Sono arrivate sui banconi dei fiorai da meno di trent'anni e hanno conosciuto un successo travolgente, tanto da incominciare a minacciare la popolarità delle loro cugine maggiori, le petunie. Sono le Calibrachoae, lanciate sul mercato all'inizio degli anni '90 da una ditta giapponese come minipetunie, e oggi vendute in milioni di esemplari in una gamma di colori e forme sempre più ampia, tanto che il National Garden Bureau statunitense le ha proclamate piante dell'anno 2018. Sul finire del Novecento, dopo essere state assegnate per un secolo e mezzo al genere Petunia, hanno anche ritrovato la loro identità e il loro nome, un omaggio al farmacista ispano-messicano Antonio de la Cal y Bracho, uno dei protagonisti del "trapianto" della botanica moderna nel neonato Messico indipendente e fondatore del secondo orto botanico del paese. Una botanica alla ricerca dell'indipendenza L'opera del botanico e farmacista Antonio de la Cal y Bracho a Puebla de los Angeles è in perfetta continuità e comunanza di intenti con l'operato di Vicente Cervantes a Città del Messico. Come il più illustre collega, de la Cal era un farmacista spagnolo che si era formato al Real Jardin botanico di Madrid alla scuola di Casimiro Gomez Ortega; come lui, aveva una formazione scientifica che integrava la farmacia, la botanica, la chimica. E come lui si era trasferito in Messico, dove avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni, divenendo un membro di rilievo della comunità di intellettuali e studiosi che vi rinnovò lo studio della botanica e lo status delle professioni di cura, trasferendo nel viceregno gli insegnamenti di Linneo e Lavoisier e dando impulso alla nascita di una scuola botanica indigena (e spesso orgogliosamente indigenista). Non sappiamo quando fosse giunto in Messico, forse nel 1789, insieme al nuovo viceré, il filo illuminista Revillagigedo, e al suo futuro protettore, il canonico Ignacio Domeneq. Il primo dato certo ci porta al 1793, anno in cui il suo nome - con la qualifica di farmacista - compare tra i medici, farmacisti e chirurghi che assistettero alle dimostrazioni finali del corso di botanica di Cervantes, dove intervenne con alcuni quesiti; all'epoca prestava servizio come farmacista presso l'Hospital General de San Andrés di cui Cervantes era capo farmacista (Boticario Major). A Puebla arrivò nel 1795, per volontà di Domeneq, canonico prebendario della cattedrale di Puebla e commissario dell'Ospedale di San Pedro, che istituì per lui il posto di Boticario Major di quel nosocomio. Dopo i due ospedali della capitale, l'Hospital General de San Andrés e l'Hospital de San José de los Naturales, era il più importante del paese, anche per la sua posizione geografica che attirava i malati da tutto il Centro America. In stretto contatto con gli orti botanici di Madrid (cui inviava semi, tanto da essere riconosciuto nel 1796 come membro corrispondente) e Città del Messico, con cui scambiava piante e conoscenze scientifiche, de la Cal si impegnò attivamente per trasferire a Puebla le linee di rinnovamento scientifico già imposte da Sessé e Cervantes nella capitale. Come capo farmacista, curò la preparazione botanica del personale della farmacia dell'ospedale e assisté i medici nella sperimentazione clinica degli effetti delle risorse naturali autoctone (analogamente a quanto andava facendo Cervantes nei due ospedali della capitale). La posta in gioco era scientifica, economica e più tardi anche politica, tanto che con l'indipendenza del paese sarebbe stato imposto ufficialmente di sostituire i semplici e i preparati tradizionali, per lo più importati dalla Spagna o da oltremare, con medicamenti messicani. A tal fine, del la Cal elaborò una "Lista di piante e dei loro sostituti per l'uso dell'ospedale", che è considerato il primo nucleo del suo Ensayo para la Materia Medica Mexicana ("Saggio per una Materia medica messicana"). A Puebla de la Cal fu anche tra i protagonisti del movimento che mirava a sganciare la professione di farmacista dal controllo dal Tribunale del Protomedicato, l'organismo che in Spagna come nelle colonie vigilava su tutte le professioni sanitarie. Tra il 1803 e il 1810, i farmacisti di Puebla denunciarono la corruzione dell'ispettore delle farmacie designato dal Tribunale, chiedendo che il controllo sulle farmacie e sui loro prodotti fosse affidato a periti debitamente formati; a tal fine avrebbe dovuto essere istituito un fondo, parte destinato al pagamento dei periti, parte all'istituzione di un giardino botanico, affiancato da una cattedra di botanica dove professionisti e giovani praticanti fossero istruiti nella preparazione dei medicamenti. Di fronte alla sordità del Tribunale, nel 1807, de la Cal e alcuni colleghi passarono all'azione, aprendo una pubblica sottoscrizione per l'acquisto di un terreno adatto; il documento presentato ai patrocinatori è quasi un manifesto in cui si esalta l'importanza della botanica per il progresso, si sottolineano i rischi per la salute pubblica di medicamenti preparati da "indii erboristi" e da farmacisti incapaci di distinguere una specie dall'altra, si insiste sui risvolti anche economici dello studio della botanica (consigliando ad esempio l'introduzione nel paese di piante tessili come la canapa, di cui al tempo vi era grande richiesta per la fabbricazione di corde e vele navali), si propugna infine l'urgenza dello studio della chimica, secondo il metodo di Lavoisier. Come primi sottoscrittori de la Cal e un altro farmacista illuminato della città, Rodriguez de Alconedo, nel 1808 versarono 2500 pesos per l'acquisto di un terreno nei pressi del convento di Santa Rosa; i farmacisti poi nominarono patroni del progetto le due massime autorità religiose e civili: Manuel Ignacio del Campillo, vescovo di Angelopolis, e il conte de la Cadena, intendente di Puebla, che contribuì con mille pesos. La realizzazione del giardino fu diretta dallo stesso de la Cal, sulla base di un progetto disegnato da Luis Martin, un tecnico raccomandato da Cervantes. Tuttavia, proprio quando erano da poco iniziati i lavori, giunse la notizia dell'imprigionamento del re Ferdinando VII da parte di Napoleone; in questa difficile situazione politica, cessarono le sottoscrizioni e dal 1811 la realizzazione del giardino venne sospesa, tanto più che nel paese era scoppiata la guerra di Indipendenza e lo stesso conte de la Cadena era morto in battaglia, combattendo contro i ribelli. Soltanto nel 1824, a tre anni dalla proclamazione dell'Indipendenza del Messico, i lavori ripresero. Quell'anno venne fondata l'Accademia medico-chirurgica dello stato di Puebla de los Angeles, una nuova corporazione che univa i due gruppi di professionisti; tra i suoi intenti la creazione di una farmacopea indigena e la valorizzazione del contributo delle "scienze ausiliarie" alla medicina (botanica, farmacia, chimica, fisica). Il giardino passò sotto la giurisdizione del nuovo organismo, che nominò tra i responsabili della gestione Antonio de la Cal e suo genero, Manuel Garzòn. L'anno successivo l'Accademia, su suggerimento di de la Cal, finanziò la pubblicazione delle Tablas botanicas, un agile strumento di divulgazione della botanica linneana redatto da Julian Cervantes, figlio del cattedratico di Città del Messico. La stampa, finanziata con una pubblica sottoscrizione, si inquadrava nel progetto, ancora una volta suggerito dall'intraprendente farmacista, di istituire presso l'orto botanico una cattedra di botanica, con lezioni tre volte alla settimana, secondo il modello dei corsi di Cervantes nella capitale. Inoltre, nel giardino de la Cal impiantò coltivazioni sperimentali di piante da reddito, in particolare la canapa, alla quale dedicò un opuscolo. Nel 1828 il giardino passò sotto la giurisdizione del governo messicano, che previde anche forme di finanziamento; nel 1831, sempre per opera di de la Cal, fu dotato di un regolamento; ma nel 1838, nella situazione politica sempre più confusa del paese, cessò di esistere. Era sopravvissuto solo cinque anni a colui che l'aveva voluto con tutte le sue forze e aveva fatto di quel giardino la sua ragione di vita. Antonio de la Cal y Bracho era infatti morto nel 1833; ma l'anno prima era riuscito a dare alle stampe la sua opera più importante, Ensayo para la Materia Medica Mexicana. Con quest'opera, il farmacista pueblano si proponeva di integrare l'Ensayo a la Materia medica vegetal di Cervantes (suo costante punto di riferimento, insieme ai contributi dei suoi allievi José Mariano Mociño e Luis Montaña), approfondendo lo studio delle piante medicinali offerte dal fertile suolo messicano che, ne era convinto, avrebbero potuto sostituire del tutto quelle importate, con detrimento dell'economia nazionale e anche della salute pubblica, poiché "quelle che ci portano gli stranieri spesso ci arrivano prive di efficacia per la cattiva conservazione, e molte anche adulterate; mentre sarebbe facile, raccogliendole nel paese, averle più fresche e a prezzi più convenienti". L'opuscolo, di circa cento pagine, è una lista alfabetica di 116 piante, ordinate in base al nome latino (seguito da quello spagnolo e talvolta indigeno), integrata da una brevissima sezione sui semplici ricavati da animali e minerali. Pubblicato dall'Accademia medica di Puebla, ha come primi destinatari proprio i medici dell'Accademia stessa, che sono invitati a testare l'efficacia dei semplici elencati, integrando e perfezionando la lista. In questo modo, de la Cal congiunge la valorizzazione dei saperi tradizionali indigeni (puntando il suo interesse verso le piante cui da secoli le comunità locali riconoscono efficacia terapeutica) e il metodo della ricerca sperimentale di matrice colta e europea. D'altra parte, l'opera semplice e agile si rivolgeva anche ai non specialisti, con il proposito di offrire alle persone che vivevano in zone prive di assistenza medica un prontuario di preparati basati su piante facilmente reperibili, con l'indicazione delle dosi opportune per le più comuni affezioni. Una breve sintesi della vita di Antonio de la Cal y Bracho (sulla cui vita personale ho però trovato ben poco) come sempre nella sezione biografie. Petunia? No, Calibrachoa! La stima tra Cervantes e de la Cal era reciproca. Se il farmacista pueblano non manca mai di citare e rendere omaggio a quello che considera il suo maestro, il direttore dell'Orto botanico della capitale ricambiò sia aiutando concretamente l'amico (tra l'altro nel 1805 finananziò l'apertura della sua farmacia privata) sia dedicandogli uno dei tanti generi scoperti dai ricercatori della Real Expedicion Botanica. Come spesso accade per le denominazioni di Cervantes, utilizzate nei suoi corsi di botanica e preservate dagli appunti dei suoi allievi, ma non pubblicate in testi a stampa, il genere Calibrachoa fu ufficializzato dai due campioni della botanica indigenista, Pablo de la Llave e Juan José Lexarza, che vedevano in Cal y Bracho un precursore della lotta per l'indipendenza (per la sua battaglia contro il Tribunal de Protomedicado) e un padre fondatore della botanica messicana. La denominazione, pubblicata nel 1825 nella seconda parte di Novorum Vegetabilium Descriptiones, non ebbe però fortuna. I maggiori botanici del tempo (a partire da Don) ne assegnarono le specie al genere Petunia, e tale rimase la situazione fin quasi alla fine del Novecento. Tutto iniziò a cambiare negli anni '80 del secolo scorso. Mentre fino ad allora queste Solanaceae dai fiori piuttosto minuti erano passate pressoché inosservate, le loro potenzialità come piante ideali per i nostri balconi furono intuite dalla ditta giapponese Suntory, che in quegli stessi anni stava lavorando agli ibridi di Petunia che di lì a poco avrebbero invaso i mercati con il nome Surfinia. Le Calibrachoae sono originarie delle regioni tropicali del Sud America, in particolare del Brasile, dove vivono soprattutto sulle rocce o sui pendii aridi. Questa capacità di crescere in situazioni in cui il suolo è scarso e asciuga rapidamente, le rendono particolarmente adatte alla coltivazione in vaso, soprattutto in cestini appesi. Inoltre, le specie numerose (circa 28) e la vasta gamma di colori delle corolle le rendono particolarmente interessanti per un programma di ibridazione. Fu così nel 1992 (tre anni dopo il lancio di Surfinia), Suntory lanciò una prima gamma di ibridi di Calibrachoa, per il momento ancora chiamati Millon bells Petunias. Più o meno nello stesso periodo, anche i botanici stavano riconsiderando la posizione della bella addormentata del regno vegetale. Da tempo erano emerse evidenti linee di separazione rispetto al genere Petunia; dava da pensare, in primo luogo, il fatto che questo gruppo di specie non si ibridasse con le altre del genere (che invece tendono a incrociarsi con facilità). La ragione, si scoprì, è molto semplice: il genere Petunia ha 14 cromosomi, il genere Calibrachoa ne ha 18. Si osservarono poi differenze nella corolla (in Petunia durante l'estivazione i lobi sono sovrapposti, imbricati, su entrambi i margini, in Calibrachoa il lobo anteriore copre gli altri quattro), nella struttura cellulare delle foglie, nelle stesse caratteristiche generali (le Calibracoae sono piccole piante arbustive, le Petuniae sono grandi piante erbacee). Insomma, nel 1990, proprio mentre Suntory si preparava a lanciarle sul mercato, il botanico olandese H.J.W. Wijsman ristabilì ufficialmente il genere Calibrachoa, rimasto in soffitta per oltre 160 anni. Oggi, con milioni di piante vendute, e molte gamme che si sono aggiunte alla prima serie Million bells, Calibrachoa è ormai una superstar dei nostri balconi. Nel frattempo si è fatta più grande (le corolle di alcune serie non hanno niente da invidiare quanto a dimensioni a quelle della cara cugina), ha assunto una infinita gamma di sfumature (che copre l'intero arcobaleno, dal bianco al quasi nero passando per il giallo, l'aranciato, il rosso, il rosa, il viola, il blu), si è fatta bicolore, policroma, doppia, arricciata... E per non farci mancare niente, un'altra firma giapponese, la Sakata, ha creato x Petchoa, un ibrido intergenerico (ovviamente sterile) prodotto dell'ingegneria genetica che è riuscita a superare le barriere riproduttive tra i due generi. Prepariamoci all'invasione di SuperCal e Calitunia! Qualche approfondimento, come sempre, nella scheda.
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Nel 1803, ultima tappa del lungo viaggio sudamericano, Humboldt e Bonpland si trattengono a lungo a Città del Messico. Il barone tedesco è ammirato dalla bellezza, dall'ordine "rinascimentale" della città, dai suoi giardini colmi di alberi da frutto. Ne visita le istituzione scientifiche, tra cui immancabile il neonato orto botanico (Real Jardín Botánico), rimarchevole per organizzazione e ricchezza delle collezioni nonostante lo spazio angusto, non mancando di elogiarne il curatore, il professor Cervantes, che tanto "si distingue per lo zelo per le scienze della natura". Quel giardino botanico, che al momento aveva appena dodici anni di vita, fu il primo del continente americano (escludendo il giardino di John Bartram a Filadelfia, del 1728, più un giardino-vivaio di acclimatazione che un orto botanico, per gli Stati Uniti bisogna attendere il 1821, con la nascita dell'United States Botanic Garden di Washington). Nato come costola e base operativa della Real Expedición Botánica a Nueva España attorno al 1791, organizzato secondo il sistema linneano, ebbe un ruolo importante per far conoscere la flora del paese e rinnovare lo stesso insegnamento della botanica. La sua anima, più che il direttore nominale Martin de Sessé, fu Vicente Cervantes, che lo resse per un quarantennio, anche dopo il distacco dalla Spagna e l'indipendenza del Messico. Grande didatta, che formò più di una generazione di studiosi, nel suo insegnamento unì la botanica alla chimica, campo in cui fu tra i diffusori del pensiero di Lavoisier. A ricordarlo il poco noto genere Cervantesia, che comprende alberi emiparassiti endemici delle foreste andine. Insegnare Linneo e Lavoisier in Messico La creazione di un orto botanico a Città del Messico, con annessa cattedra universitaria, sul modello del Real Jardin Botanico di Madrid, era stata uno degli obiettivi principali della Real Expedición Botánica a Nueva España che, come ho già raccontato in questo post, si proponeva non solo di esplorare e inventariare la flora del viceregno, ma anche di rifondare l'insegnamento della botanica nella colonia, sul modello "illuminista" ormai impostosi nella madrepatria. Per questo compito, il deus ex machina della spedizione, Casimiro Gomez Ortega, direttore dell'orto madrileno e grande organizzatore delle spedizioni scientifiche che segnarono gli anni a cavallo tra i regni di Carlo III e Carlo IV, scelse il più promettente dei suoi allievi, Vicente Cervantes. Anche se Sessé, come capo della spedizione, era nominalmente sia il titolare della cattedra sia il direttore dell'orto, di fatto, essendo egli principalmente impegnato nelle attività di esplorazione e raccolta, queste funzioni furono esercitate da Cervantes. Quest'ultimo, farmacista di formazione, si era perfezionato come botanico all'Orto di Madrid, dove si era segnalato per la profonda conoscenza sia della sistematica vegetale sia della chimica. Meno coinvolto nelle attività di ricerca (che limitò alle aree prossime alla città, mentre i suoi compagni si muovevano in un vastissimo territorio compreso tra il Canada e la Costa Rica), egli rimase a Città del Messico, dove si occupò dei rapporti (tempestosi) con l'ambiente medico-scientifico locale, delle questioni amministrative, dell'insegnamento universitario, dell'organizzazione delle collezioni, della creazione e della cura dell'orto botanico. Fu lui a scontrarsi con l'Università e il Real Tribunal de Protomedicado, ostili all'introduzione dell'insegnamento della botanica nel curriculum dei futuri medici e preoccupati per la loro indipendenza professionale, minacciata ai loro occhi dagli scienziati illuministi catapultati da Madrid; fu lui a ingaggiare una battaglia aperta con l'erudito messicano José Antonio de Alzate, nemico giurato della nomenclatura e del sistema linneano. Fu soprattutto lui a tenere le lezioni di botanica, divenendo ben presto un insegnante rinomato e carismatico. Installata dapprima nel Collegio dei gesuiti, quindi presso la casa privata di Ignacio Castera, primo architetto di Città del Messico, infine trasferita dal 1790 nei giardini del palazzo del viceré, la cattedra di botanica fu solennemente inaugurata il 6 maggio 1788, con una prolusione di Sessé che esaltava il contributo della scienza botanica al progresso; si trattò anche di un evento mondano, seguito da uno spettacolo pirotecnico durante il quale i fuochi disegnarono tre alberi di papaya con fiori femminili e maschili; da questi ultimi, a imitazione del polline, muovevano raggi di luce che andavano a fecondare i fiori femminili. Secondo alcuni testimoni, comparve anche un ritratto di Linneo e il motto linneano Amor urit plantas, "l'amore infiamma le piante". I corsi, la cui frequenza fu resa obbligatoria per i futuri medici, chirurghi e farmacisti, richiamarono anche un pubblico più ampio di curiosi che includeva militari, religiosi, intellettuali, studenti del Seminario Reale di mineralogia e della scuola d'arte San Carlos. Tra i primissimi allievi Mociño e Maldonado, poi cooptati nella spedizione, seguiti da intellettuali impegnati nei campi più vari, come il medico Luis Josė Montaña, il botanico Juan José de Lexarza, il futuro ministro e naturalista dilettante Lucas Alamán, il compositore José María Bustamante. I corsi, che avevano finalità eminentemente pratiche, univano all'insegnamento del sistema linneano esercitazioni di riconoscimento e nozioni di chimica. L'unione tra botanica e chimica fu anzi la principale peculiarità del magisterio di Cervantes, che adottò come libri di testo il Corso elementare di botanica del suo maestro Casimiro Gomez Ortega e la traduzione spagnola del Corso elementare di chimica di Lavoisier. Centrale per Cervantes fu anche l'indagine sulle proprietà mediche delle piante indigene, che avrebbero dovuto sostituire nella pratica farmaceutica le costose e meno efficaci droghe importate dall'Europa o da altri paesi dell'impero spagnolo. D'altronde, per tutta la vita egli affiancò all'insegnamento (che non gli garantiva entrate sufficienti per mantenere sé e la famiglia) anche l'attività di farmacista, prima presso il principale ospedale della città, poi in una rinomatissima bottega privata (che esportava i suoi preparati, come fornitrice ufficiale della corona, fin nelle Filippine). Pubblicò anche diverse opere sulle piante officinali, destinate a medici e farmacisti, tra cui spiccano Discurso sobre las plantas medicinales que crecen en las cercanías de México (1791) e il postumo Ensayo para la materia médica mexicana (1832). Il primo orto botanico scientifico delle Americhe Ma torniamo all'orto botanico, che fu inaugurato nel 1791. Occorse infatti qualche anno per il progetto e per trovare un luogo adatto; dopo qualche ripensamento, grazie all'offerta del Viceré Revillagigedo, sensibile alle istanze illuministe, fu infine ospitato in un angolo dei giardini del palazzo vicereale. Era uno spazio limitato, ma che offriva il vantaggio di trovarsi nel centro di potere del viceregno ; oltre ad essere la base operativa della spedizione, divenne così il punto di ritrovo dei circoli scientifici della capitale, nonché quasi un'attrazione alla moda. Era organizzato secondo il modello dell'orto botanico di Madrid; c'era in primo luogo un'area didattica, dove si coltivavano le piante utilizzate durante il corso accademico, disposte in 24 parcelle secondo il sistema linneano e separate da canaletti di irrigazione. C'era poi uno spazio riservato alle piante officinali e una serra, destinata all'acclimatazione delle piante. Il viceré mise poi a disposizione alcuni locali: un'aula per le lezioni, una stanza per l'erbario, l'abitazione stessa dei cattedratici. Quando Humboldt lo visitò nel 1803, appariva ammirevole per la buona organizzazione e per la ricchezza delle collezioni, che ammontavano a 1500 specie. Il giardino assolse contemporaneamente a più funzioni. La prima era ovviamente quella didattica: ogni corso (che durava da quattro a sei mesi) prevedeva sei ore di insegnamento teorico alla settimana e esercitazioni pratiche, per le quali Cervantes - oltre ad accompagnare gli studenti a erborizzare nei dintorni della capitale - utilizzava le piante raccolte dai suoi compagni di spedizione nei vari angoli del viceregno. Fu così che descrisse per la prima volta e denominò alcune decine di piante prima poco note o sconosciute alla scienza. Il giardino era poi un centro di acclimatazione dove affluivano le piante raccolte nel corso della spedizione, insieme ai disegni, agli esemplari essiccati, agli animali impagliati, ai minerali. Seguendo le direttive molto precise stilate da Casimiro Gomez Ortega nel 1779, i membri della spedizione erano infatti tenuti a inviare piante vive, scelte per le loro potenzialità economiche o il pregio estetico, che dopo essere state coltivate e acclimatate a Città del Messico, sarebbero state avviate al giardino di Madrid, che a sua volta in diversi casi provvide a distribuirle ai principali orti botanici europei. Fu così che il piccolo giardino di Cervantes giocò un ruolo importante nell'introduzione di specie americane in Europa; tra tutte, vorrei ricordare almeno le Dahliae che nel 1789 Cervantes spedì a Cavanilles, direttore dell'orto madrileno, prima tappa di un viaggio che le ha portate in tutti i nostri giardini. Il giardino del palazzo del viceré era poi una vetrina delle ricchezze naturali del viceregno, uno spazio allo stesso tempo naturale e "costruito", pensato anche per il godimento degli abitanti della capitale e per l'ammirazione dei visitatori stranieri, come Humboldt e l'amico Bonpland, cui doveva dimostrare che, quanto a avanzamento della ricerca scientifica, il regno iberico era ormai all'altezza, se non superiore, delle maggiori nazioni europee. Rimasto in Messico quando Sessé e Mociño passarono in Spagna, dal 1803 Cervantes esercitò anche di nome il ruolo di professore di botanica e direttore dell'orto che aveva fino ad allora sostenuto di fatto. Come riconoscimento dei suoi meriti di pioniere della scienza botanica messicana e studioso della flora nazionale, all'atto della proclamazione dell'indipendenza (1821) non solo non fu espluso, come toccò agli spagnoli, ma, mantenne i suoi incarichi fino alla morte avvenuta nel 1829. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tuttavia nei decenni successivi, anche come conseguenza della turbolenta situazione politica del Messico, la cattedra rimase vacante e il giardino fu di fatto abbandonato a se stesso, come testimonia una lettera della signora Calderón de la Barca che lo visitò nell'aprile 1840; benché conservasse alcuni resti del passato splendore nel suo stato d'abbandono era "un malinconico esempio dell'arretramento della scienza in Messico". Dopo un episodico tentativo di rilancio voluto dall'imperatore Massimiliano (1864-1867), bisognò attendere i grandi lavori di ristrutturazione degli spazi aperti del Palazzo nazionale (così fu ribattezzato il Palazzo del Viceré all'atto dell'indipendenza) della fine del secolo scorso per un restauro - anche se su un'estensione alquanto ridotta - di questo giardino tanto importante nella storia del paese. Anzi, dell'intero continente americano, visto che precedette di decenni la fondazione del primo orto botanico scientifico degli Stati Uniti, quello sorto a Washington nel 1821 per decreto del Congresso. Cervantesia, alberi emiparassiti Furono i protagonisti di un'altra delle grandi spedizioni botaniche della Spagna di fine Settecento, Hipolito Ruiz e José Anton Pavón, a dedicare all'allora giovane collega "messicano" una delle innumerevoli piante da loro scoperte nel corso dell'esplorazione del Viceregno di Perù. Il genere Cervantesia, da loro stabilito nel 1794, appartenente alla famiglia Santalaceae, comprende due specie di alberi - C. bicolor e C. tomentosa - native di Colombia, Ecuador e Bolivia. Come tutti i membri di questa famiglia, si tratta di piante semiparassite delle radici o delle parti aree dell'ospite; la specie più nota, C. tomentosa, è un arbusto o albero delle foreste andine, coperto in tutte le sue parti da un denso indumento rossastro, con piccoli fiori verdastri a stella privi di petali e frutti a capsula. Mentre di questa specie sono reperibili alcune fotografie e la descrizione, per C. bicolor non ho trovato nulla al di là del nome e della distribuzione. Rimando comunque alla scheda per una sintesi delle scarse informazioni reperite. Quando Mociño mostrò a de Candolle i disegni eseguiti durante la Real Expedicion Botanica, che aveva sottratto al saccheggio trasportandoli da Madrd a Montpellier con una carretta a mano, in cui trascorreva le notti facendo loro letteralmente scudo con il suo corpo, il botanico svizzero ne fu stupefatto, tanto da esclamare che superavano per qualità scientifica ed estetica quelli del tanto celebrato Redouté. Eppure erano opera non di illustri pittori accademici, ma di due illustratori botanici messicani, Vicente de la Cerda e Atanasio Echeverría, che per circa quindici anni avevano condiviso tutte le avventure della spedizione, accompagnando i botanici in ogni angolo della Nuova Spagna e disegnando qualcosa come 4000 tavole. Poiché molte delle piante essiccate erano andate perdute per le circostanze della guerra, attraverso le copie eseguite per de Candolle dalle dame ginevrine, quei disegni furono a lungo l'unica testimonianza visibile di molte nuove specie descritte nei manoscritti di Sessé e Mociño e una fonte fondamentale per il Prodromos dello stesso de Candolle. Il quale, riconoscente, volle dedicare due nuovi generi agli artisti messicani: quello che toccò a de la Cerda è piccolo e misconosciuto, mentre Echeverría si è aggiudicato il più noto, amato e coltivato tra quelli che onorano i membri della spedizione. Due giovanotti vivaci e volenterosi La realizzazione di un corredo di disegni botanici dal vivo della flora messicana fu fin dall'inizio uno degli obiettivi fondamentali della Real Expedición Botánica a Nueva España. Gli artisti cui sarebbe stato affidato questo compito dovevano essere ingaggiati sul posto; Martin de Sessé si rivolse perciò al direttore della Reale Accademia d'Arte di San Carlos, Jéronimo Antonio Gil; sebbene l'illustrazione botanica non fosse prevista nei corsi dell'Accademia, Gil scelse quattro allievi del corso di incisione cui fornire una preparazione specifica, sulla scorta delle puntuali indicazioni di Sessé, che li visitava assiduamente. Alla fine due furono i prescelti: il talentuoso Atanasio Echeverría y Godoy e il volenteroso Juan de Dios Vicente de la Cerda, meno dotato ma capace di significativi progressi. I due, descritti come giovanotti (avevano diciotto o diciannove anni) docili, volenterosi e dediti al lavoro, vennero assunti con una paga di 600 pesos annui per l'attività in bottega, da raddoppiarsi per il lavoro sul campo. Benché questa paga fosse la metà di quella percepita dagli artisti spagnoli che avevano partecipato alla spedizione nel Vicereame del Perù, fu ulteriormente ridotta a 500 pesos dalla Junta Real, l'Organo amministrativo della colonia. Da quel momento, e per circa quindici anni, i due artisti accompagnarono, ora insieme ora separatamente, le "escursioni" della spedizione. Il primo a partire fu de la Cerda, che partecipò alla prima campagna dell'ottobre 1787 nei dintorni della capitale; Echeverría seguì poco dopo. Poiché le loro opere sono rarissimamente firmate e i due pittori, oltre ad essere allievi dello stesso maestro, obbedivano alle identiche convenzioni dell'illustrazione scientifica, è difficile distinguere il lavoro dell'uno da quello dell'altro (tranne per i disegni che si riferiscono a piante di aree visitate da uno solo); nonostante ciò, agli occhi degli esperti almeno in qualche caso la mano di Echeverría è riconoscibile per la sicurezza del tratto, l'abilità nel tratteggio delle ombre, la luminosità dei colori, la precisione dei dettagli. Certa è invece l'enorme mole di lavoro compiuto, in parte sul campo in parte in atelier. Già all'inizio di maggio 1788 i due pittori avevano realizzato 187 tavole. Alla fine ufficiale della spedizione, sedici anni dopo, sarebbero state oltre 4000. I documenti della spedizione ci permettono di ricostruire la loro attività con una certa precisione. I due pittori accompagnarono insieme la prime due escursioni e la prima parte della terza, quando i botanici si divisero in due sottogruppi. I disegni realizzati in questa prima fase obbediscono a criteri formali molto precisi (inclusi in un rettangolo, con la pianta inserita al centro, adattandone per così dire la disposizione a questo rigido spazio), furono probabilmente eseguiti in collaborazione dai due artisti, che ne prepararono almeno due copie (una da inviare a Madrid, l'altra da conservare a Città del Messico a corredo del corso di botanica tenuto da Vicente Cervantes; in alcuni casi, furono eseguite ulteriori copie). Nella seconda fase, ciascuna sotto équipe fu invece formata generalmente da un solo botanico, accompagnato da un naturalista e da un disegnatore. Portando con sé i propri materiali (la carta, necessaria sia per i disegni sia per l'erbario, era il prodotto più ingombrante e indispensabile, poi c'erano i colori, le matite, le penne, i pennelli, le gomme e i raschiatoi), dovevano affrontare lunghi viaggi a piedi, dormire in una tenda, lavorare sul campo spesso in condizioni difficili. Mano a mano che il numero di specie raccolte cresceva, dovevano anche lavorare in fretta, per documentarne il maggior numero nel minor tempo possibile, non trascurando però i particolari anche minuscoli indispensabili per l'identificazione. In questa seconda fase, non vennero più eseguite copie sul campo. Anzi, spesso il pittore realizzava solo un bozzetto, che poi sarebbe stato completato in un secondo tempo. Come si vede dall'immagine che ho scelto, il pittore tracciava il disegno a matita, con una linea molto sottile ma sicura; il disegno veniva quindi ombreggiato con china o inchiostro ferrogallico steso a pennello; soltanto per gli esemplari più interessanti almeno alcuni particolari erano colorati con velature successive ad acquerello. Il bozzetto poteva poi essere completato in atelier, talvolta anche con l'ausilio di altri artisti (come Francisco Lindo, un altro allievo del San Carlos) che erano impegnati anche nella realizzazione di copie. Ma molti disegni sono rimasti allo stadio di bozzetto. Avventure di uomini e disegni A partire dagli ultimi mesi del 1791, Echeverría e Cerda non lavorarono più insieme sul campo. Quando la spedizione si divise per esplorare le regioni del Messico nordoccidentale, a Echeverría, con Mociño e Castillo, toccò l'area più impervia e settentrionale, fino al deserto di Sonora, mentre Cerda esplorava l'attuale stato di Sinaloa con Sessé e Maldonado. Tra il 1792 e il 1793, ancora Echeverría fu prescelto, insieme a Mociño e Maldonado, per la spedizione di Nootka (ce ne rimane una serie di piante regionali molto riconoscibili, caratteristiche delle regioni costiere umide del Pacifico nordorientale), mentre Cerda, attraversando il Messico centrale, rientrava a Città del Messico con Sessé e l'ormai malatissimo Castillo, avendo qui agio di completare, nei molti mesi che vi trascorse prima del ritorno del collega, molti bozzetti. Tra luglio e dicembre 1793, quando Sessé visitò le aree di Puebla e Veracruz, fu presumibilmente accompagnato prima da Echeverría , poi da Cerda. L'anno successivo, Echeverría accompagnò nuovamente Mociño nelle aree di Veracruz, Oaxaca, Tabasco. Quando poi la spedizione venne allargata ai Caraibi e all'America centrale, nuovo scambio di ruoli: mentre insieme a Mociño Cerda si spingeva in Guatemala, Salvador, Nicaragua e Costa Rica, Echeverría era con Sessé a Cuba e Puerto Rico. Le 140 tavole da lui dipinte nelle Antille sono considerate il suo capolavoro, rimarchevoli per l'attenzione ai dettagli e i colori vividi. Del resto, il dotatissimo Echeverría era ormai un artista riconosciuto, tanto che quando Sessé rientrò a Città del Messico, egli rimase a Cuba, entrando a far parte, come aiuto di José Guío, il pittore ufficiale, della Commissione di Guantanamo, una spedizione a carattere a metà tra scientifico e militare, durante la quale fu raccolta un'eminente collezione di pesci, uccelli e anche piante. Ritornato a Città del Messico intorno al 1802, l'anno successivo seguì Sessé e Mociño in Spagna, che però lasciò quasi immediatamente, per lo stato di guerra del paese, rientrando in Messico, dove fu nominato direttore della Reale accademia di San Carlos, morendo però presumibilmente poco dopo. Altro non sappiamo della sua vita; ancor meno di quella di Vicente de la Cerda. Sappiamo che Sessé avrebbe voluto che anche lui lo accompagnasse in Spagna, ma la Giunta gli impose invece di rimanere in Messico, al servizio dell'Orto botanico. Non conosciamo però né la data della sua morte né altri particolari sulla sua esistenza da questo momento in poi. Ma c'è ancora una storia da raccontare: quella delle meravigliose tavole create dai due artisti messicani. Alcune furono effettivamente consegnate all'Orto botanico di Madrid e lì sono ancora custodite; alcune copie rimasero a Città del Messico, altre furono donate a vario titolo; ma il grosso della collezione rimase nelle mani di Mociño che le portò avventurosamente con sé nel suo esilio in Francia, affidandolo a de Candolle. Ho già raccontato in questo post come il botanico svizzero, dovendo restituire i disegni in tutta fretta all'amico, le avesse fatte copiare da un centinaio di signore di Ginevra (dove queste copie sono tuttora conservate). Gli originali, invece, dopo la morte di Mociño sembrarono perduti per sempre. Stavano invece vivendo una vita sotterranea: passati nelle mani del dottore che aveva assistito Mociño nella sua ultima malattia, fino alla fine dell'Ottocento rimasero, sconosciuti a tutti, tra i beni ereditari dei suoi discendenti. Verso la fine del secolo dovettero essere venduti allo storico e bibliofilo Lorenzo Torner Casas. La biblioteca dell'erudito catalano passò poi al fratello minore e ai due nipoti, Jaime e Luis Torner Pannocchia, che nel 1979 li cedettero all'Hunt Institute di Pittsburg, dove giunsero nel 1981, ritornando ad essere accessibili agli studiosi dopo 160 anni. Se ne volete sapere di più, la storia della Torner Collection of Sessé and Mociño Biological Illustrations è raccontata con maggiori particolari in questa pagina del sito dell'istituzione americana. La modesta e multiforme Cerdia Grande ammiratore del lavoro di Cerda e Echeverría, che divenne anche il principale punto di riferimento per la stesura della sua Flore du Mexique, de Candolle volle onorare i due artisti dedicando a ciascuno di loro uno dei nuovi generi messicani pubblicati in Prodromus Systematis Naturalis Regni Vegetabilis (1828), sulla scorta degli appunti di Sessé e Mociño. Entrambi sono ancora validi, ma ben diversi per ampiezza e notorietà. Per volontà di Sessé e Mociño, rispettata da de Candolle, al modesto e solerte Vicente del la Cerda è toccato il monotipico Cerdia, della famiglia Cariophyllaceae, rappresentato dalla poco appariscente C. virescens, una minuscola erbacea perenne a cuscino con fiori bianco-verdastro privi di petali che poco si distinguono dal fogliame. Endemica delle aree aride del Messico, dal deserto di Chihuahua alle montagne centrali, è una specie piuttosto variabile - per il colore e la disposizione delle foglie, il numero di fiori per infiorescenza, la morfologia dei tepali e delle brattee, la presenza o l'assenza di stipole - tanto che in passato ne furono distinte quattro specie; oggi, sulla base di studi molecolari, tutte sono ricondotte a C. virescens. Qualche approfondimento nella scheda. Echeveria, una scelta infinita Se nessuno di noi, a meno di essere un esperto di flora dei deserti messicani, ha mai visto una Cerdia, alzi la mano chi non conosce e coltiva le Echeveriae. Al brillante Atanasio Echeverría è infatti toccato in sorte uno dei generi più noti, amati e coltivati dell'intera famiglia Crassulaceae. A dire il vero, Sessé e Mociño avevano destinato al più dotato dei loro pittori un'altra specie dei deserti messicani, l'ocotillo, un arbusto spinoso simile a un rovo che alla prima pioggia si trasforma in una cascata di fiori rosso fiamma. Ma, prima che de Candolle potesse pubblicarlo, era stato anticipato da Kunth (il collaboratore di Humboldt) che l'aveva battezzato Fouquieria splendens. Dunque l'assegnazione del nostro Echeveria a Atanasio Echeverría fu decisa dal solo de Candolle, sulla base di tre specie che Sessé e Mociño avevano assegnato ai generi Cotyledon e Sedum. Echeveria è un genere vastissimo, con oltre 150 specie di piante succulente sempreverdi, talvolta suffrutici, con foglie per lo più a rosetta, diffuse prevalentemente negli habitat aridi di media e alta quota del Messico (una specie raggiunge il Texas e alcune, attraverso il Centro America, si spingono fino all'America andina). Sono tra le succulente più popolari soprattutto per la bellezza delle foglie, in una vasta gamma di forme e colori (che includono il verde, il grigio, l'azzurro, il porpora, il rosato), generalmente raccolte in una rosetta più o meno globosa o aperta, ma anche per la facilità della coltivazione e della propagazione (è molto facile riprodurle anche da una singola foglia). I fiori campanulati, anch'essi piuttosto carnosi, raccolti in cime o pannocchie su lunghi steli lievemente arcuati, con i loro colori in tecnicolor (aranciati, rossi, rosati, spesso con apice dei petali giallo) aggiungono un'ulteriore attrattiva. Impossibile citare anche solo le specie più abitualmente coltivate; la scelta è ampissima, con centinaia e centinaia di cultivar. Disponibili in un'infinita varietà di forme e colori, attraenti tutto l'anno, a prova di pollice secco, relativamente rustiche, sono apprezzate tanto dai collezionisti a caccia dell'ultima novità quanto dal "coltivatore" più occasionale. Alle numerosissime varietà e agli ibridi interspecifici, si aggiungono anche gli ibridi intergenerici con altri generi di Crassulaceae; i più noti e disponibili sul mercato sono quelli con gli affini Pachyphytum, Graptopetalum, Sedum sezione Pachysedum (x Pachyveria, x Grapteveria, x Sedeveria). Qualche informazione in più nella scheda. Concludiamo con una nota dolente: sembra che, nonostante l'incredibile varietà di forme e di colori resa possibile dal lavoro di selezione e creazione di vivaisti e ibridatori, il mercato sia alla ricerca di qualcosa di diverso, di ancor più strabiliante. Così, da qualche anno, soprattutto nel periodo natalizio, ecco sui bancali di fiorai e garden center fare brutta mostra di sé le grandi rosette di E. agavoides (una specie assai robusta e facile da coltivare, che può raggiungere anche un diametro di 20 cm) verniciate in giallo, blu, rosso, nero, oro. Al di là del giudizio estetico, si tratta di una pratica assassina: la vernice impedisce alle foglie di respirare e di effettuare la fotosintesi; nell'arco di pochi mesi, la pianta è destinata a perire. Per gli olandesi che le producono a migliaia di esemplari, poco importa: gli affari sono affari. Ma per chi ama il verde e rispetta la natura, è un infelice connubio di ignoranza, cattivo gusto e consumismo. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
March 2024
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