cultivar, ma coltivarla e mantenerla in vita per più di pochi anni non è semplice. Qualche approfondimento nella scheda. Il "Viaggio di scoperta alle Terre australi", più noto come "Spedizione Baudin", avrebbe dovuto assicurare la gloria scientifica della nuova Francia di Napoleone; invece, nonostante gli indubbi successi, con la ricognizione di ampi tratti delle coste australiane e la raccolta di migliaia di esemplari, è passato alla storia come una spedizione maledetta. Defezioni, malattie e morti ne falcidiarono l'imponente équipe scientifica: alla partenza da Le Havre, a bordo del Géographe e del Naturaliste, senza contare uno stato maggiore di una sessantina di eccellenti ufficiali, diversi dei quali recentemente diplomati dell'Ecole polytechnique, c'erano ventidue tra scienziati e artisti; alla partenza da Mauritius alla volta dell'Australia, il secondo gruppo si era ridotto a quattordici (contando anche due artisti reclutati nel frattempo); alla partenza da Port Jackson per la seconda parte della spedizione, erano diventati nove. In Francia ne tornarono solo sei, tre dei quali morirono nel giro di pochi anni in seguito alle malattie contratte durante il viaggio. Dunque, un vero disastro sul piano umano, non compensato dai risultati scientifici, imponenti ma in gran parte rimasti inediti. Occorreva un capro espiatorio, e fu facilmente trovato nel capitano Baudin: un outsider ammesso da pochissimo nella marina militare, dopo aver servito per anni una potenza nemica, per di più impossibilitato a difendersi, essendo morto lui stesso durante il viaggio. A costruire la leggenda nera provvidero solerti gli autori della relazione ufficiale, prima lo zoologo Péron poi l'ufficiale Louis de Freycinet, che per motivi diversi nutrivano astio nei confronti dello sventurato comandante. Solo in anni relativamente recenti, la pubblicazione del giornale di bordo di Baudin ha permesso di riequilibrare un poco quel quadro. Eppure, i risultati erano sotto gli occhi di tutti: nel parco della Mailmaison scorrazzavano canguri ed emù e cigni neri si dondolavano sul laghetto, mentre i giardini e i viali di Francia incominciavano a popolarsi di eucalipti e di mimose, germinate dai semi giunti dall'Australia. Tra ufficiali-cartografi e scienziati, contando sia quelli che rimasero fino alla fine sia quelli che lasciarono la spedizione, sono almeno una dozzina quelli che hanno ricevuto l'onore di un genere botanico; due soli sono validi, e per una strana coincidenza ricordano due dei salvati tornati a Le Havre a bordo del Géographe: l'ultimo comandante, Pierre Bernard Milius, colui che lo riportò in Francia dopo la morte di Baudin, e l'unico tra i giardinieri o botanici rimasto fino alla fine: il ragazzo giardiniere Antoine Guichenot, sedicenne quando lasciò Le Havre. La spedizione si sfilaccia: Le Havre-Ile de France Dopo il successo della spedizione della Belle Angelique e la trionfale partecipazione alla Festa della libertà, Nicolas Baudin, che ormai godeva della stima e dell'amicizia di Antoine Laurent de Jussieu, il direttore del Museum National, propose al Direttorio una missione scientifica più ambiziosa: niente meno che la circumnavigazione del globo, per rinnovare la gloria del viaggio di Bougainville in salsa repubblicana. Sempre a corto di quattrini, il Direttorio tergiversò, finché Baudin e i suoi sponsor del Museum tornarono alla carica con il nuovo padrone della Francia, Napoleone Bonaparte. Il primo console ricevette il capitano e una delegazione dell'Institut national des sciences et des arts, approvò il progetto, ma fissò una meta e un compito più circoscritti: l'esplorazione e la mappatura delle coste meridionali, occidentali e settentrionali della Nuova Olanda (ovvero l'Australia). Non di meno, per il numero di persone coinvolte e l'ampiezza degli obiettivi scientifici, che oltre alla cartografia includevano mineralogia, astronomia, zoologia, botanica ed etnografia, si trattava di un'impresa grandiosa, che avrebbe dovuto sancire la preminenza scientifica della nuova Francia. Nulla fu lasciato al caso. Una commissione, che comprendeva molti dei più bei nomi del Museum, stilò precise istruzioni (quelle antropologico-etnografiche furono scritte da Cuvier), l'itinerario venne fissato nei minimi particolari, furono allestite due corvette di recente fabbricazione, la Galathée et la Menaçante, prontamente ribattezzate Géographe e Naturaliste, cui venne aggiunto un ponte per ricavare spazio per le provviste, le attrezzature e il personale scientifico, costituito da ben 22 tra scienziati, giardinieri e artisti. La attrezzature erano all'ultimo grido e comprendevano persino un alambicco per distillare e rendere potabile l'acqua marina. Si era in guerra, e fu necessario ottenere il beneplacito dell'Inghilterra, che fu concesso grazie alla mediazione di Joseph Banks, anche se lui stesso e la Royal Navy temevano che dietro quella facciata scientifica si nascondessero mire coloniali; ecco perché venne immediatamente allestita una contro-spedizione, quella del capitano Matthiew Flinders sull'Investigator, con la missione dichiarata di mappare le coste dell'Australia e quella segreta di sorvegliare i francesi. Il Géographe e il Naturaliste salparono da Le Havre il 19 ottobre 1800. A bordo del Géographe, comandato da Nicolas Baudin con l'assistenza del capitano di fregata Alexandre Le Bas de Sainte Croix, c'erano 118 uomini, tra ufficiali (tra i quali vale la pena di segnalare almeno il figlio di Bougainville Hyacinthe e Henri de Freycinet), marinai, personale di bordo, e un'équipe scientifica che comprendeva il geografo Charles-Pierre Boullanger, l'astronomo Frédéric Bissy, il mineralogista Louis Depuch, gli zoologi René Maugé, Stanislas Levillain e François Péron, il botanico Jean Baptiste Leschenault de La Tour, i giardinieri Anselme Riedlé, Antoine Sautier e Antoine Guichenot, gli artisti Louis Lebrun e Jacques Gerard Gilbert. Erano invece 120 le persone imbarcate sul Naturaliste, comandato dal capitano di corvetta Jacques Félix Hamelin des Essarts con l'assistenza del secondo Pierre Bernard Milius; tra gli ufficiali, il minore dei Freycinet, Louis; l'équipe scientifica comprendeva il geografo Pierre Ange Faure, il mineralogista Joseph Charles Bailly, l'astronomo Pierre-François Bernier, gli zoologi Jean-Baptiste Bory de Saint-Vincent e Desiré Dumont, i botanici Jacques Delisse e André Michaux, assistito dai giardinieri Jean François Cagnet e Merlot (un ex schiavo nero quattordicenne che Michaux aveva portato con sé dagli Stati Uniti), l'artista Michel Garnier. Sul Géographe, fin dall'inizio si creò un solco tra Baudin e i suoi ufficiali: quasi tutti di origine aristocratica, giovani, ambiziosi, diversi di loro da poco diplomati all'École polytechnique, mal tolleravano un comandante venuto dalla marina mercantile, che oltre tutto aveva servito per anni sono bandiera nemica; il carattere chiuso e autoritario di Baudin non aiutava. Il 2 novembre le navi gettarono l'ancora a Tenerife, dove si trattennero undici giorni. Michaux fu ospite di Broussonet, sull'isola in qualità di commissario delle relazioni commerciali del governo francese, che informò i compatrioti dell'imminente partenza per l'Europa di un battello con prigionieri inglesi; alcuni marinari ne approfittarono per disertare. Ma soprattutto nacquero le prime tensioni tra Baudin e i naturalisti: dopo qualche giorno passato a fare entusiasmanti raccolte, furono trattenuti a bordo in attesa di un'imminente partenza che però veniva rinviata di giorno in giorno. Eppure l'ordine non valeva per gli antichi compagni di Baudin sulla Belle Angélique, il giardiniere Riedlé e gli zoologi Maugé e Levillain. Le navi lasciarono Tenerife il 13 novembre, con qualche inconveniente dovuto alla maggiore lentezza del Naturaliste e alla difficoltà di allineamento tra le due navi. Al largo di Madera, il Géographe fu fatto segno di un colpo di cannone da un vascello spagnolo, che lo aveva scambiato per una nave britannica. Fu forse il rischio di altri incontri pericolosi a far optare Baudin per una rotta più prossima alla costa africana, anziché quella consueta più vicina alla costa brasiliana (alcuni però pensano a una scelta obbligata, dovuta alla caduta degli alisei); rallentata dalla bonaccia, la navigazione si allungò di un mese e mezzo. Con due conseguenze disastrose: il moltiplicarsi di casi di scorbuto e il crollo della fiducia nelle capacità marinare del comandante. Il Capo di Buona speranza venne avvistato solo a metà gennaio, senza farvi scalo. Dopo aver superato una tempesta, l'Ile de France fu raggiunta il 16 marzo 1801, con due mesi buoni di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Qui le navi avrebbero dovuto esser rifornite di viveri e attrezzature, rifiutati però dalle autorità locali che avevano i magazzini sguarniti e temevano un attacco inglese. Baudin fu costretto a ricorrere a un prestito garantito dal console danese. Molti degli uomini erano malati, quasi tutti erano scontenti. A rompere gli indugi fu forse l'esempio di André Michaux. Il vecchio botanico, contrariato dalle regole d'ingaggio che stabilivano che le raccolte sarebbero appartenute esclusivamente allo Stato, diede le dimissioni, seguito dai suoi aiutanti Merlot e Cagnet. Dichiarandosi malati, lo imitarono l'astronomo Bissy, gli zoologi Bory de Saint-Vincent e Desiré Dumont, il farmacista e botanico Jacques Delisse e tutti gli artisti. Baudin, che non credeva più di tanto a queste malattie più o meno diplomatiche, non li rimpianse, accontentandosi di trasferire Bernier sul Géographe e di sostituire gli artisti con due giovani di talento che si erano imbarcati come aiuto-cannonieri, Charles Alexandre Lesueur e Nicolas Martin Petit. Gli spiacque molto di più la diserzione di ventun marinai. ![]() Malattia a bordo: Ile de France-Port Jackson È dunque con l'équipe scientifica dimezzata e gli effettivi ridotti che la spedizione riparte il 25 aprile 1801. Eccetto due giorni di tempesta, la navigazione è tranquilla e sospinta da venti favorevoli; la costa australiana è avvistata all'altezza del Capo Leuwen il 27 maggio. A causa del ritardo accumulato, Baudin ha infatti deciso di iniziare le ricognizioni non dalla Tasmania, secondo le istruzioni del Ministero della marina, ma dalla costa occidentale. Il primo contatto dei naturalisti con la terra australiana è nei pressi del capo che viene battezzato Naturaliste (31 maggio): i francesi si stupiscono nel vedere come una terra così arida ospiti una tale varietà di alberi e arbusti. Viene quindi esplorata la baia battezzata Géographe, dove va perduta una lancia e annega un marinaio. Il 10 giugno una tempesta separa le due navi. Avendo mancato i diversi punti d'incontro, non si riuniranno fino a Timor. Il Géographe esplora la costa tra Shark Bay e il North-West Cape, e in particolare l'isola Bernier dove l'attivissimo capo giardiniere Riedlé fa molte raccolte interessanti; poi, con diversi casi di scorbuto a bordo e provviste al lumicino, fa vela per Timor dopo getta l'ancora il 22 agosto. Il Naturaliste invece esplora a fondo la foce dello Swan river e le isole adiacenti, poi anch'esso si dirige a Timor, dove giunge un mese dopo l'ammiraglia. Lo scalo a Timor è necessario per rifornire la nave, ma notoriamente pericoloso. Molti si ammalano di dissenteria e muoiono sei uomini, tra cui il capo giardiniere Riedlé. Quando le navi lasciano Timor, il 13 novembre, i malati a bordo sono molti; tra di loro anche Leschenault, che è stato trasferito sul Naturaliste. Con grande gioia di Baudin, deve invece rimanere a terra il suo detestato secondo Le Bas de Sainte Croix, rimasto ferito in un duello contro l'ingegnere Ronsard. Lo sostituisce il maggiore dei Freycinet, Henri, Ora la spedizione fa rotta verso la Terra di van Diemen (ovvero la Tasmania). Prima di raggiungerla, sul Géographe si contano altri sette morti, tra cui il giardiniere Sautier (15 novembre) e lo zoologo Levillain (23 dicembre). Il 13 gennaio 1802 le due navi navigano lungo il Canale d’Entrecasteaux che separa la Tasmania dall'isola Bruny, dove gettano l'ancora. Il giorno dopo incontrano per la prima volta un gruppo di aborigeni. Iniziano a mappare accuratamente le coste sud-orientali dell'isola. Il 18 gennaio gettano l'ancora nella Great Oyster Bay, sulla costa occidentale di Maria Island. Qui muore e viene sepolto Maugé, che non si è mai ripreso; è un grave colpo per il comandante che con lui perde l'ultimo compagno della Belle Angelique e forse l'unico amico. Il 27 febbraio le due navi lasciano l'isola e fanno rotta a nord per continuare la ricognizione della costa orientale della Tasmania. Il 6 marzo un canotto con il geografo Boullanger, l'aspirante Maurouard e sei marinai è incaricato di rilievi più ravvicinati, ma a causa del cattivo tempo perde il contatto con il Géographe; tre giorni dopo, è recuperato dal brigantino inglese Harrington, che porta i francesi a bordo del Naturaliste, il quale a sua volta ha perso di vista l'altra nave. Come in precedenza, anche questa volta tutti i punti d'incontro verranno mancati, a partire da quello di Waterhouse, dove le due corvette passano il 19 marzo, a poche ore di distanza, senza riuscire a vedersi a causa della nebbia. Non si incontreranno più fino a Port Jackson (Sidney). Dopo qualche giorno di tempo tempestoso, Hamelin riprende i rilievi della costa orientale della Tasmania; ne parte il 7 aprile, e dopo aver fissato la posizione del Wilson Promontory e mappato la costa di Western Port, essendo a corto di viveri e acqua, fa rotta per Port Jackson dove getta l'ancora il 26 aprile. Ne riparte il 18 maggio, ma non avendo potuto doppiare la Tasmania a causa del cattivo tempo, vi rientra il 28 giugno. Invece Baudin, navigando verso nord, il 27 marzo ha raggiunto il Wilson Promontory e ha proseguito esplorando da est a ovest la costa meridionale dell'Australia. L'8 aprile si vede arrivare incontro un'altra nave: pensa si tratti del Naturaliste, invece è l'Investigator di Matthew Flinders: ovviamente, il capitano inglese sa benissimo che i francesi potrebbero essere da queste parti, e a ogni buon conto ordina di armare i cannoni, ma fa anche issare la bandiera bianca. I due capitani ignorano che pochi giorni prima (il 25 marzo) è stata firmata la pace d'Amiens; per quanto ne sanno, i loro paesi sono in guerra. Ma dopo tutto comandano una missione scientifica. L'Investigator affianca il Géographe e Flinders sale a bordo, i due capitani si salutano cordialmente e scambiano informazioni sulle loro rispettive scoperte. Un secondo incontro si avrà il mattino dopo. Il punto d'incontro (a 5 miglia dalla costa meridionale dell'Australia di fronte all'attuale Adelaide) sarà battezzato da Flinders Encounter Bay. Nonostante l'entusiasmo per aver incontrato un collega che stima e di cui conosce l'abilità di cartografo, Baudin è certo deluso per aver scoperto di non essere il primo ad aver mappato la costa meridionale dell'Australia, per altro solo per un breve tratto. Quindi la navigazione riprende. Poco dopo l'incontro con gli inglesi, nel golfo di St Vincent la nave è sballottata da onde così violente che Baudin lo ribattezza Golfe de la Mauvaise. Il 25 aprile il Géographe tocca le isole St Peter e St Francis, mappa la costa est della penisola Eyre, finché la scarsità di viveri e le malattie che continuano a imperversare a bordo convincono Baudin a raggiungere Port Jackson; il cattivo tempo lo costringe a prendere la rotta più lunga e difficile che contorna la Tasmania. Arriverà a Port Jackson il 20 giugno; il 28 le due corvette si riuniscono dopo quasi quattro mesi di separazione. ![]() Ritorno: Port Jackson-Ile de France-Francia Accolti ospitalmente dagli inglesi (nonostante qualche tensione in occasione del decennale della Repubblica il 22 settembre 1802), i francesi si fermano a Port Jackson per quasi cinque mesi. A corto di uomini per le morti e le malattie, Baudin decide di acquistare una nave più piccola e più adatta ai rilievi oceanografici, la Casuarina (così chiamata dal legname usato per costruirla) e di rinviare in Francia il Naturaliste, con a bordo le carte, le memorie, le osservazioni scientifiche e le collezioni fatte nella prima parte del viaggio. A preparare le piante vive è il giovanissimo apprendista giardiniere Antoine Guichenot (sedicenne al momento della partenza, ora deve avere circa diciotto anni), l'unico rimasto dopo la defezione o la morte dei suoi quattro compagni. Nonostante i pochi anni, è solerte e capace, ed accompagna Baudin a bordo del Naturaliste per un'ultima ispezione quando il comandante vi sale per impartire a Hamelin dettagliate raccomandazioni su come trattare quel traporto tanto fragile quanto prezioso. Le tre navi lasciano insieme Port Jackson il 18 novembre; il 6 dicembre gettano l'ancora in una baia dell'isola King che appare letteralmente ricoperta di leoni marini, da cui il nome Sea Elephant Bay; agli occhi dei francesi, l'isola, con la sua vegetazione lussureggiante, la ricchezza di acqua e l'abbondanza di animali, è un vero paradiso terrestre. Péron, Lesueur, Guichenot e Leschenault, che si è riunito agli amici, sono ovviamente i più entusiasti, e vi si attardano alcuni giorni, mentre il Géographe è tenuto al largo dal cattivo tempo. Nel frattempo la Casuarina, comandata dal più giovane dei fratelli Freycinet, è stata inviata ad esplorare le isole Hunter. L'8 dicembre, mentre il Naturaliste si prepara alla partenza, arriva da Port Jackson la Cumberland, comandata dal capitano Charles Robbins, spedita dal governatore King per accertarsi che i francesi non abbiano l'intenzione di preparare un insediamento in Tasmania. Hamelin viene a sapere da uno degli uomini di Robbins che loro stessi hanno lo stesso compito, ma non ne informa Baudin. Poco dopo c'è l'addio definitivo. Il Naturaliste arriverà a le Havre il 7 giugno 1803, dopo essere stato trattenuto per breve tempo dagli inglesi a Portsmouth. Il 15 dicembre, nel corso delle manovre d'attracco nella Sea Elephant Bay, il Géographe perde una lancia. Riuscirà ad ancorarsi e a recuperare i naturalisti solo il 25 dicembre. Due giorni dopo si riunisce con la Casuarina e i due vascelli procedono insieme fino all'isola dei Canguri (scoperta l'anno prima da Flinders), di cui cartografano la costa meridionale. Quindi la Casuarina va ad esplorare i golfi St Vincent e Spencer, mentre il Géographe è all'ancora all'Eastern Cove, con gli uomini impegnati nella costrizione di una nuova lancia; ne parte il 1 febbraio 1803 e fa vela verso ovest; alle due è segnalata, in direzione opposta, la Casuarina: Freycinet non vira per seguire il comandante, e le due navi rimarranno separate per due settimane. Raggiunta la costa del continente nei pressi di Streaky Bay, il 7 febbraio il Géographe getta l'ancora a Denial Bay; durante la sosta di quattro giorni per i rilievi cartografici, i naturalisti hanno modo di incrementare le loro raccolte. Intanto la Casuarina ha visitato alcune delle isole Nuyts, per poi dirigersi verso il King George Sound, dove il 17 febbraio le due navi si riuniscono. L'area viene attentamente mappata, permettendo di nuovo ai naturalisti di scendere a terra. E' forse il luogo dove Guichenot e Leschenault fanno le raccolte più abbondonati. Il 20 febbraio, il sotto-luogotenente Ransonnet, che sta esplorando un tratto di costa, incontra la nave baleniera americana Union il cui comandante il giorno dopo fa visita a Baudin; in ricordo di questo incontro, la baia verrà denominata Two People Bay. Il 1 marzo la spedizione lascia il King George Sound, per doppiare il capo Leuwen e risalire la costa occidentale dell'Australia. Le due navi si perdono ancora una volta di vista, finché il 13 marzo si ritrovano alla Rottnest Island, fissata come punto d'incontro. Proseguono insieme fino a Shark Bay, dove Péron, Lesueur e Guichenot fanno notevoli raccolte, quindi esplorano la costa dal North-West Cape a un gruppo di isole, ribattezzato Bonaparte Archipelago. Alla fine di aprile, Baudin, già assai malato di tubercolosi, decide di dirigersi a Timor, per caricare acqua e rifornimenti. Vi arrivano il 6 maggio e ne ripartono il 3 giugno; Leschenault, anch'egli gravemente malato, viene lasciato a terra. Le due navi si dirigono a sud est, per iniziare la ricognizione della costa settentrionale dell'Australia, che esplorano fino all'altezza dell'isola Melville; il 5 giugno Bernier muore per una febbre contratta a Timor. L'equipaggio è sfinito, l'acqua sempre più scarsa, il comandante quasi in fin di vita: il 7 luglio, si rassegna a mettere fine alla spedizione e a tornare in Francia via Mauritius. Il Géographe vi arriva il 7 agosto, seguito il 12 dalla Casuarina, da cui era stato separato per l'ennesima volta da una tempesta. Il 16 settembre Baudin muore e viene sepolto con gli onori dovuti al suo rango, ma poco rimpianto dai suoi uomini. La Casuarina viene disarmata e venduta; uomini, attrezzature e raccolte vengono trasferite sul Géographe, che affronta l'ultimo tratto di viaggio sotto il comando di Pierre Bernard Milius. Nel maggio 1802 il secondo di Hamelin era stato lasciato malato a Port Jackson. Prima dell'arrivo del Géographe e del ritorno del Naturaliste, si era imbarcato per Canton e da qui nel febbraio 1803 aveva raggiunto l'Ile de France. Tra gli ufficiali della spedizione, è il più anziano, per questo viene preferito (con grande disappunto di quest'ultimo) al secondo di Baudin, Henri de Freycinet. Con un grande carico di collezioni portate da Timor e dalla Nuova Olanda o procurate in loco, il Géographe lascia il porto di Saint Louis il 16 dicembre, per terminare il suo viaggio a Lorient il 25 marzo 1804. Altre piante vengono aggiunte durante lo scalo al Capo di Buona Speranza. ![]() Bilancio: disastro o successo? Il disastro umano, con la morte del comandante, di metà dei membri dell'équipe scientifica e di un decimo dell'equipaggio (una percentuale per altro non inconsueta nei viaggi oceanici dell'epoca) ha finito per eclissare i risultati geografici e scientifici della spedizione, che furono notevolissimi ma rimasero poco noti perché molto parzialmente pubblicati. Lo scopo principale della missione, rilevare le coste sud, ovest e nord dell'Australia, visitando le aree ancora ignote e rettificando le carte, era stato raggiunto almeno per la costa est della Tasmania, la costa ovest e ampi tratti della costa meridionale dell'Australia. A sancire questi risultati, la pubblicazione nel 1811 della cosiddetta "carta di Freycinet", inclusa nella seconda parte dell'Atlante storico che accompagna la relazione ufficiale del viaggio, scritta da Péron e Louis de Freycinet. Tuttavia, la spedizione di Baudin si intrecciò con quella di Flinders, con uno strascico di polemiche sulla priorità delle scoperte tra francesi e britannici che oscurò in parte anche questo successo. Per le scienze naturali, i contributi maggiori riguardano la zoologia e l'antropologia, e si devono alla stessa persona, François Péron. Con la defezione di Bory de Saint Vincent e Dumont e la morte di Levillain e Maugé, questo giovane allievo di Cuvier (aggregato alla spedizione soprattutto per le ricerche antropologiche), divenuto il solo zoologo della spedizione, dovette estendere il suo campo d'indagine alla biologia marina (il suo settore d'elezione), alle osservazioni metereologiche e all'intera fauna, Era un vero personaggio romantico (basti pensare che si era imbarcato in seguito a una delusione amorosa), con un carattere focoso e appassionato, ambizioso e ribelle che, spinto dal suo zelo di conoscenza, spesso si trovò in conflitto con Baudin. Preso dalla foga dell'esplorazione, tendeva a trascurare ogni prudenza e ad allontanarsi rischiando di perdersi e di ritornare ormai esausto e sulla soglia della disidratazione. Una di queste imprese (che ebbe come teatro la penisola della Shark Bay che oggi porta il suo nome e ospita il François Péron National Park) portò all'esasperazione il capitano Baudin che il 19 marzo 1803 scrisse sul giornale di bordo: "E' la terza scappata di questa natura che combina il nostro colto naturalista, ma sarà anche l'ultima, perché non gli permetterò più di scendere a terra, a meno che io stesso sia sulla stessa barca". Con l'aiuto dei disegnatori Lesueur e Petit, Péron mise insieme una collezione di 100.000 esemplari di 4000 specie diverse di cui 2500 nuove per la scienza. Impegnato nella stesura della relazione ufficiale della spedizione e morto pochi anni dopo il ritorno in Francia (durante la spedizione anche lui si era ammalato di tubercolosi), non poté catalogare e pubblicare le sue raccolte, che tuttavia diedero un contributo fondamentale alla conoscenza della fauna australiana, di cui poterono usufruire Lamarck e gli autori del Nouveau Dictionnaire d'Histoire Naturelle. Molto importanti anche le sue osservazioni antropologiche, soprattutto sui popoli aborigeni della Tasmania, che di lì a pochi anni sarebbero stati quasi totalmente sterminati dalle malattie e da una guerra genocida. Di fronte all'immensità delle collezioni del prorompente zoologo, quelle botaniche sembrano passare in secondo piano; anch'esse non furono pubblicate né dell'unico botanico sopravvissuto, Jean-Baptiste Leschenault de La Tour (tornato in Francia solo nel 1807) né da La Billardière, cui furono affidate come esperto di flora australiana. In realtà, erano di notevole importanza e hanno lasciato una traccia tangibile nel paesaggio francese (e non solo). Secondo Antoine Laurent de Jussieu, l'erbario messo insieme da Riedlé, Sautier, Guichenot e Leschenault conteneva non meno di 1500 specie, in numerosi esemplari, preparati e conservati in modo eccellente. Come abbiamo visto, Riedlé morì durante il primo scalo a Timor e Sautier ebbe la stessa sorte durante la navigazione verso la Tasmania; così tutto il lavoro botanico ricadde sui due più giovani e inesperti, Guichenot sul Géographe e Leschenault sul Naturaliste. Si deve certamente a loro il grosso delle raccolte botaniche che riempivano le stive e il ponte del Naturaliste nel suo viaggio di ritorno e, secondo una testimonianza dell'epoca ammontavano, a più di mille pacchi di semi e cinquantacinque casse di piante; c'erano inoltre 3.560 esemplari d'erbario, raccolti da Riedlé, Leschenault e Maugé, ben impacchettati in 14 casse. Ancora maggiori le raccolte della seconda parte della spedizione, in cui i due poterono lavorare fianco a fianco; contando anche gli esemplari caricati all'Ile de France e al Capo di Buona Speranza, si trattava di 63 casse o mezzi barili con più di mille piante vive, cui vanno aggiunte due casse di semi e cinque casse di esemplari d'erbario. Durante il lunghissimo viaggio verso l'Europa, ovviamente le piante vive ebbero molto a soffrire. Thouin, che visitò il Naturaliste poco dopo l'arrivo della nave a Le Havre, dovette tristemente constatare che su circa 800 individui raccolti tra Timor e la Nuova Olanda, forse venti davano ancora segni di vita, e non più di 12 o 15 sembravano in buona salute; tutti gli altri erano morti per mancanza d'acqua o erano stati distrutti dai ratti che infestavano la nave. Un inventario redatto qualche mese dopo, cita tra le piante sopravvissute qualche albero da frutto cinese imbarcato all'Ile de France e sette piedi di Phormium tenax. Alcuni semi contenuti nelle balle di terra, fatte prudentemente trasportare al Museum, germinarono: erano graminacee e alcune specie dei generi Opercularia, Mimosa, Casuarina. Ventenat, nel suo splendido catalogo del giardino della Malmaison (cui, secondo le disposizioni di Napoleone, era destinato il meglio delle raccolte), cita espressamente quattro piante nate da semi trasportati dal Naturaliste: quella con cui volle incensare la neo-imperatrice Josephinia imperatricis (oggi Sesamum imperatricis), Apium prostratum, Hibiscus heterophyllus e Callistachys lanceolata. Il ricco carico del Géographe, che, anziché essere lasciato a se stesso, poté godere delle cure di Guichenot, ebbe sorte migliore, ma molte piante morirono per il freddo e le piogge incessanti in cui la nave incappò alla latitudine di Bordeaux. Ne sopravvissero circa 230; 98 tra le specie più sane furono scelte da Mirbel, il sovrintendente della Mailmaison, per le serre dell'imperatrice. Alcune furono poi moltiplicate per essere acclimatate nella Francia meridionale, soprattutto a Tolone e Nizza. Tra queste ultime, varie specie dei generi Ecalyptus, Melaleuca, Metrosideros, Leptospermum, Acacia, tra cui la più nota di tutte, A. dealbata, ovvero la mimosa, che fiorì per la prima volta alla Malmaison nel 1811. Dunque, da molti punti di vista, un successo. Ma non quello che Napoleone avrebbe voluto: la gloria di aver mappato per primi le coste australiane era venuta meno e c'erano troppi morti e troppi errori da occultare. Farlo era semplice: attribuire tutto il buono a ufficiali, cartografi e scienziati, tutto il cattivo al capitano Baudin. Che essendo morto, non poteva difendersi. Un aneddoto vuole che, al rientro della spedizione, Napoleone abbia esclamato: "Baudin ha fatto bene a morire. Altrimenti l'avrei fatto fucilare". E' certamente apocrifo, ma rende bene l'idea. I primi a spargere maldicenze sul capitano erano stati ovviamente alcuni dei transfughi di Mauritius, desiderosi di attribuire la responsabilità della loro defezione a Baudin, raffigurato come incompetente, tirannico, vendicativo, nonché corrotto. Il colpo di grazia gli fu inferto dal resoconto ufficiale,Voyage de découvertes aux terres australes: exécuté par ordre de Sa Majesté l'empereur et roi, sur les corvettes le Géographe, le Naturaliste, et la goëlette le Casuarina, pendent les années 1800, 1801, 1802, 1803 et 1804, scritto da François Péron e completato da Louis de Freycinet. Come si vede fin dal titolo, Baudin è sparito. Infatti Péron evita di nominarlo se non in modo indiretto (notre commandant) e non esita a denigrarlo, spesso alterando i fatti; inoltre, per compiacere Napoleone, spesso e volentieri attribuisce nomi francesi a luoghi già scoperti dagli inglesi: così la costa sud-est dell'Australia diventa Terre Napoléon; in seguito alle proteste inglesi, queste denominazioni verranno cancellate nell'edizione definitiva del 1815, curata da Freycinet. Se le radici dell'astio dell'aristocratico Freycinet, che insieme al fratello maggiore più volte si era scontrato con Baudin, sono chiare, perché Péron si prestò? Alcuni parlano di vecchie ruggini, altri di ambizione, ma forse la spiegazione più convincente è che capitano e zoologo non potevano intendersi perché incarnavano due modi di concepire il sapere: Baudin (e i suoi raccoglitori Levillain, Maugé e Riedlé) quello dell'enciclopedismo settecentesco, Péron (e in qualche senso Leschenault) quello della specializzazione dei saperi. Purtroppo per Baudin, l'operazione riuscì perfettamente e la sua spedizione fu nota al mondo attraverso il resoconto alterato di Péron e Freycinet. Solo in tempi recenti, la pubblicazione dei diari di bordo, il confronto tra le testimonianze e le ricerche di archivio hanno cominciato a rendergli giustizia. Determinante è stata anche la mostra The Art of Science: Baudin’s Voyages 1800–1804, a cura del National Museum of Australia (30 marzo-24 giugno 2018), con molti materiali prestati dal Muséum d’histoire naturelle di Le Havre, tra cui i disegni e le splendide tavole di Lesueur per l'Atlas che accompagnava il resoconto ufficiale. Di notevole interesse anche il sito The Baudin Legacy project, a cura dell'Università di Sidney. ![]() Epilogo: omaggi botanici La spedizione ha lasciato una notevole traccia nella nomenclatura botanica; tra i suoi membri, almeno una dozzina sono stati onorati dalla dedica di un genere botanico, anche se alcuni di loro lo hanno guadagnato in circostanze precedenti o successive. E' il caso ovviamente di André Michaux, che da tempo si era conquistato questo alloro con i suoi viaggi in Oriente e in America. Meriti successivi lo assicureranno agli altri transfughi di Mauritius Jean-Baptiste Bory de St Vincent e Jacques Delisse, che meritano un post a parte, così come Louis de Freycinet e Jean-Baptiste Leschenault de La Tour, per i quali il Viaggio nelle terre australi fu il preludio ad altre avventure. Generi oggi ridotti a sinonimi sono toccati sia a Baudin (ne ho già parlato qui) sia al comandante del Naturaliste Jacques Félix Hamelin des Essarts; ma forse quest'ultimo deve il genere Hamelinia (Asteliaceae, sinonimo di Astelia), dedicatogli nel 1832 da Achille Richard, soprattutto alle sue successive imprese militari, grazie alle quali divenne barone dell'impero; come eroe delle guerre napoleoniche, il suo nome figura sull'Arc de Triomphe, il solo di un ufficiale navale. Allo stesso modo, non fu solo la solerzia con cui trasportò in un porto francese le piante e gli animali della spedizione Baudin ad aver fatto guadagnare il genere Miliusa all'ultimo comandante del Géographe Pierre Bernard Milius (1773-1829). Egli fece infatti una notevole carriera amministrativa. Dal 1818 al 1821 fu governatore della Réunion (all'epoca ancora Ile Bourbon), dove intraprese molte iniziative come la costruzione di un canale e di strutture portuali e la fondazione del Collège Royal de Borbon e della Société philotechnique de Bourbon. Interessato alle arti e alle scienze, incoraggiò l'esplorazione botanica di Nicolas Bréon, il fondatore e primo direttore del Jardin du Roi dell'isola; in contatto epistolare con Leschenault de La Tour, che all'epoca si trovava in India, favorì e incoraggiò in ogni modo l'importazione di piante indiane a Bourbon. Al suo ritorno in Francia, portò con sé una pianta allora rara originaria del Madagascar, e ne donò tre esemplari all'orto botanico di Bordeaux, sua città natale. Si tratta dell'oggi notissima "spina di Cristo", ovvero Euphorbia milii, che lo celebra nell'epiteto (in cui il suo cognome francese è curiosamente declinato come se fosse una parola latina). Tra il 1823 e il 1825 fu governatore della Guaiana. Nel 1827, al comando del Scipion, si segnalò alla battaglia di Navarino, Il genere Miliusa gli fu dedicato a Alphonse de Candolle sulla base di un esemplare raccolto in India da Leschenault. Appartenente alla famiglia Annonaceae, comprende una sessantina di specie di alberi o arbusti eretti diffusi tra l'Asia tropicale e subtropicale e l'Australia settentrionale, con centri di diversità in India e in Tailandia. Diverse specie sono utilizzate nella medicina tradizionale: ad esempio M. balansae per le gastropatie, M. velutina come tonico e afrodisiaco, M. thorelii come analgesico. Veniamo ora ai naturalisti. A François Péron sono stati dedicati due generi Peronia, nessuno dei quali oggi accettato. Nel 1811, quindi poco dopo la sua morte, Delaroche, autore dei testi del celebre volume di Redouté Les liliacées, gli dedicò Peronia stricta, che era fiorita proprio quell'anno per la prima volta al Museum national da semi di origine ignota venuti dall'Inghilterra; la pianta fu poi identificato come Thalia dealbata. Nel 1832 volle ricordarlo anche Robert Brown, che era diventato buon amico di Péron e Leschenault durante lo scalo a Port Jackson; Peronia R.Br. è oggi sinonimo di Sarcosperma. Sono stati giustamente onorati tutti e tre i giardinieri che rimasero con Baudin, a cominciare dal capo giardiniere Anselme Riedlé (1765–1801); allievo di Thouin formato al Jardin des Plantes, aveva già preso parte alla spedizione della Belle Angélique. conquistandosi l'amicizia e la stima di Baudin. Durante la spedizione fu attivissimo, facendo raccolte sia a Tenerife sia negli scali lungo la costa occidentale dell'Australia, dove raccolse semi, esemplari d'erbario e piante vive. In questa fase, fu un maestro e un punto di riferimento non solo per i suoi due aiutanti, ma per lo stesso Leschenault che in precedenza non aveva quasi esperienza di raccolte sul campo. Purtroppo fu vittima della dissenteria che colpì la spedizione a Timor; fu sepolto con tutti gli onori nel cimitero di Kupang accanto alla tomba in cui riposava David Nelson, il botanico dello sventurato viaggio del Bounty. Baudin disegnò personalmente la sua tomba, ma non poté presenziare alle esequie, essendo a sua volta malato. Anche a lui furono dedicati due generi Riedlea oggi non riconosciuti: nel 1802 da Mirbel (sinonimo di Onoclea) e nel 1807 da Ventenat (sinonimo di Melochia). Ammalatosi anche lui a Timor come il suo capo, ben presto ne seguì la sorte l'assistente giardiniere Antoine Sautier (ca. 1771-1801); nato a Parigi, probabilmente lavorava anche lui al Museum e aveva 29 anni al momento della partenza. Decaisne, che nel 1834 gli dedicò Sautiera, oggi sinonimo di Dyscoriste, lo ricorda per "lo zelo, con il quale arricchì il Museo di un gran numero di oggetti nuovi". L'unico genere valido è toccato al solo sopravvissuto, il "garzone giardiniere" Antoine Guichenot (1783-1867). Figlio di un militare che prestava servizio alla Menagerie del Jardin des Plants e della responsabile delle sementi, era praticamente nato del giardino, ma al momento dell'ingaggio non aveva pressoché esperienza di erborizzazioni sul campo. Era quasi illetterato (le sue note d'erbario sono scritte con un'immaginifica ortografia fonetica), ma era un lavoratore instancabile e un grande osservatore, tanto che le sue note sono spesso più dettagliate di quelle dello stesso Leschenault. Va certamente a lui gran parte del merito della raccolta (per non parlare della conservazione in vita) delle piante vive del Géographe. Baudin, che ne apprezzava la dedizione e lo zelo, gli dedicò Guichenault Point, un promontorio della penisola Péron nella Shark Bay. Dopo il ritorno a Parigi, Guichenot tornò a lavorare come giardiniere al Museum; poco sappiamo sulla sua vita, eccetto alcuni aneddoti raccolti in un articolo comparso nel 1861 sul Bulletin de la Societé imperiale zoologique d'acclimatation. Dopo aver informato i lettori che all'epoca Guichenot si era stabilito a Couets nei pressi di Nantes, l'autore M. Pépin riferisce che, benché si trovasse in una situazione difficile, in seguito alla morte del padre e di due fratelli, lo scrupoloso giardiniere resistette "alle offerte più seducenti" rifiutando di vendere sottobanco i semi di una Banksia per cui un botanico inglese gli offriva 25 franchi il pezzo nonché una rara conchiglia di cui aveva raccolto numerosi esemplari. Nel 1814 fu decorato con l'ordine del giglio. Forse fu il padre dello zoologo del Museum Alphonse Antoine Guichenot, che risulta figlio di un giardiniere della stessa istituzione. E' invece infondata e dovuta alla confusione con Gaudichault, il botanico della spedizione, la notizia che abbia preso parte al viaggio dell'Uranie al comando di Freycinet. La dedica del genere Guichenotia da parte di Jacques Étienne Gay (1821) appare quanto mai azzeccata e opportuna. Si tratta infatti di un genere australiano, di cui il giovane giardiniere, insieme a Riedlé e Leschenault, raccolse la prima specie conosciuta, G. ledifolia, nel 1801 durante il primo passaggio della spedizione a Shark Bay. Oggi assegnato alla famiglia Malvaceae (in precedenza Sterculiaceae), è affine ai generi Thomasia, Lysiosepalum e Lasiopetalum, comprende 16-17 specie di arbusti endemici dell'Australia occidentali. Adattati all'estrema aridità di questa regione, hanno foglie lineari e coriacee e graziosi fiori a campanella. Quelli di G. macrantha, la specie più nota e coltivata, negli Stati Uniti sono commercializzati come Aussie Bells, "campanelle australiane". Per accattivarsi il favore di sovrani, uomini politici e potenti, da cui dipendevano finanziamenti e incarichi prestigiosi, i botanici sono stati prodighi di dediche di generi, spesso scelti tra i più vistosi. Non fa eccezione neppure Napoleone, che anzi ha collezionato ben tre dediche. Ad aprire la lista sono gli spagnoli Ruiz e Pavón che già nel 1802 intitolano all'allora primo Console Bonapartea. Niente di strano: i due non andavano tanto per il sottile con le dediche, e le elargirono generosamente ai potenti di turno, adattandosi di volta alla linea politica del momento; all'epoca, la monarchia spagnola era alleata con la Francia e si trattava di ingraziarsi, più ancora che lo stesso Napoleone, il ministro filofrancese Godoy (lui stesso dedicatario di Godoya). Nel 1804, l'anno in cui Bonaparte si autoincorona imperatore, arriva un omaggio ben più sorprendente: il botanico Palisot de Beauvois, un nobile vittima della rivoluzione, battezza pomposamente Napoleonaea imperialis un singolare alberello da lui scoperto in Africa. Il personaggio è tale che la dedica non può essere liquidata come plateale adulazione, e vale la pena di approfondire. Non stupisce (tranne che nel nome) che lo stesso anno Ventenat, che al momento era nel libro paga di S. M. l'Impératrice, abbia voluto metterci anche del suo con Calomeria. E poi, tutto sommato, i meriti di Napoleone agli occhi degli scienziati, inclusi i botanici, non erano pochi. ![]() Un'adulazione smaccata? Il due dicembre 1804, con un gesto clamoroso, Napoleone Bonaparte incoronò se stesso Imperatore dei francesi. Culminava così un lungo processo, iniziato il 18 maggio, quando il Senato aveva mutato la costituzione trasformando la Repubblica in impero ereditario; immediatamente dopo la decisione era stata sancita dal plebiscito i cui risultati furono proclamati il 6 novembre: risultati ovviamente... plebiscitari, con 99,76% di voti favorevoli e solo 2569 contrari. In mezzo a queste date, il botanico Ambroise Marie François Joseph Palisot de Beauvois allestì la sua personale corona per Napoleone: una corona di petali (o almeno luio credeva così), quelli di una pianta che aveva raccolto in Africa. Dopo averla preannunciata in una seduta dell'Institut de France di ottobre, pubblicò scoperta e dedica verso la fine di dicembre, a incoronazione avvenuta, nell'opuscolo Napoléone impériale: Napoleonaea imperialis. E' una esplicita scelta di campo, dal significato eminentemente politico; il sottotitolo "Primo genere di un nuovo ordine di piante: le Napoleonée" non lascia dubbi. Napoleonaea inaugura una nuova famiglia di piante, esattamente come Napoleone inaugura un regime senza precedenti e una nuova dinastia: "Per essere un re si devono ereditare vecchie idee e genealogie. Io non voglio discendere da alcuno." Come dobbiamo leggere la plateale dedica di Palisot de Beauvois? E' la più smaccata delle adulazioni? O l'espressione di un entusiasmo reale, del resto condiviso - al netto della propaganda e della repressione - da una grande maggioranza di francesi? Certo non possiamo escludere l'interesse. All'epoca Palisot de Beauvois versava in una situazione economica molto difficile. Un tempo ricco possidente terriero, era stato rovinato dalla rivoluzione, da un amministratore incapace (o piuttosto interessato e disonesto) e da un divorzio; tornato in Francia dopo una serie di viaggi avventurosi e un lungo esilio, aveva in programma di pubblicare degnamente le sue scoperte in una serie di opere illustrate, corpose e costose: la sua Flore d'Oware et de Benin incominciò ad uscire proprio nel 1804; l'anno successivo seguì il primo volume di Insectes recueillis en Afrique et en Amérique. Cerro sperava anche che l'appoggio di Napoleone e dei suoi corifei scientifici gli garantisse l'ammissione come membro effettivo (con tanto di stipendio) dell'Institut de France (che aveva incorporato l'Accademia delle scienze), di cui era da tempo membro corrispondente. Eppure, a leggere le biografie e le testimonianze su Palisot de Beauvois, il tipo di cortigiano leccapiedi non sembra calzargli affatto (al contrario di tanti anche più famosi colleghi, a cominciare da Laplace). Nobile, durante la rivoluzione si era trovato proscritto e privato di tutti i suoi beni ed aveva potuto rientrare in Francia solo alla fine del 1798, quando il suo nome era stato cancellato dalle liste degli emigrati (un provvedimento che anticipa l'amnistia generale concessa da Napoleone primo console nel 1802). Di Napoleone certamente apprezzava la politica di conciliazione nazionale, ma anche di ritorno all'ordine dopo gli eccessi rivoluzionari. Feroce difensore dello schiavismo, che per le proprie posizioni aveva rischiato di essere messo a morte durante la rivolta di Haiti, gradiva particolarmente che egli avesse ristabilito la schiavitù nelle colonie, a suo parere follemente abolita dai rivoluzionari. Dunque, la dedica riflette probabilmente l'adesione al progetto politico di Napoleone, che rimarrà costante e sincera anche in tempi difficili, come conferma un fatto inequivocabile: nel 1815, durante i Cento giorni, il traballante Napoleone si fidava tanto della sua fedeltà che lo nominò consigliere per l'Università. ![]() Napoleone e la scienza Oltre a considerazioni di ordine più generale, avrà pesato anche la politica culturale del nuovo imperatore che aveva fatto della scienza un importante tassello della sua propaganda e aveva valorizzato il ruolo politico e sociale degli scienziati, tanto che Eric Sartori ha definito quello napoleonico "l'impero delle scienze". Lo era, secondo lo studioso francese, da tre punti di vista: il dominio scientifico a livello europeo; la formazione e la passione scientifica dell'imperatore stesso; il ruolo politico assegnato all'élite scientifica. Quanto al dominio scientifico, la Parigi napoleonica è indubitabilmente la capitale della scienza: Laplace rivoluziona l'astronomia, i vari Berthollet, Fourcroy, Gay-Lussac portano avanti la rivoluzione della chimica inaugurata da Lavoisier, l'abate Haüy studia la struttura dei cristalli, Daubenton e Lacépède proseguono l'opera di Buffon, Fourier fa avanzare l'analisi matematica, Cuvier getta le basi della paleontologia, Lamarck e Saint-Hilaire preparano l'evoluzionismo. Parlando poi di Bonaparte, l'interesse per la scienza è una costante della sua vita, da quando ragazzo era considerato il migliore matematico della scuola militare fino all'esilio di Sant'Elena, quando riempiva le giornate leggendo la Storia naturale di Buffon, il trattato di astronomia di Delambre o il corso di chimica di Fourcroy (gli ultimi due, per altro, pubblicati grazie a lui). Veniamo al terzo punto, anche se nel breve spazio di un post dovremo limitarci a qualche cenno. Già durante la Campagna d'Italia Napoleone intraprende una vera propria opera di seduzione verso gli scienziati, chiamati a sostituire le vecchie classi dirigenti e a formare una nuova élite fondata non sul sangue e sul privilegio, ma sul talento e il sapere. A Milano, frequenta artisti, letterati e scienziati, invita alle propria tavola Volta e Spallanzani, incoraggia gli scienziati ad assumere un nuovo ruolo sociale: "A Milano gli scienziati non godono della considerazione che spetterebbe loro. Ritirati nel fondo dei loro laboratori, si ritengono fortunati se i re e i preti si limitano a non offenderli. Ma oggi non è più così: in Italia il pensiero ora è libero. Non ci sono più né Inquisizione, né intolleranza, né despoti. Invito gli studiosi a riunirsi e ad espormi le loro idee sui mezzi da adottare, o sui bisogni che emergeranno, per dare alle scienze e alle arti una nuova vita e una nuova esistenza. Tutti quelli che vorranno venire in Francia saranno accolti con distinzione dal governo. Il popolo francese valuta molto di più l'acquisizione di un matematico [...] che la conquista della città più ricca e più popolosa". Ovviamente questi proclami democratici fanno da paravento alla spogliazione del patrimonio culturale italiano; in nome della fratellanza e della libertà, a prendere la via di Parigi non sono solo quadri e statue, ma anche biblioteche intere, collezioni scientifiche, erbari e piante vive (attese con trepidazione da sua moglie Joséphine, grande appassionata di piante e giardini). Tra i "commissari governativi" che dirigono la spogliazione ci sono il grande matematico Monge (uno degli insegnanti di Napoleone alla scuola militare) e il chimico Berthollet; entrambi si legano a Bonaparte e nel 1797 ne propongono la candidatura all'Institut de France per la sezione meccanica. L'elezione del brillante generale, che non ha scritto una riga né di meccanica né di altre scienze al contrario dei candidati sconfitti, è tutta politica, primo atto della sua alleanza con l'establishment scientifico. Il secondo atto è la spedizione in Egitto (1798-1801); insieme ai soldati, ci sono 167 savants: disegnatori, architetti, ingegneri, geometri, cartografi, astronomi, chimici, mineralogisti, zoologi e botanici; divisi nelle quattro sezioni di matematica, fisica, economia politica, letteratura e arti, devono studiare e descrivere ogni aspetto dell'Egitto del passato e del presente: la geografia, la flora, la fauna, le risorse minerarie, l'arte, la società. A reclutarli a stato proprio Monge - assistito ancora da Berthollet e dal matematico Fourier - che li ha contattati e convinti in segreto (la missione era coperta dal segreto militare). In genere sono molto preparati, giovani, di salute robusta, ma una ventina di loro perirà durante la missione. Tralasciando gli altri settori, soffermiamoci sulle scienze naturali. Il compito dei naturalisti è redigere un catalogo completo della fauna e la flora del paese; per assolverlo lo zoologo Geoffroy de Saint Hilaire, affiancato dal pittore Henri-Joseph Redouté (fratello del più celebre Pierre-Joseph) e il botanico Alire Raffeneau-Delile intraprendono molte spedizioni, a volte lunghe e faticose, nell'alto e nel basso Egitto. Raffeneau-Delile descrive il loto e il papiro e crea un orto botanico al Cairo; un altro attivo raccoglitore è Ernest Coquebert de Montbret, che la ha sfortuna di morire ventunenne di peste il 7 aprile 1801, lo stesso giorno in cui la Commissione delle scienze e dell'arti si imbarca alla volta dell'Europa. Nel febbraio 1802 un decreto di Napoleone ormai primo console ordinerà la pubblicazione dei risultati a spese delle stato, ma a beneficio degli autori: è l'inizio della grandiosa Description de l'Egypte, che coinvolgerà 160 savants, 2000 artisti tra cui 400 incisori, si protrarrà per oltre vent'anni e comporterà nella prima edizione 19 volumi, 37 nella seconda. Ma abbiamo anticipato gli eventi. Come è noto, Bonaparte parte per Parigi nell'agosto del 1799 (insieme a lui, viaggia l'ormai inseparabile Monge); il 18 brumaio (ovvero il 9 novembre) con un colpo di stato rovescia il Direttorio e si impadronisce del potere. Per legittimare il quale, ha cura di circondarsi di scienziati e di chiamarli alle più alte responsabilità: diversi di loro, tra cui Lagrange, sono nominati senatori; Laplace diviene addirittura ministro dell'interno: grande matematico e fisico, ma amministratore incapace, sarà allontanato dopo appena sei settimane; Fourier è prefetto dell'Isère; Monge senatore, presidente dell'Institut d'Egypte e direttore dell'école polytechnique. Come si vede, tra questi notabili non c'è nessun botanico; cultore della matematica e delle "scienze dure", Napoleone non ha una gran considerazione della scienza della piante; in famiglia, la botanica era sua moglie Joséphine, come ci ricorda un aneddoto spesso ripetuto. Nel 1804, quando Humboldt ritornò dal suo grande viaggio in America latina, il neoimperatore lo ricevette e gli domandò, in tono quasi di disprezzo: "Dunque vi interessate di botanica? Anche mia moglie si occupa di piante". Forse nuoce ai botanici del Jardin des plantes (ora Muséum national d'histoire naturelle) anche il loro passato giacobino. E' vero che Antoine-Laurent de Jussieu ne mantiene la direzione che esercita fin dai tempi della Convenzione e nel 1804 è nominato professore di botanica alla facoltà di medicina e presidente della I sezione dell'Institut national, ma non riceverà mai gli onori che toccano ai colleghi fisici, chimici e matematici. Tra i naturalisti, l'uomo di Napoleone è Cuvier, segretario perpetuo dell'Institut e presidente della commissione che deve riformare l'università. Un merito di Bonaparte agli occhi dei botanici sarà stato se non altro aver finanziato la spedizione Baudin (1800-1803), quando era ancora primo console. Diretta verso le "coste della Nuova Olanda", ovvero l'Australia, aveva obiettivi geografici e cartografici, ma anche naturalistici, come ci ricordano i nomi delle due navi della spedizione, Géographe e Naturaliste. A bordo ci sono 24 tra artisti e scienziati, compresi molti membri dell'Institut de France, e cinque giardinieri, incaricati di occuparsi delle piante vive; tra i botanici, l'ormai anziano André Michaux, che però abbandona l'impresa per dissensi con il comandante Baudin, e Jean-Baptiste Leschenault de la Tour. Nonostante tante vicissitudini, compresa la morte del comandante, il successo scientifico della spedizione è straordinario: 200.000 esemplari di animali e piante vanno ad arricchire le collezioni del Muséum national e del Jardin des plantes. Piante e animali vivi raggiungono invece i giardini della Malmaison; e nelle sue serre fioriscono per la prima volta molte piante ora a tutti familiari, come Acacia dealbata, ovvero quella che siamo abituati a chiamare "mimosa". Per quanto tiepidamente interessato alla botanica, che delegava volentieri alla botanofila Joséphine, questi risultati avranno fatto piacere anche al quasi imperatore, cui non sfuggiva l'importanza dell'introduzione di nuove specie per il progresso dell'agricoltura, che considerava invece "l'anima, la base prima dell'Impero". Questo interesse pratico gli poteva derivare dall'esempio del padre, Carlo Bonaparte, che, convinto esponente della scuola fisiocratica, aveva iniziato a bonificare la tenuta delle Saline, dove aveva creato un vivaio con alberi da frutto e piante esotiche. Nel 1800, ancora all'epoca del consolato, Napoleone fece creare ad Ajaccio il primo orto botanico della Corsica, il Jardin d'Expériences. Inaugurato il 12 giugno 1801, si trovava nel recinto dell'ex convento di San Francesco, trasformato in ospedale militare, aveva una superficie di circa 6.000 metri quadri e godeva di un clima favorevole che permise l'acclimazione di piante esotiche, tra cui il tabacco. Nel 1807 con un decreto imperiale passò direttamente sotto l'amministrazione del Muséum di Parigi, ma solo nel 1812 fu dotato di finanziamenti e fu costruita una serra. Anche in seguito ebbe vita grama, con la morte per febbre perniciosa di almeno due giardinieri. Durante gli anni napoleonici, le società agricole, abolite ai tempi del Terrore, rifiorirono e si moltiplicarono. Prima la perdita delle colonie, poi le difficoltà dei commerci a lunga distanza causati dall'interminabile ciclo di guerre, infine il blocco continentale resero ancora più urgente l'acclimazione di piante esotiche anche nel territorio metropolitano o la ricerca di loro succedanei. L'esempio più noto è quello della coltivazione della barbabietola da zucchero; il metodo di estrazione fu messo a punto da un altro botanico, Benjamin Delassert. Nominato barone da un grato Napoleone, andò aggiungersi alla piccola schiera di scienziati di primo piano entrati a far parte della nobiltà dell'Impero (che, però, non dimentichiamolo, era formata per quasi il settanta per cento da militari). Per un alto numero di scienziati, però, c'erano incarichi pubblici ben rimunerati, posti di insegnamento nelle scuole secondarie (dove le scienze divennero materia obbligatoria) e all'università, premi in denaro, donazioni e vitalizi come quelli assegnati a Volta, la possibilità di pubblicare a spese dello stato, le sovvenzioni per le ricerche e le innovazioni tecniche, prime fra tutte quelle che potevano essere utili all'esercito, come il telegrafo ottico inventato da Claude Chappe. ![]() Le dediche botaniche a Napoleone Palisot de Beauvois era stato anticipato di due anni dagli spagnoli Ruiz e Pavón che nel 1802 dedicarono al primo Console Bonapartea sulla base di una specie da loro raccolta in Perù. Erano abituati a offrire con disinvoltura le loro piante all'uomo politico di turno, e la dedica a Napoleone, intesa a ingraziarsi forse ancor più di lui il filofrancese Godoy, da poco ritornato al potere, è un capolavoro di servilismo e adulazione: "Genere dedicato a Napoleone Bonaparte, rifondatore della ricostituita repubblica francese, primo console, comandante sempre invitto, patrono della botanica, di tutte le scienze fruttuose e delle arti, difensore della religione, ripristinatore della pace in tutto il globo, uomo immortale, che rimarrà nella memoria degli uomini famosissimo per le sue gesta". E' quasi una consolazione sapere che il genere non è valido (è un sinonimo diTillandsia), mentre lo è il bel Lapageria, che i due botanici iberici dedicarono contestualmente "all'eccellente Joséphine de La Pagerie, degnissima sposa di Napoleone Bonaparte, egregia fautrice della botanica e delle scienze naturali". Senza esprimersi in termini così smaccati, Palisot de Beauvois è non meno celebrativo. Per omaggiare il neoimperatore sceglie una pianta i cui vistosi fiori a coccarda ostentano un triplice giro di petali (più probabilmente staminoidi), che li fanno assomigliare a una corona. Non meno importante è il convincimento - confermato da Antoine-Laurent de Jussieu, amico di una vita - che la Napoleonaea non appartenga ad alcuna famiglia nota, anzi inauguri una famiglia propria. In effetti, la famiglia Napoleonaeaceae è stata a lungo accettata dai botanici, per essere poi assorbita nelle Lecythidaceae. Oggi al genere sono assegnate diciassette specie, tutte originarie dell'Africa tropicale occidentale e centrale intorno al golfo di Guinea; quelle più note sono N. imperialis e N. vogelii. Il primo è un alberello alto circa 6 metri, il secondo un albero di dimensioni maggiori; entrambi sono sempreverdi, con grandi foglie alternate obovate, e curiosi fiori che nascono sui rami maturi o direttamente sul tronco. Hanno una struttura molto complessa, che ha fatto parecchio discutere i botanici. Oltre che a una corona, possono essere paragonati a una coccarda, con due giri esterni di elementi simili a petali disposti orizzontalmente e un giro interno di venti stami e staminoidi eretti. Per alcuni botanici, anche recenti, si tratta di una vera corolla e gli elementi esterni sono petali; per altri è un fiore apetalo e si tratta di staminoidi, una tesi confortata dai dati molecolari e dal confronto con le strutture fiorali delle Lecythidaceae. In ogni, caso una struttura peculiare ed affascinante, nonché discussa e discutibile, come lo stesso Napoleone. Che lo stesso anno ricevette una seconda dedica vegetale dal botanico Etienne Pierre Ventanat, che in quel momento, per incarico di Joséphine, stava redigendo il catalogo delle collezioni del giardino della Mailmaison, una splendida opera in due volumi, con le illustrazioni di Pierre-Joseph Redouté. E fu proprio su richiesta della sua patrona che creò un terzo genere in onore dell'ormai imperatore, come racconta egli stesso: "Sua Maestà l'Imperatrice dei francesi, essendosi resa conto che la pianta di cui ho appena presentato la descrizione appartiene a un genere nuovo, ha voluto indicarmi il nome che dovevo dargli. I signori Ruiz e Pavón hanno già consacrato quello di Bonapartea nella Flora del Perù, e il signor Palissot-Beauvois quello di Napoleonaea in Flora d'Oware e del Benin; ho fatto così ricorso alla lingua greca, che ha fornito ai botanici un gran numero di denominazioni tanto espressive quanto armoniose, per obbedire al desiderio di Sua Maestà l'Imperatrice e dare a Sua Maestà l'Imperatore una modesta prova della riconoscenza che gli devono tutti coloro che coltivano le arti e le scienze". Come tutti i francesi, anche Ventenat è appena passato da cittadino a suddito, e si comporta di conseguenza. La pianta in questione è Calomeria amaranthoides, coltivata nei giardini della Malmaison dai semi giunti dall'Australia grazie alla spedizione Baudin. Il nome generico, come spiega lo stesso Ventenat, è formato da due parole greche, καλός (kalòs) "bello, buono" e μερίς (meris) "parte": dunque, Bonaparte. E' forse l'unica specie del piccolo genere Calomeria (Asteraceae), a cui vari repertori ne attribuiscono quattro, con una sorprendente distribuzione disgiunta: mentre C. amaranthoides è endemica degli stati di Victoria e del Nuovo Galles del Sud nell'Australia sud orientale, le altre tre vivono nell'Africa meridionale e orientale. Appaiono alquanto diverse dalla sorella australiana, e altri botanici le assegnano decisamente al genere Helichrysum. Parliamo dunque della sola specie certa. quella descritta e denominata da Ventenat. E' una perenne di breve vita solitamente coltivata come biennale, di grandi dimensioni (può superare i tre metri) e foglie intensamente profumate d'incenso. In estate produce grandi infiorescenze color amaranto simili a pennacchi. Ricordano tanto da vicino quelli inalberati sull'elmo dell'alta uniforme della Guardia Imperiale da far pensare che non si tratti di una semplice coincidenza. Prima di concludere, vale la pena di ricordare la damnatio memoriae che toccò a Napoleonaea imperialis. Nel 1814, appena caduto per la prima volta Napoleone, un altro botanico francese, Nicaise Augustin Desvaux, ritenne che quella ignominiosa dedica dovesse essere cancellata, e si affrettò a rinominare la pianta Belvisia caerulea, in onore dello stesso scopritore Palisot de Beauvois. Ma, grazie al repubblicano e antinapoleonico Augustin Pyramus de Candolle, in botanica vale la regola della priorità: Napoleonaea vive, Belvisia è un nome illegittimo. A scusante dei quattro botanici che si affrettarono a prostrarsi ai piedi di Napoleone, ricordiamo che non furono i soli a subirne la fascinazione. Come è noto, lo stesso Beethoven voleva dedicargli la sua terza sinfonia, finché proprio l'incoronazione gli aprì gli occhi. E le tre dediche vegetali sono tutte comprese tra il 1802 e il 1804, quando davvero Napoleone poteva ancora presentarsi nelle vesti di pacificatore, restauratore dell'ordine e al tempo stesso fautore del progresso e del rinnovamento sociale. Morto a 29 anni negli anni più turbolenti della rivoluzione francese, il medico alsaziano Benjamin Pierre Gloxin avrebbe lasciato ben poche tracce di sé se non fosse per la sua tesi di laurea, in cui aveva discusso alcune piante nuove e rare coltivate nell'orto botanico della sua università. Capitata nelle mani del botanico L'Héritier de Brutelle, gli guadagnò la dedica del genere Gloxinia, un nome abbastanza noto anche se la gloxinia o glossinia dei fiorai ora si chiama Sinningia. ![]() Dalle piante alla rivoluzione Discendente di una famiglia di medici, farmacisti e intellettuali di origine tedesca stabilitasi a Colmar da più di un secolo e figlio del medico cittadino, Benjamin Pierre Gloxin (1765-1794) nel 1785, ad appena vent'anni, si laureò in medicina all'università di Strasburgo discutendo una tesi di botanica. A incoraggiarlo in questa scelta fu il suo relatore, il professore Jean Hermann (1738-1800) che era anche il direttore dell'orto botanico universitario. Nella sua dissertazione Gloxin esamina alcune specie "nuove e rare" coltivate nel giardino: Salvia leonuroides (oggi Salvia formosa), Cyperus aegyptiacus (oggi Cyperus capitatus), Mesembryanthemum cordifolium e soprattutto, a partire dalle due specie di Martynia presenti nell'orto, presenta una disanima complessiva dei generi Martynia L., Craniolaria L., Proboscidea Schmidel, analizzando scrupolosamente la letteratura precedente. Giunge alla conclusione che nessun carattere distintivo saliente giustifica la separazione di questi generi e propone una nuova classificazione del genere Martynia in sei specie: Martynia perennis (oggi Gloxinia perennis), M. capensis (oggi Rogeria longiflora), M. diandra (oggi M. annua), M. craniolaria (oggi Craniolaria annua), M. proboscidea (oggi Proboscidea luisianica), M. fruticosa (oggi Gesneria fruticosa). Stampato in accuratissima veste grafica dal tipografo-editore Dannbach, il fascicolo (un in quarto di una ventina di pagine) comprende anche tre tavole calcografiche di Balz incise da Jean Martin Weis e godette di una discreta circolazione, come attestano le recensioni, le citazioni nella letteratura botanica, la presenza in collezioni pubbliche e private. A favorire la notorietà dell'operina e del suo autore fu sicuramente la quasi immediata dedica a Gloxin del genere Gloxinia da parte di L'Héritier de Brutelle nel primo fascicolo di Species novae (1785). Il genere fu istituito sulla base di una delle specie studiate dal neomedico alsaziano, M. perennis. L'Héritier rileva che essa non può essere assegnata a Martynia (l'assegnazione risale a Linneo) avendo l'ovario infero anziché supero; inoltre si differenzia da Gesneria per la corolla campanulata anziché tubolare; va dunque attribuita a un nuovo genere che egli chiama Gloxinia "in memoria del celebre amico Benjamin Petrus Gloxin, medico di Colmar, di ottimi meriti per la botanica". Certo, può sembrare curioso un simile omaggio a un ventenne esordiente, ma come si deduce dalle parole di L'Héritier si sarà trattato in parte di un attestato di stima, in parte di un gesto di amicizia. Di lì a poco, l'esistenza tanto del dedicante quanto del dedicatario - e di milioni di francesi - sarebbe stata sconvolta dalla rivoluzione. Sappiamo che il giovane medico, oltre ad essere molto impegnato nella professione (come il padre, fu medico cittadino e più tardi diresse l'ospedale), coltivava anche interessi culturali e letterari. Era membro della Tabagie litterarie, un club di lettura di impronta illuminista fondato nel 1785, possedeva una ricca biblioteca per incrementare la quale nel 1786 si recò ad Amsterdam, dal 1791 fu ammesso alla American Philosophical Society. Ma con lo scoppio della rivoluzione, si gettò animo e corpo nella lotta politica. Gloxin era un esponente della borghesia luterana che, almeno tra il 1789 e il 1793, aderì in gran parte alla causa rivoluzionaria. L'Alsazia, dopo aver fatto parte per secoli dell'impero, era stata annessa al regno di Francia da poco più di cent'anni, all'epoca del re Sole, e in virtù di una serie di trattati conservava in parte le proprie libertà e le proprie particolarità. Dal punto di vista religioso, era un caleidoscopio di fedi: cattolica, luterana, calvinista, anabattista, ebraica, senza parlare di un numero non irrilevante di intellettuali liberi pensatori. I luterani alsaziani godevano della libertà di culto, ma erano esclusi da tutti gli incarichi pubblici. Attivi nelle professioni liberali, nell'industria e nel commercio, erano una minoranza ricca e influente che si sentiva oppressa dai tentativi di imporre il cattolicesimo e dallo strapotere della chiesa cattolica e aspirava a una piena parità giuridica, come evidenziano i cahiers de doléances redatti dalla comunità per gli Stati generali. Colmar, in precedenza città libera dell'impero, era divenuta francese nel 1679, con il trattato di Nimega. Di lingua tedesca, era per due terzi luterana. Con i suoi 13.000 abitanti, era la principale città dell'Alto Reno, la regione alsaziana che abbracciò con maggior favore la rivoluzione, al contrario del cattolico e "austriaco" Basso Reno. I decreti dell'agosto 1789 e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che finalmente mettevano fine alle discriminazioni, guadagnarono infatti l'adesione di buona parte dei protestanti alsaziani. Più tardi, la ricca borghesia luterana si giovò largamente dell'acquisto delle proprietà ecclesiastiche requisite come beni nazionali. Gloxin, un medico e un intellettuale molto noto in città, si schierò in prima fila, divenendo un esponente di punta del giacobinismo alsaziano. Nel 1791 fu tra i fondatori della Société des Amis de la Constitution di Colmar, di cui fu nominato presidente. La situazione, in Francia come in Alsazia, evolveva rapidamente, e in quella regione di confine si faceva sempre più tesa. Gli attriti tra le diverse confessioni religiose furono inaspriti dalla chiusura dei conventi, dalla spaccatura tra clero girato e refrattario (che non risparmiò i pastori protestanti), dalla vendita dei beni ecclesiastici; ne seguirono i primi arresti e i primi processi. Nel 1792, lo scoppio della guerra, inizialmente disastrosa per i francesi, con la concreta minaccia di un'imminente invasione della regione, esacerbò gli animi, alimentò sospetti e innescò una radicalizzazione che spinse buona parte della comunità luterana a schierarsi con i girondini e la loro "guerra ad oltranza". Tuttavia anche in Alsazia il processo e l'esecuzione del re (21 gennaio 1793) scavò un solco nell'opinione pubblica, allontanando anche molti protestanti dalla rivoluzione o spostandoli su posizioni più moderate. Tra loro non c'era il dottor Gloxin: quando la Società degli amici della Costituzione si trasformò nella più radicale Société populaire des Amis de la Liberté et de l’Égalité, egli ne divenne vicepresidente; era anche ufficiale della Guardia nazionale. Convinto che fosse possibile conciliare gli ideali cristiani e le parole d'ordine della rivoluzione, nel dicembre del 1793, quando la collegiata Saint Martin venne trasformato in tempio della Ragione, partecipò senza esitare alle cerimonie di inaugurazione. Ma ormai le sue preoccupazioni erano altre. Come direttore dell'ospedale cittadino si trovò a fronteggiare un accentuato incremento di ricoveri e decessi; tra le cause, la carestia provocata dal susseguirsi di annate di maltempo e cattivi raccolti, ma soprattutto la concentrazione in città dei soldati e dei volontari accorsi per unirsi all'armata del Reno. Fosse vaiolo, fosse tifo, fossero "febbri tifoidi", si determinò una crisi sanitaria di cui fu vittima lo stesso Gloxin che morì nei primi giorni nel 1794, ad appena ventinove anni. Una sintesi della sua breve vita nella sezione biografie. ![]() Credevo fosse una Gloxinia, invece era... Gloxinia perennis fu la prima specie del genere a giungere in Europa; il primo a descriverla, in Hortus cliffortianus (1738), fu Linneo, che la denominò Martynia foliis serratis; mettendola a confronto con due specie di Martynia raccolte da Houstoun in Colombia e coltivate al Chelsea Physic garden (da identificarsi con M. annua e Proboscidea louisianica), insiste che si tratta di una terza specie longe alia, "totalmente diversa". Non ne conosciamo esattamente la provenienza perché egli si accontentò di indicare genericamente "cresce in America". Nel 1753 in Species plantarum le assegnò il binomiale Martynia perennis, che come abbiamo visto fu conservato da Gloxin. L'Héritier invece la rinominò Gloxinia maculata (l'eponimo linneano fu recuperato a fine Ottocento per la legge della priorità). A lungo fu anche l'unica specie coltivata nel nostro continente. Nel 1815 Joachim Conrad Loddiges, proprietario di un grande vivaio nei pressi di Londra, ricevette probabilmente da uno dei cacciatori di orchidee che aveva sguinzagliato in Brasile una magnifica specie tuberosa con grandi fiori a campana. Egli coltivava anche Gloxinia maculata (allora si chiamava ancora così) e, notando la somiglianza, la pubblicò come Gloxinia speciosa (1817). La nuova introduzione ottenne un successo strepitoso, divenne una pianta amatissima, nota a tutti semplicemente come gloxinia (in italiano, anche glossinia). Intanto, con le sempre più numerose spedizioni in Sud America, soprattutto in Brasile, stavano arrivando molte altre specie che vennero via via inserite in Gloxinia. Una fu raccolta nel 1824 dal famoso cacciatore di piante David Douglas, di passaggio a Rio de Janeiro. Inviò i semi in Europa, dove il botanico boemo Mikan la classificò come Gloxinia schottii. Ma nel frattempo qualche seme, tramite Heller, il direttore dell'orto botanico di Würzburg, era pervenuto al suo collega di Bonn, il botanico Nees von Esenbeck, un grande tassonomista che capì che questa Gesneriacea non apparteneva a nessun genere conosciuto e denominò la nuova pianta Sinningia helleri, in onore del suo capo giardiniere (1825). Ma Gloxinia speciosa continuò a chiamarsi così per un altro mezzo secolo; solo nel 1877 il botanico britannico William Philip Hiern aggiustò il tiro e mise la pretesa glossinia al suo posto, rinominandola Sinningia speciosa. Ma, ovviamente, le abitudini sono dure a morire e continua ad essere la glossinia per antonomasia, o "Gloxinia dei giardinieri". Dopo altre vicende complicate che lo hanno visto allargarsi e contrarsi, oggi al genere Gloxinia L'Hérit., famiglia Gesneriaceae, sono assegnate solo quattro specie: G. alternifolia, G. erinoides, G. perennis, G. xantophylla. Il genere è distribuito soprattutto nelle Ande dell'America centrale (dall'Honduras a Panama) e in Sud America (dal Venezuela all'Argentina); solo una specie, appunto G. perennis, raggiunge i Caraibi, una presenza che però potrebbe essere il frutto di un'antica introduzione. G. alternifolia, scoperta solo di recente, è un endemismo del Mato Grosso. L'ambiente prevalente delle Gloxiniae è la foresta a galleria, in particolare su affioramenti rocciosi. Sono erbacee di piccole dimensioni che si distinguono dai generi della stessa tribù per i rizomi squamosi, fiori bratteati riuniti in infiorescenze simili a racemi con corolla bianca, lilla, rosata o parzialmente marrone, frutti secchi privi di tricomi uncinati. La specie più comunemente coltivata è G. perennis, ma talvolta si coltiva anche G. ericoides, caratterizzata da foglie molto attraenti. Nel corso delle vicissitudini che hanno segnato la storia tassonomica di Gloxinia, ne sono stati separati anche due piccoli generi che rendono indirettamente omaggio al nostro medico rivoluzionario. Entrambi sono stati creati nel 2005. Gloxinella (H. E. Moore) Roalson & Boggan comprende una sola specie, G. lindeniana, in precedenza nota solo in coltivazione, ma recentemente riscoperta nelle Ande colombiane. E' un erbacea eretta, molto ramificata, con foglie villose con nervature chiare su fondo scuro e vistosi fiori ascellari singoli. Anche Gloxiniopsis è un genere monospecifico, limitato a G. racemosa, un endemismo colombiano. Apparentemente è piuttosto simile a Gloxinia perennis, con fiori campanulati bianchi raccolti in racemi, ma i dati molecolari ne dimostrano l'appartenenza a un genere proprio. Tra le piante più venerabili del Jardin des plantes di Parigi, c'è un albero di pistacchio famoso non solo per la sua età (un po' più tre secoli) ma per aver permesso a Sébastien Vaillant di comprendere i meccanismi della riproduzione sessuale delle piante. Quando egli presentò i risultati in pubblico, le sue parole destarono scandalo, forse anche perché non risparmiò le metafore antropomorfe. Linneo ne aveva invece grande stima e considerava il suo Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna. Riprendendo una denominazione di Tournefort, lo celebrò con Valantia, un piccolo genere che annovera anche due rari endemismi siciliani. ![]() Scandalose nozze delle piante Il 10 giugno 1717, tra gli studenti che affollavano l'anfiteatro del Jardin royal c'era una certa attesa per la prolusione con la quale Sébastien Vaillant (1669-1722) avrebbe inaugurato il corso di botanica. Vaillant, che lavorava nel giardino già da una quindicina di anni e da una decina era sotto dimostratore (l'insegnante "pratico" che mostrava come riconoscere le piante) non era certo una faccia nuova. Ma quell'anno avrebbe tenuto anche il corso teorico, come supplente del professore titolare, il dimostratore Antoine de Jussieu, in missione botanica nella penisola iberica. Forse in quel che successe quel giorno c'entrò anche un pizzico di spirito di rivalsa. Al contrario di Jussieu, medico e accademico di Francia, Vaillant aveva fatto la gavetta e non aveva titoli accademici. Nato in una famiglia contadina, inizialmente aveva ricevuto una formazione come musicista; poi era divenuto chirurgo (ricordo che all'epoca i chirurghi non erano laureati, ma artigiani che imparavano il mestiere con l'apprendistato), lavorando prima nell'esercito poi all'Hôtel-Dieu di Parigi. Incominciò così a seguire i corsi di botanica, chimica, anatomia del Jardin royal. Appassionato raccoglitore, fu d'aiuto a Tournefort per la sua flora dei dintorni di Parigi Histoire des plantes qui naissent aux environs de Paris. Fu notato da Fagon che ne fece il suo segretario. Nel 1702 gli fece ottenere il brevetto di «inserviente del laboratorio del Giardino reale», un titolo modesto che ne faceva il responsabile delle coltivazioni. Nel 1708, gli cedette il suo posto di sotto dimostratore di botanica, mentre a Tournefort, morto quell’anno, succedeva come professore il medico Antoine-Tristan Danty d’Isnard. Dopo appena un anno, quest’ultimo diede le dimissioni; Vaillant, che dal 1709 era stato nominato anche direttore del Gabinetto reale delle droghe, sarebbe stato il più qualificato ad assumere la cattedra, ma non era né medico né laureato. Così il posto andò a un outsider, il medico lionese Antoine de Jussieu che aveva solo ventiquattro anni, diciassette meno di lui. Tra i due c'era anche una certa rivalità scientifica: Jussieu era uno stretto seguace di Tournefort, mentre Vaillant aveva espresso da tempo riserve su Institutiones rei herbriae e conduceva ricerche sperimentali che lo stavano portando su strade nuove. E qui entra in scena il famoso pistacchio (Pistacia vera). Era nato nei primi anni del secolo dai semi portati dal Levante da Tournefort, prosperava, fioriva, ma non portava frutti. Vaillant venne a sapere che anche nel Giardino dei farmacisti ce n'era uno, con fiori diversi, che ugualmente fioriva senza fruttificare. Nel 1716 tagliò una fronda fiorita del pistacchio del Jardin e la scosse presso l’altro albero e viceversa. Poco tempo dopo l'albero del Giardino dei farmacisti (un esemplare femminile), così fecondato, diede i primi frutti, cosa che non fece quello del Jardin des plantes, maschio. Era la prova che serviva a Vaillant per spiegare la funzione del polline. Così decise di inaugurare il corso di botanica del 1717 con una prolusione dedicata alla funzione sessuale dei fiori. Che le piante avessero organi sessuali e che una pianta potesse portare solo fiori maschili, solo fiori femminili, oppure fiori sia femminili sia maschili non era un’idea nuova. All'inizio del Seicento, era stata suggerita da Prospero Alpini; nel 1681 Nehemiah Grew ipotizzò che gli stami fossero gli organi maschili e in Historia plantarum (1686) Ray portò numerosi esempi di piante dioiche; nel 1694 il tedesco Rudolph Camerarius in De sexu plantarum epistola diede la dimostrazione sperimentale della funzione del polline. Tuttavia, oltre ad essere ancora inaccettabile per l’opinione pubblica, la sessualità delle piante era stata respinta proprio dal maestro di Vaillant, Joseph Pitton de Tournefort, che riteneva il polline un «escremento» delle piante. Vaillant, oltre tutto, entrò in campo a gamba tesa, usando metafore antropomorfe e sessualmente esplicite, con espressioni come «letto nuziale», «consumare il matrimonio», «questi focosi non sembrano che cercare altro che soddisfare i loro violenti trasporti». Gli studenti furono elettrizzati, i professori dell’Accademia delle scienze un po’ meno. A indignare era anche il fatto che Vaillant avesse osato criticare un mostro sacro come Tournefort, mostrando quella che veniva considerata vera e propria ingratitudine. L'Accademia, alla quale Vaillant era stata ammesso nel 1716 (prima del fattaccio) arrivò addirittura ad ammonirlo ufficialmente di non attaccare più il suo maestro. Nei salotti non si parlava d'altro e quando Jussieu tornò dalla Spagna, le acque erano ancora agitate. Fino a quel momento, egli aveva seguito le idee di Tournefort ma, non essendo un dogmatico, volle capire meglio. Scrisse al farmacista Joan Salvador i Riera, che lo aveva accompagnato in Spagna, di raccogliere esemplari di fiori di piante fruttifere e non fruttifere di palme da dattero, e capì che Vaillant aveva ragione. L'anno successivo, nella prolusione del 1718, abbracciò le sue tesi, anche se le espresse con un prudente linguaggio neutro e distaccato. Vaillant applicò le sue scoperte alla sua opera maggiore Botanicon parisiense, frutto di trent’anni di ricerche, in cui descrisse sistematicamente la flora di Parigi e dintorni delineando un nuovo sistema di classificazione basato sugli organi sessuali, criticò anche con asprezza il sistema di Tournefort e usò per la prima volta nel significato moderno i termini stame, ovario, ovolo. In vista della pubblicazione, fece eseguire accuratissimi disegni a Claude Aubriet, ma si trovò impossibilitato a pagarlo; tanto meno aveva i soldi per la stampa, che certo l'Accademia non avrebbe finanziato. Nel maggio 1721, si risolse a scrivere a Boerhaave, il direttore dell'orto botanico di Leida, che liquidò il debito con Aubriet e insieme a William Sherard, amico comune, curò la pubblicazione. Una prima edizione senza figure uscì nel 1723 e Vaillant, morto nel 1722, non fece in tempo a vederla. Nel 1727, sempre a Leida, seguì una seconda edizione, con trecento tavole di Aubret incise da Jan Wandelaar, che qualche anno dopo avrebbe collaborato con Linneo per Hortus Cliffortianus. Per l'Académie, Vaillant rimase un paria: contrariamente all'uso, alla sua morte non venne commissionato il consueto elogio a Fontenelle. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. ![]() Endemismi siciliani Non molto tempo prima di morire, Tournefort in una Memoria letta all'Accademia delle scienze aveva dedicato all'allievo il genere Valantia: uno di quelli che lo stesso Vaillant contestava, visto che lo considerava identico a Cruciata; del resto esprimeva le sue riserve anche sull'abitudine di denominazioni ricavate dai nomi dei botanici. Linneo lo recuperò in Species plantarum. Non solo aveva grande stima di Vaillant, in cui vedeva un proprio precursore considerando Botanicon parisiense il vero inizio della botanica moderna, ma riteneva il genere particolarmente adatto. Non certo per la sua bellezza: si tratta di pianticelle minime, che passano inosservate, ma per le singolari caratteristiche dei fiori perfette per celebrare lo studioso della differenziazione sessuale. Questo piccolo genere della famiglia Rubiaceae raggruppa sette specie di minute erbe rupicole diffuse attorno al bacino del Mediterraneo, dalla Macaronesia al Vicino oriente. Hanno minuscole foglie carnose verticillate in gruppi di quattro, da cui il nome comune di «erba croce»; i fiori sono raggruppati in verticilli di tre: quello centrale è bisessuale, i due laterali maschili. Quattro specie (V. calva, V. deltoidea, V. hispida, V. muralis) fanno parte della flora italiana; V. calva è endemica dell’isola di Linosa dove cresce sulle pendici laviche del Monte Vulcano e di Montagna rossa. V. deltoidea è invece un endemismo della Rocca Busambra, il rilievo maggiore dei monti Sicani, dove vive nei pascoli aridi intorno a 1600 metri. Qualche approfondimento nella scheda. A metà Settecento, dopo quasi un secolo di confronti armati con l'Inghilterra, in Francia i grandi alberi, indispensabili per le costrizioni navali, incominciano a scarseggiare. Ne è assai preoccupato l'abate Nolin, il direttore dei vivai reali, tanto più che la perdita del Canada ha chiuso anche quella fonte di rifornimento. E' necessario ripopolare in fretta le foreste francesi con alberi dalla crescita veloce ma dal legno inattaccabile, come hanno dimostrato essere diverse specie nordamericane. I rivali inglesi lo fanno da almeno un secolo, ma adesso che le loro 13 colonie - con l'aiuto determinante degli amici francesi - hanno conquistato l'indipendenza, perché non approfittarne per mandare nei neonati Stati Uniti un esperto di silvicoltura a fare incetta di semi e alberi? E, guarda caso, c'è la classica persona giusta al momento giusto: il "botanico del re" André Michaux ha una grande pratica di coltivazione di alberi esotici ed è appena tornato da un viaggio in Persia in cui ha dimostrato di non avere paura di nulla e di essere un instancabile cacciatore di piante dall'occhio di falco. E così nel 1785 André Michaux e il figlio quindicenne François André partono per gli Stati Uniti, dove rimarranno dieci anni, prima al servizio del re, poi di una repubblica di cui condividono gli ideali di libertà, eguaglianza e fratellanza, ma da cui presto non riceveranno più un franco. Michaux padre fonda due vivai e percorre instancabile gran parte degli Stati Uniti, spingendosi anche in Canada e nella Florida ancora spagnola. La fa quasi sempre da solo, per lo più a piedi, in modo spartano. Sulle piante americane, e in particolare sugli amati alberi, presto ne sa più di tutti. Vivaista dei due mondi, manda in Francia una stupefacente quantità di piante, ma arricchisce anche i giardini americani di tante specie esotiche. Il suo libro sulla flora dell'America nord orientale farà testo per molti anni, così come quello di suo figlio sugli alberi americani. La pianta che lo celebra però non viene dall'America, ma dal Medio Oriente. ![]() Da Versailles al mar Caspio André Michaux (1746-1801) è nato nel parco di Versailles e se un evento tragico non avesse sconvolto la sua vita forse sarebbe rimasto per tutta la vita fattore reale, come lo era suo padre prima di lui. La famiglia gestisce la fattoria di Sautory e André, che ha potuto frequentare la scuola solo quel tanto che basta a imparare a leggere, scrivere e far di conto, lavora al fianco del padre fin da bambino. Alla sua morte, gli subentra come fattore insieme al fratello, ma nel 1770 sua moglie muore di parto dando alla luce l’unico figlio François André. Per André la vita non ha più senso. A sollevarlo dalla depressione è uno dei suoi vicini, Louis Le Monnier, professore di botanica del Jardin du roi, che gli fa scoprire la coltivazione di piante esotiche. Michaux fa esperimenti di acclimatazione a Sautory e incomincia a frequentare le lezioni di Antoine-Laurent de Jussieu al Trianon. Ha trovato la sua strada; si trasferisce a Parigi a studiare al Jardin du roi e nel 1779 ottiene il brevetto di «botanico reale». Il suo desiderio più ardente è viaggiare. Quell'anno, viene inviato ai Kew Gardens a studiarne le serre, quindi partecipa insieme ad André Thouin a una spedizione in Alvernia organizzata e finanziata da Lamarck. Nel 1780, da solo, va a caccia di piante nei Pirenei francesi e spagnoli. Sogna viaggi più esotici e quando viene a sapere che il nuovo console a Bassora, Jean-François Rousseau, cugino del filosofo, sta per partire per la Persia si unisce al suo seguito con la missione di raccogliere piante belle, utili e interessanti per i giardini di Maria Antonietta al Trianon e il Jardin du roi. Lasciata la Francia nel febbraio 1782, sbarcano ad Alessandretta e, dopo un soggiorno di qualche mese ad Aleppo, si uniscono a una carovana che a ottobre li porta a Bagdad, dove trascorrono l’inverno. Quindi Michaux saluta il console con l’intenzione di raggiungere l’impero persiano; sulla strada per Bassora è fatto prigioniero da una tribù in rivolta. Liberato, può finalmente continuare il suo viaggio visitando metodicamente la Persia, da Shiraz a Persepoli, da Isfahan a Julfa e fino alle rive del Caspio. Dopo un viaggio di tre anni, rientra in Francia nel giugno 1785 con più di quattrocento specie di piante. Tra di esse, Rosa persica, raccolta su un’alta montagna tra Shiraz e Isfahan, l’olmo del Caucaso Zelkova carpinifolia, il noce del Caucaso Pterocarya fraxinifolia e la pianta che oggi porta il suo nome, Michauxia campanuloides, trovata sulle montagne della Siria occidentale. Riporta anche manoscritti, medaglie, reperti archeologici, tra cui un kudurru babilonese, oggi conservato al Cabinet des medailles della Biblioteca nazionale e noto come "sasso di Michaux". Appena tornato, vorrebbe ripartire, magari di nuovo per l'Oriente, ma il ministero gli propone una meta totalmente diversa: gli Stati Uniti. Il direttore dei vivai reali, l'abate Nolin, preoccupato per il depauperamento delle foreste francesi, ha chiesto di inviare in America una missione a caccia di piante e Michaux è il candidato ideale. Così, appena tre mesi dopo il suo ritorno, riparte. La Francia è il principale alleato dei neonati Stati Uniti, che ha sostenuto attivamente nella guerra d’indipendenza da poco ufficialmente conclusa con la pace di Parigi (settembre 1783). Dunque in America Michaux può contare su buoni amici. Benjamin Franklin era vissuto molti anni tra Parigi e Versailles, diventando una figura di primo piano della società parigina; Thomas Jefferson, che lo aveva sostituito come ambasciatore, era di casa nel Jardin du roi, era spesso ospite di Buffon e aveva stretto una duratura amicizia con il capo giardiniere André Thouin. ![]() Alberi d'America Dunque il viaggio può essere organizzato con la massima rapidità. L’abate Nolin consulta i cataloghi degli orticultori americani e redige una lista delle piante più desiderabili. Michaux si imbarca con il figlio quindicenne François André, il giardiniere Paul Saunier (un altro allievo di Thouin) e un servitore e a novembre sbarca a New York. Nonostante il tempo pessimo e una lingua poco familiare, riesce quasi subito a mettere insieme un primo invio di piante e semi, che si è procurato nei vivai cittadini. Nel corso dell’inverno crea un vivaio di 30 acri a Hackensack (New Jersey) e incomincia ad esplorare i dintorni di New York. Su invito di Benjamin Frankilin, va a Filadelfia a conoscere William Bartram e a visitare il suo celebre vivaio. Poi è la volta di Mount Vernon, il magnifico parco di piante native creato dal presidente Washington; quindi, prima di rientrare in New Jersey, scende a sud fino a Fredericksburg in Virginia. L’incontro con Bartram, a sua volta un grande esploratore che tra il 1773 e il 1777 ha raccolto piante in otto colonie, dalla Pennsylvania alla Florida, è determinante; i due si scrivono, scambiano semi e informazioni, ma soprattutto è Bartram a suggerirgli di spostare il centro delle sue ricerche in South Carolina, una zona particolarmente ricca di nuove piante. Nel settembre 1786, Michaux affida il vivaio di Hackensack a Saunier e insieme a suo figlio si imbarca per Charleston. Qui, a poche miglia dalla città, crea un secondo vivaio di 111 acri che sarà la sua base operativa per i prossimi dieci anni. A Charleston c’è una grossa comunità di ugonotti di origine francese e Michaux si ambienta benissimo. Il suo giardino si sviluppa in fretta e presto può funzionare da centro di interscambio nelle due direzioni: oltre a coltivare le piante americane da spedire in Francia, si fa mandare semi dalla madrepatria e arricchisce i giardini dei suoi ricchi e influenti clienti americani di piante ancora sconosciute su questa riva dell’Oceano: tra quelle di cui gli si attribuisce l’introduzione negli Stati Uniti, Albizia julibrissin, Melia azedarach, Osmanthus fragrans, Lagerstroemia indica, Ginkgo biloba e la pianta del tè, Camellia sinensis. È chiaro che uno come Michaux non è venuto in America a fare il vivaista e non vede l’ora di riprendere a viaggiare. Appena il giardino è ben avviato, ricominciano le spedizioni. Nella primavera del 1787, dapprima in compagnia del botanico scozzese John Fraser, segue il percorso di Bartram lungo il fiume Savannah, poi si addentra da solo in territorio Cherokee fino alle sue sorgenti, scoprendo la rara Shortia galacifolia. Negli anni successivi visiterà gran parte del nord America orientale, spingendosi anche nella provincia canadese del Quebec, nella Florida spagnola e nelle Bahamas. Esplorò con particolare intensità la Georgia e le Caroline, in particolate la regione del Piedmont che visitò ben sette volte. Amava viaggiare da solo, a piedi o a cavallo, e con un bagaglio minimo. Se trovava ospitalità per la notte, bene; altrimenti, si poteva dormire benissimo anche sotto le stelle. Aveva un occhio d’aquila, si fermava ad osservare ogni pianta ed era abilissimo a scovare nuove specie anche in zone già battute, come notò l’amico Bartram. Nel 1792 fece un lungo viaggio fino alla baia di Hudson; al ritorno, ebbe un colloquio con Jefferson, all’epoca segretario di stato, a cui propose di esplorare la sorgente del Missouri, individuare la linea di spartiacque e scendere fino al Pacifico. Jefferson era tentato, ma per opportunità politica rinunciò, tanto più che Michaux si trovò coinvolto in un incidente diplomatico; l’ambasciatore francese Genêt, che stava cercando di organizzare gruppi di volontari e una sommossa per strappare New Orléans agli spagnoli, approfittò dei suoi viaggi botanici per affidargli vari messaggi segreti. Le trame di Genêt indignarono il generale Washington che difendeva l’assoluta neutralità degli Stati Uniti nel conflitto tra Francia e Spagna; quando il coinvolgimento del botanico emerse, egli venne a trovarsi in una situazione difficile. Da lontano, aveva seguito con trepidazione le vicende francesi, divenendo un ardente rivoluzionario. Eppure proprio la rivoluzione finì per rovinarlo. Con la ripresa della guerra, divenne sempre più difficile fare giungere i suoi invii in Francia. Il governo rivoluzionario cessò di pagargli lo stipendio e di rimborsargli le spese. Nel 1795, dopo un ultimo viaggio, si decise a tornare casa. In dieci anni, aveva inviato in patria 90 casse di semi e 60.000 pianticelle. Tra le piante da lui introdotte in Europa molte nuove specie di querce, aceri, noccioli, lo spettacolare Rhododendron catawbiense, Magnolia micahuxii (oggi M. tripetala), la sfolgorante Cladrastis lutea, che d’autunno si tinge d’oro. Durante il viaggio di ritorno, sulle coste olandesi fu vittima di un naufragio in cui perse tutti i suoi effetti personali ma riuscì a salvare gran parte delle collezioni. Tornato a Parigi, non riuscì a ottenere se non in minima parte il pagamento degli arretrati. Nel 1800, accompagnato dall’aiuto giardiniere Jean-François Cagnet, si imbarcò con la spedizione Baudin, ma non andava d’accordo con il comandante e non accettava le nuove direttive che imponevano di consegnare tutte le raccolte al governo; a Mauritius sbarcò, vi rimase un anno, poi, sulle orme di Commerson, andò in Madagascar. Anche qui creò subito un giardino d’acclimatazione, ma, dopo appena tre mesi morì di una febbre tropicale. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Prima di partire per l’ultimo viaggio era riuscito a scrivere una monografia sulle querce americane e soprattutto Flora boreali-americana , pubblicata postuma a cura del figlio François-André e di Louis-Claude Richard, con le illustrazioni di Redouté. Quest’opera, che descrive 1700 piante, 40 delle quali inedite, fu a lungo la più completa flora del nord America orientale. Dopo la sua morte, il governo francese inviò in America François André Michaux a liquidare i due vivai. Al suo rientro, egli scrisse Mémoire sur la naturalisation des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Nel 1806, incaricato di individuare le specie arboree più adatte all'acclimatazione in Francia, ripartì per Charleston, ma durante la traversata fu catturato da una nave inglese e imprigionato alle Bermuda: una prigionia per modo di dire, che gli permise di esplorare la flora dell'isola St George. Tornato in patria, pubblicò l'importante Histoire des arbres forestiers de l'Amérique septentrionale. Vero continuatore dell'opera paterna, visse fino a tarda età e per un trentennio fu l'amministratore della Société centrale d’agriculture per la quale creò l'arboretum di Harcourt, ricchissimo di specie americane. ![]() Campanelle levantine Numerose sono le specie che in ricordo di André Michaux portano l’eponimo michauxii: tra gli alberi, che erano i suoi preferiti, Quercus michauxii, Betula michauxii oppure Pyrus michauxii; ma ci sono anche arbusti, come il raro sommacco nano Rhus michauxii, bulbose come Lilium michauxii o erbacee come la piccolissima Minuartia michauxii. Il genere Michauxia gli fu dedicato nel 1788 da un altro botanico francese, Charles Louis L'Héritier de Brutelle. Appartenente alla famiglia Campanulaceae, comprende sette specie di piante erbacee diffuse dal Mediterraneo orientale al Caucaso e all’Iran; la più nota è proprio la specie riportata da Michaux dal suo viaggio in Persia, M. campanuloides, un’alta erbacea annuale o perenne di breve vita con curiosi fiori bianchi a campana rovesciata con petali retroflessi e stilo verdastro protruso. Simile è M. tchihatchewii, che conquista la palma di una delle più impronunciabili tra le denominazioni botaniche. Tutto per la colpa della trascrizione francese del nome russo Čjačev (forse un diplomatico che operava nella Francia dell'Ottocento). Altre informazioni nella scheda. Negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento, la Francia del re Sole lancia una serie di spedizioni scientifiche: i viaggi di Plumier nelle Antille, il viaggio in Levante di Tournefort, la tragica spedizione di Lippi in Sudan. Di tre viaggi è protagonista padre Feuillée, frate minimo come Plumier, e provenzale come quest'ultimo e Tournefort. E' un astronomo e un cartografo e le sue spedizioni si muovono sempre sul sottile confine che separa l'esplorazione scientifica dallo spionaggio: prima è in Levante a disegnare carte e fare il punto su installazioni strategiche come porti, poi nelle Antille, infine, nel viaggio più importante, in Cile, mai esplorato da nessun studioso prima di lui. All'astronomia alterna la botanica: alle piante dedica il giorno, agli astri la notte. In appendice al suo Journal pubblica la prima rassegna della flora cilena e peruviana, con un occhio di riguardo alle specie officinali. Linneo si ricordò di lui dedicandogli il genere Fevillea, con semi ricchissimi di oli da secoli utilizzati nella farmacopea indigena e oggi forse una fonte alternativa di combustibili e preziosi grassi alimentari. ![]() Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei? I tre viaggi di Plumier nelle Antille avevano dimostrato le grandi potenzialità botaniche di quell'area; così nel 1703, quando si offrì la possibilità di inviare in Martinica un astronomo e cartografo, Fagon, l'archiatra del re Sole e intendente del Jardin royal, insistette perché la missione avesse anche risvolti botanici. La scelta cadde su un altro frate minimo, forse allievo di Plumier: Louis Feuillée. Anche lui era provenzale e fin da ragazzo aveva dimostrato grande attitudine per la fisica e la matematica. Nel 1680, a vent’anni, prese i voti, l'unico modo per continuare gli studi per un giovane senza mezzi; nel convento di Marsiglia ebbe modo di studiare astronomia e cartografia e forse incontrò Plumier che lo avrebbe iniziato alla botanica. Tuttavia il campo in cui si fece notare fu l'astronomia: due saggi pubblicati nel 1697 e nel 1699 nelle Memorie dell’Accademia delle scienze attirarono l’attenzione dell’astronomo reale Giovanni Domenico Cassini che nel 1700 lo inviò nel Mediterraneo orientale a determinare la posizione geografica di vari porti. L’elogiativo rapporto di Cassini spinge il ministro Pontchartrain e Fagon ad affidargli la missione nelle Antille, dove dovrà fare rilievi cartografici e e osservazioni astronomiche ma anche, auspice Fagon, proseguire le ricerche botaniche di Plumier. Il 5 febbraio 1703 il frate si imbarca a Marsiglia sulla nave Grand Saint Paul diretta in Martinica con un carico di deportati. Sbarcato l’11 aprile, viene accolto nel convento dei domenicani di Saint-Pierre, ma poco dopo si ammala di febbre gialla. La sua robusta costituzione gli permette di recuperare; nei quattrodici mesi che trascorre nell’isola, come racconterà lui stesso, divide il suo tempo osservando le piante di giorno, gli astri di notte. Arrivato in Martinica su una nave di galeotti, ne riparte su un vascello corsaro. Il 4 luglio 1704 si imbarca sull’Ambitieuse, un veliero armato con sessanta cannoni, inviato nel mare dei Caraibi a insidiare le navi mercantili spagnole. Alla ricerca di prede, la nave corsara fa scalo a La Guaira in Venezuela, poi risale verso l’attuale Colombia, toccando Porto Cabello, Santa Maria (dove c’è uno scontro a fuoco con gli spagnoli), Porto Bello. Il 5 dicembre raggiunge Cartagena, dove il nostro frate sbarca salutando l’onorevole compagnia. Ha intenzione di raggiungere il Pacifico, ma il progetto si rivela irrealizzabile; dopo due mesi trascorsi ancora a fare osservazioni cartografiche e astronomiche, trova un passaggio su un piccolo vascello di filibustieri che, passando per San Domingo e Saint Thomas, lo riporta in Martinica. Vi trascorre ancora un anno, prima di poter rientrare in Francia il 21 giugno 1706. Da questo primo viaggio riporta una messe di dati astronomici, rilievi cartografici, disegni e numerose piante. Ridisegna la carta della Martinica e si guadagna il titolo di «matematico del re». Ma già Ponchartrain e Fagon progettano una nuova missione per questo frate che ha dimostrato di sapersi muovere abilmente in situazioni difficili: dovrà recarsi in Sud America per rilevare le esatte posizioni geografiche delle coste del Cile e del Perù. In piena guerra di successione spagnola, siamo a metà tra la spedizione scientifica e lo spionaggio. Infatti il buon padre Fueillée è costretto nuovamente ad accompagnarsi a corsari; ma adesso (insediatosi Filippo V a Madrid) i nemici non sono più spagnoli, ma inglesi e olandesi. Dato che molte navi nemiche incrociano nel Mediterraneo, la Saint-Jean-Baptiste su cui si è imbarcato a Marsiglia, raggiunge Tolone per unirsi a una flotta protetta dal vascello corsaro l’Heureux retours, comandato da Nicolas Lambert. Per evitare incontri pericolosi, seguono una rotta contorta e, partiti da Tolone il 14 dicembre 1707, solo il 9 maggio 1708 sono a Gibilterra. Il passaggio è sorvegliato da due fregate inglesi. Pur sapendo che l’esito è scontato, Lambert affronta la battaglia e si lascia catturare: ma con il suo sacrificio permette agli altri vascelli francesi di sfuggire e continuare il viaggio. Il primo scalo della Saint-Jean-Baptiste è Tenerife, dove sosta circa un mese. Il frate si immerge con gioia nella ricca flora canaria. L’11 luglio ripartono e 14 agosto raggiungono Buenos Aires; il comandante decide di attendere l’estate australe prima di affrontare il difficile passaggio del Capo Horn. Fueillée ne approfitta per fare i rilievi necessari a disegnare una nuova carta dell’estuario del Rio de la Plata. Ripartiti il 9 ottobre, negli ultimi giorni dell’anno superano senza troppe difficoltà Capo Horn e il 21 gennaio gettano l’ancora a Concepcion in Cile. ![]() Ah, Sud America Sud America! La vera missione di padre Feuillé è solo all’inizio: rimane circa un mese a Conception, dove fa osservazioni astronomiche e raccoglie campioni di piante e animali; poi si sposta verso nord, toccando Valparaiso, Pisco, Callao e infine Lima, dove soggiorna per circa nove mesi. Nel gennaio 1710 riscende verso sud e, prima di tornare a Concepcion a cercare un imbarco, visita ancora Coquimbo e Arica. Il viaggio si protrae per un altro anno, con una lunga sosta a Conception, finché il 6 gennaio 1711 si imbarca sul Philipeaux e il 27 agosto è a Brest, dopo un’assenza di tre anni e otto mesi. Durante il lungo viaggio, come scrive uno dei suoi biografi, Paul Autran, «si dedicò a fissare la posizione e disegnare le mappe di tutti i porti, a correggere gli errori dei geografi precedenti in vari punti del suo itinerario, e raccolse un’infinità di piante, oggetti e osservazioni di storia naturale» ; fu tra l’altro uno dei primi astronomi a misurare la longitudine utilizzando segnali astronomici. Al ritorno, presentò personalmente i suoi disegni al re, che gli concesse una pensione e lo premiò con un dono graditissimo: la costruzione di un osservatorio tutto per lui nel convento dei minimi di Marsiglia, dove sarebbe vissuto quasi stabilmente fino alla morte, nel 1732. Già anziano, nel 1724, parteciperà ancora a una spedizione scientifica nelle isole Canarie, anche se dovrà rinunciare a scalare il picco del Teide insieme ai suoi più giovani accompagnatori. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Feuillé ha documentato il viaggio in Sud America nei tre volumi del suo Journal, pubblicato tra il 1712 e il 1725; in appendice al secondo e terzo volume vengono trattate le piante cilene e peruviane, sotto il titolo Histoire des plantes médicinales qui poussent sur les côtes du Chili et du Pérou. Le piante trattate sono un centinaio, molte delle quali mai descritte in precedenza. Di ciascuna viene dato un nome-descrizione in latino, seguito dal nome indigeno; seguono la descrizione in francese, solitamente molto dettagliata, indicazioni sull’habitat e gli eventuali usi terapeutici. Di eccellente qualità le tavole, ricavate da disegni e acquerelli eseguiti dal vivo dallo stesso Feuillée, che insieme alle precise descrizioni ci permettono di riconoscere facilmente, tra le altre, Alstroemeria ligtu e A. pelegrina, Lapageria rosea, Nicandra physaloides, Argylia radiata, Lobelia tupa, Mimulus luteus, Brugmansia arborea, Tropaeolum majus e T. minus. Tra le specie alimentari troviamo il pepino (Solanum muricatum), due specie di Passiflora, il lulo o naranjilla (Solanum quitoense), l’alchechengi peruviano (Physalis peruviana), la quinoa (Chenopodium quinoa), l’annona (Annona cherimolia), la caigua (Cyclanthera pedata). ![]() Una liana dai semi oleosi L’opera botanica di Feuillé ha grande importanza storica, soprattutto per la flora cilena, mai studiata in precedenza, ed è anche di buon livello, nonostante l’autore fosse un astronomo prestato alla botanica. Ne aveva stima anche Linneo che gli rese omaggio ribattezzando Fevillea due specie alle quali Plumier aveva conservato la denominazione indigena Nhandiroba . Il genere Fevillea L. (famiglia Cucurbitaceae) comprende otto specie di liane rampicanti che vivono nelle foreste umide, dal Messico meridionale e dai Caraibi all’Argentina settentrionale. Una scelta opportuna, trattandosi di zone esplorate dal solerte frate-astronomo. La loro caratteristica più notevole sono i semi, i più grandi della famiglia (un seme secco può pesare anche 9 grammi) e i più ricchi di grassi tra le dicotiledoni. Le specie più nota e più diffusa è F. cordifolia, una liana che si aggrappa alle piante circostanti per mezzo di viticci e può allungarsi anche per 30 metri. Dioica, ha fiori maschili campanulati, piatti, con cinque lobi giallo aranciato, e fiori femminili con lobi brunastri tomentosi. L'ovario globoso si trasforma in un frutto tondeggiante, che contiene numerosi semi oleosi, da cui viene estratto un olio dal sapore simile a quello di arachide, utilizzato sia come alimento sia come combustile. Inoltre nella medicina tradizionale trova impiego come purgante, rimedio per affezioni di varia natura, emetico e antiveleno, come ricorda il nome inglese antidote vine. Un'altra specie da cui si ricava un olio alimentare è la brasiliana F. triloba. Recenti studi hanno sottolineato le potenzialità di queste piante, che potrebbero essere una buona fonte di combustibili e grassi alimentari a basso impatto ecologico. Qualche approfondimento nella scheda. |
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Da gennaio è in libreria La ragione delle piante, che costituisce l'ideale continuazione di Orti della meraviglie. L'avventura delle piante continua! CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
May 2023
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