Per Maya e Aztechi, il gioco del pallone era una cosa seria, molto seria: connesso con il mito, la religione e i riti di fertilità, veniva giocato in cortili lastricati annessi ai templi, e la partita terminava con un sacrificio umano (a perdere letteralmente la testa per il pallone era, si presume, il capo della squadra sconfitta). Nel corso dei secoli e da una cultura all'altra, variarono le tipologie e le regole di gioco, la forma e le dimensioni del campo, ma ovunque si giocava con una palla di gomma naturale, ricavata dal lattice di vari alberi, primo fra tutti Castilla elastica. Gli aztechi lo chiamavano olicuàhuitl, "albero della gomma"; nell'assegnargli un nome botanico, il capo della Real Expedicion Botanica Martin de Sessé e il suo collaboratore Vicente Cervantes vollero invece onorare la prima vittima della spedizione, il botanico e farmacista Juan Diego del Castillo. Un pallone... elastico Nel 1493, ad Haiti, Cristoforo Colombo notò un gruppo d'indigeni che giocava "con un pallone che rimbalzava estremamente bene"; quanto a Hernàn Cortés, fu così impressionato dai giocatori di pallone aztechi da portarne alcuni con sè in Spagna, dove diedero spettacolo di fronte a Carlo V. A stupire, oltre all'abilità dei giocatori, erano proprio le stesse palle: quelle che si usavano all'epoca in Europa erano un involucro di cuoio, imbottito con capelli (donde la parola spagnola pelota, da pelo "capello") oppure vesciche vuote e rigonfie; quelle mesoamericane erano tanto elastiche, rimbalzavano tanto bene perché erano di gomma naturale, ricavata da lattice di alcuni alberi. A scoprire e a imparare come sfruttare questa risorsa naturale erano stati gli Olmechi (che ne hanno addirittura ricevuto il nome: in nahuatl, la lingua degli Aztechi, la parola per indicare il caucciù è ulli o olli, da cui Olmeca "popolo del caucciù"). In effetti, le foreste dell'area attorno al golfo del Messico erano ricche di alberi che secernono un lattice elastico, atto a fabbricare la gomma; le più importanti per l'abbondanza della secrezione e la qualità del materiale sono due specie del genere Castilla: in primo luogo C. elastica, distribuita dal Messico al Sud America settentrionale, ma anche, nelle aree più meridionali dove vivevano i Maya, C. tunu. I giochi di palla presso i popoli mesoamericani avevano un significato religioso e rituale. Venivano giocati anche per puro passatempo, ma i campi principali sorgevano presso i templi e le partite facevano parte di complesse cerimonie che si concludevano con un sacrificio umano. Gli alberi della gomma (in nauhatl olicuàhuitl) erano considerati un sacro dono degli dei; sacre erano le stesse palle di gomma, che, magari ornate con una preziosissima piuma del quetzal, l'uccello sacro al dio Quetzalcoatl - egli stesso non di rado raffigurato mentre gioca a palla; e quella palla, evidentemente, è il Sole - erano una comune offerta votiva; è così che nei depositi sacri ne sono stati trovati molti esemplari, presumibilmente modellini di dimensioni inferiori al reale. Qualche anno fa hanno fatto scalpore i risultati di una ricerca di alcuni studiosi del MIT di Boston che, esaminando questi reperti e interpretando i resoconti degli scrittori spagnoli del Cinquecento, sono giunti alla conclusione che non solo gli Olmechi avevano cominciato ad usare il lattice di Castilla elastica per ricavarne la gomma naturale (i reperti più antichi risalgono al 1800 a.C.), ma avrebbero anche scoperto un procedimento che in qualche modo avrebbe anticipato di secoli la vulcanizzazione, unendo al lattice di Castilla il succo di Ipomoea alba, una liana che spesso si arrampica proprio sui fusti di questi alberi. Benché manchino prove definitive, si tratta senza dubbio di un'ipotesi suggestiva. E' certo invece che il palo de hule (questo il nome spagnolo di C. elastica, un calco del nome azteco; hule è anche la parole che in spagnolo designa la gomma naturale o caucciù) era albero ben noto e l'estrazione del lattice continuò ad essere praticata anche nel periodo coloniale, quando era usato per scopi diversi, in particolare per produrre tele cerate; gli erano anche attribuite proprietà medicamentose, e come pianta medicinale, la specie non sfuggì ai primi studiosi della flora messicana, a cominciare da Francisco Hernandez. Tuttavia bisogna attendere la Real Expedición Botánica a Nueva España perché l'albero fosse descritto scientificamente e ricevesse un nome botanico. Per decisione comune del capo della spedizione, Martin de Sessé, e di Vicente Cervantes, professore di botanica presso l'orto botanico di Città del Messico, venne dedicato alla prima vittima della grande spedizione, il botanico e farmacista Juan Diego del Castillo. Una partecipazione intensa pagata con la vita Poche senza dubbio le notizie che ci sono giunte su questo personaggio. E' possibile che quando si aggregò alla spedizione fosse già una vecchia conoscenza di Martin de Sessé, dato che entrambi erano aragonesi del circondario di Jaca. Anche la sua formazione e la sua carriera ricordano quelle del conterraneo (tuttavia più giovane di lui di parecchi anni). Tutte e due, infatti, dopo gli studi in patria, l'uno come medico, l'altro come farmacista, erano entrati al servizio dell'esercito, praticando nell'America coloniale, dove erano divenuti eminenti membri della società scientifica locale. Juan Diego José del Castillo y López, nato presumibilmente a Jaca, aveva studiato prima filosofia, poi farmacia, esercitando la professione dapprima nella città natale e a Almudévar; divenuto farmacista militare, aveva quindi prestato servizio a Cadice, per poi essere trasferito nel 1771 a Porto Rico, dove venne nominato farmacista capo presso dell'Ospedale Reale. Nei quasi vent'anni trascorsi nell'isola, studiò a fondo la flora portoricana e nel 1785 divenne corrispondente estero dell'Orto botanico di Madrid, cui inviò anche numerosi esemplari, conquistando la stima di Casimiro Gomez Ortega. Fu così che nel 1788 quest'ultimo decise di aggregarlo alla Real Expedición Botánica come botanico e farmacista, lodandone le conoscenze botaniche, l'intelligenza e la lunga esperienza di vita ai tropici. Castillo arrivò a Città del Messico nel luglio 1788 e già ad agosto prese parte alla cosiddetta "prima campagna" nella valle del Messico, che si prolungò fino alla fine dell'anno. L'anno successivo, prese parte alla seconda campagna, con meta finale Acapulco; di questo viaggio, Castillo ha lasciato una relazione manoscritta di una ventina di pagine che contiene la descrizione delle piante raccolte, con denominazione linneana, sinonimi, luogo di raccolta, data di fioritura; conservato presso l'Orto botanico di Madrid, fu pubblicato solo nel 1887 in Plantae Novae Hispaniae. Tra il 1790 e il 1792, fu tra i partecipanti della terza lunga e faticosa campagna nel Messico settentrionale; quando il gruppo si divise, insieme a Mociño e Echeverría, percorse le province di Querétaro, Guanajuato, Michoacán, Valladolid e Patzcuaro. Dopo aver attraversato gli attuali stati di Jalisco, San Luis de Potosí e Nayarit, i tre si soffermarono diversi mesi nell'area del Tepic, per poi spostarsi verso Sinaloa, Durango e Sonora. Giunsero fino a Alamos, all'epoca un minuscolo villaggio, sede di una missione quasi abbandonata, al confine tra gli attuali stati di Sinaloa e Sonora. Il viaggio, lungo e faticoso, in mezzo a montagne impervie e deserti, aveva messo a dura prova i tre naturalisti; durante il viaggio di ritorno, mentre attraversavano la Sierra Madre occidentale nella regione di Tarahuamara, Castillo si ammalò. Quando raggiunsero Aguascalientes, il punto di ritrovo con l'altro troncone della spedizione, era ormai prostrato. Fu così che si separò da Mociño e Echeverría, che insieme a Maldonado partirono alla volta di Nootka; egli invece, insieme a Sessé e agli altri, rientrò a Città del Messico, con un viaggio che si faceva sempre più penoso mano a mano che le sue condizioni peggioravano. Neppure in città poté recuperare la salute, morendo il 16 luglio 1793. Nel suo testamento, dimostrò ancora una volta la sua dedizione alla scienza con un lascito testamentario di 4000 pesos per la pubblicazione di Flora mexicana, l'opera collettiva dei botanici e dei disegnatori della spedizione; confermando quell'intelligenza e quella conoscenza del mondo che tanto lo aveva fatto apprezzare da Gomez Ortega, aggiunse però una clausola: se l'opera non fosse stata pubblicata entro sei anni, la somma doveva essere devoluta alla costruzione di un deposito di cereali nella città di Jaca, a vantaggio dei lavoratori poveri. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Castilla, un genere molto elastico La morte dell'amico e compagno colpì profondamente tanto Sessé quanto Cervantes, che avevano inutilmente cercato di curarlo (non giungendo, per altro, neppure alla stessa diagnosi: il primo attribuiva la malattia e la morte allo scorbuto, il secondo a un'ostruzione del piloro); di comune accordo, decisero di dare il suo nome a una pianta importante tra quelle raccolte durante la spedizione; forse proprio per il fascino della sua storia e il suo legame con le civiltà preispaniche, la scelta cadde sul palo de hule. Pochi giorni dopo la morte di Castillo, il 22 giugno 1793 Cervantes inaugurò l'anno accademico con una prolusione dedicata a “El Árbol del Ule”, che ribattezzò Castilla elastica in omaggio all'amico scomparso. Divisa in tre parti, dopo una trattazione delle piante che producono gomma, sulla scorta delle informazioni raccolte da Sessé, esponeva alcuni esperimenti sul lattice e i suoi usi noti, concludendo con un esame delle proprietà medicinali (che, detto per inciso, successivamente non hanno trovato conferma scientifica). L'anno successivo, il discorso venne pubblicato come supplemento della Gazeta de literatura de Mexico, segnando la nascita ufficiale del genere Castilla. Si trattava di una pubblicazione di difficile reperimento, oltretutto scritta in spagnolo; fu così che nel 1805 Charles Koenig del British Museum ne pubblicò una traduzione in inglese; commise però un errore, trascrivendo il nome generico come Castilloa, E come Castilloa fu descritto nell'edizione di Genera Plantarum curata da Endlicher (1837); il nome errato fu in uso per quasi un secolo, finché ne venne riconosciuta l'illegittimità. Il genere Castilla, della famiglia Moraceae, comprende tre specie di alberi di imponenti dimensioni, originari delle foreste pluviali di bassa quota dell'America centrale e meridionale: Sono spesso sorretti da robuste radici a contrafforte; una caratteristica peculiare è poi l'autopotatura dei ramoscelli, che cadono lasciando cicatrici lungo il tronco; secondo alcuni studiosi, si tratterebbe di un meccanismo di autodifesa contro il troppo affettuoso abbraccio dei rampicanti (come appunto Ipomoea alba). C. elastica e C. tunu hanno distribuzione più settentrionale (dal Messico all'Ecuador), mentre C. ulei è più meridionale (dalla Colombia al Brasile). La più importante dal punto di vista economico è C. elastica, che in Messico e in altri paesi dell'area è stata sfruttata a lungo per la produzione della gomma, che oggi permane a livello locale soprattutto per realizzare piccoli oggetti d'artigianato. Introdotta in altri paesi tropicali, in concorrenza con il più noto albero della gomma, Hevea brasiliensis, in alcune zone della Tanzania, come anche nelle isole del Pacifico, è diventata infestante, venendo inclusa nella lista delle specie invasive globali. Qualche approfondimento nella scheda.
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