Linneo soprannominò eristici, ovvero seguaci di Eris, la dea della discordia, i botanici delle generazioni immediatamente precedenti, impegnati in polemiche tanto feroci quanto sterili a difesa dei rispettivi sistemi di classificazione delle piante. Il più litigioso era indubbiamente lo scozzese Robert Morison, che non si peritava ad attaccare a testa bassa i botanici del passato e del presente, definendo i loro errori "allucinazioni". Da loro pretendeva di non aver appreso nulla e di aver tratto il suo nuovo metodo dalla natura stessa; molto probabilmente a ispirarglielo era stato invece Cesalpino, che però non cita mai. Pagò cara questa arroganza: i botanici successivi lo ripagarono della stessa moneta, attingendo alla sua opera pionieristica sotto traccia e censurando con altrettanta asprezza le sue pretese. Tra i critici più recisi lo stesso Linneo, che tuttavia gli dedicò il genere Morisonia (Capparaceae), che, manco a farlo apposta, suscita polemiche altrettanto roventi. ![]() Formazione: Francia, Parigi e Blois Nel 1637, contro la pretesa del re d'Inghilterra Carlo I di imporre vescovi e un nuovo libro di preghiere sul modello anglicano, i presbiteriani scozzesi, con un patto giurato (Covenant) proclamarono che avrebbero difeso la loro fede fino alla morte. Ben presto si arrivò alla guerra aperta (prima e seconda guerra dei vescovi, 1639-1640), preludio alla rivoluzione inglese che avrebbe portato alla decapitazione del re e all'instaurazione del Commonwealth. Il solo fatto militare di una certa importanza della Prima guerra dei vescovi fu la battaglia del Bridge of Dee (18-19 giugno 1639) con la quale i Covenanter riuscirono a strappare alle truppe fedeli al re il controllo del ponte che dava accesso alla città di Aberdeen; tra coloro che militavano nell'esercito realista c'era anche il diciannovenne Robert Morison (1620-1683) che rimase gravemente ferito alla testa. Dopo la guarigione, come altri oppositori dei Covenanter che ormai controllavano la Scozia, decise di lasciare il paese e di rifugiarsi in Francia. Ci sarebbe rimasto vent'anni, cambiando del tutto il proprio destino. Anziché uomo di Chiesa, come avrebbe voluto la famiglia, divenne medico, naturalista e botanico. A Parigi, il suo primo rifugio, oltre a mantenersi come precettore del figlio di un certo consigliere Bizet, poté seguire lezioni di anatomia, zoologia, mineralogia, chimica e botanica, presumibilmente nel neonato Jardin des Plantes, dove fu allievo di Vespasien Robin. Nel 1648 si laureò in medicina a Angers, quindi nel 1649 o 1650, su raccomandazione di Robin, entrò al servizio dello zio del re, il principe Gastone d'Orlèans. Vale la pena di dedicare qualche riga a questo personaggio, che Morison proclamerà "patrono di tutti i botanici e mecenate veramente regale, versatissimo nell'arte botanica", tanto più che gli sono stati dedicati ben due generi di piante (entrambi oggi ridotti a sinonimi): Borbonia da parte di Plumier e Gastonia da parte di Commerson. Come politico, il duca d'Orlèans gode pessima stampa: intrigante e inconcludente, coinvolto in mille congiure tutte finite male, pronto a salvare la pelle abbandonando i suoi seguaci; brilla invece come mecenate delle arti e delle scienze, creatore della più vasta collezione di medaglie e antichità d'Europa, di una prestigiosa biblioteca, di un gabinetto scientifico e di collezioni d'arte. Della botanica era cultore più che dilettante grazie agli insegnamenti del medico che lo seguiva fin dalla nascita, il protestante Abel Brunier (o Brunyer, 1572-1665). Testimonianze del tempo riferiscono che conoscesse a memoria il nome di "tutte le erbe" (i comodi nomi binomiali di Linneo erano al di là da venire: siamo ancora all'epoca dei nomi-descrizione) e che amasse erborizzare, tanto che scoprì una nuova specie di trifoglio. A partire dal 1635, quando si stabilì a Blois al ritorno di un periodo di esilio, egli affidò a Brunyer, assistito dal secondo medico Jean Laugier e dal farmacista Nicolas Marchand (o Marchant), la creazione di un orto botanico, per il quale non lesinò attenzioni e spese. Dal 1644, ne fece anche immortalare le rarità su pergamena dall'abilissimo pittore Nicolas Robert: è l'inizio della spettacolare collezione nota come "Vélins du Roi". Tuttavia, dopo la morte di Richelieu nel 1642, egli si gettò nuovamente nell'agone politico e tornò a vivere a corte, portando con sé Brunyer, che per altro era ormai sulla settantina. Affidato ad altre mani, il giardino fu forzatamente trascurato. Dunque l'ingaggio di Morison, come terzo medico e botanico, era più che opportuno. E tanto più lo diverrà nel 1652, quando Mazzarino confinò il duca a Blois. Collezioni e piante divenivano ora la sola ragione di vita del principe sconfitto. Mentre l'anziano Brunyer rimaneva al suo fianco e allestiva il catalogo del giardino (Hortus Regius Blesensis, 1° ed. 1653, 2° ed. 1655), Laugier, Marchand e Morison venivano sguinzagliati per tutta la Francia alla ricerca di piante rare: come riferisce egli stesso, lo scozzese fu in Borgogna, Poitou, Bretagna (di cui esplorò le coste e le isole), Linguadoca e Provenza. Nel 1657, insieme a Laugier, esplorò l'area di La Rochelle, dove recensì 84 specie. Nel febbraio 1660 Gastone morì all'improvviso, lasciando erede delle sue collezioni il nipote Luigi XIV. Il giardino venne smantellato e Marchand, nominato direttore della coltivazione delle piante del Jardin du roi, fu incaricato di trasferire le piante nell'orto botanico parigino; anche Robert passò al servizio del re Sole, come "pittore ordinario del re per la miniatura". Anche a Morison fu offerta una sistemazione, ma preferì seguire in Inghilterra Carlo II, che proprio quell'anno aveva recuperato il trono. Morison l'aveva conosciuto proprio a Blois, durante una delle visite del re in esilio allo zio Gastone (Carlo II era figlio di Carlo I e di sua moglie Enrichetta, sorella di Luigi XIII e del duca d'Orlèans). Questa frequentazione altolocata non era l'unico lascito del decennale soggiorno a Blois. Fu quell'ambiente aperto e stimolante a fare nascere l'interesse di Morison per la classificazione delle piante. Tanto Brunyer quanto Laugier erano uomini di Montpellier: il secondo fu il maestro di Magnol, il primo sembra fosse alla ricerca di un metodo di classificazione razionale (non se ne trova però traccia nelle due edizioni del suo catalogo, semplici elenchi alfabetici). Nella fornitissima biblioteca del suo patrono, Morison poté leggere le principali opere dei botanici precedenti: De plantis di Cesalpino, l'Ekphrasis di Colonna, le opere dei fratelli Bahuin; sicuramente gli era nota anche l'opera di Boccone, che contribuì a far conoscere in Inghilterra. Possiamo ipotizzare che il suo metodo sia nato dalla congiunzione tra queste letture, la ricerca sul campo e il confronto con il suo secondo maestro Abel Brunyer. Più tardi, egli lo negherà recisamente, proclamandolo un "nuovo metodo dato dalla natura, solo da me (senza arroganza) osservata, trovato da nessuno se non da me stesso". ![]() Maturità: Inghilterra, Londra e Oxford Carlo II, che a sua volta era vissuto in esilio quasi dieci anni, non di rado trattato alla stregua di un parente povero, provava ammirazione e riconoscenza per il botanico scozzese che aveva subito un lungo esilio per la causa della sua famiglia; lo nominò proprio medico personale e responsabile dei giardini reali, assegnandogli una casa a Londra e uno stipendio di 200 sterline. All'inizio del 1669, Morison pubblicò la sua prima opera, Praeludia botanica, un volume miscellaneo che riunisce tre lavori probabilmente scritti in momenti diversi. Di un certo interesse la dedica a Carlo II, in cui egli riferisce che, quando era al servizio del duca di Orlèans, aveva delineato un nuovo sistema di classificazione delle piante e che il duca gli aveva promesso di finanziare la pubblicazione di un libro per illustrarlo; ma la morte improvvisa del suo protettore aveva infranto le sue speranze. Ora si rivolgeva al re d'Inghilterra, degno nipote di tanto zio, per realizzare quel progetto che avrebbe d'un colpo reso la botanica inglese più illustre di quella italiana, francese o tedesca. La prima parte (e più cospicua del volume) è la terza edizione del catalogo dell'orto botanico di Blois, un elenco di circa 2600 piante, 260 delle quale sono indicate come nuove e sono descritte dettagliatamente in appendice. La seconda parte, Hallucinationes Caspari Bauhini in Pinace, item Animadversiones in tres Tomos Universalis Historiae Johannis Bauhini, è un feroce attacco contro gli errori di nomenclatura e classificazione dei fratelli Bauhin, puntigliosamente (e spesso non a torto) corretti e qualificati di "allucinazioni". La terza parte, Dialogus inter Socium Collegii Regii Gresham dicti et Botanographum Regium, è un dialogo sulla classificazione della piante tra se stesso e un membro della Royal Society. Morison magnifica la superiorità del proprio metodo, ma non lo descrive, limitandosi ad asserire, sulla scorta di Boccone, che la "nota generica" non deve essere tratta né dalle proprietà medicinali né dalla forma delle foglie, ma dalla fruttificazione, cioè dai fiori e dai frutti; non manca poi di stigmatizzare come "caos e confusione", pur senza citare in modo esplicito né l'opera né l'autore, il sistema elaborato da John Ray per le Tavole botaniche incluse nel saggio del vescovo Wilkin An Essay towards a Real Character and a Philosophical Language (1668). E' l'inizio di una frattura insanabile tra i due padri fondatori della sistematica britannica. Poco dopo l'uscita del libro, l'Università di Oxford gli offrì la cattedra di botanica: voluta da lord Danby all'atto di fondazione dell'Orto botanico di Oxford nel 1621, diventava effettiva solo ora, dopo un'attesa di quasi mezzo secolo. Era la prima in tutto il territorio britannico. Morison accettò e prese il nuovo incarico molto seriamente. I corsi si svolgevano nella bella stagione nell'orto botanico nell'arco di cinque settimane; una testimonianza del tempo ricorda che tre volte alla settimana il professore prendeva posto dietro un tavolo, posto al centro del guardino e colmo di piante, e le illustrava a studenti e uditori, che riusciva ad affascinare nonostante il duro accento scozzese. Per il resto dell'anno, tutto il suo impegno andava alla stesura dell'opera sognata per tutta la vita: se erano mancati i finanziamenti di due patroni regali, Gastone e Carlo II, ora Morison aveva trovato nell'Università di Oxford un sponsor disposto a pubblicare la sua opera, grazie soprattutto al sostegno dei fondatori dell'Oxford University Press John Fell del Christ Church e Obadiah Walker dell'University College. La grande opera, intitolata significativamente Plantarum Historiae Universalis Oxoniensis seu Herbarum distributio Nova per Tabulas Cognationis & Affinitatis ex Libro Naturae Observatae & Detectae, sarebbe stata il fiore all'occhiello della nova casa editrice e sarebbe stata riccamente illustrata. Morison ne diede un primo saggio in Plantarum Umbelliferarum Distributio Nova, pubblicato dalla casa editrice universitaria nel 1672. E' un fascicolo pilota il cui scopo fondamentare è sollecitare sottoscrizioni e donazioni per Historia universalis, di cui le Umbelliferae costituiranno la sezione IX; ecco perché nella Prefazione vengono finalmente presentati i principi del "nuovo metodo": "Il metodo è l'anima di ogni conoscenza: dunque in questa trattazione delle umbellifere, come pure in quella universale di tutte le piante, che promettiamo, mostreremo le note generiche ed essenziali tratte dai semi e dalla loro somiglianza, disponendo le specie in tavole sulla base di parentele e affinità. Aggiungeremo differenze specifiche tratte dalle parti meno nobili, ovvero radice, foglie, fusti, odore, sapore, colore, raccogliendo le singole specie sotto i singoli generi: in tal modo, specie riconoscibili per il diverso aspetto si schiereranno sotto generi intermedi, generi intermedi sotto generi supremi [ovvero tribù o famiglie], ciascuno distinto dalle proprietà essenziali e sempre nello stesso modo. Questo è l'ordine che la natura stessa ha dato alle piante, da me osservato per primo". Segue la trattazione delle piante con infiorescenza ad umbella, classificate sulla base delle caratteristiche dei semi, integrate con quelle di altri organi come le foglie. Morison distingue le Umbelliferae vere e proprie dalle Umbellae improprie dicto, dove troviamo generi come Valeriana, Filipendula e Thalictrum, e determina con chiarezza generi e gruppi di generi, le cui parentele e affinità sono illustrare da otto diagrammi (tabulas cognationis & affinatatis). La prima delle venti tavole calcografiche (le altre sono dedicate a specie nuove o meno note) raffigura le principali categorie di semi, sintetizzate nelle didascalie esplicative della pagina a fronte. Fin qui, la pars contruens; per non smentirsi, c'è anche la pars destruens, ovvero una quindicina di pagine dedicate alle Hallucinationes Caspari Bauhini, aliorum auctrorum. La monografia, la prima dedicata a una famiglia e illustrata da tavole calcografiche, è una brillante riuscita. Del resto, il soggetto del fascicolo di lancio non è stato scelto a caso: da una parte, questa famiglia è stata una delle prime ad essere identificata (Dodoens nel 1583); dall'altra, anche oggi per questa famiglia i frutti e i semi sono determinanti per una corretta identificazione. Applicare il metodo all'universo modo delle piante è un altra faccenda. Più difficile ancora trovare i soldi per continuare l'opera, costosissima proprio per il ruolo essenziale delle immagini. Il progetto prevede tre libri, il primo dedicato agli alberi e agli arbusti, gli altri due alle piante erbacee. Conscio della difficoltà dell'impresa, Morison parte da queste ultime, le più numerose e difficili da classificare, e nel 1680 esce finalmente la Pars secunda dell'Historia universalis, che contiene cinque delle quindici sezioni previste per le erbacee (De bacciferis, De leguminis, De siliquosis tetrapetalis bivalvis, De hexapetalis tricapsularis, De tricapsularis lactescentibus). Il risultato è inferiore alle attese: Morison per primo non si attiene al proprio metodo e le incongruenze abbondano. Non parliamo poi dell'aspetto finanziario: nonostante le sottoscrizioni di alcuni membri della Royal Society e del Collegio reale dei medici, egli è costretto a indebitarsi pesantemente con l'University Press. Comunque continua a lavorare alacremente al terzo volume; ma nel 1683, muore in seguito a un incidente stradale in cui incorre attraversando Charing Cross. ![]() Morisonia: le allucinazioni dei botanici continuano? Come abbiamo visto in questo post, sarà il diligente Jacob Bobart il Giovane a portare a termine il secondo volume. Il primo invece non uscirà mai. La casa editrice universitaria sarà per anni schiacciata dal debito di questa opera innovativa e audace, che non mancherà di influenzare i botanici successivi, mentre l'Università di Oxford si troverà per anni impelagata in una causa legale con la vedova per la proprietà dell'erbario. Il metodo di Morison fa scuola soprattutto in Germania: i suoi seguaci più entusiasti sono i fruttisti (secondo la terminologia di Linneo) Paul Amman, Christoph Knaut e Paul Hermann. In patria, gli nuocciono il carattere terribile e le offese a Ray, il cui metodo ben presto surclasserà il suo. A Morison è invece riservata una vera e propria damnatio memoriae. Più sotterraneo, ma determinante, l'influsso su Joseph Pitton de Tournefort, che dal botanico scozzese trarrà senza dubbio insegnamento per la precisa determinazione dei generi e la distinzione tra genere e specie. Ma la sua arroganza gli spiacerà sommamente, e non gli perdonerà di aver saccheggiato i botanici precedenti senza neppure citarli. Così si esprime in Elemens de botanique: "E' impossibile lodare a sufficienza questo autore. Ma mi sembra che si lodi già troppo da sé; perché invece di accontentarsi della gloria di aver partecipato al più bel progetto che si sia mai fatto in botanica, osa paragonare le proprie scoperte a quelle di Cristoforo Colombo, e senza parlare di Gessner, Cesalpino e Colonna, in molti luoghi delle sue opere afferma di non avere appreso nulla se non dalla natura. Gli si sarebbe potuto credere sulla parola, se non si fosse preso la pena di trascrivere pagine di questi due ultimi autori; dal che si vede che gli erano molto familiari. Il sig. Ray senza fare tanto chiasso è riuscito molto più di lui". I sospetti di Tournefort erano più che fondati; gli studiosi successivi hanno rilevato interi passi presi di peso da Cesalpino, che Morison conosceva benissimo ma non nomina mai: nella biblioteca di Oxford si trova una copia di De plantis fittamente annotata di sua mano. Quanto a Linneo (che guardava con un po' di sufficienza a questi predecessori in eterna lite tra di loro, tanto che li soprannominò Eristici, seguaci di Eris, la dea della discordia), in una lettera a Albrecht von Haller ne riconosce i meriti, ma conclude con una condanna senza appello: "Morison era vanitoso, ma gli va dato il merito di aver rinnovato un sistema mezzo morto. Se si osservano i generi di Tournefort, si deve ammettere quanto debba a Morison, tanto quanto questi doveva a Cesalpino, sebbene Tournefort stesso sia un ricercatore coscienzioso. Tutto ciò che c'è di buono in Morison è preso da Cesalpino, senza la cui guida egli si perde alla ricerca più di affinità naturali che di caratteristiche distintive". In ogni caso, riprendendo un suggerimento di Plumier, riserverà anche a lui la gloria di un genere botanico, Morisonia L., famiglia Capparaceae. E qui finiamo in una polemica non indegna dell'astioso dedicatario. La delimitazione in generi di questa famiglia nelle Americhe ha dato più di un grattacapo ai tassonomisti; tradizionalmente, la maggior parte delle specie erano assegnate a Capparis, affiancato da una serie di generi minori, tra cui appunto Morisonia, con circa otto specie. Questo amplissimo Capparis risultava però artificiale (polifiletico) e da qualche anno la linea prevalente è limitarlo alle specie del Vecchio Mondo. Quanto a quelle americane, alcuni ricercatori hanno iniziato a staccarne una serie di piccoli generi, finché nel 2018 nel quarto volume di The Global Flora è comparsa una nuova trattazione che ha incluso in Morisonia gran parte delle Capparaceae in precedenza assegnate a Capparis, allargandone i confini a oltre ottanta specie. La risposta di Xavier Cornejo (specialista di Capparaceae e principale fautore della divisione di Capparis in molti piccoli generi) non si è fatta attendere: in un articolo comparso lo stesso anno ha criticato aspramente questa soluzione, rilevando che, così inteso, Morisonia presenta una tale varietà di forme e comportamenti da diventare "un genere innaturale e difficile da comprendere". Dopo una pagina di critiche serrate, egli conclude che "la nomenclatura proposta [...] non ha supporto né morfologico né molecolare. Dunque nessuna di queste combinazioni ha valore nomenclatorio e va ridotta a sinonimi". Allucinazioni, avrebbe detto Morison. Ma noi viviamo in un'epoca più cortese (o forse più ipocrita). In attesa di futuri sviluppi che certo non mancheranno, conviene attenersi alle poche certezze: comunque venga inteso (con le ottanta e più specie di Morisonia sensu lato o le otto di Morisonia sensu stricto), si tratta di arbusti o alberelli del sottobosco delle boscaglie e delle foreste stagionalmente aride di Messico, Antille, Centro e Sud America. Sicuramente continuerà a farne parte la specie tipo di Linneo, M. americana; chiamata in inglese Ratapple, "mela dei ratti", nei paesi latino americani è conosciuta con tanti nomi che variano da un luogo all'altro: chocolatillo, zapote blanco, arbol del diablo del Diablo. E' un piccolo arbusto del sottobosco delle foreste aride caducifoglie, distribuito dal Messico all'Argentina settentrionale, attraverso le Antille; la caratteristica più notevole sono i piccoli frutti sferici con spessa corteccia marroncina e polpa biancastra edule usata come emolliente, con proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Qualche approfondimento nella scheda.
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Nella primavera del 1679 arriva in Virginia come pastore il reverendo John Banister; formatosi a Oxford, dove ha seguito i corsi di Robert Morison, è il primo naturalista con una formazione scientifica universitaria a stabilirsi nelle colonie inglesi del Nord America; all'impegno pastorale affianca infatti l'esplorazione della flora (e della fauna), incoraggiato da committenti inglesi, tra cui il suo diretto superiore, il vescovo Banister, cui invia molte primizie americane per il giardino di Fulham. Progetta di scrivere una storia naturale della Virginia, ma perde la vita in un incidente assurdo. A ricordarlo il genere Banisteriopsis (famiglia Malpighiaceae). ![]() Un pastore naturalista A fine Seicento, la Virginia, la prima delle tredici colonie del Nord America, incominciava ad assestarsi dopo un avvio tutt'altro che facile. I coloni, che l'avevano fondata nel 1609, avevano dovuto affrontare la fame, ripetute guerre contro le popolazioni native, due massacri (nel 1622 e nel 1644). Durante la guerra civile erano rimasti sostanzialmente fedeli alla monarchia (tanto che Carlo II, recuperando il trono, la soprannominò The Old Dominion, l'antica colonia). Malattie, uragani, alluvioni, l'ostilità dei nativi, le tensioni con il governo centrale non mancavano, ma la Virginia aveva ormai trovato la risorsa che ne avrebbe fatto la più ricca delle colonie: la coltivazione del tabacco. Non era però una situazione né tranquilla né pacificata. Nel 1676 il piantatore Nathaniel Bacon guidò una rivolta armata (la prima nelle tredici colonie) contro il governatore William Berkeley, biasimato da una parte per i suoi metodi autocratici, dall'altro per la sua politica di pacificazione con i nativi, che impediva ai coloni poveri di installarsi oltre i confini della colonia. Alla ribellione, che assunse carattere molto violento, con il genocidio degli indiani Susquehanock e l'incendio della capitale Jamestown, aderirono i medi e piccoli proprietari e molti degli immigrati più poveri arrivati in Virginia come "servi a contratto", mentre i grandi proprietari rimanevano fedeli al governatore. Repressa con ferocia da Berkeley, la ribellione si esaurì con la morte di Bacon, ma lasciò un'eredità pesante: da quel momento, a lavorare nelle piantagioni furono sempre meno europei semi-liberi e sempre più schiavi neri. La Virginia si avviava a trasformarsi in una società razzista, basata sul sistema di piantagione e lo schiavismo. Il protagonista della nostra storia vi arrivò a ridosso di questi eventi. John Banister (1650-1692), nato in una famiglia modesta, a diciassette anni fu ammesso come corista al Madgdalen College di Oxford; benché destinato al sacerdozio, incominciò a frequentare l'Orto botanico, facendo amicizia con Jacob Bobart il Giovane, e a seguire le lezioni di Robert Morison, a quel tempo impegnato nella mastodontica Plantarum historia universalis oxoniensis. Allestì un erbario e un catalogo di piante; ad affascinarlo erano soprattutto quelle americane. A sua volta Morison fu colpito dal suo talento e lo segnalò al vescovo di Londra Henry Compton, che stava cercando missionari interessati alle scienze naturali da inviare nelle colonie. Fu così che Banister, dopo essersi laureato nel 1674 e aver servito per un biennio come cappellano, nel 1678 si imbarcò alla volta dell'America, ufficialmente come ministro anglicano, ufficiosamente come naturalista e cacciatore di piante per i suoi patroni Morison e Compton. Dopo due scali alle Barbados e a Grenada, raggiunse la Virginia nella primavera del 1679. Il 7 aprile 1679 (data della prima lettera a Morison a noi pervenuta) era ospite del piantatore e commerciante William Byrd I. Di poco più vecchio di lui, Byrd era emigrato in Virginia per prendere possesso di una proprietà di alcuni acri lasciatagli da uno zio e aveva cominciato ad arricchirsi trafficando con gli indiani rum, fucili, ferramenta e lana in cambio di pellicce; era stato uno dei primi seguaci di Bacon, prendendo anche parte ad alcune azioni armate, ma poi era passato dalla parte del governatore. Col tempo sarebbe diventato un ricchissimo piantatore, proprietario della Westover Plantation che si estendeva per 1200 acri (equivalenti a quasi 5 km quadrati). Byrd era interessato alle piante da un punto di vista pratico: fece venire semi di nuove varietà di tabacco e importò piante orticole e agricole dall'Inghilterra. Incoraggiò Banister nelle sue ricerche, coinvolgendolo nelle sue spedizioni lungo la frontiera, e più tardi mantenne per lui i rapporti con l'Inghilterra, curando i suoi invii di piante, semi e animali e procurandogli materiali da disegno, carta e libri. Nella lettera a Morison, dopo aver descritto in termini coloriti i conflitti con gli indiani "nemici barbari", Banister descrive la Virginia come una terra fertile e ricca di acque che può offrire ogni bene necessario per la vita e per il piacere. Riferisce con meraviglia della grande ricchezza di alberi, che potrebbero ripopolare gli impoveriti boschi inglesi: ogni tipo di quercia, castagno, salice. Biasima la ristrettezza di vedute dei piantatori, unicamente interessati al tabacco e ai soldi che ne possono ricavare, mentre è affascinato dalla grande varietà di piante coltivate dai barbari indiani: mais con chicchi di tutti i colori, patate in innumerevoli varietà, fagioli, angurie e meloni. A lui il tabacco interessava soprattutto dal punto di vista scientifico e più tardi raccolse i semi delle diverse varietà coltivate dagli Indiani, creando una specie di banca del seme antelitteram. In una data ignota, Banister divenne ministro della Parrocchia di Bristol, la cui chiesa parrocchiale si trovava nei pressi dell'attuale città di Hopewell, lungo il fiume Appomattox. Cercava di conciliare i doveri pastorali con le ricerche naturalistiche, ma dovette constatare che era impossibile vivere con i magri proventi della parrocchia e dei pochi acri di terra che gli erano stati concessi, tanto più che nel 1687 mise su famiglia, sposando una giovane vedova. Qualche aiuto gli sarà venuto dai suoi amici londinesi, ma alla fine si rassegnò a trasformarsi anche lui in piantatore; nel 1689 acquistò 1735 acri nella Charles City County. A quel punto doveva ormai essere uno dei maggiorenti locali: l'anno successivo lo ritroviamo tra i membri del comitato fondatore del College of William and Mary che, tuttavia, a causa di difficoltà finanziarie, nascerà ufficialmente solo dopo la sua morte. Banister cominciò ad esplorare la natura della Virginia fin dal suo arrivo nella colonia. Dato che muoversi da solo in quel territorio ancora di frontiera era estremamente pericoloso, approfittava il più possibile delle spedizioni di Byrd, anche se difficilmente si sarà allontanato da casa più un centinaio di km. Le spedizioni, che comprendevano cacciatori, boscaioli per aprirsi la strada, guide e interpreti, si muovevano lungo le piste commerciali, per lo più ai piedi delle colline, e più raramente si spingevano sulle montagne (contro l'immagine eroica che Linneo darà delle esplorazioni di Banister). Il primo invio del missionario-naturalista raggiunge l'Inghilterra nel 1680: ci sono insetti, aracnidi e molluschi per il medico Martin Lister e circa 150 tra disegni, esemplari di piante e semi per Morison e il vescovo Compton. A destare la maggior sensazione è il disegno di una pianta "dalla forma così strana e mostruosa che ne provo paura": è Sarracenia purpurea. Il vescovo e i suoi amici del Temple Coffee House Club ne sono elettrizzati e chiedono a Banister (si spera in cambio di qualche sussidio economico) di inviare disegni di piante, esemplari di erbario, piante vive, semi, tutto quello che potrà raccogliere. L'invio del 1682 comprende una lista di piante per John Ray, una serie di disegni per Leonard Plukenet (che li pubblicherà nella sua Pytographia), altre piante per il giardino di Fulham: la più notevole è Magnolia virginiana, la prima magnolia a toccare il suolo europeo. Seguiranno Lindera benzoin, Liquidamber styraciflua, Cornus amomum, Gleditsia triacanthos, Chionanthus virginicus, Acer negundo, Rhus copallina, Aralia spinosa, Merispermum canadense, Quercus rubra, Ostrya virginiana, Abies balsamea, Nyssa aquatica. Tra tanti alberi e arbusti c'è anche qualche erbacea, come il Dracunculus Virginianus latifolius di cui il vecchio amico Bobart pubblica un'immagine nel 1699: è la prima riproduzione di Echinacea purpurea. Banister si interessa anche di altri campi della storia naturale. In una lettera al vescovo Compton del 1689, descrive e riconosce la funzione dei bilancieri delle mosche, che erano stati descritti qualche anno prima da Robert Hooke, senza però individuarne la funzione; in un contributo poi inviato alla Royal Society studia la conchiglia e i disegni dorsali e ventrali del curioso granchio Limulus polyphemus; è il primo a descrivere l'anatomia interna di una lumaca. La lettera in cui descrive Mutinus elegans è considerata il primo articolo dedicato a un fungo del Nord America. Rimane però principalmente un botanico e il suo sogno è scrivere una storia naturale della Virginia; a tale scopo, raccoglie esemplari d'erbario, redige liste, prende note. Ma a soli 42 anni la sua vita viene spezzata da un incidente assurdo e crudele. All'inizio di maggio 1692, ancora una volta accompagna Byrd e i suoi uomini in una spedizione che seguendo la pista commerciale nota come Occaneechee Trading Path si dirige verso il Roanoke River; forse proprio per cercare qualche pianta, si addentra nella boscaglia. Uno dei dipendenti di Byrd, Jacob Colson, lo scambia per un animale e gli spara. Almeno, questa è la versione ufficiale, registrata nel Henrico County Court order book in data 16 maggio 1692. L'incidente, avvenuto lontano da occhi indiscreti, resta avvolto dal mistero: la famiglia venne informata che era stato ucciso dalla caduta di un albero, mentre Ray credeva fosse morto cadendo da una roccia. Lasciava una vedova, un bimbo di due anni e un'opera mai scritta. Il suo nome è ricordato da Banisteria, la rivista della Virginia Natural History Society, dedicata alla storia naturale della Virginia, con articoli che coprono la botanica, la zoologia, l'ecologia e la geologia. ![]() Botanici allucinati, piante allucinogene Dopo la sua morte, le collezioni di Banister furono riunite da Byrd e inviate a Londra insieme a una copia dei cataloghi. Le osservazioni sugli insetti della Virginia furono pubblicate nel 1701 nelle Transactions della Royal Society, mentre le raccolte botaniche, i disegni, le lettere e i cataloghi di piante influenzarono in vario modo la conoscenza della flora nordamericana e le opere di molti altri autori. In primo luogo, attraverso il giardino del vescovo Compton a Fulham, e in misura minore l'orto botanico di Oxford, furono dozzine le specie da lui introdotte in Inghilterra, in particolare quegli alberi e arbusti che sono alla base del passaggio dal giardino formale alla francese al giardino paesaggistico all'inglese. In secondo luogo, molti autori recuperarono le sue osservazioni sulla flora, la fauna e gli abitanti della Virginia, a volte senza citarlo. Così fece Robert Beverly, che in History and Present State of Virginia (1705) trascrisse verbatim intere pagine delle note di Banister. Molto ampia è la presenza delle sue raccolte nelle opere dei botanici britannici a cavallo tra Seicento e Settecento, a cominciare da John Ray che nel secondo volume di Historia Plantarum (1693) pubblicò un catalogo di piante americane, basato su una lista ricevuta nel 1682 da Banister, da lui salutato come "uomo eruditissimo e completissimo botanico". James Petiver in Museum Petiverianum cita 65 denominazioni di Banister per piante americane coltivate nel giardino di Fulham dal vescovo Compton e utilizza le sue note sui funghi nelle edizioni della sua Gazophylacii Naturae & Artis (1702–1709). Lister pubblica gli insetti, molluschi, aracnidi e animali primitivi da lui raccolti in Historia Sive Symposis Methodica Conchyliorum (1685–1692). Plukenet utilizza alcuni dei suoi disegni in Phytographia (1691–1705). Dillenius include i suoi muschi in Historia Muscorum (1741). Sono tutte opere ben note a Linneo, che durante la sua visita a Londra e a Oxford poté anche ammirare esemplari di erbario raccolti da Banister. E' dunque naturale che accogliesse la proposta di Houstoun di dedicargli un genere di piante. Houstoun aveva unito sotto il nome Banisteria un'intera famiglia di piante rampicanti tropicali, una delle quale era stata raccolta da Banister nelle Barbados. Forse attraverso racconti orali raccolti durante il soggiorno inglese, Linneo si era anche formata un'immagine romantica della figura di Banister, che ritroviamo nella dedica strappalacrime del genere Bannisteria (con due enne) in Hortus Cliffortuanus: "Houstoun ha destinato questa santa famiglia di piante alla memoria dell'inglese John Bannister [sic!] che prima di lui diede persino la carissima vita per le piante. Egli infatti penetrando i recessi della Virginia, scalando monti e rupi, affinché nulla rimanesse nascosto al suo zelo, per un caso sventurato inciampò, cade, si sfracellò e perì miseramente. Gli fu dunque dedicata una pianta americana rampicante con frutto spaccato color del sangue". Come si vede, egli segue la versione divulgata da Ray; la pianta in questione, qui Bannisteria foliis ovatis, ramis dichotomis [ecc.], ribattezzata in Species plantarum Banisteria (con una enne) fulgens, oggi si chiama Stigmaphyllon emarginatum. In effetti è un rampicante che ha per frutto uno schizocarpo che a maturità si divide in tre samare con ali rosso vivo. Linneo ufficializza il genere in Species Plantarum (1753), questa volta con la grafia corretta Banisteria. E' l'inizio di un nodo gordiano tassonomico. Egli distribuisce le specie che più tardi saranno assegnate alla famiglia Malpighiaceae in tre generi, distinti sulla base dei frutti: Malpighia, con frutto carnoso; Banisteria, con frutto che si divide in tre samare ciascuna con una grande ala dorsale trilobata; Thryallis con il frutto che si divide in tre cocci. Oggi, l'unico accettato rimane Malpighia. Il suo genere Banisteria, con il senno di poi, risulta un gruppo eterogeneo, che riunisce sette specie che oggi appartengono a quattro generi diversi (uno dei quali di un'altra famiglia). Dal resto, questo gruppo di Malpighiaceae è particolarmente difficile da classificare, e non possiamo prendercela con il vecchio Linneo, tanto più che i botanici che verranno dopo faranno di peggio. Nel corso dell'Ottocento, infatti, mentre cresceva il numero delle specie note e venivano creati nuovi generi, il nome linneano fu mantenuto e allargato a molte nuove specie. Particolarmente influente fu la trattazione di Banisteria di Adrien de Jussieu, seguita da molti autorevoli colleghi; ma il suo genere non aveva nulla a che fare con quello di Linneo, di cui non includeva neppure una specie. Infatti le specie linneane erano state tutte via via assegnate a nuovi generi; il gruppo più consistente era costituito da tre specie che ora facevano parte di Heteropterys, creato da Kunth nel 1821. Il primo ad accorgersi di questa incongruenza fu il botanico americano Charles Budd Robinson che nel 1910 propose di ripristinare il nome linneano per sostituire Heteropterys e ribattezzare Banisteriopsis "simile a Banisteria" il genere Banisteria nel senso di Jussieu. La proposta fu accettata solo in parte, generando ulteriore confusione; come capita in questi casi, a tagliare il nodo gordiano provò il Congresso Botanico Internazionale di Cambridge (1930) che decise di considerare legittimi Heteropterys e Banisteriopsis e di cassare Banisteria (nome reijcendum). La saga non finì lì, ci fu ancora qualche botanico che difese Banisteria, per non parlare di vivaisti e appassionati, finché negli anni '60 del Novecento il nome linneano fu definitivamente mandato in pensione e Banisteriopsis universalmente accettato. Banisteriopsis C.B.Rob. è un vasto genere della famiglia Malpighiaceae che riunisce una sessantina di specie di arbusti, piccoli alberi e liane rampicanti diffusi dal Messico al Sud America tropicale, con centro di diversità in Brasile, in due diversi ambienti: le savane tropicali, dove sono soprattutto arbusti, e la foresta pluviale, dove sono liane, a volte di dimensioni enormi. Dopo aver letto l'intricata storia della loro denominazione, forse non vi stupirete di scoprire che la specie più nota B. caapi è un potente allucinogeno. Tanto è vero che lo stato della Louisiana ha proibito la detenzione e la coltivazione di tutte le specie di questo genere, salvo per usi ornamentali. Qualche informazione in più nella scheda. Nella seconda metà del Seicento, due studiosi con le loro ricerche innovative al microscopio si qualificano come padri dell'anatomia vegetale: sono l'italiano Marcello Malpighi e l'inglese Nehemiah Grew. Entrambi sono sponsorizzati e finanziati dalla Royal Society di Londra, e dimostrano grande stima l'un l'altro, anziché litigare furiosamente per la primogenitura delle scoperte, come in quegli stessi anni fanno Newton e Liebnitz, o giurarsi odio eterno per una divergenza d'opinioni come lo stesso Newton e Hooke. Neanche in questo blog li faremo litigare: entrambi dedicatari di un genere di piante, meritano un post ciascuno. Iniziamo dal più giovane, ma anche quello che pubblicò per primo: Nejemiah Grew, dedicatario di Grewia (Malvaceae) ![]() Studiare le piante con il microscopio I primi microscopi vennero fabbricati intorno al 1590 da artigiani di Leida; utilizzavano diverse lenti sovrapposte, tra le quali veniva inserita dell'acqua, ed erano ancora molto insoddisfacenti, Perché acquisissero una risoluzione accettabile bisognò attendere circa mezzo secolo, con i perfezionamenti introdotti dallo scienziato inglese Robert Hooke (1635-1703), che gli permisero una serie di scoperte entusiasticamente esposte in Micrographia restaurata (1665); per la botanica, la più importante è la scoperta delle cellule, che egli osservò nel sughero. Nel 1660 venne fondata la Royal Society, e dal 1662 Hooke ne divenne il curatore degli esperimenti. La nuova società scientifica incoraggiò le ricerche microscopiche non solo di Hooke, ma anche di altri due soci: l'italiano Marcello Malpighi (1628-1694), membro corrispondente dal 1669, e l'inglese Nehemiah Grew (1641-1712), membro dal 1672 e segretario della società insieme allo stesso Hooke tra il 1677 e il 1679. Le ricerche dell'italiano e dell'inglese procedettero in contemporanea e sono un caso singolare e felice di scoperta parallela, senza le gelosie e le rivalità che contrapposero - in modo feroce - Newton a Hooke o a Leibnitz. Secondo le loro stesse dichiarazioni, Malpighi iniziò i suoi studi anatomici mediante il microscopio intorno al 1661, il più giovane Grew ad appena tre anni di distanza, nel 1664. Nel 1670 o all'inizio del 1671 egli comunicò i primi risultati delle proprie ricerche in un saggio che la Royal Society pubblicò nel novembre 1671 con il titolo The Anatomy of Vegetables begun. Circa un mese dopo, nella seduta del 21 dicembre (la stessa in cui fu presentata la candidatura di Newton), venne letta una comunicazione sullo stesso argomento inviata dall'Italia da Malpighi. Negli anni successivi tra i due scienziati si instaurò un rapporto di grande stima, anche se ostacoli materiali impedirono una vera collaborazione; una missiva o un pacco spediti dall'Italia potevano metterci sei mesi a raggiungere Londra (e viceversa), e non era infrequente andasse perduto, Ad esempio, sappiamo che il trattato sulle radici di Grew, pubblicato nel 1673, fu affidato a Boccone perché lo consegnasse a Malpighi, ma il botanico, anziché proseguire per l'Italia, si trattenne ad Amsterdam, e il libro non arrivò mai allo scienziato bolognese, che non poté tenerne conto. Ecco dunque che le ricerche dei due padri dell'anatomia vegetale proseguirono in modo parallelo ma diverso, riflettendo anche le differenti personalità dei due, come sottolinea Anne Arbor nel suo saggio Nehemiah Grew (1641-1712) and Marcello Malpighi (1628-1694): An Essay in Comparison (1942). Riservando a Malpighi un altro post, soffermiamoci dunque per ora su Nehemiah Grew. Nato a Mancetter nel Warwickshire, era figlio del vicario non conformista di una parrocchia di Covenrty, che come lui portava un altisonante nome biblico: Obadiah Grew. Nehemiah stuiò al Pembroke College di Cambridge e probabilmente frequentò il circolo di naturalisti che si riuniva intorno a John Ray; tuttavia, nel 1662, in seguito alla restaurazione, sia il neodiplomato Grew sia Ray dovettero lasciare l'università in quanto non conformisti. La stessa sorte toccò al fratellastro di Grew Henry Sampson (nato dal primo matrimonio della madre), che completò gli studi di medicina a Padova e a Leida. Poco dopo aver lasciato Cambridge, Nehemiah Grew cominciò a interessarsi all'anatomia dei vegetali, un argomento già di per sé rivoluzionario, dato che all'epoca si pensava generalmente che le piante non avessero organi interni con funzioni differenziate e che il loro aspetto esterno fosse una "chiave" fornita dal buon Dio per riconoscerne le virtù medicinali, secondo al diffusa teoria delle segnature. Grew iniziò coltivando diverse piante a partire dai semi e studiandone le fasi di sviluppo; l'idea di accostare all'osservazione "a occhio nudo" quella microscopica gli fu suggerita da letture come Anathomia hepatis di Glisson (1654) - che ipotizzava l'utilità generale dello studio anatomico dei vegetali, in quanto più semplici degli animali - o la stessa Micrographia di Hooke, che contiene anche dieci tavole con forme e strutture vegetali viste al microscopio. Ma a un certo punto le necessità della vita imposero a Grew di trovarsi una professione. La carriera ecclesiastica, tradizionale nella sua famiglia, gli era preclusa. Nel 1666 il padre, come non conformista, perse il lavoro di vicario (più tardi sarebbe stato anche incarcerato per le sue idee). Seguendo l'esempio del fratellastro, Grew optò per la medicina; nel luglio del 1671, con un viaggio lampo, si recò a Leida e vi rimase giusto i pochi giorni necessari per presentare la tesi e laurearsi. Quindi tornò a Coventry e avviò una carriera di medico. A cambiare la sua vita (e la storia della biologia) fu il fratellastro Henry Sampson. Dopo la laurea si era stabilito a Londra, dove lavorava come medico ed era entrato in contatto con Henry Oldenburg, il segretario della neonata Royal Society; gli parlò delle ricerche di Nehemiah e alla fine del 1670 o nei primissimi giorni del 1671 gli fece avere un manoscritto con i risultati delle sue prime ricerche; nel maggio 1671 la Royal Society lo accettò e lo pubblicò all'inizio di novembre come The Anathomy of Vegetables begun. Al di là del titolo modesto, è uno studio particolareggiato e attentissimo di tutte le strutture dei vegetali, che guadagnò a Grew l'immediata ammissione alla Royal Society. Come ho anticipato, pochi giorni dopo la sua pubblicazione giunse a Londra e fu letta la comunicazione di Malpighi sullo stesso argomento. Forse Grew temeva di essere messo da parte, a favore del più vecchio e più quotato collega; invece l'altro segretario della Society, il vescovo John Wilkins, sentenziò che in un campo così nuovo il lavoro parallelo e indipendente di due ricercatori avrebbe ridotto gli errori e moltiplicato gli avanzamenti e convinse Grew a trasferirsi a Londra. Nell'aprile 1672 Grew divenne curatore del gabinetto di curiosità della società con uno stipendio di 50 sterline; garantita da una sottoscrizione di dieci privati, che in parte si tirarono ben presto indietro, di fatto la somma non gli fu mai versato interamente; almeno sul piano simbolico, è comunque una tappa verso la professionalizzazione degli scienziati: per la prima volta, uno studioso veniva pagato per svolgere una ricerca su un argomento specifico. Grazie a Hooke, Grew, che fino ad allora aveva utilizzato uno strumento molto scarso, ebbe a disposizione un microscopio di qualità superiore. Il risultato fu una serie di comunicazioni lette alle sedute della Society del 1672 e riunite nel 1673 in Idea of a Phytological History; è un testo essenzialmente metodologico, che schematizza i vari metodi di osservazione delle piante. Tra il maggio 1672 e l'aprile 1674 Grew si dedicò alla sistematica analisi anatomica delle radici e di steli e tronchi, esponendo i risultati rispettivamente in Anatomy of Roots e Anatomy of Trunks. Ulteriori lavori su foglie, fiori, frutti e semi seguirono tra il 1676 e il 1677. A un certo punto, lo stipendio venne meno, e Grew tornò per breve tempo a Coventry. Tuttavia dopo la morte di Oldenburg lo sostituì come segretario della Royal Society, incarico che mantenne tra il 1677 e il 1679, curando tra l'altro la pubblicazione di cinque numeri delle Philosophical Transactions, e la redazione del catalogo del gabinetto delle curiosità Museum Regalis Societatis (1681), in cui è evidente il passaggio dall'interesse per lo strano e il mostruoso all'osservazione e alla catalogazione sistematica della natura. Le ricerche di Grew sull'anatomia vegetale confluirono infine in Anatomy of Plants, pubblicato sotto il patrocinio della Royal Society nel 1682: è una grande opera in folio che riprende in gran parte i lavori precedenti e si articola in quattro volumi: Anatomy of Vegetables begun, Anatomy of Roots, Anatomy of Trunks and Anatomy of Leaves, Flowers, Fruits and Seeds, con un'appendice di sette articoli di argomento chimico, principalmente dedicati all'analisi di prodotti vegetali. Impressionanti per finezza e precisione dei dettagli le 83 tavole con le sezioni anatomiche al microscopio. Non meno innovativi i contenuti di questa pietra miliare della storia della biologia vegetale. L'idea guida di Grew è che tra animali e piante ci sia un'affinità e che negli uni come nelle altre si trovino organi deputati alle diverse funzioni. Egli dunque esamina e descrive con estrema precisione la struttura delle diverse parti delle piante (radici, fusto, foglie, fiori, frutti e semi), osservate dapprima a occhio nudo, poi al microscopio. Partendo dalla scoperta della cellula da parte di Hooke (un termine che questi aveva ripreso dalle celle degli alveari), egli individua nei tessuti vegetali due "parti organiche essenzialmente distinte", la parte legnosa e la parte del midollo, composta da cellule (che egli chiama vesciche) indifferenziate separate da spazi vuoti. Riprendendo un termine già usato da Glisson la chiama parenchima, un termine ancora oggi usato nello stesso significato. Le fasi della germinazione del seme sono studiate con attenzione; Grew chiama i cotiledoni "foglie", ma comprende che si tratta dei "lobi" dei semi e verifica che in alcuni casi rimangono sotterranei; descrive con accuratezza vari modi di vernalizzazione del germoglio; osserva i movimenti dei viticci e nota che non tutti si avvolgono nella stessa direzione. Fu anche il primo ad estrarre la clorofilla, dissolvendola in olio. La parte più innovativa è però l'esame delle strutture del fiore, dal boccio all'antesi; Grew riconosce che i sepali che formano il calice sono foglie modificate, mostra che i capolini delle Asteraceae sono infiorescenze formate da molte parti, ipotizza correttamente la funzione del pistillo come organo femminile e degli stami come organi maschili, di cui il polline è il seme. Fu il primo a studiare al microscopio il polline, constatando che i granuli di polline delle diverse specie sono diversi tra loro, mentre quelli della stessa specie sono identici. Al momento della pubblicazione di Anatomy of Plants Grew aveva solo 41 anni, e ne avrebbe vissuti altri trenta. A partire dal 1680, visti gli scarsissimi emolumenti pagati dalla Royal Society, si dedicò soprattutto alla professione medica, con notevole successo. Gli interessi scientifici non si spensero, ma passarono in secondo piano e si dispersero in una moltitudine di soggetti: studiò la struttura della neve, la composizione chimica dei sali marini e dei sali delle acque termali, osservò e descrisse i pori, le pieghe e le creste cutanee presenti sulla superficie delle mani e dei piedi e nel 1684 pubblicò i primi accurati disegni di impronte digitali. L'ultimo scritto, Cosmologia Sacra, è un ritorno alle origini familiari, trattandosi di un trattato teologico che intende dimostrare "la verità e l'eccellenza della Bibbia". Una sintesi della vita del poliedrico personaggio nella sezione biografie. ![]() Fiori a stella e frutti rinfrescanti Fu Linneo in persona a celebrare il padre dell'anatomia vegetale e della palinologia (la scienza dei pollini) dedicandogli il genere Grewia. Dalla dedica in Hortus Cliffortianus è evidente che ne aveva grandissima stima: "Consacrata alla memoria dell'inglese Nehemiah Grew, abilissimo e sagacissimo anatomista delle piante". Anche la bellezza delle due specie che egli assegnò inizialmente al nuovo genere, G. occidentalis e G. orientalis, testimonia questa stima. Dai tempi di Linneo il genere è cresciuto assai e oggi gli sono assegnate oltre 280 specie di alberi e arbusti diffusi nelle aree tropicali e subtropicali di Africa, Asia e Oceania, in una varietà di ambienti. Un tempo assegnato alle Tiliaceae o alle Sparmanniaceae, oggi - non senza molti dubbi - il genere fa parte delle Malvaceae. Comprende piccoli alberi o grandi arbusti solitamente piuttosto ramificati, con giovani rami pelosi, foglie alterne con margini serrati o raramente lobati, fiori a stella, solitari o raccolti in cime, con sepali più lunghi dei petali, e in genere dello stesso colore (bianchi, gialli, rosa o lilla), con un folto ciuffo di stami al centro. Alcune specie sono coltivate per le fioriture molto attraenti; quella più nota e più facilmente disponibile da noi è la sudafricana G. occidentalis, un bell'arbusto con piccole foglie lucide, sepali e petali lilla e stami giallo-arancio. Ugualmente sudafricana e di notevole impatto estetico è G. lasiocarpa, con grandi foglie quasi circolari e fiori rosa chiaro, seguiti da bacche quadrilobate che maturando diventano nere e rimangono a lungo sulla pianta. Sono proprio i frutti a costituire il maggiore richiamo di diverse specie, e non solo per gli uccelli e per gli altri animali selvatici che, cibandosene, favoriscono la dispersione e la germinazione dei semi. In Asia, G. asiatica, comunemente nota come falsa o phalsa, è intensamente coltivata per le piccole bacche che maturano d'estate e vengono utilizzate per produrre sciroppi e bevande rinfrescanti dal gusto acidulo e dalle proprietà astringenti. La medicina Ayurvedica attribuisce proprietà medicinali ai frutti, ma anche alle radici, alla corteccia, alle foglie e ai germogli. Da G. mollis, nativa dell'Africa tropicale, dello Yemen e dell'Oman, si ricava invece una gomma edibile, un polisaccaride mucillaginoso che trova impiego come eccipiente in farmacia. Diverse altre specie hanno notevole importanza ecologica, come alimento degli animali selvatici, compreso il raro rinoceronte nero. Altre informazioni nella scheda. Nel 1794, quando fu assegnato al Dipartimento medico della presidenza del Bengala, Francis Buchanan aveva già trentadue anni e da dieci prestava servizio come chirurgo sulle navi della Compagnia delle Indie. Ora finalmente contava di dedicarsi alla sua vera passione: la botanica. Ma, contrariamente a quella del conterraneo William Roxburgh, da poco nominato sovrintendente dell'Orto botanico della Compagnia a Calcutta, la sua carriera ventennale in India proseguì in un'alternanza di grandi speranze e cocenti delusioni. Quando finalmente fu chiamato a succedere a Roxburgh, di anni ne aveva orami più di cinquanta, ed era già deciso a ritornare in Europa. Benché sia stato un raccoglitore straordinario e sia stato tra i primi ad esplorare la flora della Birmania e del Nepal, più che come botanico è noto come geografo ed esploratore, grazie alle due ricognizioni che diresse nel 1800-01 a Mysore e tra il 1807 e il 1814 in Bengala. A ricordarlo il genere Buchanania, che comprende una ventina di specie di alberi tropicali diffusi tra l'India e l'Australia; alcuni producono semi commestibili simili a quelli dell'anacardio. ![]() Sedici anni di gavetta Nella vita di Francis Buchanan, più tardi Buchanan-Hamilton (1762-1829), c'è una specie di convitato di pietra: William Roxburgh. Quasi coetanei (Roxburgh gli è maggiore di dieci anni) i due sono entrambi scozzesi, si sono formati con gli stessi maestri e si sono laureati in medicina alla stessa università, quella di Edimburgo. Subito dopo la laurea, a dieci anni di distanza, entrambi sono entrati al servizio della Compagnia inglese delle Indie (EIC): spinti dalla necessità (l'uno come l'altro sono privi di mezzi), ma anche dal sogno di farsi un nome come scienziati. Prima di potersi dedicare interamente alla botanica, anche a Roxburgh non erano mancati gli anni di apprendistato, quando lavorava come sotto chirurgo e poi chirurgo dell'EIC; ma fin dal 1781 (all'epoca aveva trent'anni) è diventato botanico ufficiale, poi capo naturalista della presidenza di Madras, quindi dal 1793 direttore dell'orto botanico di Calcutta, che trasforma in uno straordinario centro di ricerca. La carriera di Buchanan ripercorre alcune di queste tappe, ma in tempi dilatati e con un percorso segnato da speranze e delusioni. Le leggi scozzesi, ancora basate sul maggiorascato, escludono Francis, quarto figlio maschio, dall'eredità del padre, un facoltoso medico appartenente alla piccola nobiltà, che è anche un proprietario terriero. Per mantenersi deve avere una professione e sceglie la medicina. All'università, due incontri segnano per sempre la sua vita: il primo è con il suo professore di botanica, John Hope, che lo inizia alla scienza delle piante e al culto di Linneo; il secondo è con il condiscepolo James Edward Smith. Nel 1783, l'anno in cui Francis Buchanan si laurea, quest'ultimo acquista le collezioni linneane e di colpo, da oscuro studente, si trasforma in una stella di prima grandezza del firmamento dei naturalisti. E' probabilmente questo esempio a spingere Francis ad entrare al servizio dell'EIC, anziché iniziare una tranquilla carriera di medico di provincia. La prima delusione è immediata: l'EIC ha già fin troppi chirurghi nelle stazioni di terra, e Buchanan è costretto a prestare servizio sulle navi della Compagnia che fanno la spola tra l'Inghilterra e l'Asia; gli scali sono brevi e occasionali, e, come egli stesso si esprime, la botanica, di cui aveva sperato di fare una professione, diventa il suo hobby horse. Finalmente nel 1794 l'ultimo ingaggio lo porta da Portsmouth a Calcutta, dove entra al servizio del Dipartimento medico della Presidenza del Bengala. Va a fare visita a Roxburgh, che è ciò che lui vorrebbe essere: un botanico professionista e uno scienziato riconosciuto a livello internazionale. Per lui è un punto di riferimento, un amico, un corrispondente, un modello, ma, come vedremo, più tardi si trasformerà in un rivale, o per lo meno in un ostacolo. Assegnato alla remota stazione rurale di Luckipore, dove c'è ben poco da scoprire, Buchanan ha la sua prima occasione nel 1795, quando, forse proprio grazie alla raccomandazione da Roxburgh, accompagna il capitano Michael Symes in missione diplomatica in Birmania come medico della legazione. Anche se non fa parte dei suoi compiti, Buchanan ne approfitta per mettere insieme un erbario birmano di 168 esemplari e per interessarsi alla cultura, alla religione e alla letteratura del paese. Dotatissimo naturalista, egli è anche un osservatore acuto e un meticoloso raccoglitore di informazioni. Tuttavia, tutti questi talenti per ora rimangono inutilizzati. Nonostante doni l'erbario e il catalogo delle piante birmane alla Compagnia, nella speranza di accreditarsi come botanico, il dono cade nel vuoto e gli toccano altri cinque anni di purgatorio. Fino al 1798 rimane a Luckipore, quindi viene trasferito a Buraipur che ha il vantaggio di distare solo una giornata da Calcutta, ma non presenta alcuna attrattiva per un botanico; Buchanan si rassegna a trasformarsi in zoologo e a studiare gli animali. Unico diversivo, sempre nel 1798, una missione a Chittagong, che gli è stata procurata da Roxburgh che lo considera il migliore tra i botanici che operano in India. Quando Buchanan scopre che nel volume di Symes sull'ambasceria (An Account of the Embassy to the Kingdom of Ava, London 1800) sono stati usati i suoi disegni e le sue descrizioni naturalistiche senza neppure citarlo, anzi attribuendone la paternità a Joseph Banks, alla frustrazione si aggiungono il dolore e l'indignazione. Per la Compagnia e per gli ambienti scientifici londinesi, Buchanan come naturalista non esiste. Al momento, è più accreditato come orientalista; nel 1796 è ammesso all'Asiatic Society, sulla cui rivista pubblica l'importante saggio On the Religion and Literature of the Burmas, in cui contrappone "l'egualitarismo del Buddismo alla natura oppressiva e gerarchica del Bramanesimo". ![]() L'"inchiesta statistica" a Mysore e la scoperta della flora del Nepal La seconda occasione arriva nel 1800, quando il governatore generale dell'India, Richard Wellesley, si accorge di lui e gli affida una ricognizione del recentemente conquistato territorio di Mysore. Nell'India meridionale è già all'opera Colin Mackenzie, incaricato dei rilievi topografici, ma, prima di essere completato, il suo lavoro richiederà anni; al governatore serve invece in tempi rapidi una relazione che dimostri che l'invasione di Mysore, fortemente criticata da parte dell'opinione pubblica inglese ma anche da settori influenti della Compagnia, era pienamente giustificata e corrispondente agli interessi tanto dell'EIC quanto del Regno britannico. L'oggetto privilegiato dell'inchiesta affidata a Buchanan è l'agricoltura, ma, oltre che sulle produzioni vegetali e animali, gli viene chiesto di raccogliere informazioni sul clima, i minerali, le produzioni artigianali, le condizioni di vita degli abitanti, inclusi il cibo, i vestiti, i costumi, la religione, le leggi, i commerci ecc. E' un tipico statistical survey, dove l'aggettivo non ha il significato odierno: è un'inchiesta ufficiale (promossa da uno stato, questo il significato originario) a tutto campo sulle risorse, la popolazione, gli aspetti umani di un territorio. E, come ha dimostrato la sua esperienza in Birmania, Buchanan ha gli strumenti per gestire un compito così complesso, anche se ovviamente per lui la botanica viene prima di tutto. Il suo viaggio muove da Madras nella primavera del 1800 e a Madras si conclude nell'estate nel 1801; segue un itinerario tortuoso, che lo porta a visitare non solo Mysore, ma anche il Malabar e la costa del Karnataka. Spesso a guidare i suoi passi sono gli interessi botanici, ma egli visita località strategiche come Sira, incontra il diwan di Mysore, intervista persone di ogni classe sociale, e raccoglie informazioni di ogni genere. E' il primo a osservare e descrivere la laterite. Mette insieme un erbario imponente e disegna o fa disegnare da artisti locali centinaia di piante. Alla fine, la sua relazione ai vertici della compagnia sarà esattamente come Wellesley la desidera: Tipu Sultan vi è dipinto come un despota orientale, odioso agli occhi dei suoi stessi sudditi, l'occupazione britannica come il ristabilimento della giustizia, dell'equità, della pace e del progresso. Il premio non si fa attendere. Poco dopo il rientro a Madras, Wellesley gli chiede di accompagnare il capitano Knox a Katmandu dove verrà fondata la prima sede diplomatica britannica in Nepal. La situazione del paese è instabile e dopo appena un anno Knox è bruscamente richiamato; la presenza dei britannici è mal tollerata e i raccoglitori nepalesi di Buchanan sono addirittura accusati di essere spie al servizio degli inglesi. Ma nonostante la brevità e la brusca interruzione, per la storia della botanica il soggiorno di Buchanan in Nepal è importantissimo: è il primo botanico occidentale ad esplorarne la flora ricchissima di endemismi; prima che un altro studioso vi sia ammesso di nuovo, passeranno quasi vent'anni: si tratta di Nathaniel Wallich, che visiterà il Nepal nel 1820. Nel 1825, sulla base delle collezioni di entrambi, David Don pubblicherà il suo Prodromus florae nepalenisis, rimasto l'opera di riferimento sulla flora del paese himalayano praticamente fino alla seconda metà del Novecento. Al suo rientro in India, Buchanan viene rispedito a Buraipur; ancora una delusione, ma di breve durata. Wellesley lo vuole come medico personale e poco dopo lo chiama a Barrackpore, la sua residenza di campagna, a dirigere il suo zoo e il Natural History Project of India, ovvero la ricognizione, l'illustrazione, la descrizione e la classificazione di tutti i mammiferi e gli uccelli dell'India. Di colpo, Buchanan si trova a fare parte del circolo più intimo del governatore, e su un gradino superiore a quello di Roxburgh, di cui per altro spera di prendere il posto; voci insistenti dicono che è ammalato e che presto sarà costretto a lasciare l'India. Il momento di gloria è brevissimo. Nel 1805 Wellesley viene richiamato e sostituito da lord Cornwallis, che taglia tutte le spese che considera inutili, tra cui il Natural History Project. Cronwallis è uno dei critici più feroci di Wellesley e Buchanan capisce che per il momento in India per lui non c'è futuro; decide di imbarcarsi con il suo patrono per Londra, dove potrà difendere meglio i propri interessi. Conta soprattutto sul vecchio amico James Edward Smith, ora presidente della Linnean Society, cui affida i manoscritti con le descrizioni in latino, gli esemplari raccolti a Mysore e una magnifica collezione di illustrazioni botaniche che ha fatto eseguire a Calcutta da un artista locale. Spera che Smith li faccia conoscere includendone una parte nella sua Exotic Botany e li custodisca finché egli stesso possa pubblicarli. E' una fiducia mal riposta: Smith utilizza sono una dozzina di illustrazioni (fatte ridisegnare da Sowerby), dieci di piante nepalesi e due di Mysore, ne pubblica altre 37 senza illustrazioni sulla Rees's Cyclopedia; e non restituisce mai i materiali a Buchanan. Dopo la sua morte, passeranno alla Linnean Society, finendo semi dimenticati, fino a tempi recenti, quando la collezione di illustrazioni è stata riscoperta e pubblicata anche in forma digitale. In ogni caso, il nome di Buchanan incomincia ad essere conosciuto negli ambienti scientifici della capitale e nel maggio 1806 egli è ammesso alla Royal Society. Nel 1807, a spese dell'Asiatic Society e della Compagnia delle Indie, viene pubblicata la relazione sul viaggio a Mysore, in tre volumi (A Journey from Madras through the Countries of Mysore, Canara and Malabar). Negli stessi mesi, è a Londra anche Roxburgh: in effetti è molto malato e, sebbene abbia sono 54 anni, pensa davvero di ritirarsi; è qui per trattare con la Compagnia la sua quiescenza e soprattutto per assicurare la successione al figlio omonimo. Buchanan, che aspira a quel posto per se stesso, fa di tutto per impedirlo; scrive non meno di quattro volte a Smith perché faccia pesare tutta la sua influenza sui vertici dell’EIC, denuncia il nepotismo di Roxburgh e scredita il rivale: quel giovanotto non ha studiato in un’università europea, ciò che sa di botanica gli deriva dall’essere l’assistente del padre; insomma, più o meno un giardiniere. Le pressioni di Buchanan fanno centro: nel gennaio 1807 la direzione della Compagnia lo nomina successore di Roxburgh. ![]() Grandi speranze deluse Come due anni prima, anche questa sarà una vittoria di Pirro. Roxburgh non solo recupera la salute, ma ritorna in India e riassume pienamente i suoi doveri. Ma, se non altro, la ricchezza delle sue raccolte ha fatto capire alla Compagnia le grandi qualità di Buchanan, e, forse anche come premio di consolazione, viene deciso di affidargli la ricognizione del territorio bengalese. E' il secondo, più noto, statiscal survey diretto da Buchanan, che lo impegnerà per ben sette anni, dal 1807 al 1814. Come a Mysore, la sua inchiesta non riguarda solo le risorse naturali, ma ogni aspetto della vita quotidiana, della cultura locali, della religione, della storia, dell'archeologia. Rispetto a Mysore, il suo compito è però molto più impegnativo. La Corte dei direttori della compagnia esige una relazione distretto per distretto e il nuovo governatore, lord Minto, che è rimasto impressionato dai risultati dei rilievi topografici di Mackenzie, in particolare dalle carte a scala di un pollice a un miglio (1/63.000), esige una descrizione topografica dettagliata. Ecco perché i lavori si prolungano ben oltre le attese sia dell'EIC sia dello stesso Buchanan. Ovviamente egli prosegue le raccolte botaniche ma, dato che il Bengala è una regione ricca di acque, incomincia a interessarsi sempre più ai pesci. Il risultato sarà l'importante An account of the fishes found in the river Ganges and its branches (1822), in cui descrive oltre cento specie in precedenza ignote alla scienza. Rimane sempre la prospettiva di succedere a Roxburgh, la cui salute nel frattempo si è di nuovo deteriorata, ma ora è lo stesso Buchanan a provare molto meno interesse per l'incarico un tempo tanto agognato. In primo luogo, la Compagnia, insoddisfatta dell'indirizzo scientifico impresso da Roxburgh, vorrebbe che il giardino tornasse allo scopo iniziale: l'acclimatazione di specie esotiche di interesse economico. In secondo luogo, gli anni passano e anche Buchanan sta per toccare la cinquantina; la sua salute è ancora buona, ma teme di rovinarsela definitivamente e di essere privato di qualche anno di serena vecchiaia da dedicare allo studio e alla pubblicazione dei suoi sempre più cospicui materiali. Almeno dal 1810, è intenzionato a ritirarsi appena possibile e a questo scopo inizia a risparmiare e inviare denaro da investire al suo banchiere londinese. Intanto, continua ad esplorare il Bengala, seguendo un itinerario divagante e a zigzag, anche più che a Mysore dettato dalla passione botanica. Se una zona è arida e priva di vegetazione, si sposta in un'altra più promettente. Nel 1808 abbandona "il fango del Bengala" per organizzare una spedizione botanica nelle Alpi del Bhutan; a Ronggopur e Purnea si spinge oltre i confini del territorio della Compagnia per esplorare la flora alpina; nel 1812 va ad esplorare le foreste di Bhagalpur, e l'anno dopo si spinge a Gorakpur, lungo il turbolento confine con il Nepal. Nel 1813 la salute di Roxburgh precipita; l'anno dopo egli dà le dimissioni e lascia definitivamente l'India per tornare in Scozia, dove morirà appena due anni dopo. La Compagnia conferma la nomina di Buchanan, ma quel traguardo per cui ha intrigato appena sette anni prima è orami privo di interesse, tanto più che si pretende da lui che si occupi sia del giardino sia del completamente del survey. Dopo pochi mesi anche lui si dimette e rientra in Europa. Dopo trent'anni di viaggi, è ora di dedicarsi esclusivamente allo studio e alla pubblicazione dei suoi ricchissimi e disparati materiali. Ma c'è ancora un problema (con Buchanan, ce ne sono sempre): le sue raccolte sono così imponenti che gli è impossibile portarle con sé. Decide così di farne dono alla Compagnia delle Indie in cambio del trasporto gratuito; ma durante le trattative il governatore generale lord Moira confisca più di cinquecento disegni di animali e piante, pretendendo che siano di proprietà dell'EIC. E' un nuovo affronto, probabilmente il più amaro di tutti. Anche se i direttori ordinano che gli siano restituiti, sembra che ciò non sia mai accaduto. In cambio di un dono inestimabile, dalla Compagnia che ha servito per trent'anni ha ricevuto al più un ringraziamento formale, è stato come "dare perle ai proci", commenta amareggiato. Torna in Gran Bretagna nel 1815 e lo stesso anno, alla morte della madre, ne eredita la proprietà e cambia il proprio nome in Francis Buchanan-Hamilton. Ancora alla ricerca del riconoscimento scientifico, lavora molto e pubblica più che può, impegnandosi in direzioni diverse. Il suo lavoro più noto è probabilmente The Kingdom of Nepal (1819), al cui successo contribuisce anche la prossimità della prima guerra nepalese (1814-1816); seguirono Genalogies of Hindus (1819), pubblicato in poche copie in edizione privata, che lo accreditò presso letterati e orientalisti, e il già citato volume sui pesci del Gange. Nel 1818 la morte del fratello e l'eredità delle terre di famiglia gli assicurano un nuovo status e una inedita tranquillità economica. Buchanan-Hamilton va a vivere in Scozia, nella residenza baronale di Leny House, nei cui giardini ha fatto piantare piante rare. Si sposa e si dedica interamente al lavoro scientifico, in particolare al commento di Hortus malabaricus e Herbarium amboinense di Rumphius: vuole ricavarne un'opera complessiva di grande impegno, in cui potrà trasfondere tutto ciò che ha imparato in trent'anni di ricerca e raccolte in India e nell'Asia orientale. Nel 1822 ne pubblica la prima parte, ma il lavoro non sarà mai completato. Buchanan-Hamilton muore nella sua residenza scozzese nel 1829. ![]() Nutrienti Buchanania Almeno sul versante delle denominazioni botaniche, i riconoscimenti arrivarono presto. Nel 1801, Curt Sprengel, assegnando a un nuovo genere un albero raccolto da Buchanan durante la missione diplomatica in Brimania, crea in suo onore il genere Buchanania. Nel 1806 il suo esempio è seguito da Smith nel suo Exotic Botany. Troppo tardi: ad essere valida è ovviamente la denominazione di Sprengel. Il genere Buchanania Spreng. (Anacardiaceae) comprende circa venticinque specie di alberi o arbusti tropicali, distribuiti tra la Cina meridionale, l'India, l'Indocina, l'Indonesia, le isole del Pacifico e l'Australia. Hanno foglie semplici, inserite a spirale, con margini interi; piccoli fiori bianchi, profumati, raccolti in infiorescenze a pannocchia. Il frutto è una drupa con sottile endocarpo legnosi; i semi, come quelli dell'anarcardio, in alcune specie sono commestibili. E' il caso della specie tipo, B. cochinchinensis (più nota con il sinonimo B. lanzan), di relativamente ampia diffusione in India e in Indocina; in India, dove è anche coltivata, è nota come chironji o charoli ; i suoi semi dall'aroma di mandorla e dalle dimensioni di un pinolo sono consumati crudi dopo una leggera tostatura o utilizzati nei dolci; ridotti in polvere, entrano anche in piatti salati. Ha antichissimi usi alimentari anche l'australiana B. obovata, un piccolo alberello del sottobosco dell'Australia settentrionale, i cui frutti, noti come green plum o wild mango sono tradizionalmente consumati dalle comunità indigene. Ricchi di proteine, fibre e minerali come potassio, fosforo e magnesio, si segnalano per l'alto contenuto di acido folico. Di altre specie sono note le proprietà medicinali. Nel 1740, lo scozzese Alexander Russell prende servizio ad Aleppo come medico della stazione commerciale della Compagnia del Levante. Vi rimarrà 14 anni, stabilendo ottime relazioni con la variegata e multietnica comunità della città siriana e tutto osservando con occhio libero da ogni pregiudizio. Al suo ritorno in patria, scrive The Natural History of Aleppo. Il libro, improntato agli ideali illuministi, con la sua miriade di informazioni spesso di prima mano su zoologia, botanica, meteorologia, medicina e quella che oggi chiameremmo antropologia, desta un profondo interesse tra gli intellettuali europei e già nel 1760 gli guadagna la dedica del genere Russelia. Ma qui è impossibile non parlare anche del fratello minore Patrick. Di dodici anni più giovane, fin dal 1750 raggiunge Alexander ad Aleppo, quindi ne prende il posto e rimane in Siria per più di vent'anni, guadagnandosi l'unanime stima di locali ed europei. Come medico, studia l'inoculazione del vaiolo e le ricorrenti pestilenze che affliggono la città e diviene un grande esperto di malattie epidemiche e dei metodi per prevenirle. Tornato in patria nel 1771, nel 1781, rispondendo all'appello di un terzo fratello, Claud, lo raggiunge in India. Nel 1785, succede a Johann Gerhard König come naturalista della Compagnia delle Indie; importantissimi saranno i suoi contributi alla conoscenza della flora e della fauna indiane. Il principale frutto delle sue ricerche è An Account of Indian Serpents Collected on the Coast of Coromandel. Nel 1794 pubblica anche un'edizione rivista di Natural History of Aleppo. Un medico scozzese ad Aleppo Nel 1740, per prendere servizio come medico della stazione commerciale (factory) della Compagnia del Levante, giunse ad Aleppo lo scozzese Alexander Russell (ca. 1715-1768). Arrivava da Edimburgo, una città tutt'altro che provinciale, e conosceva Londra, ma non poté che innamorarsi di quella bellissima, ordinata, vivace e prospera città multietnica: "Le moschee, i minareti e numerose cupole formano uno splendido spettacolo, e i tetti piatti delle case situate sulle colline, sorgendo una dietro l'altra, presentano una successione di terrazze sospese, intervallate da cipressi e pioppi". Situata al crocevia tra la via della seta, che collegava l'Impero ottomano con la Cina attraverso l'Asia centrale e la Persia, e la via della spezie, che lo congiungeva con l'India attraverso lo Yemen e la penisola arabica, era la terza città più popolosa dell'Impero, dopo Istanbul e il Cairo. Nelle botteghe del suo suq, uno dei più vasti del mondo, accanto ai prodotti agricoli e ai manufatti locali, come il pregiato sapone d'Aleppo, era possibile acquistare prodotti d'ogni genere e di ogni provenienza: ceramiche e sete cinesi, tappeti e stoffe dell'Asia centrale, metalli persiani, pepe indiano, avorio africano, vetri veneziani. Luogo nevralgico delle strade commerciali che collegavano l'Oriente con i porti del Mediterraneo, fin dal Medioevo Aleppo era frequentata dai mercanti europei, che vi avevano creato empori o stazioni commerciali. Gli inglesi della Compagnia del Levante vi si erano stabiliti verso la fine del Cinquecento e ne avevano fatto la loro principale piazza commerciale. Commerciavano soprattutto tessuti: acquistavano sete persiane e vendevano panni di lana inglesi. Il momento d'oro era durato circa un secolo, ma quando Russell giunse ad Aleppo era già finito: il Mediterraneo e le vie di terra avevano perso la loro centralità rispetto alle rotte oceaniche che ora collegavano in modo diretto la Gran Bretagna con l'India o la Cina; le guerre tra la Russia e la Persia avevano interrotto il flusso delle merci persiane; la Russia stessa aveva aperto nuove vie commerciali che facevano concorrenza alla Compagnia. Mal gestita, sull'orlo della bancarotta, quest'ultima era ormai una realtà residuale, tanto che nel 1754 (per coincidenza, lo stesso anno in cui Russell lasciò la città) la corona le tolse il monopolio del commercio con l'impero ottomano, aprendolo al commercio libero. Ma nel 1740 si godevano ancora gli ultimi barlumi di prosperità. La Compagnia coordinava l'attività di una quarantina di mercanti, disponeva di magazzinieri, facchini, interpreti o dragomanni e di un piccolo staff costituito da un console (che all'occasione agiva anche come diplomatico), un viceconsole, un tesoriere, un cappellano e, appunto, un medico, alloggiati nel caravanserraglio Khan al-Gumruk. Quando arrivò ad Aleppo, Alexander aveva venticinque anni. Era il terzo figlio di un noto avvocato di Edimburgo, aveva ricevuto un'ottima educazione classica e tra il 1734 e il 1735, anche se non aveva conseguito la laurea, aveva seguito i corsi del prestigioso professore Alexander Monro primus, allievo di Boerhaave e esponente della "nuova medicina". Edimburgo era una città intellettualmente vivace, aperta al nuovo non solo nel campo medico, la culla dell'illuminismo scozzese i cui ideali sono ben riconoscibili anche in Alexander Russell: umanitarismo, convivialità sociale, tolleranza religiosa, apertura al diverso, fiducia nella ragione; i suoi maestri gli avevano trasmesso un metodo rigoroso basato sull'osservazione attenta, l'oggettività, la verifica empirica. Nel 1734 Alexander fu uno dei primi membri della Medical Society di Edimburgo; poi forse lavorò come praticante con uno zio chirurgo o come chirurgo navale; certo al suo arrivo ad Aleppo era un medico competente che seppe farsi apprezzare non solo dai dipendenti della Compagnia ma da clienti di ogni provenienza sociale e di ogni etnia e religione: franchi, ovvero europei, greci, turchi ottomani, armeni, ebrei, cristiani siriaci. Presto imparò l'arabo, che parlava fluentemente, e si fece una vasta clientela; era ben accolto in ogni ambiente e si guadagnò la stima di Mehmet Raghib Pasha, il governatore di Aleppo, che gli concesse di praticare la dissezione dei cadaveri e lo nominò medico capo. Nel 1742 in città scoppiò una delle ricorrenti epidemie di peste; Russell ne studiò i sintomi, ne ricercò le cure e le cause e prese a registrarne l'andamento in un diario. Era il primo nucleo di quella che sarebbe diventata Natural history of Aleppo: dagli argomenti propriamente medici, la sua attenzione si allargò al clima, agli animali selvatici e domestici, alle piante non solo medicinali, ai giardini, ai monumenti, agli abitanti, ai loro costumi, ai luoghi di ritrovo, ai commerci. In campo medico, il suo contributo più importante è lo studio della leishmaniosi, di cui diede la prima descrizione in Occidente. Tra gli animali descritti per la prima volta da Alexander, il criceto dorato Mesocricetus auratus, antenato di molti criceti di allevamento. Nel 1750 Alexander fu raggiunto dal fratellastro Patrick (1727-1805), fresco di laurea in medicina appena conseguita ad Aberdeen. Figlio della terza moglie del padre, gli era minore di dodici anni. Anche lui era allievo di Monro I, ma aveva potuto anche seguire i corsi di Francis Home, il primo professore di Materia medica a Edimburgo. Era un naturalista più completo di Alexander e, come quest'ultimo riconosceva apertamente, la sua competenza botanica era ben maggiore della sua. Grazie alla sua assistenza, che ne aveva anche alleggerito i compiti quotidiani, Alexander incominciò ad esplorare in modo più sistematico la flora dei dintorni di Aleppo, deciso a redigerne una lista completa. Delle raccolte botaniche dei due fratelli (Patrick ne ricavò un erbario) si giovarono anche gli amici londinesi, cui essi inviavano semi ed esemplari essiccati. Nel 1754 sulle montagne tra Aleppo e Lataika Alexander raccolse semi di Convolvolus scammonia, di cui inviò i semi a John Fothergill, suo condiscepolo ad Edimburgo e il più stretto dei suoi amici, insieme a una lettera in cui descriveva la pianta e i metodi di raccolta, più tardi pubblicata nella rivista della Medical Society di Londra. Si trattava infatti di una specie di notevole interesse medico, perché dalle sue radici si ricava una resina purgativa, nota come scammonea, che veniva esportata dalla Siria sotto forma di pani ed era soggetta a frequenti adulterazioni. Dopo il rientro a Londra, ne diede alcuni semi anche a John Ellis, che ne informò Linneo. Lo stesso anno raccolse semi del bellissimo corbezzolo greco Arbutus andrachne e ne inviò i semi sia a Fothergill sia all'amico comune Peter Collinson, che li seminarono nei loro giardini; Collinson li passò anche all'abile vivaista James Gordon, notoriamente infallibile nelle semine di arbusti. Il primo a fiorire fu l'esemplare coltivato nei giardini di Fothergill, dove nel 1766 Ehret lo immortalò. All'epoca Alexander si trovava già a Londra. Nel 1754 lasciò Aleppo e rientrò in Inghilterra, passando dall'Italia dove visitò i lazzeretti di Napoli e Livorno. Nel febbraio 1755 era a Londra dove, sollecitato da Fothergill, si dedicò alla preparazione per la stampa di The natural history of Aleppo, and parts adjacent; uscita nel 1756, l'opera era un bel volume in quarto arricchito dalle incisioni di vari artisti, tra cui Ehret e John Miller; in uno stile vivace e spontaneo, offriva una miriade di informazioni di prima mano che spaziavano dalla flora e la fauna al clima, dai monumenti cittadini ai caffè, dalla musica alla vita sociale delle diverse comunità aleppine, senza dimenticare ovviamente lo studio delle malattie epidemiche. Il libro ottenne un notevole successo e lo stesso anno Alexander fu ammesso alla Royal Society. Egli stesso ne era però insoddisfatto e pensava già a una seconda edizione; ma i crescenti impegni professionali e familiari glielo impedirono. Si sposò, ottenne la laurea formale all'università di Glasgow (sempre che non l'avesse conseguita in absentia mentre si trovava ad Aleppo), divenne consulente del governo per la prevenzione delle epidemie, nel 1760 fu ammesso al Royal College of Physicians e assunto come medico del St Thomas Hospital, un incarico che comportava anche l'insegnamento ai praticanti. Grande esperto di malattie epidemiche, che aveva affrontato senza paura durante gli anni di Aleppo, mettendo sempre il bene dei suoi pazienti al primo posto, fu egli stesso vittima di un'epidemia, quella di febbri putride che imperversò a Londra nel 1768. ![]() Medico e naturalista in Siria e in India Patrick era rimasto ad Aleppo e aveva preso il posto del fratello come medico della Compagnia del Levante. Abbiamo già visto che era un naturalista più completo del fratello maggiore; come lui era un gentiluomo amabile e un conversatore piacevole. Era dotatissimo per le lingue e si inserì presto nella società aleppina. Anche la sua competenza di medico non fece rimpiangere quella del fratello, anzi la superò. Il Pasha lo stimava tanto da permettergli di indossare il turbante, un simbolo di prestigio raramente concesso agli europei. Tra il 1760 e il 1762 la peste tornò a più riprese ad Aleppo; Patrick ne studiò attentamente le manifestazioni e introdusse metodi di prevenzione, come proteggere bocca e naso con un fazzoletto imbevuto d'aceto. Raccolse le sue osservazioni in un trattato sulla peste, che avrebbe pubblicato molti anni dopo. Ma i suoi interessi erano ancora più vasti di quello del fratello: la conoscenza approfondita dell'arabo gli permise di studiare i testi medici medievali, di raccogliere manoscritti, di interessarsi di letteratura e di musicologia. Sia per interesse personale, sia per contribuire alla seconda edizione di Natural history of Aleppo, proseguì l'opera del fratello, continuando a raccogliere informazioni che inviava nelle sue lettere ad Alexander; due di queste lettere, rispettivamente sui terremoti in Siria e sull'inoculazione del vaiolo furono poi stampate nelle Transactions della Royal Society. Ad Alexander e ai corrispondenti londinesi inviava anche semi e esemplari di piante. I due fratelli non si sarebbero mai rivisti. Patrick infatti lasciò Aleppo solo nel 1771, rientrando in patria nel 1772, quattro anni dopo la morte di Alexander. Inizialmente pensava di stabilirsi ad Edimburgo, ma fu convinto da Fothergill a trasferirsi a Londra. Incominciò subito a lavorare alla seconda edizione di Natural history of Aleppo, doveroso tributo alla memoria del fratello. Grazie a Fothergill, conobbe Banks e Solander che gli furono di grande aiuto per identificare le piante siriane e adeguarne la nomenclatura agli standard linneani. Nel 1777 anch'egli fu ammesso alla Royal Society. Ma prima che potesse terminare quel compito, lo attendeva un nuovo viaggio. Nel 1781 il fratello minore Claude, funzionario della Compagnia delle Indie, fu nominato amministratore capo della Compagnia a Visakhapatnam nella provincia di Madras. Non godendo di buona salute, gli chiese di accompagnarlo in India come suo medico. Anche se aveva già superato la cinquantina, Patrick accettò; durante il lungo viaggio in nave, portò a termine la revisione di Natural history of Aleppo e fu pronto per una nuova avventura. Nell'India meridionale, scoprì una flora e una fauna in gran parte inesplorate; strinse amicizia con Johann Gerhard König e incominciò a raccogliere animali e piante che inviava ai suoi corrispondenti londinesi; alla morte di König nel 1785, ne prese il posto come botanico e naturalista della Compagnia delle Indie. Imparò le lingue locali, incominciò a fare la spola tra le diverse sedi della Compagnia per raccogliere dai medici residenti "ogni genere di informazione sulle piante utili", mettendo insieme un erbario di 900 esemplari. Molte delle specie da lui raccolte sarebbero state pubblicate da Roxburgh (suo successore come botanico della Compagnia) in Plants of the Coast of Coromandel, di cui Russell scrisse la prefazione. Raccolse anche molti animali marini, ma come medico dovette soprattutto confrontarsi con il problema del morso dei serpenti. Incominciò a studiarli, alla ricerca di un metodo che permettesse di distinguere quelli letali da quelli innocui; ne esaminò le scaglie, la dentatura, sperimentò gli effetti dei loro morsi su cani, conigli e galline, verificò l'efficacia di possibili antiveleni. Fu così che conobbe e descrisse per la prima volta molti serpenti precedentemente ignoti alla scienza, tra cui quello che oggi porta il suo nome, la vipera di Russell Daboia russelii, una specie dal morso letale che ancora oggi in India causa ogni anno migliaia di vittime. Nel 1791, insieme a Claude e alla sua famiglia, Patrick ritornò definitamente a Londra per occuparsi della pubblicazione di varie opere, a cominciare dal trattato sulla peste A treatise of plague, uscito quello stresso anno. Nel 1794 fu la volta della seconda edizione di Natural history of Aleppo; anche se per rispetto della memoria del fratello apparve solo sotto il nome di Alexander e fu presentato come una semplice riedizione, in realtà si tratta di un libro in gran parte diverso. La prima parte del volume di Alexander, piuttosto caotica e frammentaria, si trasformò in un volume a sé, suddiviso in capitoli ben articolati; l'apparato di note e la bibliografia si arricchirono di fonti orientali e occidentali; molto argomenti furono trattati in modo molto più approfondito e il tono si fece decisamente più accademico. I vecchi nomi-descrizione prelinneani di Alexander, spesso ripresi dal Dictionary di Philip Miller, con la collaborazione di Banks e Solander vennero sostituiti con le denominazioni binomiali. Oltre ad essere trattato un numero maggiore di piante, crebbero anche le informazioni fornite, soprattutto sugli usi officinali. A questo punto, assolto il debito con Alexander, Patrick, oltre a pubblicare un certo numero di articoli sulle Transaction della Royal Society, poté dedicarsi a una serie di pubblicazioni riccamente illustrate, finanziate dalla Compagnia delle Indie. Nel 1795, come ho anticipato, scrisse la prefazione a Plants of the Coast of Coromandel di Roxburgh. Nel 1796 seguì il primo volume di An Account of Indian Serpents Collected on the Coast of Coromandel; il secondo volume, in quattro fascicoli, uscì tra il 1801 e il 1809, concludendosi dopo la morte dell'autore. Nel 1803 fu la volta di una corposa opera sui pesci, Descriptions and Figures of Two Hundred Fishes. Patrick Russell morì settantottenne nella sua casa londinese nel 1805. ![]() Russellia, un fuoco d'artificio di fiori Come ho anticipato, la prima edizione di Natural history of Aleppo fu ben accolta dalla critica e assicurò fama europea ad Alexander Russell. Nel 1760 von Jacquin volle onorarlo con la dedica del genere americano Russelia, di cui aveva raccolto la specie tipo, R. sarmentosa, durante il suo viaggio a Cuba. Qualche anno dopo, sia König sia il figlio di Linneo si ricordarono anche di Patrick con due generi omonimi, ovviamente non validi per la regola delle priorità. Dunque anche Patrick Russell sarebbe a rigori un "botanico senza Nobel", ma la sua vita si intreccia talmente con quella del fratello, i suoi studi sono tanto importanti che era impossibile non dargli il giusto spazio, erigendo anche lui a "dedicatario onorario" del bel genere Russelia Jacq., famiglia Plantaginaceae (un tempo Scrophulariaceae). Diffuso dal Messico alla Colombia passando per le Antille, raccoglie una quarantina di specie di arbusti molto ramificati, eretti o decombenti, con foglie in genere piccole, coriacee o membranacee, piccoli fiori dalla corolla tubolare raccolti molto numerosi in cospicue infiorescenze. Nell'Ottocento diverse specie vennero introdotte dal Messico in Europa e divennero popolari piante da serra: nelle riviste degli anni 30-50 sono citate R. sarmentosa, R. multiflora, R. floribunda, R. rotundifolia e addirittura ibridi orticoli come R. lemoinei (R. juncea x R. sarmentosa) e R. elegantissima. Poi, come spesso succede, la moda cambiò e ora è sostanzialmente coltivata una sola specie, R. equisetiformis. Originaria dell'America settentrionale e centrale dal Messico al Guatemala, è oggi diffusissima nei giardini di tutti i paesi a clima mite, dove si fa apprezzare per la facilità di coltivazione e l'esplosiva fioritura di fiori tubolari color corallo che le ha guadagnato il nome comune inglese firecracker plant, "pianta fuoco d'artificio". Qualche approfondimento nella scheda. L'inglese William Sherard è una figura chiave della botanica a cavallo tra Seicento e Settecento. Eppure, a parte un modesto catalogo degli orti botanici di Parigi e Leida, non ha pubblicato nulla di proprio. Per tutta la vita ha cercato di scrivere una grande opera che però non è mai riuscito a completare: a distoglierlo dal compito, oltre alle necessità concrete della vita, fu soprattutto la sua generosità senza limiti, che lo spinse ad affiancare il lavoro di tanti amici più famosi come raccoglitore, donatore di semi, exsiccata e somme di denaro, curatore di opere altrui. Fu generoso anche nelle sue ultime volontà, con le quali non solo legò all'università di Oxford il suo importante erbario, le sue note e una notevole collezione di disegni e manoscritti, ma anche un lascito per istituire la prima cattedra di botanica in terra d'Inghilterra, che ancora porta il suo nome: Sherardian professorship. A ricordarlo è anche il genere monospecifico Sherardia, omaggio di un amico che godette della sua generosità in vita e in morte. ![]() Una vita al servizio degli amici Quando il diciottenne William Sherard (1659-1728) giunse a Oxford per studiare diritto non sapeva ancora che il suo destino, più che a codici e leggi, sarebbe stato legato alle piante. La conversione sulla via di Flora avvenne tra le aiuole dell'orto botanico di Oxford, il solo esistente in Inghilterra all'epoca. A fargliene conoscere le meraviglie fu il curatore, Johann Bobart il Giovane, che fu anche il primo di una lunga lista di amici a beneficiare della sua passione e del suo altruismo: egli stava curando la pubblicazione postuma di Historia Plantarum Universalis Oxoniensis di Morison e Sherard lo aiutò raccogliendo per lui piante nelle campagne dei dintorni. Nel 1683 si laureò in legge e divenne membro del suo college, ma ormai il suo interesse andava tutto alla botanica; studiarla in Inghilterra non era possibile, perché non era insegnata in nessuna università; Sherard attraversò la Manica - il primo di tanti viaggi europei - e si trasferì a Parigi per seguire le lezioni di Pitton de Tournefort al Jardin du roy; anche a lui, per il quale nutriva un'ammirazione che rasentava la venerazione, non lesinò il suo aiuto, raccogliendo piante nei dintorni di Parigi. Nel 1686, quando Paul Hermann venne a visitare il Jardin du roy, strinse amicizia con lui, e decise di seguirlo in Olanda. In attesa che i suoi ammirati maestri potessero mettere mano ai cataloghi degli orti di Parigi e Leida, nel 1688 pubblicò una lista delle loro collezioni; sotto il titolo Schola botanica, è la sua unica opera edita e per modestia è firmata con le sole iniziali S.W.A. Nel 1689 tornò in Inghilterra e mise le sue nuove competenze al servizio di un altro amico: fece importanti raccolte nell'Inghilterra meridionale e nelle Channel Island, ma invece di pubblicarle a suo nome, cedette le sue note a John Ray, che le pubblicò in appendice a Synopsis methodica stirpium britannicarum (1690). In teoria era membro del St John College e avrebbe dovuto tornare a insegnare a Oxford, ma evidentemente l'impiego non soddisfaceva né le sue tasche né il suo cuore; preferì diventare tutor o insegnante privato di una serie di gentiluomini. Il primo fu il baronetto irlandese Arthur Rawdon che possedeva una vasta tenuta a Moira nella Contea di Down; era un grande appassionato di orticoltura e giardinaggio, tanto da essersi guadagnato il soprannome di "padre del giardinaggio irlandese". Possedeva un notevole giardino con una delle prime serre riscaldate d'Europa, un labirinto, uno stagno e molte piante esotiche, incluse 400 piante fatte arrivare dalla Giamaica e uno dei primi esemplari noti di Robinia pseudoacacia, famoso per le sue eccezionali dimensioni. Per Sherard il soggiorno in Irlanda, che si prolungò per tre anni, fu una gioia e gli permise anche di esplorare la flora dell'Ulster. Nel 1694 era di ritorno a Oxford dove divenne dottore in diritto civile, ma ben presto ne ripartì per accompagnare il visconte Charles Townshend nel suo gran tour in Europa. Nel febbraio del 1795 si fermò a Leida, dove si assunse il difficile compito di preparare per la pubblicazione il manoscritto di Paradisus batavus di Paul Hermann. Tornò poi in Inghilterra giusto il tempo necessario per trovare un altro ingaggio, questa volta come chaperon del giovane marchese di Tavistock, il futuro secondo lord Bedford, con il quale visitò la Francia e l'Italia. Fu l'occasione per visitare giardini e incontrare altri botanici; in Italia conobbe Francesco Cupani e Paolo Boccone, dal quale appreso il metodo della stampa naturale (che consiste nell'utilizzare come matrici le piante stesse, inchiostrate e pressate sulla carta; ne ho parlato qui). A Parigi strinse amicizia con Sébastien Vaillant. Questi incontri e queste amicizie lo spinsero a concepire l'idea di aggiornare il Pinax di Bauhin, aggiungendo le piante scoperte e pubblicate dopo il 1623. Un'impresa che, come vedremo, lo accompagnò tutta la vita, ma non giunse mai a termine. Tornato in Inghilterra verso la fine del 1698, si lasciò ancora una volta convincere a diventare tutor di un altro giovane gentiluomo, un nipote della duchessa vedova di Beaufort. La nobildonna era una grande appassionata di piante e giardini e contava sui contatti internazionali di Sherard, il cui nome incominciava ad essere piuttosto noto tra i botanici europei, per incrementare le sue collezioni. Purtroppo il giovane morì dopo meno di un anno, e Sherard si trovò disoccupato. Per breve tempo si rassegnò a insegnare a Oxford come borsista, quindi fece parte di una commissione governativa che si occupava dei prigionieri di guerra, finché nel 1703 la Compagnia del Levante gli offrì un posto come console a Smirne. Egli accettò: una decisione pessima per i suoi studi botanici e ottima per le sue tasche. Nei dieci anni che visse in Turchia infatti, privo di libri e troppo occupato con i suoi compiti quotidiani, dovette mettere da parte la botanica, ma in compenso accumulò una notevole fortuna. Cercò anche altri interessi, ricopiando antiche iscrizioni e collezionando monete. Nel 1711 acquistò una casa a sette miglia da Smirne. Nell'impero ottomano era impossibile viaggiare da soli, e non trovando altri accompagnatori nelle sue escursioni botaniche, dovette limitarsi a un solo viaggio, che sempre nel 1711 lo portò a Alicarnasso. Alla fine del 1716 o all'inizio del 1717 lasciò Smirne e tornò in Inghilterra. Nel frattempo anche suo fratello minore James (1666-1738) aveva fatto fortuna; farmacista, gestiva una bottega di successo a Londra, nella centralissima Mark Lane. Negli anni giovanili, era stato un notevole musicista dilettante e un virtuoso del violino, ma ora la gotta gli impediva di suonare. Dopo il ritorno di William dal Levante, decise di andare in pensione e di fare della botanica la sua nuova passione. Acquistò una splendida proprietà a Eltham, un sobborgo di Londra, dove, con l'aiuto del fratello maggiore, creò un giardino presto famoso in tutta Europa per le sue piante rare. William riprese a lavorare alla revisione del Pinax, ma nel 1721 viaggiò di nuovo nel continente insieme al fratello, per cercare piante per Eltham. Visitò anche l'orto botanico di Giessen, dove conobbe il giovane botanico Jacob Dillenius. Dopo essere stato per tutta la vita generoso di semi, esemplari e tempo con i suoi amici, ora poteva esprimere la sua generosità anche come mecenate: propose a Dillenius di trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo con l'interminabile revisione del Pinax e con la catalogazione del giardino di Eltham. Dillenius accettò: avrebbe portato a termine il secondo compito, scrivendo il magnifico Hortus Elthamensis, ma non il primo. Nel 1723 e nel 1727 Sherard tornò nuovamente a Leida, per aiutare Boerhaave a pubblicare l'opera postuma dell'amico Vaillant, Botanicon parisiense. Assisté anche Catesby, aiutandolo con le identificazioni della prima parte di Natural History of Carolina. Solo con un "collega" ci fu uno screzio: non sappiamo esattamente perché, si scontrò con Hans Sloane - un amico di lunga data anche di suo fratello - che rifiutò di mettergli a disposizione gli erbari di Plukenet e Petiver. Verso il 1727 ci fu una riconciliazione, ma ormai la salute di Sherard stava declinando, con crisi di quella che è stata definita "demenza senile". Consapevole che in Inghilterra, proprio come ai tempi della sua giovinezza, ancora mancava una cattedra universitaria di botanica, volle rimediare con le sue ultime volontà: non solo lasciò all'università di Oxford il suo erbario di oltre 12,000 pezzi, le sue carte, le sue collezioni di disegni e manoscritti, ma stabilì un lascito per istituire una cattedra di botanica. Impose però una condizione: il primo titolare doveva essere Dillenius. Morto William Sherard nel 1728 (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), ne seguì una lunga trattativa tra l'Università e il suo esecutore testamentario, ovvero suo fratello James. Di conseguenza, Dillenius assunse l'incarico solo nel 1735, avendo nel frattempo anche completato Hortus elthamensis. Ma non la revisione del Pinax. La grande opera della vita di Sherard rimase un torso inedito. Secondo H.M. Clokie, studioso del suo erbario, la causa prima stava nella eccessiva generosità di questo botanico dal carattere troppo amabile: "Sembra che la sua difficoltà fosse concentrarsi sul proprio lavoro invece di aiutare gli amici. La sua generosità sembra non aver conosciuto limiti". ![]() Sherardia, dal Mediterraneo alla conquista del mondo Nonostante non abbia pubblicato quasi nulla di suo, curando la pubblicazione di due opere centrali come Paradisus batavus di Hermann e Botanicon parisiense di Vaillant e sponsorizzando il lavoro di Dillenius, senza parlare delle raccolte botaniche messe generosamente a disposizione di tanti illustri colleghi, Sherard ha avuto un ruolo di rilievo nella botanica negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento; è riuscito a far dialogare e a integrare tra loro le diverse scuole botaniche europee, da quella francese a quella olandese, da quella italiana a quella tedesca, contribuendo come nessuno allo sviluppo della scuola britannica, come sottolinea la creazione della cattedra di Oxford. Sia Vaillant sia Dillenius si sono ricordati del loro benefattore con la dedica di un genere Sherardia. Particolarmente toccanti le parole di Sébastien Vaillant: "Dato che i botanici, quando creano un nuovo genere hanno il diritto di dargli il nome dei loro autori, o dei loro benefattori o dei loro amici, per resuscitare i primi e immortalare i secondi nella botanica, io ho imposto a questo [genere] il nome dell'illustre Mr. Sheridan che è allo stesso tempo un vero amico, un benefattore per le piante essiccate; per diventare illustre più di tutti gli autori messi insieme non gli rimane che terminare il suo Pinax e offrirlo al pubblico che attende questo capolavoro con estrema impazienza". Linneo, tuttavia, nell'ufficializzare il genere Sherardia in Species plantarum (1753) scelse quello di Dillenius (famiglia Rubiaceae) e non quello di Vaillant (famiglia Valerianaceae); quest'ultimo fu ripreso da Miller, ma troppo tardi (1754); la denominazione valida è dunque quella di Dillenius - Linneo. Sherardia L. è un genere monotipico rappresentato dalla sola S. arvensis, una piccola pianta erbacea diffusa in tutta Europa, nel bacino del Mediterraneo e in Vicino oriente; si è inoltre largamente naturalizzata in altri continenti, tanto da essere ormai considerata cosmopolita. E' un'annuale comune in campi, prati, incolti, aree disturbate; piuttosto simile a Galium, da cui si distingue per la lunghezza del tubo corollino, ha piccole foglie lineari riunite in verticilli di 4-6 e minuscoli fiori da rosa pallido a lilla con un lungo tubo e quattro petali liberi raccolti in gruppi di 6-10 e circondati da un anello di sei brattee simili alle foglie. Come la robbia (Rubia tinctoria) dalle sue radici si estraeva un colorante rosso. E' una pianta modesta, ma graziosa, e come il suo dedicatario è una grande viaggiatrice. In fondo, un accettabile ritratto vegetale. Una sintetica presentazione nella scheda. Nel corso della seconda spedizione nell'America settentrionale, David Douglas scopre un curioso arbusto con lunghi gattici biancastri e decide di battezzarlo Garrya elliptica in onore di uno dei dirigenti della Hudson's Bay Company, che tanto gli era stata d'aiuto in questa e nella precedente spedizione: Nicholas Garry, un personaggio che sarebbe del tutto dimenticato senza questa dedica e il ruolo che giocò nella storia della HBC, ancora oggi una delle maggiori aziende canadesi. Seguiamolo nel difficile viaggio tra laghi e fiumi canadesi durante il quale gli toccò, con tatto e diplomazia, di mettere pace tra trapper rivali che fino a pochi mesi prima si scambiavano fucilate. Una difficile missione tra i cacciatori di pellicce Tra fine Settecento e inizio Ottocento, la caccia e il traffico delle pellicce in Canada erano controllati da due compagnie rivali, la Compagnia della Baia di Hudson (Hudson's Bay Company, HBC) e la Compagnia del Nord Ovest (North West Company, NWC). Intorno al 1810, la diminuzione dei profitti, causata dalla rarefazione degli animali da pelliccia, dalle tensioni di frontiera con gli Stati Uniti e dall'insediamento di coloni che sottraevano spazio alle foreste, sfociò in una guerra aperta, con sabotaggi reciproci, assassini e addirittura scontri armati. Era una situazione insostenibile che preoccupava tanto le autorità politiche quanto gli azionisti delle Compagnie. Per riportare l'ordine, il segretario di stato per la guerra e le colonie, lord Bathurst, ritenne che l'unica soluzione fosse costringere le due rivali a fondersi in un'unica compagnia, che avrebbe mantenuto il nome della più antica, l'HBC, e avrebbe avuto il monopolio dei traffici su un territorio immenso, da costa a costa. Per spiegare la situazione agli agenti locali, ridefinire la struttura organizzativa e riorganizzare la rete delle stazioni commerciali fu deciso l'invio in Canada di un rappresentante per ciascuna delle vecchie compagnie. Il direttivo della HBC scelse il suo membro più giovane, e l'unico scapolo, Nicholas Garry, un mercante che in precedenza aveva commerciato con la Russia. La missione infatti si presentava difficile e impegnativa anche sul piano fisico. I due incaricati dovevano visitare le principali stazioni commerciali e mettere fine a anni di ostilità convincendone i capi che l'accordo conveniva a tutte le parti. Garry si rivelò una scelta felicissima e seppe dimostrare pazienza, equanimità, diplomazia. Di grande valore storico la testimonianza del suo Diary of Nicholas Garry, deputy-governor of the Hudson’s Bay Company from 1822–1835: a detailed narrative of his travels in the northwest territories of British North America in 1821. Garry partì da Londra alla fine del marzo 1821 e viaggiò fino a New York insieme ai due delegati della NWC che avevano partecipato alle trattative per la fusione, Angus Bethune e John McLoughlin. Alla fine di maggio era a Montreal, il quartier generale della NWC, dove fu raggiunto dal suo corrispettivo della compagnia rivale, Simon McGillawry. Come nota ironicamente nel suo diario, fino a pochi mesi prima costui era "il più attivo e strenuo oppositore degli interessi della Compagnia che sono incaricato di rappresentare". Due settimane dopo si imbarcava con McGillawry e suo fratello maggiore William su una canoa di scorza di betulla manovrata da dodici rematori franco-canadesi. La meta era Fort William (oggi Thunder Bay), sul Lago superiore, il principale deposito della NWC, dove ebbe luogo l'incontro con gli agenti della vecchia compagnia. All'inizio fu alquanto tempestoso, ma più il maggiore dei McGillevry spiegò con franchezza i termini dell'accordo e convinse i suoi compagni dei vantaggi. Seguirono estenuanti trattative sulla distribuzione dei posti. Garry annotò sinteticamente nel diario: "Da giovedì 10 luglio a sabato 14 luglio. Discussioni senza fine". Poi verificò gli inventari e i conti e inviò il suo rapporto a Londra; quindi partì con McGillawry per York Factory, la stazione commerciale della HBC situata all'estremità occidentale della baia di Hudson, punto di arrivo della pista che collegava la baia con Fort Vancouver e il Pacifico. Era un viaggio lungo e impegnativo che durò un mese e mezzo. I due commissari viaggiavano su due diverse canoe, ciascuna con otto rematori, che all'inizio trasformarono il viaggio in una sorta di gara. Sul Rainy Lake incontrarono un consiglio di indiani, ai quali Garry assicurò che non avevano nulla da temere dalla fusione delle due compagnie, anzi al contrario ne avrebbero tratto beneficio. La navigazione proseguì tra un dedalo di laghi e fiumi attraverso il Lago dei boschi e il fiume Winnipeg fino alla colonia di Red River; era stata proprio la fondazione di questo insediamento di coloni scozzesi, voluto da lord Selkirk, a scatenare le peggiori ostilità tra le due compagnie, che erano sfociate addirittura in una battaglia, con il coinvolgimento dei Métis, il gruppo indigeno nato dai matrimoni misti tra nativi, franco-canadesi e altri europei. Selkirk aveva risposto occupando Fort William e facendone arrestare i capi, tra cui McLoughlin e William McGillawray. La morte del lord nel 1820 aveva riportato un po' di pace, ma Garry notò che la situazione era ancora esplosiva e che sarebbero state necessarie misure forti. A Norway House sul lago Winnipeg ci fu un secondo incontro con gli agenti, che confermò gli accordi di Fort William, in particolare l'abbandono della via commerciale della NWC tra Fort William e Montreal a favore di quella più diretta della HBC attraverso York Factory e la baia di Hudson. Quindi navigando lungo il Nelson River, alla fine di agosto i due delegati raggiunsero York River, dove furono accolti dal governatore della HBC William Williams. A causa della sua azione non di rado arbitraria durante le ostilità, quest'ultimo era particolarmente inviso agli uomini della NWC e McGillawry ne pretese la rimozione. Garry riuscì a trovare una soluzione diplomatica: Williams lasciò il posto di governatore del dipartimento settentrionale a George Simpson e fu trasferito al dipartimento meridionale; mantenne tuttavia il titolo di governatore senior. Garry scoprì con sollievo che la soluzione non spiaceva a Williams, che, destinato a una sede meno redditizia ma anche meno periferica, avrebbe potuto finalmente far venire la famiglia dall'Inghilterra. Risolte con successo tutte le questioni, Garry poté così lasciare York Factory e imbarcarsi a metà settembre per l'Inghilterra. In apprezzamento del suo operato, la Compagnia lo promosse vice governatore. In Canada lasciò il ricordo di un uomo umano, pieno di tatto e sopra le parti. In suo onore il nuovo forte costruito dalla HBC nel 1822 sul Red River fu battezzato Fort Garry. ![]() Garrya, la "maggiore curiosità della collezione" Non sappiamo molto del ruolo di Garry negli uffici della Compagnia a Londra nei dodici anni in cui fu vicegovernatore (1822-1835). E' probabile che tra l'altro si occupasse del Museo della Compagnia, dove erano custoditi oggetti di varia natura provenienti dal Canada e dagli Stati Uniti nord-orientali. O almeno, è in questa veste che lo conobbe l'esploratore e cacciatore di piante David Douglas. Tra il 1824 e il 1827 per incarico della Royal Horticultural Society egli aveva visitato il nord America nord-occidentale ed era stato grandemente aiutato dalla HBC: non solo aveva viaggiato sia all'andata sia al ritorno a bordo di navi della compagnia, ma muovendosi lungo la pista che collegava Fort Vancouver a York Factory aveva utilizzato come campo base le sue stazioni commerciali, aveva viaggiato con i suoi agenti ed era stato da loro aiutato in ogni modo. Al suo ritorno a Londra, visitò il Museo della Compagnia per verificare alcuni esemplari e conobbe Garry, con il quale strinse amicizia. Il vicedirettore lo aiutò ad organizzare il suo secondo viaggio, iniziato, di nuovo a bordo di una nave della HBC, nell'ottobre 1829. Così, quando sulla costa dell'Oregon si imbatté in un notevole arbusto mai descritto in precedenza, decise di battezzarlo Garrya elliptica, in onore del nostro Nicholas Garry, al quale dedicò anche Quercus garryana, una quercia endemica della costa settentrionale del Pacifico. Garry seguiva le avventure dell'amico e ci rimane una sua preoccupatissima lettera a Hooker in cui lo informa sulle voci (purtroppo fondate) circa la morte di Douglas alle Hawaii. Di lui sappiamo solo che nel 1835 diede segni di squilibrio mentale tanto che fu costretto a lasciare il lavoro e morì nel 1856 senza aver mai recuperato il senno. Oggi sarebbe del tutto dimenticato senza l'omaggio di Douglas. Garrya Douglas ex. Lindl., appartenente a una famiglia propria (Garryaceae, che oggi include anche Aucuba japonica) è un piccolo genere di una quindicina di specie di arbusti distribuite lungo la costa pacifica dall'Oregon a Panama, con qualche rappresentante nelle Antille. Sono piante dioiche a fecondazione anemofila caratterizzate da fiori raggruppati in lunghi amenti penduli che iniziano a spuntare alla fine dell'estate e raggiungono la maturazione alla fine dell'inverno, quando il vento disperde il polline dei fiori maschili. La specie più nota, coltivata anche nei nostri giardini, è proprio Garrya elliptica, endemica della costa dell'Oregon e della California settentrionale, dove cresce in formazioni vegetali aride. E' un arbusto molto ramificato che tende ad assumere un'ordinata forma sferica, con foglie coriacee dai margini ondulati, densamente tomentose nella pagina inferiore. Solitamente vengono coltivati esemplari maschili, i cui gattici sono molto più lunghi di quelli femminili; fioriscono tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, ma le brattee persistenti rimangono fino all'estate. G. fremointii e G. flavescens sono simili, ma con margini delle foglie lisci anziché ondulati. G. congdonii, molto comune nella Catena costiera della California, è alquanto simile, ma vive in habitat più montani al di sopra dei 200 metri. Lindley, che pubblicò le piante raccolte da Douglas, giudicò che Garrya fosse meno attraente di altri generi introdotti da questo formidabile cacciatore di piante, ma che fosse "la maggiore curiosità botanica della sua collezione". E' un giudizio forse un po' ingeneroso, se pensiamo alla bella e prolungata fioritura invernale di G. elliptica. Qualche approfondimento nella scheda. L'Università di Oxford vanta il più antico orto botanico della Gran Bretagna, fondato nel 1621, uno dei primissimi al mondo, nato addirittura prima di quello di Parigi. Ma per essere operativo ci mise vent'anni e per diventare un vero orto botanico universitario quasi mezzo secolo. A coltivarlo e custodirlo, due eccentrici personaggi: Jacob Bobart il vecchio e il giovane. Forse quasi tutto quello che si racconta su di loro appartiene più alla leggenda che alla realtà, ma sarebbe un peccato. In ogni caso, Linneo ne aveva abbastanza stima da onorarli con l'interessante genere Bobartia. ![]() Bobart padre e figlio: due eccentrici? Nel 1621 un gentiluomo della corte di Carlo I Stuart, Henry Danvers, primo conte di Danby, fece dono all'Università di Oxford di 250 sterline per affittare un terreno dove allestire un «vivaio dei semplici, dove un professore di botanica passa leggere le piante e mostrare i loro usi e virtù agli uditori». Sicuramente guardava ai modelli italiani; sappiamo che suo fratello minore John era un grande appassionato di giardini e ne aveva creato uno raffinatissimo a Chelsea, appunto sul modello italiano. Tuttavia la benemerita impresa partì con il piede sbagliato: fu scelto un terreno appartenente al Magdalene College situato sulla riva del fiume Cherquell soggetto a periodiche inondazioni; fu necessario bonificarlo con centinaia e centinaia di carrettate di buona terra e proteggerlo con un muro. Prima che fosse pronto, erano passati dodici anni. Di pianta quadrata, era un hortus conclusus al quale si accedeva da una porta monumentale, diviso in quattro quadranti da due viali perpendicolari. Era costato 5000 sterline, e ormai il generoso donatore era a corto di quattrini. Fu così che solo nel 1641 poté ingaggiare un abile giardiniere per prendersi cura del giardino, Aveva pensato addirittura a John Tradescant, che però mori prima di assumere l'incarico. Ripiegò allora sul tedesco Jacob Bobart. Le fonti lo dicono nativo di Brunswick, un ex soldato arrivato in Inghilterra per sfuggire alla guerra dei Trent'anni. Il contratto stipulato con Danby gli concedeva il diritto di usare e vendere i frutti del giardino. Ma già nel 1644 il nobiluomo morì, mentre ormai imperversava la guerra civile. Le sue proprietà furono poste sotto sequestro dai seguaci del Parlamento, e Bobart si trovò senza stipendio. A permettergli di mantenere se stesso e la numerosa famiglia (sposato due volte, ebbe due figli e una nidiata di sei figlie) più ancora dei prodotti dell'hortus medicus, o Physic garden, erano il commercio di piante medicinali e esotiche e la locanda The Greyound Inn, situata proprio di fonte al giardino. Era un giardiniere appassionato e di talento, ma anche alquanto bizzarro: ostentava una lunga barba, che nei giorni di festa ornava con tasselli d'argento, e come animale da compagnia, anziché un cane, teneva un caprone. Per venticinque anni, fu il signore e padrone del giardino, che trasformò in un paradiso terrestre: ai lati della porta monumentale, dispose una coppia di tassi a mo’ di guardiani, creò mirabili sculture verdi in topiaria, piantò tutte le piante esotiche che poté procurarsi nonostante il periodo difficile. Nel 1648 ne pubblicò il primo catalogo, anonimo: le specie e varietà, menzionate con il nome comune e una frase descrittiva in latino, sono 1639. Circa seicento sono native, ma ci sono anche numerose specie nordamericane. Poi la guerra finì, e così l'effimera Repubblica inglese. Nel 1660 Carlo II recuperò il trono e tornò in Inghilterra accompagnato dal medico personale e botanico reale Robert Morison. Proprio lui nel 1669 (48 anni dopo la fondazione) divenne il primo professore di botanica di Oxford e il primo direttore dell'orto botanico (praefectus horti). Bobart il vecchio era già sulla settantina e non sappiamo come prese la convivenza. Forse, a collaborare con il neo professore, più che lui, fu suo figlio Jacob il giovane, che già nel 1658 aveva aiutato il padre a scrivere una seconda edizione del catalogo. Morison era un grande botanico, ma era anche celebre per la sua alterigia: come Ray, era alla ricerca di un metodo naturale per classificare le piante e riteneva che tutti i botanici del presente e del passato che si erano imbarcati nella stessa impresa avessero scritto solo fregnacce (allucinazioni, Hallucinationes, diceva lui). Riuscì a convincere l'Università di Oxford a pubblicare la sua ambiziosissima Historia Plantarum Universalis Oxoniensis, in cui intendeva presentare tutte le piante note, catalogandole in gruppi naturali sulla base dei frutti e dei semi. Il compito dei Bobart era procurargli le piante e allestire l'erbario. Probabilmente Jacob il giovane (non risulta invece che lo avesse fatto il padre) lo assisteva durante le dimostrazioni delle piante (anche a Parigi le lezioni pratiche erano impartite dal capo giardiniere). Nel 1680 succedette al padre come curatore del giardino e nel 1683, alla morte improvvisa di Morison in seguito a un incidente stradale, ne divenne praefectus; fu nominato professore assistente e l'Università gli affidò il completamento di Historia Plantarum Universalis. Morison aveva fatto in tempo a pubblicare solo il secondo volume; Bobart riuscì a completare il terzo, mentre il primo non fu mai scritto. Senza essere un botanico di primo piano, se la cavò con scrupolo e onore, aggiungendo anche molte piante nuove, ma ebbe cura di espungere i feroci attacchi di Morison contro gli "allucinati" botanici del passato e del presente. Tuttavia, la costosissima impresa editoriale portò la casa editrice universitaria sull'orlo del fallimento. Vissuto fino in tarda età, poco prima della morte fu costretto alle dimissioni, con grande rincrescimento di William Sherard che era stato suo allievo e ne aveva grande stima. Il suo maggiore merito è la creazione di un grande erbario, che costituisce il primo nucleo dell'Erbario dell'Università di Oxford. Su di lui si racconta un curioso aneddoto: avendo trovato nel giardino un grosso topo morto, ne alterò la testa e la coda e ne distese la pelle per simulare due ali, in modo che assomigliasse all’immagine tipica di un drago. Esaminato dai professori di Oxford, l’artefatto fu creduto autentico e celebrato in versi nelle società erudite; qualcuno ne spedì persino una descrizione a Antonio Magliabechi, bibliotecario del granduca di Toscana. Solo a questo punto Bobart confessò l’inganno. Un visitatore lamentò che, con la mani e la faccia sporche di terra, più che un grande botanico, sembrava un qualsiasi giardiniere. ![]() Leggenda e realtà Fin qui l'immagine tradizionale dei due Bobart: due eccentrici dai modi anticonvenzionali, due figure pittoresche. Ma come capita spesso, quando una storia è troppo bella per essere vera, probabilmente non lo è. La studiosa tedesca Karin Seber, che ha attentamente studiato le poche fonti disponibili su Jacob il vecchio, è giunta alla conclusione che quasi tutto ciò che sappiamo su di lui è falso o va interpretato in modo totalmente diverso. In primo luogo, non era affatto un oscuro soldato tedesco senza né arte né parte giunto in Inghilterra dalla natia Brunswick. Apparteneva a un'eminente famiglia (il nome originale è Bobert) di mercanti di Danzica, e forse era addirittura figlio del borgomastro della città; uno dei suoi parenti - forse un fratello - commerciava con l'Olanda; come dimostrano i libri che lasciò al figlio e furono poi da questi donati all'Univeristà, già in patria aveva studiato botanica medica. Seber ipotizza che si sia trasferito in Inghilterra come mercante, forse già specializzato nel commercio di piante medicinali e altri semplici. Difficile pensare che lord Danby, che avrebbe voluto ingaggiare John Tradescant, giardiniere del re e massimo esperto di giardinaggio del tempo, abbia assunto al suo posto un signor nessuno. Forse già prima di entrare al suo servizio, Bobart aveva affittato (o acquistato) la locanda, utilizzandone i terreni per coltivare piante medicinali e i locali come base del suo commercio, facendosi notare per la sua grande competenza di giardiniere e esperto di piante officinali. Secondo Seber, anche le sue abitudini bizzarre vanno rilette; nel frontespizio di Vertumnus, un poema di Abel Evans in onore di Jacob il giovane, alla sinistra della porta monumentale del giardino è stato rappresentato il suo primo custode con una chioma fluente e una lunga barba; nella mano sinistra impugna il bastone di Asclepio, simbolo della medicina. Accanto a lui, una capra (simbolo della voracità naturale domata dalle arti del giardiniere?); più oltre un cane addormentato. Dunque, quei tratti eccentrici fanno parte di una voluta autorappresentazione come depositario e custode dei segreti delle erbe medicinali. Ovviamente, anche la storia del drago di Oxford è stata rimessa in discussione dagli scettici, che fanno notare che la prima attestazione scritta (nella Biographical history of England di Granger e Walpole) è del 1774, più di mezzo secolo dopo la morte del suo protagonista; inoltre non è mai stato trovato neppure uno degli scritti che gli sarebbero stati dedicati dalle società erudite. Forse dunque l'aneddoto è altrettanto posticcio quanto il topo-dragone. D'altra parte, sta a testimoniare la fama di eccentricità che circondava i Bobart, padre e figlio. ![]() I fiori effimeri di Bobartia Linneo in persona li stimava abbastanza da dedicare loro il genere Bobartia, della famiglia Iridaceae. Con una quindicina di specie, tutte sudafricane, anzi ristrette alle Provincia del Capo, questo piccolo genere è caratterizzato da sottili rizomi orizzontali o eretti, ciuffi di foglie sottili che in alcune specie ricordano il giunco, lunghi scapi fiorali con infiorescenze terminali di fiori lievemente asimmetrici con sei tepali solitamente gialli (ad eccezione di B. lilacina, che li ha lilla chiaro). Sono graziosi, ma di breve durata (meno di una giornata). Forse questo spiega perché le specie di questo genere sono raramente coltivate. Vivono per lo più in ambienti montani, con terreni sabbiosi e poveri di nutrienti, e tendono a fiorire più copiosamente dopo gli incendi. Qualche informazione in più nella scheda. Prima che se ne conoscesse la causa (la carenza di vitamina C) lo scorbuto è stato la maledizione dei viaggi oceanici. Ed è proprio lo scorbuto a fare da filo rosso a questo post, con la scoperta in una remota isola antartica di una pianta capace di combatterlo, e la sua dedica a un medico, John Pringle, che aveva salvato la vita di molti soldati inglesi e aveva detto la sua anche su questa malattia e sul modo migliore per prevenirla. Accanto a lui, come comprimari, troviamo nuovamente il capitano Cook e il suo chirurgo William Anderson, ma anche un giovanissimo Joseph Dalton Hooker. ![]() Il cavolo delle Kerguelen e il dottor Pringle: prevenire è meglio che curare La vigilia di Natale del 1776 le navi della terza e ultima spedizione di Cook, la Resolution e la Discovery, a metà strada tra il Sud Africa e l'Australia occidentale raggiunsero un gruppo di isole disabitate, sempre battute dal vento glaciale e spesso avvolte dalla nebbia alternata a una pioggerellina incessante. A Natale gettarono l'ancora in una baia dell'isola principale (oggi Grande Terre), che Cook battezzò Christmas Harbour, e vi rimasero per sei giorni. In quell'isola in parte ricoperta dai ghiacci non crescevano né alberi né arbusti, tanto che Cook battezzò l'arcipelago Isole della desolazione; più tardi, i marinai trovarono una bottiglia con una pergamena che attestava che l'isola era già stata raggiunta nel 1772 dal francese Yves Joseph de Kerguelen-Trémarec. Per non privare il collega della gloria della scoperta, Cook cambiò il nome in Isole Kerguélen; per quanto pensasse che "queste isole della desolazione i francesi se le possono tenere", secondo le indicazioni dell'Ammiragliato ne prese formale possesso a nome del re d'Inghilterra con una cerimonia che il chirurgo di bordo, William Anderson, giudicò francamente ridicola. Anderson mise a frutto la breve sosta per esplorare la natura dell'isola; la fauna era rappresentata da foche (si tratta dell'otaria Arctocephalus gazella) e da molti tipi di uccelli, tra cui tre specie di pinguini; la flora nelle aree rocciose era limitata a muschi, licheni e ciuffi d'erba sparsi, ma dove c'era un po' di terra c'erano cuscini, e qui e là estesi tappeti, di una minuscola pianta verdissima con foglie simili a quelle della sassifraga (si tratta di Azorella selago); in alcuni luoghi, cresceva con relativa abbondanza una graminacea (Poa cookii) e, nei luoghi umidi, una pianticella dal gusto acido simile a crescione, forse da identificare con Ranunculus crassipes. In tutto, non più di sedici-diciotto specie, inclusi sei-otto muschi e il notevole lichene Neuropogon taylori. La pianta più interessante cresceva in considerevoli quantità lungo i declivi paludosi: alta circa due piedi, con forti radici rizomatose, era caratterizzata da grandi foglie arrotondate con apice appuntito, raccolte in fitte rosette simili a un piccolo cavolo cappuccio, da cui si ergevano scapi con infiorescenze erette. All'assaggio, le foglie risultavano decisamente acide, segno di sicure proprietà antiscorbutiche. Accettabili crude, bollite in una zuppa risultavano ottime e gradite all'equipaggio, che ne fece grandi scorte in vista della traversata che li attendeva. La pianta era nuova, e Anderson la battezzò Pringlea, senza aggiungere un epiteto. Il dedicatario era il presidente della Royal Society John Pringle. Come Anderson, era scozzese, anzi il più illustre membro della scuola medica di Edimburgo, oltre che esponente di punta dell'Illuminismo scozzese. A renderlo celebre, e a propiziare la sua nomina alla testa della Royal Society, erano stati i grandi risultati conseguiti come medico capo dell'esercito. Cadetto di una famiglia nobile, era stato inviato in Olanda per essere avviato alla mercatura, ma a Leida, affascinato dalle lezioni di Boerhaave, aveva deciso di studiare medicina e si era laureato (come molti conterranei) in quella università nel 1730. I suoi interessi includevano però anche la filosofia, e dal 1733 insegnò filosofia morale all'Università di Edimburgo. Intanto proseguiva la carriera medica e nel 1742 divenne medico personale del secondo Earl di Stair, John Dalrymple, all'epoca comandante dell'esercito inglese nelle Fiandre, che gli affidò la direzione dell'ospedale militare. Nel giugno del 1743, alla vigilia della battaglia di Dettingen in Baviera, su suo suggerimento l'Earl di Stair concordò con il comandante francese, il Maresciallo di Noialles, di considerare neutrali gli ospedali militari di entrambe le parti. Quest'atto è considerato un'anticipazione della Croce Rossa e della Convenzione di Ginevra. Nel 1744 il duca di Cumberland promosse Prigle medico capo dell'armata dei Paesi Bassi. Nei sette anni in cui servì l'esercito, il medico fu colpito dal fatto che la maggior parte delle perdite non avvenivano in battaglia o in seguito alle ferite, ma erano causate dalla dissenteria e da malattie infettive, prima fra tutte la misteriosa "febbre da accampamento" . Grazie alla sua mentalità pratica e aperta, capì che la soluzione stava nella prevenzione, migliorando l'alimentazione e l'abbigliamento e curando scrupolosamente l'igiene di persone e ambienti. Nel 1749 Pringle si stabilì a Londra, dove divenne un medico alla moda. Ebbe così modo di seguire da vicino un'epidemia di "febbre delle carceri", che portò alla morte di molte persone, inclusi vari giudici e il sindaco della città. A partire da questo episodio, pubblicò Observations on the Nature and Cure of Hospital and Jayl Fevers, in cui dimostrò che questa malattia era identica alla "febbre da accampamento": entrambe andavano identificate come tifo e potevano essere prevenute introducendo rigorose misure igieniche. Nel 1752 seguì la sua opera maggiore, Observations on the Diseases of the Army in Camp and Garrison, che gli diede fama europea e gli guadagnò l'ammissione alla Royal Society. In questo testo, considerato l'atto di fondazione della medicina militare, Pringle, anche se non aveva un'idea corretta dell'origine della malattia (che attribuiva a processi di "putrefazione" diffusi dal "miasma", ovvero dall'aria corrotta), individuava giustamente tra i veicoli di diffusione l'affollamento, la scarsa ventilazione, la mancanza di igiene, prescrivendo misure come il distanziamento dei malati, l'arieggiamento dei locali, la cura dell'igiene delle persone e degli ambienti. Negli anni successivi, condusse esperimenti su vari antisettici (fu lui a coniare il termine); dal momento che secondo le teorie di Boerhaave, la putrefazione ha natura alcalina, i mezzi migliori per combatterli sono le sostanze acide; prescrisse anche l'uso dell'ammoniaca. La carriera successiva di Pringle fu ricca di successi. Tra il 1752 e il 1775 uscirono ben sette edizioni di Observations on the Diseases of the Army, inclusa un'edizione tascabile in ottavo. Nel 1766 egli fu nominato baronetto e nel 1774 divenne medico personale del re e della regina. Era un apprezzato e influente membro della società colta della capitale, amico tra gli altri di Benjamin Franklin. Nel 1772 fu eletto presidente della Royal Society, incarico che mantenne fino al 1778, quando diede le dimissioni. Dopo un breve rientro a Edimburgo, che giudicò presto troppo provinciale, ritornò a Londra dove morì nel 1782. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Pringle legò le sue carte al Reale collegio dei medici di Edimburgo, con la singolare clausola che venissero mantenute sotto chiave in perpetuo. Nel 2004, dopo una lunga causa legale, l'accesso ai documenti e la loro pubblicazione sono stati infine consentiti. Va da sé che hanno un notevole valore per la ricostruzione della storia della medicina. ![]() Pringle, Cook e lo scorbuto: una storia di equivoci? Il prestigio scientifico e l'alto ruolo istituzionale di Pringle sarebbero già sufficienti a giustificare la dedica di Pringlea da parte di Anderson; del resto, l'unica pubblicazione del giovane chirurgo, An account of some poisonous fish in South Seas, venne trasmessa alla Royal Society sotto forma di lettera proprio a Pringle. Ma tra Pringle, Anderson e Cook (nonché Pringlea) c'è un legame più diretto: lo scorbuto. Benché questa piaga decimasse soprattutto i marinai, non era sconosciuta all'esercito: durante la guerra dei Sette anni (1756-1763) ebbero a soffrirne a più riprese i soldati britannici di stanza in Nord America, quando il prolungarsi dell'inverno rendeva indisponibili vegetali freschi. Dunque, non stupisce che Pringle abbia dedicato la sua attenzione anche a questa malattia. Ai suoi tempi, la causa (oggi sappiamo che si tratta di carenza di vitamina C) era sconosciuta. Fin dal XV secolo, quando i lunghi viaggi transoceanici lo avevano reso un triste compagno di viaggio dei marinai, si erano però scoperti vari rimedi empirici. I portoghesi avevano presto capito che il consumo di agrumi era una prevenzione molto efficace, tanto che crearono frutteti di aranci e limoni a Sant'Elena, un abituale scalo nel tragitto tra l'Europa e il Capo di Buona Speranza. Gli Olandesi invece caricavano le stive delle loro navi di barili di crauti, quasi altrettanto validi. Molti capitani di marina poterono verificare di persona che il rimedio principale era il consumo di verdura e frutta fresca. Ma nonostante queste esperienze, si continuava a morire: nel 1740 il capitano (e futuro ammiraglio) George Amson, nel corso di una spedizione di sei navi in Sud America nei primi dieci mesi di navigazione perse circa 1300 uomini su 2000. A complicare la situazione, c'era anche il fatto che lo scorbuto in genere non provoca la morte in modo diretto, ma piuttosto uno stato generale di prostrazione e debilitazione che favorisce l'insorgere di altre malattie letali: la dissenteria, la tubercolosi, la polmonite, ecc. I medici del tempo dunque tendevano a spiegarlo, più che come una malattia con una causa specifica (che non conoscevano) come uno squilibrio causato da una somma di fattori. Boerhaave (che abbiamo già incontrato come maestro di Pringle) scrisse un trattato sullo scorbuto in cui teorizzò che il morbo fosse causato da un vero e proprio avvelenamento del sangue, reso troppo sottile e alcalino da processi di putrefazione causati dal freddo, dall'umidità e dall'aria corrotta. Nel 1747 il chirurgo navale James Lind, imbarcato sulla nave Salisbury, condusse un esperimento controllato su sei coppie di marinai, ai quali somministrò sostanze diverse ritenute efficaci contro lo scorbuto; nel 1753 espose i risultati nel Trattato sullo scorbuto, nel quale concluse che "i risultati di tutti i miei esperimenti sono che arance e limoni sono i rimedi più efficaci per questo morbo dei mari". Tuttavia, lo scritto non ottenne seguito immediato, forse anche perché il rimedio messo a punto dal chirurgo, lo "sciroppo di Lind", si dimostrò del tutto inefficace; era prodotto facendo bollire il succo di limone, un processo che distrugge la vitamina C, termolabile. Pringle credeva in altri rimedi. Riprendendo le teorie del suo maestro, egli riteneva che, proprio come le febbri tifoidi, lo scorbuto dovesse essere considerato una malattia epidemica di origine putrida, che poteva essere combattuta sia con misure di igiene preventiva (come la ventilazione e la pulizia scrupolosa delle navi) sia assumendo sostanze acide, capaci di ristabilire l'equilibrio del sangue. Certamente, limoni e verdure fresche andavano benissimo, dal momento che sono acidi, ma il rimedio migliore a suo parere era il mosto di malto, oltre tutto economico, facile da trasportare e da somministrare. Durante la digestione, supponeva, i gas acidi prodotti dal malto avrebbero neutralizzato la putrefazione alcalina. Gli ammiragliati pensavano che non ci si fosse un'unica cura efficace, e che la soluzione migliore fosse rifornire le navi di una batteria di rimedi preventivi che includeva la "zuppa portatile" (una miscela di vegetali essiccati), sciroppi di frutta concentrati (tra cui quello di Lind), aceto, mostarda, malto, crauti, melassa, fagioli; non mancava il più drastico, l'elisir di vetriolo. Torniamo dunque a Cook. Durante il primo viaggio (1768-1771) egli riuscì a mantenere in relativa buona salute i suoi uomini, ma a Batavia molti si ammalarono di "dissenteria" e 30 uomini ne morirono. A privarli delle difese immunitarie, però, forse era stato proprio lo scorbuto. Cook stesso era convinto che la vera causa fosse "la lunga mancanza della dieta ricca di vegetali cui erano abituati in precedenza, e insieme ad essa tutti i disordini della vita in mare". Per il secondo viaggio, era deciso a non ripetere l'esperienza, tanto più che l'esplorazione dei mari più meridionali del globo richiedeva lunghi mesi di navigazione senza scali, nelle condizioni più proibitive possibili. Sia lui sia l'ammiragliato si affidarono dunque proprio all'autorità di Pringle. Le stive della Resolution e della Adventure furono rifornite con 40 barili di malto, 1000 libbre di zuppa portatile, 30 galloni di marmellata di carote, aceto, mostarda, grano, crauti e sciroppi di arance e limoni. Durante il viaggio, Cook impose ai suoi uomini una pulizia scrupolosissima, con il lavaggio quotidiano dei ponti, e approfittò di ogni scalo per approvvigionarsi di cibi freschi, in particolare quei vegetali "acidi" che erano considerati un toccasana contro lo scorbuto. Per convincere i suoi uomini a mangiare i poco graditi crauti, li fece servire ogni giorno alla mensa degli ufficiali. I risultati furono eccellenti: anche se si manifestarono diversi casi (tra i sicuramente affetti, il naturalista Johann Reinhold Forster) tutti furono curati con successo e neppure un uomo della Resolution morì di scorbuto. Sebbene con una piccola riserva, Cook si allineò con Pringle, riconoscendo i meriti del suo rimedio preferito; nella sua relazione alla Royal Society scrisse: "Avevamo a bordo una grande quantità di malto, con la quale è stato preparato del mosto dolce che è stato somministrato non solo agli uomini che manifestavano sintomi di scorbuto, ma anche a tutti coloro che, per vari motivi, sembravano più inclini a questa malattia. Senza dubbio si tratta della migliore medicina antiscorbutica finora trovata; se somministrato in tempo, con la necessaria attenzione a tutti gli altri fattori, io sono persuaso che impedisce allo scorbuto di fare progressi per un lungo periodo; ma allo stesso tempo non è mia opinione che in mare possa curare uno stadio avanzato della malattia". Gongolante, Pringle fece pubblicare la relazione nelle Transactions della Royal Society, ma soppresse la frase sottolineata. E' chiaro che Cook aveva ottenuto un grande successo, ma non sapeva perché. L'ammiragliato continuò a insistere con il malto per altri vent'anni; fu solo intorno agli anni '90 che i limoni (freschi e non in sciroppo) si imposero nella dieta dei marinai della Royal Navy. ![]() Una pianta contro lo scorbuto Adesso vi è chiaro perché il cavolo delle Kerguelen fu così apprezzato da Cook, e anche perché il nome Pringlea era particolarmente appropriato. Ma alla pianta mancava ancora il nome specifico. Per acquisirlo dovette aspettare quasi settant'anni e l'intervento di un altro giovane chirurgo: Joseph Dalton Hooker. Hooker arrivò nelle Kerguelen nel 1840 come aiuto chirurgo della Erebus, una delle due navi della celebre spedizione antartica guidata da Ross. Soggiornò nelle isole un paio di mesi, tra maggio e luglio, e ne approfittò per documentarne in modo completo la flora: mentre Anderson (che però era rimasto qui meno di una settimana) aveva trovato non più di 18 specie, Hooker riuscì a raccogliere, identificare e descrivere 150 specie, tra cui 18 angiosperme, 3 felci, 35 muschi, 25 licheni e una cinquantina di alghe. Ovviamente, anche per lui la specie più eccitante era il cavolo delle Kerguelen. Ne apprezzò le qualità alimentari e ne studiò gli effetti: "Per un equipaggio costretto a cibarsi di cibo sotto sale [...] è una verdura molto importante, perché possiede tutte le qualità del suo omonimo inglese, ma al contrario di quello contiene una grande abbondanza di oli essenziali che non producono mai bruciori di stomaco né nessuna delle sensazioni sgradevoli prodotte dalle nostre piante". Aggiunse che il gusto delle foglie crude ricordava quello del crescione, mentre quelle bollite assomigliavano al cavolo cappuccio, e le radici al rafano. Predisse, senza sbagliarsi, che questa pianta sarebbe stato la salvezza dei marinai che avrebbero frequentate quei mari e, finalmente, ne diede la descrizione scientifica e le assegnò un nome completo: Pringlea antiscorbutica. Si tratta dell'unica specie di questo genere ed è davvero parente dei nostri cavoli, appartenendo alla famiglia Brassicaceae. Non è esclusiva delle Kerguelen, ma è presente anche in altre isole dei mari Antartici: Isole Heard e McDonald, Crozet, Principe Edoardo. Sono ambienti proibitivi, a circa 50° grandi di latitudine sud, con clima pre-antartico, costantemente battuti da violente raffiche di vento gelido che non di rado superano i 150 km orari. Qui non esistono insetti che possano impollinarla (nelle isole ci sono insetti, ma quasi privi di ali), e il vento cessa solo in giornate particolarmente miti; in queste condizioni, è discusso se prevalga l'autoimpollinazione o l'impollinazione anemofila. Forse ciò spiega le particolari caratteristiche delle infiorescenze, densi racemi verticali, talvolta ramificati, di piccoli fiori portati su brevi peduncoli; ciascuno ha quattro sepali verdi e pelosi, ma la corolla, formata da quattro piccoli petali, è spesso incompleta o mancante, anche in boccio. Come tutta la vegetazione delle isole, Pringlea antiscorbutica, così abbondante ai tempi di Anderson e Hooker, è oggi a rischio. I tentativi di colonizzazione hanno portato qui topi e conigli, che divorano le radici; e piante aliene stanno sostituendo la vegetazione nativa. Qualche approfondimento nella scheda. Nonostante la sua breve vita, la figura di William Anderson, aiuto chirurgo della Resolution nel secondo viaggio di Cook e primo chirurgo nel terzo, ha destato interesse come prototipo del tipico chirurgo della Royal Navy che univa all'abilità professionale spiccati interessi naturalistici. Benché non avesse avuto un'educazione formale come naturalista, era una sicura promessa della scienza britannica, ma anche un "giovane sensibile" ricco di acume e umanità la cui morte destò grande rimpianto tra i suoi compagni d'avventura. A ricordarlo, grazie a Robert Brown, l'Ericacea australiana Andersonia, che tuttavia presiede in condominio con due omonimi: il giardiniere William Anderson e il botanico Alexander Anderson. Soprattutto quest'ultimo è una figura di notevole interesse. ![]() Apprendistato di un giovane uomo sensibile Il 3 o il 4 agosto 1778 sulla Resolution, la nave ammiraglia del terzo viaggio di Cook, ha luogo una mesta cerimonia: di fronte all'isola di San Lorenzo nello stretto di Bering viene sepolto in mare il chirurgo William Anderson. Non aveva ancora ventotto anni. La sua morte, preceduta da una lunga malattia, non è una sorpresa per nessuno, ma lascia tutti sgomenti. Cook, di solito freddo e riservato, scrive: "Era un giovane uomo sensibile, un compagno gradevole, molto preparato nella sua professione e aveva acquisito grande conoscenza in altre scienze; se fosse piaciuto a Dio di risparmiare la sua vita sarebbe stato molto utile nel corso del viaggio". Più toccanti e accorate le parole del comandante della Discovery, Charles Clerke (poco più di un anno dopo condividerà lo stesso destino): "La sua morte è il più sventurato colpo subito dalla nostra spedizione; la sua eminente abilità di chirurgo e la sua illimitata umanità lo rendevano il più rispettabile e il più stimato membro della nostra piccola società; la perdita della sua superiore conoscenza, soprattutto rispetto alla scienza della Storia naturale, ha lasciato un vuoto nel nostro viaggio che si farà molto rimpiangere". La grandezza della perdita è sottolineata da James King, secondo ufficiale della Resolution, che era aveva studiato astronomia ad Oxford: "Le sue conoscenze toccavano tutti gli oggetti naturali; la sua applicazione era costante e regolare, e di gran lunga eccessiva per la sua salute; la dedizione con cui studiava le diverse scienze della Storia naturale e le specie umane era tale da dare un vero piacere a ogni persona per bene e ogni uomo di scienza; era la persona più libera dalle ristrettezze di un spirito limitato che io abbia mai conosciuto". Il rimpianto dei suoi compagni d'avventura è condiviso da coloro che hanno studiato questa giovane promessa della scienza britannica. Molti riconoscono in lui il prototipo di una figura tipica della Royal Navy: il chirurgo di bordo che unisce alle capacità professionali una preparazione scientifica di buon livello e dedica qualcosa di più dei ritagli di tempo alla ricerca naturalistica. Come molti chirurghi della marina britannica, William Anderson era nato in Scozia, nel 1750, e tra i sedici e i diciotto anni aveva seguito i corsi della facoltà di medicina di Edimburgo, che includevano nozioni di botanica e scienze naturali. Forse per ragioni economiche, aveva però preferito diventare chirurgo, andando a studiare alla Surgeon Hall di Londra, dove si diplomò come aiuto chirurgo e chirurgo rispettivamente nel 1768 e nel 1770. Quindi si arruolò in marina e servì successivamente come aiuto chirurgo sulla Thunder e sulla Barfleur. Nel 1771 fu scelto come aiuto chirurgo della Resolution, la nave del secondo viaggio di Cook. Al momento dell'imbarco aveva 22 anni e l'esperienza fu sicuramente importantissima per sviluppare la sua competenza scientifica, anche se, poiché il suo diario è andato perduto, dobbiamo accontentarci di notizie indirette. Forse, almeno inizialmente, poté giovarsi in qualche modo dell'addestramento dei Forster, grazie alla mediazione del primo chirurgo James Patten, uno dei pochi che avesse rapporti accettabili con loro. Ma poi subentrò la rivalità e il sospetto. I termini in cui Georg Forster parla di lui nel suo resoconto (senza nominarlo espressamente) sono velenosi: "Uno degli aiuto chirurghi, che partecipò a questa escursione, raccolse una prodigiosa quantità di nuove e curiose conchiglie nell'isola di Ballabea, e ugualmente molte nuove specie di piante di cui non avevamo visto un singolo esemplare nei distretti che avevamo visitato; ma la più malvagia e più irragionevole invidia gli insegnò a nasconderci queste scoperte sebbene fosse del tutto incapace di usarle a profitto della scienza". L'episodio si colloca verso lo fine del viaggio, in Nuova Caledonia, in un momento in cui entrambi i Forster erano malati. Tutto dimostra che, al contrario, Anderson era invece più che capace di trarre profitto dalle sue scoperte. Compilò liste di vocaboli di diverse delle isole visitate, incluso un dizionario di 28 pagine del tahitiano che fu allegato a una delle edizioni del resoconto ufficiale. Solander, che visitò la Resolution subito dopo il ritorno in Inghilterra (ma non poté incontrare Anderson), parla delle sue collezioni in termini elogiativi. Unendo le competenze mediche con gli interessi scientifici, il giovane chirurgo studiò alcuni casi di avvelenamento causati dall'ingestione di pesci tossici e ne fece oggetto di una memoria che, sotto forma di lettera al Presidente della Royal Society John Pringle, ebbe l'onore di essere pubblicata nelle Philosophical Transactions nel 1776. ![]() Il terzo viaggio di Cook Nel 1775 il Parlamento britannico istituì un premio di 20.000 sterline a chi avesse scoperto il mitico passaggio a Nord-ovest. E proprio questo fu l'obiettivo non dichiarato del terzo viaggio di Cook: quello ufficiale era riportare in patria Omai, un polinesiano di Raiatea che era stato condotto in Inghilterra sulla Adventure. Alla spedizione parteciparono di nuovo due vascelli: la vecchia Resolution, ancora comandata da Cook, e la piccola Discovery, al comando di Clerke (che era stato il secondo ufficiale della Resolution nel secondo viaggio). Cook la intendeva come una spedizione esclusivamente geografica, e non volle scienziati a bordo (secondo i maligni, dopo la convivenza con i Forster ne aveva avuto abbastanza) e scelse personalmente gli ufficiali tra i veterani che avevano partecipato ai suoi viaggi precedenti. C'erano però un pittore paesaggista, John Webber, e un astronomo, William Bayly. Come primo chirurgo, Cook volle il nostro William Anderson, che in tal modo divenne il naturalista ufficioso della spedizione: rispetto ai "gentiluomini naturalisti", in quanto chirurgo di bordo, presentava l'indubbio vantaggio di essere soggetto alla disciplina militare. Accanto a lui, Banks riuscì tuttavia a insinuare come aiutante uno dei giardinieri di Kew, David Nelson. Purtroppo, la sorte di Anderson era già segnata. Nel breve intervallo tra i due viaggi aveva servito sulla fregata Milfort, dove aveva contratto la tubercolosi. Anche Clerke si trovava nelle medesime condizioni: essendosi offerto come garante di un fratello insolvente, era finito in carcere per debiti, e qui era stato infettato. Al momento della partenza, tuttavia, entrambi sembravano ancora in buona salute. La Resolution partì per prima nel luglio 1776, mentre la Discovery poté salpare solo all'inizio di agosto. Nell'intervallo tra i due viaggi, la nave di Cook non era stata adeguatamente riparata e presto incominciò a imbarcare acqua soprattutto attraverso il ponte principale; con il mare grosso, le cuccette degli uomini venivano inondate, destando la preoccupazione del coscienzioso Anderson per la salute dei marinai. A Cape Town fu raggiunta dalla Discovery ; mentre entrambe le navi venivano ricalafatate, Anderson si unì a Nelson in alcune escursioni botaniche. Dopo aver lasciato il Sud Africa, navigando in direzione sud-est Cook scoprì le isole del Principe Edoardo, quindi, seguendo gli ordini dell'ammiragliato, prese possesso delle desolate isole Kerguelen con una cerimonia che Anderson (possediamo i suoi diari relativi alla prima parte della spedizione) trovava ridicola; in tutto l'emisfero, era difficile trovare un posto più sterile e meno interessante per un naturalista. Eppure, oltre a studiare i pinguini, proprio qui fece la sua più importante scoperta botanica: il cavolo delle Kerguelen, Pringlea antiscorbutica. La tappa successiva fu la Tasmania, dove l'interesse di Anderson sembra essere stato attratto soprattutto dagli indigeni, miti e accoglienti verso i forestieri; tuttavia egli osservò anche le piante, in particolare gli onnipresenti eucalipti. Il viaggio proseguì per il Queen Charlotte Sound in Nuova Zelanda, quindi toccò le isole Cook (a Atiu gli indigeni sequestrarono le piante che Anderson aveva appena raccolto, ma il chirurgo fu tutto sommato divertito dalla possibilità di osservare dal vivo l'uomo allo stato di natura) e le Tonga. Anderson descrive con ammirazione i pesci che popolano la barriera corallina, osserva con occhio clinico le malattie che affliggono gli indigeni (compresa la sifilide, importata dai viaggiatori europei), esprime qualche critica - ma sempre nel rispetto delle gerarchie - sulle punizioni a suo parere sproporzionate inflitte agli indigeni. Intanto, gli effetti della malattia avevano cominciato a manifestarsi sia per Anderson sia per Clerke. A Anderson era chiaro che proseguire il viaggio e affrontare i gelidi mari del Pacifico settentrionale sarebbe stato fatale ad entrambi. A Tahiti, dove arrivarono il 12 agosto 1777 e si fermarono fino all'inizio di dicembre, i due decisero di dare le dimissioni e di chiedere di essere lasciati a terra, affidati alle cure degli indigeni. Tuttavia, il senso del dovere, la lealtà verso i compagni, l'incertezza della reazione di Cook, li fecero esitare e rimandare la comunicazione, finché fu troppo tardi; lasciata Tahiti, dopo aver toccato le Isole della Società, nella loro rotta verso la costa americana le navi si addentrarono infatti in acque inesplorate. La salute di Anderson incominciò a declinare. Il 21 dicembre accompagnò ancora Cook in una passeggiata di discreta lunghezza a Kauai, la prima isola delle Hawaii toccata dalla spedizione. Tuttavia, il 10 gennaio, giorno in cui le navi raggiunsero l'isola di Hawaii, l'astronomo Bayly annotò sul suo diario che tutto l'equipaggio era in buona salute "eccetto il chirurgo Mr. Anderson che è molto malato in stato di consunzione". Fu solo la forza della volontà a permettergli di continuare le osservazioni linguistiche ed etnografiche e forse anche le raccolte naturalistiche (non possediamo il suo diario dopo Tahiti). Dopo aver lasciato le Hawaii all'inizio di febbraio, le navi si diressero a nord, toccando terra il 6 marzo presso Capo Foulweather nell'attuale Oregon. Proseguendo verso nord, si ancorarono nella baia di Nootka, dove trascorsero circa un mese, dal 29 marzo al 26 aprile 1778. Quindi iniziarono ad esplorare e a mappare la costa, proseguendo fino allo stretto di Bering, nella speranza di individuare il passaggio a Nord-ovest. A maggio gettarono l'ancora nell'attuale Prince William Sound in Alaska e Anderson mise piede a terra forse per l'ultima volta, arrampicandosi con Cook su una collina. Fino alla morte, avvenuta tra le 3 e le 4 del pomeriggio del 3 agosto di fronte all'isola di San Lorenzo, non abbiamo altre notizie su di lui. Se fosse vissuto, oltre ad arricchire il risultati scientifici dello sventurato terzo viaggio di Cook, sarebbe sicuramente diventato qualcosa di più di una promessa della scienza britannica; probabilmente sarebbe stato ammesso alla Royal Society e sarebbe diventato uno degli uomini di Banks, al quale legò le sue collezioni. Una sintesi della sua breve vita nella sezione biografie. Ancora qualche riga per concludere il racconto. Ovviamente, Cook non trovò il passaggio a nord-ovest (sarà conquistato solo nel 1906 dal celebre esploratore polare Roald Amundsen) e divenne sempre più esasperato e intrattabile. Quindi ritornò alle Hawaii dove, come tutti sanno, il 14 febbraio 1779 trovò la morte. Clerke, che si era apparentemente un poco ripreso, assunse il comando della Resolution, mentre sulla Discovery gli subentrava John Gore, e riprese la ricerca del passaggio a nord-ovest. Ridotto a uno scheletro dalla tubercolosi, si spense in mare il 22 agosto 1779 (era il giorno del suo trentottesimo compleanno) e fu sepolto a Petropavlovsk in Kamčatka. Dopo diverse altre vicissitudini, una delle spedizioni più disastrose della storia della Royal Navy si concluse il 4 ottobre 1780 con il rientro in patria delle due navi. La stesura del resoconto ufficiale fu affidato al canonico John Douglas che per integrare il diario di Cook utilizzò ampiamente il diario del nostro William Anderson. ![]() Un genere per tre I materiali raccolti da Anderson rimasero inediti nella biblioteca di Banks, finché Robert Brown molti anni dopo li esaminò mentre preparava il suo importante lavoro sulla flora australiana. Oramai avevano perso ogni carattere di novità, ma Brown volle rendere omaggio allo sfortunato chirurgo dedicandogli il genere Andersonia, con una interessante nota biografica: "L'ho denominato in memoria di William Anderson, chirurgo navale, che partecipò a due spedizioni di Cook e morì durante l'ultima; si dedicò quanto più poteva all'osservazione di uomini e animali e non trascurò la botanica. Nella biblioteca di Banks e nel suo catalogo rimangono diverse sue descrizioni di piante, soprattutto dell'isola di Demen [cioè la Tasmania]; tra di essi non ho trovato alcun genere inedito, ovvero Goodenia Sm., Corraea Sm., Bauera (Ms. Ramsay) e Eucalyptum L.Hérit." Brown tuttavia approfittò dell'occasione per ricordare altri due Anderson: "Alexander Anderson, prefetto dell'orto botanico dell'isola di Saint Vincent, e William Anderson, giardiniere abilissimo, solertissimo coltivatore e acuto osservatore di piante esotiche". Al momento della dedica erano entrambi viventi e sicuramente più noti dello sfortunato chirurgo di Cook. Alexander Anderson (1748-1811) era nato ad Aberdeen e aveva studiato all'università di Edimburgo senza completare gli studi, quindi si era trasferito a Londra dove aveva lavorato per qualche tempo al Chelsea Physic Garden sotto il suo conterraneo William Forsyth. Nel 1774 si spostò a New York, dove lavorò come giardiniere e spedì a Forsyth alcuni esemplari di piante raccolte a Long Island e York Island (oggi Manhattan). Fedele all'Inghilterra, durante la guerra di Indipendenza per sottrarsi all'arruolamento si trasferì prima in Suriname poi nelle Antille britanniche. Nel 1783 si trovava all'Ospedale militare di Saint Lucia come aiutante di George Young, che gli chiese di cercare piante medicinali locali, tra cui un antimalarico che si pensava potesse sostituire la china; tuttavia la pianta, conosciuta come Cinchona sanctaeluciae, benché amara, non contiene gli alcaloidi presenti nel genere Cinchona ed è stata trasferita nel genere Exostema quindi in Solenandra, come S. sanctaeluciae. Nel 1784, quando il dottor Young poté tornare a Saint Vincent (per qualche anno occupata dai francesi), lo accompagnò, quindi gli succedette come prefetto del giardino botanico dell'isola, specializzato nella coltivazione di piante tropicali. Era anche un attivo raccoglitore, in corrispondenza con Banks, su sollecitazione del quale nel 1785 redasse un catalogo delle piante coltivate nell'orto, nel quale elenca 348 piante diverse, soprattutto medicinali o di interesse commerciale. Intorno al 1800 ne compilò una seconda edizione, che contiene circa 2000 specie, dandoci la misura del grande lavoro compiuto da Anderson per ampliare le collezioni dell'orto, sia grazie alle raccolte sul campo, sia grazie alla rete di corrispondenti. Anderson fece raccolte non solo a St Vincent, ma anche nelle piccole Antille, nell'entroterra costiero del Messico caraibico, a Trinidad e Tobago e nelle Guiane. Ricevette molte piante da capitani di marina e da numerosi corrispondenti, risiedenti nelle tredici colonie e nelle Antille francesi. Fu così che grazie a lui numerose piante caraibiche furono introdotte in Europa. Ma l'orto botanico di Saint Vincent divenne anche un centro di diffusione delle piante tropicali che, attraverso Kew, giungevano da altre parti del mondo. La più famosa è l'albero del pane Artocarous altilis, che arrivò a Saint Vincent da Tahiti nel 1793; Anderson la moltiplicò e provvide a distribuirla nelle altre isole delle Antille britanniche. Egli fu anche un prolifico autore di contributi che inviava alla Royal Society e alla Linnean Society. Progettò inoltre di scrivere una Flora dei Caraibi, di cui rimangono solo poche pagine manoscritte inviate a Banks. Purtroppo non pubblicò nessuna delle almeno 100 piante caraibiche che aveva raccolto e il suo nome è ricordato appunto solo dalla dedica collettiva di Andersonia R. Br. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Veniamo infine al secondo William Anderson (1766-1846); anche lui era scozzese e dopo aver lavorato come giardiniere in alcuni vivai nei pressi di Edimburgo, negli anni '90 si trasferì a Londra dove divenne il giardiniere capo del facoltoso mercante James Vere, che a Kengsinton Gore possedeva una notevolissima collezione di piante tropicali, in particolare succulente. Gli è stato persino dedicato il genere Veraea / Vereia, oggi sinonimo di Kalanchoe. William Anderson si fece un nome come esperto di succulente e nel 1798 fu ammesso alla Linnean Society. Nel 1814 venne nominato sovrintendente del Chelsea Physical Garden che in quegli anni aveva perso molto del passato smalto. Anderson ne seppe risollevare le sorti; contribuì anche attivamente con numerosi articoli al Gardeners Magazine e alle Transactions della Horticultural Society. Anche su di lui, una nota biografica nella sezione biografie. ![]() Andersonia, viva la varietà! Andersonia R.Br. è un piccolo genere endemico dell'Australia sudoccidentale, della famiglia Ericaceae (precedentemente Epacridaceae). Brown lo stabilì sulla base di cinque specie che egli stesso aveva raccolto lungo il King George's Sound e di una specie raccolta a Lucky Bay. Oggi comprende una trentina di specie di arbusti che vivono soprattutto nelle boscaglie di ericacee, con alcune specie tipiche di habitat più sabbiosi o rocciosi. Anche se alcune specie sono di dimensioni maggiori, la maggior parte sono piccoli arbusti che non superano il metro, mentre le specie di ambienti rocciosi sono nane a cuscino. Una differenza legata ai diversi habitat, che vanno dalle zone con precipitazioni abbondanti a quelle semiaride. Sempreverdi, hanno foglie da piccole a minute, spesso aghiformi, alternate o disposte a spirale. I fiori possono essere solitari ma più spesso sono aggregati in infiorescenze terminali, con i fiori sotteso da una serie di brattee o bratteole. Il calice con cinque sepali o polisepalo è persistente e in genere eccede la corolla tubolare; bianco, rosa, viola o azzurro, spesso è più decorativo della corolla. Anche quest'ultima, tubolare o a urna, con lobi ricurvi o retroflessi, è piuttosto varia. Il gigante del genere è A. axillaris, un grande arbusto che può superare i tre metri. Presente solo sulle pendici superiori e sulle sommità delle cime occidentali del Stirling Range National Park, dove vive in suoli rocciosi in associazione a fitte boscaglie di ericacee, è una pianta ormai rara oggetto di progetti di reintroduzione. Tra le più piccole e più comuni, troviamo invece A. macranthera, una specie non più alta di mezzo metro che vive nelle pianure sabbiose dalla costa sud-occidentale, con minuscole foglie aghiformi e deliziosi piccoli fiori con sepali e corolla rosa-porpora. Altre specie sono ancora più decorative. A. grandiflora, una minuscola specie a cuscino presente in poche aree con suolo roccioso e sabbioso dei dintorni di Albany, ostenta sorprendenti fiori con calice bruno e corolla rosso-aranciato. Ma forse la più singolare è A. caerulea, una specie piuttosto diffusa, con portamento tappezzante o decombente; al momento della fioritura, produce fitte infiorescenze a spiga di fiori bicolori, con calice rosa-violaceo e corolla azzurra, da cui emerge un ciuffo di stami candidi. Altre informazioni nella scheda. |
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Dal 27 maggio 2021 è in libreria il mio libro Orti delle meraviglie. Qui un'anteprima. CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
Luglio 2022
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