A lanciare la carriera dell'abate Jean-Paul Bignon fu indubbiamente il parentado altolocato; ma dovette solo al suo genio amministrativo la possente impronta che lasciò alle tre istituzioni che fu chiamato a dirigere e riorganizzare: l'Accademia delle scienze, l'Accademia delle iscrizioni e la Biblioteca reale, futura Biblioteca nazionale. Delle prime due redasse gli statuti, trasformandole in istituzioni attive e vitali; della terza fu, si può dire, il vero creatore, gettando le basi di una gestione moderna e dinamica. Protettore e amico di Joseph Pitton de Tournefort, fu da quest'ultimo ricordato con il genere Bignonia, poi validato da Linneo, destinato a dare non pochi grattacapi ai tassonomisti. La conseguenza? Ci sono due probabilità su tre che la pianta che chiamate "bignonia" per i botanici non sia affatto una Bignonia. L'eccezionale carriera di un Grand commis Terzogenito di una famiglia della nobiltà di toga che aveva ricoperto importanti incarichi amministrativi, Jean-Paul Bignon (1662-1743) fin dall'infanzia fu destinato alla carriera ecclesiastica. Ordinato prete nel 1691, fu nominato abate e predicatore di Luigi XIV. Era sicuramente un oratore brillante, tanto che nel 1693 fu ammesso all'Académie française, ma a favorire la sua carriera ai vertici delle istituzioni culturali della Francia del Re Sole fu soprattutto la protezione dello zio materno, Louis II Phélypeaux conte di Pontchartrain (1642-1727), cancelliere, controllore generale delle finanze, segretario di Stato della Marina e segretario di Stato della Casa del Re. Nel 1691, alla morte del potentissimo ministro Louvois, la tutela delle accademie, della biblioteca reale e del Gabinetto delle medaglie passarono sotto la giurisdizione del Segretario di Stato della Casa del re. Al contrario di Louvois, uomo gretto, di mentalità ristretta e burocratica, con scarse conoscenze scientifiche, che aveva ridotto all'osso i finanziamenti e soffocato la libera iniziativa di letterati e scienziati, Pontcartrain era un convinto assertore del ruolo delle scienze e delle lettere per la gloria del sovrano e la prosperità della nazione. Il primo passo della sua gestione fu la riorganizzazione della agonizzante Accademia delle Scienze; voluta da Colbert (1666), fino a quel momento era un semplice gruppo informale di eminenti matematici, scienziati, medici che si riunivano periodicamente presso la Biblioteca reale; Pontchartrain affidò al nipote, ovvero il nostro abate Bignon, la redazione dello statuto, che fu approvato dal re nel 1699. In tal modo l'accademia si trasformò in una istituzione organizzata con una struttura gerarchica: dieci membri onorari scelti tra personaggi altolocati; 18 accademici titolari di una pensione più un segretario e un tesoriere (tre per ciascuna delle seguenti categorie: geometri, astronomi, fisici meccanici, anatomisti, chimici, botanici); 18 "allievi" di almeno vent'anni, uno per ciascun accademico; 18 associati stranieri e 4 associati liberi. Erano previsti poi membri corrispondenti, in particolare per l'astronomia e la botanica, cui affidare le osservazioni locali. In tal modo, l'accademia diventava un centro di ricerca e di formazione nonché un punto d'incontro tra scienziati militanti e società civile. A dare continuità al progetto la presenza assidua e la guida di Bignon, che ne fu presidente o vicepresidente per circa venticinque anni. Il secondo passo fu la reinvenzione dell'Accademia delle iscrizioni e medaglie; anch'essa istituita da Colbert, fino a quel momento era un gruppo informale di quattro storici, numismatici e antiquari cui era affidato il compito di formulare le iscrizioni e i motti in onore del re su monumenti e monete; con la riforma del 1701, anch'essa disegnata da Bignon per incarico di Pontchartrin, si trasformò in una istituzione gerarchizzata sul modello dell'Accademia delle scienze (il nome diverrà Accademia delle iscrizioni e delle belle lettere) responsabile di importanti ricerche storiche e archeologiche. Ad assicurare la collaborazione tra le due accademie, quella scientifica e quella storica, la direzione dell'abate Bignon, che in quello stesso 1701 divenne anche uno dei tre membri ecclesiastici del Consiglio di Stato e dal 1705 al 1714 entrò nella redazione del Journal des savans, la più antica rivista letteraria e scientifica d'Europa (dopo un'interruzione decennale, dal 1724 ne sarebbe diventato direttore). Nel seno dell'Accademia delle scienze, grazie all'impulso di Bignon, incominciarono ad uscire i primi fascicoli della Description des arts et métiers, un'opera gigantesca che anticipa la futura Encyclopédie, di cui affidò la direzione a uno dei suoi protetti, il matematico e fisico René-Antoine de Réaumur. Pontchartrain affidò inoltre al nipote la direzione della censura; il risultato fu l'attenuazione del cosiddetto "regime dei privilegi", che prevedeva che nessuna opera potesse essere stampata senza la formale approvazione del re; da questo momento in avanti, venne stabilita una specie di silenzio assenso: un'opera che non aveva ottenuto il privilegio ma non era vietata era comunque tollerata. Il ritiro dello zio della politica nel 1714 impresse un momentaneo arresto alla carriera dell'abate, che dovette lasciare la direzione delle accademie e la redazione del Journal des savans (che tornerà a dirigere nel 1724). Dopo pochi anni di purgatorio, con la Reggenza e l'accesso al potere del cugino di secondo grado, Jean-Frédéric Phélypeaux, comte de Maurepas, uno dei più influenti ministri di Luigi XV, trovò un nuovo compito degno del suo attivismo e del suo genio amministrativo; nel 1718 venne infatti nominato Bibliotecario del Re (incarico che mantenne fino al 1740, quando lo cedette a un nipote). Bignon si trovò così a guidare la biblioteca più importante d'Europa. All'epoca, non esistevano né cataloghi né criteri di catalogazione; l'abate li introdusse, distribuendo i materiali in cinque tipologie (testi a stampa, manoscritti, titoli e genealogie, stampe e medaglie) e in 23 categorie, secondo il sistema recentemente elaborato dal bibliotecario Nicolas Clément. Grazie a una fitta rete di corrispondenti e contatti, arricchì inoltre i fondi della biblioteca facendo arrivare libri e riviste da tutta Europa. Sempre a lui si deve l'apertura della biblioteca reale al pubblico, anche se per un solo giorno alla settimana e per tre ore. Tra le scienze che riteneva meritevoli di essere valorizzate e diffuse, anche la botanica: fu su sua insistenza che nel 1691 Joseph Pitton de Tournefort, che all'epoca non era ancora neppure laureato, fu ammesso all'Accademia delle scienze, primo botanico ad ottenere tanto onore. Come si è già visto, nello statuto da lui redatto tre seggi accademici erano riservati ai botanici (una grande novità se si pensa che la botanica era ancora per lo più considerata ancella della medicina); come presidente dell'Accademia delle scienze egli inoltre stimolò la creazione di una rete di botanici residenti all'estero (un esempio potrebbe essere Gaultier, con le sue ricerche botaniche, meteorologiche e minerarie in Canada) e i viaggi naturalistici, a partire dalla spedizione in Levante dello stesso Tournefort. Molto ci sarebbe ancora da dire su questo attivo e influentissimo intellettuale, che molti considerano un precursore dell'Illuminismo oltre che un genio organizzativo; per una sintesi della sua vita rimando alla sezione biografie. Questa Bignonia è davvero una Bignonia? Riconoscente per la protezione accordatagli dall'abate, determinante per la sua carriera di botanico reale, Joseph Pitton de Tournefort volle onorarlo dedicandogli uno dei nuovi generi di Institutiones rei herbariae (1719), Bignonia, cui assegnò 11 specie americane, per lo più segnalate da Plumier, e due specie indiane tratte da Hortus Malabaricus. Il genere fu fatto proprio da Linneo, che lo validò in Species plantarum (1753). Anch'egli gli assegnò tredici specie, 11 desunte a Tournefort più due ricavate da Kaempfer. Primo genere ad essere descritto della famiglia cui avrebbe dato il nome, la Bignonia di Linneo era un gruppo eterogeneo, un vero e proprio minestrone: delle tredici specie linneane infatti solo due continuano ad appartenere al genere anche oggi, B. aequinoctialis L. e B. capreolata L; nove sono assegnate ad altri generi della famiglia Bignoniaceae: B. catalpa L. (oggi sinonimo di Catalpa bignonioides Walter), B. unguis cati L. (= Dolichandra unguis-cati (L.) L.G.Lohmann), B. paniculata L. (= Amphilophium paniculatum (L.) Kunth.), B. crucigera L. (= Amphilophium crucigerum (L.) L.G.Lohmann), B. leucoxylon L. (= Tabebuia heterophylla (DC.) Britton.), B. radicans L. (= Campsis radicans (L.) Seem.), B. caerulea (Jacaranda caerulea (L.) J.St.Hil.), B. radiata (= Argylia radiata (L.) D.Don, B. indica (= Oroxylum indicum (L.) Kurz; due addirittura appartengono ad altre famiglie: B. sempervirens L. (= Gelsemium sempervirens (L.) J.St.Hil.), famiglia Gelsemiaceae, B. peruviana L. (presumibilmente Nekemias arborea (L.) J.Wen & Boggan), famiglia Vitaceae. I botanici successivi fecero fatica a sbrogliare la matassa. Ampiamente diffuse in ambienti tropicali tanto diversi come la foresta pluviale e le foreste stagionali aride, e meno frequentemente nelle zone temperate, con oltre 800 specie distribuite in una ottantina di generi, le Bignoniacee (la famiglia fu creata nel 1789 da Antoine Laurent de Jussieu) costituiscono una famiglia ben caratterizzata e facilmente distinguibile, ma altrettanto difficile da classificare a livello di genere e specie. Gli uni e le altre sono infatti spesso polimorfi, senza contare gli inganni della convergenza evolutiva che non di rado ha prodotto caratteristiche simili in gruppi geneticamente lontani. Nel corso dell'Ottocento, anche se venivano via via creati nuovi generi, Bignonia L. continuò a lungo ad essere un vasto contenitore indifferenziato, tanto che ancora nel 1866 Henry Baillon ebbe a scrivere: "Fino a una certa epoca, quasi tutte le piante di questa famiglia erano assegnate al genere Bignonia". A un certo punto della sua esistenza, arrivò a comprendere 450 specie, per poi iniziare a dimagrire via via che venivano riconosciuti e separati altri generi, Il risultato è che ancora oggi la maggioranza delle persone quando pensa a una Bignonia, in realtà sta pensando a una Bignoniacea che Bignonia non è; infatti, nei nostri giardini, a parte B. capreolata, relativamente diffusa, sotto le mentite spoglie di Bignonia possiamo trovare specie come Campsis radicans, Campsis grandiflora, Podranea ricasoliana, Pandorea jasminoides, Tecoma capensis, Pyrostegia venusta (e l'elenco potrebbe continuare). Nella seconda metà dell'Ottocento e nel Novecento, sottoposto più volte a revisione, il genere Bignonia fu ridotto a tal punto che negli ultimi anni del secolo scorso le era riconosciuta una sola specie, B. capreolata. Uno studio recente (2014), basato su dati molecolari, ha nuovamente rimescolato le carte: con la confluenza di altri nove generi (Clytostoma, Cydista, Macranthisiphon, Mussatia, Osmhydrophora, Phryganocydia, Potamoganos, Roentgenia e Saritaea), Bignonia oggi comprende 28 specie, tutte liane neotropicali con centro di diversità in Brasile; l'unica a vivere in climi temperati è anche la specie più nota da noi, la semirustica B. capreolata, originaria del Sud est degli Stati Uniti, con fiori imbutiformi arancio ma talvolta bicolori. Tutte le altre specie sono prettamente tropicali; almeno due sono reperibili nel nostro paese in vivai specializzati, anche se in genere sono ancora commercializzate come Clytostoma; caratterizzate da meravigliosi fiori viola che possono ricordare la jacaranda, sono spesso note con il nome comune "bignonia viola". Troverete qualche informazione in più nella scheda.
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