La Missione geodetica nel Vicereame del Perù è correntemente nota come "Missione La Condamine". Eppure il matematico, geografo, avventuriero Charles Marie de La Condamine non ne era né l'ideatore né il capo designato (ruoli che spettano piuttosto a Godin); anzi, dei tre accademici era probabilmente il meno qualificato: come matematico era inferiore a Bouguer, come astronomo era appena un apprendista se paragonato a Godin. Furono piuttosto la sua abilità di scrittore e il suo fantastico viaggio di ritorno, che lo vide - primo scienziato a farlo - discendere il corso del Rio delle Amazzoni, a trasformarlo nel protagonista assoluto di un'impresa di cui in precedenza era stato solo uno dei tanti attori. Anche per quanto riguarda la botanica, egli strappò a Joseph de Jussieu il primato che gli sarebbe spettato di diritto, offrendo al mondo accademico la prima descrizione della misteriosa e ricercatissima Cinchona, l'albero da cui si ricavava il "cortice peruviano", ovvero la corteccia di china. Durante la discesa del Rio delle Amazzoni, poté inoltre osservare il modo in cui gli indigeni si servivano del curaro e del lattice dell'albero della gomma, Hevea brasiliensis. Grande osservatore, ha lasciato una testimonianza preziosissima (anche se spesso non benevola) della vita delle comunità indie dell'Amazzonia. Se non avesse letto le sue pagine affascinanti forse Humboldt non avrebbe mai deciso di partire per il Sud America. Insomma, ce n'è abbastanza per guadagnargli la dedica di un genere botanico, Condaminea, che de Candolle scelse proprio per la sua affinità con Cinchona, di cui La Condamine fu il primo descrittore. La "scoperta" dell'albero della china Dei tre accademici inviati in Ecuador a misurare il meridiano, Charles Marie de La Condamine era di sicuro il meno "accademico" e il più avventuroso. Figlio di un facoltoso ricevitore delle imposte, era stato per qualche anno militare; insofferente della disciplina, aveva poi deciso di dedicare la propria vita alla scienza, studiando molte materie diverse, dalla matematica alla chimica, dalla meccanica alla fisica. Aveva anche dimostrato un notevole fiuto per gli affari; nel 1729, a capo di una cordata di cui faceva parte anche Voltaire, applicando il calcolo delle probabilità era riuscito ad arricchire se stesso e l'amico philosophe sfruttando le falle di una lotteria indetta dal ministero delle finanze per incentivare l'acquisto delle obbligazioni municipali parigine. Ma la vita sedentaria non era fatta per La Condamine, che nel 1731 si unì alla squadra dell'ex corsaro Dugay Trouin inviata ad ispezionare gli scali del Mediterraneo. Poté così visitare Algeri, Tripoli, Tunisi, Alessandria d'Egitto, la Terra santa, Cipro, Rodi e le isole del Dodecaneso, per poi fermarsi tre mesi a Costantinopoli. Durante il viaggio, tenne un diario, rimasto inedito, e raccolse osservazioni geografiche, matematiche e fisiche che al suo ritorno, presentate all'Accademia delle scienze, gli guadagnarono l'ammissione alla prestigiosa istituzione. Fu dunque in qualità di accademico e viaggiatore già riconosciuto che poté partecipare alla spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. E' stato osservato che, studioso eclettico com'era, era un matematico meno preparato di Bouguer, e un astronomo poco più che dilettante, rispetto allo specialista Godin. Eppure è certo che senza di lui la spedizione sarebbe fallita sul nascere. Furono infatti le sue doti di uomo di mondo e la sua abilità finanzia a salvarla ripetutamente dal disastro, sia sostenendo i suoi compagni con prestiti a fondo perduto (l'affare della lotteria l'aveva reso milionario) sia negoziando prestiti e trovando crediti presso la corona spagnola e finanziatori privati. Divenne così abituale, quando la spedizione si arenava per mancanza di fondi, inviare La Condamine fino a Lima a raggranellare quattrini. Fu proprio durante uno di questi viaggi che egli fece la "scoperta" (come vedremo, il termine è piuttosto improprio) destinata a farlo entrare nella storia della botanica. Tra gli obiettivi secondari della missione c'era anche quello di sapere qualcosa di più sulla misteriosa "corteccia dei gesuiti" (in Italia la chiamavano anche "cortice peruviano"), unico rimedio veramente efficace contro la malaria. In Europa arrivava sotto forma di frammenti di corteccia, importati dal Perù, prima grazie ai Gesuiti poi all'impero spagnolo, che ne difendeva strenuamente il monopolio, mantenendo il segreto sull'origine di quel farmaco miracoloso. Appena giunto in Ecuador, Joseph de Jussieu si era dato da fare per raccogliere tutte le informazioni disponibili ed era riuscito a scoprire che la corteccia proveniva da alberi delle foreste della regione intorno a Loja. Non aveva però ancora potuto andare a verificare di persona; in attesa di farlo, aveva mandato in avanscoperta La Condamine che nel 1737, sulla strada per Lima, fece una deviazione per Loja munito delle sue indicazioni. Sul posto seppe che la migliore "cascarilla" (questo era il nome spagnolo della droga) si raccoglieva a circa due miglia dalla cittadina, sul monte Cajanuma; vi si trasferì immediatamente e trascorse la notte del 3 febbraio ospite di uno dei più abili raccoglitori e commercianti, che il mattino dopo lo condusse nella foresta dove poté infine vedere qualche esemplare del misterioso albero, disegnarne un ramo e raccogliere semi, fiori e foglie. Gli indigeni lo chiamavano quinaquina ("corteccia delle cortecce") e ne distinguevano tre qualità, in base al colore del tronco sotto la corteccia: rossa, la migliore e più potente, gialla e bianca. Al suo rientro a Quito, La Condamine si affrettò a scrivere le sue osservazioni in una memoria per l'Accademia delle scienze, in cui, dopo aver esposto la storia degli usi della corteccia di china, ne descrisse i tre tipi, nonché le modalità di raccolta e di conservazione praticati dagli indios. Spedita in Europa, fu letta in una seduta dell'Accademia parigina nel 1740. Pochi mesi dopo il viaggio di La Condamine, insieme al medico Siniergues e al disegnatore Morainville Jussieu poté infine visitare egli stesso l'area di Loja, studiando le piante di china in modo molto più approfondito e sistematico; ma poiché la sua memoria Description de l'arbre à quinquina rimase inedita, a far conoscere la vera identità dell'albero alla scienza europea fu La Condamine. Fu sulla base della sua descrizione (nonché degli esemplari essiccati che avrebbe portato con sé in Europa) che Linneo creò il genere Cinchona. Come abbiamo già visto in questo post, la spedizione fu funestata da vari incidenti e soprattutto dalla rivalità tra i tre accademici che la dirigevano, Godin, Bouguer e La Condamine. Per qualche tempo gli ultimi due si coalizzarono contro Godin e lavorarono insieme, ma, quando nel 1741 Bouguer scoprì un piccolo errore nei loro calcoli, tra di loro scoppiò una lite così violenta che da quel giorno si tolsero la parola, continuando a lavorare ognuno per conto proprio. Nella primavera del 1743, quando La Condamine venne a sapere che l'ex amico si accingeva a tornare in Europa per la via più breve, decise che la sua strada sarebbe stata un'altra: avrebbe attraversato il continente e raggiunto l'Atlantico discendendo il Rio delle Amazzoni. Lungo la corrente del grande fiume A spingerlo a questa decisione furono diversi fattori: la consapevolezza che la Missione, cui pure aveva dedicato otto anni della sua vita, non gli avrebbe assicurato alcuna gloria, visto che la questione della forma della Terra era già stata risolta e liquidata dalla spedizione in Lapponia di Maupertuis; il suo carattere avventuroso e il fascino esercitato anche su questo razionale figlio dei Lumi dalle leggende nate attorno al grande fiume, sulle cui rive si favoleggiava si trovasse il mitico Eldorado e vivessero tribù di amazzoni guerriere; ma l'elemento determinante fu l'amicizia con l'uomo politico e scienziato Pedro Vicente Maldonado (1704-48), che rendeva quell'impresa, se non facile, almeno fattibile. Membro di una delle più illustri famiglie del Vicereame, proprietaria di estesi latifondi nella Sierra centrale dell'Ecuador, Maldonando era un sagace amministratore, un esploratore e uno studioso autodidatta della natura del suo paese. Quando la spedizione geodetica arrivò in Perù, era impegnato nella costruzione di una strada che avrebbe dovuto collegare l'Audienca di Quito con Panama, attraversando le impenetrabili foreste della provincia di Esmeraldas. Fu proprio qui che lo incontrò La Condamine al suo arrivo in Ecuador, mentre dalla costa si spostava a Quito. Tra i due, uniti dall'amore per la scienza e dallo spirito avventuroso, iniziò una grande amicizia. Maldonado, che dal 1742 divenne anche governatore di Esmeraldas, collaborò in molti modi con la Missione geodetica, fornendo appoggio logistico e aiuti finanziari; insieme a La Condamine, redasse una importante Mappa della regione di Quito. Fu forse lui a proporre al geografo francese di raggiungere la costa atlantica scendendo il corso del Rio delle Amazzoni; anni prima aveva già visitato la regione di Maynas, da cui si accedeva al grande fiume, e sapeva che durante il viaggio avrebbero potuto trovare ospitalità nelle missioni gesuite disseminate lungo il suo corso. Da tempo sognava di andare in Europa, dove l'amicizia con La Condamine gli avrebbe aperto le porte delle società scientifiche. Il grande viaggio iniziò nel maggio 1743. Il primo a muoversi fu Maldonado; partito da Baños, scese lungo il Pastaza, un tributario del fiume Marañón che attraversava la regione di Maynas che egli aveva già visitato in passato. A giugno arrivò a La Laguna, il principale centro delle missioni di Maynas, dove, in attesa dell'arrivo di La Condamine, si dedicò a osservazioni naturalistiche, raccogliendo tra l'altro per l'amico esemplari dell'albero di cannella (come abbiamo già visto parlando di Joseph di Jussieu, non si tratta della vera cannella, Cinnamomum verum, ma di un'altra Lauracea utilizzata come succedaneo, Ocotea quixos). Negli stessi giorni, La Condamine lasciò Tarqui, ma prima di unirsi all'amico volle visitare le miniere di Zaruma e soprattutto tornare a Loja, dove si procurò alcune pianticelle e moltissimi semi di Cinchona; la sua intenzione era portarli con sé in Francia, per rompere il monopolio iberico con una vera e propria operazione di contrabbando. Per raggiungere il bacino del Rio delle Amazzoni aveva deciso di scendere lungo il Marañón, ma prima dovette affrontare un cammino difficile, funestato dalla pioggia incessante, tra selve impenetrabili e torrenti troppo impetuosi per consentire la navigazione; mentre ne guadava uno, una delle mule, carica dei suoi strumenti e degli appunti, finì in acqua, rischiando di fargli perdere tutto. Giunto all'altezza di Jaen, poté infine imbarcarsi sul Marañón con le sue guide: lo attendeva il difficile Pongo de Manseriche, una gola lunga circa cinque chilometri, dove l'alveo del fiume si restringe da 450 metri a poco più di 40 e la navigazione è resa insidiosa dalle pareti a strapiombo e dai gorghi. La zattera su cui era imbarcato rischiò di essere sommersa insieme a tutte le raccolte. Ma La Condamine aveva già imparato come difenderle dall'umidità: ancora in Ecuador, era stato colpito dagli oggetti di caucciù fabbricati dagli indigeni e dalle sue guide imparò a creare involucri di stoffa resi impermeabili immergendoli nel lattice. Superata la terribile gola, prese terra a Borja dove fu ospitato dal padre gesuita Maguin che gli diede una carta della regione e si offrì di accompagnarlo fino alla missione di La Laguna, dove era fissato l'appuntamento con Maldonado. Dopo sei settimane di separazione, finalmente i due amici si ricongiunsero, La navigazione lungo la corrente del rio delle Amazzoni iniziò il 23 luglio. Imbarcati con i vogatori che su davano il cambio e remavano giorno e notte in due grandi canoe, ciascuna formata da un unico tronco, poterono ora navigare in relativa sicurezza, dedicando tutto il loro tempo alle osservazioni scientifiche; La Condamine si occupò soprattutto di mappare e misurare il fiume, mentre Maldonado osservava e catalogava piante e animali, stupefatto per la loro abbondanza e varietà. Anche i costumi delle tribù che vivevano lungo il fiume non mancarono di attirare l'attenzione del sempre curioso La Condamine: alla confluenza tra il Marañón e l'Ucayali, dove inizia convenzionalmente il Rio delle Amazzoni, incontrarono la tribù degli Omagua che coltivavano una pianta dai semi allucinogeni e usavano porre le teste dei neonati tra pezzi di legno per arrotondarle. Alla confluenza con il Napo, dove arrivarono l'ultimo giorno di luglio, i due osservarono l'emersione del primo satellite di Giove e determinarono la latitudine esatta della località, mettendo finalmente a frutto il pesante telescopio che il francese aveva trascinato con sé per centinaia di chilometri tra fiumi e montagne. Dopo una sosta nella missione di Pebas, per tre giorni attraversarono un'area quasi disabitata finché arrivarono alla missione carmelitana di Sao Paulo, già in territorio portoghese. Qui furono stupiti dal trovare edifici in pietra e mattoni, e dal notare vestiti di stoffa inglese e oggetti importati come forbici, coltelli, specchi, pettini, che arrivavano dalla foce del fiume in cambio del cacao. Grande osservatore, uomo di ampie letture e di molteplici interessi, La Condamine si informava di tutto, misurava tutto e tutto annotava. La sua testimonianza sui costumi delle tribù indie è particolarmente preziosa, perché presto sarebbero state cancellate o assimilate. Già allora egli notò che le loro lingue erano in regresso di fronte all'avanzare del portoghese, mentre, come abbiamo già visto, nuovi oggetti e nuove abitudini soppiantavano i modi di vita tradizionali. Si informò accuratamente su come gli indios preparavano e usavano il curaro e come ne combattevano gli effetti, nonché sull'impiego del lattice di Hevea brasiliensis per confezionare oggetti di gomma. Egli pensava si trattasse della stessa pianta usata anche in Perù; in realtà gli indios peruviani ricavavano il lattice da Castilla elastica. Mano a mano che i viaggiatori scendevano lungo il fiume e incontravano un tributario dietro l'altro, l'alveo si faceva sempre più ampio. Quando giunsero dove il Rio Negro si getta nel Rio delle Amazzoni, La Condamine poté osservare il flusso di marea che dall'Atlantico risale il fiume, benché alla foce manchino ancora più di 1000 km. Il comandante del forte portoghese li accolse amichevolmente e li accompagnò per un tratto. Qui, dove il fiume è così largo che è impossibile scorgerne le rive, La Condamine notò sprezzantemente che l'abbondanza di pesci dovuta al riflusso della corrente "sembra aver favorito la naturale propensione degli indiani alla pigrizia". Verso i "selvaggi" non aveva certo un atteggiamento rousseauiano: li considerava poco più che bestie, dei gran pelandroni che approfittavano della generosità della natura per darsi da fare il meno possibile, nonché degli imprevidenti ghiottoni che si abbandonavano alle orge quando c'era abbondanza di cibo e facevano la fame quando non ce n'era. Non capiva che, in quel clima e in quelle condizioni, era impossibile fare e conservare scorte. Il 19 settembre Maldonado e La Condamine raggiunsero Gran Parà (oggi Belem): dopo quattro mesi di navigazione il grande viaggio era finito e i due si divisero: Maldonado decise di imbarcarsi immediatamente per la Spagna, dove intendeva far stampare la sua relazione sulla provincia di Esmeraldas. La Condamine si trattenne ancora a Gran Parà, dove fece esperimenti sul curaro e sui suoi antidoti. Era deciso a raggiungere il lembo estremo della foce: fu così che a bordo di un'altra canoa esplorò l'isola Marajó e raggiunse la piana di Macapà; misurandone la latitudine di 3 gradi nord, osservò con una certa ironia che sarebbe stata una sede perfetta per la missione geodetica dell'Accademia delle Scienze, ben più facile da raggiungere degli altopiani dell'Ecuador. Altri due mesi di canoa, dedicati a studiare le numerose bocche del Rio delle Amazzoni, lo portarono infine a Cayenne (Guyana francese), dove dovette aspettare ancora sei mesi una nave diretta in Francia; occupò il tempo facendo esperimenti sul curaro, sul lattice dell'albero della gomma e cercando di moltiplicare la Cinchona di cui distribuì il maggior numero possibile di semi. Quando infine partì per l'Europa, imbarcò anche numerosi virgulti, ma nessuno sopravvisse al viaggio. Era di nuovo a casa nel febbraio 1745, dopo dieci anni di assenza. A Parigi la sua vita sarebbe stata ancora lunga: a parte una sterile e virulenta polemica con Bouguer, occupò il suo tempo a viaggiare (fu in Italia e in Inghilterra), a intrattenere una formidabile corrispondenza, a battersi per l'inoculazione del vaiolo, che in gioventù gli aveva deturpato il volto, a propagandare la creazione di una misura universale (è la prima idea del metro); ma soprattutto a raccontare e divulgare la sua grande avventura di esploratore del Sud America. La sua Relation abrégée d'un voyage fait dans l'intérieur de l'Amérique méridionale, letta a un'assemblea dell'Accademia delle Scienze nel 1745, e soprattutto Journal du voyage fait par ordre du roi, à l'Equateur divennero due classici della narrativa di viaggi e influenzarono il modo in cui l'Europa per decenni vide il Sud America, ispirando anche il viaggio di Humboldt. Anche se la sua grande avventura aveva minato seriamente la sua salute, privandolo dell'uso di una gamba e rendendolo sordo, non perse mai la sua curiosità e il suo spirito combattivo: era consueto vederlo nei salotti e alle sedute dell'Accademia, appoggiato a un pesante bastone e con il cornetto acustico all'orecchio; anche quando, nel 1763, fu colpito dalla paralisi, continuò a studiare e a scrivere, collaborando anche all'Encyclopédie. Morì ultrasettantenne nel 1774. Una sintesi della vita nella sezione biografie. La poco nota Condaminea Anche se La Condamine non riuscì a far arrivare in Francia neppure una pianticella di Cinchona, come abbiamo già visto fu sulla base della sua descrizione che Linneo creò il genere. Bonpland, che seguì le orme del grande viaggiatore francese insieme all'amico Humboldt, ne battezzò addirittura una specie C. condaminea (oggi considerato un semplice sinonimo del linneano C. officinalis). A fare entrare il nostro poliedrico esploratore nella galleria dei dedicatari di generi botanici provvide però de Candolle nel 1830 in Prodromus Systematis Naturalis Regni Vegetabilis, dedicandogli Condaminea. La ragione è semplice: si tratta di una Rubiacea affine a Cinchona, e il botanico svizzero volle ricordarlo come "esploratore del Perù e primo descrittore di Cinchona". A questo piccolo genere distribuito tra Centro America e Brasile sudorientale sono attribuite quattro specie. La più nota è probabilmente C. corymbosa, un alberetto o un arbusto molto ramificato con grandi foglie cerose dalla consistenza coriacea e vistosi corimbi di fiori bianchi a imbuto con petali retroflessi, relativamente frequente nei terreni disturbati delle pendici andine, dove è una pianta antifrana utile per consolidare e trattenere il terreno. La parentela di Condominea con Cinchona è per altro molto meno stretta di quanto pensasse de Candolle: appartengono sì alla stessa famiglia, ma a tribù e sottofamiglie diverse; inoltre le specie di questo genere non risultano avere proprietà officinali. La dedica rimane però azzeccata, visto che il centro di diversità è la foresta pluviale amazzonica del Perù, che il nostro percorse tra mille difficoltà per raggiungere il Marañón. Un elenco delle specie e qualche notizia in più nella scheda.
0 Comments
Estremo lembo orientale della Siberia, la Kamčatka è una penisola lunga circa 2000 km, stretta tra il golfo d'Okhotsk a occidente e l'oceano Pacifico ad oriente. Anche oggi quasi disabitata (con un territorio poco maggiore di quello italiano, conta circa 300.000 abitanti), con un clima subartico e paesaggi mozzafiato, dominati dai numerosissimi vulcani, è un paradiso della biodiversità, con ambienti geologici unici, un fitto manto forestale, una ricchissima fauna - famosi su tutti gli orsi, che ne sono un po' il simbolo - e una flora varia e diversificata. Nel XVIII secolo, era abitata da circa 50.000 persone di etnia itelmena, che vivevano di caccia e pesca; la penetrazione dell'impero russo, che vi inviò nuclei di cosacchi e impose un tributo in pellicce ai locali, era iniziata da pochi decenni. Il primo a studiarla in modo sistematico fu Stepan Krašeninnikov, il più promettente degli studenti che parteciparono alla Grande spedizione del Nord. Secondo il progetto iniziale, a esplorare la penisola avrebbero dovuto essere i professori del distaccamento dell'Accademia, ma essi preferirono rimanere in Siberia e inviare al loro posto l'allievo. Giunto in Kamčatka nell'autunno del 1737, egli nell'arco di tre anni ne percorse in un lungo e in largo il territorio, raccogliendo una grande massa di informazioni benché lavorasse in condizioni difficilissime. Soltanto alla fine del 1740 arrivò da San Pietroburgo Georg Wilhelm Steller, che prese su di sé il comando della missione e gli ingiunse di rientrare nella capitale. L'arroganza del tedesco non lo ha tuttavia privato della gloria di essere stato il primo naturalista ad esplorare e descrivere la Kamčatka; gli si deve infatti Opisanie zemli Kamčatki, "Descrizione della terra di Kamčatka", il primo resoconto geografico, etnografico, linguistico e naturalistico della penisola, per la cui redazione Krašeninnikov poté avvalersi anche dei materiali di Steller. Titolare della cattedra di botanica e scienze naturali e curatore dell'Orto botanico dell'Accademia di San Pietroburgo, fu tra i primi russi ad essere ammesso in questa istituzione all'epoca ancora dominata da studiosi stranieri. A ricordarlo, oltre a diverse località della Kamčatka, il nome specifico di varie piante che fu il primo a descrivere, e il genere Krascheninnikovia, dedicatogli da un altro esploratore delle terre russe, Johann Anton Güldenstädt. Krašeninnikov l'esploratore Dominata da vulcani attivi, ricca di fiumi dalle acque purissime, con un manto forestale che offriva rifugio e alimento a una abbondante fauna selvatica, all'inizio del XVIII secolo la Kamčatka era abitata da circa 50.000 nativi che vivevano di caccia e di pesca. I russi li chiamavano Kamčadal, ma essi si definivano Itelmen. I primi nuclei russi, costituiti da distaccamenti militari di cosacchi incaricati di imporre ai nativi un tributo in pellicce, vi arrivarono nel corso del Seicento, creando piccoli insediamenti soprattutto sulla costa occidentale. Il più importante era il forte di Bolšeretsk, in realtà un minuscolo accampamento fortificato che nel 1728, quando Bering vi giunse durante la Prima spedizione in Kamčatka, contava appena 14 abitazioni. Proprio muovendo da Bolšeretsk Bering e i suoi uomini tra l'autunno e l'inverno 1728-29 compirono una difficile marcia attraverso le montagne per raggiungere la costa orientale, dove la primavera successiva costruirono la nave con la quale avrebbero esplorato il Pacifico settentrionale alla ricerca del passaggio a Nord est. Era il primo contatto scientifico con la penisola, sufficiente a mostrarne il grande interesse geologico e l'enorme potenziale naturalistico e economico (vale la pena ricordare che le pellicce erano la prima voce nelle esportazioni dell'Impero russo). L'esplorazione sistematica del suo territorio fu dunque uno dei principali obiettivi scientifici della Seconda spedizione in Kamčatka; ad occuparsene avrebbero dovuto essere i professori del distaccamento dell'Accademia, ma le cose andarono diversamente. Infatti, quando giunsero a Yakutsk, dove si trovava il quartier generale di Bering, Müller e Gmelin cambiarono programma. Il primo era seriamente ammalato, mentre il secondo aveva perso buona parte delle sue raccolte in un incendio. Decisero così di rimanere in Siberia e di inviare in avanscoperta in Kamčatka il loro studente più promettente, Stepan Petrovič Krašeninnikov, che intendevano raggiungere in un secondo tempo. Cosa che non avvenne mai. Fu così che il primo studioso a esplorare la penisola, e più tardi a pubblicare i risultati nella sua lingua madre, non fu uno dei numerosi scienziati tedeschi che dominavano l'Accademia della scienze, ma un figlio della grande madre Russia. In tal modo, il viaggio in Kamčatka di Krašeninnikov costituisce una tappa importante della nascita della scienza russa e della sua emancipazione dai mentori occidentali. In una Russia che non aveva conosciuto né il Rinascimento né la Rivoluzione scientifica, non esisteva infatti personale scientifico formato. Per sopperire in tempi rapidi a questa lacuna, su suggerimento di Leibnitz, con il quale si era intrattenuto a lungo durante il suo viaggio in Europa, Pietro il Grande volle creare l'Accademia russa delle Scienze (l'atto di fondazione è del 1724, poco prima della morte dello zar), che era allo stesso tempo una società scientifica e un centro didattico, da cui dipendevano un ginnasio e un'università. Le lezioni, in lingua latina, erano tenute dagli accademici, tutti stranieri provenienti da università dell'Europa occidentale; nel disegno di Pietro, in tal modo sarebbe stata formata una leva di giovani studenti russi che sarebbero diventati gli studiosi di domani, nonché i tecnici e i funzionari necessari al progresso del paese. Capiamo dunque bene perché la seconda spedizione in Kamčatka, cui l'Accademia fornì personale e supporto scientifico, accanto a tecnici e studiosi stranieri, come lo stesso Bering, danese, oppure il francese de l'Isle de la Croyère e i tedeschi Müller, Gmelin e Steller, abbia visto la partecipazione di un gruppetto di promettenti studenti russi, provenienti dai ranghi del ginnasio o dell'università dell'Accademia, oppure dalla migliore delle scuole moscovite, l'Accademia slavo-greco-latina. La spedizione, in tal modo, fu anche un gigantesco laboratorio didattico in cui gli studenti apprendevano il metodo e il linguaggio scientifico affiancando i propri professori sul campo. Uno di loro era il nostro protagonista, Stepan Petrovič Krašeninnikov. Figlio di uno soldato povero, si era distinto tra gli studenti dell'Accademia slavo-greco-latina, che offriva un corso di studi ancora tradizionale, basato essenzialmente sullo studio delle lingue classiche e della logica aristotelica. Proprio in vista della spedizione, nel 1732 (all'epoca era ventenne) fu inviato a San Pietroburgo dove venne istruito dai professori che poi avrebbe accompagnato nella spedizione, in particolare Gmelin e Müller. Partito con loro nell'agosto 1733, li accompagnò fino a Yakutsk; durante il lungo viaggio, durato circa tre anni, fece osservazioni meteorologiche con Gmelin e fu coinvolto in diverse escursioni a breve raggio, in cui via via affinò la sua capacità di studiare un territorio in ogni suo aspetto, dalla geografia alla geologia, dagli animali e dalle piante alle risorse economiche, senza trascurare la storia, gli usi, i costumi e le lingue delle popolazioni locali (campo in cui dimostrò un'eccezionale attitudine). Tra l'altro, fu incaricato di studiare due caverne e dipinti rupestri nei pressi di Krasnoyarsk e nel luglio 1735 diresse la sua prima spedizione indipendente, in cui esplorò e studiò le sorgenti calde sul fiume Onon. Il progetto iniziale prevedeva che tutto il gruppo proseguisse con Bering e si imbarcasse per la Kamčatka; come ha già anticipato, Müller e Gmelin rimasero invece in Siberia e ordinarono a Krašeninnikov di recarsi in Kamčatka a preparare il campo dove lo avrebbero raggiunto in un secondo tempo. Nel luglio 1737 Krašeninnikov partì dunque con il gruppo di Bering per Okhotsk, raggiunto dopo un faticoso cammino di 47 giorni; si imbarcò quindi con gli altri sulla nave Fortuna in direzione di Bolšeretsk, ma, poiché il battello era sovraccarico, dopo nove ore in balia delle onde, per proseguire si dovette buttare a mare buona parte dei bagagli (Krašeninnikov perse così le provviste per due anni e una parte dell'attrezzatura). Appena sbarcati, nell'ottobre 1747, sperimentarono anche gli effetti di un terremoto, uno tsunami con epicentro nelle Curili, la lunga dorsale di isole che unisce la Kamčatka al Giappone. Mentre il resto della spedizione proseguiva il suo cammino verso la costa orientale, dove sarebbero state costruite le navi per l'esplorazione del Pacifico settentrionale, Krašeninnikov rimase a Bolšeretsk per preparare il campo base e iniziare l'esplorazione della penisola. Era una regione difficile e ostile (oltre a terremoti e al clima rigido, erano frequenti le ribellioni dei locali, poco disposti ad assoggettarsi al tributo imposto dai russi), ma estremamente varia e interessante da ogni punto di vista; intanto, una geologia peculiare con circa 160 vulcani, 29 dei quali attivi, campi di geyser, fonti di acque termali; una grande ricchezza di acque, con migliaia di corsi d'acqua alimentati da oltre 400 ghiacciai e centinaia di migliaia di laghi; un clima fondamentalmente subartico, ma con forti differenze, tra le valli e le cime, le zone interne e quelle costiere, tra la fredda costa orientale e la più mite costa occidentale; ambienti naturali altrettanti vari, in cui alla tundra arida e alle torbiere si alternano praterie erbose, boscaglie e foreste di conifere e latifoglie; una fauna estremamente ricca (lo è ancora oggi, e tanto più lo era trecento anni fa) con numerosi mammiferi, tra cui l'orso, il re e il simbolo animale della penisola, uccelli stanziali e di passo, un eccezionale patrimonio ittico. Appena giunto a Bolšeretsk, Krašeninnikov si attivò per preparare il terreno per l'arrivo dei professori, creando un campo base che includeva un piccolo giardino di acclimatazione per le piante, secondo le indicazioni di Gmelin. Dedicò questi primi mesi a brevi escursioni nella regione più meridionale, quindi nella primavera del 1738, accompagnato da un interprete e da un drappello di soldati, partì per la prima delle undici spedizioni nel corso delle quali avrebbe battuto in lungo e in largo la penisola. Percorse sia lunghi tratti della costa sia l'interno da sud a nord, per un totale di oltre 3500 km. Fu così in grado di descrivere le quattro penisole orientali della Kamčatka e i golfi da esse formati, i maggiori vulcani (tra cui il vulcano attivo più alto d'Eurasia, Ključevskaja Sopka, 4688 metri), i campi di geyser delle valli dei fiumi Paužetka e Banna. Seguirono numerose escursioni minori e una seconda lunga spedizione, iniziata nell'autunno del 1739, in cui Krašeninnikov risalì il fiume Bystra, per poi raggiungere le sorgenti del fiume Kamčatka che scese fino al forte cosacco di Nižne-Kamčatsk, dove raccolse informazioni sull'aurora boreale, chiaramente visibile nel marzo di quell'anno. I suoi informatori erano sia i pochi russi presenti nell'area, sia soprattutto i locali, da cui acquistava manufatti e che interrogava sulle pratiche di caccia e pesca, oltre ad osservarne gli usi e i costumi, secondo le precise indicazioni di Müller. Ovviamente, durante i suoi viaggi non mancava mai di raccogliere esemplari naturalistici che poi inviava a Gmelin, accompagnati da lettere-relazione in latino. Nel settembre 1740, giunsero a Bolšeretsk de l'Isle de la Croyère e Steller. Krašeninnikov, dopo tre anni di esplorazione solitaria, si ritrovò all'improvviso nei panni dello studente. Il tedesco infatti era stato incaricato di prendere il comando delle operazioni in Kamčatka e non senza arroganza ordinò al giovane russo di consegnargli i suoi materiali e di obbedire ai suoi ordini. Nell'inverno del 1740, Krašeninnikov mosse ancora una volta a nord, con l'intento di studiare i Coriachi (stanziati a nord della Kamčatka) e ebbe modo di osservare l'eruzione del vulcano Tolbačik. Tra l'inverno e la primavera del 1741, esplorò insieme a Steller la zona a sud di Bolšeretsk; durante questo viaggio, furono i primi naturalisti a vedere un raro mammifero marino poi denominato "leone marino di Steller", Eumotopias jubatus. Nel frattempo però erano giunti nuovi ordini da San Pietroburgo e Steller ingiunse a Krašeninnikov di raggiungere Gmelin e Müller in Siberia e di rientrare con loro nella capitale. Krašeninnikov l'accademico Krašeninnikov obbedì, ma senza fretta. Lasciata la penisola nel giugno 1741, arrivò a Turinsk, dove lo aspettavano i professori, solo ad ottobre, muovendosi lentamente per arricchire le sue collezioni. Insieme ai suoi maestri, svernò a Yakutsk, dove si sposò con la figlia del governatore locale. Ripercorrendo in parte il cammino dell'andata per completare le raccolte e le osservazioni, il gruppo, che ora includeva anche la neosposa, giunse finalmente a San Pietroburgo nel febbraio 1743. La lunga avventura in Oriente aveva fornito allo studioso russo gli strumenti e le credenziali per entrare nel mondo accademico. Due mesi dopo il suo ritorno, insieme ad altri studenti che avevano partecipato alla spedizione, sostenne un esame orale di botanica e latino, di fronte a una commissione costituita da Gmelin e da Siegesbeck, all'epoca curatore dell'orto botanico dell'Accademia. Nel 1745 venne accolto nell'Accademia come professore aggiunto, discutendo una tesi di dottorato su alcuni pesci della Kamčatka; iniziò anche a lavorare all'orto botanico come assistente di Siegesbeck, che poi sostituì quando questi fu costretto a dimettersi (1747). Krašeninnikov divenne così uno dei primi membri russi dell'Accademia delle scienze. Nel 1749 fece parte della commissione incaricata di respingere le "scandalose" tesi dell'antico maestro Müller, che aveva sostenuto (a ragione) l'origine vichinga dei fondatori della Russia, che egli respinse con forza insieme a Lomonosov e altri studiosi russi. Nel 1750 divenne titolare della cattedra di botanica e scienze naturali e qualche mese dopo fu nominato rettore dell'Università. Intanto, nel 1745 Steller era morto in Siberia, lasciando un manoscritto tanto ricco quanto indecifrabile, in cui al latino si alternavano il russo e il tedesco. L'Accademia decise di consegnarlo a Krašeninnikov, l'unica persona in grado di venirne a capo, per il perfetto dominio delle tre lingue, la sua lunga esperienza in Kamčatka e la collaborazione con lo stesso Steller. Integrando le note del tedesco con le proprie copiose osservazioni, intorno al 1748 Krašeninnikov incominciò così a scrivere un'opera sulla Kamčatka, che uscì nel 1755, poco dopo la sua morte, con il titolo di Opisanie zemli Kamčatki, "Descrizione della terra di Kamčatka". Di carattere enciclopedico, è divisa in due tomi, il primo dedicato alla geografia, alla fauna e alla flora, il secondo alla storia, alla cultura e alle lingue dei popoli nativi. Il primo tomo si apre con una sezione sulle caratteristiche generali della penisola e delle terre confinanti, con particolare attenzione ai fiumi; segue una sezione dedicata alla storia naturale, con approfondimenti sui vulcani, i geyser, gli animali e le piante, il commercio delle pellicce di zibellino, le maree. Nel capitolo dedicato alle piante, oltre a descrivere numerose specie fin ad allora sconosciute alla scienza, si dimostra soprattutto attento al loro uso come medicinali o alimenti, sulla base delle informazioni raccolte dai nativi. Analogamente, anche il secondo tomo è diviso in due parti: la prima descrive i popoli della penisola, le loro usanze, le loro lingue; la seconda espone la storia della conquista russa e le condizioni di vita dei russi e dei locali. Incuriosito e a volte indignato dai costumi di questi ultimi, Krašeninnikov oscilla tra la condanna per ciò che gli appare rozzo o lascivo e l'ammirazione per la libertà e la totale sintonia con il mondo naturale. Nazionalista e convinto assertore dell'imperialismo russo, non manca la difesa del "mite" dominio russo, condita con elogi cortigiani dell'imperatrice (all'epoca regnava Elisabetta, la figlia di Pietro). Accanto alla stesura di quest'opera, negli anni di San Pietroburgo, il principale interesse di Krašeninnikov fu la botanica, cui dedicò quasi tutti gli articoli pubblicati negli Atti dell'Accademia delle scienze. Studiò la flora dei dintorni di San Pietroburgo, lasciando un manoscritto che molti anni dopo fornì materiali a Grigorij Sobolevskij per la sua Flora petropolitana (1799). Nel 1752 visitò il lago Ladoga e Novgorod per studiarne la flora; i materiali da lui raccolti, sistemati da David de Gorter seguendo il sistema linneano, vennero pubblicati nel 1761 sotto il titolo Flora ingrica. Probabilmente minato dai lunghi anni trascorsi in Siberia, morì appena quarantaquattrenne, subito dopo aver terminato la prefazione di Opisanie zemli Kamčatki; secondo la testimonianza di un contemporaneo, si spense proprio il giorno in cui terminò la stampa del suo capolavoro. Nel 2015 le sue avventure in Kamčatka sono state raccontate nel documentario Expedition to the End of the Earth con la regia di A. Samoilov. Una sintesi della sua vita come sempre nella sezione biografie. Krascheninnikovia, una lanosa pianta delle steppe Come pioniere dell'esplorazione della Kamčatka, Krašeninnikov è ricordato da un certo numero di nomi geografici della regione e delle aree limitrofe, come il vulcano Krašeninnikov o la penisola Krašeninnikova. Gli è stato dedicato anche un asteroide e il nome specifico di qualche animale (ad esempio, il salmonide Salvelinus malma krascheninnikova) e di una decina di piante, come Gipsophila krascheninnikovii o Astragalus krascheninnikovii. Nel 1772, un altro grande protagonista dell'esplorazione dell'Impero russo, Johann Anton Güldenstädt (il primo a studiare sistematicamente il Caucaso) volle onorarlo con il genere Krascheninnikovia (famiglia Amaranthaceae). Una seconda dedica giunse molti decenni dopo (1840) da parte del botanico Nikolaj Stepanovič Turčaninov, che intorno agli anni '30 dell'Ottocento ripercorse alcuni dei territori siberiani visitati da Krašeninnikov e dai suoi maestri durante la Grande spedizione del Nord. Anche se la grafia è lievemente diversa, questo genere Krascheninikovia (famiglia Dianthaceae) non è valido per la regola della priorità. Krascheninnikovia Guldenst. è un piccolo genere di arbusti tipico delle steppe aride e fredde dell'emisfero boreale. Il numero di specie è discusso (da uno a tre), perché quella più diffusa, K. ceratoides, è estremamente variabile, con numerose varietà a diffusione locale che in passato sono state considerate specie a sé. Oggi le si riconoscono fondamentalmente due sottospecie: l'euroasiatica K. ceratoides sub. ceratoides e l'americana K. ceratoides sub. lanata. La prima è presente dall'Europa centrale all'Asia nord-orientale, con alcune colonie isolate in Marocco, Egitto e Spagna (relitti di una fase interglaciale a clima più freddo e arido); la seconda negli altopiani e nei deserti freddi dell'America nord-occidentale, dal Canada al Messico settentrionale, con una presenza particolarmente significativa in California. Si tratta di un arbusto o suffrutice alto circa un metro, eretto o prostrato, con piccole foglie tomentose dalle forme assai variabili; le infiorescenze sono dense spighe allungate, con numerosi fiori maschili protetti da grandi brattee lanose e pochi fiori femminili raggruppati in posizione terminale, con brattee più piccole. I semi sono provvisti di lunghi peli setosi bianchi che ne favoriscono la dispersione grazie al vento. La sottospecie americana, nota con il nome comune winter fat, ha un ruolo ecologico molto importante come foraggio per gli erbivori selvatici soprattutto nella stagione invernale. Oggi è talvolta anche coltivata per la bellezza delle foglie argentee, ma anche per le soffici fioriture. Qualche approfondimento nella scheda. Quale sarà il legame tra il genere Ibervillea, noto agli amanti delle succulente per i suoi enormi caudici tondeggianti, e il sieur d'Iberville, avventuriero franco-canadese, scopritore della foce del Mississippi e fondatore della Louisiana? In mancanza di una correlazione evidente e di una dichiarazione esplicita del creatore della denominazione (e non credendo nelle sedute spiritiche) dobbiamo affidarci a qualche indizio. In ogni caso, l'uno e l'altra (il personaggio e la pianta) sono singolari e meritano di diventare protagonisti di una delle mie storie verdi. Iberville? Chi o che cosa? Nel 1895, in una notarella uscita su una delle riviste che pubblicava a sue spese, il combattivo botanico Edward Lee Greene creò il genere Ibervillea, correggendo un errore del belga Cogniaux, che aveva denominate queste piante Maximowiczia, senza tener conto che il nome non era disponibile, essendo già utilizzato per una Magnoliacea. Purtroppo Greene non si preoccupò di spiegare l'origine del nome. In libri e repertori, troviamo tre spiegazioni: alcuni si accontentano di dire che deriva da Iberville, senza aggiungere di che cosa o di chi si tratti; altri sostengono che il nome è ricavato dalla parrocchia di Iberville, nello stato della Louisiana, dove sarebbe stata raccolta per la prima volta la specie tipo, I. lindheimeri; la maggioranza, infine, spesso in forma dubitativa, afferma che onora Pierre Le Moyne d'Iberville, soldato, avventuriero e esploratore franco-canadese, fondatore della Louisiana. L'ipotesi della derivazione da un toponimo è facile da respingere: I. lindheimeri non vive in Louisiana, e i primi esemplari furono raccolti in Texas, nei pressi di New Braunfels. Rimane dunque in campo solo l'ipotesi sieur d'Iberville. Per confermarla, in mancanza di informazioni dirette, ci serve almeno qualche indizio. La mia idea è stata analizzare le denominazioni celebrative create da Greene; sono parecchie decine (il botanico americano era un creatore entusiasta di denominazioni, attirandosi anche molte critiche di megalomania) e nella maggior parte dei casi onorano altri botanici, in particolare quelli che hanno dedicato i loro studi alla flora degli Stati Uniti sudoccidentali. Ma c'è anche un gruppetto di missionari, esploratori, fondatori di insediamenti, vissuti tra il Cinquecento e il Settecento; e tra loro, anche Cavelier de La Salle, primo esploratore del Texas e della Lousiana, che mancò la scoperta delle foci del Mississippi, impresa invece riuscita a d'Iberville. Greene (un bel personaggio che prima o poi merita più di questo cameo) fu il primo botanico a esplorare a fondo la flora dei nuovi Stati sudoccidentali dell'Unione e il primo ad tenere una cattedra di botanica a Berkley, in California; fu spesso in aspra polemica con i botanici dell'East Cost, in particolare con il loro patriarca, Asa Grey. E' evidente che le sue denominazioni celebrative, forse con una punta di polemica, vogliono proprio valorizzare chi lo ha preceduto (o talvolta accompagnato) nell'esplorazione di quelle regioni: la California, il New Mexico, l'Arizona, e - eccola - la Louisiana. D'Iberville è, tra loro, senz'altro il più illustre. Alla ricerca della foce del Mississippi Pierre Le Moyne sieur d'Iberville e d'Ardillières è un personaggio degno di film e romanzi (che infatti non sono mancati). Nato in Canada da un esponente di spicco della nuova colonia, sarebbe stato destinato al sacerdozio, ma scelse di essere marinaio e soldato. Tra 1686 e il 1697, partecipò alle guerre tra francesi e inglesi per il controllo del Canada, segnalandosi per il coraggio, l'audacia e il genio militare, senza per altro essere alieno dall'estrema violenza che caratterizzava la condotta militare di quei tempi (incluso il massacro dei coloni britannici e dei loro alleati Irochesi). Sconfisse ripetutamente gli inglesi, anche se si trattò sempre di vittorie effimere, i cui risultati andavano perduti non appena d'Iberville si spostava su un altro fronte di guerra. Ma non mi soffermerò su questa parte della sua carriera (per la quale rimando alla biografia), per concentrami sull'esplorazione della Louisiana, che con probabilità gli ha ottenuto la dedica di Greene. Nel 1697 il ministro della marina, conte di Pontchartrain, lo scelse a capo di una spedizione che doveva individuare la foce del Mississippi, riprendendo il progetto fallito da Cavalier de La Salle nel 1687. La piccola flotta, formata da quattro vascelli, lasciò il porto di Brest alla fine del 1698; ad accompagnare d'Iberville, anche uno dei suoi numerosissimi fratelli, Jean-Baptiste Le Moyne de Bienville. Oltre a La Salle, anche varie spedizioni spagnole avevano fallito nel compito di individuare lo sbocco del grande fiume; infatti, a diverse miglia dalla costa il Mississippi si divide in una moltitudine di canali, all'epoca un vero labirinto d'acqua. Un primo aiuto venne a d'Iberville da Laurent de Graff, un antico bucaniere, che egli prese con sé durante lo scalo a San Domingo: nel corso dei lunghi anni in cui aveva fatto la guerra da corsa agli spagnoli, de Graff aveva acquisito un'ampia conoscenza del settore settentrionale del golfo e aveva individuato in mare una misteriosa fonte di acqua dolce, che poteva ben corrispondere allo sbocco del fiume. Il 25 gennaio le navi francesi giunsero all'isola di Santa Rosa, di fronte a Pensacola, nella Florida spagnola; non potendo sostare qui per l'ostilità degli spagnoli, che rivendicavano a sé il possesso della regione, proseguendo lungo la costa, il 31 gennaio gettarono l'ancora a La Mobilla (oggi Mobile Point); qui esplorarono una grande isola che battezzarono Ile du Massacre, avendovi trovato 60 cadaveri (più tardi fu rinominata Ile Dauphine). Avendo individuato un canale d'acqua salmastra, ma non navigabile, decisero di proseguire. Navigando lungo la costa, entrarono in contatto con alcuni gruppi di indiani Bayou Goula; comunicando con una specie di lingua franca dei cacciatori di pellicce, che d'Iberville aveva appreso in Canada, seppe che venivano dalle rive di un grande fiume che chiamavano "Malbanchya". I francesi decisero di ancorare le navi e di proseguire l'esplorazione con piccole imbarcazioni. A un certo momento, proprio mentre stava per cadere la notte, si levò un forte vento e le scialuppe rischiarono di naufragare; ma proprio all'ultimo momento, scoprirono uno stretto passaggio verso il fiume; protetti dalle raffiche del vento, poterono proseguire lungo il Mississippi fino al mattino. Era il 2 marzo 1699. Sulla riva occidentale superarono un enorme palo rosso che indicava il confine tra i territori di caccia delle tribù Houma e Bayou Goula (ecco l'origine della città di Baton Rouge, qui fondata dai francesi nel 1721). Si divisero quindi in due gruppi, che navigarono controcorrente uno lungo il Mississippi, l'altra lungo il Bayou Manchac e il lago Pontchartrain. Ritornarono così al punto di partenza, di fronte all'attuale Biloxi, dove li attendeva all'ancora la nave Marin. Navigando lungo il Bayou Machac, d'Iberville apprezzò immediatamente la bellezza e la ricchezza naturale di quell'ambiente, a suo parere adattissimo ad ospitare una ricca colonia. Il mese di marzo fu dedicato ad altre esplorazioni; ad aprile iniziò la costruzione del Fort Maurepas, sulla costa di Biloxi, terminata il 1 maggio. Prima di partire per la Francia il 4 maggio, d'Iberville vi lasciò una guarnigione di un'ottantina di uomini, comandata dal fratello de Bienville. Rientrato in Francia, d'Iberville annunciò il buon esito della missione e cercò di convincere re e ministri del vantaggio di fondare una colonia sulle rive del Mississippi; essi si mostrarono entusiasti, ma il denaro scarseggiava. Inoltre era impossibile dare l'assenso ufficiale, per non incorrere nell'ostilità della Spagna, in un momento molto delicato per la diplomazia francese (in trattative con l'ultimo degli Asburgo di Spagna perché istituisse suo erede il duca di Angiò, nipote di Luigi XIV). Venne comunque finanziata una seconda spedizione; nel gennaio 1700 d'Iberville era di nuovo a Biloxi e, avendo incontrato alcune imbarcazioni inglesi che scendevano il fiume, ordinò di costruire un secondo forte più a monte; eretto circa 60 di km più a nord, fu denominato dapprima Fort de la Boulaye quindi Fort Mississippi. Ma le sorti della colonia erano tutt'altro che stabilite; era necessario rientrare in Francia a perorarne la causa. Questa volta d'Iberville vi rimase quasi un anno, dall'agosto 1700 al settembre 1701. Intanto era scoppiata la guerra di successione spagnola, che spingeva le autorità francesi a un impegno più deciso in America. Per la terza volta d'Iberville partì per la Louisiana (così fu battezzava la nuova colonia, in onore di Luigi XIV) e a Mobile, sulla costa, fondò un terzo forte, Saint Louis. Seguì un quarto e ultimo viaggio, nel 1702, quando fece trasformare l’île Dauphine nel quartiere generale della colonia. Coinvolto nelle vicende della guerra di successione spagnola (nel 1706 con un colpo di mano occupò e devastò l'isola di Nevis), d'Iberville sarebbe morto quello stesso anno a Cuba. A presiedere alle sorti della colonia francese, rimase il fratello minore che, nel 1718, avrebbe fondato Nouvelle-Orlèans, ovvero New Orleans. Rampicanti dei deserti Il genere Ibervillea, della famiglia Cucurbitaceeae, comprende una decina di specie di perenni xerofile, endemiche di un'area che va dagli Stati Uniti sudoccidentali (New Mexico, Texas, Oklahoma) al Belize e al Guatemala; area di maggiore biodiversità il Messico, con sei specie. A destare l'interesse degli appassionati di succulente è lo spettacolare contrasto tra il massiccio organo di riserva, un grande caudice globoso perenne, che in alcune specie è parzialmente esposto, in altre sotterraneo, e l'esile vegetazione annuale, formata dai sottili fusti muniti di viticci e dalle delicate foglie palmate o pedate; possono essere coltivate come rampicanti, fornendo un supporto, o come ricadenti. I piccoli fiori gialli, molto simili a quelli di zucche e zucchine, hanno i lobi bipartiti all'apice; alcune specie sono dioiche, altre monoiche, alcune a fioritura diurna, altre notturna. Anche i piccoli frutti, che a maturazione assomigliano a palloncini rossi, sono un'ulteriore attrattiva. Le specie più note e più facilmente disponibili sono I. lindheimeri e I. sonorae. La prima è originaria degli Stati Uniti sudoccidentali e del Messico, ha foglie profondamente palmate, con cinque o tre lobi e un caudice grigiastro che nelle piante mature può raggiungere il diametro di 40 cm. La seconda è un endemismo del deserto di Sonora, negli Stati di Baja California e Sinaloa in Messico: cresce in aree sabbiose, al fondo e sulle pendici dei canyon, al piede di alberi, arbusti e cactus giganti, che lo proteggono dal sole e forniscono un supporto sul quale si arrampicano i sottili fusti dotati di viticci. Nella stagione arida, la vegetazione aerea scompare, mentre il caudice, che affiora dal terreno, simile quasi a un pezzo di legno morto, funge da riserva; appena arriva la pioggia, emette rapidamente nuovi fusti e foglie e nel giro di poche settimane arriva a fiorire e a produrre frutti; ma se non piove, è in grado di sopravvivere anche per anni, attendendo il momento propizio. Nella medicina tradizionale la radice (tossica) è utilizzata per curare molteplici malattie; le ricerche ne hanno confermato le proprietà antidiabetiche. Ricercate e di lenta crescita, le Ibervilleae sono anche piuttosto costose, ma sicuramente attraenti e curiose; nel clima mediterraneo possono essere coltivate all'aperto tutto l'anno, ma solitamente vengono tenute in vasi bassi in modo da valorizzarne al massimo le forme curiose, ritirandole in serra fredda là dove c'è il pericolo di gelate. Qualche approfondimento nella scheda. Dopo il primo viaggio di Cook (1763-1771), nelle grandi spedizioni oceaniche la presenza a bordo di almeno un naturalista è un fatto scontato. Ma la convivenza non è sempre facile, soprattutto se il naturalista è un botanico e non si accontenta di esemplari essiccati e semi, ma vorrebbe riportare a casa piante vive, che richiedono spazio, acqua, protezione dal clima mutevole, dalle burrasche, dalle onde, dalla salsedine, dagli animali di bordo. Molto può la benevolenza del capitano che, però di solito, ha ben altro per la testa. Lo scoprì a sue spese Archibald Menzies, alle prese con l'irascibile capitano Vancouver. Prima della partenza: le ingerenze di Banks Nel luglio 1789 - negli stessi giorni in cui la folla parigina mette un moto eventi di ben altra portata - nello stretto di Nootka, un'insenatura di quella che oggi conosciamo come isola Vancouver, va in scena una delle più insignificanti crisi diplomatiche della storia. Alcune navi mercantili britanniche vengono poste sotto sequestro (insieme ai beni dei mercanti e al loro insediamento sull'isola) dagli spagnoli, per aver osato commerciare e installarsi in un'area di cui la Spagna rivendica la sovranità. A Madrid e a Londra gli animi si eccitano, le rispettive flotte vengono mobilitate, sembra si arrivi alla guerra; senonché, proprio a causa degli eventi parigini, la Spagna, priva del sostegno della Francia, è costretta a cedere e ad incassare tutte le richieste britanniche, siglando la convenzione di Nootka (ottobre 1790). Alcuni particolari devono essere definiti sul posto. Invece di una guerra, l'ammiragliato britannico prepara una spedizione che è allo stesso tempo diplomatica, geografica e scientifica. Il comando è affidato al capitano George Vancouver, esperto marinaio e abile cartografo che si è formato alla scuola di Cook; la spedizione infatti ha un obiettivo ufficiale e dichiarato, ovvero verificare l'esecuzione della convenzione; e uno più importante e segreto: cercare il mitico passaggio a nord-ovest oppure dimostrarne l'inesistenza. Come tutte le maggiori spedizioni dell'epoca, ha anche scopi scientifici: vi si aggregano un astronomo, William Gooch, e un botanico, lo scozzese Archibald Menzies. E' stato Banks a volere con forza la presenza di Menzies (da tempo suo corrispondente, con una certa conoscenza dell'America settentrionale), a dettargli gli obiettivi scientifici, addirittura a progettare uno strano cassone-serra destinato a proteggere dei rigori della navigazione le piante vive che egli raccoglierà. L'influenza di Banks sull'ammiragliato impone al capitano Menzies e la sua serra viaggiante, che viene sistemata sul ponte di comando. L'arroganza di Banks si spinge fino a scrivere una lettera di istruzioni al capitano, chiedendogli di mettere alcuni uomini a disposizione di Menzies e di provvedere con sollecitudine all'integrità del cassone. Vancouver, che non è l'uomo più paziente del mondo, non si degna neppure di rispondergli (con grande indignazione di Banks). Per capirne i sentimenti, non dimentichiamo che il ponte di comando non era un luogo qualunque: era il simbolo stesso del potere del capitano, là dove impartiva gli ordini, sventolava la bandiera di bordo e gli uomini venivano convocati per ricevere gli ordini e assistere alle punizioni. La spedizione di Vancouver La nave di Vancouver, ribattezzata Discovery in ricordo del vascello del terzo viaggio di Cook, accompagnata dalla nave d'appoggio Chatam, salpò il 1 aprile 1791, una data altamente simbolica agli occhi del capitano. Agli ordini di Cook, nel corso del suo terzo viaggio, Vancover aveva già esplorato il Pacifico settentrionale ed era convinto che il passaggio a nord-ovest fosse un miraggio: quella missione era uno scherzo, affidatagli da pazzi. La spedizione sarebbe durata quattro anni e mezzo (1 aprile 1791-ottobre 1795), avrebbe circumnavigato il globo e percorso più di 60.000 miglia. Navigando verso est, toccando le Canarie, il Capo di Buona Speranza, la costa dell'Australia meridionale, la Nuova Zelanda, alla fine dell'anno erano a Tahiti dove Vancouver, memore delle vicende del Bounty, proibì ai suoi uomini contatti personali con i nativi. Un guardiamarina sedicenne, che aveva disobbedito, fu vergato pubblicamente. Il capitano dimostrò così la sua severità, ma anche scarso senso politico: quell'adolescente era Thomas Pitt, cugino del primo ministro. A marzo 1792 raggiunsero l'arcipelago delle Hawaii che, da quel momento, sarebbe stato il loro quartier generale invernale. Ad aprile toccarono la costa americana intorno al 39° Nord, incominciandone l'esplorazione sistematica. Iniziò così una routine che si sarebbe ripetuta per tre anni: la bella stagione era dedicata all'esplorazione e alla mappatura della costa americana, seguendo palmo palmo ogni più minima insenatura, risalendo fiordi e fiumi, per verificare se vi si celasse l'imboccatura del mitico passaggio a nord-ovest. Poiché anche la piccola Chatam era troppo grande per questo compito, ci si servì delle scialuppe di bordo, mosse a vela o a remi, spesso in condizioni proibitive di nebbia, pioggia, freddo, oltre a disagi come fame, sete, moscerini, indigeni non sempre amichevoli. Si calcola che siano stati percorse così circa 10.000 miglia, dall'attuale stato di Washington al limite occidentale dell'Alaska. D'inverno, le navi ritornavano alle Hawaii, in genere dopo aver trascorso qualche tempo in California, nel tentativo infruttuoso di arrivare a un accordo diplomatico con la Spagna. In effetti, la missione diplomatica si rivelò impossibile: gli spagnoli erano disponibili a restituire ai britannici i pochi metri quadrati dove si trovava la base mercantile messa sotto sequestro, gli inglesi pretendevano il controllo dell'intero stretto di Nootka. Nonostante gli ottimi rapporti personali con il negoziatore spagnolo, Juan Francisco de la Bodega y Quadra, ogni accordo risultò impossibile. Così Vancouver e Bodega decisero di attendere nuove istruzioni: che non arrivarono mai. In Europa erano iniziate le guerre contro la Francia rivoluzionaria, la Spagna da nemica era diventata alleata, quel lembo di isola era ormai indifferente a Londra come a Madrid. Alla fatica di un'esplorazione condotta in condizioni difficilissime, alla ricerca di un obiettivo inesistente in cui non credeva, si aggiungeva per Vancouver la frustrazione del fallimento della missione diplomatica. Mano a mano che passavano i mesi (e gli anni), il capitano diventava sempre più malato e più irascibile. Era diventato un uomo con cui non si discuteva; a farne le spese non fu il solo Pitt (lo fece vergare altre due volte, infine lo rispedì in Inghilterra), ma anche ufficiali e marinai che pure Vancouver stimava. E, ovviamente, Menzies e le sue piante. Menzies si era imbarcato come soprannumerario naturalista, accompagnato da un servitore. Tuttavia durante il viaggio era stato chiamato a sostituire il medico di bordo, rimasto paralizzato in seguito a un ictus. Benché riluttante, all'arrivo a Nootka il botanico, che era già il medico personale del capitano, assunse ufficialmente l'incarico di chirurgo di bordo, con il vantaggio di avere a disposizione una seconda cabina, benvenuta per sistemare le crescenti collezioni naturalistiche; ma con lo svantaggio di non essere più un civile, ma un ufficiale della Marina militare, soggetto all'autorità del capitano. Durante il viaggio di andata, aveva approfittato di ogni sosta (in Sudafrica, Autralia, Nuova Zelanda, Tahiti) per erborizzare e raccogliere campioni naturalistici, nonché piante vive che sistemava nel famoso cassone di Banks. E lì cominciarono i guai: bisognava proteggere le piante dalla pioggia, dalle onde, dal sole eccessivo e sorvegliare il cassone costantemente per impedire agli uccelli marini e agli animali di bordo di farvi irruzione. Menzies chiese ripetutamente che il cassone fosse protetto da una spessa rete e che qualche marinaio lo sorvegliasse quando lui o il suo servitore non erano a bordo o erano impegnati altrove. La prima richiesta fu soddisfatta (dopo due mesi), la seconda mai. Il primo anno di esplorazione fu fruttuoso per Menzies. Fu affascinato dalle fioriture primaverili delle aree costiere dall'attuale Stato di Washington e esplorò a fondo Nootka, mentre iniziavano le trattative con gli spagnoli. Ma dovette constatare con disappunto che i suoi colleghi iberici - che si trovavano nell'isola al seguito di una delle diverse spedizioni scientifiche finanziate dalla corona spagnola - avevano opportunità di ricerca ben maggiori delle sue: ammirò con una punta d'invidia gli erbari di José Mariano Mociño e soprattutto i disegni di Atanasio Echevarria. Lui, un disegnatore non ce l'aveva; doveva fare tutto da sé. Poi, mano a mano che ci si spingeva a nord e gli uomini si logoravano nell'esplorazione sistematica di quel labirinto d'acqua, le opportunità di scendere a terra o di aggregarsi a qualche gruppo di esploratori, per il chirurgo si facevano più scarse. C'erano infreddature, contusioni, congelamenti da curare, l'eterno incubo dello scorbuto da scongiurare. Non poteva allontanarsi dalla Discovery oltre un tiro di schioppo. Alle Hawaii, i motivi di scontento erano altri: era un paradiso in terra, ricchissimo di specie nuove, ma a Menzies era negato di vederle in fioritura, o in frutto, visto che vi trascorrevano solo i mesi invernali. E, naturalmente, c'era il maledetto cassone: nel trasferimento da sud a nord, le delicate tropicali morivano di freddo, in quello da nord a sud erano spazzate via dalle onde, bruciate dal sole, saccheggiate dagli animali di bordo. Ma il tenace scozzese si dava da fare: raccoglieva piante e semi, muschi e licheni (le sue piante preferite), disegnava e descriveva, seccava le piante per l'erbario, riempiva i vuoti creati dal disastro di turno con nuove piante vive. Nel 1794, l'ultimo inverno trascorso alle Hawaii, si tolse la soddisfazione, insieme ad un ufficiale, un guardiamarina e un marinaio, di scalare il maggiore vulcano dell'arcipelago. Dimostrò anche di essere un medico efficientissimo: in quel lungo viaggio, in condizioni tanto difficili, su 153 uomini uno solo morì di malattia. E nessuno di scorbuto. Un tempestoso viaggio di ritorno L'esplorazione delle coste del Pacifico settentrionale fu completata nell'agosto 1794, quando venne raggiunto quella che il capitalo battezzò significativamente Port Conclusion, sulla punta meridionale dell'Isola Baranof in Alaska. Nel viaggio di ritorno si toccarono la California (dove Vancouver fu informato che le trattative che tanto lo avevano angustiato probabilmente erano state concluse in Europa), diverse isole tra cui le Galapagos e Juan Fernandez, il Cile, dove furono ospiti del governatore; durante un pranzo, furono offerte curiosi frutti: Menzies se ne ficcò qualcuno in tasca. Ne sarebbero germogliate le prime plantule mai viste in Europa di Araucaria araucana. Le difficoltà delle ultime tappe del viaggio, che affrontò il Pacifico meridionale e il terribile Capo Horn nelle proibitive condizioni dell'inizio dell'inverno australe, resero sempre più tese le relazioni tra Menzies e il capitano. Alle sue richieste di aiuto per proteggere le sue preziose piante, Vancouver rispondeva in termini talmente irritati che il botanico decise di comunicare con lui solo per lettera. Nei pressi di SantElena, venne catturata una nave olandese; così il capitano, a corto di braccia dovendo dividere gli uomini su tre vascelli, utilizzò per altri compiti il servitore di Menzies. Quando l'ennesima tempesta allagò completamente il cassone, il botanico irruppe nella cabina del capitano per protestare; volarono parole grosse e Menzies fu messo agli arresti nella sua cabina. Il risultato fu che le piante rimasero abbandonate a se stesse e ben poche si salvarono. Quando furono di ritorno in Inghilterra nell'ottobre del 1795, Vancouver era deciso a deferire Menzies alla corte marziale, tanto più che il botanico si era rifiutato di consegnargli il suo diario. Il capitano dovette tuttavia constatare che mettersi contro uno dei protetti di Banks non era stata un'idea brillante per la sua carriera; in cambio di scuse da parte di Menzies, si risolse a ritirare le accuse, e il botanico poté sbarcare, con i suoi preziosi diari. Meno brillante ancora era stato far vergare ripetutamente e reimbarcare a forza il giovane Pitt; lo spocchioso aristocratico lo sfidò a duello, lo assalì per la strada, lo perseguitò con una campagna di stampa che, con i suoi mezzi, poteva permettersi, al contrario del capitano, che, con la salute logorata, morì pochi anni dopo, nel 1798. Qualche dettaglio nella sezione biografie. Lunga fu invece ancora la vita di Menzies, che morì a 88 anni nel 1842. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tante specie per Menzies, ma solo un ex-genere Il contributo di Menzies alle scienze naturali in generale, e alla botanica in particolare, è notevole. Lungo le tappe del viaggio, raccolse animali e piante in tre continenti (Africa, Oceania e America) e esplorò aree ancora ignote o scarsamente conosciute, come le Hawaii, la California, la Columbia Britannica (soprattutto l'Isola Vancouver). Si calcola che le specie nuove per la scienza da lui raccolte siano circa 400. Benché abbia avuto una vita molto lunga, non pubblicò molto (solo un libro sui muschi), ma i suoi diari e il suo erbario furono una delle fonti principali di Flora-Boreali Americana di William Jackson Hooker, in cui vennero pubblicati anche diversi disegni di Menzies, eccellente disegnatore naturalistico. Molte tra le specie da lui descritte per la prima volta lo ricordano nel nome specifico: il bellissimo Arbutus menziesii, l'abete di Douglas Pseudotsuga menziesii, Banksia menziesii, Erysimum menziesii, Nemophila menziesii, Ribes menziesii, Delphinium menziesii, Silene menziesii, Tolmieia menzesii e altre ancora. Tra le più note piante da lui fatte conoscere in Europa Araucaria araucana, Mahonia aquifolium, Eschscholzia californica, Pinus strobus, Ribes sanguineum, Tuja plicata, Sequoia sempervirens, Chamaecyparis lawsoniana, Cornus nuttali, Rhododendron occidentalis, Tropaeolum speciosum. Per duecento anni, anche un genere ne ha celebrato il ricordo: Menziesia, creato in suo onore dall'amico James Edward Smith nel 1791, che comprendeva una decina di specie di belle Ericaceae, diffuse tra Nord America, Giappone e Siberia. Nel 2011, sulla base di analisi del DNA, il genere è stato incluso in Rhododendron. La specie tipo, una delle piante raccolte da Menzies in America settentrionale, Menziesia ferruginea, è stata ribattezzata in suo onore Rhododendron menziesii. Il cambio di nome non è ancora registrato da Plant list, ma lo è da Taxonomicon. In rete la maggior parte dei siti usa ancora le vecchie denominazioni. Per questo, e per non darla vinta del tutto allo spettro di Vancouver, ho deciso di fare un'eccezione alle regole del blog, dedicando a Menzies un post, sebbene anche lui, come Ghini o Siebold, sia ormai uno dei grandi botanici non ricordati da alcun genere (analogamente ai grandi scrittori che non hanno mai vinto il premio Nobel). Le specie più note dell'ex genere Menziesia sono Menziesia ferruginea (= Rhododendron menziesii), nativa del Nord America nordoccidentale, dall'Alaska al Wyoming, dove vive nel sottobosco di diversi tipi di conifere delle aree montane; M. ciilicalyx (= Rhododendron benhoullii), un grazioso arbusto di piccole dimensioni nativo del Giappone; M. pilosa (= Rhododendron pilosum), un endemismo degli Appalachi centrali e meridionali. Vancouveria, una dedica meritata? Ben saldo è invece il genere che onora l'irascibile capitano Vancouver. Ovviamente nessun botanico inglese - tutti in un modo o nell'altro formatisi all'ombra di Banks - avrebbe mai dedicato un genere a quel fitocida. L'omaggio venne da due botanici francesi, Morren e Decaisne, che nel 1834 crearono il genere Vancouveria nell'ambito di una revisione di Epimedium. Appartenente alla famiglia Berberidaceae, comprende tre specie di erbacee perenni endemiche della costa occidentale degli Stati Uniti. La specie più nota è Vancouveria hexandra, una graziosa pianta del sottobosco delle foreste di conifere (per colmo di ironia, lo stesso ambiente del Rhododendron menziesii) con piccoli fiori bianchi con una forma che ricorda un ombrellino rovesciato e foglie composte con tre foglioline trilobate. E' un eccellente tappezzate per posizioni ombrose e suoli umidi, con caratteristiche simili ai suoi cugini Epimedium. Qualche informazione in più nella scheda. Non c'è neppure bisogno di ricordare che il capitano ha poi lasciato il suo nome, oltre all'isola Vancouver (lui l'aveva battezzata Isola Vancouver e Bodega, per ricordare i suoi eccellenti rapporti con Juan Francisco de la Bodega y Quadra), alla città di Vancouver e a una manciata di altri luoghi, in Canada, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda. E questi, da grandissimo esploratore, se li è guadagnati tutti. Anche Menzies (e fu un omaggio proprio di Vancouver) è ricordato da alcune località della Columbia Britannica, in particolare Mount Menzies e Menzies Bay. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
Categorie
All
|