Nel febbraio 1787, William Curtis pubblica il primo numero di The Botanical Magazine, una rivista illustrata di botanica e giardinaggio di nuova concezione. Da allora le pubblicazioni non sono mai cessate; strettamente associato con i Kew Gardens che ne sono tuttora l'editore, è il periodico botanico più longevo e, dopo più di due secoli, continua ad essere un luogo d'incontro privilegiato tra scienza, passione per le piante ed arte. Innumerevoli le piante che sono state descritte e pubblicate la prima volta nelle sue pagine; le sue illustrazioni costituiscono la più vasta serie di illustrazioni botaniche mai prodotta. Dal 1801 la rivista porta il nome Curtis's Botanical Magazine in ricordo del suo fondatore cui è anche stato dedicato il genere monotipico Curtisia. Come un farmacista diventò botanico In Gran Bretagna, l'ultimo quarto del Settecento fu segnato da un profondo mutamento delle pubblicazioni di scienze naturali. Mentre fino ad allora erano scritte per lo più in latino e si rivolgevano a un pubblico di addetti ai lavori (scienziati, medici, farmacisti) che si era via via allargato a un'élite di gentiluomini amatori, quasi sempre con notevoli disponibilità economiche, ora c'erano molte altre persone interessate a leggere di argomenti scientifici: donne, artigiani, membri della classe media. A colmare le loro attese fu un fiorente mercato di pubblicazioni divulgative accessibili e spesso esteticamente curate. Uno dei protagonisti di questa svolta fu senza dubbio William Curtis (1746-1799). Nato in una famiglia quacchera di Alton (Hampshire), come non conformista era escluso dagli studi universitari. In famiglia c'era però una forte tradizione medica: il nonno, uno zio, due fratelli e un cugino erano chirurghi e farmacisti. William avrebbe dunque seguito le loro orme, inizialmente sotto la guida del nonno, di cui fu apprendista per cinque anni. Già allora però si faceva sentire l'interesse per la natura, grazie a Thomas Legg, oste e naturalista dilettante, in compagnia del quale egli percorreva la campagna alla ricerca di piante e insetti, con disapprovazione del nonno. Fu forse per allontanarlo dalle distrazioni della campagna che questi decise di spedirlo a completare il tirocinio a Londra, per un anno nella bottega di George Vaux e per due in quella di Thomas Talwin; intanto seguiva i corsi di chirurgia al St. Thomas Hospital e continuava a coltivare botanica e entomologia con i nuovi amici londinesi, come John Coakley Lettsom che lo mise anche in contatto con un altro medico quacchero, John Fothergill. Nel dicembre 1771 fu ammesso alla corporazione dei farmacisti ed aprì una propria bottega in società con il chirurgo William Wawell. Secondo diverse fonti, sarebbe subentrato a Talwin alla morte di questi, ma poiché Talwin nel 1774 era ancora vivo e risulta tra gli esaminatori per l'ammissione alla corporazione, la notizia è certamente errata. All'epoca, infatti, Curtis aveva già abbandonato la farmacia per seguire la sua vera vocazione. Così descrive la circostanza James Edward Smith: "I doveri di un praticante su e giù per le strade cittadine mal si accordavano con le escursioni di un naturalista; il farmacista fu presto offuscato dal botanico, e la bottega sostituita da un giardino". Infatti nel 1771 Curtis cedette impulsivamente il negozio al socio per fondare il suo primo orto botanico, situato in un terreno di appena un acro a Bermondsey, non lontano dall'attuale Old Vic, e dedicato principalmente alla flora britannica. È dello stesso anno il suo primo libro, Instructions for collecting and preserving insects. Rivolto esplicitamente ai principianti, fornisce istruzioni pratiche per catturare, montare e conservare esemplari di insetti, "in particolare falene e farfalle". L'anno successivo seguì un lavoro più ambizioso, Fundamenta Entomologiae: or, an Introduction to the Knowledge of Insects, ovvero la traduzione della tesi omonima di Andreas Johan Bladh, pubblicata da Linneo nel settimo volume di Amoenitates Academicae. Le tesi, all'epoca, erano per lo più scritte dai professori, e possiamo concordare con la prefazione che "se non si tratta interamente di un'opera di Linneo, ha avuto la sanzione della sua approvazione". Per avvicinare all'entomologia un pubblico più ampio, Curtis mirò a un linguaggio piano e scorrevole e aggiunse due tavole calcografiche. Ormai cominciava ad essere conosciuto negli ambienti dei naturalisti e nel dicembre 1772 fu nominato dimostratore di botanica del giardino dei farmacisti di Chelsea, prendendo servizio all'inizio del 1773. Tra i suoi compiti, coordinare il mantenimento del giardino, supervisionare il lavoro del capo giardiniere William Forsyth, tenere lezioni di botanica agli apprendisti farmacisti, organizzare le escursioni o herborizing, predisporre 50 esemplari d'erbario da consegnare ogni anno alla Royal Society. Dopo un buon inizio, le inadempienze di Curtis e gli ammonimenti del Comitato direttivo incominciarono a moltiplicarsi, fino alle dimissioni presentate nel 1777. In effetti a distogliere l'attenzione di Curtis dai suoi compiti a Chelsea era il progetto, secondo le parole del suo primo biografo R.J. Thornton, di dare al paese "una storia naturale completa delle isole britanniche con tavole illustrate per ciascun oggetto, [...] non in una scala minuscola e inadeguata, ma giusta, nobile e magnifica, come il nostro Impero, davvero degna della nazione britannica". Come primo atto, si trattava di descrivere nel modo più completo possibile le piante indigene che crescevano in un raggio di dieci miglia dalla capitale. Nacque così Flora londinensis; era un'opera in formato in folio con illustrazioni estremamente accurate a grandezza naturale, affidate principalmente a William Kilburn, Sydenham Edwards, James Sowerby, Francis Sansom e forse altri (nessuna tavola è firmata). Per realizzarla, Curtis fece accurate ricerche spingendosi anche oltre le dieci miglia dichiarate, tanto che Flora londinensis è considerato di fatto la prima flora dell'Inghilterra meridionale. Per ogni specie viene indicato il nome latino e quello inglese, seguiti dai sinonimi edei principali autori, da una diagnosi in latino e in inglese, da una nota in inglese sull'habitat, la distribuzione, il mese di fioritura e elementi utili a facilitare l'identificazione. Commercializzata con il metodo della sottoscrizione (il primo volume riporta una lista di 321 sottoscrittori) era venduta in fascicoli, ciascuno dei quali conteneva la trattazione di sei specie e altrettante tavole; dodici fascicoli formavano un volume. Il primo fascicolo (costava 2 scellini e mezzo in bianco e nero, 5 scellini a colori, 7 scellini e mezzo se colorato con maggior accuratezza) uscì nel 1775, il primo volume fu concluso nel 1777, l'ultimo nel 1798, un anno prima della morte dell'autore, per un totale di 72 fascicoli, 6 volumi, 432 incisioni. La nascita di una rivista mitica Era un'opera magnifica, che fu immediatamente lodata per la bellezza e la precisione delle tavole, ma anche per la completezza delle ricerche botaniche. Tuttavia era anche costosissima e non fu un successo commerciale, anche se per arrotondare le entrate le tavole colorate a mano venivano anche vendute separatamente; il numero dei sottoscrittori non si allargò e di ogni fascicolo non furono mai stampate molto più delle 330 copie iniziali. Nonostante l'eredità paterna, il soccorso finanziario di lord Bute cui l'opera è dedicata e di altri amici, Curtis si trovò in ristrettezze finanziarie e dovette rallentare il ritmo di pubblicazione. Abbiamo visto che fin dal 1771 egli aveva creato un piccolo orto botanico a Bermondsey; nel 1778 lanciò una sottoscrizione per creare un orto botanico aperto al pubblico battezzato London Botanic Garden; in effetti, non esisteva nulla di simile. Anche se ammettevano selezionati visitatori, il giardino di Chelsea era riservato ai farmacisti e i Kew Gardens al sovrano; l'orto botanico concepito da Curtis era invece pensato per "l'uso del medico, del farmacista, dello studente di medicina, dell'agricoltore scientifico, del botanico (particolarmente del botanico inglese), dell'amante dei fiori e del pubblico in generale". Sarebbe dunque stato aperto a tutti, dietro pagamento del biglietto d'ingresso, e avrebbe raccolto piante native, piante officinali, piante agricole e alimentari, piante belle per soddisfare un pubblico così vasto e variegato. Grazie a numerosi sottoscrittori (amici, collezionisti, vivaisti, lo stesso giardino di Kew) Curtis ottenne circa 6000 piante che, insieme a quelle trasferite da Bermondsey, vennero piantate in un terreno più vasto situato a Lambeth Marsh in un'area posta tra gli attuali Westminster Bridge e Waterloo Station. Il London Botanic Garden aprì i battenti il 1 gennaio 1779; il biglietto d'ingresso non era modico (una ghinea), ma dava anche accesso alla biblioteca. Le piante era sistemate in aiuole dove, etichettate secondo il sistema di Linneo, erano contrassegnate da bastoni colorati: blu per le piante alimentari e orticole, neri per quelle velenose, rossi per le tintorie, verdi per le agricole e gialli per le officinali. Più che a un orto botanico, assomigliava dunque a un museo all'aria aperta. Era però anche un vivaio dove era possibile acquistare semi e talee delle piante esposte. Curtis vi teneva anche periodicamente lezioni o conferenze di botanica. Fu grazie ai visitatori del giardino che Curtis concepì infine l'idea vincente. Molti appassionati lamentavano che mancassero opere autorevoli che fornissero informazioni aggiornate sulle piante esotiche che da ogni parte affluivano sempre più numerose e che essi coltivavano nelle loro serre e nelle loro aiuole. Spesso seguiva la più grande delusione perché quelle straniere, in mancanza di cure adeguate, morivano. La risposta di Curtis fu la pubblicazione di The Botanical Magazine; il primo numero, rivolto "alle signore, ai signori e ai giardinieri che desiderano acquisire una conoscenza scientifica delle piante che coltivano", uscì il 1 febbraio 1787; secondo il modello sperimentato in Flora londinensis semplificato e adattato al nuovo scopo, di ogni pianta era fornito il nome latino, il nome inglese, la classificazione nel sistema di Linneo, una breve diagnosi in latino (distinta in generica e specifica), qualche referenza bibliografica, un breve testo inglese con provenienza, habitat e dettagliate indicazioni di coltivazione (per lo più ricavata dal Gardeners Dictionary di Miller), un'illustrazione a grandezza naturale, anche se dall'imponente in folio si era passati al più maneggevole ottavo. La rivista sarebbe uscita a cadenza mensile (ogni numero costava uno scellino), presentando ogni volta tre nuove piante; quelle scelte per il numero d'esordio sono Iris persica (una pianta notoriamente di difficile coltivazione), Rudbeckia purpurea (oggi Echinacea purpurea), Helleborus hyemalis (oggi Eranthis hyemalis). Bellissima è soprattutto la delicatissima tavola di Iris persica, disegnata da James Sowerby, che anche in seguito fu uno degli artisti principali, insieme a Sydenham Edwards. Le incisioni si devono invece Francis Sansom. Il successo fu travolgente: le sottoscrizioni arrivarono da appassionati, da persone colte ma anche del tutto digiune di botanica, e moltissime da giardinieri e vivaisti, che vi trovarono uno strumento di lavoro utilissimo. La tiratura di ogni numero presto superò le 2000 copie, garantendo a Curtis quel successo finanziario che era mancato a Flora londinensis; spiritosamente commentò che la rivista gli aveva procurato tanto lodi quanto pudding. Mentre la rivista proseguiva il suo cammino a gonfie vele, Curtis continuava a lavorare a mille progetti. Prendeva note per la progettata Flora britannica (nel 1782 trascorse sei settimane a botanizzare nello Yorkshire), l'invasione di un bruco irritante gli offrì l'occasione per tornare all'entomologia, lanciò (con esiti finanziari disastrosi, tanto che la pubblicazione fu sospesa dopo appena due fascicoli) un'opera illustrata sulle piante e gli animali usati in medicina, cercò di lanciare sul mercato foraggere e ortaggi di cui produceva i semi nel suo orto botanico, accompagnandoli con opuscoli informativi. Il suo vero successo rimaneva dunque la rivista, anche se a partire dal 1789 non mancò qualche critica. I lettori avevano notato con disappunto che delle 72 piante dei primi tre anni, ben 40 erano europee, mentre il loro interesse principale andava alle novità esotiche. Contro le loro preferenze, invece per Curtis le piante native erano state e continuavano ad essere il vero amore. Ne approfittò anche la concorrenza: nel 1797 Henry C. Andrews, botanico e illustratore, lanciò il periodico Botanist's Repository for New and Rare Plant, sottolineando che la maggior parte delle piante presentate dalla rivista di Curtis consisteva in "piante ben note e comuni, da lungo tempo coltivate nei nostri giardini". Furono piuttosto i successori di Curtis a trasformare il periodico nell'araldo delle piante esotiche. Inoltre nel 1790 Sowerby, che fino a quel momento aveva dipinto per The Botanical Magazine 56 tavole, lasciò la rivista per lavorare alla sua immensa English Botany, con testi di James Edward Smith, che in un certo senso è la realizzazione del progetto di una flora britannica concepito ma mai realizzato da Curtis. Nel 1789, allo scadere del contratto d'affitto, anche per sfuggire all'inquinamento urbano, Curtis trasferì il suo orto botanico a Brompton, una zona dove sorgevano diversi vivai. Per qualche tempo, pensò di associarsi con Haworth, riunendo alle sue collezioni e alla sua biblioteca quelle di quest'ultimo, ma il progetto naufragò. Nel 1798 divenne invece suo socio Salisbury, che era stato suo allievo e continuò a gestire il Brompron Botanical Garden anche oltre la morte di Curtis, avvenuta nel 1799, dopo di che trasferì il giardino a Chelsea. Al momento della morte di Curtis erano già usciti 13 volumi della rivista e la tiratura di ciascuna uscita si aggirava sulle 3000 copie. Della pubblicazione del volume 14 si occupò il fratello di Curtis Thomas; a partire dal 15, se ne prese carico il medico John Sims che in onore del fondatore mutò il titolo in Curtis's Botanical Magazine; da allora non ha mai cessato le pubblicazioni, divenendo il più longevo periodico di botanica; fino dall'Ottocento fu strettamente legato ai Royal Botanic Gardens di Kew che ne sono tuttora l'editore. Un albero sudafricano Nonostante la sua predilezione per le piante native, avrà certamente fatto piacere a Curtis la dedica da parte di Aiton, il capo giardiniere dei Kew Gardens, della sudafricana Curtisia faginea (ora C. dentata). E' l'unica specie di questo genere, anzi l'unica rappresentante di un'intera famiglia: inizialmente classificata nelle Cornaceae, è ora sistemata in una famiglia propria, Curtisiaceae. Curtisia dentata è un albero sempreverde di medie dimensioni (solitamente fino a 12 metri, ma può raggiungere 20 metri) che cresce in gran parte delle foreste del Sudafrica e dello Swaziland, dal livello del mare fino a 1200 metri, in diverse condizioni, ma con una predilezione per quelle mediamente umide, dove si trova insieme a Podocarpus latifolius e Olea capensis. Cresce anche nelle foreste aride, ma qui le sue dimensioni rimangono minori. E' un albero elegante che in Sudafrica è ampiamente utilizzato anche come ornamentale, come esemplare isolato o per formare siepi sempreverdi. Il suo nome afrikaans è assegaai "lancia" perché gli zulu lo capitozzavano alla base per raccoglierne i ricacci diritti e duri usati appunto come lance. Negli esemplari giovani, la corteccia è liscia e grigia o color cannella, ma con l'età diventa ruvida, dal marrone scuro al nero e profondamente fessurata. I giovani germogli e le nuove foglie sono vellutate e bronzo dorato. Le foglie adulte, sempreverdi, coriacee. ovate con apici acuti, margini profondamente dentati (da cui l'epiteto), disposte lungo i rami in coppie opposte, hanno pagina superiore liscia, verde scuro e lucida, mentre la pagina inferiore è grigio-verde con nervatura cospicua. Mentre i fiori sono insignificanti, oltre al bel fogliame un ulteriore elemento decorativo è costituito dai frutti, grappoli di bacche da arrotondante a ovali, carnose, da bianco crema a rosate, che rimangono a lungo sulla pianta. Sono eduli, ma amare. La corteccia è usata nella medicina tradizionale per curare diarrea e problemi di stomaco. Gli sono anche attribuite proprietà afrodisiache, cosa che ha portato ad un eccessivo sfruttamento e alla sua scomparsa in alcune parti del paese. Oggi è una specie protetta.
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Tra secondo Settecento e primo Ottocento, a Londra operano due vivaisti omonimi: si chiamano entrambi William Malcolm, non sono padre e figlio come spesso si legge, ma probabilmente parenti, visto che gestirono successivamente lo stesso vivaio. Dapprima situato a Kennington, poi a Stockwell, ai tempi del primo William Malcolm divenne uno dei principali vivai del paese, specializzato in piante esotiche da serra e "stufa", il primo in assoluto ad usare i nomi linneani per il proprio catalogo. Poi la concorrenza aumentò e all'epoca del secondo William Malcolm era solo uno dei tanti vivai dell'area londinese. A ricordarli entrambi (non sappiamo di preciso chi fosse il dedicatario) il genere Malcolmia (Brassicaceae), che vanta tra l'altro un raro endemismo italiano e una splendida benché da noi poco nota annuale da giardino. Due vivaisti al prezzo di uno Nel 1771 William Malcom, proprietario di un vivaio nel sobborgo londinese di Kennington, pubblicò il suo primo catalogo, A catalogue of hot-house and green-house plants, fruit and forest trees [...]. I motivi d'interesse sono diversi. Non solo si tratta di uno dei primi cataloghi a stampa sopravvissuti, ma è il primo in assoluto in cui le piante offerte non sono elencate sotto il loro nome comune, ma sotto il nome botanico binomiale, imposto da Linneo da pochissimo (Species plantarum è del 1753). Inoltre, il cuore dell'offerta non sono più le piante da giardino, le orticole o le piante da frutto coltivate da tempo e ormai più o meno naturalizzate, ma le piante esotiche, come è evidente fin dal frontespizio. Nella pomposa immagine (l'unica per il resto sobrio catalogo) si vede sulla destra, sotto una specie di baldacchino disposto attorno a un albero, una donna assisa (presumibilmente la Britannia) che tiene in mano una pianticella e in grembo un calamaio; la assistono tre figure femminili, una delle quali regge un termometro. Ai suoi piedi, un volume con la scritta Linnaeus Syst. (Sistema di Linneo). Al centro tre figure maschili le offrono cornucopie colme di fiori e frutti: sono l'America che porge un ananas, l'Asia e l'Africa. In alto a sinistra, adagiati tra le nuvole sotto un arco di zodiaco, vediamo il Tempio e la Verità. Sotto, a fare da sfondo, si intravvede un angolo di giardino con una serra e una pianta in vaso. Sotto, racchiuse in un cartiglio rococò, vediamo il prospetto laterale e frontale di due serre. Il messaggio è chiaro: tutto il mondo offre le sue ricchezze botaniche alla Britannia, ma per goderne bisogna vincere l'ostacolo del clima freddo; a soccorso, ecco le serre ma anche la scienza botanica. Nella prefazione (To the reader), oltre a rivendicare la propria ampia esperienza di coltivatore di piante esotiche ("la raccolta di piante e semi dalle varie parti del globo e la loro propagazione è stato il mio studio preferito, e in esso non ho risparmiato né esperienza, né fatica, né cura"), Malcolm spiega e difende la sua decisione di usare i nomi scientifici: in molti libri, specialmente nei cataloghi, le piante sono disposte in modo confuso, la stessa pianta compare in capitoli diversi, ed è presentata sotto nomi differenti, secondo questo o quel sistema, o anche nessun sistema; ne nascono continue dispute e i clienti lamentano di ricevere piante con il nome sbagliato e di aver acquistato una pianta per l'altra. A tutta questa confusione, non vede altro rimedio che "abolire una buona volta tutti i sinonimi e i termini e nomi astrusi degli antichi scrittori e adottare quelli del più corretto e esplicito autore moderno come standard per un catalogo generale"; nella sua opinione, nessun sistema da ogni punto di vista è più indicato di quello linneano, per la sua correttezza e universalità. Dunque ha deciso di elencare le piante con il nome di genere e specie, cui ha affiancato il nome inglese "più intelligibile e noto". Malcolm spiega poi la disposizione delle piante nel catalogo: trattandosi di piante provenienti da paesi diversi e da vari climi, possono essere ricondotte a tre categorie: quelle che, provenendo dai climi più caldi, devono essere coltivate in una serra riscaldata (hot-house o stove); quelle che non sopportano il freddo ma si accontentano della protezione invernale di una serra fredda (green-house); quelle che possono vivere all'aperto. Queste ultime sono ulteriormente divise in alberi e arbusti rustici, erbacee perenni, piante da frutto e bulbose; a terminare il catalogo "i semi più utili per l'orto e il giardino dei fiori o per il miglioramento del terreno". Così organizzato, segue un catalogo di una settantina di pagine, che offre in vendita 650 specie tra esotiche ed erbacee più 250 specie di alberi e arbusti da fiore. Nell'edizione del 1778 le pagine saliranno a 90, le erbacee a 1100 e le legnose a 650 (un numero ineguagliato fino ai cataloghi di Loddiges un quarto di secolo dopo) e l'offerta si allargherà agli utensili da giardino. William Malcom era il creatore e il direttore di uno dei vivai leader dell'area londinese. Della sua vita personale non sappiamo molto, tanto che ignoriamo il luogo e la data di nascita. Come si desume dal cognome, era di origini scozzesi, del resto come la maggior parte dei giardinieri e dei vivaisti britannici dell'epoca. Intorno alla metà degli anni '50 del Settecento prese in affitto un terreno a Kennington, non lontano dall'area dove anni dopo sarebbe sorto il campo di cricket noto come "Oval". Il contratto prevedeva parte del pagamento in natura, con la fornitura di 100 asparagi, segno che, almeno all'inizio, Malcolm - come molti colleghi - doveva soprattutto coltivare ortaggi; successivamente però si specializzò in piante esotiche, destinate anche al mercato internazionale, come testimonia la sua corrispondenza con David van Royen, professore di botanica a Leida, iniziata nel 1768 e protrattasi fino al 1773. Forse il suo interesse per le esotiche iniziò con la coltivazione degli ananas, uno status symbol immancabile nelle collezioni degli aristocratici, visto che a Kennington Malcolm aveva anche un negozio di sementi intitolato The Pine Apple e nel catalogo del 1771 sono elencate sei diverse varietà di ananas. Malcolm allargò sempre più il giro di affari; nel 1769 fornì piante alla principessa Augusta del Galles per i giardini di Kew e dal quel momento si fregiò del titolo di Royal Nurseryman; nel 1779 è citato tra i donatori che fornirono piante a William Curtis per aiutarlo a creare un orto botanico a Londra. Si occupava anche di progettazione di giardini come quello di Woodhall Park nell'Hertfordshire, disegnato intorno al 1782. Certamente a Kennington Malcolm possedeva una o più serre, ma con l'arricchirsi del catalogo e il crescente numero di clienti dovettero divenire insufficienti. Nel 1788 il vivaio fu trasferito a Stockwell in un terreno di 50 acri, dove Malcolm fece costruire un'elegante casa in mattoni grigi ed estese serre fredde e riscaldate. William Malcolm morì l'anno dopo. Nel suo testamento vengono nominati tre figli: James, Marmaduke George Russell e Jacob. Nessuno di loro però dopo la sua morte si occupò del vivaio di Stockwell. La gestione passò a un altro William Malcolm (1768 - 1835), di cui non conosciamo l'esatta parentela con William senior. Poiché suo fratello Alexander lavorava già nel vivaio, si suppone fosse un nipote (figlio di un fratello). Sotto la sua direzione, il vivaio continuò a godere di prestigio e di una buona clientela, ma con un successo probabilmente ridimensionato rispetto all'epoca del primo Malcolm. Negli anni '90 il vivaio Malcolm & son (il son era James, la cui attività principale dovette essere quella di agrimensore) fu incaricato di ristrutturare il giardino di Soho Square; furono piantati una doppia siepe viva e diversi nuovi alberi e arbusti (mandorli, peschi, ciliegi, lillà, maggiociondoli, caprifogli e gelsomini), forse scelti di persona da sir Joseph Banks, la cui casa si affacciava sulla piazza. Come si vede, niente di particolarmente esotico; segno che Stockwell non era più il vivaio leader delle esotiche, ma si stava spostando verso produzioni più abituali e consolidate; purtroppo però non abbiamo cataloghi di questi anni. Nel 1794 i Board of Agriculture del Sussex e del Buckinghamshire commissionarono a padre e figlio indagini sull'andamento dell'agricoltura e sulle migliori pratiche delle loro contee, che però lasciarono scontenti i committenti. Negli anni successivi James dovette continuare l'attività di agrimensore, come dimostrano alcune sue mappe, e nel 1805 pubblicò A compendium of modern husbandry, in cui si occupa soprattutto del miglioramento dei concimi. Forse ormai aveva lasciato il vivaio di Stockwell. Il padre continuò a dirigerlo e cercò di rilanciarlo associandosi con altri vivaisti. Tra il 1805 e il 1810 il suo socio fu un certo Doughty e dal 1811 il celebre giardiniere ed autore di testi di giardinaggio Robert Sweet. Ma non funzionò, e il vivaio di Stockwell chiuse definitivamente nel 1815. Sopravvisse invece la ragione sociale Malcolm & Co. Malcolm infatti affittò un terreno più piccolo a Kensington (una zona assai alla moda) e presumibilmente lo gestì fino alla morte nel 1835, quando lo stabilimento passò a Richard Forrest. Nel 1824 fu convocato come testimone della difesa nel processo contro Sweet, che lodò come persona e come professionista. Del vivaio Malcolm & Co. a Kensington possediamo anche un catalogo (purtroppo senza data): per numero e tipo di piante (essenzialmente limitato a specie ormai ben stabilite nel vivaismo britannico) il confronto con quelli del primo William Malcolm è impietoso. Una bella annuale da (ri)scoprire Il genere Malcolmia venne pubblicato nel 1812 nella seconda edizione del catalogo dei Kew Gardens Hortus kewensis (dove è scritto scorrettamente Malcomia); il volume compare sotto il nome del capo giardiniere (e poi direttore) di Kew William Townsend Aiton, ma è noto che le descrizioni dei generi si devono a Robert Brown; tuttavia, in questo caso, non è automatico che la paternità vada attribuita a lui piuttosto che a Aiton, prevalentemente indicato come autore. Come che sia, né Brown né Aiton hanno indicato chi intendessero onorare. Certo il primo William Malcolm era morto da diversi anni, ma era stato un personaggio di grande rilievo, mentre il secondo era ancora in piena attività e, se pur su scala minore, era comunque stimatissimo. Dunque non sappiamo chi sia il dedicatario di Malcolmia: l'uno o l'altro dei William Malcolm o entrambi. Aiton inizialmente attribuì al nuovo genere tre specie, ciascuna delle quali era stata già descritta da Linneo e collocata in un genere diverso e allo stato attuale è assegnata altri generi ancora, solo la specie tipo rimanendo in Malcolmia (famiglia Brassicaceae). E' una chiara testimonianza della sua eterogeneità e difficoltà tassonomica. Nel corso dell'Ottocento e della prima metà del Novecento la sua delimitazione è stata variamente trattata dai botanici, giungendo a comprendere una trentina di specie. A partire dagli anni '60 del Novecento se ne è riconosciuta l'eterogeneità e, soprattutto in seguito agli studi molecolari, le specie attribuite sono state via via ridistribuite in ben sette generi: Maresia, Neotorularia, Sisymbrium, Strigosella, Zuvanda, il neo creato Marcus-Kochia e appunto Malcolmia in senso stretto. Quest'ultimo attualmente comprende undici specie ed è geograficamente ristretto dal Mediterraneo centrale al Pakistan, con centro di diversità in Grecia (quattro specie), mentre le specie del Mediterraneo occidentale sono passate ad altri generi. Delle sette specie segnalate per il territorio italiano, quattro sono state trasferite ad altri generi; M. flexuosa, una specie balcanica, in passato è stata segnalata per la Puglia, ma è oggi ritenuta estinta; M. maritima, originaria dei Balcani, è presente in Puglia ed è stata segnalata come avventizia, presumibilmente sfuggita dai giardini, in altre regioni; M. orsiniana è invece un raro endemismo dell'Appennino, la cui presenza è stata rilevata unicamente sul Monte Nerone per le Marche, su Majella e Gran Sasso per l'Abruzzo e sulle Montagne della Duchessa per il Lazio. Le Malcolmia sono erbacee annuali o più raramente biennali con stelo eretto, ascendente o decombente, foglie basali spesso raccolte a rosetta e foglie cauline più o meno rade e di dimensioni minori, intere, dentate, più raramente sinuate, spesso di colore grigio per la presenza di tricomi; i fiori, raccolti in racemi di pochi-molti, hanno calice tubolare e quattro petali da rosa a viola, arrotondati, con una leggera insenatura all'apice. I frutti sono silique. Alcune sono eccellenti piante da giardino, in particolare M. maritima, originaria di Albania e Grecia, ma naturalizzata altrove; è un'annuale bassa, che può essere facilmente coltivata da seme e fiorisce rapidamente, producendo racemi di fiori fragranti rosa, viola, bianchi; seminandola scalarmente, può garantire fioriture dalla primavera all'estate. Stranamente da noi non è molto diffusa, mentre potrebbe affiancare validamente altre annuali più popolari. I Pelargonium, nativi per lo più del Sudafrica, incominciarono ad arrivare in Europa a fine Seicento, ma a lungo le specie note e coltivate furono meno di una decina. Poi tutto cambiò grazie a Francis Masson che dal suo primo viaggio in Sudafrica ne riportò non meno di quaranta. Erano belli, diversi tra loro, facili da coltivare e si ibridavano con facilità. Tra i pionieri della loro ibridazione spicca Robert Sweet che, giardiniere specializzato fin dall'adolescenza nella coltivazione delle piante esotiche, fu anche il prolifico autore di pubblicazioni che univano a un certo rigore scientifico un taglio pratico. Tra di esse, per la sua importanza storica spicca Geraniaceae, or The natural order of Gerania, in cui Sweet prestò particolare attenzione ai nuovi Pelargonium ibridi di creati da lui stesso e da altri giardinieri britannici: sono gli antenati degli attuali gruppi Regal e Angel. Sweet godeva di enorme reputazione; eppure, nonostante questo (o forse proprio per questo) fu trascinato in tribunale, accusato di aver acquistato piante rubate ai Kew gardens, nonostante ne conoscesse la provenienza illecita. Lo ricorda il genere monospecifico sudamericano Sweetia. Furto ai Kew Gardens Tra le sette e le otto del mattino del 29 gennaio 1824 John Smith, l'aiuto giardiniere dei Royal Botanic Gardens di Kew addetto alla serra delle esotiche, notò una finestra semiaperta; un esemplare di Banksia grandis che avrebbe dovuto essere presso la finestra mancava. Esaminò allora la serra e constatò che mancavano altre sette piante, tutte rare e una addirittura non ancora identificata. Informò immediatamente il suo superiore, il direttore William Townsend Aiton, e poco dopo i due si recarono a porgere denuncia alla più vicina stazione di polizia. Purtroppo i furti ai Kew Gardens erano all'ordine del giorno e certamente avvenivano con la complicità del personale. Aiton additò il colpevole materiale in Michael Hogan, un altro aiuto giardiniere che dal giorno 26 non si era più presentato al lavoro e ora risultava irreperibile; fu probabilmente sempre lui a insinuare che il mandante fosse il noto giardiniere e autore di testi botanici Robert Sweet. Così la sera stessa Mr, Ruthven, l'agente incaricato dell'indagine, e Smith si recarono a casa di Sweet; il poliziotto, convinto che egli fosse colpevole, lo investì con modi molto aggressivi ingiungendogli di consegnare la cassa che doveva aver ricevuto quella stessa mattina dall'ufficio postale di Kew Bridge o di Brentford. Sweet cadde dalle nuvole e disse di non saperne nulla. L'agente lo costrinse ad accompagnarlo nel vivaio Covill, di cui Sweet era sovrintendente. Qui dovette mostrare esemplari delle specie rubate, che in gran parte Smith riconobbe come quelli di Kew, anche se erano piantati in vasi e terricci differenti. Nel negozio di sementi annesso fu anche trovata una scatola indirizzata a Sweet che secondo il commesso era arrivata nella tarda mattinata. Nel frattempo Sweet, che durante la perquisizione era spesso apparso confuso ed esitante, era già stato ammanettato. Venne quindi condotto in arresto alla stazione di polizia; Covill - immediatamente riconosciuto estraneo ai fatti - offrì di pagare una cauzione per il prigioniero, ma questa rifiutata. Il fattaccio fece molto rumore. Sweet non era infatti uno qualunque. Oltre ad essere un giardiniere di provata abilità, era l'autore di molte importanti pubblicazioni (le vedremo meglio tra poco) e godeva della stima universale. Lo dimostra il gran numero di amici e colleghi che si mobilitò in occasione del processo, tenutosi il 24 febbraio di fronte all'Old Bailey. L'accusa non era di ricettazione, ma di fellonia: le piante di Kew appartenevano infatti a sua Maestà il re. Durante il dibattimento, emersero molte incongruenze; Smith ammise che poteva anche essersi sbagliato nel riconoscere in quelle piante quelle sottratte a Kew; Ruthven, pur continuando ad insistere sulle esitazioni e a suo parere reticenze di Sweet, ammise di non aver trovato le prove che Hogan avesse spedito un pacco da Kew Bridge o Brentford e che il pacco rinvenuto era troppo piccolo per le piante (ma i vasi originali erano più piccoli, aggiunse). Furono poi sentiti la moglie del direttore dell'ufficio postale di Brentford e uno dei corrieri, che testimoniarono di aver ricevuto e consegnato un pacco per Sweet da parte di un certo Charles Noyce la sera del 28. Provato dall'arresto e da quasi un mese di reclusione, Sweet fece leggere una memoria difensiva dal suo avvocato; seguì poi una sfilza di testimoni a difesa. Molte le voci di giardinieri e vivaisti; dalle loro testimonianze emerse che inviare scatole di piante, talee e semi era pratica comune (a volte addirittura per divertimento), che le piante sparite da Kew non erano né affatto uniche né così preziose come pretendevano Aiton e Smith; William Anderson, sovrintendente di Chelsea, scodellò un elenco di prezzi che costituisce per noi un documento prezioso. Una decina tra giardinieri e vivaisti testimoniò poi l'onesta e l'onorabilità dell'imputato: "lo ritengo un uomo onesto e onorevole", dichiarò Joseph Knight; "non esiste un uomo più onesto" rincarò William Malcolm, e così via. Nella sua requisitoria il giudice si schierò per la colpevolezza, soprattutto sulla base del supposto comportamento esitante e reticente di Sweet al momento dell'arresto, ma invitò anche la giuria a non trascurare i dubbi. E infatti la giuria non li trascurò: dopo un'ora e mezza di discussione, dichiarò Sweet non colpevole. Oggi diremmo che fu assolto per insufficienza di prove. La convinzione attuale è che fosse davvero innocente e che Aiton, incastrando Sweet, avesse voluto dare una lezione e un avvertimento ai vivaisti che, certamente con la complicità dei giardinieri, si procuravano surrettiziamente piante rare da Kew, per poi moltiplicarle nei loro vivai e metterle in vendita. Insomma, colpirne uno per ammonirne cento. Nuove piante per i giardini britannici Così il povero Robert Sweet (1783-1835) se la cavò con un mese di carcere che non intaccò la sua reputazione e il suo prestigio tra giardinieri e botanici, del resto attestato anche dai numerosi colleghi che si erano presentati in tribunale a difenderlo. E' pur vero che, difendendo lui, difendevano sé stessi, ma Sweet era certamente una figura di primo piano del giardinaggio britannico. La sua carriera era iniziata a sedici anni, come aiuto giardiniere sotto il fratellastro James Sweet, all'epoca capo giardiniere di Ham Green, la tenuta del medico Richard Bright presso Bristol. Qui aveva lavorato nove anni, poi era passato al servizio dell'uomo d'affari e collezionista John Julius Angerstein, come curatore della collezione di esotiche della tenuta di Woodlands. Nel 1810 entrò nel vivaismo come socio del vivaio Malcolm di Stockwell e quando questo fu chiuso nel 1815, passò al servizio come capo giardiniere e sovrintendente prima del vivaio Whitley, Brames, & Milne, poi del vivaio Covill, posizione che occupava come abbiamo visto al momento della sua disavventura. La lasciò nel 1826, per concentrarsi maggiormente nella scrittura; contemporaneamente coltivava un numero limitato di piante prima in un piccolo giardino a Parson's Green (Fulham), poi dal 1830 in uno più grande a Chelsea. Tuttavia a partire dal 1831 soffrì di febbri cerebrali; la sua salute precipitò, portandolo alla morte nel 1835. Sweet, che fin dal 1812 era membro della Linnean Society, affiancò al lavoro di giardiniere una copiosa attività pubblicistica. La sua prima opera è Hortus suburbanus londinensis; si tratta di un catalogo delle piante coltivate nei dintorni di Londra. Come leggiamo nella prefazione, era il frutto della congiunzione tra l'esperienza pratica e ottime conoscenze teoriche: "Il compilatore del presente [libro], dall'infanzia fino ad oggi, è stato costantemente impegnato nella coltivazione delle piante esotiche come mezzo di sostentamento; e, per quanto glielo hanno permesso gli impegni di lavoro e le opportunità che gli si sono offerte, si è sforzato industriosamente di coniugare la parte scientifica con quella pratica della sua vocazione". E' una semplice lista, senza né descrizioni né note di coltivazione, ma risulta ugualmente ricca di informazioni. Per ogni specie, disposte secondo le classi linneane, vengono infatti indicati il nome botanico, quello inglese, in molti casi l'ordine naturale (di cui Sweet nella prefazione sottolinea l'utilità pratica per la corretta coltivazione, le ibridazioni e gli innesti), l'origine geografica, l'anno di introduzione, il periodo di fioritura, la forma biologica, una referenza iconografica. Il tutto in forma di tabella. Nel 1820 incominciò ad uscire il primo volume dell'opera forse più importante di Sweet Geraniaceae, or The natural order of Gerania; ne sarebbero seguiti altri quattro, fino al 1830. Splendidamente illustrata, con 500 figure a piena pagina colorate a mano (incise da S. Watts da disegni di Edwin Dalton Smith), è una delle prime monografie dedicate a questo gruppo di piante, cui solo recentemente L'Heritier de Brutelle aveva portato chiarezza, separando da Geranium Pelargonium e Erodium. Ci sono anche questi "cugini poveri", ma a fare la parte del leone sono soprattutto i Pelargonium. Il numero delle specie disponibili in Gran Bretagna dopo le raccolte di Masson era enormemente aumentato, offrendo molto materiale agli ibridatori. In questo campo Sweet fu un vero pioniere; così nell'opera hanno grande spazio i "mules", ovvero gli ibridi, molti dei quali di sua creazione; da questi esperimenti nacquero i progenitori dei gruppi Regal e Angel. Grazie al suo sovrintendente, Covill, che in precedenza era specializzato in bulbose sudafricane, poté offrire ai suoi clienti un catalogo di quasi 500 varietà. Il libro di Sweet, con le sue descrizioni accurate e le magnifiche illustrazioni contribuì enormemente alla popolarità di queste piante. Geraniaceae dovette richiedere un forte impegno, anche finanziario; eppure Sweet lavorò contemporaneamente ad altre opere. Nel 1821 pubblicò The Botanical Cultivator, poi ripubblicato in seconda edizione accresciuta sotto il titolo A Hothouse and Greenhouse Manual, un manuale pratico dedicato principalmente alla coltivazione delle piante in serra che riscosse tanto successo da giungere alla quinta edizione vivente l'autore. Nel 1825, in concorrenza con pubblicazioni come il Curtis's o il Botanical Register di Edwards, Sweet cominciò a pubblicare The British Flower Garden, in cui presentava "le piante erbacee rustiche più ornamentali e curiose"; secondo il modello introdotto dal Curtis's, di ogni pianta, illustrata a piena pagina da Edwin Dalton Smith, veniva fornita una breve diagnosi in latino e una più ampia descrizione in inglese; tuttavia i testi di Sweet si distinguevano da quelli della concorrenza per le accurate istruzioni per la coltivazione e la moltiplicazione. Sweet tra il 1823 e il 1829 ne pubblicò una prima serie in tre volumi; nel 1831 iniziò una seconda serie di cui, nostante fosse ormai gravamente malato, uscirono altri quattro volumi più un addendum postumo. Ma non è ancora tutto. Mentre era ancora intento a completare Geraniaceae Sweet si interessò a un'altra famiglia caratterizzata da fiori vistosi e ornamentali. Il risultato fu Cistineæ, The Natural Order of Cistus, Or Rock-rose, inizialmente pubblicato tra il 1825 e il 1829 in 28 fascicoli venduti a 3 scellini l'uno, poi riuniti in un volume. La formula è la stessa di The British Flower Garden, ma i disegni non sono più di E. D. Smith, bensì di una certa signora Brown e di J., M. e W. Hart. Contemporaneamente, Sweet diede mano al Sweet's Hortus Britannicus (1826-27): è l'evoluzione della sua prima opera Hortus suburbanus londinensis, di cui mantiene il formato a tabella e l'assenza di illustrazioni, ma ora l'ambito dai giardini dei dintorni di Londra si è allargato all'intera Gran Bretagna, le piante non sono più presentate secondo il sistema linneano, ma per famiglie (ordini) naturali; il repertorio dovette essere apprezzato se ne uscirono altre due edizioni, l'ultima delle quali postuma. Nacque invece ancora dalla collaborazione tra Sweet e E. D. Smith Flora Australasica (1827-1828) dedicata a una "selezione di piante belle o curiose native della Nuova Olanda o delle Isole dei Mari del Sud"; la formula è sempre la stessa, ma ora si tratta per lo più di piante delicate da coltivare in serra o in ambiente protetto. Formula e autori si ritrovano in The Florist's Guide, and the Cultivator's Directory, uscita a fascicoli tra il 1827 e il 1831 e poi riunita in due volumi; il soggetto ora sono "i fiori più scelti coltivati dai fioristi, inclusi ranuncoli, garofani e garofanini, fiori variegati, dalie, auricole e primule, giacinti e tulipani". Prima che le "febbri celebrali" mettessero fine a questa prodigiosa produzione, venne ancora il primo volume di British Botany, in collaborazione con H. Weddell (1831). Sweet era anche ornitologo: nel 1825 pubblicò The British Warblers, dedicati ai piccoli uccelli canori britannici. Il formidabile insieme delle opere botaniche di Sweet, che si rivolgevano chiaramente a un pubblico allargato di media cultura, attratto sia dalle magnifiche illustrazioni sia dalle precise indicazioni di coltivazione, diede un grande contributo a popolarizzare il giardinaggio nel momento storico in cui esso si stava trasformando da status symbol riservato a pochi ricchi a passione nazionale condivisa dalle classi medie. Grande esperto e appassionato i piante esotiche, spesso riuscì ad anticipare i botanici professionisti; gli si deve dunque la pubblicazione di centinaia di specie e di decine di generi, anche se solo in piccola parte sono rimasti validi; forse più con l'occhio del vivaista, che deve offrire ai suoi clienti piante sempre nuove che con quello del botanico, tendeva infatti a moltiplicare le entità, ad esempio istituendo nuovi generi anche per piccole differenze: così nella sua monografia sulle Geraniaceae istituì i generi Ciconium, Grenvillea, Hoarea, Isopetalum, Jenkinsonia, Phymatanthus, Seymouria, tutti rientranti in Pelargonium. Per limitarci ai generi, rimangono però validi Herbertia, Hoodia, Hunnemannia, Luculia, Orthosanthus, Piptanthus, Polyspora e Sphenotoma. Eresse poi a genere Agonis, Chaetonychia e Sarcocaulon, già creati da de Candolle ma come sottogeneri o sezioni. Tra le sue centinaia di specie, mi limito a citarne le assai colitivate Coreopsis grandiflora e Lablab purpureus. Un omaggio dal Sud America Nel 1825, circa un anno dopo la sua disavventura giudiziaria, due illustri botanici, de Candolle e Sprengel offrirono al malcapitato Sweet il riscatto di un genere Sweetia; ad essere valido è quello creato dal secondo. Né de Candolle né Sprengel però esplicitarono le motivazioni della dedica. Sweetia Spreng. è un genere monotipico della famiglia Fabaceae, rappresentato unicamente da S. fruticosa. Nativa di Bolivia, Paraguay, Brasile e Argentina nord orientale, dove vive per lo più ai margini della foresta pluviale in ambienti stagionalmente aridi, è un grande arbusto o più spesso un piccolo albero deciduo caratterizzato da un tronco dritto e cilindrico, una chioma molto aperta e globosa, foglie composte, piccoli fiori bianchi. I legumi, appiattiti, irregolari ed asimmetrici, hanno forma simile a una samara (legume samaroide). Può raggiungere un'altezza di 10-18 metri. Ne viene talvolta utilizzato il legname che, essendo durevole e inattaccabile dagli insetti, si presta a lavori di falegnameria, ma anche a traversine e pali. Nella medicina tradizionale sempre il legame trova impiego come febbrifugo. Per molto tempo il genere Sweetia è stato assegnato alla tribù Sophoreae, soprattutto sulla base della morfologia dei fiori; tuttavia recentemente analisi filogenetiche molecolari lo hanno trasferito nella clade informale detta vataireoidi, che raggruppa i generi Vatairea, Vataireopsis, Luetzelburgia e appunto Sweetia, distribuiti soprattutto nel Sud America settentrionale, principalmente in Brasile. Morto a soli 35 anni senza aver pubblicato nulla, il botanico inglese Edmund Davall - visse però gran parte della sua vita adulta in Svizzera - non avrebbe lasciato molte tracce di sè se non fosse stato amico e assiduo corrispondente di James Edward Smith, presidente e fondatore della Linnean Society. Una selezione delle sue lettere, pubblicata nelle memorie di Smith, ci fanno conoscere da vicino questo giovane di grande sensibilità e humour, un vero figlio del preromantcismo diviso tra l'entusiasmo per la natura e la malinconia di quello che considerava un vero e proprio esilio. Grazie a Smith, a ricordarlo ci sono soprattutto le bellissime felci del genere Davallia. Una vita attraverso le lettere Nel 1832, la vedova di James Edward Smith, Pleasance Reeve Smith, completò e pubblicò le memorie del defunto consorte, che includono una scelta della sua ampissima corrispondenza. Come sottolineava Mme de Lessens nella sua recensione di Memoirs and Correspondence of Sir James Edward Smith, "tra i corrispondenti più gradevoli di Mr. Smith, c'è un giovane svizzero, Mr. Davall di Orbe, entusiasta della botanica, della natura e del grande apprezzamento che ricevono in Inghilterra. Le sue lettere sono assai piacevoli". Queste lettere sono quasi tutto ciò che rimane di questo sfortunato botanico, morto troppo presto e senza aver potuto pubblicare nulla. Al contrario di quanto scrive Mme de Lessens, Edmund Davall (1762-1798) non era propriamente svizzero, ma piuttosti anglo-elvetico. Era infatti nato a Londra dall'omonimo Edmund Davall, ufficiale di approvvigionamento dell'ammiragliato, e da Charlotte Thomasset, figlia di una vedova svizzera che si era trasferita nella capitale inglese dove insieme alle sue figlie gestiva con un certo successo una scuola per giovinette. Come racconta egli stesso in una delle sue lettere al "più caro degli amici" Smith, benché avesse un'inclinazione per le scienze naturali, il loro studio non aveva fatto parte della formazione del giovane Edmund. Si interessava però di giardinaggio, e aveva acquistato una copia di The Gardeners Calendar di Miller, dove per la prima volta vide uno schema del sistema linneano, Ne fu "istantaneamente ispirato" e decise di "perseguire uno studio che certamente mi avrebbe procurato maggior felicità di qualsiasi progetto volto a un vantaggio pecuniario". Iniziò dunque a studiare la botanica da autodidatta e nel febbraio 1784 arrivò in Svizzera, deciso a esplorare la flora delle sue montagne. Si stabilì a Orbe, nella casa delle sue numerose zie Thomasset che erano tornate in Svizzera intorno al 1777; pochi mesi dopo, il padre morì in seguito a un'ampitazione e la madre decise di tornare in patria. Quattro anni dopo sarebbe morta anche lei, lasciando definitivamente legato il figlio a Orbe e alle "buone vecchie zie", di cui nelle lettere egli traccia un memoriabile ritratto dolce-amaro. Se in Inghilterra erano considerate povere, in Svizzera un piccolo patrimonio e qualche terra al sole le facevano senz'altro rientrare nella "bonne societé". Amavano ricevere e trascorrevano ore intere a giocare alle carte. A sentire il nipote, il jeu de Quadrille era la loro unica passione e il loro unico argomento di conversazione, al punto che una di loro sarebbe "letteralmente morta con le carte in mano". La migliore stanza della casa era dedicata alle interminabili partite di carte che riunivano il "gregge troppo numeroso" della buona società di Orbe, "eternamente desideroso di ammazzare il tempo che non sapeva come impiegare" e che esprimeva "la sua stima per chi aveva interessi intellettuali con un'alzata di spalle". Per sfuggire alla noia, Davall si gettò più che mai nella botanica. Creò un giardino che curava personalmente e intensificò le escursioni alla ricerca di piante da trapiantare e da montare nel suo erbario. Orbe sorge in un'amena posizione nel cuore del Giura svizzero; con una breve passeggiata si può raggiungere la cima del Suchet, dalla quale si gode uno splendido panorama sugli altopiani del Giura e su tutto l'arco alpino. Sulle sue pendici calcaree Davall trovò una flora particolare e interessante. Nell'estate del 1787 scoprì alcune piante rare in compagnia di Albrecht von Haller junior, il figlio omonimo del grande von Haller. Davall avea infatti cominciato a farsi conoscere nell'ambiente dei botanici svizzeri, in ciò incoraggiato da Charles Victor de Bonstetten, ultimo balivo di Nyon e membro del "gruppo di Coppet", un sodalizio intellettuale informale che si riuniva attorno a Mme de Stael e Benjamin Constant. Entrò così in contatto con il pastore e naturalista di Berna Jakob Samuel Wyttenbach, con il pastore, bibliotecario e botanico di Ginevra Jean Senebier e con il professore di anatomia e botanica dell'Università di Basilea Werner de Lachenal. Saussure nel suo Voyage dans les Alpes ricorda di avergli fatto visita ad Orbe. Nel 1784, munito di lettere di presentazione di Wyttenbach e Senebier, Davall partì per Londra e si presentò a James Edward Smith che aveva da poco creato la Linnean Society. Smith lo accolse con grande affabilità, lo ospitò in casa sua, lo presentò ai suoi amici e lo fece entrare nella Linnean Society, di cui Davall fu così uno dei primissimi membri. Da parte sua, Davall intodusse Smith presso la marchesa di Rockingham, con la quale forse era in contatto grazie alla posizione del padre all'ammiragliato. La nobildonna, grande appassionata di piante esotiche, avrebbe poi ispirato a Smith le magnifiche Icones pictae, in cui Sowerby ritrasse numerose piante coltivate nelle serre e nei giardini di Hillingdon. I giardini inglesi con le loro collezioni di piante esotiche, le società scientifiche con le loro animate discussioni, la grande considerazione in cui era tenuta la botanica entusiasmarono Davall e fecero del soggiorno londinese "il periodo più memorabile e felice della mia vita", nonostante cominciassero già amanifetarsi imprimi segni di una salute malferma. Lui e Smith erano quasi coetanei e strinsero una profonda amicizia, destinata a durare quanto la sua vita, anche se dopo il suo ritorno a Orbe non si sarebbero mai più incontrati. Continuarono invece a scriversi con assiduità; le lettere di Davall, pervase dall'entusiasmo e dal sentimento religioso per la natura, ma anche da quello che egli stesso definisce mal du pays, ovvero dalla nostalgia per l'Inghilterra, piacevolissime e spesso piene di humour, informano di gioie e dolori (il matrimonio, la nascita dei figli, la dolorosissima morte della primogenita a soli undici mesi), dei fastidi di una piccola vita di provincia, delle aspirazioni intellettuali presto frustrate da un ambiente chiuso, dalle necessità pratiche, ma soprattutto da una salute sempre più traballante. Nella casa di Orbe, dove il salotto buono rimaneva intoccabile santuario all'eterno gioco di carte, poté ricavare per sè solo un piccolo studio, dove un "angolo sacro" riuniva le opere di Linneo, il suo modesto erbario e due prezosi cimeli incorniciati sotto vetro: un esemplare di Diapensia lapponica, raccolto da Linneo in persona, dono dell'amico Smith ("un frammento della vera croce è meno prezioso per un cattolico bigotto"), e uno di Smithia sensitiva. Una grande fonte di piacere era il giardino, che egli coltivava di persona dedicandogli molto tempo e cura; e un'altra le escursioni botaniche in montagna. Ne riportava piante per il suo giardino ed esemplari che essiccava per il suo erbario e che spediva regolarmente all'amico Smith. Visitò ripetutamente il Suchet, ma le lettere documentano anche viaggi a più ampio raggio: attraversò il ghiacciaio di Valsorey nel Vallese alla ricerca di una pianta segnalata da von Haller e si spinse fino al Gran San Bernardo. Sappiamo che lavorò a lungo a un saggio sulla flora svizzera, ma non riuscì a terminarlo. Più ancora delle contingenze della vita materiale, a impedirglielo furono i problemi di vista sempre più gravi e una salute sempre più precaria. Le lettere stesse incominciarono a diradarsi. Davall iniziò l'ultima il 13 febbraio 1798. Ma ormai stava così male che non poté finirla; Smith l'avrebbe ricevuta solo dopo la sua morte. Certo avrà letto con grande commozione le ultime righe: "a lungo la mia più cara e unica speranza è stata quella di incontrare il mio amico in un mondo diverso e migliore". A informarci degli ultimi mesi di Davall sono le lettere a Smith di un altro amico comune: il veterinario Bracy Clark. Tra il 1797 e il 1798 egli fu impegnato in un grand tour continentale, anche se le condizioni di guerra gli impedirono di visitare la Francia. Soggiornò invece per qualche tempo in Svizzera; nel dicembre 1797 a Berna fece visita a Wyttenbach che lo informò che l'amico di Smith Davall aveva sofferto gravemente, forse di una paralisi, e gli scrisse una lettera di presentazione per lui. Il cattivo tempo e copiose nevicate impedirono a Clark di recarsi ad Orbe fino alla fine di marzo. Davall lo accolse cordialmente e lo ospitò a casa sua; era assai provato nel corpo e profondamente turbato dalla situazione politica, con i venti della rivoluzione che soffiavano anche in Svizzera. Durante l'estate, che Clark trascorse per lo più a Orbe, sembrò migliorare; poi la situazione precipitò e il 27 settembre Davall morì, ad appena 35 anni. Onorando le sue ultime volontà, la vedova fece pervenire a Smith la lettera mai terminata, l'erbario, i libri e i manoscritti del marito. Quest'ultimi sono tuttora conservati nella biblioteca della Linnean Society, mentre l'erbario è andato perduto. Nel pubblicare la corrispondenza di Davall con il marito, Pleasance Reeve scrive: "Assomigliava all'amico scelto dal suo cuore nel calore e nella devozione degli affetti, ma poté resistere meno di lui ai mali della vita. Molti passi delle lettere [...] mostrano il valore, la tenerezza, il raro affetto, la devozione alla scienza, il suo amore per la natura strettamente legato all'amore di Dio [...]. Se qualcuno considerasse [questi sentimenti] troppo acuti o riprovevoli, si ricordi che «quei teneri desideri che assorbivano la sua anima, logoravano il suo spirito, minavano la sua salute», erano i dolori di un uomo esiliato. Lasciamo che coloro che possono comandare a piacimento tanto il piacere quanto la società contemplino con profonda compassione il generoso e disinteressato Davall". Rizomi con la pelliccia Nella speranza che l'amico con le sue opere occupasse prima o poi il posto che gli spettava nella scienza delle piante, fin dal 1793 Smith aveva provveduto ad eternarne il nome con la dedica del genere Davallia, scrivendo: "Ho dedicato questo nuovo genere con grandissimo piacere al botanico instancabile e acutissimo, amabile di carattere, così come illustre per scienza, Edmund Davall, membro della Linnean Society, che vive in Svizzera". Gli dedicò anche Carex davalliana, una specie che cresceva copiosa nelle aree unide di orbe e che Davall aveva distinto per primo. Al contrario della insignificante Smithia - una dedica lievemente maligna, come ho raccontato in questo post, di cui il presidente della Linnean Society avrebbe volentieri fatto a meno - il genere dedicato all'amico del cuore è davvero un dono sontuoso. Davallia è l'unico genere della famiglia Davalliaceae (alcuni studiosi però preferiscono classificarla nelle Polypodiaceae, intese in senso largo) e raggruppa una cinquantina di specie di felci epifite o litofite delle aree tropicali e subtropicali del Vecchio mondo e dell'Australia. La caratteristica più evidente sono i lunghi rizomi aerei grazie ai quali si abbarbicano sulla corteccia degli alberi o si insinuano nelle fessure delle rocce. Intricati e solitamente ricoperti da fitte squame simili a una pelliccia, le hanno guadagnato nomignoli come "felce ragno", "felce zampa di coniglio", "felce zampa di scoiattolo". Curiose e molto decorative, diverse specie sono apprezzate come piante da interni. Alcune però sono rustiche e possono essere coltivate in giardino. È il caso della giapponese D. mariesii, una piccola felce decidua con sottili rizomi pelosi e fronde triangolari, che può essere utilizzata come coprisuolo in angoli ombrosi e umidi. Meno resistente al freddo è invece D. canariensis, una specie originaria della Macaronesia e del Mediterraneo occidentale (Marocco e penisola iberica occidentale), che in natura cresce sui tronchi e i rami degli alberi e sulle rocce silicee umide e muschiose, soprattutto dove può godere dell'umidità oceanica. Da noi viene solitamente coltivata in vaso o anche su zattera o bark per orchidee, in modo da godere dell'intrico delle radici che si interesecano e pendono al di fuori. Tra le specie solitamente coltivate all'interno, la più nota è probabilmente D. solida var. fejeensis, originaria delle isole Figi, un'epifita caratterizzata da rizomi densamente ricoperti da squame grigio-rosate e da brevi fronde triangolari. Per mettere in risalto la bellezza dei rizomi, è spesso coltivata in cestini appesi, così come D. tyermannii, originaria della Cina e dell'Asia orientale, nota anche come felce tarantola o felce ragno per l'intrico di lunghi rizomi pelosi che evocherebbero a questi animali. Secondo il folklore locale, è nella brulla brughiera di Brodie che Banco e Macbeth incontrarono il loro destino sotto forma di tre streghe. Poco lontano sorge il castello di Brodie, oggi gestito dal National Trust e famoso per la collezione di narcisi del suo giardino. Fino a qualche anno fa, era la sede ufficiale dei capi del clan Brodie; tra la seconda metà del Settecento e il primo Ottocento, il ruolo fu ricoperto da James Brodie, uomo politico non indimenticabile e botanico dilettante appassionato di crittogame nonché corrispondente di James Edward Smith e William Jackson Hooker. Tutto sommato, non indimenticabile neppure come botanico. Eppure l'amico Smith gli dedicò il grazioso genere Brodiaea: per meriti reali? per amicizia? per un intrigo di cui non sappiamo quanto il gentiluomo scozzese fosse consapevole? In ogni caso caso, a torto o a ragione, è questo il nome che la comunità scientifica riconosce. Prevalentemente californiano, e spesso confuso con l'affine Triteleia, offre fiori bellissimi che prolungano la stagione delle bulbose. Un gentiluomo scozzese, tra politica e passione botanica In una seduta della Linnean Society dell'aprile 1808, il presidente James Edward Smith lesse la descrizione di un nuovo genere, denominato Brodiaea in onore di James Brodie, un gentiluomo i cui meriti, secondo lui, non richiedevano una particolare spiegazione. Per lui e per i membri della Society (di cui anche Brodie faceva parte) sarà stato così; ma non per noi, visto che il personaggio in questione non pubblicò nulla e della sua attività come botanico rimangono solo tracce sparse nella corrispondenza di botanici più illustri e qualche esemplare da lui raccolto nell'erbario dell'orto botanico di Edimburgo. James Brodie, o meglio James Brodie of Brodie (1744-1824), era il 21° capo del clan Brodie. Apparteneva a un ramo cadetto e a 15 anni ereditò inaspettatamente il titolo e la tenuta in seguito alla morte in giovane età del 20° capo, il secondo cugino Alexander; questi era figlio del membro forse più illustre della famiglia, il 19° capo Alexander Brodie of Brodie, che sedette alla Camera dei Comuni per 34 anni come sostenitore del governo e per 27 anni fu Lord Lyon King of Arms, il grado più basso dei grandi ufficiali di stato della Scozia, con il compito di regolamentarne l'araldica. Questo grande personaggio viveva al di sopra dei suoi mezzi, sicché James Brodie con il titolo ereditò una tenuta fortemente gravata da debiti e per tutta la vita dovette fare i conti con una situazione finanziaria difficile. Né lo aiutò il matrimonio con Lady Margareth Duff, sorella del conte di Fife, una delle figure dominanti della Scozia nord orientale, contrario al matrimonio. Anzi, Brodie si schierò con gli oppositori di Fife, tra i quali troviamo anche il fratello minore Alexander che, entrato al servizio della Compagnia delle India, al contrario di lui fece fortuna in India. Grazie a lui, James Brodie entrò in contatto con Henry Dundas, il braccio destro di William Pitt, con il sostegno del quale a partire dal 1794 fu eletto alla Camera dei comuni come rappresentate dell'Elginshire. Vi sedette per tre successivi mandati fino al 1807; sembra che non fosse molto assiduo e non prese la parola nemmeno una volta. Era per lo più schierato con il governo, ma non senza ambiguità. Insomma, una carriera politica tutt'altro che brillante, dovuta al fratello ricco (a sua volta deputato) e ad amici influenti. A Londra preferiva la Scozia, dove ebbe anche incarichi militari come tenente colonnello della milizia di Ross, e soprattutto alla politica preferiva le scienze naturali, cui probabilmente sia era accostato negli anni degli studi, prima alla Elgin academy, poi all'università di Saint Andrews. Si specializzò nelle crittogame (alghe, felci, muschi) e scoprì un certo numero di nuove specie sia nei dintorni di Edimburgo sia nella sua tenuta di Brodie. Qui aveva una discreta biblioteca, un gabinetto di curiosità e un erbario; su una delle torrette del castello fece installare un telescopio. Condivideva volentieri le sue scoperte ed corrispondeva con diversi eminenti botanici del tempo, tra cui appunto James Edward Smith e William Jackson Hooker. In English Botany Smith lo cita per Pyrola uniflora (oggi Moneses uniflora), di cui fu il primo a raccogliere un esemplare nelle isole britanniche, e per Ulva defracta, un'alga "trovata sulla costa orientale della Scozia dal nostro liberale corrispondente James Brodie"; in Flora scotica Hooker lo cita per una decina di alghe raccolte nel Firth of Forth e in altre località scozzesi. Nel 1795 Brodie fu ammesso alla Linnean Society e nel 1797 alla Royal Society. La sua vita personale fu funestata da due tragedie: nel 1786 la moglie morì in un incendio a Brodie House; nel 1801 il figlio maggiore James, che si trovava in India al servizio della Compagnia delle Indie, morì annegato in seguito al ribaltamento di un battello nei pressi di Madras. James Brodie morì nel 1824 all'età di 79 anni. Una parte del suo erbario è conservata all'Orto botanico di Edimburgo; si tratta di un'ottantina di esemplari, per lo più di piante palustri, in gran parte carici. Una denominazione intricata Come ho anticipato, questo botanico dilettante è entrato nel gotha dei dedicatari di un genere botanico grazie all'amico e corrispondente James Edward Smith, che istituì il genere Brodiaea con queste parole: "Poiché queste piante formano indubbiamente un nuovo genere delle Liliaceae, o ordine patrizio, l'ho chiamato Brodiaea, per James Brodie della Britannia settentrionale, un gentiluomo i cui meriti scientifici, le cui varie scoperte, le cui generose comunicazioni in ogni occasione utile a illuminare la botanica soprattutto del suo paese, non richiedono una elaborata spiegazione per i membri della Linnean Society". Non si trattava però di una specie scozzese. Esemplari della futura Brodiaea furono raccolti per la prima volta nel 1792 nei pressi dello Strait of Georgia da Archibald Menzies, il botanico della Spedizione Vancouver. Nel 1807, nella sua An introduction to physiological and systematical botany, Smith fece riferimento a quello che già riteneva un nuovo genere per sostenere che i tepali delle liliacee sono sepali piuttosto che petali; però non gli diede un nome. La prima descrizione formale di una specie del genere fu pubblicata all'inizio dell'anno successivo da Richard Salisbury in Paradisus Londinensis come Hookera coronaria (in onore dell'illustratore William Hooker e non del botanico William Jackson Hooker). Immediatamente dopo Smith chiamò Hookeria un genere di muschi e appunto nell'aprile 1808 lesse la descrizione del genere Brodiaea alla Linnean Society; per la pubblicazione a stampa nelle Transactions si dovette aspettare il 1810. Stando alle regole della priorità, Hookera Salisb. dovrebbe essere il nome accettato, mentre Brodiaea e Hookeria (troppo simile a Hookera) dovrebbero essere respinti, Sarebbe così, se Salisbury non fosse stato il paria della botanica in seguito al fattaccio con Robert Brown; l'establishment botanico accettò i nomi di Smith e respinse quello di Salisbury. Secondo George Boulger, le mosse di Smith furono deliberatamente intese a privare il rivale - che detestava ferocemente - della paternità del nuovo genere, e riuscì pienamente nel suo intento. Da allora Hookera Salisbury è nomen rejiciendum, Brodiaea Sm. nomen coservandum. Unica parziale vittoria di Salisbury il successivo ripristino dell'epiteto in base alla legge della priorità: Brodiaea grandiflora Sm. oggi si chiama ufficialmente Brodiaea coronaria (Salisb.) Jeps. Chissà se James Brodie era al corrente dell'intrigo; è possibile, visto che proprio in una lettera rivolta a lui Smith definì Salisbury "quel rettile", e precisò "più calpesti uno str...o più puzza". Da parte mia, temo che la dedica a Brodie sia più giustificata dall'amicizia e forse dalla complicità (dopo tutto lo scozzese era un politico di lungo corso non alieno da manovre e camarille) più che da meriti che "non richiedono una elaborata spiegazione". Fiori azzurri dalla California Lasciamo da parte questa vicenda decisamente squallida per passare al bellissimo genere Brodiaea, anche se, oltre al suo nome, ha fatto discutere anche la sua collocazione tassonomica. Smith lo collocò "indubitabilmente" nelle Liliaceae, e i botanici successivi ora nelle Liliaceae, ora nelle Alliaceae, ora nelle Amaryllidaceae. Unico bastian contrario, ancora Salisbury che pensava che appartenesse a una famiglia propria, che egli stesso istituì e denominò Themidaceae (dal genere monotipicoThemis rappresentato unicamente da T. ixioides). Solo verso la fine del Novecento con gli studi filogenetici molecolari è emerso con chiarezza che a vederci giusto era stato proprio Salisbury (magari rettile, ma di certo grande botanico). Di conseguenza, nel 1996 la famiglia Themidaceae venne ripristinata; più di recente, è passata al rango di sottofamiglia delle Asparagaceae con il nome Brodiaeoideae. La sottofamiglia, di cui Brodiaea è ora il genere tipo, comprende 12 generi di erbacee perenni diffusi unicamente lungo la costa pacifica dell'America settentrionale, dal British Columbia al Guatemala; i due più grandi sono Triteleia (16 specie) e Brodiaea (18 specie) che sono anche quelli più comunemente coltivati nei giardini. Tratti comuni a tutta la sottofamiglia sono il cormo amidaceo che si rinnova ogni anno a partire da quello vecchio; le foglie lineari, talvolta carnose; i fiori bisessuali, con 6 tepali in due giri di tre, raccolti in infiorescenze ad ombrella; 6 stami fertili o 3 stami alternati a 3 staminoidi; ovario supero triloculare; frutto a capsula che si apre lungo le suture dei carpelli; semi ricoperti da uno strato duro di colore nero. Poiché i confini tra i diversi generi della sottofamiglia non sono netti e Brodiaea fu il primo ad essere stabilito, in passato ne hanno fatto parte molte specie via via trasferite in altri generi; è il caso anche diTriteleia laxa, la specie più coltivata dell'intero gruppo, che è spesso ancora commercializzata sotto il sinonimo Brodiaea laxa, tanto che per molti è la Brodiaea per antonomasia anche se da tempo non appartiene più a questo genere. Non di rado sono commercializzate come Brodiaea anche le specie e gli ibridi di Dichelostemma. Themis non esiste più e T. ixioides, dopo essersi chiamata tra l'altro Brodiaea ixioides, è ora Triteleia ixioides. Brodiaea è presente lungo la costa pacifica dell'America settentrionale dal British Columbia alla Baja California, con centro di diversità nella California settentrionale. Alcune specie endemiche della California si sono adattate a suoli con particolare composizione chimica, hanno limitata diffusione e sono a rischio di estinzione. Diverse sono coltivate come piante da giardino, apprezzate sia per il raro colore azzurro delle corolle sia perché prolungano la stagione di fioritura delle bulbose primaverili; infatti, più che in primavera tendono a fiorire all'inizio dell'estate. In primavera dal cormo emergono da una a sei foglie lineari. Solitamente ogni cormo produce un singolo scapo fiorale privo di foglie che porta alla sommità un'infiorescenza a ombrella, composta di fiori a stella con sei tepali azzurri o viola, congiunti alla base a formare un tubo con sei lobi liberi alla gola, i tre esterni più stretti dei tre interni. La maggior parte delle specie presenta tre stami fertili e tre staminoidi simili a piccoli petali, ciascuno opposto a uno dei tepali esterni. E' questa la caratteristica più distintiva del genere, che lo distingue tra l'altro da Triteleia che invece possiede sei stami fertili. Da Dichelostemma invece si distingue per lo scapo diritto anziché ricurvo e per l'ombrella aperta anziché densa e compatta. Le specie più frequentemente coltivate sono Brodiaea californica, la più grande, con corolle a calice stellato in colori che variano dal bianco al lavanda e occasionalmente al rosa; B. coronaria (sin. B. grandiflora), con corolle a campana dai petali ricurvi, da blu a viola a rosa porpora; B. elegans, con tepali blu-violetto che contrastano con gli staminoidi bianchi. Altre informazioni nella scheda. Nella prima metà dell'Ottocento, il numero di piante esotiche coltivate in Europa cresce esponenzialmente. Orti botanici, grandi vivai, istituzioni scientifiche sono in prima fila per inviare alla loro ricerca cacciatori di piante; ma ci sono anche raccoglitori indipendenti desiderosi di piazzare le loro scoperte (siano semi o esemplari d'erbario) ad un prezzo accettabile. A mettere in contatto raccoglitori e potenziali acquirenti - siano essi privati o istituzioni - e a mediare tra le loro esigenze si inserisce una nuova figura professionale: l'agente botanico. A rappresentarla nel modo migliore, stando alle testimonianze, dovette essere l'eccellente John Hunneman, dedicatario del genere Hunnemannia. Come un libraio inventò un nuovo mestiere Nel 1827, una settimana prima di Natale, Johann Heinrich Friedrich Link, direttore dell'orto botanico di Berlino, scrive al suo omologo di Kew, William Jackson Hooker, per informarlo che, avendo saputo che era alla ricerca di semi di Nelumbo speciosum [oggi N. nucifera, il loto], ha raccolto per lui tutti quelli disponibili e glieli ha inviati, insieme a semi di Euryale ferox e alcuni altri che coltiva nel suo giardino, tramite Mr John Hunneman, 9 Queen Street, Soho Square, Londra. La cortese lettera di Link, oggi conservata nell'archivio dei Kew Gardens, è solo una delle numerose testimonianze della preziosa attività di mediazione svolta dal libraio e agente botanico John Hunneman (ca. 1760-1839) . Anche se oggi non conosciamo molto della sua vita personale, il nome di Hunneman (scritto anche Hunnemann e talvolta Hunneyman) era ben noto negli ambienti botanici della prima metà dell'Ottocento, e ricorre frequentemente nella corrispondenza e nelle riviste dell'epoca. Anche se era presumibilmente nato a Londra, come si può dedurre dal cognome era di origine tedesca, forse parente del pittore Christopher William Hunneman, che negli ultimi anni del Settecento viveva a Soho Square dove, come si legge nella lettera di Link, si trovava anche la libreria di John Hunneman. Il negozio era specializzato in testi di botanica, soprattutto importati dal continente, ma Hunneman aveva anche clienti all'estero cui procurava libri e riviste inglesi. Era particolarmente abile a trovare per gli uni e gli altri testi rari. In tal modo egli venne a trovarsi al centro di una rete di scambi tra botanici britannici e continentali; godeva di fama di grande affidabilità e a un certo punto oltre ai libri incominciò a trattare stampe botaniche, esemplari d'erbario e parcelle di piante vive. Almeno dal 1816 organizzò diversi ingenti trasporti di piante - in gran parte provenienti dai vivai Loddiges o in subordine da vivai tedeschi - per il parco e le serre di Eisenstadt come "agente botanico e orticolo" del principe Esterházy. Dai documenti conservati nell'archivio del genero William Pamplin, che fu suo stretto collaboratore e alla sua morte ne proseguì l'attività, a partire dal 1817 risultano pagamenti da parte di Christoff Friedrich Otto, ispettore dell'orto botanico di Berlino, per invii di piante e semi provenienti da vari vivai inglesi. Ma almeno dagli anni '20 il ruolo più tipico di Hunneman fu quello di "agente botanico" che metteva i raccoglitori di piante indipendenti in contatto con i possibili acquirenti, curandosi degli invii e dei trasporti e del rispetto dei contratti e dei pagamenti. Come tale figura in un'inserzione pubblicata nel 1829 su The Gardener's magazine in cui si comunica che un certo Mr. Fanning "proprietario dell'orto botanico di Caracas" ha portato con sé varie piante "molte delle quali nuove per questo paese"; entro poche settimane sarebbe rientrato a Caracas, ma "nel frattempo, sarebbe stato felice di entrare in corrispondenza con i naturalisti interessati. Il suo agente è Mr. Hunneman di Queen Street, Soho". Sappiamo che almeno alcuni di quegli esemplari furono acquistati da Lambert, nel cui erbario si trovano ancora. Tra i botanici-raccoglitori, il suo cliente più celebre è senza dubbio Nathaniel Wallich, che, tra la fine degli anni '20 e gli anni '30, grazie alla sua mediazione riuscì a vendere esemplari d'erbario agli orti botanici di Berlino, Liverpool, Londra ed Edimburgo, nonché a collezionisti privati. Probabilmente era entrato in contatto con lui attraverso William Jackson Hooker, quando questi era ancora professore a Glasgow. Infatti in The American journal of science and arts del 1820 leggiamo l'annuncio della prossima pubblicazione di due volumi in folio dedicati alle felci dell'India orientale, curati da Hooker e basati su raccolte di Wallich e Wight; a ricevere le sottoscrizioni dall'estero sarà "John Hunneman, Esq., No. 9 Queen street, London". Il volume non uscì mai e non sappiamo se Hunneman era stato coinvolto anche come potenziale editore; come tale figura invece nel frontespizio del secondo e del terzo volume di The genera and species of orchidaceous plants di John Lindley. Insomma, seppe rendersi indispensabile in vari modi ai botanici al di qua e al di là della Manica, come è evidente dal necrologio pubblicato dopo la sua morte nel 1839 sulla rivista della Botanical society: "Dobbiamo lamentare [...] la morte del nostro eccellente socio Mr John Hunneman. Non potrebbe esistere persona che più volentieri si prendesse ogni genere e grado di disturbo per compiacere i suoi amici e per stabilire utili scambi tra i botanici europei; [...] la sua perdita sarà un grave ostacolo alla libera comunicazione che da molti anni esiste tra loro. Era conosciuto da tutti, amato da tutti, e quella reciprocità di gentilezza che aveva il diritto di aspettarsi la rivolgeva spontaneamente a ogni botanico che desiderava introdurre nella confraternita scientifica che aveva fondato e che desiderava allargare". Papaveri d'oro dal Messico La medesima stima, riconoscenza ed ammirazione era stata espressa qualche anno prima (1828) da Robert Sweet nel terzo volume di The British flower garden nel dedicare al libraio e agente botanico il genere Hunnemannia: "Lo abbiamo nominato in onore del nostro amico Mr John Hunnemann, il quale, attraverso i suoi numerosi corrispondenti in vari paesi, è stato strumentale all'introduzione nelle nostre collezioni di un numero di piante maggiore di ogni altro individuo, tanto che siamo un po' sorpresi che nessun genere gli sia stato dedicato in precedenza". Per creare il nuovo genere, Sweet si basò su una pianta di cui aveva ricevuto i semi da Robert Barclay, un ricco birraio e proprietario di un raffinato giardino, il quale a sua volta li aveva ricevuti dal Messico. Si tratta di Hunnemannia fumariifolia, una della due specie di questo genere della famiglia Papaveraceae; a lungo è stata l'unica nota. Affine a Eschscholzia, è un papavero piuttosto alto con grandi fiori dorati a coppa e foglie glauche finemente divise, endemico degli altipiani del Messico (deserto di Chihuahua e Sierra madre orientale) tra 1500 e 2000 metri di altitudine. Relativamente rustico, è una perenne di breve vita solitamente coltivata come annuale. La seconda specie, Hunnemannia hintoniorum, fu scoperta e pubblicata solo nel 1992. Endemica del Nuevo León, differisce dalla precedente perché più bassa, scaposa, con fusti non ramificati e foglie più strette e limitate alla rosetta basale. Fu Marcello Malpighi a notare ed osservare per primo al microscopio i minuscoli pori (o stomata) che punteggiano la pagina inferiore delle foglie. Ma a capire quale ne fosse la funzione fu Stephan Hales, che si considerava un modesto parroco di campagna, ma fu anche un grande scienziato sperimentale che si era formato a Cambridge nello spirito di Newton. Convinto seguace della sua impostazione meccanicista, andò alla ricerca delle forze sottostanti alcune funzioni vitali delle piante e degli animali, applicando a quelle che chiamò "statica dei vegetali" e "emostatica" il metodo sperimentale, ovvero osservando, paragonando, misurando. I suoi risultati maggiori sono, nel campo della fisiologia vegetale, di cui è considerato uno dei fondatori, la scoperta della traspirazione delle piante e la prima misurazione della pressione della linfa, nel campo della fisiologia animale la prima misurazione della pressione del sangue. Fu anche un ingegnosissimo inventore, che inventò molti dei suoi strumenti di laboratorio, inclusa la vaschetta pneumatica, ma anche molti oggetti di utilità pratica, tra cui un ventilatore che poteva essere azionato a mano o collegato a una pompa idraulica, per rendere meno malsana l'aria viziata di ambienti chiusi come le navi e le prigioni. Era infatti anche un filantropo, preoccupato del benessere dei suoi simili, che cercava anche di convincere ad abbandonare l'alcool. John Ellis, come lui membro della Royal Society, convinse Linneo a dedicargli il bellissimo genere Halesia dalle campanelle bianco-argento. Il parroco che fece parlare le piante Il grande botanico e storico della botanica Julius von Sachs ha scritto di Stephen Hales (1677-1761), "Si può dire che abbia fatto parlare le piante stesse; per mezzo di esperimenti concepiti con intelligenza e condotti con abilità, le ha costrette a rivelare le forze che operano in esse attraverso effetti percepibili alla vista e a mostrare che forze di tipo veramente particolare sono in costante attività negli organi della vegetazione, apparentemente quieti e passivi". E' un'immagine assai suggestiva che rivela tutta l'ammirazione di Sachs, lui stesso considerato il padre della fisiologia botanica sperimentale, per l'ingegno dell'uomo che mosse i primi passi in questo ramo della botanica. Stephan Hales non era uno scienziato di professione. Era un pastore anglicano che per circa mezzo secolo resse (a quanto pare con competenza e dedizione al suo gregge) la parrocchia di Teddington nel Middlesex, non troppo distante da Richmond e oggi parte della Grande Londra. Ma negli anni di formazione a Cambridge, dove divenne fellow del Corpus Christi College, si era innamorato delle scienze sperimentali e ne aveva appreso i metodi e gli strumenti. Agli studi di teologia necessari per essere ordinato sacerdote, insieme all'amico William Stuckley, che poi sarebbe diventato medico e uno dei fondatori dell'archeologia britannica, alternava l'osservazione degli astri usando il telescopio installato da Newton in persona sulla Great Gate, gli esperimenti di ottica e le dissezioni di animali. Soprattutto imparava ad osservare, a tradurre le osservazioni in dati misurabili e ad annotare i risultati con scrupolo, secondo il metodo di Newton, il vero genius loci della Cambridge di quegli anni. Così, nel 1708, quando fu nominato parroco di Teddington (vi sarebbe rimasto fino alla morte nel 1761) creò un proprio laboratorio dove poter continuare i suoi esperimenti, per condurre i quali, uomo pratico e assai ingegnoso, creò egli stesso molti dei suoi strumenti. Si interessava di molti rami delle scienze, ma tre sono i campi in cui ottenne i risultati più rilevanti: la fisiologia vegetale, la misurazione dei gas, la fisiologia animale. Mentre a Cambridge si era concentrato maggiormente su quest'ultima insieme a Stuckely, a Teddington si rivolse alle piante, quelle più comuni e disponibili nell'orto parrocchiale (girasoli, cavoli, zucche, luppolo), nel frutteto (viti, meli, peschi, pruni, fichi, cotogni, ciliegi), nei boschi dei dintorni (querce, olmi, frassini), con l'apporto occasionale di qualche esotica: un limone e Musa arbor, ovvero un platano (Musa acuminata) delle Indie occidentali. Non gli erano estranee preoccupazioni pratiche sull'influsso di temperatura, suolo, umidità, aria e luce sulla crescita e il vigore dei vegetali , ma soprattutto era mosso dalla volontà di comprendere le leggi meccanico-fisiche sottostanti, secondo la concezione matematica e meccanicistica appresa da Newton. Per farlo, non bastava osservare: occorreva tradurre le osservazioni in dati numerici, misurabili e paragonabili. Ecco allora Hales misurare la temperatura non solo in diverse stagioni dell'anno a diverse ore della giornata, ma costruire speciali termometri con tubo lungo da 45 a 120 cm e bulbo posto alla base, per confrontare la temperatura dell'aria con quella del suolo rilevata in cinque diverse profondità. Allo stesso modo pesò e misurò la quantità di umidità contenuta nel suolo in diverse condizioni. Fu il primo passo per studiare il meccanismo oggi noto come traspirazione delle piante. Malpighi era stato il primo ad osservare al microscopio e a descrivere i pori (stomata) presenti sulla pagina inferiore delle foglie, ma non ne conosceva la funzione. Hales fu il primo a comprendere che attraverso di essi le piante rilasciano acqua nell'atmosfera; per sostituirla, altra acqua risale dalle radici attraverso i vasi legnosi, spinta da una pressione ("la forza della linfa") che il parroco misurò attraverso ingegnosi esperimenti, così come misurò e collegò con la traspirazione l'estensione della superficie delle foglie e il volume delle radici, anch'essi misurati in modi allo stesso tempo semplici e ingegnosi. Ripeté esperimenti e misurazioni su piante diverse, scoprendo che la quantità della traspirazione varia con la temperatura e l'esposizione nonché da una specie all'altra; ad esempio le piante sempreverdi, o anche le bulbose primaverili, hanno una linfa più vischiosa e una traspirazione minore. Comprese inoltre che il flusso avviene in una sola direzione (dalle radici alle foglie), quindi non si può parlare per le piante di un vero sistema circolatorio come quello degli animali. Ma le piante scambiano con l'ambiente non solo acqua, ma anche gas. Per misurarne la quantità, Hales inventò un altro strumento, la vaschetta pneumatica. Gli esperimenti gli resero chiaro che le piante traggono nutrimento non solo dalla terra, per mezzo dalle radici, ma anche dall'aria, sotto forma di gas, e che nel meccanismo ha qualche ruolo anche la luce: "E forse anche la luce, entrando liberamente nelle superfici espanse delle foglie e dei fiori, contribuisce molto a nobilitare i principi dei vegetali". E' una delle prime intuizioni della fotosintesi clorofilliana. Accanto alla fisiologia vegetale, Hales sviluppò così un interesse più generale per i gas, con esperimenti di tipo quantitativo - non vertono sul tipo di gas rilasciato, ma sulla sua quantità - sui gas sviluppati nelle fermentazioni e nelle combustioni, che la sua ingegnosa vaschetta pneumatica rendeva possibile catturare, misurare e studiare. Era uno strumento rivoluzionario, che presto divenne indispensabile in ogni laboratorio, aprendo la strada alla scoperta dell'idrogeno da parte di Cavendish e alle successive scoperte di Lavoisier. Hales espose i risultati delle sue ricerche sulla fisiologia vegetale e sui gas nella sua prima pubblicazione, Vegetable Statikcs, uscita nel 1727 e anticipata da letture tenute alla Royal Society, di cui era membro fin dal 1718. Nel 1733 la ripubblicò come prima parte di Statical Essays, la cui seconda parte è costituita da Haemastaticks, dedicata alla fisiologia animale, in cui espose diversi esperimenti sulla respirazione e la circolazione. A dargli maggior fama fu la prima misurazione della pressione del sangue, realizzata su diversi animali inserendo sottili tubi nelle arterie e misurando l'altezza raggiunta dal sangue nelle fasi di diastole e sistole. I suoi esperimenti su animali vivi, cruenti e talvolta letali, non mancarono di suscitare le critiche di alcuni dei suoi contemporanei, tra cui il poeta Alexander Pope, che pure era uno dei suoi amici e considerava Hales il modello dell'uomo di Dio. Egli in effetti era impegnato in prima persona in molte cause filantropiche. Nel 1722 divenne membro corrispondente della Società per la promozione della conoscenza cristiana e dall'anno seguente consigliere, occupandosi soprattutto della creazione di biblioteche nelle colonie americane. Dopo che due dei suoi fratelli finirono in carcere per debiti, si impegnò anche in attività a favore dei "debitori onesti e industriosi". Nel 1732 fu nominato membro del consiglio di fondazione della nuova colonia della Georgia; presa così coscienza dei problemi dati dal sovraffollamento delle navi, inventò uno speciale ventilatore a campana per aerare gli ambienti malsani e sovraffollati, nonché un distillatore per trarre acqua dolce dall'acqua di mare. Fu anche uno dei membri fondatori della Società per l'incoraggiamento di arti, manifatture e commercio (più tardi Royal Society of Arts). Soprattutto si impegnò molto attivamente contro il consumo degli alcoolici, un grave problema sociale nell'Inghilterra del Settecento, pubblicando molti articoli anonimi, il più notevole dei quali è intitolato '"Friendly Admonition to the Drinker of Brandy and other Distilled Spirituous Liquors" (Un'ammonizione amichevole al bevitore di brandy e altri distillati alcoolici). Definiva il gin la "rovina della nazione" e avrebbe voluto che ne fossero bandite la produzione e la vendita; dovette accontentarsi del Gin Act del 1736 con il quale il parlamento impose un'imposta al dettaglio e licenze annuali per i venditori di gin. Ampiamente disattesa, la legge fu per altro abolita già nel 1743. Halesia, ovvero campanelle d'argento Grazie a queste battaglie e ai suoi risultati scientifici, Hales era comunque una figura molto riconosciuta. Come si è già visto, era membro della Royal Society, che nel 1737 gli assegnò la prestigiosa Copley Medal per le sue ricerche; era inoltre socio corrispondente delle Accademie delle scienze di Parigi e Bologna. Si dice che il principe di Galles Frederick, incuriosito dalla sua fama, amasse fargli visita a sorpresa nel suo laboratorio. Rimasta vedova, la principessa Augusta scelse Hales come proprio confessore e cappellano del figlio maggiore (il futuro Giorgio III) e lo consultò per i suoi progetti a Kew. Dopo la sua morte, anche se egli aveva voluto essere sepolto nella chiesa di Teddington, lo onorò con un monumento nell'abbazia di Westminster. Di questi riconoscimenti da parte di contemporanei fa parte anche la dedica del genere Halesia, fortemente voluta da John Ellis, che la suggerì a Linneo. La pianta che oggi si chiama Halesia carolina era già stata disegnata e descritta da Catesby come Frutex padi foliis non serratis, floribus monopetalis albis, campaniformibus (Arbusto con foglie simili al pado, non seghettate, con fiori monopetali bianchi campaniformi), ma non aveva ancora un nome; tanto meno era mai stata coltivata in Europa, finché nel 1756 il dottor Garden (l'amico di Ellis cui impose a Linneo la dedica di Gardenia) ne inviò ad Ellis una descrizione e molti semi, che egli provvide a distribuire tra giardinieri e appassionati. L'abilissimo giardiniere Gordon la coltivò con successo, dimostrando anche la sua adattabilità al clima inglese. Due anni dopo Henry Ellis, secondo governatore della Georgia (omonimo, ma a quanto pare non parente) gli spedì una seconda specie, caratterizzata da frutti con due ali anziché quattro (Linneo la chiamò infatti Halesia diptera "con due ali). John Ellis nel 1760 le pubblicò entrambe nelle Transactions della Royal Society; era però stato anticipato da Linneo che, su suo suggerimento, nel 1759 aveva creato il genere Halesia nella decima edizione di Systema naturae. Linneo non spiega in alcun modo la motivazione del nome, mentre Ellis si limita a scrivere "mi sono preso la libertà di darle il nome del nostro caro amico il dr. Stephen Hales di Teddington", ma certo la rinomanza in patria e all'estero del pastore-scienziato era una ragione sufficiente. Del resto, Ellis non era stato il primo a onorare Hales con una dedica vegetale: prima di lui, per tutt'altre piante, ci avevano pensato Patrick Browne nel 1756 e Loefling nel suo Iter hispanicum, pubblicato postumo da Linneo nel 1758. Ma poiché queste pubblicazioni precedenti ebbero scarsa circolazione, nonostante la legge della priorità, il nome da conservare (nomen conservandum) è quello di Ellis-Linneo. Halesia Ellis ex L. è un piccolo genere di arbusti della famiglia Sterculiaceae. Il numero di specie e la distribuzione geografica hanno fatto discutere; fino a qualche anno fa, comprendeva anche una specie cinese, H. macgregorii, che tuttavia nel 2016 è stata trasferita in un genere a sé, Perkinsiodendron come P. macgregorii. Sono così rimaste nel genere Halesia solo le specie americane, tutte endemiche degli Stati Uniti sud-orientali, il cui numero varia però da una fonte all'altra. Flora of the Southeastern United States, il sito curato dall'orto botanico del North Carolina, che presenta anche chiare chiavi dicotomiche, le attribuisce tre specie: H. carolina, H. diptera e H. tetraptera; invece Plants of the World on line le riduce a due, H. carolina e H. diptera, mentre considera H. tetraptera sinonimo di H. carolina. Altri autori aggiungono come specie indipendente H. monticola, in genere classificata come sottospecie o varietà di H. carolina o H. tetraptera. Lasciando da parte queste discussioni tassonomiche, a mettere d'accordo tutti è la bellezza di queste piante: questi grandi arbusti, o addirittura piccoli alberi, hanno dalla loro la bellezza della corteccia che si sfalda, le foglie che d'autunno si tingono d'oro, gli interessanti frutti alati, ma soprattutto danno spettacolo al momento della fioritura quando i loro rami si ricoprono di campanelle bianco-argento (quelle che hanno loro guadagnato il nome inglese silverbells, campanelle d'argento); sono rustiche ed amano i climi freschi e umidi. All'inizio della botanica inglese c'è - e non poteva essere diverso - un plantsman, un uomo di piante. Non un botanico accademico, ma un barbiere-chirurgo che era forse soprattutto un giardiniere. Era anche un collezionista che nel suo giardino di Holborn coltivava piante esotiche, che fu tra i primi a far conoscere: tra di esse, la patata e la bella di notte Mirabilis jalapa. Nella storia della botanica, è celebre soprattutto come autore di The Herball, or General Historie of Plants che rimase il testo di riferimento in Inghilterra per tutto il Seicento (e oltre), ma gli attirò anche accuse di plagio che ne hanno screditato la figura agli occhi dei posteri. Nonostante queste polemiche, Plumier e Linneo vollero ricordarlo con il genere Gerardia, oggi non più accettato, come non lo sono la maggior parte dei piccoli generi, che, modificando un poco il nome linneano, vennero creati da altri botanici; a ricordare in modo indiretto Gerard rimangono solo due piccoli generi di Orobanchaceae africane, Gerardiina e Graderia (anagramma di Gerardia). Il primo catalogo di un giardino John Gerard (1545-1612) divide con William Turner l'onore di essere uno dei padri fondatori della botanica inglese. Ma mentre Turner era un medico con una formazione accademica e aveva persino studiato in Italia, dove era stato allievo di Ghini, Gerard è un tipico plantsman, un uomo di piante, una persona che ha imparato a conoscere (e ad amare) le piante coltivandole con le sue mani. Era un barbiere-chirurgo, una formazione professionale che non si acquisiva frequentando un corso universitario, ma con l'apprendistato in bottega; ma poi per molti anni fu un giardiniere, e forse anche un vivaista e un progettista di giardini. In tal modo riunì in sé le due figure che, in un'Inghilterra dove ancora non esistevano né cattedre universitarie di botanica né orti botanici, si dividevano l'interesse per lo studio più o meno empirico delle piante: da una parte medici, chirurghi, farmacisti, dall'altra giardinieri, vivaisti, collezionisti e proprietari di giardini. La sua biografia è in molte parti oscura, come ben si conviene a un contemporaneo di Shakespeare. Ci è noto che nacque a Nantwich nel Cheshire, ma nulla sappiamo dei genitori; nell'antiporta dell'Herball, Gerard fece stampare lo stemma dei Gerard of Ince, rivendicando - a torto o ragione - origini nobili. Frequentò la scuola del vicino villaggio di Willaston e nel 1562, diciassettenne, si trasferì a Londra per iniziare l'apprendistato presso Alexander Mason, un barbiere-chirurgo di Londra che aveva un'ampia clientela e per due volte fu Maestro della Compagnia. Sette anni dopo, nel 1569, come d'uso, fu ammesso alla Compagnia e poté praticare la professione. Poi abbiamo un buco di otto anni, che forse riempì viaggiando come chirurgo di bordo sulle navi della Company of Merchant Adventurers di Londra che commerciavano sulle rotte del Baltico. Nei suoi scritti vanta infatti di aver viaggiato e fa riferimento a Scandinavia, Polonia, Estonia e Russia. Entro il 1577 fu assunto come sovrintendente dei giardini di William Cecil, primo lord Burghley; dunque nel frattempo in qualche modo si era qualificato come herbarist, ovvero esperto di piante e giardini (da non confondere con herbalist, erborista ed esperto di piante medicinali, anche se una cosa non esclude l'altra). Lord Burghley, custode del sigillo reale, due volte segretario di stato, gran tesoriere, era niente meno che l'uomo politico più vicino alla regina Elisabetta, quindi il più potente del regno; patrono delle arti, era interessato all'orticultura e i suoi giardini, che considerava la più grande delle sue felicità, erano ricchi di piante rare e dettavano la moda. Lavorare per lui - Gerard fu al suo servizio per un ventennio, fin quasi alla morte del ministro - oltre a dargli grande reputazione professionale, permise al nostro chirurgo-giardiniere di entrare in contatto con personaggi di primo piano come Lancelot Browne, il medico personale della regina, e George Baker, Maestro della compagnia dei barbieri chirurghi, che poi firmeranno due delle lettere prefatorie dell'Herball. Era a tutti gli effetti un membro riconosciuto del circolo di appassionati che ricercavano e scambiavano piante rare. Tra i suoi contatti troviamo "colleghi" come Master Huggens, curatore del giardino di Hampton Court, Master Fowles, curatore del giardino reale di Saint James e abile coltivatore di meloni zuccherini, il botanico fiammingo Mathias de L'Obel, curatore del giardino di lord Zouche, e i farmacisti James Garrett, Hugh Morgan e Richard Garth, proprietari di ben giardini nella City. Garth, che importava piante dal Sud America, era amico di Clusius, e forse lo presentò a Gerard (il botanico visitò Londra tre volte tra il 1571 e il 1581). Curare i giardini dell'uomo politico più influente d'Inghilterra, che fu anche segretario di stato, ovvero ministro degli esteri, garantì a Gerard un accesso privilegiato alle piante esotiche che giungevano nel paese grazie a mercanti, diplomatici ed avventurieri. Ad esempio, nell'Herball, a proposito di Lillie of Constantinople (variamente identificato come Lilium martagon o L. chalcedonicum) scrive "fu inviato al mio onorevole e buon signore il lord Tesoriere d'Inghilterra, insieme a molti altri bulbi e fiori rari e delicati da Master Harbran, ambasciatore a Costantinopoli". Anche se scritto in modo scorretto, identifichiamo nel personaggio William Harborne, mercante e diplomatico, che rappresentò Elisabetta presso la corte ottomana dal 1582 al 1588. Lord Burghley possedeva due giardini: quello della residenza ufficiale londinese, nello Strand, e quello della tenuta di campagna, a Theobalds nello Hertfordshire. Di quello londinese conosciamo la pianta: si trovava a nord della casa e delle sue dipendenze e comprendeva un labirinto a spirale, un parterre con quattro quadranti e un vasto frutteto. Di quello di Theobalds ci è giunta invece solo una descrizione molto più tarda, addirittura di fine Settecento, quando aveva già subito molte trasformazioni, soprattutto dopo che era diventato di proprietà reale e Giacomo I ne aveva fatto la sua residenza; sappiamo che era molto vasto, comprendeva un lago con isolotti, labirinti, canali e nove giardini a nodi, almeno qualcuno dei quali potrebbe risalire all'epoca di lord Burghley e Gerard. Il ministro teneva molto alla tenuta di campagna, che doveva rappresentare anche visivamente la potenza e la gloria d'Inghilterra ed essere degna di ospitare la regina, che in effetti la visitò otto volte tra il 1572 e il 1592. Per il palazzo e gli appartamenti egli si affidò ai migliori artigiani e per il giardino appunto a Gerard, che disegnò il giardino formale in stile francese, a quanto pare ispirandosi ai giardini di Fontainebleau (non come li vediamo oggi, ma quelli rinascimentali della corte di Francesco I e Caterina de' Medici); ci saranno stati dunque almeno una fontana, giochi d'acqua, uno stagno, parterre a nodi. Con un protettore così influente, la fortuna di Gerard era fatta. Grazie a un'ampia rete di contatti e alla generosità del suo signore, che non di rado gli donò le piante rare che egli coltivava per lui, John Gerard creò anche un proprio giardino, situato a Fetter Lane nel quartiere di Holborn, alla periferia occidentale di Londra (anche questo terreno e il cottage annesso dovevano essere di proprietà del generiso lord Burghley). Ricchissimo di piante rare, quello di Holborn era anche un giardino sperimentale, dove Gerard tentava - a volte con successo, a volte meno - la coltivazione di specie esotiche. Ed è come esperto di esotiche che nel 1586 il Collegio dei medici di Londra gli affidò la gestione del proprio giardino, all'epoca situato a Knightrider Street,a sud della cattedrale di St Paul. Negli annali della Compagnia si legge: "John Gerard, chirurgo, ha promesso che si prenderà cura del giardino della Compagnia, e consente di rifornirlo con tutte le piante più rare a un prezzo ragionevole". Quali fossero queste "piante più rare" non sappiamo, ma sicuramente egli avrà attinto al giardino-vivaio di Holborn, che invece ci è noto grazie al catalogo che Gerard pubblicò nel 1596. Si tratta niente meno del primo catalogo di un giardino giunto fino a noi: gli unici precedenti sono De hortis Germaniae di Conrad Gessner (1561) che, anche se contiene un elenco di piante consigliate, non è il catalogo di un giardino, ma una rassegna di giardini; e Hortus Lusatiae di Johannes Franke (1594), che però, insieme alle specie coltivate nei giardini della Lusazia, tratta anche piante selvatiche. Preceduto da una dedica "Agli eccellenti e diligenti indagatori delle piante", e intitolato semplicemente "Catalogus horti Johannis Gerardi londinensis", l'opuscolo di 24 pagine elenca in ordine alfabetico, da Abies e Zyziphus, circa ottocento specie, indicate con il nome latino; solo la voce Iucca è corredata da un breve testo sull'origine e le caratteristiche della piante. A concludere la lista, una dichiarazione di Mathieu de L'Obel: "Attesto che le erbe, le stirpi, gli arbusti, i suffrutici, gli alberetti recensiti in questo catalogo, in gran parte anzi quasi tutti li ho visti a Londra nel giardino di John Gerard, chirurgo e botanico più che ottimo (infatti non germogliano, spuntano e fioriscono tutti nello stessa stagione, ma in vari tempi dell'anno). 1 giugno 1596". Era un'opera alla buona, pensata per gli amici (che saranno stati anche clienti, se quello di Gerard era anche un vivaio), piena di refusi. Nel 1599, quando Gerard aveva già pubblicato l'Herball e la sua fama aveva travalicato i confini dei circoli di appassionati, ne pubblicò una seconda edizione ampliata e corretta, con il più pomposo titolo Catalogus arborum fruticum ac plantarum tam indigenarum quam exoticarum, in horto Ioannis Gerardi civis et Chirurgi Londinensis nascentium e la dedica a sir Walther Raleigh. In una copia, presumibilmente passata per le mani di L'Obel, la dichiarazione finale è cancellata da un rabbioso tratto di penna, ed è seguita dalla nota manoscritta "Questo è falsissimo. Mathias de l'Obel". Entrambe le edizioni, di cui ci sono giunte pochissime copie, sono state ripubblicate nel 1876 dal botanico Benjamin Daydon Jackson, precedute da una biografia di Gerard (basata su ricerche accurate e ancora largamente valida); i nomi latini di Gerard sono accompagnati da quelli volgari tratti dall'Herball e dai nomi botanici in uso a fine Ottocento e talvolta da brevi note e citazioni tratte sempre dall'Herball. In questo modo, incrociando il laconico elenco con quanto Gerard stesso dice nell'erbario, ci premette una visita guidata nel favoloso giardino di Holburn, dove egli coltivava letteralmente di tutto, comprese piante di alto fusto. Moltissime era specie native, raccolte da Gerard nelle sue frequenti erborizzazioni, o introdotte in Inghilterra da secoli; tra di esse c'erano ovviamente le piante officinali ricercate da medici e farmacisti, piante aromatiche (pescando qua e là, troviamo molte salvie, il basilico a foglia grande e a foglia piccola, il cerfoglio, Anthriscus cerefolium, che egli dice di aver seminato una sola volta, perché successivamente si seminava da sé, e così via), molte orticole, di cui Gerard ricercava le varietà più nuove e produttive, come una barbabietola molto grande e vivacemente rossa che gli fu portata "attraverso i mari" dal cortese mercante Master Lete, o ancora rare, come la melanzana che nel suo giardino riuscì a fiorire, ma non a fruttificare per il sopraggiungere dell'inverno. Moltissimi erano gli alberi da frutto: trenta varietà di pruni, dieci di peschi, albicocchi, meli, ma anche un corniolo a frutti bianchi, gelsi bianchi e gelsi neri, un fico nano molto produttivo, un arancio e un melograno. Grande era la varietà di piante ornamentali: spiccano le numerosissime bulbose (anemoni e ranuncoli, Allium, gigli, crochi, narcisi, scille, iris, giacinti, Muscari, ornitogali e asfodeli, Fritillaria meleagris e F. imperialis, nonché tulipani "in numero e varietà di colori infiniti", nonostante fossero arrivati in Inghilterra da pochissimi anni); e poi peonie, garofani (compresa una varietà gialla "mai vista né sentita in queste contrade", portatagli dalla Polonia ancora dal servizievole Lete), varie specie di primule, sedici varietà di rose semplici e doppie, campanule e violette, e via elencando. A suscitare il massimo orgoglio di Gerard erano le novità esotiche, che era riuscito a procurarsi grazie agli amici farmacisti o a mercanti inglesi che operavano all'estero, come il già citato Nicholas Lete (membro della Compagna della Turchia, importava piante dal Mediterraneo orientale ed è citato anche da Parkinson come "ricco mercante e amante di tutti i bei fiori") e John Franqueville (che, sempre secondo Parkinson, possedeva il negozio di fiori "più grande che ora fiorisce in questo paese"); come abbiamo già visto, diverse specie gli furono donate dal suo signore lord Burgley; altre gli arrivarono da un altro gentiluomo appassionato di piante, lord Zouche, che nella sua tenuta di Hackney possedeva un giardino che univa le funzioni di giardino di piacere e di physic garden e, come abbiamo già visto, era presieduto da da Mathias de L'Obel. Più volte è citato anche "il mio caro amico Robin", ovvero il giardiniere del re di Francia Jean Robin, che gli inviò tra l'altro semi di Periploca graeca, Epimedium alpinum, Fritillaria meleagris, Geranium lucidum. Corrispondeva anche con l'ormai anziano Camerarius, citato per l'invio di Poterium spinosum, che prosperò per due anni e poi morì "per qualche accidente". Per i giardini inglesi d'epoca elisabettiana, il Mediterraneo era ancora un giacimento di inesplorate ricchezze floricole. Per procurarsene il maggior numero possibile, Gerard spedì in Grecia il domestico William Marshall, che a Lepanto raccolse per lui un ramo di Platanus orientalis con tanto di frutti; a Zante invece trapiantò in grandi vasi diverse piante di fico d'India, che arrivarono sane, salve e verdeggianti a Londra, dove Gerard dispiegò grandi sforzi e grande denaro "per proteggerle dalle ingiurie del nostro freddo clima" e riuscì infine a fare fiorire. Introdotta in Europa dagli Spagnoli dal Messico nei primissimi tempi della conquista, evidentemente Opuntia ficus-indica in mezzo secolo aveva già fatto in tempo a naturalizzarsi sulle coste mediterranee. E lo stesso avevano fatto i Tagetes, che Gerard crede originari della Tunisia e portati in Europa all'epoca della presa di Tunisi da parte di Carlo V. Non sono le sole americane: a Holborn Gerard coltivava "pomi d'amore" (ovvero pomodori) a frutti rossi e gialli, e due tipi di patate: la patata comune o spagnola, ovvero la batata Ipomoea batatas, e la patata bastarda, ovvero quella che per noi è la vera patata, Solanum tuberosum, che sembra sia stato il primo a coltivare in Inghilterra. Erano novità anche il "grande fiore del sole" ovvero il girasole Helianthus annuus e la "meraviglia del Perù", ovvero Mirabilis jalapa, che all'epoca creava sensazione con i suoi fiori di diverso colore sulla stessa pianta; Gerard possedeva anche due pianticelle del nordamericano Liquidambar styraciflua, forse uno delle prime settembrine (Symphyotrichum novi-belgii), non si fece mancare i tabacchi Nicotiana rustica e Nicotiana tabacum, e tentò di coltivare il "cero del Perù" Cereus peruvianus che gli fu portato "dalle coste della Barbaria", ma soccombette ai primi freddi. Nel 1593 ricevette una pianta che gli fu indicata erroneamente come cassava e come tale l'avrebbe pubblicata nell'Herball; si trattava invece di Yucca gloriosa. Un best seller che ha fatto discutere Negli ultimi anni del secolo, Gerard (per altro ignoriamo se, tra tanti impegni, praticasse ancora l'attività di chirurgo) fece carriera nella corporazione dei barbieri e chirurghi. Nel 1595 entrò a far parte della Court of Assistants, ovvero del comitato direttivo, nel 1597 fu nominato Custode minore (Junior Warden), nel 1598 entrò a far parte del collegio che esaminava i candidati all'ammissione alla professione ed infine nel 1607 completò l'ascesa come Maestro della Compagnia. Il suo contributo maggiore alla corporazione fu probabilmente la proposta di istituire un Physic Garden, ovvero un giardino dove gli apprendisti potessero studiare le erbe medicinali; nel 1596 gli fu anche commissionato di "cercare un posto migliore per un frutteto di quello di East Smithfields o Fetter Lane". Ignoriamo se però il giardino venne effettivamente creato. Sappiamo invece che nel 1604 la regina Anne (consorte di Giacomo I) concesse a Gerard, citato come chirurgo e erborista del re, l'affitto di un terreno a giardino adiacente Somerset House, a condizione che lo rifornisse di erbe, fiori e frutti. In quegli anni era ormai famoso come autore di The Herball, or Generall historie of plantes, che per oltre un secolo sarebbe stata l'opera di riferimento in Inghilterra. L'idea della pubblicazione non risaliva a lui, ma all'editore John Norton che nel 1596 commissionò al medico Robert Priest una nuova traduzione di Stirpium historiae pemptades sex di Dodoens, che a sua volta era la versione latina del suo Cruydeboeck che nel 1578 era già stato tradotto da Henry Lyte sotto il titolo A Niewe Herball. Vedendo il successo di quest'ultimo, Norton pensava ci fosse un mercato per una nuova traduzione accompagnata da illustrazioni di qualità, e si era accordato con l'editore Nicholaus Bassaeus per affittare le matrici xilografiche di Eicones plantantum di Tabernaemontanus, uscito a Francoforte nel 1590. Tuttavia, prima di completare il lavoro Priest morì e l'editore chiese a Gerard di completare l'opera. Egli dovette lavorare abbastanza in fretta; uno dei suoi biografi, R. H. Jeffers, suggerisce che egli lavorasse già a un proprio erbario, forse fin da quando era entrato al servizio di lord Burghley. La poderosa opera (un in foglio di 1392 pagine, più preliminari e indici, illustrato da 1292 xilografie) poté essere stampata entro il 1597, nonostante gli enormi problemi tecnici - e gli enormi costi. L'editore aveva visto giusto: benché non fosse certo per tutte le tasche, l'erbario di Gerard fu un immediato successo: fu ristampato due volte e nel 1633 ne fu predisposta una seconda edizione, affidata al farmacista Thomas Johnson. Diviso in tre sezioni o libri, ciascuno dedicato a un gruppo di piante (il primo a graminacee, giunchi, iris, bulbose; il secondo alle erbacee alimentari, medicinali e profumate; il terzo a alberi, arbusti, fruttiferi, rose, eriche, muschi, coralli e funghi), e in 167 capitoli, l'erbario tratta un migliaio di piante. Ogni capitolo ha un titolo, dato dal nome volgare della pianta (o del gruppo di piante affini) ed è suddiviso in paragrafi contraddistinti da un titoletto, secondo una struttura ricorrente: i tipi; la descrizione, eventualmente suddivisa in più paragrafi numerati, se i tipi sono più di uno; il luogo (l'habitat, l'origine, ma anche, per le piante da lui stesso coltivate, da chi l'ha ottenuta o i luoghi in cui l'ha vista), l'epoca di fioritura, i nomi (in latino, nei classici, nelle lingue volgari), la natura, secondo la teoria degli umori, le virtù (ovvero le proprietà medicinali e gli usi). Ogni capitolo è solitamente illustrato da almeno due xilografie, con il nome delle specie in latino e in inglese. Era una struttura familiare al pubblico inglese, perché era già stata adottata nel rifacimento di Lyte, ma l'opera si qualificava come del tutto nuova per i chiari caratteri di stampa, gli elaborati capilettera e l'apparato iconografico; non solo le xilografie sono molto più numerose, ma, come abbiamo visto, non derivano dall'opera di Dodoens, ma da quella di Tabernaemontanus, le cui immagini però a loro volta raramente erano originali; provenivano infatti dalle opere di Fuchs, Brunfels, Mattioli e dei botanici fiamminghi pubblicati da Plantin, ovvero lo stesso Dodoens, L'Obel e Clusius. Solo 16 sono nuove. Quanto ai testi, che attirarono a Gerard l'accusa di plagio, la questione è complicata, e per dirimerla non basta sentire una sola campana. Partiamo da quanto ne dice lo stesso Gerard. Nella prefazione egli scrive: "Il dottor Priest, uno del nostro Collegio di Londra, ha (come ho saputo) tradotto l'ultima edizione di Dodonaeus, con l'intenzione di pubblicarla; ma essendo stato preceduto dalla morte, la sua traduzione è parimenti andata perduta; infine, io stesso, uno dei minori fra tanti, ho ritenuto di portare all'attenzione del mondo il primo frutto dei miei propri lavori". Egli dunque, pur riconoscendo il precedente di Priest, non ammette di averne utilizzato la traduzione e presenta l'opera come propria e indipendente. La seconda campana è quella di Mathias de L'Obel, ed è anche quella che ha suonato più forte, imponendosi come vulgata. L'Obel era stato amicissimo di Gerard e, come abbiamo visto, testimoniò questa amicizia nella nota finale del Catalogo del giardino di Holborn, poi cassata nella seconda edizione, quando l'amicizia si trasformò in rancore. Il motivo è spiegato in un'opera postuma, Stirpium illustrationes, un'antologia di scritti basati su un manoscritto terminato da L'Obel poco prima della morte (1616) e pubblicato molti anni dopo (1655). Egli racconta che, mentre in tipografia sia stava componendo il testo di Gerard, vi capitò il farmacista Garrett che, data un'occhiata alle bozze, si accorse che erano piene di errori. Lo fece notare a Norton, che incaricò L'Obel di rivedere il testo. Il fiammingo non solo rilevò più di mille errori, ma soprattutto si accorse che molte parte erano copiate da opere sue o di Clusius. Quando Norton fece presente la cosa a Gerard, questi si giustificò dicendo che L'Obel, essendo fiammingo, non capiva bene l'inglese ed aveva equivocato. L'editore, avendo già investito molto denaro, decise di pubblicare il testo così com'era e Gerard si affrettò a completare la terza parte, che in effetti è la più breve e appare affrettata. La terza campana è quella di Thomas Johnson, il curatore dell'edizione del 1633, che aggiunse alla trattazione di Gerard altre 800 piante e 700 illustrazioni; per lo più si tratta di specie esotiche come il banano Musa × paradisiaca. Nella prefazione incluse una biografia di Gerard (non sempre esatta; ad esempio, riferisce che egli morì nel 1607 anziché nel 1612) e riassunse le vicende editoriali dell'erbario, precisando che l'iniziativa del volume venne dall'editore che affidò la traduzione delle Pemptades di Dodoens al dottor Priest, ma questi morì "subito prima o immediatamente dopo aver finito la traduzione"; a questo punto qualcuno "che conosceva sia il Dr. Priest sia Mr. Gerard" diede il manoscritto a questo ultimo. L'innominato sarà senza dubbio l'editore Norton. Si pose però un problema; dato che le xilografie erano tratte dal testo di Tabernaemontanus, e non da quello di Dodoens, furono necessari adattamenti per far collimare testo e immagini. Sempre secondo Johnson, fu questo il motivo che spinse Gerard ad abbandonare l'ordine e la classificazione di Dodoens, per adottare quella di L'Obel. Inoltre, in molti casi non riuscì ad identificare correttamente le immagini e diede loro una didascalia errata. Dunque, tanto L'Obel quanto Johnson accusano Gerard di essere un plagiario. La loro versione è senz'altro adottata da Anne Pavord che scrive "In effetti, Gerard piratò la sua [di Priest] traduzione, riordinò i materiali per adattarli alla pionieristica organizzazione di Lobelius, e poi presentò il libro come proprio" e lo definisce senza mezzi termini "un plagiario e un truffatore". Insiste poi sul fatto che non era né uno studioso né un botanico, ma un praticone, capace persino di prendere per vera la storia dell'albero delle oche o barnacle, che "spunta tra marzo e aprile; le oche si formano tra maggio e giugno e raggiungono la pienezza del piumaggio un mese dopo". Eppure riconosce che, oltre a far conoscere molte nuove piante che era riuscito a procurarsi per primo grazie ai suoi molti contatti, sapeva scrivere descrizioni vivide e, includendo indicazioni molto precise sui luoghi dove crescevamo le piante, "ha contribuito alla graduale costruzione di una mappa della flora britannica e alla comprensione della sua distribuzione". Completamente opposta la posizione di Sarah Neville, che ha intitolato un capitolo del suo Early Modern Herbals and the Book Trade "John Norton and the Redemption of John Gerard". Per Neville, bisogna fare la tara alle accuse tanto di L'Obel quanto di Johnson. Quando scrisse il suo atto d'accusa, il fiammingo era ormai un vecchio amareggiato che aveva mal digerito che, pur pieno d'errori e approssimativo, l'Herball di Gerard fosse diventato un best seller, mentre il suo dotto e innovativo Stirpia adversaria nova era riuscita a stento, in vent'anni, a vedere un migliaio di copie. Quanto a Johnson, sminuire il suo predecessore era il modo migliore per valorizzare e distinguere il proprio contributo, senza dimenticare la rivalità tra i barbieri-chirurghi e i più colti farmacisti. Ma soprattutto, al di là della credibilità di L'Obel e Johnson, accusare Gerard di plagio è anacronistico; tutti gli erbari del tempo erano largamente intertestuali. Non solo le xilografie transitavano disinvoltamente da un volume all'altro, ma capitava spesso che "le opere scritte da scrittori precedenti fossero il punto di partenza di quelle successive". Mentre le piante da descrivere aumentavano vertiginosamente ed era necessario riorganizzare continuamente le informazioni, per i primi botanici "copiare era più la norma che l'eccezione". La maggioranza dei botanici e degli editori del Cinquecento "riprendevano il materiale dei loro predecessori, mantenendo le informazioni che ritenevano rilevanti e scartavano o respingevano il resto". Ed era anche normale "denigrare il lavoro degli altri e citare i loro errori per giustificare i propri lavori che li aggiornavano e li correggevano". E così conclude: "John Gerard era dunque un ladro, un plagiario? Il passato e la botanica scolastica l'hanno spesso raccontato così; ma ora il tempo e studi più approfonditi sugli agenti che producevano e vendevano gli erbari nella Londra della prima età moderna sembrano raccontarla in modo diverso". Aggiungo solo un particolare: una delle lettere dedicatorie che precedono il testo dell'Herball è scritta da L'Obel, che si esprime in termini affettuosi ed lusinghieri nei confronti di Gerard. Se davvero avesse scoperto la soperchieria del barbiere-chirurgo, si può pensare che avrebbe impedito che la lettera fosse pubblicata. Che Gerard avesse attinto a piene mani alla sua opera è un fatto, ma sembra che la collera del fiammingo sia scoppiata con qualche ritardo. Gerardia & friends, un rompicapo tassonomico Accettiamo dunque l'invito di Neville di non giudicare il passato con l'occhio e la morale di oggi. Del resto, non l'hanno fatto i tantissimi che ancora nel Settecento consideravano il libro di Gerard un testo di riferimento, lo lasciavano in eredità tra gli oggetti più preziosi, lo citavano a loro volta. Né lo fecero il padre Plumier e Linneo, che vollero onorarlo con il genere Gerardia. Le vicende di questo genere linneano, oggi non più accettato, sono complicate, e hanno lasciato una traccia nella storia della botanica, generando ben sei altri generi, due soli dei quali oggi validi. Tutto inizia con Plumier che, creando il genere Gerardia in Nova plantarum americanarum genera offre una sintetica biografia di Gerard, limitandosi ai fatti oggettivi, senza esprimere giudizi di merito: "L'inglese John Gerard (come riferisce Johnson nella prefazione dell'edizione emendata), nato a Nantwich nella contea del Cheshire, donde si trasferì a Londra, dove si dedicò alla chirurgia, nella quale progredì tanto da essere eletto maestro di quella corporazione. Pubblicò a Londra nel 1597 una storia delle piante inglesi con le stesse figure di Tabernaemontanus e parecchie di Lobelius, e solo 16 nuove". E' interessante notare che, benché non lo sia affatto, al francese Plumier l'Herball apparisse una flora inglese; del resto, l'attenzione alla flora nativa, almeno dell'area londinese, che Gerard ricercava e raccoglieva nelle sue erborizzazioni, è uno dei meriti dell'opera. Linneo cita già il genere Gerardia in Critica botanica (dove si limita a collegarlo a Gerardus Joh. aglus 1597) e lo ufficializza nella prima edizione di Species plantarum, ma all'unica specie di Plumier (Gerardia tuberosa, oggi Stenandrium tuberosum) fa seguire incongruamente altre specie che non corrispondono alla sua stressa diagnosi. Ciò indusse Bentham a ricreare un nuovo genere Gerardia (1846) limitato a questo secondo gruppo, creando in tal modo una confusione che di fatto è stata risolta invalidando entrambi i generi; quello di Linneo è sinonimo di Stenandrium (Acanthaceae), quello di Bentham di Agalinis (in passato Scrophulariaceae, oggi Orobanchaceae). Il genere Gerardia nel senso di Bentham però fu accettato per decenni e nel frattempo ne furono separati diversi piccoli generi affini, che, riprendendone e modificandone il nome, divennero di fatto omaggi indiretti a Gerard. Iniziamo dai tre oggi non più validi: Dargeria (1843), creato da Ducaisne ricorrendo a un anagramma, sinonimo di Leptorhabdos (Orobanchaceae); Gerardianella, creato da Klotzsch nel 1861, sinonimo di Micrargeria (Orobanchaceae); Gerardiopsis, creato da Endlicher nel 1895, sinonimo di Anticharis (Scrophulariaceae). Veniamo infine ai due generi validi, iniziano da Graderia, stabilito da Bentham nel 1846, contemporaneamente al suo Gerardia. Anche questo nome si basa su un anagramma. Come la maggior parte dei generi fin qui citati, appartiene alla famiglia Orobanchaceae e comprende quattro specie con distribuzione discontinua. G. fruticosa è infatti endemica dell'isola di Socotra, mentre le altre specie vivono nell'Africa meridionale. Sono erbacee perenni o suffrutici con i fusti che emergono da un rizoma legnoso, con foglie opposte o alternate e fiori solitari con calice campanulato e corolla tubolare con cinque ampi lobi arrotondati. Il frutto è una capsula appiattita. Sono considerate emiparassite perché, pur essendo in grado di effettuare la fotosintesi, ricavano nutrienti da altre piante. Le loro radici posseggono infatti piccoli austori con i quali si attaccano alle radici di altre piante, assorbendone acqua e sali minerali. Concludiamo con Gerardiina, stabilito da Endlicher nel 1897, ancora un piccolo genere della famiglia Orobanchaceae; gli sono assegnate due sole specie dell'Africa tropicale, G. angolensis, diffusa dal Burundi al Sudafrica nord-orientale, e G. kundelungensis, endemica dello Zaire. Sono erbacee annuali o perenni, con foglie opposte intere e fiori raggruppati in infiorescenze racemose, con calice pentalobato e corolla campanulata, stretta alla base, quindi dilatata e divisa in cinque lobi. Il frutto è un capsula ovoidale, talvolta più lunga del calice. Nel quindicennio tra il 1798 e il 1812, lo scozzese James Niven fu un prolifico ed efficiente cacciatore di piante in Sudafrica. Prima al servizio di George Hibbert, poi di un consorzio che includeva il vivaio Lee e Kennedy e l'imperatrice Giuseppina, raccolse migliaia di semi e esemplari di erbario, introducendo nei giardini europei molte nuove specie, in particolare Ericaceae e Proteaceae. Nella realtà fu un giardiniere, poi un raccoglitore, infine forse un commerciante morto troppo presto; nel mito, chissà perché, la sua scarna biografia si colora di particolari da fantasiosi a melodrammatici. A ricordarlo il reale e bellissimo genere Nivenia, endemico della provincia del Capo occidentale, uno dei tre arbustivi della famiglia Iridaceae. Un raccoglitore prolifico e coscienzioso Nel fascicolo del 1827 della rivista di orticultura edita da Longman e curata da Loudon The Gardener's Magazine i lettori poterono leggere il necrologio di Mr. James Niven, morto il 9 gennaio di quell'anno, corredato da una breve biografia. Ancora oggi è il resoconto più ampio della vita di questo giardiniere e cacciatore di piante; a firmarlo è J. M., ovvero James Main, che doveva aver conosciuto Niven di persona, visto che entrambi per qualche tempo avevano lavorato per il ricco collezionista di piante George Hibbert. Eppure, come vedremo meglio più avanti, le notizie fornite da Main sono da prendere con beneficio d'inventario. Figlio di un tessitore di Penicuik, non lontano da Edimburgo, James Niven (1776-1827) dovette ricevere la relativamente accurata educazione garantita dalle scuole pubbliche scozzesi; poi probabilmente lavorò come ragazzo giardiniere presso vari giardini, finché diciannovenne completò il suo apprendistato presso l'orto botanico di Edimburgo, dove rimase per circa un anno. Nel 1796 si trasferì a Londra dove fu assunto come giardiniere a Syon House, la splendida proprietà del duca di Northumberland, sotto il capo giardiniere Thomas Hoy. In qualche modo dovette attirare l'attenzione di George Hibbert che decise di inviarlo in Sudafrica a caccia di piante. Secondo Nelson e Rourle che, in assenza di un diario di campo, hanno cercato di ricostruire i suoi movimenti sulla base delle sue note d'erbario, Niven dovette arrivare al Capo alla fine del 1798 o all'inizio del 1799, dato che il suo primo esemplare datato risale all'agosto 1799. Secondo Main, presto si impadronì tanto dell'olandese quanto del khoi, tanto da poter servire come interprete e guida alle truppe del generale Craig. E' il primo mito che troviamo in questa storia: almeno un anno prima che Niven vi arrivasse, Craig, dopo aver brillantemente diretto l'occupazione inglese della Colonia del Capo, sottratta alla Repubblica batava, ed esserne stato per due anni governatore, era stato destinato al Bengala e aveva lasciato il Sudafrica per Madras. E' molto probabile (anzi certo secondo Nelson e Rourle) che al Capo Niven abbia invece incontrato un altro botanico scozzese, William Roxburgh, che vi era arrivato da Calcutta nel 1798 insieme a suo figlio John; mentre il padre lasciò il paese alla fine del 1799, il figlio vi rimase fino al 1804 a raccogliere esemplari per l'orto botanico di Calcutta. Nelson e Rourle ipotizzano che, essendo conterranei e avendo interessi comuni, Niven e i Roxburgh abbiano botanizzato insieme, anche se è difficile da dimostrare, perché, al contrario di quelli di Niven, per gli esemplari dei due Roxburgh la località di raccolta è spesso indicata in modo molto generico; una prova indiretta è il fatto è che nel suo erbario Niven usò alcuni binomiali inediti di Roxburgh, Nel 1803, in seguito al trattato di Amiens, la colonia del Capo fu restituita alla Repubblica batava; Niven, che ora non poteva più muoversi liberamente nel paese, rientrò in Inghilterra, ma, sempre stando a Main, dopo solo tre mesi tornò in Sudafrica, al servizio di un consorzio che comprendeva il vivaio Lee & Kennedy e l'imperatrice Giuseppina. Anche questa notizia è imprecisa; secondo Nelson e Rourle, egli invece dovette tornare in Sudafrica nel 1805. Infatti per poter raccogliere nel paese tornato sotto controllo olandese era necessario un permesso; quest'ultimo venne rilasciato a Niven in data 3 aprile 1805, limitatamente alle piccole aree di Riebeek-Kaastel e Roodezand. Tuttavia già nel gennaio 1806 i britannici rioccuparono la colonia, e dal quel momento Niven potè muoversi liberamente; vi sarebbe rimasto per altri sei anni, fino al 1812. Durante i due soggiorni sudafricani, Niven esplorò gran parte della colonia del Capo; a nord si spinse fino al Kamiesberg, il massiccio più elevato del Namaqualand, dove raccolse Vexatorella alpina (pubblicata da Knight come Protea alpina); a est percorse le catene che corrono lungo la costa (monti di Riviersonderend, Langeberg e Outeniqua) e ancora più a est, attraverso la valle Langekloof, dove raccolse Protea tenax, raggiunse Kromme River e Gamtoos River, il punto più orientale dei suoi viaggi, Tuttavia raccolse la maggior parte degli esemplari in un raggio di 150 km da Città del Capo; i suoi luoghi di raccolta preferiti risultano i distretti di Tulbagh, le catene Drakenstein e Hottentots Holland e il monte di Worcester. I suoi committenti desideravano soprattutto semi e bulbi, Ciò significava esplorare ciascuna area almeno due volte: la prima durante la stagione di fioritura per identificare le specie e raccogliere esemplari d'erbario, la seconda qualche mese più tardi per raccogliere i semi. Per ritrovare con facilità le piante e identificarle con sicurezza, Niven creò per se stesso un erbario di campo: su ogni foglio di pesante carta grigiastra incollava più esemplari (mediamente tre) corredati da precise note sul luogo di raccolta, la stagione di fioritura, l'habitat, le caratteristiche ecologiche, talvolta il tipo di suolo. Le raccolte di Niven sono particolarmente importanti per due famiglie largamente presenti in Sudafrica, le Proteaceae e le Ericaceae. Grazie alle sue raccolte delle prime, George Hibbert ne poté vantare la più ampia collezione europea, Knight specializzarsi nella loro coltivazione, Salisbury e Brown pubblicare decine di nuove specie. Una delle più rare è Leucospermum grandiflorum, che nel 1799 fu raccolta sia da Roxburgh sia da Niven. Secondo Salisbury, che la descrisse in Paradisus Londinensis nel 1808, i semi raccolti da Niven furono seminati nella serra di Hibbert dove prosperarono. Anche per le Ericaceae (molte furono pubblicate da Henry Cranke Andrews nei sei volumi di The Heathery, le raccolte di Niven hanno grande importanza storica. Secondo Aiton, le specie di Erica introdotte da Niven in Gran Bretagna sono 31, un risultato notevole se si pensa che Masson nel corso dei suoi tre viaggi ne aveva già introdotte 86. E se i numeri sono inferiori, in compenso i dati relativi ai luoghi di raccolta e agli habitat sono di gran lunga più accurati rispetto a quelli del suo predecessore. Secondo la testimonianza del curatore dell'orto botanico di Edimburgo William McNab, che ebbe con lui molte conversazioni sull'argomento dopo il suo ritorno in Scozia, "il mio molto compianto amico James Niven certamente sapeva sulla natura e sulla coltivazione di questo genere più di ogni altro uomo che io abbia mai incontrato". Miti e affabulazioni Dopo il suo ritorno in patria, sempre stando a Main, Niven "abbandonò le sue attività botaniche e orticole" e ritornò a Penicuik, dove aprì un'attività (non sappiamo di che genere) insieme a un fratello. Nel 1817 sposò Alison Abernethy (lo sposo aveva 40 anni, la sposa 26), da cui ebbe 5 figli; nel 1827, ad appena 50 anni morì. Main non manca di aggiungere un particolare melodrammatico: non appena la sua bara lasciò la casa, la vedova morì all'istante, lasciando cinque piccoli orfani. Documenti alla mano, è un altro mito: forse davvero per il dolore la donna ebbe un infarto o un ictus, ma morì e fu sepolta quattro settimane dopo il marito. La situazione dei bambini era comunque difficile, e i loro tutori furono costretti a vendere l'erbario; l'acquirente fu il già citato William McNab; passato al figlio John, capo giardiniere dell'orto botanico di Edimburgo, poi al nipote William Ramsay McNab, l'erbario finì a Dublino quando il suo ultimo possessore ottenne la cattedra di botanica al Collegio reale d'Irlanda. Alla sua morte precoce nel 1889, la vedova fu costretta a mettere in vendita la biblioteca, gli strumenti scientifici e l'erbario del marito, che comprendeva anche quello di Niven. In parte fu acquistato dal Museo nazionale irlandese (oggi è custodito all'erbario di Glasnevin), in parte dai Kew Gardens. Una serie di duplicati, forse in qualche modo acquisiti da Harvey, si trovano invece al Trinity College. L'erbario, già diviso, fu ulteriormente smembrato, e in parte rimase sconosciuto fino agli anni '70 del Novecento, quando venne in un certo senso "riscoperto" e studiato da un altro specialista di Proteaceae ed Ericacae, Ernest Charles Nelson dell'erbario dell'orto botanico di Glasnevin a Dublino, che si è anche incaricato di sfatare alcuni dei miti che hanno offuscato la vera storia di James Niven, Ne rimane uno, forse il più diffuso e tenace. Tra i personaggi più noti dell'orticultura irlandese troviamo Ninian Niven (1799-1879), che ridisegnò Phoenix Park, diresse per qualche anno l'orto botanico di Glasnevin, per poi diventare un affermato vivaista e un famoso architetto di giardini, nonché per diversi anni segretario della Royal Horticultural Society. Non è chiaro per quali ragioni, contro ogni evidenza, nel loro Biographical Index of British and Irish Botanists (1889) Boulger e Britten asserirono che Ninian Niven era figlio del nostro James Niven. Eppure Ninian Niven era nato a Kelvin Growe, presso Glasgow e suo padre, che si chiamava anche lui Ninian, era uno dei giardinieri di Keir House vicino a Stirling e non fu mai un cacciatore di piante. Senza contare che nel 1799 il nostro Niven aveva appena 22 anni ed era giusto arrivato in Sudafrica. I registri parrocchiali di Penicuik non lasciano dubbi: James Niven, come già sappiamo, si sposò quasi vent'anni dopo e nessuno dei suoi cinque figli era ovviamente Ninian Niven. Stranamente questa leggenda orticola è dura a morire: nel Dictonary of British Biography si legge: "suo padre, anche lui Ninian Niven, era un giardiniere di Keir House presso Stirling, e visitò due volte il Capo di Buona speranza raccogliendo piante per George Hibbert e l'imperatrice Giuseppina". Per concludere, un altro mito cinematografico. Nel notevole film Proteus, del regista canadese John Greyson, che racconta in modo romanzato la storia di due prigionieri giustiziati per sodomia in Sudafrica, compare un botanico scozzese chiamato Virgil Niven, ispirato a James Niven. A dispetto del fatto che la tragica vicenda sia avvenuta nel 1735, quarant'anni prima della sua nascita. Iridaceae arbustive con fiori color cielo Il contributo di James Niven alla botanica e ai giardini britannici, da lui arricchiti di tante specie notevoli, è riconosciuto tanto da William Aiton, quando da Salisbury e Robert Brown, per una volta concordi. Lo ricordano gli eponimi di non molte specie sudafricane (Acmadenia nivenii, Erica niveniana, Serruria nivenii) e un genere ugualmente sudafricano, Nivenia. Glielo dedicò Ventenat sulla base di una delle molte specie da lui raccolte in Sudafrica e approdate alla Malmaison; in Decas Generum Novorum (1808) il botanico francese scrive: “questa specie è stata fornita dall’egregio Kennedy; perciò l’ho nominata dallo scopritore J. Niven, giardiniere inglese” (d'accordo, era scozzese, ma errore più errore meno...). Rispetto a questa laconica dedica, è ben più eloquente quella di Robert Brown per un secondo genere Nivenia (ovviamente non valido per la regola della priorità); dopo aver spiegato in che cosa il nuovo genere differisce da Paranomus di Salisbury, egli infatti scrive: "L’ho dunque nominato in onore di Mr. James Niven, un osservatore intelligente e un raccoglitore instancabile, con il quale i botanici sono indebitati di molte nuove specie delle due estese famiglie sudafricane delle Ericaceae e delle Proteaceae”. Nivenia Vent. è un piccolo genere della famiglia Iriaceae; insieme a Klattia e Witsenia, è uno dei soli tre generi della famiglia (tutti endemici del Sudafrica) a essere veri e propri arbusti sempreverdi, con fusti legnosi che producono vegetazione secondaria. Raggruppati nella sottofamiglia Niveoinioideae, tutti insieme comprendono appena quindici specie, contro le 1600 dell'intera famiglia (900 nel solo Sudafrica). Il genere più vasto del gruppo è proprio Nivenia, con undici specie accettate. Hanno tutte fiori azzurri e sono arbusti di medie dimensioni, con l'eccezione di tre specie a cuscino che crescono in habitat rocciosi aridi di montagna: N. levynsiae nelle Betty Bay-Kleimond Mountains, N. concinna al Viljoen Pass e N. fruticosa nel Lagenberg. Quest'ultima, di habitus quasi erbaceo e con un'infiorescenza poco vistosa di appena due fiori, fu la prima specie ad essere raccolta e descritta, da Peter Thunberg che la assegnò al genere Ixia. All'estremo opposto troviamo la specie più nota, l'unica coltivata al di fuori del Sudafrica, N. corymbosa, che cresce a Bain's Kloof e nelle montagne circostanti: gli esemplari più vecchi possono avere rami con un diametro di 4-5 cm lunghi anche tre metri. L'infiorescenza è un grande corimbo di circa 120 fiori in diverse tonalità di blu, che attirano folle di impollinatori, in particolare l'ape Amegilla fallax, dotata di una lunga ligula che le permette di raggiungere il nettare posto alla base del lungo tubo florale. A metà tra questi due specie estreme, si colloca la bella N. stokoei, un arbusto dal portamento arrotondato, che in aree protette può raggiungere il metro e mezzo, ma in aree aperte rimane molto più basso. Ha strette foglie lanceolate disposte a ventaglio che tradiscono immediatamente l'appartenenza alla famiglia, e fiori blu purissimo. E' un endemismo della Riserva della Biosfera Kogelberg. Tutte endemiche del Capo occidentale, spesso di aree estremamente limitate, purtroppo diverse specie di Nivenia sono in pericolo per la restrizione del loro habitat e anche per le conseguenze del cambiamento climatico. Tutte le sue undici specie sono incluse nella lista rossa delle piante sudafricane, due sono classificate come vulnerabili e cinque come rare. A differenza della vicina Virginia, la cui flora aveva destato l'interesse di botanici e appassionati fin dall'inizio del Seicento, perché iniziassero le ricerche naturalistiche in Maryland si dovette attendere la fine del secolo e la trasformazione in colonia reale. Evento decisivo fu la nomina a governatore di Francis Nicholson, patrono delle arti e delle scienze e deciso sostenitore della chiesa anglicana. Il vescovo Compton ne approfittò per inviare nella colonia il giovane pastore gallese Hugh Jones, nella speranza che, come Banister in Virginia, riuscisse a unire con successo l'attività pastorale alle raccolte botaniche. Ma, al contrario di Banister, Jones non sapeva nulla di piante e, nonostante la buona volontà e l'insegnamento a distanza di Petiver, ebbe molta difficoltà a conciliare i due compiti. A supportarlo nel 1698 giunsero da Londra ben due naturalisti: William Vernon, designato dalla Royal Society, e David Krieg, amico e agente di Petiver. Anche se il loro soggiorno nella colonia fu breve, segnò il vero inizio dell'esplorazione della flora del Maryland, con la raccolta di diverse centinaia di specie, in parte pubblicate da Ray nel terzo volume di Historia Plantarum. Sia Krieg sia Vernon sono celebrati da generi validi della famiglia Asteraceae: Krieg dal piccolo Krigia e Vernon dal grande Vernonia e, indirettamente, da Vernoniopsis e Vernonanthura. Un pastore e apprendista botanico La tragica morte di John Banister fu un duro colpo per il vescovo Compton e per i botanofili londinesi che si riunivano nel Temple Coffee House Botanical Club; con essa si interrompeva il flusso di nuove piante americane garantito dalle raccolte del solerte pastore. Due anni dopo, nel 1694, la nomina a governatore del Maryland di Francis Nicholson, che durante il suo mandato in Virginia aveva favorito l'attività di Banister e più in generale l'esplorazione delle risorse naturali, riaccendeva le speranze. Si cercò un ecclesiastico che, come il defunto, potesse unire all'attività pastorale le raccolte naturalistiche. Su segnalazione di Edward Lhwyd, curatore dell'Ashmolean Museum di Oxford, un candidato non ideale ma passabile fu individuato nel gallese Hugh Jones (ca. 1671-1701), assistente di Lhwyd nella raccolta di fossili. Di piante non sapeva nulla e aveva seguito i corsi di teologia per non più di un anno, eppure il vescovo Compton, ritenendo imminente la partenza della flotta del tabacco diretta in Virginia, si affrettò ad ordinarlo pastore. Invece, a causa della guerra con la Francia, la partenza fu rinviata di mesi, permettendo al neo-reverendo di frequentare il Club e ricevere almeno un'infarinatura di zoologia e di botanica. Doody, Petiver e James Ayrey (un mercante e collezionista il cui negozio era vicino a quello di Petiver) lo accompagnarono a cercare fossili nella cava di calce di Charlton presso Greenwich e ad erborizzare nel Kent. Doody gli procurò un termometro e forse un densimetro, Petiver gli impartì istruzioni su come raccogliere e conservare ogni sorta di "collezione filosofica" e gli diede una copia della sue centurie e forse altri libri, nonché materiali come la carta necessaria per essiccare gli esemplari e bottiglie per conservare gli animali sotto spirito. Jones giunse in Maryland solo nel giugno 1696. La situazione, da ogni punto di vista, era più complessa rispetto alla Virginia. Il Maryland, la cui economia si basava principalmente sulla coltivazione del tabacco, era molto meno florido della colonia gemella; la popolazione era costituita principalmente da servi bianchi a contratto, in gran parte maschi, frequentemente falcidiati da malattie ed epidemie; l'importazione di schiavi neri era appena agli inizi ma in crescita. Le piantagioni erano per lo più piccoli appezzamenti circondati da foreste e gli spostamenti rimanevano difficili. Fino al 1689 la colonia era stata amministrato da un governatore-proprietario cattolico della famiglia Calvert, che aveva favorito una certa tolleranza religiosa; oltre a cattolici, c'erano quaccheri, non conformisti, e anche anglicani, ma senza una chiesa organizzata. Questa fu stabilita solo nel 1691, quando il Maryland divenne un colonia reale; così, quando Jones arrivò ad Annapolis, la capitale, per presentarsi al governatore Nicholson, scoprì che i suoi doveri ecclesiastici sarebbero stati tutt'altro che una sinecura. Gli fu affidata la grande Christ Church Parish, ancora scarsamente abitata ma geograficamente vasta, con due sedi che lo costringevano a faticosi spostamenti. I doveri ecclesiastici assorbirono gran parte del suo tempo, lasciandone ben poco alle "collezioni filosofiche", già di per sé problematiche per un novellino immerso in un ambiente pressoché sconosciuto e in gran parte selvaggio. I suoi sponsor londinesi furono delusi: decisamente, Jones non era un nuovo Banister: nell'autunno e nell'inverno del suo primo anno in Maryland inviò pochi esemplari, imperfettamente conservati, per lo più già noti e non accompagnati dalle dettagliate note naturalistiche e dai disegni a cui li aveva abitati il compianto pastore-naturalista. Petiver cercò di ovviare con una specie di corso per corrispondenza, inviando a Jones liste di esemplari, doppioni della sua collezione, istruzioni pratiche e libri di botanica tra cui, oltre ai suoi Musei petiveriani, Historia plantarum di Ray e Paradisus batavus di Hermann. Oltre a doni come formaggi e generi di prima necessità, nei suoi pacchi c'erano anche medicinali, visto che un pastore in quella colonia ancora in via di formazione doveva occuparsi della cura non solo delle anime, ma anche dei corpi. Due nuovi invii di Jones raggiunsero l'Inghilterra alla fine del 1697 e nel 1698, per lo più in cattive condizioni a causa del lungo viaggio; finalmente nell'autunno del 1698 Petiver ricevette una collezione ben preparata e ben conservata, anche se lamentò che si trattasse essenzialmente di fiori, senza frutti e semi, "dai quali si ricavano le caratteristiche più essenziali o la denominazione". Preoccupato di perdere la priorità rispetto al rivale Plukenet, che in Almagestum botanicum (1696) aveva già pubblicato diverse specie virginiane raccolte da Banister, sollecitò Jones a intensificare le raccolte; gli chiese anche di inviargli il maggior numero possibile di esemplari della medesima pianta, in modo che egli potesse restituirgli i doppioni con le sue osservazioni. Qualche invio giunse ancora, ma a quel punto alle difficoltà che già conosciamo si era aggiunto il declino fisico: il giovane ecclesiastico gallese si ammalò di tisi e ne morì all'inizio del 1701. Due raccoglitori sono meglio di uno Già prima di questo infausto esito, Petiver e i suoi amici-rivali del Botanical Club e della Royal Society avevano deciso di affiancare al troppo indaffarato e troppo inesperto Jones un naturalista più preparato, ma soprattutto impegnato a tempo pieno. Nella seduta del 10 novembre 1697 della Royal Society, William Byrd II (figlio di William Byrd I, il piantatore virginiano che era stato amico, ospite ed esecutore testamentario di Banister) riferì che il governatore Nicholson intendeva offrire 25 sterline annue a un naturalista per "fare osservazioni e descrizioni di tutti i prodotti naturali di queste parti, e scriverne la storia" e chiedeva alla Royal Society di individuare la persona adatta. La scelta cadde su William Vernon (ca. 1667-ca. 1715), membro del St Peter's College di Cambridge, noto soprattutto come raccoglitore e studioso di muschi e già lodato da Ray per la profonda conoscenza della flora britannica. Ottenuti due o tre anni di congedo dall'Università, Vernon accettò l'incarico e si preparò a partire al più presto per l'America, dove contava di rimanere almeno due anni. La sua missione era sponsorizzata dalla Royal Society, quindi indirettamente dal Temple Coffee House Botanical Club; ma come sappiamo i suoi membri (in particolare Hans Sloane e James Petiver) erano divisi da una forte rivalità. Fu così che Petiver decise di giocare una seconda carta, inviando in Maryland un altro naturalista a lui legato: il medico tedesco David Krieg (1667-1713). Nato in Sassonia, quest'ultimo, dopo aver studiato all'Università di Lipsia, si era trasferito a Riga, diventando uno dei corrispondenti di Petiver, che lo aveva ospitato a casa sua quando nel 1696 egli si era spostato a Londra; inoltre lo aveva introdotto al Botanical Club e gli aveva fornito lettere di presentazione per Jacob Bobart, il prefetto dell'orto di Oxford, e per John Ray, che viveva nel suo rifugio di Black Nottley. Sicuramente nel novembre 1697, poco prima della partenza di entrambi per il Maryland, incontrò anche Vernon, ma i due viaggiarono separatamente e anche più tardi non raccolsero insieme, divisi da una presumibile rivalità; l'inglese arrivò in colonia nel marzo 1698, il tedesco (accompagnato dal "cacciatore di farfalle" di Petiver, un ragazzo chiamato Isaac) vi giunse due settimane dopo. Si era pagato il viaggio servendo come chirurgo di bordo, mentre il giovane Isaac forse viaggiò come ragazzo di cabina. Krieg dovette mettersi immediatamente all'opera, mentre Vernon, che dipendeva dal governatore e era tenuto a concordare le sue mosse con lui, dovette iniziare le raccolte solo a maggio. Non conosciamo nei particolari gli itinerari di nessuno dei due. Certamente visitarono Annapolis e i suoi dintorni ed esplorarono la costa orientale della baia di Chesapeake. L'unica lettera superstite di Krieg, scritta a maggio, ne attesta la presenza nel basso corso del Choptank River, mentre da una lettera inviata a luglio da Vernon a Sloane sappiamo che egli al momento si trovava ad Annapolis ed aveva già deciso di tornare in Inghilterra alla fine dell'estate. Non conosciamo le ragioni di questo rientro anticipato: alcuni hanno parlato di dissapori con il governatore Nicholson, altri al contrario ritengono che Vernon abbia preferito rinunciare piuttosto che rimanere in quella difficile colonia dopo la partenza del suo protettore; Nicholson infatti si accingeva a lasciare il Maryland per assumere nuovamente il governo della Virginia. Dunque, dopo circa cinque mesi di raccolte, lasciata l'America forse a settembre o a ottobre, tra novembre e dicembre sia Vernon sia Krieg erano nuovamente a Londra. Vernon presentò alcuni esemplari in una delle sedute del venerdì del Temple Coffee House Botany Club e gli sponsor si spartirono il bottino: Petiver fece la parte del leone, ricevendo da Krieg piante, insetti e conchiglie e molti esemplari anche da Vernon; altri li ottenne Sloane, altri ancora il vescovo Compton (che però lamentò che ci fossero pochi semi) e l'arcivescovo di Canterbury Tenison. Attraverso Sloane e Petiver, diverse centinaia di nuove specie furono inviate per l'identificazione a Ray, che incontrò molte difficoltà sia per l'incompletezza degli esemplari sia per la mancanza di note di accompagnamento; in ogni caso, nel terzo volume di Historia plantarum (uscito nel 1704) poté elencare 450 specie originarie del Maryland e determinarne 225. Tra il 1698 e il 1702 diverse specie furono inoltre pubblicate sulle Transactions della Royal Society da Petiver. Né Ray né Petiver (né Plukenet, che a sua volta pubblicò alcune specie del Maryland in Almatheum Botanicum, uscito nel 1705) indicano il nome dei raccoglitori, quindi non sappiamo che cosa fu raccolto rispettivamente da Jones, Vernon e Krieg. Nonostante il cambiamento di programma e le difficoltà incontrate da Ray, le raccolte dei due "inviati speciali" dovettero soddisfare a sufficienza le aspettative della Royal Society: nella seduta dell'11 gennaio 1699 fu deliberata sia l'ammissione di Krieg sia lo stanziamento di 20 sterline per inviare Vernon a caccia di piante nelle Canarie. Quasi immediatamente, egli si recò a Deale per imbarcarsi, ma mancò la partenza della flotta. Quando scoprì che non erano previste altre partenze prima di novembre, decise di rimanere a fare raccolte nel Kent e nei dintorni di Canterbury fino all'autunno. Ma ormai aveva perso la voglia di viaggiare. La missione alle Canarie sfumò, Vernon continuò per qualche anno a raccogliere in Inghilterra, specializzandosi in briofite e nel 1702 ritornò a Cambridge. Poco alla volta anche i suoi contatti con l'ambiente dei botanici e dei botanofili vennero meno, tanto che non sappiamo praticamente nulla dei suoi ultimi anni, neppure dove e quando morì. Il destino di Krieg dopo l'avventura americana fu amaro. Rimase a Londra ancora qualche mese, occupato a riordinare le sue raccolte e forse a fare disegni per Petiver; a maggio si imbarcò per Riga, dove era di ritorno il 14 giugno 1699. Per due anni esercitò la medicina nella città baltica, che offriva ben poche opportunità a un naturalista, come lamenta nelle lettere all'amico Petiver. Nel 1701 fu assunto come medico personale da Louis de Guiscard-Magny, ambasciatore della Francia in Svezia; lo raggiunse a Stoccolma e lo accompagnò a Parigi, dove ebbe modo di frequentare il Jardin des Plantes e conoscere Plumier e Vaillant. Quando scoprì che l'ambasciatore lo voleva al suo fianco come medico militare nella campagna prevista per l'anno successivo, decise di tornare a Riga. Lo faceva con riluttanza; avrebbe preferito un clima più caldo, magari un viaggio nelle Antille al servizio dell'amico Petiver. Lasciata Parigi nella primavera del 1702, dopo una breve visita a Strasburgo, dove viveva un fratello chirurgo, e alla famiglia a Schwarzeburg, nel gennaio 1703 era di ritorno a Riga. Anche se erano anni difficili per la città baltica a causa della Grande guerra del Nord tra Russia e Svezia, continuò a fare raccolte naturalistiche, nella speranza di scrivere una storia naturale della Livonia; si mantenne in contatto con gli amici inglesi, inviando loro curiosità, insetti e minerali, e ricevendo in cambio libri e strumenti. Il suo sogno era lasciare quella città provinciale dove nessuno condivideva i suoi interessi e tornare in America, o per lo meno a Londra. Ma rimase appunto un sogno. Nel 1710 Riga fu posta sotto assedio dai Russi; in città scoppiò una pestilenza che, insieme alla fame, fece 22.000 vittime. Una di loro era Krieg. Asteraceae grandi e piccole Nessun botanico ha pensato di rendere omaggio a Jones, mentre sia Krieg sia Vernon sono onorati da almeno un genere di Asteraceae. Krigia e Vernonia, ben diversi per grandezza e distribuzione, si devono al botanico tedesco Johann Christian Daniel von Schreber, che li pubblicò nel 1791 nella sua riedizione del linneano Genera Plantarum, purtroppo senza alcuna dedica esplicita. Krigia è un piccolo genere di 7 specie, distribuite tra il Canada sud-orientale, gli Stati Uniti centrali e orientali e il Messico nord-orientale. Sono erbacee perenni o annuali, con una radice fibrosa o a fittone da cui emergono gambi eretti e solitamente non ramificate, con foglie lanceolate, dentate o lobate a rosetta e capolini per lo più solitari, gialli o arancione, molto simile a quelli dei generi Hieracium e Pilosella. Vernonia è invece un grande genere cosmopolita cui sono attribuite quasi 350 specie, ma inteso in senso lato è giunto a comprenderne anche 1000; va inoltre considerato che le specie in aree in contatto tendono ad ibridarsi con facilità. Gli studi hanno identificato due centri di biodiversità: uno in America, l'altro in Africa e nell'Asia sud-orientale. Possono essere erbacee annuali o perenni, spesso di grandi dimensioni, arbusti da piccoli a grandi, rampicanti o piccoli alberi, con foglie alternate semplici, da lanceolate a strettamente lineari. I capolini, raccolti in cime o corimbi terminali o ascellari, sono composti da un involucro a coppa o cilindrico formato da 5-6 serie di brattee embricate che proteggono il ricettacolo sul quale si inseriscono i flosculi tubolosi, usualmente bisessuali e fertili. La corolla tubolare e lobata può essere viola, blu o anche bianco-crema. I frutti sono acheni dotati di pappo. Diverse specie nordamericane sono coltivate nei giardini. Tra di esse V. arkansana (spesso commercializzata come V. crinita), originaria degli Stati Uniti centrali, un'alta perenne che tra agosto e settembre produce grandi capolini viola dall'aspetto un po' scompigliato; la rusticissima V. fasciculata, nativa di una fascia che va dal Manitoba in Canada agli Stati Uniti centro-settentrionali, che produce alti steli non ramificati che culminano in un denso corimbo di fiori magenta; V. lettermannii, originaria dell'Arkansas e dell'Oklahoma, con foglie filiformi e centinaia di piccoli fiori viola scuro; simile è V. noveboracensis, che tende ad espandersi con stoloni sotterranei, con fiori viola, ma anche lilla e bianchi. Diverse specie africane, come V. colorata, sono utilizzate come verdura da foglia; dato che crescono rapidamente e si rigenerano dopo i tagli, producendo una grande massa di foraggio che resiste molto bene alla siccità, sono note, oltre che con diversi nomi locali, con il nome inglese ironweed, erba di ferro, dovuto ai fusti rigidi e talvolta color ruggine, ma anche alla veloce crescita e alla robustezza. La specie più importante di questo gruppo, la più consumata nonché ingrediente dello Ndolé, il piatto nazionale del Cameroon, V. amygdalina, è stata trasferita al genere Gymnanthemum come G. amygdalinum; è anche una importante pianta medicinale. Secondo Plants of the World on line (ma l'accordo non è universale) va ricondotta a questa specie come sinonimo anche Vernonia condensata, poi Vernonanthura condensata, in precedenza ritenuta un endemismo brasiliano, mentre si tratta appunto di una specie africana, introdotta all'epoca della tratta degli schiavi. Dai semi di V. galamensis viene invece ricavato un olio con un alto contenuto di acido vernolico, utilizzato nell'industria delle vernici e come plastificante. Oltre ad essere il patrono dell'importantissimo genere Vernonia, William Vernon è celebrato indirettamente anche da due dei tanti generi che ne sono stati separati, Vernoniopsis e Vernonanthura. Il primo ("simile a Vernonia") è un genere endemico del Madagascar, con una o due specie di arbusti o piccoli alberi con corimbi terminali di numerosi capolini con lungo ricettacolo e corolla biancastra. Il secondo (da Vernonia + anthura, da anthera e oura "coda", in riferimento alle antere con base frequentemente caudata) è un grande genere separato nel 1995 da Vernonia, da cui differisce per la distribuzione più meridionale (dal Messico all'Argentina, passando per le Antille), le infiorescenze piramidali o tirsoidi anziché corimbose, l'habitus tipicamente arbustivo con steli legnosi fin dalla base anziché erbacei, e appunto le antere con code prominenti alla base. Il genere comprende una sessantina di specie; la più nota era probabilmente Vernonanthura condensata che, come abbiamo visto è stata trasferita a Gymnanthemum ed è per lo più ritenuta sinonimo di G. amygdalinum. Anche in questo genere troviamo piante interessanti per i nostri giardini, come V. nudiflora (in precedenza Vernonia angustifolia), un arbusto originario del Brasile e dell'Argentina, con foglie lineari e bei fiori viola. V. polyanthes ci ricorda invece quanto è pericoloso introdurre specie aliene in ambienti fragili: nativa del Brasile, all'inizio degli anni '90 del Novecento è stata introdotta in Mozambico come pianta nettarifera per le api; da qui si è diffusa nel vicino Zimbabwe e in diversi ambienti è rapidamente diventata una specie dominante ai danni della vegetazione nativa. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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