Nel corso di quella che è considerata la prima spedizione scientifica dell'età moderna, Joseph Pitton de Tournefort, insieme ai suoi compagni Andreas Guldelsheimer e Claude Aubriet, esplora le isole greche del mare Egeo, visita Costantinopoli, per poi raggiungere Trebisonda navigando lungo la costa meridionale del mar Nero, e di qui l'Armenia ottomana, la Georgia e l'Armenia persiana. Ovunque, raccoglie preziose informazioni geografiche, archeologiche, etnografiche. E, ovviamente piante. Alla fine il bottino ammonterà a oltre 1300 specie, di cui un terzo ignote alla scienza, e 25 nuovi generi. Uno sarà dedicato al compagno di viaggio Gundelsheimer, ribattezzato alla latina Gundelius per fare da padrino a Gundelia. Quanto a Claude Aubriet e al genere che lo celebra, aspettate il prossimo post. In viaggio per la gloria del Re Sole E' con entusiasmo che, sul finire del 1699, Joseph Pitton de Tournefort accoglie l'ordine reale di partire per il Levante. Tuttavia, due preoccupazioni lo convincono che è meglio trovare dei compagni di viaggio: da una parte, la prospettiva di cadere malato lontano da casa, in un paese di cui non conosce la lingua, dove vengono praticate chissà quali barbare cure; dall'altra, la consapevolezza che, tra le sue tante abilità, non c'è quella del disegno. Ad accompagnarlo saranno uno dei suoi allievi, il medico tedesco Andreas Gundelsheimer, e Claude Aubriet, il pittore che aveva illustrato i suoi Elements de botanique. A volere fortemente il viaggio e a convincere il re sono stati il protomedico Fagon, protettore e estimatore di Tournefort, e il segretario di stato, il conte di Pontchartrain; e qualche parte nel progetto l'ha giocata anche l'abate Bignon, nipote del ministro e segretario dell'Accademia delle scienze. Il principale obiettivo scientifico è identificare sul campo le specie descritte da Teofrasto e Dioscoride, ancora così importanti per la medicina del tempo; ma si dovranno anche raccogliere ogni genere di notizie sulla geografia antica e moderna, gli usi e i costumi, la religione, i commerci, a maggior gloria del re e a beneficio degli interessi anche economici della Francia. Le informazioni raccolte, insieme al resoconto del viaggio, raggiungeranno periodicamente la Francia sotto forma di 22 ampie lettere inviate da Tournefort al ministro; è su questa base che al rientro in patria egli stenderà Relation d'un voyage du Levant fait par ordre du roy . Anche nella redazione finale questo bellissimo racconto di viaggio mantiene in molte sue parti la freschezza della forma epistolare, che, al là di un certo sovraccarico di erudizione, trasmette viva al lettore la personalità del suo autore, osservatore attento e lucido, ma anche uomo di spirito sempre pronto a ironizzare in primo luogo su stesso. Alla scoperta delle isole greche Il tre amici il 9 marzo 1700 si mettono in viaggio alla volta di Marsiglia; il 23 aprile si imbarcano sulla nave commerciale L'Esprit, che con una navigazione fortunata e rapidissima, senza scali, in una settimana li porta a La Canea, nell'isola di Creta. All'esplorazione dell'isola (celebrata nei testi antichi per la sua ricchezza di specie officinali) dedicano tre mesi, per poi spostarsi nell'arcipelago delle Cicladi. Seguendo in itinerario condizionato dagli imbarchi (approfitteranno anche di una nave corsara) e dalle condizioni meteorologiche, in circa otto mesi visiteranno ben 34 tra isole e isolotti, quasi tutte quelle all'epoca permanentemente abitate. E' un viaggio naturalistico (raccolgono centinaia di piante, esplorando anche montagne e luoghi impervi, interrogano la popolazione sui nomi locali, nella speranza di ritrovare qualche traccia delle denominazioni antiche), un'esplorazione geografica (non mancano mai di ascendere alla cima più alta di ciascuna isola, per fare il punto e correggere le carte), un viaggio turistico e archeologico (visitano ogni curiosità degna di nota, dai resti della civiltà greca ai monasteri, dal presunto labirinto di Gortyna a Creta alla splendida grotta di Antiparo). Tournefort raccoglie notizie sulle produzioni locali (come la resina di terebinto e il ladanum, una sostanza usata in profumeria estratta dal Cistus ladanifer), sulle risorse economiche, sull'amministrazione turca, sulla religione ortodossa, sulla composizione delle comunità locali e persino sugli abiti delle donne; non mancano mai informazioni sul cibo e sui vini. E' la prima vasta ricognizione delle isole greche di epoca moderna: con il viaggio di Tournefort, all'immagine idealizzata della Grecia sorta dalla lettura dei classici, incomincia a sostituirsi quella della Grecia reale, un mondo spesso miserabile, ignorante, superstizioso; Tournefort osserva con occhio impietoso e giudica lucidamente con un pizzico di sciovinismo l'arroganza e la rapacità dei funzionari turchi, la passività dei greci, la sporcizia, le campagne devastate dalla guerra, la miseria che regna quasi ovunque, in contrasto con la ricchezza della Chiesa che, grazie alla manomorta, possiede quasi sempre le terre migliori. Gli intrepidi viaggiatori sopportano con buon umore le vicissitudini del viaggio: a Thermia, scambiati per banditi, rischiano il linciaggio; a Raclia, poco più di uno scoglio, rimangono bloccati senza né cibo né acqua; a Stenosa sono ridotti a nutrirsi di lumache di mare; a Joura non osano chiudere gli occhi per il terrore che i topi che infestano la cappella dove si sono ritirati per la notte gli mangino le orecchie; a Zia il loro sonno è interrotto da lamenti angosciosi (non sono né fantasmi né pirati, ma una colonia di foche); a Nio sono abbandonati dai marinai, timorosi di una presunta incursione corsara; più volte rischiano il naufragio. Dall'Anatolia all'Armenia e ritorno Nel marzo 1701, dopo aver svernato tre mesi a Mykonos, si rimettono in viaggio verso Istanbul. Qui, grazie all'ambasciatore francese, si aggregano alla carovana di un pasha turco diretto a Erzrum, capitale dell'Armenia ottomana. Navigando lungo la costa meridionale del mar Nero (ma i pernottamenti a terra e le lunghe soste permettono di erborizzare e di fare qualche puntata all'interno) dopo un mese esatto (23 maggio 1701) raggiungono Trebisonda. Mentre la carovana riposa, i tre infaticabili botanici vanno alla ricerca di piante rare al monastero di Sumela: costruito su uno strapiombo che "metterebbe in difficoltà il più abile dei funamboli", nonostante le vertigini li delizia con le sue foreste di conifere che non hanno nulla da invidiare a quelle delle Alpi. Ma non possono trattenersi, perché il visir è già ripartito alla volta di Erzrum; si affrettano a raggiungerlo: viaggiare da soli sarebbe troppo pericoloso, perché le strade sono infestate dai briganti. Superando le montagne della Catena Pontica, penetrano nell'Armenia ottomana. Per la prima volta, Tournefort ha l'impressione di essere davvero in Levante. E' un paesaggio aspro e roccioso dove, nonostante la stagione avanzata, domina ancora la neve. Durante la marcia, suscitando lo stupore e l'ilarità dei mercanti che seguono la carovana, scendono spesso da cavallo per raccogliere ogni erba interessante; capita persino di erborizzare al lume della luna. Il 15 giugno sono a Erzrum, dove si fermeranno tre settimane. Le sorgenti dell'Eufrate, dove si sono spinti in compagnia di un vescovo armeno, nonostante l'area sia infestata da bande curde, fanno da scenario all'avventura più esilarante; mentre bevono quelle freschissime acque, mescolate con il vino per mitigarne il gelo, i temuti curdi si manifestano e sembrano moltiplicarsi. Sarà vero o sono loro che ci vedono doppio, tanto più che la paura spinge a replicare le bevute? I curdi ci sono davvero, ma sono amici del vescovo e tutto finisce bene. Quando sentono che una carovana di mercanti è in partenza per Tiflis, la capitale della Georgia, allora sotto l'impero persiano, afferrano l'occasione al volo e, muniti di un salvacondotto dell'amico pasha, si aggregano. A Kars, la frontiera tra i due imperi, sono trattenuti per due giorni da un funzionario che li scambia per spie russe; superato quest'ultimo ostacolo, entrano in territorio persiano, dove sono deliziati dalla disponibilità degli abitanti, tanto diversi dai sospettosi e rigidi turchi. Le ubertose e ben coltivate campagne georgiane, tanto in contrasto con la rocciosa e spoglia Armenia ottomana, fanno loro pensare di essere nel più bel paese della Terra, anzi in un lembo del Paradiso terrestre. Da Tiflis proseguono per l'Armenia: a Echmiadzin rendono omaggio al patriarca armeno, poi continuano fino a Erevan. A dominare il paesaggio è la cima dell'Ararat: secondo le voci che raccolgono, è negata all'uomo per volere divino perché, sotto cumuli di neve, ancora vi giace l'arca di Noè. Ma la montagna sembra a due passi, e come potrà resistere al suo richiamo quell'alpinista ante litteram che è Tournefort? I tre, concordi, giurano che devono arrivare almeno a toccarne le nevi; e, nonostante una scalata difficilissima, ci riusciranno. Sulla strada del ritorno, diretti di nuovo a Erzrum dove hanno lasciato quasi tutti i bagagli, poco dopo aver superato la frontiera turca, al passaggio di un guado Tournefort rischia di annegare. Dopo un breve soggiorno a Erzrum, dedicato soprattutto alla raccolta di semi, è ora di tornare a casa. Il cammino sarà lungo, ma a Tournefort pare già di vedere i campanili della dolce terra di Francia. Partiti a fine settembre, dopo aver attraversato l'intera Anatolia, passando da Tokat, Ankara e Bursa, arriveranno a Smirne a metà dicembre. L'inverno è dedicato a escursioni archeologiche e alla visita di alcune isole del Dodecanneso. E' soltanto il 23 aprile 1702 che si imbarcano sulla Soleil d'oir: al contrario di quello d'andata, il viaggio di ritorno sarà reso lungo e penoso dal maltempo; costretti prima a uno scalo a Malta, dopo 40 giorni di navigazione devono sbarcare a Livorno, da cui una feluca li porterà a Marsiglia. E' il 3 giugno 1702. Il bottino botanico (per tacere dell'enorme mole di notizie di altro genere) è immenso: 1356 specie, un terzo delle quali non ancora descritte, e 25 nuovi generi. I semi di molte germineranno e prospereranno al Jardin des plantes; vorrei ricordarne almeno tre, oggi molto amate nei giardini: i due rododendri originari delle rive del mar Nero, Rhododendron ponticum e R. luteum, e il popolarissimo Papaver orientale. Gundelsheimer e la Gundelia Tra i generi nuovi c'è anche Gundelia, e questa è la storia del suo "battesimo". Durante la marcia da Trebisonda a Erzrum, i tre botanici sono colpiti da un bellissimo cardo; il primo a segnalarlo è Andreas Gundelsheimer. E' dunque giusto che la nuova pianta porti il suo nome. Ma come trasformare il suo barbarico cognome in un accettabile nome latino? Gli amici discutono un po', finché si convincono che il nome giusto è Gundelia. E proprio mentre i musicisti che accompagnano il pasha intonano una marcia (certo di buon auspicio) si brinda al nuovo genere, ma solo con acqua: cosa opportuna e benvenuta, aggiunge Tournefort, per una pianta che vive nei luoghi più aridi e rocciosi. Prima di congedarci dai tre allegri viaggiatori, due parole su Gundelsheimer. Bavarese, aveva studiato in Olanda e in patria, dove si era laureato in medicina. Aveva vissuto per qualche tempo anche in Italia, per trasferirsi a Parigi proprio per frequentare le lezioni di Tournefort. Dopo il viaggio in Oriente, divenne medico militare e servì dapprima nell'esercito francese (combatté anche in Piemonte durante la guerra di successione spagnola). Tornato in Germania, divenne medico personale dell'elettore di Brandeburgo. Fu tra gli ideatori del Museo di anatomia di Berlino. Morì in ancora giovane età durante l'assedio di Stettino. Qualche informazione in più nella biografia. Ma torniamo a Gundelia (il genere è stato accettato e ufficializzato da Linneo in Species plantaurm 1753). Anche se in epoca recente sono state avanzate altre proposte, la maggior parte degli studiosi lo considera un genere monotipico con una sola specie molto variabile, G. tournefortii. E' un'Asteracea spinosa che assomiglia molto a un cardo, diffusa in una vasta area che dal Medio Oriente arriva all'Asia centrale e all'Afghanistan. In primavera germoglia da una rosetta di foglie; poi, man mano che la stagione avanza, la pianta ingiallisce e diventa sempre più spinosa; quando è quasi secca, basta un soffio di vento per staccarla dalle radici: è una strategia per favorire la diffusione dei semi. Per questa particolarità, in Palestina è soprannominata "cardo che rotola". I germogli giovani e i capolini immaturi sono molto apprezzati nella cucina di diversi paesi; il sapore viene descritto come intermedio tra l'asparago e il carciofo. Nella medicina tradizionale, le sono attribuite anche diverse proprietà officinali. Qualche approfondimento nella scheda.
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November 2024
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