La Missione geodetica nel Vicereame del Perù è correntemente nota come "Missione La Condamine". Eppure il matematico, geografo, avventuriero Charles Marie de La Condamine non ne era né l'ideatore né il capo designato (ruoli che spettano piuttosto a Godin); anzi, dei tre accademici era probabilmente il meno qualificato: come matematico era inferiore a Bouguer, come astronomo era appena un apprendista se paragonato a Godin. Furono piuttosto la sua abilità di scrittore e il suo fantastico viaggio di ritorno, che lo vide - primo scienziato a farlo - discendere il corso del Rio delle Amazzoni, a trasformarlo nel protagonista assoluto di un'impresa di cui in precedenza era stato solo uno dei tanti attori. Anche per quanto riguarda la botanica, egli strappò a Joseph de Jussieu il primato che gli sarebbe spettato di diritto, offrendo al mondo accademico la prima descrizione della misteriosa e ricercatissima Cinchona, l'albero da cui si ricavava il "cortice peruviano", ovvero la corteccia di china. Durante la discesa del Rio delle Amazzoni, poté inoltre osservare il modo in cui gli indigeni si servivano del curaro e del lattice dell'albero della gomma, Hevea brasiliensis. Grande osservatore, ha lasciato una testimonianza preziosissima (anche se spesso non benevola) della vita delle comunità indie dell'Amazzonia. Se non avesse letto le sue pagine affascinanti forse Humboldt non avrebbe mai deciso di partire per il Sud America. Insomma, ce n'è abbastanza per guadagnargli la dedica di un genere botanico, Condaminea, che de Candolle scelse proprio per la sua affinità con Cinchona, di cui La Condamine fu il primo descrittore. La "scoperta" dell'albero della china Dei tre accademici inviati in Ecuador a misurare il meridiano, Charles Marie de La Condamine era di sicuro il meno "accademico" e il più avventuroso. Figlio di un facoltoso ricevitore delle imposte, era stato per qualche anno militare; insofferente della disciplina, aveva poi deciso di dedicare la propria vita alla scienza, studiando molte materie diverse, dalla matematica alla chimica, dalla meccanica alla fisica. Aveva anche dimostrato un notevole fiuto per gli affari; nel 1729, a capo di una cordata di cui faceva parte anche Voltaire, applicando il calcolo delle probabilità era riuscito ad arricchire se stesso e l'amico philosophe sfruttando le falle di una lotteria indetta dal ministero delle finanze per incentivare l'acquisto delle obbligazioni municipali parigine. Ma la vita sedentaria non era fatta per La Condamine, che nel 1731 si unì alla squadra dell'ex corsaro Dugay Trouin inviata ad ispezionare gli scali del Mediterraneo. Poté così visitare Algeri, Tripoli, Tunisi, Alessandria d'Egitto, la Terra santa, Cipro, Rodi e le isole del Dodecaneso, per poi fermarsi tre mesi a Costantinopoli. Durante il viaggio, tenne un diario, rimasto inedito, e raccolse osservazioni geografiche, matematiche e fisiche che al suo ritorno, presentate all'Accademia delle scienze, gli guadagnarono l'ammissione alla prestigiosa istituzione. Fu dunque in qualità di accademico e viaggiatore già riconosciuto che poté partecipare alla spedizione geodetica nel Vicereame del Perù. E' stato osservato che, studioso eclettico com'era, era un matematico meno preparato di Bouguer, e un astronomo poco più che dilettante, rispetto allo specialista Godin. Eppure è certo che senza di lui la spedizione sarebbe fallita sul nascere. Furono infatti le sue doti di uomo di mondo e la sua abilità finanzia a salvarla ripetutamente dal disastro, sia sostenendo i suoi compagni con prestiti a fondo perduto (l'affare della lotteria l'aveva reso milionario) sia negoziando prestiti e trovando crediti presso la corona spagnola e finanziatori privati. Divenne così abituale, quando la spedizione si arenava per mancanza di fondi, inviare La Condamine fino a Lima a raggranellare quattrini. Fu proprio durante uno di questi viaggi che egli fece la "scoperta" (come vedremo, il termine è piuttosto improprio) destinata a farlo entrare nella storia della botanica. Tra gli obiettivi secondari della missione c'era anche quello di sapere qualcosa di più sulla misteriosa "corteccia dei gesuiti" (in Italia la chiamavano anche "cortice peruviano"), unico rimedio veramente efficace contro la malaria. In Europa arrivava sotto forma di frammenti di corteccia, importati dal Perù, prima grazie ai Gesuiti poi all'impero spagnolo, che ne difendeva strenuamente il monopolio, mantenendo il segreto sull'origine di quel farmaco miracoloso. Appena giunto in Ecuador, Joseph de Jussieu si era dato da fare per raccogliere tutte le informazioni disponibili ed era riuscito a scoprire che la corteccia proveniva da alberi delle foreste della regione intorno a Loja. Non aveva però ancora potuto andare a verificare di persona; in attesa di farlo, aveva mandato in avanscoperta La Condamine che nel 1737, sulla strada per Lima, fece una deviazione per Loja munito delle sue indicazioni. Sul posto seppe che la migliore "cascarilla" (questo era il nome spagnolo della droga) si raccoglieva a circa due miglia dalla cittadina, sul monte Cajanuma; vi si trasferì immediatamente e trascorse la notte del 3 febbraio ospite di uno dei più abili raccoglitori e commercianti, che il mattino dopo lo condusse nella foresta dove poté infine vedere qualche esemplare del misterioso albero, disegnarne un ramo e raccogliere semi, fiori e foglie. Gli indigeni lo chiamavano quinaquina ("corteccia delle cortecce") e ne distinguevano tre qualità, in base al colore del tronco sotto la corteccia: rossa, la migliore e più potente, gialla e bianca. Al suo rientro a Quito, La Condamine si affrettò a scrivere le sue osservazioni in una memoria per l'Accademia delle scienze, in cui, dopo aver esposto la storia degli usi della corteccia di china, ne descrisse i tre tipi, nonché le modalità di raccolta e di conservazione praticati dagli indios. Spedita in Europa, fu letta in una seduta dell'Accademia parigina nel 1740. Pochi mesi dopo il viaggio di La Condamine, insieme al medico Siniergues e al disegnatore Morainville Jussieu poté infine visitare egli stesso l'area di Loja, studiando le piante di china in modo molto più approfondito e sistematico; ma poiché la sua memoria Description de l'arbre à quinquina rimase inedita, a far conoscere la vera identità dell'albero alla scienza europea fu La Condamine. Fu sulla base della sua descrizione (nonché degli esemplari essiccati che avrebbe portato con sé in Europa) che Linneo creò il genere Cinchona. Come abbiamo già visto in questo post, la spedizione fu funestata da vari incidenti e soprattutto dalla rivalità tra i tre accademici che la dirigevano, Godin, Bouguer e La Condamine. Per qualche tempo gli ultimi due si coalizzarono contro Godin e lavorarono insieme, ma, quando nel 1741 Bouguer scoprì un piccolo errore nei loro calcoli, tra di loro scoppiò una lite così violenta che da quel giorno si tolsero la parola, continuando a lavorare ognuno per conto proprio. Nella primavera del 1743, quando La Condamine venne a sapere che l'ex amico si accingeva a tornare in Europa per la via più breve, decise che la sua strada sarebbe stata un'altra: avrebbe attraversato il continente e raggiunto l'Atlantico discendendo il Rio delle Amazzoni. Lungo la corrente del grande fiume A spingerlo a questa decisione furono diversi fattori: la consapevolezza che la Missione, cui pure aveva dedicato otto anni della sua vita, non gli avrebbe assicurato alcuna gloria, visto che la questione della forma della Terra era già stata risolta e liquidata dalla spedizione in Lapponia di Maupertuis; il suo carattere avventuroso e il fascino esercitato anche su questo razionale figlio dei Lumi dalle leggende nate attorno al grande fiume, sulle cui rive si favoleggiava si trovasse il mitico Eldorado e vivessero tribù di amazzoni guerriere; ma l'elemento determinante fu l'amicizia con l'uomo politico e scienziato Pedro Vicente Maldonado (1704-48), che rendeva quell'impresa, se non facile, almeno fattibile. Membro di una delle più illustri famiglie del Vicereame, proprietaria di estesi latifondi nella Sierra centrale dell'Ecuador, Maldonando era un sagace amministratore, un esploratore e uno studioso autodidatta della natura del suo paese. Quando la spedizione geodetica arrivò in Perù, era impegnato nella costruzione di una strada che avrebbe dovuto collegare l'Audienca di Quito con Panama, attraversando le impenetrabili foreste della provincia di Esmeraldas. Fu proprio qui che lo incontrò La Condamine al suo arrivo in Ecuador, mentre dalla costa si spostava a Quito. Tra i due, uniti dall'amore per la scienza e dallo spirito avventuroso, iniziò una grande amicizia. Maldonado, che dal 1742 divenne anche governatore di Esmeraldas, collaborò in molti modi con la Missione geodetica, fornendo appoggio logistico e aiuti finanziari; insieme a La Condamine, redasse una importante Mappa della regione di Quito. Fu forse lui a proporre al geografo francese di raggiungere la costa atlantica scendendo il corso del Rio delle Amazzoni; anni prima aveva già visitato la regione di Maynas, da cui si accedeva al grande fiume, e sapeva che durante il viaggio avrebbero potuto trovare ospitalità nelle missioni gesuite disseminate lungo il suo corso. Da tempo sognava di andare in Europa, dove l'amicizia con La Condamine gli avrebbe aperto le porte delle società scientifiche. Il grande viaggio iniziò nel maggio 1743. Il primo a muoversi fu Maldonado; partito da Baños, scese lungo il Pastaza, un tributario del fiume Marañón che attraversava la regione di Maynas che egli aveva già visitato in passato. A giugno arrivò a La Laguna, il principale centro delle missioni di Maynas, dove, in attesa dell'arrivo di La Condamine, si dedicò a osservazioni naturalistiche, raccogliendo tra l'altro per l'amico esemplari dell'albero di cannella (come abbiamo già visto parlando di Joseph di Jussieu, non si tratta della vera cannella, Cinnamomum verum, ma di un'altra Lauracea utilizzata come succedaneo, Ocotea quixos). Negli stessi giorni, La Condamine lasciò Tarqui, ma prima di unirsi all'amico volle visitare le miniere di Zaruma e soprattutto tornare a Loja, dove si procurò alcune pianticelle e moltissimi semi di Cinchona; la sua intenzione era portarli con sé in Francia, per rompere il monopolio iberico con una vera e propria operazione di contrabbando. Per raggiungere il bacino del Rio delle Amazzoni aveva deciso di scendere lungo il Marañón, ma prima dovette affrontare un cammino difficile, funestato dalla pioggia incessante, tra selve impenetrabili e torrenti troppo impetuosi per consentire la navigazione; mentre ne guadava uno, una delle mule, carica dei suoi strumenti e degli appunti, finì in acqua, rischiando di fargli perdere tutto. Giunto all'altezza di Jaen, poté infine imbarcarsi sul Marañón con le sue guide: lo attendeva il difficile Pongo de Manseriche, una gola lunga circa cinque chilometri, dove l'alveo del fiume si restringe da 450 metri a poco più di 40 e la navigazione è resa insidiosa dalle pareti a strapiombo e dai gorghi. La zattera su cui era imbarcato rischiò di essere sommersa insieme a tutte le raccolte. Ma La Condamine aveva già imparato come difenderle dall'umidità: ancora in Ecuador, era stato colpito dagli oggetti di caucciù fabbricati dagli indigeni e dalle sue guide imparò a creare involucri di stoffa resi impermeabili immergendoli nel lattice. Superata la terribile gola, prese terra a Borja dove fu ospitato dal padre gesuita Maguin che gli diede una carta della regione e si offrì di accompagnarlo fino alla missione di La Laguna, dove era fissato l'appuntamento con Maldonado. Dopo sei settimane di separazione, finalmente i due amici si ricongiunsero, La navigazione lungo la corrente del rio delle Amazzoni iniziò il 23 luglio. Imbarcati con i vogatori che su davano il cambio e remavano giorno e notte in due grandi canoe, ciascuna formata da un unico tronco, poterono ora navigare in relativa sicurezza, dedicando tutto il loro tempo alle osservazioni scientifiche; La Condamine si occupò soprattutto di mappare e misurare il fiume, mentre Maldonado osservava e catalogava piante e animali, stupefatto per la loro abbondanza e varietà. Anche i costumi delle tribù che vivevano lungo il fiume non mancarono di attirare l'attenzione del sempre curioso La Condamine: alla confluenza tra il Marañón e l'Ucayali, dove inizia convenzionalmente il Rio delle Amazzoni, incontrarono la tribù degli Omagua che coltivavano una pianta dai semi allucinogeni e usavano porre le teste dei neonati tra pezzi di legno per arrotondarle. Alla confluenza con il Napo, dove arrivarono l'ultimo giorno di luglio, i due osservarono l'emersione del primo satellite di Giove e determinarono la latitudine esatta della località, mettendo finalmente a frutto il pesante telescopio che il francese aveva trascinato con sé per centinaia di chilometri tra fiumi e montagne. Dopo una sosta nella missione di Pebas, per tre giorni attraversarono un'area quasi disabitata finché arrivarono alla missione carmelitana di Sao Paulo, già in territorio portoghese. Qui furono stupiti dal trovare edifici in pietra e mattoni, e dal notare vestiti di stoffa inglese e oggetti importati come forbici, coltelli, specchi, pettini, che arrivavano dalla foce del fiume in cambio del cacao. Grande osservatore, uomo di ampie letture e di molteplici interessi, La Condamine si informava di tutto, misurava tutto e tutto annotava. La sua testimonianza sui costumi delle tribù indie è particolarmente preziosa, perché presto sarebbero state cancellate o assimilate. Già allora egli notò che le loro lingue erano in regresso di fronte all'avanzare del portoghese, mentre, come abbiamo già visto, nuovi oggetti e nuove abitudini soppiantavano i modi di vita tradizionali. Si informò accuratamente su come gli indios preparavano e usavano il curaro e come ne combattevano gli effetti, nonché sull'impiego del lattice di Hevea brasiliensis per confezionare oggetti di gomma. Egli pensava si trattasse della stessa pianta usata anche in Perù; in realtà gli indios peruviani ricavavano il lattice da Castilla elastica. Mano a mano che i viaggiatori scendevano lungo il fiume e incontravano un tributario dietro l'altro, l'alveo si faceva sempre più ampio. Quando giunsero dove il Rio Negro si getta nel Rio delle Amazzoni, La Condamine poté osservare il flusso di marea che dall'Atlantico risale il fiume, benché alla foce manchino ancora più di 1000 km. Il comandante del forte portoghese li accolse amichevolmente e li accompagnò per un tratto. Qui, dove il fiume è così largo che è impossibile scorgerne le rive, La Condamine notò sprezzantemente che l'abbondanza di pesci dovuta al riflusso della corrente "sembra aver favorito la naturale propensione degli indiani alla pigrizia". Verso i "selvaggi" non aveva certo un atteggiamento rousseauiano: li considerava poco più che bestie, dei gran pelandroni che approfittavano della generosità della natura per darsi da fare il meno possibile, nonché degli imprevidenti ghiottoni che si abbandonavano alle orge quando c'era abbondanza di cibo e facevano la fame quando non ce n'era. Non capiva che, in quel clima e in quelle condizioni, era impossibile fare e conservare scorte. Il 19 settembre Maldonado e La Condamine raggiunsero Gran Parà (oggi Belem): dopo quattro mesi di navigazione il grande viaggio era finito e i due si divisero: Maldonado decise di imbarcarsi immediatamente per la Spagna, dove intendeva far stampare la sua relazione sulla provincia di Esmeraldas. La Condamine si trattenne ancora a Gran Parà, dove fece esperimenti sul curaro e sui suoi antidoti. Era deciso a raggiungere il lembo estremo della foce: fu così che a bordo di un'altra canoa esplorò l'isola Marajó e raggiunse la piana di Macapà; misurandone la latitudine di 3 gradi nord, osservò con una certa ironia che sarebbe stata una sede perfetta per la missione geodetica dell'Accademia delle Scienze, ben più facile da raggiungere degli altopiani dell'Ecuador. Altri due mesi di canoa, dedicati a studiare le numerose bocche del Rio delle Amazzoni, lo portarono infine a Cayenne (Guyana francese), dove dovette aspettare ancora sei mesi una nave diretta in Francia; occupò il tempo facendo esperimenti sul curaro, sul lattice dell'albero della gomma e cercando di moltiplicare la Cinchona di cui distribuì il maggior numero possibile di semi. Quando infine partì per l'Europa, imbarcò anche numerosi virgulti, ma nessuno sopravvisse al viaggio. Era di nuovo a casa nel febbraio 1745, dopo dieci anni di assenza. A Parigi la sua vita sarebbe stata ancora lunga: a parte una sterile e virulenta polemica con Bouguer, occupò il suo tempo a viaggiare (fu in Italia e in Inghilterra), a intrattenere una formidabile corrispondenza, a battersi per l'inoculazione del vaiolo, che in gioventù gli aveva deturpato il volto, a propagandare la creazione di una misura universale (è la prima idea del metro); ma soprattutto a raccontare e divulgare la sua grande avventura di esploratore del Sud America. La sua Relation abrégée d'un voyage fait dans l'intérieur de l'Amérique méridionale, letta a un'assemblea dell'Accademia delle Scienze nel 1745, e soprattutto Journal du voyage fait par ordre du roi, à l'Equateur divennero due classici della narrativa di viaggi e influenzarono il modo in cui l'Europa per decenni vide il Sud America, ispirando anche il viaggio di Humboldt. Anche se la sua grande avventura aveva minato seriamente la sua salute, privandolo dell'uso di una gamba e rendendolo sordo, non perse mai la sua curiosità e il suo spirito combattivo: era consueto vederlo nei salotti e alle sedute dell'Accademia, appoggiato a un pesante bastone e con il cornetto acustico all'orecchio; anche quando, nel 1763, fu colpito dalla paralisi, continuò a studiare e a scrivere, collaborando anche all'Encyclopédie. Morì ultrasettantenne nel 1774. Una sintesi della vita nella sezione biografie. La poco nota Condaminea Anche se La Condamine non riuscì a far arrivare in Francia neppure una pianticella di Cinchona, come abbiamo già visto fu sulla base della sua descrizione che Linneo creò il genere. Bonpland, che seguì le orme del grande viaggiatore francese insieme all'amico Humboldt, ne battezzò addirittura una specie C. condaminea (oggi considerato un semplice sinonimo del linneano C. officinalis). A fare entrare il nostro poliedrico esploratore nella galleria dei dedicatari di generi botanici provvide però de Candolle nel 1830 in Prodromus Systematis Naturalis Regni Vegetabilis, dedicandogli Condaminea. La ragione è semplice: si tratta di una Rubiacea affine a Cinchona, e il botanico svizzero volle ricordarlo come "esploratore del Perù e primo descrittore di Cinchona". A questo piccolo genere distribuito tra Centro America e Brasile sudorientale sono attribuite quattro specie. La più nota è probabilmente C. corymbosa, un alberetto o un arbusto molto ramificato con grandi foglie cerose dalla consistenza coriacea e vistosi corimbi di fiori bianchi a imbuto con petali retroflessi, relativamente frequente nei terreni disturbati delle pendici andine, dove è una pianta antifrana utile per consolidare e trattenere il terreno. La parentela di Condominea con Cinchona è per altro molto meno stretta di quanto pensasse de Candolle: appartengono sì alla stessa famiglia, ma a tribù e sottofamiglie diverse; inoltre le specie di questo genere non risultano avere proprietà officinali. La dedica rimane però azzeccata, visto che il centro di diversità è la foresta pluviale amazzonica del Perù, che il nostro percorse tra mille difficoltà per raggiungere il Marañón. Un elenco delle specie e qualche notizia in più nella scheda.
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Tra le questioni scientifiche più dibattute dalla scienza del '700 c'era quella della forma e della dimensione della Terra: a Newton che, sulla base della teoria della gravità postulava che fosse schiacciata ai poli e rigonfia all'equatore, si opponeva Cartesio che, basandosi sulla propria teoria dei vortici, pensava piuttosto a una forma simile a un uovo, con un allungamento verso i poli. A sostegno di quest'ultima tesi, l'astronomo Cassini portava le misure da lui effettuate in Francia. Per dirimere la controversia, nel 1735 l'Accademia delle Scienze francese organizzò due spedizioni: una si sarebbe recata in Lapponia, la seconda nel vicereame del Perù. Le misure di un arco di meridiano prese rispettivamente al circolo polare artico e all'equatore avrebbero dovuto fornire la risposta. Per la durata, le personalità coinvolte, i risultati, la più importante fu indubbiamente la seconda, passata alla storia con tanti nomi: Missione geodetica in Perù, Missione geodetica all'equatore, Missione geodetica franco-spagnola o anche Spedizione La Condamine, da uno dei principali protagonisti. Anche se i suoi obiettivi principali erano geografici ed astronomici, coinvolse anche un botanico, Joseph de Jussieu, e portò a rilevanti scoperte su piante medicinali di grande importanza. Fu la prima grande spedizione scientifica internazionale, poiché vi presero parte anche due giovanissimi e perspicaci ufficiali della Marina spagnoli, destinati a un brillante avvenire: Jorge Juan e Antonio de Ulloa, i due dedicatari dello spettacolare genere Juanulloa. Dramatis personae: francesi e spagnoli L'idea che la Terra non fosse perfettamente sferica fu avanzata nel 1671 dal francese Jean Picard, l'astronomo che inventò il metodo della triangolazione geodetica. Qualche anno dopo Newton affermò che, se la Terra possedesse solo il moto di rivoluzione, sarebbe perfettamente sferica; ma a causa del movimento di rotazione assume la forma di uno sferoide schiacciato ai poli e dilatato all'equatore. A questa tesi si opponeva Cartesio, che, sulla base della teoria dei vortici, riteneva piuttosto che il pianeta avesse una forma simile a un uovo, con un allungamento lungo l'asse dei poli. A partire dal 1683, si passò alla verifica sperimentale; in Francia, gli astronomi Cassini, Maraldi e La Hire misurarono un meridiano dalla Manica ai Pirenei; le loro misure sembrarono confermare l'allungamento della Terra in senso longitudinale, secondo la tesi di Cartesio, ma furono respinte come erronee dai newtoniani . Per risolvere la questione una volta per tutte, l'Accademia delle Scienze decise di organizzare due spedizioni geodetiche (debitamente finanziate dalla Corona), che avrebbero dovuto misurare un arco di meridiano rispettivamente in prossimità del Polo nord e all'Equatore. La spedizione polare (1736-1737) fu guidata dal convinto newtoniano Pierre Louis Moreau de Maupertuis, accompagnato dal matematico Alexis Clairaut e dagli astronomi Charles-Étienne-Louis Camus e Pierre Charles Le Monnier; in Svezia fu inoltre accolta da Anders Celsius, l'inventore del termometro centigrado. La spedizione misurò un arco di meridiano tra Kittis e Tornea, constatando che era più lungo rispetto quello misurato da Cassini tra Amiens e Parigi; era la conferma che la Terra è appiattita ai poli. Maupertuis ritornò trionfante a Parigi e presentò i risultati con grande risonanza mediatica, tanto da guadagnarsi da parte dell'ironico Voltaire il soprannome di "schiacciatore della Terra". Ben più complessa si presentava la spedizione all'Equatore. Il primo problema era politico: la Francia decise di effettuare le misurazioni nell'attuale Ecuador, che all'epoca faceva parte del Vicereame del Perù, territorio sotto la giurisdizione spagnola. Fino ad allora, la Spagna aveva sempre negato l'autorizzazione a spedizioni straniere nelle proprie colonie; in virtù del patto di famiglia (tanto a Parigi quanto a Madrid regnava un Borbone) e del desiderio di partecipare a un'impresa tanto prestigiosa, la Spagna si convinse, ma a condizione che partecipassero anche due militari iberici, ufficialmente come collaboratori, ma in realtà come sorveglianti. Fu così che la Missione geodetica all'Equatore divenne la prima spedizione internazionale dell'età moderna. Per numero di partecipanti era decisamente imponente. L'équipe scientifica francese comprendeva dieci membri: tre accademici, l'astronomo Louis Godin (1704-1760), che era anche colui che aveva avuto l'idea della missione; il matematico, fisico e idrografo Pierre Bouguer (1698-1758); il chimico e geografo Charles de La Condamine (1701-1774); i disegnatori e cartografi Jean-Louis de Morainville e Jean-Joseph Verguin; l'orologiaio e "ingegnere agli strumenti matematici" Théodore Hugot; il chirurgo Jean Siniergue; gli aiutanti Couplet-Viguer e Godin des Odonnais (nipote di Louis Godin); il medico e botanico Joseph de Jussieu (1704-1779), fratello minore degli accademici Antoine e Bernard. Infatti, anche se l'obiettivo principale della missione era geodetico e astronomico, l'Accademia non volle perdere l'occasione di studiare la natura di quella contrada esotica, in particolare le sue reputate piante medicinali. Aggiungendo i servitori e i soldati di scorta, a lasciare La Rochelle il 16 maggio 1735 a bordo del mercantile Portefaix furono in ventitré. Dopo 37 giorni di navigazione, la prima tappa fu la Martinica, quindi Santo Domingo dove dovettero attendere tre mesi il vascello che li avrebbe condotti a Cartagena de las Indias (nell'attuale Colombia); durante il soggiorno forzato, secondo la loro specializzazione, gli scienziati si dedicarono alle osservazioni astronomiche o alla raccolta di piante e animali. Purtroppo ebbero anche il primo assaggio di febbri tropicali: ne soffrirono Jussieu e Godin des Odonnais in modo lieve, La Condamine in modo grave, due servitori e un soldato ne morirono. Per rimpiazzarli, furono acquistati alcuni schiavi neri, intaccando le non molto abbondanti risorse finanziarie, che vennero per altro dissennatamente sperperate da Godin per far colpo su una bellezza creola. I francesi arrivarono a Cartagena solo nel novembre 1735, dove ad attenderli c'erano i loro compagni spagnoli, arrivati da Cadice già a giugno: una squadra di sette uomini capeggiata dai tenenti di vascello Jorge Juan Satacilia (1713-1773) e Antonio de Ulloa de la Torre Giral (1716-1795). Entrambi giovanissimi (avevano rispettivamente 22 e 19 anni), erano i due migliori allievi dell'Accademia dei guardia marina di Cadice, un centro di formazione di élite dove i rampolli dell'aristocrazia venivano preparati a comandare le navi della flotta spagnola. Avevano già partecipato ad azioni militari, possedevano buone basi matematiche e nozioni elementari di astronomia, ma erano dei "ragazzini" (come li definirà sprezzantemente La Condamine), che da guardia marina erano stati promossi dalla sera alla mattina tenenti di vascello per non troppo sfigurare. Erano muniti di istruzioni molto precise, alcune ufficiali, altre segrete: in base alle prime, dovevano determinare le coordinate dei porti visitati, tracciare le carte delle città, ispezionare lo stato delle difese, raccogliere ogni possibile informazione su cantieri, risorse economiche, minerarie e naturali incluse le piante, suggerire riforme; in base alle seconde, dovevano sorvegliare strettamente i francesi che agli occhi di Madrid, più che scienziati, erano potenziali spie. Nell'attesa dei francesi, anche loro non avevano perso tempo, esplorando e cartografando la regione: tra le altre cose, in una miniera abbandonata nella selva del Chocó Ulloa osservò un metallo così duro da resistere alla calcinazione. Era la prima segnalazione del platino, di cui Ulloa è considerato lo scopritore. Un'impresa epica... e litigiosa Così riuniti, francesi e spagnoli si imbarcarono per Portobelo, da dove avrebbero raggiunto la costa del Pacifico addentrandosi a piedi nelle foreste dell'istmo di Panama, un cammino reso difficile dalla vegetazione impenetrabile, dalle punture di insetti e scorpioni, dagli incontri con animali selvatici di ogni tipo, ma soprattutto dalle dimensioni stesse della carovana, che comprendeva trenta muli carichi di abiti, tende, attrezzi da cucina, armi, acquavite e ovviamente strumenti astronomici, geodetici, topografici. Trovare un imbarco a prezzo accessibile per tanti bagagli e una quarantina di persone fu dunque tutt'altro che semplice; solo dopo quasi tre mesi gli esploratori poterono imbarcarsi sul San Cristobal, che li condusse a Manta, sulla costa dell'attuale Ecuador (marzo 1736). Bouguer e Godin incominciarono subito ad accapigliarsi: gli accordi tra Francia e Spagna prevedevano che venisse misurato l'arco di meridiano che passa per Quito (sull'altopiano, a circa 2850 metri sul livello del mare), ma Bouguer suggerì di misurarlo sulla costa, dove le operazioni sarebbero state più semplici e non sarebbe stato necessario trasporre i calcoli al livello del mare; Godin rifiutò, ben sapendo che i loro passaporti erano vincolati all'itinerario già stabilito e che le autorità locali li guardavano con sospetto. Concesse però a Bouguer e La Condamine di fermarsi qualche giorno sulla costa per determinare la posizione esatta dell'equatore. Fu così che per arrivare a Quito ognuno dei tre accademici fece gruppo a sé: Godin e gli spagnoli vi arrivarono per primi il 29 maggio 1736, seguiti a qualche giorno di distanza dagli altri. Per nessuna delle tre comitive fu una passeggiata: senza considerare seccature come il cibo troppo piccante o la mancanza di vino, ad accoglierli ci furono nuvole di moscerini, piogge torrenziali, foreste in cui bisognava aprirsi il cammino con le asce e orientarsi con la bussola, ponti di corda sospesi su abissi vertiginosi. Dopo diversi mesi dedicati alla preparazione logistica e alla verifica degli strumenti, le triangolazioni iniziano a ottobre nella pianura di Yaruqui e proseguono fino all'agosto 1738: viene misurato l'arco geodetico che da Quito arriva fino a Cuenca, per una lunghezza di oltre 300 chilometri. Come aveva previsto Bouguer, effettuare misure geodetiche in un territorio accidentato d'altura pone problemi non banali. In una regione in cui le cime superano i 5000 metri, capita che le basi di rilevazione coincidano con un burrone o una scarpata, gli strumenti devono essere spostati, smontati e rimontati rischiando di comprometterne il funzionamento. Per sistemare i punti di riferimento e osservare gli angoli, bisogna scalare montagne, sopportare il mal d'altura, il freddo, le piogge torrenziali, le nebbie, il vento che spazza via i segnali (senza contare quelli smantellati e rubati dagli indigeni), cui si aggiungono occasionali terremoti e eruzioni vulcaniche. Molto spesso le guide si rifiutano di proseguire; gli unici che non demordono, e condividono con scienziati e tecnici il merito del successo finale, sono gli schiavi neri, di cui non conosciamo né il numero né il nome. A tutte queste difficoltà, si aggiunse la situazione finanziaria sempre più drammatica: terminati i fondi inizialmente assegnati e mai giunti quelli richiesti a Parigi, i francesi furono costretti a chiedere prestiti al tesoro spagnolo o a commercianti locali, indebitandosi sempre più pesantemente; ogni tanto, bisognava interrompere i lavori per tornare a Quito per riparare gli strumenti e per cercare soldi, un'operazione solitamente affidata a La Condamine: figlio di un esattore delle imposte, sapeva come condurre le trattative e, soprattutto, godeva di un patrimonio personale da usare come garanzia. Così, ogni tanto partiva e si faceva centinaia e centinaia di chilometri per andare a Lima a battere cassa. Le intemperie, le difficoltà del cammino, le malattie e gli scontri con i locali diradarono le file della spedizione: nel 1736 l'aiutante geografo Couplet-Viguer morì di malaria; nel 1739 Siniergues, in seguito a un intrigo amoroso, venne assassinato durante una corrida a Cuenca. Anche due dei servitori morirono di morte violenta. A tutte queste difficoltà oggettive si aggiunsero i pessimi rapporti tra i tre accademici; Godin rifiutò di mostrare i suoi dati ai colleghi per un confronto. Quando, terminate le misure geodetiche nell'agosto 1738, passarono a quelle astronomiche, un errore di calcolo di Godin rilevato da Bouguer fece scoppiare una violenta lite. Per altro, la parte astronomica delle missione si rivelò anche più penosa e difficile di quella geodetica, con giorni e giorni persi ad attendere condizioni di perfetta visibilità, supporti resi instabili dai terremoti, la necessità di smontare, rimontare e rettificare continuamente gli strumenti, senza contare l'inesperienza di Bouguer e La Condamine che persero quasi due anni in un duro apprendistato. Le misure astronomiche, condotte dagli accademici divisi in tre équipes separate, richiederanno quasi cinque anni, fino al 1743. Terminato il loro compito, anziché rientrare insieme, i tre litigiosi scienziati francesi si divisero, a testimoniare il solco incolmabile che si era scavato tra loro. Pierre Bouguer ripercorse all'inverso la strada dell'andata, imbarcandosi per Panama e da qui per le Antille, quindi per Nantes. Nell'agosto 1744 era a Parigi, dove il suo ritorno quasi non fece notizia: che la Terra fosse appiattita l'aveva già dimostrato Maupertuis otto anni prima. In ogni caso, egli presentò all'Accademia una relazione in cui cercò di attribuirsi tutti i meriti, minimizzando i contributi di Godin e La Condamine. Quest'ultimo arrivò a Parigi solo alla fine del 1745, dopo un viaggio molto avventuroso che merita di essere raccontato in un post a parte, visto che coinvolge la botanica e gli ha guadagnato la dedica di un genere. Quanto a Godin, aveva deciso di ampliare la triangolazione, estendendola fino alla latitudine di Cuenca; continuò il suo lavoro con l'assistenza di Juan e Ulloa fino al maggio 1744. Oppresso da enormi debiti che non aveva modo di saldare, si trasferì poi a Lima dove lavorò come astronomo e professore; poté tornare in Europa solo quando la corona spagnola pagò i suoi debiti a condizione che si trasferisse a Cadice come professore dell'Accademia dei guardia marina (quella dove si erano formati Juan e Ulloa). Non sarebbe più tornato in Francia. Un botanico inquieto e sfortunato Godin non fu il solo membro della spedizione ad essere trattenuto nel Vicereame del Perù dai debiti o da nuovi affetti. Suo nipote Jean-Baptiste Godin des Odonais si sposò con una ragazza della buona società creola e tornò in Francia con la moglie solo nel 1773 dopo avventure a non finire; in una versione un po' romanzata, le ha raccontate Robert Whitaker in La moglie del cartografo. Il meccanico-orologiaio Théodore Hugot rimase a Quito, si sposò con una peruviana e morì nella selva, mentre era impegnato a sfruttare una miniera. L'ingegnere e disegnatore Jean Louis de Morainville divenne architetto e morì per la caduta di una trave mentre lavorava alla ricostruzione di una chiesa a Riobamba, nel 1764 o nel 1765. Un destino amaro attendeva anche il nostro botanico, Joseph de Jussieu. Prima di studiare medicina e botanica seguendo l'esempio dei fratelli, aveva studiato matematica con l'intenzione di diventare ingegnere. In vista del viaggio in Sudamerica si era preparato alla sua missione studiando l'erbario di Joseph Donat Surian, il compagno di viaggio di Plumier. Le soste in Maritinica, a Santo Domingo, Cartagena e Portobelo furono per lui altrettante occasioni di raccolta di specie esotiche. Una volta a Quito, dovette però limitare le sue escursioni botaniche sulla sierra (dove in genere era accompagnato dal disegnatore de Morainville) perché, grazie alle sue basi matematiche, fu attivamente coinvolto nelle misurazioni geodetiche. Ma soprattutto a sottrarlo alle ricerche botaniche fu la sua condizione di medico in una regione dove la presenza di personale sanitario preparato era inversamente proporzionale alla frequenza di epidemie. Nel 1736 e nel 1737, insieme a Siniergues, fu cooptato dal viceré del Perù per assistere la popolazione colpita da epidemie di vaiolo a Cuenca e a Guayaquil. Fu dunque solo nel 1739, quando terminarono le misurazioni geodetiche, che poté dedicarsi pienamente alle ricerche botaniche. Quell'anno si recò a Loja, dove scoprì diverse specie di Cinchona, di cui studiò le caratteristiche botaniche e farmaceutiche. Quando la spedizione si sciolse, pensò di unirsi a La Condamine, ma ne fu impedito da un attacco di febbre e dalla mancanza di mezzi, che lo costringevano a mantenersi esercitando la medicina. Nel 1745 aveva abbastanza soldi per pensare di partire, ma non poté farlo a causa di un decreto della Real Audiencia di Quito che vietava di lasciare la città. Nel 1747, ricevette l'ordine del ministro degli esteri francese Maurepas di raggiungere Godin a Lima per recuperare gli strumenti. Attraversò a piedi la provincia di Canelos dove studiò gli alberi di cannella (non si tratta della vera cannella, Cinnamomum verum, nativa dell'Asia, ma di una pianta della stessa famiglia oggi denominata Ocotea quixos); esplorò poi la valle del fiume Chambo, le pendici del vulcano Tunguragua e la valle centrale, dove fece importanti raccolte botaniche che inviò ai fratelli a Parigi, raggiungendo Lima nel 1748. Qui si unì a Godin e ad agosto si mosse con lui in direzione di Buenos Aires, visitando tra l'altro le sponde del lago Titicaca, dove raccolse molti esemplari di uccelli. Ma quando raggiunsero La Paz, dopo un viaggio di nove mesi, decise di separarsi del suo compagno per visitare le coltivazioni di coca a Yunga, continuando poi per Santa Cruz de la Sierra. Aveva intenzione di raggiungere Godin più tardi, ma ciò non avvenne mai. Infatti nel luglio 1750 l'inquieto botanico arrivò a Potosì, dove sorgevano le più importanti miniere d'argento dell'epoca, e vi si trattenne per cinque anni, esercitando la professione medica e interessandosi di opere idrauliche. Con la vista indebolita, depresso e debilitato dalle malattie e dall'esposizione ai vapori di mercurio, tornò a Lima nel 1755. La famiglia premeva perché tornasse a casa, ma gli mancarono sempre i mezzi per farlo. Solo nel 1771 poté tornare a Parigi: era ormai un vecchio dal corpo e dalle mente distrutti; lasciò dietro di sé a Lima erbari e manoscritti che Joseph Dombey fu incaricato di recuperare senza esito. Altri materiali erano andati perduti già in precedenza, rubati da un servo. Ammesso all'Accademia delle scienze per volontà degli influenti fratelli, Joseph de Jussieu non poté partecipare neppure a una seduta. Visse ancora otto anni, immemore e immerso nel suo mondo interiore. Tra le piante di cui gli viene attribuita l'introduzione Heliotropium arborescens. I suoi maggiori contributi riguardano la china (Cinchiona spp.), l'albero di cannella (egli la chiamò, in onore del suo re, Borbonia peruviana, oggi come abbiamo visto si chiama Ocotea quixos) e la coca (Erythroxylum coca). Marinai, scienziati, funzionari, spie... Ad eccezione di La Condamine, sul quale ritornerò, nessuno dei protagonisti francesi di questa spedizione (incluso il botanico Joseph de Jussieu) ha dato il suo nome a un genere botanico valido. Uno più che notevole celebra invece congiuntamente gli spagnoli Jorge Juan e Antonio de Ulloa. E' dunque ora di conoscerli meglio. I due "ragazzini" non solo si dimostrarono compagni di lavoro leali e affidabili, ma sfruttarono l'occasione per un apprendistato che fece di loro due esponenti di punta dell'illuminismo iberico. Come ho già accennato, al loro arrivo nel Vicereame si unirono a Godin, in quanto capo della missione, e solitamente fecero squadra con lui anche negli anni successivi. Condivisero i disagi, i pericoli e le malattie e furono determinanti per il completamento della missione, imparando ad usare strumenti che in Spagna non si erano mai visti, tanto da trasformarsi in provetti geodeti, cartografi ed astronomi. Come i francesi, erano ben accetti dagli ambienti colti e illuminati della colonia, e sospetti alle autorità, che li consideravano delle spie del governo centrale. Ritardi nell'atto di nomina e il rimborso del trasporto di alcuni bauli contenenti strumenti scatenarono una battaglia burocratica con il presidente dell'Audiencia di Quito e il suo tesoriere che si trascinò per anni. In tre occasioni, tra il 1740 e il 1744, in seguito alla ripresa delle ostilità con l'Inghilterra i due furono cooptati dal viceré del Perù per la difesa della costa. Per rispondere alla sua chiamata, nel 1740 essi percorsero in meno due mesi i 1800 km che separano Quito da Lima, guadando fiumi impetuosi, attraversando selve e deserti privi di acqua potabile, sempre accompagnati dai fedeli moscerini. Mentre attraversava un burrone, Ulloa cadde dal mulo, si ferì gravemente, viaggiando fino a Lima in condizioni molto difficili. Appena guarito, con il suo commilitone si occupò di organizzare la difesa dei porti più importanti della costa peruviana, di dirigere le costruzioni navali e disegnare le mappe delle principali città. Nel settembre 1741 erano di nuovo a Quito, ma ben presto furono richiamati dal viceré che, oltre a compiti simili a quelli già visti, affidò loro il comando di due brigantini mercantili trasformati in navi militari per contrastare la minaccia inglese (che, per loro fortuna, non si palesò). Quando tornarono a Quito per la terza volta, la spedizione era già in via di scioglimento. Come abbiamo già visto, affiancarono Godin nella triangolazione dell'area di Cuenca fino al maggio 1744. Poi partirono anch'essi per l'Europa, imbarcandosi su due diverse navi di una flotta francese che seguiva la rotta di Capo Horn. Nell'Atlantico, i vascelli si persero di vista ed ebbero sorte molto diversa: quello su cui viaggiava Juan ebbe una tranquilla navigazione e arrivò a Brest nell'ottobre 1745; l'ufficiale spagnolo proseguì per Parigi, dove espose le sue osservazioni astronomiche all'Accademia delle scienze (di cui divenne membro corrispondente), per poi rientrare a Madrid. Quello su cui era imbarcato Ulloa fu catturato dagli inglesi nei pressi di Terranova; Antonio gettò fuori bordo tutti i documenti, ad eccezione delle misure geodetiche. Imprigionato, fu condotto a Londra; ma appena si conobbe la sua identità, fu liberato e ammesso alla Royal Society per i suoi meriti scientifici. Una nave inglese lo ricondusse in patria, dove arrivò qualche mese dopo l'amico. Nominati capitani di vascello, Juan e Ulloa scrissero a quattro mani Observaciones astronómicas y físicas hechas en los Reinos del Perú e Relación histórica del viaje hecho de orden de su Majestad a la América Meridional, pubblicati nel 1748, debitamente epurati dalla censura, che fece cancellare tutte le beghe con le autorità coloniali, e dall'Inquisizione, che impose di presentare il sistema copernicano come un'ipotesi non provata. Entrambi ebbero poi carriere prestigiose e furono figure importanti della rinascita scientifica della Spagna del secondo Settecento. Ulloa, dopo un viaggio di studio in Europa, fondò lo Studio e Gabinetto di storia naturale, antenato dell'attuale Museo nazionale di scienze naturali e creò il primo laboratorio di metallurgia del paese. Divenne poi un importante funzionario coloniale, occupandosi tra l'altro del miglioramento del servizio postale tra America e madrepatria. Meno fortunato nella carriera militare, fu messo sotto processo quando fallì nel tentativo di riconquistare la Florida, ma terminò la sua carriera con il grado di ammiraglio e direttore generale dell'esercito spagnolo. Quanto a Juan, nel 1748 il ministro della marina lo mandò in Inghilterra a spiare i cantieri navali britannici per carpirne i segreti industriali. Riuscì a svolgere brillantemente l'incarico, convincendo anche ingegneri navali e operai qualificati a trasferirsi in Spagna con le famiglie; la polizia era sulle sue tracce e arrestò alcuni dei suoi contatti, ma egli riuscì a sfuggire di un soffio imbarcandosi clandestinamente su una nave diretta in Francia. Nel 1752, fu nominato direttore della Accademia dei Guardiamarina di Cadice, dove ritrovò il suo compagno di avventure Godin. Provetto matematico, applicò le sue conoscenze alle costruzioni navali, trasformò l'arsenale di Cadice in un laboratorio all'avanguardia. Fu tra i promotori della creazione dell'Accademia delle Scienze di Madrid, città dove fondò anche l'Osservatorio reale. Fu poi coinvolto nella creazione dell'arsenale di Ferreol e nella riorganizzazione della Scuola dei nobili. Fu autore di un importante compendio di navigazione e come astronomo elaborò un metodo di calcolo della parallasse solare. Liane epifite e grappoli aranciati Nel loro Florae Peruvianae, et Chilensis Prodromus del 1794 Ruiz e Pavon dedicarono molti nuovi generi a scienziati spagnoli, con il preciso intento di dimostrare che la scienza iberica aveva ormai raggiunto la maggiore età e la Spagna poteva competere alla pari con le altre nazioni europee anche in questo campo. In questo contesto, la dedica di un genere a Juan e Ulloa era obbligata: non solo erano due esponenti particolarmente brillanti del rinnovamento scientifico della Spagna, ma come esploratori del Vicereame del Perù e membri di una missione internazionale franco-iberica potevano essere considerati i diretti predecessori degli stessi Ruiz e Pavon. La pianta che scelsero per onorarli era singolare da diversi punti di vista: cresceva sui rami degli alberi della foresta pluviale peruviana e produceva fiori spettacolari di un caldo color arancio; credendo si trattasse di una pianta parassita, la chiamarono Juanulloa parasitica, unendo nel nome generico i nomi dei due dedicatari, in modo da sottolineare la loro stretta collaborazione e l'amicizia che li legò per tutta la vita. In realtà, le specie di questo piccolo genere della famiglia Solanaceae non sono parassite, ma semi epifite: possono crescere sia a terra, sia su alberi e rocce. Le sue nove-dieci specie sono distribuite tra il Messico e il Perù; la maggior parte sono liane, ma possono avere anche portamento arbustivo. Molte sono caratterizzate da vistose infiorescenze di fiori con corolle tubolari avvolte in calici pentagonali persistenti dai colori brillanti (rosso, giallo, arancio, viola). La specie più nota, disponibile anche da noi in vivai specializzati, è J. mexicana (spesso commercializzata con il sinonimo J. aurantiaca). E' una liana o un piccolo arbusto perenne sempreverde con foglie coriacee e racemi di fiori penduli con calice e corolla arancio brillante. In natura può essere epifita; proprio per questo si adatta molto bene alla coltivazione in vaso. Un cenno alle altre specie e alla loro distribuzione nella scheda. Con la sua pretesa di rinominare gli esseri viventi secondo il nuovo sistema binominale, Linneo si attirò l'accusa di sfrontatezza e arroganza. Tuttavia, mano a mano che crescevano le adesioni e i seguaci, essere immortalati dal nome di una pianta, ricevendo da Linneo in persona la dedica di un genere, divenne l'aspirazione principale di botanici e "curiosi", come venivano chiamato i dilettanti che sempre più numerosi si innamoravano della botanica grazie alla semplicità del sistema linneano. Ma anche su questo punto le critiche non mancarono: il principe dei naturalisti venne accusato di elargire nomi ad amici e studenti con eccessiva parzialità, sicché si fece assai prudente. Anzi talvolta riluttante, come nel caso del dottor Alexander Garden, medico scozzese trapiantato in South Carolina, che riuscì da aggiudicarsi il prestigioso genere Gardenia solo in seguito a una vera e propria manovra di accerchiamento di un altro linneano, John Ellis. Come una pianta cinese fu scambiata per un gelsomino sudafricano e ebbe il nome di un medico americano I cinesi la chiamavano zhi-zi e la coltivavano da secoli. Con viaggi complicati, che comprendono una tappa nella colonia del Capo in Sud Africa, nel 1754 la varietà a fiori doppi arrivò in Inghilterra e nel 1758 fiorì per la prima volta nella serra del botanico Richard Warner (ca. 1711-1775). Con le lussureggianti foglie verde scuro e i candidi fiori stradoppi dal pervasivo profumo, divenne l'idolo del momento e attorno alla sua classificazione e denominazione scoppiò una disputa botanica. Philip Miller, il cocciuto capo giardiniere del Chelsea Physic Garden, pensò si trattasse di un gelsomino, e la battezzò Jasminum capense, ovvero "gelsomino del Capo di Buona Speranza". John Ellis, mercante e naturalista più che dilettante, non ne era convinto: pensava appartenesse a un genere sconosciuto, e ne inviò un esemplare essiccato a Linneo che confermò il suo parere. Intanto l'abilissimo vivaista James Gordon era riuscito ad averne quattro talee e le aveva moltiplicate con tanto successo che nel giro di pochi anni riuscì a guadagnare 500 sterline, rivendendo le cento piante che ne aveva ricavato. Nel suo vivaio di Miles End la ritrasse il più famoso artista botanico dell'epoca, Georg Dionysius Ehret, etichettandola provvisoriamente con il nome proposto da Miller. Ricevuta la conferma da Linneo, Ellis gli riscrisse proponendogli di battezzare il nuovo genere Warneria in onore del primo proprietario. Questa proposta imbarazzava enormemente Warner, che era amico di Miller e non desiderava contraddirlo; perciò si affrettò a scrivere a sua volta a Linneo, chiedendogli di rifiutarla. Ellis non demordeva e, dopo qualche esitazione, nel 1760 propose a Linneo un nuovo nome: Gardenia, in onore di un amico comune, il medico scozzese Alexander Garden. Anche questa volta Linneo rifiutò: non aveva nessuna intenzione di farsi coinvolgere in queste dispute tra botanici inglesi, inoltre non capiva qualche nesso ci fosse tra Garden e la pianta: non l'aveva né scoperta né coltivata, anzi neppure mai vista. Era disponibile a dedicargli a una pianta americana, ma che aveva mai a che fare con questa sudafricana (che, come noi sappiamo, in realtà era cinese)? Per mesi si dimostrò irremovibile, scrivendo tra l'altro: "Desidero tutelarmi dalle malevole obiezioni, tanto spesso sollevate contro di me, di chi mi accusa di battezzare le piante con i nomi di miei amici che non hanno dato alcun pubblico contributo al progresso della scienza". Alla fine Ellis mise Linneo di fronte al fatto compiuto: gli scrisse che Garden era già stato messo al corrente della dedica e che, al di là dell'Atlantico, la pianta era ormai nota come Gardenia. Poi la pubblicò lui stesso nelle Transactions della Royal Society. Linneo, che non desiderava esautorare il suo principale sostenitore in Inghilterra, che oltre tutto proprio in quei mesi aveva accolto ospitalmente Solander, dovette abbozzare, In questo modo contorto la bella zhi-zi ricevette il nome botanico Gardenia jasminoides J. Ellis. Uno scrupoloso ricercatore linneano E' ora di fare la conoscenza con l'inconsapevole oggetto umano di quella disputa, il dottor Alexander Garden, che - a posteriori - confermò che tanto onore non era stato immeritato. Scozzese, aveva studiato medicina a Edimburgo; nel 1752, essendosi ammalato di tubercolosi, nella speranza di un clima più propizio si trasferì a Charleston in South Carolina, dove esercitò la professione medica per molti anni. Come studente di medicina, aveva cominciato a studiare botanica in patria seguendo i sistemi di Ray e Tournefort; ma quando arrivò in Carolina, da una parte fu affascinato dalla varietà della flora di quella regione benedetta dalla natura, dall'altra fu frustrato dalla sua incapacità di ricondurre le specie non ancora descritte a quei complicati sistemi. In queste ricerche, dichiarerà più tardi, gettò via tre anni. Anche la sua salute non trovò il giovamento sperato. Dopo un anno di clima particolarmente avverso, nel 1754 decise di fare un viaggio a nord. Capitò così a New York, dove fu ospite Cadwallader Colden e di sua figlia Jane (la prima botanica americana), che gli misero a disposizione la loro biblioteca; su quegli scaffali, Garden trovò il suo santo Graal: Flora virginica di Gronovius, nonché Classes plantarum e Fundamenta botanica, due delle prime opere di Linneo. Passò poi da Philadelphia, dove incontrò John Bartram appena rientrato dalla sua escursione nelle Catskill mountains. Al suo ritorno in Carolina, Garden ebbe egli stesso occasione di conoscere più da vicino la selvaggia natura americana, visitando le Blue Montains in qualità di medico della missione incaricata di cercare l'alleanza dei Cherokee contro la Francia. Tornato poi a Charleston, si mise a studiare le opere di Linneo, e, come d'incanto, tutto quello che gli era rimasto oscuro, si chiarì: il cristallino sistema sessuale gli fornì il filo d'Arianna che cercava e si convertì in un fervente seguace del luminare svedese. Nel marzo 1755 osò scrivere al suo idolo una prima lettera, che rimase senza risposta. Solo dopo tre anni (e dopo molte lettere senza risposta) Linneo si degnò infine di rispondergli, iniziando una duratura e feconda corrispondenza. Il grande svedese non era l'unico corrispondente di Garden; l'ambiente in cui viveva, così ricco di specie da scoprire, era invece assai povero di naturalisti, tanto da fargli scrivere: "qui non c'è anima viva che conosca anche solo una iota di storia naturale". Iniziò così a corrispondere con moltissimi naturalisti al di qua e al di là dell'Oceano, come Colden, Bartram, Gronovius, Collinson, e soprattutto John Ellis, che divenne anche il suo principale intermediario con Linneo. Era a lui che inviava gli esemplari di piante e animali che andava raccogliendo nelle escursioni che alternava alla pur molto impegnativa attività di medico. Era un linneano così fervente che, quando Ellis gli propose di pubblicare alcune specie da lui scoperte sulle Transactions della Royal Society, rifiutò, perché avrebbe dovuto scriverle in inglese, mentre Linneo usava solo il latino. Il suo sogno era scoprire un genere sconosciuto, e che magari Linneo gli desse il suo nome. Dapprima credette di aver fatto centro quando gli inviò una pianta che propose di denominare Ellisia in onore dell'amico comune; ma Linneo lo disilluse, determinandola come Swertia difformis (oggi Sabatia difformis). E quando fu il turno di un nuovo tipo di storace, lo deluse di nuovo preferendo dedicarla, su suggerimento di Ellis, con il nome di Halesia a uno studioso ben più illustre di lui, il reverendo Stephen Hales. Il successo sarebbe arrivato solo nel 1765, con la scoperta di ben due nuovi generi; ma ormai Gardenia gli era già dedicato, ed essi furono battezzati Fothergilla e Stillingia, in onore rispettivamente di John Fothergill e Benjamin Stilling-Fleet. Il suo contributo alla scoperta del primo è comunque ricordato dal nome specifico Fothergilla gardenii. Più ancora che alle piante della Carolina, Linneo era però interessato agli insetti, ai rettili e agli anfibi di quella regione che sapeva ricca di specie sconosciute. Garden accondiscese alle sue richieste e da botanico diventò zoologo, inviando a Uppsala le sue eccellenti descrizioni dal vivo e dozzine di esemplari perfettamente conservati nel rum. Sono così almeno una trentina le specie di anfibi, rettili e pesci descritti in Systema naturae la cui scoperta si deve a Garden. La più nota di tutte è Siren lucertina, un anfibio anguiforme che gli sembrava intermedio tra una lucertola e un'anguilla. Qualche anno più tardi, nel 1774, Garden ebbe occasione di studiare le proprietà elettriche di alcune "anguille" giunte vive a Charleston dal Suriname. Le sottopose ad esperimenti ed inviò le sue osservazioni alla Royal Society di Londra, insieme a un esemplare vivo e ad alcuni esemplari perfettamente conservati sotto alcool, di cui John Hunter poté così studiare gli organi elettrici. L'anno prima, Garden aveva ottenuto l'ammissione alla Royal Society. Allo scoppio delle ostilità tra la Gran Bretagna e le colonie, si schierò con i lealisti. Nel 1781 le sue proprietà furono confiscate e due anni dopo ritornò in patria, stabilendosi nei pressi di Londra. Molto rispettato per "la sua benevolenza, la sua allegria, e le sue buone maniere", divenne vicepresidente della Royal Society. Morì di tubercolosi nel 1791. Una sintesi biografica nella sezione biografie. Gardenia, un fiore da leggenda Con circa 150-200 specie di arbusti e alberi sempreverdi diffusi nell'Africa e nell'Asia tropicale e subtropicale, il genere Gardenia è uno dei più notevoli della famiglia Rubiaceae. La specie più nota è indubbiamente G. jasminoides, tanto apprezzata per la sua bellezza e il suo profumo, quanto famigerata per la sua capricciosità. Croce e delizia dei giardinieri, è una pianta mitica, simbolo di bellezza, lusso e seduzione: era il fiore preferito di Sigmund Freud, i dandies francesi della fin du siècle la portavano all'occhiello e Billie Holiday ne appuntava tre alla chioma, tanto da essere soprannominata la "gardenia bianca del jazz"; la scelgono le spose per i loro bouquet, i bar Tiki la ostentano riunite in corone e le usano come ingrediente segreto dei cocktail. Oltre a una celebre rivista di giardinaggio, presta il suo nome a decine di ditte, esercizi commerciali, prodotti di bellezza, associazioni sui temi più vari. In giardino ne sono state selezionate innumerevoli varietà; già la forma doppia a tutti famigliare è frutto della selezione orticola millenaria in Cina, dove è stata preferita alla originaria forma a fiore semplice. Oggi si punta sempre più su quelle un po' più rustiche e meno schizzinose, come G. jasminoides radicans, di dimensioni minori, capace di sopportare l'inverno all'esterno, oppure 'Crown jewel', rustica fino a -10 gradi. Tuttavia, non c'è solo G. jasminoides. Al contrario di questa cinese entrata nella storia della botanica travestita da sudafricana, arriva davvero dalle foreste della regione del Capo G. thumbergia, la seconda specie a giungere in Europa intorno al 1773 grazie a Thunberg e al suo amico Masson. Arriva invece dall'India G. latifolia, un vero piccolo albero, apprezzato non solo per l'ombra offerta dalla densa chioma sempreverde e i fiori, ma anche per i frutti eduli, ampiamente coltivato nel subcontinente e introdotto in molte zone dell'Africa. Numerose sono le specie originarie delle isole del Pacifico, uno dei principali centri di diversità; tra di esse G. taitensis, che fu raccolta per la prima volta a Tahiti durante la seconda spedizione di Cook, uno dei fiori simbolo delle isole, molto apprezzato in profumeria. E non tutte le gardenie hanno fiori bianchi: ad esempio, l'asiatica G. tubifera ha corolle giallo oro. Qualche approfondimento sulle "altre gardenie" nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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