Il secondo orto botanico inglese nasce un po' per caso nel 1673 per volontà della Corporazione dei farmacisti londinesi. Siamo ancora lontani dalle future glorie: gli inizi sono confusi e contrastati, con la Corporazione sempre indecisa se continuare o meno quell'impresa rivelatasi troppo dispendiosa. Per qualche anno, a dirigere il giardino è il farmacista Samuel Doody, amico e compagno di scorribande botaniche di Buddle e Petiver, specialista di crittogame, stimato anche da John Ray. La dedica del genere di felci Doodia appare dunque quanto mai appropriata. ![]() Un inizio travagliato Il secondo orto botanico inglese nacque un po' per caso, oltre mezzo secolo dopo il primo, quello di Oxford. A prendere l'iniziativa fu la Corporazione londinese dei farmacisti (Worshipful Society of Apothecaries), nell'ambito di un lungo braccio di ferro legale con il Collegio dei medici. Gli statuti reali concedevano alla Worshipful society ampia autonomia e la facoltà di addestrare ed esaminare i propri membri, che erano ammessi alla professione dopo un tirocinio in bottega di otto anni, durante il quale imparavano a riconoscere i semplici, a preparare i medicamenti e a somministrarli correttamente. Non erano però autorizzati a prescriverli, compito riservato ai soli medici autorizzati. Tuttavia, la rapida crescita della popolazione londinese e le ricorrenti epidemie resero insufficiente il numero di questi ultimi, e la società dei farmacisti ricorse alla legge per veder riconosciuto ai propri membri il diritto legale di praticare la medicina di base: dopo anni, la battaglia fu infine vinta nel 1704, quando la Camera dei Lord si pronunciò a favore dei farmacisti contro l’ordine dei medici; il diritto della Corporazione londinese dei farmacisti di impartire un'istruzione medica primaria e di concedere licenze professionali a chirurghi, ostetriche e ginecologi sarebbe perdurato fino al 1999. Per accreditarsi agli occhi dei tribunali e dei Lord, la Corporazione doveva dimostrare la competenza professionale dei propri membri, in particolare la perfetta conoscenza delle erbe officinali, da cui si traeva la maggior parte dei medicamenti. Essa possedeva un hortus medicus a Westminster, di cui sappiamo ben poco, ma il principale strumento didattico sembra fossero le herborizing, escursioni nelle campagne dei dintorni in cui gli apprendisti erano guidati dai maestri a raccogliere e riconoscere le erbe. Da resoconti dell'epoca, sappiamo che si collocavano a metà tra l'occasione didattica e l'allegra scampagnata, e si concludevano immancabilmente in un'osteria. Poiché le strade erano scomode o poco sicure, apprendisti e maestri raggiungevano le località prescelte con una barca affittata allo scopo; tuttavia nel 1673 la società decise l’acquisto di un’imbarcazione, da usare anche per le feste solenni, come la parata annuale organizzata dal sindaco di Londra; in tali occasioni, veniva pavesata a festa, con nastri, pennoni, bandiere, lo stemma dei farmacisti e sculture di unicorni e rinoceronti. Si poneva il problema di trovare un posto per ricoverare la "barca sociale", che, diversamente dall’hortus di Westminster, avesse accesso diretto dal fiume. A tal fine, la Società dei farmacisti affittò da Charles Cheyne, proprietario del Chelsea Manor, un terreno di quattro acri situato nel villaggio di Chelsea, poco distante dal Tamigi, e vi fece costruire tre rimesse, una per la propria barca, le altre due da affittare ad altre corporazioni. Non era lontano neppure dall’affollato mercato di Chelsea, per cui l’anno successivo fu deciso di proteggerlo con un muro di cinta. Solo a questo punto, la Società decise di approfittare del suolo fertile e della posizione riparata per spostare qui le piante fino ad allora coltivate a Westminster e creare un Physic garden (ovvero hortus medicus), destinato sia alla produzione di erbe medicinali da vendere o da elaborare nel proprio laboratorio, sia all’addestramento degli apprendisti. Per gestire il trasferimento e creare il nuovo giardino, fu assunto il giardiniere Spencer Piggott, che però si rivelò disonesto, tanto che dopo un anno o due il contratto non gli venne rinnovato. Il 1678 gli succedette il più affidabile Richard Pratt che procedette ai trapianti, piantò diverse piante da frutto e preparò le aiuole didattiche, divise in pulvilli sul modello di Leida. Dal 1680 la gestione generale fu affidata al farmacista John Watts, un abile uomo d'affari e un intenditore di piante esotiche, che coltivava in uno splendido giardino privato a Enfield. Con l'assistenza di due giardinieri, il suo compito principale era arricchire il giardino di piante autoctone ed esotiche; per ospitare queste ultime, egli fece subito allestire una serra riscaldata, presumibilmente la prima del paese. Nel 1682 le collezioni erano già abbastanza ricche da meritare una visita di Paul Hermann, che invitò Watts a Leida. Nacque così il primo programma di scambi a noi noto tra orti botanici. Nel 1683 Watts andò a Leida in compagnia di George London, il giardiniere del vescovo Compton, e ne ritornò con moltissime piante, tra cui i famosi quattro cedri del Libano che divennero il simbolo del giardino. Inoltre Watts, che era un mercante specializzato nel commercio internazionale, con interessi anche in Cina, organizzò almeno una spedizione botanica, inviando in Virginia il cacciatore di piante James Harlow. Tuttavia, sul piano finanziario, anche la sua gestione si rivelò un disastro: i giardinieri divennero ben sei, la serra consumava impressionanti quantità di legname e di soldi, Watts si fece anche raddoppiare lo stipendio da 50 a 100 sterline annue e usò liberamente il terreno per coltivazioni in proprio, con eterne questioni su quali piante fossero sue e quali della società. Per di più, spremuto lo spremibile, prese ad assentarsi sempre di più, finché nel 1692 il contratto non gli fu rinnovato. ![]() Il secondo curatore del Physic garden Pur tra tante difficoltà, il giardino aveva cominciato ad assolvere il suo compito di formare una generazione di giovani farmacisti, alcuni dei quali divennero anche appassionati botanici. Tra di loro troviamo due amici e quasi coetanei, Samuel Doody (1656-1706) e James Petiver (1663 – 1718), entrambi venuti a Londra dalla provincia per diventare apprendisti farmacisti. Le gite fuori porta stimolarono la loro passione per le erborizzazioni in compagnia, che condividevano con altri amici, come Hans Sloane, che, prima di andare a studiare medicina e botanica in Francia, aveva frequentato insieme a loro le aiuole di Chelsea e le allegre herborizing. Intorno al 1685, quasi contemporaneamente, i due si abilitarono alla professione e aprirono le loro farmacie, Doody nello Strand e Petiver a Islington. A quel punto dovevano già essere membri attivi di quel circolo londinese di studiosi di botanica e scienze naturali che a partire dal 1689 prese a riunirsi nel cosiddetto Temple Coffee House Botanical Club. Oltre a Sloane, che ne era l'animatore, un punto di riferimento era John Ray, anche se quest'ultimo era tornato a vivere nel villaggio natale di Black Notley e veniva solo occasionalmente a Londra. Insieme al curatore dell'orto botanico di Oxford Jacob Bobart il giovane, a Sloane e al suo amico Tancred Robinson, i due farmacisti collaborarono con le loro raccolte e le loro note a Synopsis Methodica Stirpium Britannicarum di John Ray, la cui prima edizione uscì nel 1690. È stato anzi supposto che tra di loro si fosse stabilita una certa divisione dei compiti, nell'intento comune di riconoscere e recensire il maggior numero possibile di piante della flora britannica. Doody si specializzò in un campo ancora poco battuto, quello delle crittogame, in particolare muschi e licheni. Su questo argomento corrispondeva con il reverendo Adam Buddle, che talvolta veniva a Londra per erborizzare con lui e Petiver, o per confrontare le raccolte, discutendone davanti a un bicchiere di vino o un boccale di birra al Greyhound Tavern di Fleet Street o in altre taverne londinesi. Un altro corrispondente di Doody era Edward Lhwyd, il custode dell'Ashmolean Museum, che invece si era concentrato nello studio dei fossili. Grazie a questi contatti e alla collaborazione con Ray, il farmacista aveva ormai una solida reputazione di botanico che sicuramente pesò quando, nel 1692, fu chiamato a sostituire Watts come curatore del Chelsea Physic Garden. Era in qualche modo un tentativo di salvare il giardino, che molti membri della società avrebbero preferito dismettere. Doody, come il predecessore, ricevette un salario di 100 sterline, al quale tuttavia rinunciò a partire dal 1696 quando prese in affitto una parte dell'appezzamento. Il suo primo compito fu catalogare le piante per sbrogliare la matassa di quali spettassero alla Society e quali a Watts. Quindi anch'egli si diede da fare per incrementare le collezioni, organizzando una spedizione alle Canarie nel 1694. Si impegnò molto nelle herborizing, durante le quali faceva sfoggio del suo sapere botanico. Sia lui sia Petiver entrarono a far parte del comitato che seguiva la disputa legale con il Collegio dei medici e nel 1695 furono ammessi nella medesima seduta alla Royal Society, di cui da poco l'amico Sloane era diventato uno dei segretari. L'unico contributo di Doody alle Transactions della Società fu una comunicazione su un caso di idropisia (1697). Anche sulla sua gestione del Physic Garden non sappiamo molto altro; in ogni caso fu breve, perché egli morì nel 1706. A presiedere la cerimonia funebre fu Adam Buddle. I suoi libri, l'erbario e qualche manoscritto confluirono nelle collezioni di Sloane. Il pezzo di maggior interesse è una copia della seconda edizione della Synopsis methodica di Ray, interfogliata con note di pugno di Doody che riguardano soprattutto funghi, muschi e licheni e furono utilizzate da Dillenius per la terza edizione. ![]() Felci ruvide Fu il ruolo pionieristico di Doody in questo campo a suscitare l'interesse di Robert Brown che nel 1810 gli dedicò il genere Doodia con questa breve motivazione: "L'ho dedicato alla memoria del farmacista londinese Samuel Doody, quasi il primo in Inghilterra ad esplorare le crittogame". Doodia è un piccolo genere di felci della famiglia Blechnaceae, con 15-20 specie distribuite tra l'Asia sud-orientale, l'Australia e la Nuova Zelanda, di status tassonomico discusso. Secondo il gruppo di lavoro diretto da M. J. M. Christenhusz (2011) è annidato in Blechnum, nel quale va fatto confluire. Secondo il Pteridophyte Phylogeny Group (PPG, 2016) va mantenuto come genere autonomo, uno dei diversi un cui va smembrato il polifiletico Blechnum. Sono piante terrestri, in genere sempreverdi, con fronde unipinnate, foglie lanceolate e ruvide al tatto (da cui il nome comune inglese rasp fern, "felce rasposa"); i sori sono disposti in file ai lati della nervatura centrale delle pinnae e le loro tracce sono ben visibili sulla superficie superiore. In genere al momento dell'apertura le fronde sono da rosate a rossastre, per poi diventare verde scuro. E' questa la maggiore attrattiva di queste felci, di cui in giardino si coltivano soprattutto due specie australiane, tendenzialmente tappezzanti e di facile coltivazione, ma purtroppo non del tutto rustiche, D. aspera e D. media. Alcune specie di ridotte dimensioni, come l'australiana e neozelandese D. caudata, sono anche adatte alla coltivazione in un giardino alpino. Qualche approfondimento nella scheda.
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Non stupisce che la duchessa di Beaufort, grande appassionata senza problemi di mezzi, appena vide le serre riscaldate di Hampton Court, si affrettasse a farsi costruire un'analoga "serra tropicale" per i suoi giardini di Badminton. Più curioso è che anche prima di lei se ne fosse dotato un semplice maestro di scuola: il dr. Robert Uvedale. Come per la ben più ricca nobildonna, anche per lui le piante erano una ragione di vita ed era così abile nel coltivarle che la sua reputazione di esperto orticoltore travalicava le frontiere britanniche. Gli è attribuita l'introduzione in Inghilterra di due piante: quella dubbia del cedro del Libano e quella documentata del pisello odoroso. A ricordarlo, tramite l'amico Petiver, l'epiteto linneano di Smallanthus uvedalia, e il genere australiano Uvedalia (Phrymaceae). ![]() Piselli siciliani e cedri libanesi I britannici hanno una vera passione per i piselli odorosi Lathyrus odoratus. Non solo li coltivano ampiamente nei loro giardini, magari facendoli arrampicare su apposite piramidi sullo sfondo dei mixed border, ma ne fanno i protagonisti di premi e concorsi e ne arricchiscono continuamente la gamma con nuove selezioni e varietà. I nomi di due di esse, 'Cupani' e 'Robert Uvedale', ci portano all'origine di questa passione. Lathyrus odoratus è un endemismo della Sicilia e di alcune aree dell'Italia meridionale. Il primo a darne una descrizione fu Francesco Cupani in Syllabus plantarum Siciliae nuper detectarum (1694) e poi nuovamente in Hortus catholicus (1696). Nel 1699 ne inviò i semi a Caspar Commelin dell'orto botanico di Amsterdam, che li coltivò con successo e fece ritrarre la pianta nel quarto volume del Moninckx Atlas (1699) come Lathyrus siculus. La bella specie, deliziosamente profumata, che ogni tanto produceva fiori bianchi, ottenne successo; nel 1737 Burman attesta che era ormai coltivatissimo nei giardini dei Paesi bassi, compreso quello del patrono di Linneo George Clifford, dove il botanico svedese lo vide, ripubblicandolo in Hortus cliffortianus come Lathyrus odoratus. Cupani inviò semi anche ad altri corrispondenti, uno dei quali era l'inglese Robert Uvedale (1642-1722). Laureato in teologia a Cambridge, Uvedale era un semplice maestro di scuola: dirigeva la Grammar School di Enfield, a nord di Londra, ma soprattutto era famoso in tutta l'Inghilterra come grande esperto di orticultura e floricoltura; la sua specialità erano le piante esotiche, per coltivare le quali si era dotato di arancere e di una delle primissime serre riscaldate del paese. I semi di Cupani capitarono dunque in ottime mani, non solo perché Uvedale li coltivò nel migliore dei modi, ma anche perché li diffuse tra i suoi amici. Anche se egli stesso non ne faceva parte, alcuni di essi erano i colti gentiluomini che si riunivano nel Temple Coffee House Botany Club: Leonard Plukenet, che forse era stato suo compagno di scuola, il farmacista James Petiver e il dr. Sloane, almeno un nipote del quale fu suo allievo; tra i corrispondenti più assidui il medico, antiquario e collezionista Richard Richardson. Nel 1700 Plukenet pubblicò la nuova specie in Almagesti Botanici Mantissa e diversi esemplari coltivati a Enfield sono tuttora conservati nel suo erbario. Come in Olanda, anche in Inghilterra quel fiore profumatissimo piacque molto; nel 1724 cominciò ad essere disponibile nei cataloghi dei vivai. Era l'inizio di un grande amore che perdura tuttora. Oggi le varietà si contano a centinaia. Tra di esse 'Cupani', la più simile al pisello odoroso originario: ha solo due fiori per stelo, piccoli e bicolori, ma profumatissimi. C'è anche 'Robert Uvedale', con grandissimi fiori rosa intenso. Il pisello odoroso non è l'unica specie la cui introduzione è attribuita a Uvedale. Ma dal campo dei fatti, passiamo in quello della leggenda. Fino al 1920, presso l'Enfield Palace si poteva ammirare un esemplare secolare di cedro del Libano Cedrus libani, che sarebbe stato piantato da Uvedale tra il 1662 e il 1670, da semi portati da Gerusalemme da un allievo. Si tratterebbe del primo esemplare piantato in Inghilterra, se non in Europa. E' una pretesa largamente infondata. Le prime pigne di cedro furono portate in Inghilterra nel 1639 da Edward Peckock, Cappellano della compagnia turca ad Aleppo, che le passò al fratello, cappellano del conte di Pembroke a Wilton (Devon); intorno al 1640 due esemplari nati dai loro semi furono messi a dimora nel parco di Wilton e vissero fino al 1874. Più tardi Peckock divenne rettore di Childrey, Oxfordshire, e piantò nel giardino del rettorato un esemplare che sopravvive tuttora. Quando Uvedale piantò il suo a Enfield, dunque, se la data tradizionale è fondata, il cedro di Childrey era già un bell'albero di 40 o 30 anni, Ma anche quella data è stata contestata. In nessuna delle lettere di Uvedale ai suoi numerosi corrispondenti egli cita l'albero né viene menzionato nella descrizione del giardino di Enfield contenuta in Short Account of several Gardens near London di J. Gibson (1691). John Ray, un altro dei corrispondenti di Uvedale, parlando dei quattro esemplari di cedro piantati al Chelsea Physic Gardens nel 1683, si dice convinto che siano i primi ad essere piantati in Inghilterra (come abbiamo visto, non lo sono; ma furono i primi a fruttificare, e da loro discendono i virgulti portati al Jardin des Plantes da Bernard de Jussieu), Dal libro di Gibson ricaviamo interessanti informazioni sul giardino di Enfield: "Il dr. Uvedale di Enfield è un grande amante delle piante e, avendo un'arte straordinaria nel coltivarle, è riuscito a creare una delle più grandi e rare collezioni di esotiche che si siano viste in questo paese. Il giardino comprende cinque o sei edifici o ambienti. Il più vasto è occupato da aranci e da grandissimi mirti, un altro è riempito da mirti più piccoli; le piante più graziose e curiose, che richiedono maggior cura, si trovano in stanze più calde, alcune delle quali possono essere riscaldate all'occorrenza. I fiori sono scelti, l'assortimento ricco, la coltivazione metodica e curiosa; non vale però la pena di parlare dell'aspetto generale del giardino, perché la sua delizia e la sua cura più che nel piacere dell'occhio risiedono nella coltivazione di piante rare". Insomma, ancora lontano dal giardino paesaggistico all'inglese, il giardino di Uvedale è ancora essenzialmente una camera delle meraviglie barocca, in cui il sommo piacere è dato dall'ostentazione di piante rare, la cui coltivazione è resa possibile da una serie di stanze con temperature variabili; che una o più siano riscaldabili è una novità nell'Inghilterra del 1691, se pensiamo che sono precedute solo dalla "stufa" del giardino dei farmacisti a Chelsea (forse 1681) e dalle tre serre della regina a Hampton Court (1690). Persino la "serra delle esotiche" della ben più ricca duchessa di Beaufort arriva dopo. Né ricco né nobile, questo modesto insegnante di provincia, non di rado in conflitto con i suoi superiori, traeva dalla rarità delle collezioni, dalla suprema abilità di coltivatore e dalla frequentazione di dotti e stimati botanici un prestigio capace di elevarne lo status e di farne una figura riconosciuta, come abbiamo visto, persino in Sicilia. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1722, la collezioni di piante vive fu acquistata da Robert Walpole per Houghton Hall; l'erbario fu invece acquisito da Sloane. Anch'esso documenta la rete di corrispondenti di Uvedale, con esemplari ottenuti non solo da corrispondenti inglesi come Sherard, Richardson, Petiver, Plukenet, Bobart, Doody, Sloane, Du Bois, ma anche da corrispondenti continentali come Tournefort, Magnol, Vaillant e altri. ![]() Dediche intricate Il dr. Uvedale doveva anche possedere il talento dei rapporti umani, tanto che riuscì a conservarsi l'amicizia sia di Plukenet sia di Petiver, nonostante l'ostilità tra i due. Al primo forniva piante per i suoi libri e per i giardini di Hampton Court, il secondo lo onorò battezzando Wedalia (il cognome poteva essere scritto in vari modi, incluso Wedal) una bella asteracea nordamericana con foglie palmate e capolini giallo oro. Linneo, prima in Hortus cliffortianus poi in Species plantarum, riprese la denominazione di Petiver, ma ne normalizzò la grafia e la trasformò in epiteto, ribattezzando la specie Polymnia uvedalia. Oggi si chiama Smallanthus uvedalia. Del nome generico così rimasto disponibile si ricordò a inizio Ottocento Robert Brown che in Prodromus Florae Novae Hollandiae (1810) istituì il genere Uvedalia per una piccola pianta da lui scoperta in Australia, U. linearis. Nella breve motivazione sono citati esplicitamente Plukenet, Petiver e il giardino di Enfield: "Questo genere, forse troppo affine a Mimulus, l'ho battezzato Uvedalia in memoria del dottore in teologia e legge Uvedale, lodato da Plukenet e Petiver, che nei pressi di Enfield creò un giardino soprattutto ricco di esotiche". Che fosse troppo affine a Mimulus lo pensavano sicuramente de Candolle che nel 1813 soppresse il genere e lo fece confluire in Mimulus, nonché Bentham che nel 1835 ribattezzò la specie di Brown dapprima Mimulus linearis, quindi M. uvedaliae, con un assurdo genitivo. Questa è stata la situazione per circa 200 anni, fino al 2012, quando Barker e Beardsley hanno fatto risorgere Uvedalia nell'ambito di una revisione generale di Mimulus, che ha comportato il distacco delle specie australiane, assegnate a sei piccoli generi, tra cui appunto Uvedalia con due specie, U. linearis e U. clementii. Ovviamente una soluzione che non piace a tutti: altri preferirebbero un genere Mimulus onnicomprensivo, sulla scia della linea adottata di recente per Salvia. Al momento, però, Uvedalia resiste. U. linearis è una piccola erbacea che vive nei suoli sabbiosi dei territori del nord dell'Australia, con foglie lineari e fiori con corolla bilabiata blu-violaceo con gola gialla, oppure gialla a volte puntinata di rosso nella varietà lutea. La poco nota e rara U. clementii è invece nativa dell'Australia nord occidentale. Nel 1691, poco dopo essere stato nominato dalla regina Mary giardiniere reale e curatore del giardino di Hampton Court, Leonard Plukenet dà alle stampe a proprie spese il primo volume di Phytographia; è l'atto di nascita di uno straordinario corpus di immagini di rarità botaniche provenienti da tutto il mondo, che arriverà a comprendere oltre 2700 figure. Con centinaia di specie inedite o almeno mai raffigurate in precedenza, è un'opera di riferimento imprescindibile per i botanici successivi, in particolare Linneo che volle dedicare a questo botanico "unico tra tutti" una pianta dai fiori altrettanto singolari, Plukenetia (Euphorbiaceae). ![]() Collezionista ed esperto di piante esotiche In Historical and Biographical Sketches of the Progress of Botany (1790) Richard Pulteney inizia il suo profilo di Leonard Plukenet (1642-1706) lamentando come gli sia toccato il destino comune a molti grandi uomini di cadere nell'oblio poco dopo la morte. Duecento anni dopo, la situazione non sembra cambiata di molto; al contrario degli amici-rivali Hans Sloane e James Petiver, la cui opera è ben nota e oggetto di ampi studi, Plukenet continua a ricevere un'attenzione marginale, né è disponibile uno studio complessivo del suo stesso capolavoro Phytographia. Eppure si tratta di un'opera notevolissima, tale da guadagnare al suo autore l'immensa stima di Linneo che lo definì "un botanico diverso da tutti gli altri". Poco conosciamo della sua vita fino ai quarant'anni. Nativo di Westminster, Plukenet dovette frequentare la Westminster School e poi forse l'università di Cambridge dove avrebbe stretto amicizia con William Courten e Robert Uvedale; la sua immatricolazione non risulta, così come non compare tra i laureati. Poiché esercitava la medicina e si firmava MD Medical Doctor, si suppone che si sia laureato all'estero. In ogni caso negli anni '80 viveva a Londra ed era di condizione agiata, anche se non sappiamo se cioè fosse dovuto al successo professionale o a qualche eredità. Il suo nome incomincia a emergere intorno alla metà di quel decennio; è citato in una lettera di John Ray a Hans Sloane (1684) e nel 1688, insieme a William Courten, Samuel Doody e James Petiver, è calorosamente ringraziato da Ray per l'assistenza prestata per il secondo volume di Historia Plantarum. Gli uomini citati sono alcuni degli animatori del Temple Coffee House Botanical Club, che a quanto pare cominciò a riunirsi nel 1689, sia in un caffè sia nella vicina casa di Courten a Middle Temple. Era un gruppo eterogeneo di appassionati e professionisti: Courten era un mercante che aveva ereditato dalla famiglia una intricata situazione patrimoniale e legami con le Barbados e altre colonie, che seppe sfruttare per creare un ammirato gabinetto di curiosità; Doody e Petiver erano membri della gilda dei farmacisti, botanici ben più che dilettanti e uno dopo l'altro curatori del Chelsea Physic Garden; Plukenet come sappiamo era medico. Tutti erano appassionati collezionisti. Anche se non conosciamo la cronologia e la stratificazione delle sue collezioni, all'epoca Plukenet doveva già essersi fatta una solida fama di esperto di piante esotiche, che si procurava attraverso una rete internazionale di corrispondenti, coltivava nel giardino di St Margaret’s Lane e pressava in un erbario sempre più voluminoso. Come si deduce dalla profonda conoscenza della letteratura botanica che emerge dalle sue opere, doveva anche possedere una fornita biblioteca. Furono certo queste due competenze, quella di botanico autodidatta ma di grande preparazione e quello di esperto di esotiche, a convincere William e Mary (ovvero Guglielmo III d'Orange e Maria II Stuart) a nominarlo sovrintendente dei giardini reali di Hampton Court. I due sposi, divenuti sovrani d'Inghilterra e Scozia in seguito alla Gloriosa Rivoluzione, condividevano la passione per i giardini e le piante esotiche (quelle stesse che attraverso le compagnie mercantili olandesi affluivano nei Paesi Bassi dall'Asia, dal Sudafrica, dai Caraibi e dal Suriname) e nei palazzi olandesi di Honselaarsdijk e Het Loo possedevano grandi limonaie e serre riscaldate dove d'inverno venivano ricoverate le loro grandi collezioni di agrumi e esotiche non rustiche. Poco dopo l'ascesa al trono, William incaricò Christopher Wren di ristrutturare palazzo e giardino di Hampton Court; per il godimento della Regina fu creato un giardino privato in stile barocco olandese con intricati parterre a ramages e sentieri in brecciolino colorato, una fontana e un pergolato; il vecchio stagno Tudor venne prosciugato per ospitare tre nuovi giardini murati: il quadrato dei fiori, quello delle Primula auricula (una delle piante preferite della sovrana) e quello degli agrumi (piante "dinastiche" degli Orange). In ciascuno di essi il carpentiere olandese Hendrick Floris costruì una serra riscaldata lunga circa 16 metri, tra le prime e le più perfette che si fossero viste in Inghilterra. D'inverno ospitavano la splendida collezione di esotiche, che invece nella bella stagione erano esposte all'aperto. Era la più ricca e raffinata del paese, con limoni, aranci e altri agrumi, cacti e succulente, palme, piante di caffè, dracene, agave, aloe, yucche, molte bulbose. Parecchie, soprattutto le sudafricane, erano delle novità assolute. A presiedere questa meraviglia furono chiamati come capo giardiniere George London (che abbiamo già incontrato alle dipendenze del vescovo Compton a Fulham) e come sovrintendente appunto Leonard Plukenet, nominato Queen's Botanist o anche Royal Professor of Botany (presumibilmente un titolo onorifico che non comportava insegnamento). I due, ovviamente, si conoscevano già, essendo entrambi assidui membri del Temple Coffee House Botanical Club, come lo stesso vescovo Compton. L'incarico permise sicuramente a Plukenet di incrementare le sue collezioni, accedendo alle piante coltivate sia a Hampton Court sia nei giardini di altri nobili e appassionati, come il braccio destro di Gugliemo III Hans William Bentnick, il primo conte di Portland, oppure la contessa di Beaufort. Gli diede anche il prestigio internazionale per corrispondere alla pari con colleghi di altri paesi, come Paul Hermann prefetto dell'orto di Leida (dove spedì London a fare incetta di piante) o Giovanni Macchion, giardiniere dell'orto di Padova. ![]() Un immenso corpus di immagini Certamente sulla base di un lavoro iniziato da tempo, già nel 1691 Plukenet fu in grado di dare alle stampe - a proprie spese - il primo volume di Phytographia, sive stirpium illustriorum et minus cognitorum icones, che, se non si presentava come un catalogo del giardino reale, ne condivideva lo spirito. Composto unicamente di figure (dette tavole fitografiche) e dedicato sia al "venerabile sommo mecenate di tutti i botanofili", ovvero il vescovo Compton, sia al re Guglielmo III, era essenzialmente una vetrina cartacea delle piante più nuove ed esotiche, anche se non mancava qualche specie locale. John Ray lo recensì con favore per le Philosophical Transactions della Royal Society, sottolineando che tra le centinaia di piante di cui "il colto e ingegnoso autore" dava la figura e la didascalia, moltissime in precedenza non erano state né descritte né raffigurate, altre descritte ma mai raffigurate o viceversa. Certo, il testo era limitato ai "titoli", ovvero ai nomi polinomiali, ma questi ultimi contenevano note caratteristiche sufficienti per distinguere una specie dall'altra. A soddisfare i desideri dei lettori, curiosità come l'Artemisia usata dai cinesi per la moxibustione, l'altrettanto celebre radice di Ginseng, o la miracolosa "erba dei serpenti" della Virginia (oggi Aristolochia virginiana), efficace antidoto contro il morso dei serpenti. Per comprendere il significato culturale e in un certo senso pedagogico di un'opera senza precedenti in Inghilterra, va sottolineato che non si trattava di un maestoso in folio pensato per fare bella figura nelle biblioteche dei ricchi, ma di un più maneggevole ed economico in quarto destinato allo studio e alla consultazione. Per ottimizzare lo spazio e abbattere i costi, ciascuna delle 72 tavole calcografiche non raffigura una singola pianta a piena pagina, ma da un minimo di tre a un massimo di sei piante, disegnate in modo essenziale ma ben riconoscibile; dato che spesso i disegni furono tratti non da piante vive ma da esemplari d'erbario, non sempre sono dotate di fiori e frutti. Dopo il primo volume, ne seguirono a ritmo serrato altri tre: la seconda parte nello stesso 1691 (tav. 73-120), la terza parte nel 1692 (tav, 121-250) e l'immensa quarta parte (tav. 122-328) nel 1696; insieme a quest'ultima uscì Almagestum botanicum, sive, Phytographiae Plukenetianae Onomasticon, Methodo Synthetico digestum, un volume di 400 pagine con le descrizioni, i nomi e i sinonimi di ben 6000 piante; per quelle raffigurate in Phytographia, Plukenet aggiunse anche le referenze bibliografiche e molte note critiche, che dimostrano una conoscenza approfondita della precedente letteratura botanica e un esame molto serio per giungere a identificazioni corrette. Impressionante per le dimensioni e l'erudizione, il lavoro di Plukenet si segnala anche per la notevole accuratezza delle descrizioni. Gli sono estranee invece preoccupazioni tassonomiche che vadano al di là di genere e specie: tanto nella Phytographia quanto nel Almagestum le specie, designate con un nome descrizione polinomio che ha come primo termine il nome generico, sono disposte infatti in ordine alfabetico. D'altra parte, le immagini di specie diverse dello stesso genere, pubblicate una di fianco all'altra nella medesima pagina, sono di per se stesse uno strumento di identificazione di straordinaria efficacia, che oggi ci è familiare, ma era all'epoca una novità assoluta. Nel 1700 seguì ancora un'appendice, Almagesti botanici mantissa, con ulteriori 25 tavole, altri sinonimi e note e gli indici completi delle due opere. Nel 1705, un anno prima della morte, Plukenet pubblicò infine Amaltheum botanicum (ovvero "Cornucopia botanica") con le tavole e le descrizioni di un centinaio di specie di origine per lo più cinese o indiana; per quest'ultimo volume, avendo evidentemente esaurito i fondi, si rassegnò ad indire una pubblica sottoscrizione. Tutti insieme, questi libri di Plukenet vanno a costituire un enorme corpus di 2740 figure, di fondamentale importanza per documentare la prima introduzione di nuove specie dalle Americhe, dal Sudafrica e dall'Asia orientale. Benché di piccole dimensioni e di qualità diseguale (furono affidate ad artisti diversi, tra cui spicca l'incisore fiammingo Michael Vandergucht), testi e illustrazioni divennero un riferimento imprescindibile per i botanici successivi. Morto nel 1706, Plukenet lasciò un immenso erbario di oltre 8000 esemplari che fu venduto dalla famiglia al vescovo di Norwich, uno dei sottoscrittori dell'Amaltheum. Qualche anno dopo, confluì anch'esso nell'erbario di Sloane, così come una collezione di circa 1500 insetti pressati e incollati su carta. Come altri collezionisti inglesi del suo tempo, Plukenet si servì di una vasta rete di corrispondenti e fornitori, che in parte coincide con quella di Petiver, di cui facevano parte botanici, giardinieri, collezionisti e appassionati, mercanti dediti al commercio internazionale, residenti nelle colonie nordamericane e un buon numero di medici e chirurghi al servizio della compagnia delle Indie. Tra i nomi più significativi, per le colonie americane spicca John Banister, di cui, con il permesso del vescovo Compton, Plukenet pubblicò diverse tavole, ma importanti invii si devono anche al medico tedesco David Krieg che visitò il Maryland; le numerose piante del Capo, punto di passaggio obbligato per le navi dirette nelle Indie orientali, si devono per lo più a chirurghi navali come Alexander Brown, che fece raccolte anche a Sant'Elena, o Patrick Adair che raccolse anche nelle Comore. Ci portano invece rispettivamente in India e in Cina le raccolte di Samuel Browne e James Cunnighame, soggetto principale di Amaltheum botanicum. Il primo, chirurgo del Fort St George (oggi Madras), raccolse nel Malabar e corrispose con Petiver e Ray, che mise in contatto con Kamel; il secondo, medico al servizio della Compagnia delle Indie nella factory di Chusan, fu il primo europeo a fare significative raccolte in Cina. ![]() Un botanico e una pianta senza uguali Prima di concludere, vale la pena di approfondire le relazioni con Petiver, Sloane e Ray che forse spiegano perché, nonostante l'enorme influenza sui botanici successivi, il nome di Plukenet abbia finito per essere dimenticato. I quattro facevano parte degli stessi ambienti, erano assidui del Temple Coffee House Botanical Club, si scambiavano fornitori ed esemplari. All'inizio erano indubbiamente amici. In Almagestum botanicum, Plukenet ringrazia ripetutamente Petiver e Sloane per avergli procurato esemplari rari; come abbiamo visto, la recensione di Ray alla prima parte di Phytographia è elogiativa. Eppure, qualcosa si guastò. Come collezionisti, Plukenet, Petiver e Sloane era naturalmente rivali, dal momento che ciascuno avrebbe voluto gloriarsi della collezione più vasta e ricca di rarità. In questa specie di gara, facendo capo alla medesima rete di raccoglitori, non devono essere mancati gli sgarbi. Per Petiver lo fu senza dubbio la pubblicazione stessa delle piante dei suoi corrispondenti Browne e Cunningham in Amaltheum botanicum, che privò della primogenitura i suoi articoli per la Royal Society. Ad aprire le ostilità fu per altro Plukenet, che nella Mantissa non risparmiò le critiche né a Petiver né alla Storia naturale della Giamaica di Sloane, definita "un caos". Ray, che all'epoca si proclamava ancora amico di Plukenet, cercò di fare da paciere, ma dovette arrendersi di fronte al suo pessimo carattere che così definisce in una lettera a Sloane: "E' un uomo pieno di puntiglio, piuttosto presuntuoso e supponente, incapace di accettare consigli". Se Ray e Sloane, signorilmente, si limitarono ad esprimere le loro riserve anche scientifiche nella corrispondenza privata, Petiver lo fece in pubblico. Nel suo articolo sulle piante indiane di Browne, pubblicato sulle Philosophical Transactions, lo colpisce nell'orgoglio: "Quel celebratissimo botanico, il dr. Plukenet, può ben vantarsi delle sue innumerevoli specie di piante, visto che le moltiplica, come ha fatto con questa, rendendola tre erbe diverse". Ora ci è chiaro perché il "Botanico della Regina" non abbia mai fatto parte della Royal Society e perché la sua opera sia stata apprezzata più nel continente che in patria. Tra i suoi più fervidi ammiratori vi fu certamente Linneo, che fece larghissimo uso del corpus di Plukenet (che egli conosceva in un'edizione complessiva, pubblicata nel 1720) citandolo in quasi pagina di Species plantarum. In Critica botanica, dedicandogli il genere Plukenetia, ne tesse un vero encomio: "La Plukenetia ha una struttura dei fiori unica tra le piante, come lo è Plukenet tra i botanici. Egli preferì le piante a ogni ricchezza; non risparmiò nulla per illustrare quelle rare per le quali ardeva più di ogni altro". Plukenetia L. (famiglia Euphorbiaceae) comprende una ventina di specie di liane e rampicanti volubili diffuse nelle aree tropicali di tutto il mondo. I fiori che avevano stupito Linneo sono curiosi sia per la struttura (privi di petali hanno un calice globoso che si apre in quattro lobi valvati), sia per la disposizione, con uno o due fiori femminili alla base e molti fiori maschili disposti lungo l'asse del racemo. Curiosi anche i frutti, con quattro lobi angolati o alati, che si aprono in quattro cocci bivalvi che contengono un seme. Sono proprio i semi a costituire il maggiore punto di interesse di diverse specie, compresa la più nota, P. volubilis, conosciuta come sacha ichi o arachide degli Inca. Originaria del Sud America tropicale, ma coltivata anche altrove, è una liana con foglie cuoriformi e piccoli fiori raccolti in cime seguiti da curiosi frutti verdi, capsule con 4-7 punte che a maturazione si aprono mostrando una polpa biancastra che avvolge grandi semi. Non commestibili da crudi, lo diventano previa tostatura. Ricchissimi di proteine e di oli, se ne ricava un olio considerato salutare per l'alta presenza di acidi grassi polinsaturi. Qualche approfondimento nella scheda. Linneo soprannominò eristici, ovvero seguaci di Eris, la dea della discordia, i botanici delle generazioni immediatamente precedenti, impegnati in polemiche tanto feroci quanto sterili a difesa dei rispettivi sistemi di classificazione delle piante. Il più litigioso era indubbiamente lo scozzese Robert Morison, che non si peritava ad attaccare a testa bassa i botanici del passato e del presente, definendo i loro errori "allucinazioni". Da loro pretendeva di non aver appreso nulla e di aver tratto il suo nuovo metodo dalla natura stessa; molto probabilmente a ispirarglielo era stato invece Cesalpino, che però non cita mai. Pagò cara questa arroganza: i botanici successivi lo ripagarono della stessa moneta, attingendo alla sua opera pionieristica sotto traccia e censurando con altrettanta asprezza le sue pretese. Tra i critici più recisi lo stesso Linneo, che tuttavia gli dedicò il genere Morisonia (Capparaceae), che, manco a farlo apposta, suscita polemiche altrettanto roventi. ![]() Formazione: Francia, Parigi e Blois Nel 1637, contro la pretesa del re d'Inghilterra Carlo I di imporre vescovi di propria scelta e un nuovo libro di preghiere sul modello anglicano, i presbiteriani scozzesi, con un patto giurato (Covenant) proclamarono che avrebbero difeso la loro fede fino alla morte. Ben presto si arrivò alla guerra aperta (prima e seconda guerra dei vescovi, 1639-1640), preludio alla rivoluzione inglese che avrebbe portato alla decapitazione del re e all'instaurazione del Commonwealth. Il solo fatto militare di una certa importanza della Prima guerra dei vescovi fu la battaglia del Bridge of Dee (18-19 giugno 1639) con la quale i Covenanter riuscirono a strappare alle truppe fedeli al re il controllo del ponte che dava accesso alla città di Aberdeen; tra coloro che militavano nell'esercito realista c'era anche il diciannovenne Robert Morison (1620-1683) che rimase gravemente ferito alla testa. Dopo la guarigione, come altri oppositori dei Covenanter che ormai controllavano la Scozia, decise di lasciare il paese e di rifugiarsi in Francia. Ci sarebbe rimasto vent'anni, cambiando del tutto il proprio destino. Anziché uomo di Chiesa, come avrebbe voluto la famiglia, divenne medico, naturalista e botanico. A Parigi, il suo primo rifugio, oltre a mantenersi come precettore del figlio di un certo consigliere Bizet, poté seguire lezioni di anatomia, zoologia, mineralogia, chimica e botanica, presumibilmente nel neonato Jardin des Plantes, dove fu allievo di Vespasien Robin. Nel 1648 si laureò in medicina a Angers, quindi nel 1649 o 1650, su raccomandazione di Robin, entrò al servizio dello zio del re, il principe Gastone d'Orlèans. Vale la pena di dedicare qualche riga a questo personaggio, che Morison proclamerà "patrono di tutti i botanici e mecenate veramente regale, versatissimo nell'arte botanica", tanto più che gli sono stati dedicati ben due generi di piante (entrambi oggi ridotti a sinonimi): Borbonia da parte di Plumier e Gastonia da parte di Commerson. Come politico, il duca d'Orlèans gode pessima stampa: intrigante e inconcludente, coinvolto in mille congiure tutte finite male, pronto a salvare la pelle abbandonando i suoi seguaci; brilla invece come mecenate delle arti e delle scienze, creatore della più vasta collezione di medaglie e antichità d'Europa, di una prestigiosa biblioteca, di un gabinetto scientifico e di collezioni d'arte. Della botanica era cultore più che dilettante grazie agli insegnamenti del medico che lo seguiva fin dalla nascita, il protestante Abel Brunier (o Brunyer, 1572-1665). Testimonianze del tempo riferiscono che conoscesse a memoria il nome di "tutte le erbe" (i comodi nomi binomiali di Linneo erano al di là da venire: siamo ancora all'epoca dei nomi-descrizione) e che amasse erborizzare, tanto che scoprì una nuova specie di trifoglio. A partire dal 1635, quando si stabilì a Blois al ritorno di un periodo di esilio, egli affidò a Brunyer, assistito dal secondo medico Jean Laugier e dal farmacista Nicolas Marchand (o Marchant), la creazione di un orto botanico, per il quale non lesinò attenzioni e spese. Dal 1644, ne fece anche immortalare le rarità su pergamena dall'abilissimo pittore Nicolas Robert: è l'inizio della spettacolare collezione nota come "Vélins du Roi". Tuttavia, dopo la morte di Richelieu nel 1642, egli si gettò nuovamente nell'agone politico e tornò a vivere a corte, portando con sé Brunyer, che per altro era ormai sulla settantina. Affidato ad altre mani, il giardino fu forzatamente trascurato. Dunque l'ingaggio di Morison, come terzo medico e botanico, era più che opportuno. E tanto più lo diverrà nel 1652, quando Mazzarino confinò il duca a Blois. Collezioni e piante divenivano ora la sola ragione di vita del principe sconfitto. Mentre l'anziano Brunyer rimaneva al suo fianco e allestiva il catalogo del giardino (Hortus Regius Blesensis, 1° ed. 1653, 2° ed. 1655), Laugier, Marchand e Morison venivano sguinzagliati per tutta la Francia alla ricerca di piante rare: come riferisce egli stesso, lo scozzese fu in Borgogna, Poitou, Bretagna (di cui esplorò le coste e le isole), Linguadoca e Provenza. Nel 1657, insieme a Laugier, esplorò l'area di La Rochelle, dove recensì 84 specie. Nel febbraio 1660 Gastone morì all'improvviso, lasciando erede delle sue collezioni il nipote Luigi XIV. Il giardino venne smantellato e Marchand, nominato direttore della coltivazione delle piante del Jardin du roi, fu incaricato di trasferire le piante nell'orto botanico parigino; anche Robert passò al servizio del re Sole, come "pittore ordinario del re per la miniatura". Una sistemazione fu offerta anche a Morison, ma eli preferì seguire in Inghilterra Carlo II, che proprio quell'anno aveva recuperato il trono. Il botanico lo aveva conosciuto proprio a Blois, durante una delle visite del re in esilio allo zio Gastone (Carlo II era figlio di Carlo I e di sua moglie Enrichetta, sorella di Luigi XIII e del duca d'Orlèans). Questa frequentazione altolocata non era l'unico lascito del decennale soggiorno a Blois. Fu quell'ambiente aperto e stimolante a fare nascere l'interesse di Morison per la classificazione delle piante. Tanto Brunyer quanto Laugier erano uomini di Montpellier: il secondo fu il maestro di Magnol, il primo sembra fosse alla ricerca di un metodo di classificazione razionale (non se ne trova però traccia nelle due edizioni del suo catalogo, semplici elenchi alfabetici). Nella fornitissima biblioteca del suo patrono, Morison poté leggere le principali opere dei botanici precedenti: De plantis di Cesalpino, l'Ekphrasis di Colonna, le opere dei fratelli Bauhin; sicuramente gli era nota anche l'opera di Boccone, che poi avrebbe contribuito a far conoscere in Inghilterra. Possiamo ipotizzare che il suo metodo sia nato dalla congiunzione tra queste letture, la ricerca sul campo e il confronto con il suo secondo maestro Abel Brunyer. Più tardi, egli lo negherà recisamente, proclamandolo un "nuovo metodo dato dalla natura, solo da me (senza arroganza) osservata, trovato da nessuno se non da me stesso". ![]() Maturità: Inghilterra, Londra e Oxford Carlo II, che a sua volta era vissuto in esilio quasi dieci anni, non di rado trattato alla stregua di un parente povero, provava ammirazione e riconoscenza per il botanico scozzese che aveva subito un lungo esilio per la causa della sua famiglia; lo nominò proprio medico personale e responsabile dei giardini reali, assegnandogli una casa a Londra e uno stipendio di 200 sterline. All'inizio del 1669, Morison pubblicò la sua prima opera, Praeludia botanica, un volume miscellaneo che riunisce tre lavori probabilmente scritti in momenti diversi. Di un certo interesse la dedica a Carlo II, in cui egli riferisce che, quando era al servizio del duca di Orlèans, aveva delineato un nuovo sistema di classificazione delle piante e che il duca gli aveva promesso di finanziare la pubblicazione di un libro per illustrarlo; ma la morte improvvisa del suo protettore aveva infranto le sue speranze. Ora si rivolgeva al re d'Inghilterra, degno nipote di tanto zio, per realizzare quel progetto che avrebbe d'un colpo reso la botanica inglese più illustre di quella italiana, francese o tedesca. La prima parte (e più cospicua del volume) è la terza edizione del catalogo dell'orto botanico di Blois, un elenco di circa 2600 piante, 260 delle quale sono indicate come nuove e sono descritte dettagliatamente in appendice. La seconda parte, Hallucinationes Caspari Bauhini in Pinace, item Animadversiones in tres Tomos Universalis Historiae Johannis Bauhini, è un feroce attacco contro gli errori di nomenclatura e classificazione dei fratelli Bauhin, puntigliosamente (e spesso non a torto) corretti e qualificati di "allucinazioni". La terza parte, Dialogus inter Socium Collegii Regii Gresham dicti et Botanographum Regium, è un dialogo sulla classificazione della piante tra se stesso e un membro della Royal Society. Morison magnifica la superiorità del proprio metodo, ma non lo descrive, limitandosi ad asserire, sulla scorta di Boccone, che la "nota generica" non deve essere tratta né dalle proprietà medicinali né dalla forma delle foglie, ma dalla fruttificazione, cioè dai fiori e dai frutti; non manca poi di stigmatizzare come "caos e confusione", pur senza citare in modo esplicito né l'opera né l'autore, il sistema elaborato da John Ray per le Tavole botaniche incluse nel saggio del vescovo Wilkin An Essay towards a Real Character and a Philosophical Language (1668). E' l'inizio di una frattura insanabile tra i due padri fondatori della sistematica britannica. Poco dopo l'uscita del libro, l'Università di Oxford gli offrì la cattedra di botanica: voluta da lord Danby all'atto di fondazione dell'Orto botanico di Oxford nel 1621, diventava effettiva solo ora, dopo un'attesa di quasi mezzo secolo. Era la prima in tutto il territorio britannico. Morison accettò e prese il nuovo incarico molto seriamente. I corsi si svolgevano nell'orto botanico per cinque settimane, nella bella stagione; una testimonianza del tempo ricorda che tre volte alla settimana il professore prendeva posto dietro un tavolo, posto al centro del guardino e colmo di piante, e le illustrava a studenti e uditori, che riusciva ad affascinare nonostante il duro accento scozzese. Per il resto dell'anno, tutto il suo impegno andava alla stesura dell'opera sognata per tutta la vita: se erano mancati i finanziamenti di due patroni regali, Gastone e Carlo II, ora Morison aveva trovato nell'Università di Oxford un sponsor disposto a pubblicare la sua opera, grazie soprattutto al sostegno dei fondatori dell'Oxford University Press John Fell del Christ Church e Obadiah Walker dell'University College. La grande opera, intitolata significativamente Plantarum Historiae Universalis Oxoniensis seu Herbarum distributio Nova per Tabulas Cognationis & Affinitatis ex Libro Naturae Observatae & Detectae, sarebbe stata il fiore all'occhiello della nova casa editrice e sarebbe stata riccamente illustrata. Morison ne diede un primo saggio in Plantarum Umbelliferarum Distributio Nova, pubblicato dalla casa editrice universitaria nel 1672. E' un fascicolo pilota il cui scopo fondamentare è sollecitare sottoscrizioni e donazioni per Historia universalis, di cui le Umbelliferae costituiranno la sezione IX; ecco perché nella Prefazione vengono finalmente presentati i principi del "nuovo metodo": "Il metodo è l'anima di ogni conoscenza: dunque in questa trattazione delle umbellifere, come pure in quella universale di tutte le piante, che promettiamo, mostreremo le note generiche ed essenziali tratte dai semi e dalla loro somiglianza, disponendo le specie in tavole sulla base di parentele e affinità. Aggiungeremo differenze specifiche tratte dalle parti meno nobili, ovvero radice, foglie, fusti, odore, sapore, colore, raccogliendo le singole specie sotto i singoli generi: in tal modo, specie riconoscibili per il diverso aspetto si schiereranno sotto generi intermedi, generi intermedi sotto generi supremi [ovvero tribù o famiglie], ciascuno distinto dalle proprietà essenziali e sempre nello stesso modo. Questo è l'ordine che la natura stessa ha dato alle piante, da me osservato per primo". Segue la trattazione delle piante con infiorescenza ad umbella, classificate sulla base delle caratteristiche dei semi, integrate con quelle di altri organi come le foglie. Morison distingue le Umbelliferae vere e proprie dalle Umbellae improprie dicto, dove troviamo generi come Valeriana, Filipendula e Thalictrum, e determina con chiarezza generi e gruppi di generi, le cui parentele e affinità sono illustrare da otto diagrammi (tabulas cognationis & affinatatis). La prima delle venti tavole calcografiche (le altre sono dedicate a specie nuove o meno note) raffigura le principali categorie di semi, sintetizzate nelle didascalie esplicative della pagina a fronte. Fin qui, la pars contruens; per non smentirsi, c'è anche la pars destruens, ovvero una quindicina di pagine dedicate alle Hallucinationes Caspari Bauhini, aliorum auctorum. La monografia, la prima dedicata a una famiglia e illustrata da tavole calcografiche, è una brillante riuscita. Del resto, il soggetto del fascicolo di lancio non è stato scelto a caso: da una parte, questa famiglia è stata una delle prime ad essere identificata (da Dodoens nel 1583); dall'altra, anche oggi pnel suo ambito i frutti e i semi sono determinanti per una corretta identificazione. Applicare il metodo all'universo modo delle piante è un'altra faccenda. Più difficile ancora trovare i soldi per continuare l'opera, costosissima proprio per il ruolo essenziale delle immagini. Il progetto prevede tre libri, il primo dedicato agli alberi e agli arbusti, gli altri due alle piante erbacee. Conscio della difficoltà dell'impresa, Morison parte da queste ultime, le più numerose e difficili da classificare, e nel 1680 esce finalmente la Pars secunda dell'Historia universalis, che contiene cinque delle quindici sezioni previste per le erbacee (De bacciferis, De leguminis, De siliquosis tetrapetalis bivalvis, De hexapetalis tricapsularis, De tricapsularis lactescentibus). Il risultato è inferiore alle attese: Morison per primo non si attiene al proprio metodo e le incongruenze abbondano. Non parliamo poi dell'aspetto finanziario: nonostante le sottoscrizioni di alcuni membri della Royal Society e del Collegio reale dei medici, egli è costretto a indebitarsi pesantemente con l'University Press. Comunque continua a lavorare alacremente al terzo volume; ma nel 1683, muore in seguito a un incidente stradale in cui incorre attraversando Charing Cross. ![]() Morisonia: le allucinazioni dei botanici continuano? Come abbiamo visto in questo post, sarà il diligente Jacob Bobart il Giovane a portare a termine il secondo volume. Il primo invece non uscirà mai. La casa editrice universitaria sarà per anni schiacciata dal debito di questa opera innovativa e audace, che non mancherà di influenzare i botanici successivi, mentre l'Università di Oxford si troverà per anni impelagata in una causa legale con la vedova per la proprietà dell'erbario. Il metodo di Morison fa scuola soprattutto in Germania: i suoi seguaci più entusiasti sono i fruttisti (secondo la terminologia di Linneo) Paul Amman, Christoph Knaut e Paul Hermann. In patria, gli nuocciono il carattere terribile e le offese a Ray, il cui metodo ben presto surclasserà il suo. A Morison è invece riservata una vera e propria damnatio memoriae. Più sotterraneo, ma determinante, l'influsso su Joseph Pitton de Tournefort, che dal botanico scozzese trarrà senza dubbio insegnamento per la precisa determinazione dei generi e la distinzione tra genere e specie. Ma la sua arroganza gli spiacerà sommamente, e non gli perdonerà di aver saccheggiato i botanici precedenti senza neppure citarli. Così si esprime in Elemens de botanique: "E' impossibile lodare a sufficienza questo autore. Ma mi sembra che si lodi già troppo da sé; perché invece di accontentarsi della gloria di aver partecipato al più bel progetto che si sia mai fatto in botanica, osa paragonare le proprie scoperte a quelle di Cristoforo Colombo, e senza parlare di Gessner, Cesalpino e Colonna, in molti luoghi delle sue opere afferma di non avere appreso nulla se non dalla natura. Gli si sarebbe potuto credere sulla parola, se non si fosse preso la pena di trascrivere pagine di questi due ultimi autori; dal che si vede che gli erano molto familiari. Il sig. Ray senza fare tanto chiasso è riuscito molto più di lui". I sospetti di Tournefort erano più che fondati; gli studiosi successivi hanno rilevato interi passi presi di peso da Cesalpino, che Morison conosceva benissimo ma non nomina mai: nella biblioteca di Oxford si trova una copia di De plantis fittamente annotata di sua mano. Quanto a Linneo (che guardava con un po' di sufficienza a questi predecessori in eterna lite tra di loro, tanto che li soprannominò Eristici, seguaci di Eris, la dea della discordia), in una lettera a Albrecht von Haller ne riconosce i meriti, ma conclude con una condanna senza appello: "Morison era vanitoso, ma gli va dato il merito di aver rinnovato un sistema mezzo morto. Se si osservano i generi di Tournefort, si deve ammettere quanto debba a Morison, tanto quanto questi doveva a Cesalpino, sebbene Tournefort stesso sia un ricercatore coscienzioso. Tutto ciò che c'è di buono in Morison è preso da Cesalpino, senza la cui guida egli si perde alla ricerca più di affinità naturali che di caratteristiche distintive". In ogni caso, riprendendo un suggerimento di Plumier, riserverà anche a lui la gloria di un genere botanico, Morisonia L., famiglia Capparaceae. E qui finiamo in una polemica non indegna dell'astioso dedicatario. La delimitazione in generi di questa famiglia nelle Americhe ha dato più di un grattacapo ai tassonomisti; tradizionalmente, la maggior parte delle specie erano assegnate a Capparis, affiancato da una serie di generi minori, tra cui appunto Morisonia, con circa otto specie. Questo amplissimo Capparis risultava però artificiale (polifiletico) e da qualche anno la linea prevalente è limitarlo alle specie del Vecchio Mondo. Quanto a quelle americane, alcuni ricercatori hanno iniziato a staccarne una serie di piccoli generi, finché nel 2018 nel quarto volume di The Global Flora è comparsa una nuova trattazione che ha incluso in Morisonia gran parte delle Capparaceae in precedenza assegnate a Capparis, allargandone i confini a oltre ottanta specie. La risposta di Xavier Cornejo (specialista di Capparaceae e principale fautore della divisione di Capparis in molti piccoli generi) non si è fatta attendere: in un articolo comparso lo stesso anno ha criticato aspramente questa soluzione, rilevando che, così inteso, Morisonia presenta una tale varietà di forme e comportamenti da diventare "un genere innaturale e difficile da comprendere". Dopo una pagina di critiche serrate, egli conclude che "la nomenclatura proposta [...] non ha supporto né morfologico né molecolare. Dunque nessuna di queste combinazioni ha valore nomenclatorio e va ridotta a sinonimi". Allucinazioni, avrebbe detto Morison. Ma noi viviamo in un'epoca più cortese (o forse più ipocrita). In attesa di futuri sviluppi che certo non mancheranno, conviene attenersi alle poche certezze: comunque venga inteso (con le ottanta e più specie di Morisonia sensu lato o le otto di Morisonia sensu stricto), si tratta di arbusti o alberelli del sottobosco delle boscaglie e delle foreste stagionalmente aride di Messico, Antille, Centro e Sud America. Sicuramente continuerà a farne parte la specie tipo di Linneo, M. americana; chiamata in inglese Ratapple, "mela dei ratti", nei paesi latino americani è conosciuta con tanti nomi che variano da un luogo all'altro: chocolatillo, zapote blanco, arbol del Diablo. E' un piccolo arbusto del sottobosco delle foreste aride caducifoglie, distribuito dal Messico all'Argentina settentrionale, attraverso le Antille; la caratteristica più notevole sono i piccoli frutti sferici con spessa corteccia marroncina e polpa biancastra edule usata come emolliente, con proprietà antidolorifiche e antinfiammatorie. Qualche approfondimento nella scheda. Nella primavera del 1679 arriva in Virginia come pastore il reverendo John Banister; formatosi a Oxford, dove ha seguito i corsi di Robert Morison, è il primo naturalista con una formazione scientifica universitaria a stabilirsi nelle colonie inglesi del Nord America; all'impegno pastorale affianca infatti l'esplorazione della flora (e della fauna), incoraggiato da committenti inglesi, tra cui il suo diretto superiore, il vescovo Compton, cui invia molte primizie americane per il giardino di Fulham. Progetta di scrivere una storia naturale della Virginia, ma perde la vita in un incidente assurdo. A ricordarlo il genere Banisteriopsis (famiglia Malpighiaceae). ![]() Un pastore naturalista A fine Seicento, la Virginia, la prima delle tredici colonie del Nord America, incominciava ad assestarsi dopo un avvio tutt'altro che facile. I coloni, che l'avevano fondata nel 1609, avevano dovuto affrontare la fame, ripetute guerre contro le popolazioni native, due massacri (nel 1622 e nel 1644). Durante la guerra civile erano rimasti sostanzialmente fedeli alla monarchia (tanto che Carlo II, recuperando il trono, la soprannominò The Old Dominion, l'antica colonia). Malattie, uragani, alluvioni, l'ostilità dei nativi, le tensioni con il governo centrale non mancavano, ma la Virginia aveva ormai trovato la risorsa che ne avrebbe fatto la più ricca delle colonie: la coltivazione del tabacco. Non era però una situazione né tranquilla né pacificata. Nel 1676 il piantatore Nathaniel Bacon guidò una rivolta armata (la prima nelle tredici colonie) contro il governatore William Berkeley, biasimato da una parte per i suoi metodi autocratici, dall'altro per la sua politica di pacificazione con i nativi, che impediva ai coloni poveri di installarsi oltre i confini della colonia. Alla ribellione, che assunse carattere molto violento, con il genocidio degli indiani Susquehanock e l'incendio della capitale Jamestown, aderirono i medi e piccoli proprietari e molti degli immigrati più poveri arrivati in Virginia come "servi a contratto", mentre i grandi proprietari rimanevano fedeli al governatore. Repressa con ferocia da Berkeley, la ribellione si esaurì con la morte di Bacon, ma lasciò un'eredità pesante: da quel momento, a lavorare nelle piantagioni furono sempre meno europei semi-liberi e sempre più schiavi neri. La Virginia si avviava a trasformarsi in una società razzista, basata sul sistema di piantagione e lo schiavismo. Il protagonista della nostra storia vi arrivò a ridosso di questi eventi. John Banister (1650-1692), nato in una famiglia modesta, a diciassette anni fu ammesso come corista al Madgdalen College di Oxford; benché destinato al sacerdozio, incominciò a frequentare l'Orto botanico, facendo amicizia con Jacob Bobart il Giovane e seguendo le lezioni di Robert Morison, a quel tempo impegnato nella mastodontica Plantarum historia universalis oxoniensis. Allestì un erbario e un catalogo di piante; ad affascinarlo erano soprattutto quelle americane. A sua volta Morison fu colpito dal suo talento e lo segnalò al vescovo di Londra Henry Compton, che stava cercando missionari interessati alle scienze naturali da inviare nelle colonie. Fu così che Banister, dopo essersi laureato nel 1674 e aver servito per un biennio come cappellano, nel 1678 si imbarcò alla volta dell'America, ufficialmente come ministro anglicano, ufficiosamente come naturalista e cacciatore di piante per i suoi patroni Morison e Compton. Dopo due scali alle Barbados e a Grenada, raggiunse la Virginia nella primavera del 1679. Il 7 aprile 1679 (data della prima lettera a Morison a noi pervenuta) era ospite del piantatore e commerciante William Byrd I. Di poco più vecchio di lui, Byrd era emigrato in Virginia per prendere possesso di una proprietà di alcuni acri lasciatagli da uno zio e aveva cominciato ad arricchirsi trafficando con gli indiani rum, fucili, ferramenta e lana in cambio di pellicce; era stato uno dei primi seguaci di Bacon, prendendo anche parte ad alcune azioni armate, ma poi era passato dalla parte del governatore. Col tempo sarebbe diventato un ricchissimo piantatore, proprietario della Westover Plantation che si estendeva per 1200 acri (equivalenti a quasi 5 km quadrati). Byrd era interessato alle piante da un punto di vista pratico: fece venire semi di nuove varietà di tabacco e importò piante orticole e agricole dall'Inghilterra. Incoraggiò Banister nelle sue ricerche, coinvolgendolo nelle sue spedizioni lungo la frontiera, e più tardi mantenne per lui i rapporti con l'Inghilterra, curando i suoi invii di piante, semi e animali e procurandogli materiali da disegno, carta e libri. Nella lettera a Morison, dopo aver descritto in termini coloriti i conflitti con gli indiani "nemici barbari", Banister descrive la Virginia come una terra fertile e ricca di acque che può offrire ogni bene necessario per la vita e per il piacere. Riferisce con meraviglia della grande ricchezza di alberi, che potrebbero ripopolare gli impoveriti boschi inglesi: ogni tipo di quercia, castagno, salice. Biasima la ristrettezza di vedute dei piantatori, unicamente interessati al tabacco e ai soldi che ne possono ricavare, mentre è affascinato dalla grande varietà di piante coltivate dai barbari indiani: mais con chicchi di tutti i colori, patate in innumerevoli varietà, fagioli, angurie e meloni. A lui il tabacco interessava soprattutto dal punto di vista scientifico e più tardi raccolse i semi delle diverse varietà coltivate dagli Indiani, creando una specie di banca del seme ante litteram. In una data ignota, Banister divenne ministro della Parrocchia di Bristol, la cui chiesa parrocchiale si trovava nei pressi dell'attuale città di Hopewell, lungo il fiume Appomattox. Cercava di conciliare i doveri pastorali con le ricerche naturalistiche, ma dovette constatare che era impossibile vivere con i magri proventi della parrocchia e dei pochi acri di terra che gli erano stati concessi, tanto più che nel 1687 mise su famiglia, sposando una giovane vedova. Qualche aiuto gli sarà venuto dai suoi amici londinesi, ma alla fine si rassegnò a trasformarsi anche lui in piantatore; nel 1689 acquistò 1735 acri nella Charles City County. A quel punto doveva ormai essere uno dei maggiorenti locali: l'anno successivo lo ritroviamo tra i membri del comitato fondatore del College of William and Mary che, tuttavia, a causa di difficoltà finanziarie, nascerà ufficialmente solo dopo la sua morte. Banister cominciò ad esplorare la natura della Virginia fin dal suo arrivo nella colonia. Dato che muoversi da solo in quel territorio ancora di frontiera era estremamente pericoloso, approfittava il più possibile delle spedizioni di Byrd, anche se difficilmente si sarà allontanato da casa più un centinaio di km. Le spedizioni, che comprendevano cacciatori, boscaioli per aprirsi la strada, guide e interpreti, si muovevano lungo le piste commerciali, per lo più ai piedi delle colline, e più raramente si spingevano sulle montagne (contro l'immagine eroica che Linneo darà delle esplorazioni di Banister). Il primo invio del missionario-naturalista raggiunge l'Inghilterra nel 1680: ci sono insetti, aracnidi e molluschi per il medico Martin Lister e circa 150 tra disegni, esemplari di piante e semi per Morison e il vescovo Compton. A destare la maggior sensazione è il disegno di una pianta "dalla forma così strana e mostruosa che ne provo paura": è Sarracenia purpurea. Il vescovo e i suoi amici del Temple Coffee House Club ne sono elettrizzati e chiedono a Banister (si spera in cambio di qualche sussidio economico) di inviare disegni di piante, esemplari di erbario, piante vive, semi, tutto quello che potrà raccogliere. L'invio del 1682 comprende una lista di piante per John Ray, una serie di disegni per Leonard Plukenet (che li pubblicherà nella sua Pytographia), altre piante per il giardino di Fulham: la più notevole è Magnolia virginiana, la prima magnolia a toccare il suolo europeo. Seguiranno Lindera benzoin, Liquidamber styraciflua, Cornus amomum, Gleditsia triacanthos, Chionanthus virginicus, Acer negundo, Rhus copallina, Aralia spinosa, Merispermum canadense, Quercus rubra, Ostrya virginiana, Abies balsamea, Nyssa aquatica. Tra tanti alberi e arbusti c'è anche qualche erbacea, come il Dracunculus Virginianus latifolius di cui il vecchio amico Bobart pubblica un'immagine nel 1699: è la prima riproduzione di Echinacea purpurea. Banister si interessa anche di altri campi della storia naturale. In una lettera al vescovo Compton del 1689, descrive e riconosce la funzione dei bilancieri delle mosche, che erano stati descritti qualche anno prima da Robert Hooke, senza però individuarne la funzione; in un contributo poi inviato alla Royal Society studia la conchiglia e i disegni dorsali e ventrali del curioso granchio Limulus polyphemus; è il primo a descrivere l'anatomia interna di una lumaca. La lettera in cui descrive Mutinus elegans è considerata il primo articolo dedicato a un fungo del Nord America. Rimane però principalmente un botanico e il suo sogno è scrivere una storia naturale della Virginia; a tale scopo, raccoglie esemplari d'erbario, redige liste, prende note. Ma a soli 42 anni la sua vita viene spezzata da un incidente assurdo e crudele. All'inizio di maggio 1692, ancora una volta accompagna Byrd e i suoi uomini in una spedizione che seguendo la pista commerciale nota come Occaneechee Trading Path si dirige verso il Roanoke River; forse proprio per cercare qualche pianta, si addentra nella boscaglia. Uno dei dipendenti di Byrd, Jacob Colson, lo scambia per un animale e gli spara. Almeno, questa è la versione ufficiale, registrata nel Henrico County Court order book in data 16 maggio 1692. L'incidente, avvenuto lontano da occhi indiscreti, resta avvolto dal mistero: la famiglia venne informata che il pastore era stato ucciso dalla caduta di un albero, mentre Ray credeva fosse morto cadendo da una roccia. Lasciava una vedova, un bimbo di due anni e un'opera mai scritta. Il suo nome è ricordato da Banisteria, la rivista della Virginia Natural History Society, dedicata alla storia naturale della Virginia, con articoli che coprono la botanica, la zoologia, l'ecologia e la geologia. ![]() Botanici allucinati, piante allucinogene Dopo la sua morte, le collezioni di Banister furono riunite da Byrd e inviate a Londra insieme a una copia dei cataloghi. Le osservazioni sugli insetti della Virginia furono pubblicate nel 1701 nelle Transactions della Royal Society, mentre le raccolte botaniche, i disegni, le lettere e i cataloghi di piante influenzarono in vario modo la conoscenza della flora nordamericana e le opere di molti altri autori. In primo luogo, attraverso il giardino del vescovo Compton a Fulham, e in misura minore l'orto botanico di Oxford, furono dozzine le specie da lui introdotte in Inghilterra, in particolare quegli alberi e arbusti che sono alla base del passaggio dal giardino formale alla francese al giardino paesaggistico all'inglese. In secondo luogo, molti autori recuperarono le sue osservazioni sulla flora, la fauna e gli abitanti della Virginia, a volte senza citarlo. Così fece Robert Beverly, che in History and Present State of Virginia (1705) trascrisse verbatim intere pagine delle note di Banister. Molto ampia è la presenza delle sue raccolte nelle opere dei botanici britannici a cavallo tra Seicento e Settecento, a cominciare da John Ray che nel secondo volume di Historia Plantarum (1693) pubblicò un catalogo di piante americane, basato su una lista ricevuta nel 1682 da Banister, da lui salutato come "uomo eruditissimo e completissimo botanico". James Petiver in Museum Petiverianum cita 65 denominazioni di Banister per piante americane coltivate nel giardino di Fulham dal vescovo Compton e utilizza le sue note sui funghi nelle edizioni della sua Gazophylacii Naturae & Artis (1702–1709). Lister pubblica gli insetti, molluschi, aracnidi e animali primitivi da lui raccolti in Historia Sive Symposis Methodica Conchyliorum (1685–1692). Plukenet utilizza alcuni dei suoi disegni in Phytographia (1691–1705). Dillenius include i suoi muschi in Historia Muscorum (1741). Sono tutte opere ben note a Linneo, che durante la sua visita a Londra e a Oxford poté anche ammirare esemplari di erbario raccolti da Banister. E' dunque naturale che accogliesse la proposta di Houstoun di dedicargli un genere di piante. Houstoun aveva unito sotto il nome Banisteria un'intera famiglia di piante rampicanti tropicali, una delle quale era stata raccolta da Banister nelle Barbados. Forse attraverso racconti orali raccolti durante il soggiorno inglese, Linneo si era anche formata un'immagine romantica della figura di Banister, che ritroviamo nella dedica strappalacrime del genere Bannisteria (con due enne) in Hortus Cliffortuanus: "Houstoun ha destinato questa santa famiglia di piante alla memoria dell'inglese John Bannister [sic!] che prima di lui diede persino la carissima vita per le piante. Egli infatti penetrando i recessi della Virginia, scalando monti e rupi, affinché nulla rimanesse nascosto al suo zelo, per un caso sventurato inciampò, cade, si sfracellò e perì miseramente. Gli fu dunque dedicata una pianta americana rampicante con frutto spaccato color del sangue". Come si vede, egli segue la versione divulgata da Ray; la pianta in questione, qui Bannisteria foliis ovatis, ramis dichotomis [ecc.], ribattezzata in Species plantarum Banisteria (con una enne) fulgens, oggi si chiama Stigmaphyllon emarginatum. In effetti è un rampicante che ha per frutto uno schizocarpo che a maturità si divide in tre samare con ali rosso vivo. Linneo ufficializza il genere in Species Plantarum (1753), questa volta con la grafia corretta Banisteria. E' l'inizio di un nodo gordiano tassonomico. Egli distribuisce le specie che più tardi saranno assegnate alla famiglia Malpighiaceae in tre generi, distinti sulla base dei frutti: Malpighia, con frutto carnoso; Banisteria, con frutto che si divide in tre samare ciascuna con una grande ala dorsale trilobata; Thryallis con il frutto che si divide in tre cocci. Oggi, l'unico accettato rimane Malpighia. Il suo genere Banisteria, con il senno di poi, risulta un gruppo eterogeneo, che riunisce sette specie che oggi appartengono a quattro generi diversi (uno dei quali di un'altra famiglia). Dal resto, questo gruppo di Malpighiaceae è particolarmente difficile da classificare, e non possiamo prendercela con il vecchio Linneo, tanto più che i botanici che verranno dopo faranno di peggio. Nel corso dell'Ottocento, infatti, mentre cresceva il numero delle specie note e venivano creati nuovi generi, il nome linneano fu mantenuto e allargato a molte nuove specie. Particolarmente influente fu la trattazione di Banisteria di Adrien de Jussieu, seguita da molti autorevoli colleghi; ma il suo genere non aveva nulla a che fare con quello di Linneo, di cui non includeva neppure una specie. Infatti le specie linneane erano state tutte via via assegnate a nuovi generi; il gruppo più consistente era costituito da tre specie che ora facevano parte di Heteropterys, creato da Kunth nel 1821. Il primo ad accorgersi di questa incongruenza fu il botanico americano Charles Budd Robinson che nel 1910 propose di ripristinare il nome linneano per sostituire Heteropterys e ribattezzare Banisteriopsis "simile a Banisteria" il genere Banisteria nel senso di Jussieu. La proposta fu accettata solo in parte, generando ulteriore confusione; come capita in questi casi, a tagliare il nodo gordiano provò il Congresso Botanico Internazionale di Cambridge (1930) che decise di considerare legittimi Heteropterys e Banisteriopsis e di cassare Banisteria (nome reijcendum). La saga non finì lì, ci fu ancora qualche botanico che difese Banisteria, per non parlare di vivaisti e appassionati, finché negli anni '60 del Novecento il nome linneano fu definitivamente mandato in pensione e Banisteriopsis universalmente accettato. Banisteriopsis C.B.Rob. è un vasto genere della famiglia Malpighiaceae che riunisce una sessantina di specie di arbusti, piccoli alberi e liane rampicanti diffusi dal Messico al Sud America tropicale, con centro di diversità in Brasile, in due diversi ambienti: le savane tropicali, dove sono soprattutto arbusti, e la foresta pluviale, dove sono liane, a volte di dimensioni enormi. Dopo aver letto l'intricata storia della loro denominazione, forse non vi stupirete di scoprire che la specie più nota B. caapi è un potente allucinogeno. Tanto è vero che lo stato della Louisiana ha proibito la detenzione e la coltivazione di tutte le specie di questo genere, salvo per usi ornamentali. Qualche informazione in più nella scheda. Nella seconda metà del Seicento, due studiosi con le loro ricerche innovative al microscopio si qualificano come padri dell'anatomia vegetale: sono l'italiano Marcello Malpighi e l'inglese Nehemiah Grew. Entrambi sono sponsorizzati e finanziati dalla Royal Society di Londra, e dimostrano grande stima l'uno per l'altro, anziché litigare furiosamente per la primogenitura delle scoperte, come in quegli stessi anni fanno Newton e Liebnitz, o giurarsi odio eterno per una divergenza d'opinioni come lo stesso Newton e Hooke. Neanche in questo blog li faremo litigare: entrambi dedicatari di generi di piante, meritano un post ciascuno. Iniziamo dal più giovane, ma anche quello che pubblicò per primo: Nejemiah Grew, dedicatario di Grewia (Malvaceae) ![]() Studiare le piante con il microscopio I primi microscopi vennero fabbricati intorno al 1590 da artigiani di Leida; utilizzavano diverse lenti sovrapposte, tra le quali veniva inserita dell'acqua, ed erano ancora molto insoddisfacenti, Perché acquisissero una risoluzione accettabile bisognò attendere circa mezzo secolo, con i perfezionamenti introdotti dallo scienziato inglese Robert Hooke (1635-1703), che gli permisero una serie di scoperte entusiasticamente esposte in Micrographia restaurata (1665); per la botanica, la più importante è la scoperta delle cellule, che egli osservò nel sughero. Nel 1660 venne fondata la Royal Society, e dal 1662 Hooke ne divenne il curatore degli esperimenti. La nuova società scientifica incoraggiò le ricerche microscopiche non solo di Hooke, ma anche di altri due soci: l'italiano Marcello Malpighi (1628-1694), membro corrispondente dal 1669, e l'inglese Nehemiah Grew (1641-1712), membro dal 1672 e segretario della società insieme allo stesso Hooke tra il 1677 e il 1679. Le ricerche dell'italiano e dell'inglese procedettero in contemporanea e sono un caso singolare e felice di scoperta parallela, senza le gelosie e le rivalità che contrapposero - in modo feroce - Newton a Hooke o a Leibnitz. Secondo le loro stesse dichiarazioni, Malpighi iniziò i suoi studi anatomici mediante il microscopio intorno al 1661, il più giovane Grew ad appena tre anni di distanza, nel 1664. Nel 1670 o all'inizio del 1671 egli comunicò i primi risultati delle proprie ricerche in un saggio che la Royal Society pubblicò nel novembre 1671 con il titolo The Anatomy of Vegetables begun. Circa un mese dopo, nella seduta del 21 dicembre (la stessa in cui fu presentata la candidatura di Newton), venne letta una comunicazione sullo stesso argomento inviata dall'Italia da Malpighi. Negli anni successivi tra i due scienziati si instaurò un rapporto di grande stima, anche se ostacoli materiali impedirono una vera collaborazione; una missiva o un pacco spediti dall'Italia potevano metterci sei mesi a raggiungere Londra (e viceversa), e non era infrequente andasse perduto, Ad esempio, sappiamo che il trattato sulle radici di Grew, pubblicato nel 1673, fu affidato a Boccone perché lo consegnasse a Malpighi, ma il botanico, anziché proseguire per l'Italia, si trattenne ad Amsterdam, e il libro non arrivò mai allo scienziato bolognese, che non poté tenerne conto. Ecco dunque che le ricerche dei due padri dell'anatomia vegetale proseguirono in modo parallelo ma diverso, riflettendo anche le differenti personalità dei due, come sottolinea Anne Arbor nel suo saggio Nehemiah Grew (1641-1712) and Marcello Malpighi (1628-1694): An Essay in Comparison (1942). Riservando a Malpighi un altro post, soffermiamoci dunque per ora su Nehemiah Grew. Nato a Mancetter nel Warwickshire, era figlio del vicario non conformista di una parrocchia di Covenrty, che come lui portava un altisonante nome biblico: Obadiah Grew. Nehemiah studiò al Pembroke College di Cambridge e probabilmente frequentò il circolo di naturalisti che si riuniva intorno a John Ray; tuttavia, nel 1662, in seguito alla restaurazione, sia il neodiplomato Grew sia Ray dovettero lasciare l'università in quanto non conformisti. La stessa sorte toccò al fratellastro di Grew Henry Sampson (nato dal primo matrimonio della madre), che completò gli studi di medicina a Padova e a Leida. Poco dopo aver lasciato Cambridge, Nehemiah Grew cominciò a interessarsi all'anatomia dei vegetali, un argomento già di per sé rivoluzionario, dato che all'epoca si pensava generalmente che le piante non avessero organi interni con funzioni differenziate e che il loro aspetto esterno fosse una "chiave" fornita dal buon Dio per riconoscerne le virtù medicinali, secondo al diffusa teoria delle segnature. Grew iniziò coltivando diverse piante a partire dai semi e studiandone le fasi di sviluppo; l'idea di accostare all'osservazione "a occhio nudo" quella microscopica gli fu suggerita da letture come Anathomia hepatis di Glisson (1654) - che ipotizzava l'utilità generale dello studio anatomico dei vegetali, in quanto più semplici degli animali - o la stessa Micrographia di Hooke, che contiene anche dieci tavole con forme e strutture vegetali viste al microscopio. Ma a un certo punto le necessità della vita imposero a Grew di trovarsi una professione. La carriera ecclesiastica, tradizionale nella sua famiglia, gli era preclusa. Nel 1666 il padre, come non conformista, perse il lavoro di vicario (più tardi sarebbe stato anche incarcerato per le sue idee). Seguendo l'esempio del fratellastro, Grew optò per la medicina; nel luglio del 1671, con un viaggio lampo, si recò a Leida e vi rimase giusto i pochi giorni necessari per presentare la tesi e laurearsi. Quindi tornò a Coventry e avviò una carriera di medico. A cambiare la sua vita (e la storia della biologia) fu il fratellastro Henry Sampson. Dopo la laurea si era stabilito a Londra, dove lavorava come medico ed era entrato in contatto con Henry Oldenburg, il segretario della neonata Royal Society; gli parlò delle ricerche di Nehemiah e alla fine del 1670 o nei primissimi giorni del 1671 gli fece avere un manoscritto con i risultati delle sue prime ricerche; nel maggio 1671 la Royal Society lo accettò e lo pubblicò all'inizio di novembre come The Anathomy of Vegetables begun. Al di là del titolo modesto, è uno studio particolareggiato e attentissimo di tutte le strutture dei vegetali, che guadagnò a Grew l'immediata ammissione alla Royal Society. Come ho anticipato, pochi giorni dopo la sua pubblicazione giunse a Londra e fu letta la comunicazione di Malpighi sullo stesso argomento. Forse Grew temeva di essere messo da parte, a favore del più vecchio e più quotato collega; invece l'altro segretario della Society, il vescovo John Wilkins, sentenziò che in un campo così nuovo il lavoro parallelo e indipendente di due ricercatori avrebbe ridotto gli errori e moltiplicato gli avanzamenti e convinse Grew a trasferirsi a Londra. Nell'aprile 1672 Grew divenne curatore del gabinetto di curiosità della società con uno stipendio di 50 sterline; garantita da una sottoscrizione di dieci privati, che in parte si tirarono ben presto indietro, di fatto la somma non gli fu mai versata interamente; almeno sul piano simbolico, è comunque una tappa verso la professionalizzazione degli scienziati: per la prima volta, uno studioso veniva pagato per svolgere una ricerca su un argomento specifico. Grazie a Hooke, Grew, che fino ad allora aveva utilizzato uno strumento molto scarso, ebbe a disposizione un microscopio di qualità superiore. Il risultato fu una serie di comunicazioni lette alle sedute della Society del 1672 e riunite nel 1673 in Idea of a Phytological History; è un testo essenzialmente metodologico, che schematizza i vari metodi di osservazione delle piante. Tra il maggio 1672 e l'aprile 1674 Grew si dedicò alla sistematica analisi anatomica delle radici e di steli e tronchi, esponendo i risultati rispettivamente in Anatomy of Roots e Anatomy of Trunks. Ulteriori lavori su foglie, fiori, frutti e semi seguirono tra il 1676 e il 1677. A un certo punto, lo stipendio venne meno, e Grew tornò per breve tempo a Coventry. Tuttavia dopo la morte di Oldenburg lo sostituì come segretario della Royal Society, incarico che mantenne tra il 1677 e il 1679, curando tra l'altro la pubblicazione di cinque numeri delle Philosophical Transactions, e la redazione del catalogo del gabinetto delle curiosità Museum Regalis Societatis (1681), in cui è evidente il passaggio dall'interesse per lo strano e il mostruoso all'osservazione e alla catalogazione sistematica della natura. Le ricerche di Grew sull'anatomia vegetale confluirono infine in Anatomy of Plants, pubblicato sotto il patrocinio della Royal Society nel 1682: è una grande opera in folio che riprende in gran parte i lavori precedenti e si articola in quattro volumi: Anatomy of Vegetables begun, Anatomy of Roots, Anatomy of Trunks and Anatomy of Leaves, Flowers, Fruits and Seeds, con un'appendice di sette articoli di argomento chimico, principalmente dedicati all'analisi di prodotti vegetali. Impressionanti per finezza e precisione dei dettagli le 83 tavole con le sezioni anatomiche al microscopio. Non meno innovativi i contenuti di questa pietra miliare della storia della biologia vegetale. L'idea guida di Grew è che tra animali e piante ci sia un'affinità e che negli uni come nelle altre si trovino organi deputati alle diverse funzioni. Egli dunque esamina e descrive con estrema precisione la struttura delle diverse parti delle piante (radici, fusto, foglie, fiori, frutti e semi), osservate dapprima a occhio nudo, poi al microscopio. Partendo dalla scoperta della cellula da parte di Hooke (un termine che questi aveva ripreso dalle celle degli alveari), egli individua nei tessuti vegetali due "parti organiche essenzialmente distinte", la parte legnosa e la parte del midollo, composta da cellule (che egli chiama vesciche) indifferenziate separate da spazi vuoti. Riprendendo un termine già usato da Glisson la chiama parenchima, un termine ancora oggi usato nello stesso significato. Le fasi della germinazione del seme sono studiate con attenzione; Grew chiama i cotiledoni "foglie", ma comprende che si tratta dei "lobi" dei semi e verifica che in alcuni casi rimangono sotterranei; descrive con accuratezza vari modi di vernalizzazione del germoglio; osserva i movimenti dei viticci e nota che non tutti si avvolgono nella stessa direzione. Fu anche il primo ad estrarre la clorofilla, dissolvendola in olio. La parte più innovativa è però l'esame delle strutture del fiore, dal boccio all'antesi; Grew riconosce che i sepali che formano il calice sono foglie modificate, mostra che i capolini delle Asteraceae sono infiorescenze formate da molte parti, ipotizza correttamente la funzione del pistillo come organo femminile e degli stami come organi maschili, di cui il polline è il seme. Fu il primo a studiare al microscopio il polline, constatando che i granuli di polline delle diverse specie sono diversi tra loro, mentre quelli della stessa specie sono identici. Al momento della pubblicazione di Anatomy of Plants Grew aveva solo 41 anni, e ne avrebbe vissuti altri trenta. A partire dal 1680, visti gli scarsissimi emolumenti pagati dalla Royal Society, si dedicò soprattutto alla professione medica, con notevole successo. Gli interessi scientifici non si spensero, ma passarono in secondo piano e si dispersero in una moltitudine di soggetti: studiò la struttura della neve, la composizione chimica dei sali marini e dei sali delle acque termali, osservò e descrisse i pori, le pieghe e le creste cutanee presenti sulla superficie delle mani e dei piedi e nel 1684 pubblicò i primi accurati disegni di impronte digitali. L'ultimo scritto, Cosmologia Sacra, è un ritorno alle origini familiari, trattandosi di un trattato teologico che intende dimostrare "la verità e l'eccellenza della Bibbia". Una sintesi della vita del poliedrico personaggio nella sezione biografie. ![]() Fiori a stella e frutti rinfrescanti Fu Linneo in persona a celebrare il padre dell'anatomia vegetale e della palinologia (la scienza dei pollini) dedicandogli il genere Grewia. Dalla dedica in Hortus Cliffortianus è evidente che ne aveva grandissima stima: "Consacrata alla memoria dell'inglese Nehemiah Grew, abilissimo e sagacissimo anatomista delle piante". Anche la bellezza delle due specie che egli assegnò inizialmente al nuovo genere, G. occidentalis e G. orientalis, testimonia questa stima. Dai tempi di Linneo il genere è cresciuto assai e oggi gli sono assegnate oltre 280 specie di alberi e arbusti diffusi nelle aree tropicali e subtropicali di Africa, Asia e Oceania, in una varietà di ambienti. Un tempo assegnato alle Tiliaceae o alle Sparmanniaceae, oggi - non senza molti dubbi - il genere fa parte delle Malvaceae. Comprende piccoli alberi o grandi arbusti solitamente piuttosto ramificati, con giovani rami pelosi, foglie alternate con margini serrati o raramente lobati, fiori a stella, solitari o raccolti in cime, con sepali più lunghi dei petali, e in genere dello stesso colore (bianchi, gialli, rosa o lilla), con un folto ciuffo di stami al centro. Alcune specie sono coltivate per le fioriture molto attraenti; quella più nota e più facilmente disponibile da noi è la sudafricana G. occidentalis, un bell'arbusto con piccole foglie lucide, sepali e petali lilla e stami giallo-arancio. Ugualmente sudafricana e di notevole impatto estetico è G. lasiocarpa, con grandi foglie quasi circolari e fiori rosa chiaro, seguiti da bacche quadrilobate che maturando diventano nere e rimangono a lungo sulla pianta. Sono proprio i frutti a costituire il maggiore richiamo di diverse specie, e non solo per gli uccelli e per gli altri animali selvatici che, cibandosene, favoriscono la dispersione e la germinazione dei semi. In Asia, G. asiatica, comunemente nota come falsa o phalsa, è intensamente coltivata per le piccole bacche che maturano d'estate e vengono utilizzate per produrre sciroppi e bevande rinfrescanti dal gusto acidulo e dalle proprietà astringenti. La medicina Ayurvedica attribuisce proprietà medicinali ai frutti, ma anche alle radici, alla corteccia, alle foglie e ai germogli. Da G. mollis, nativa dell'Africa tropicale, dello Yemen e dell'Oman, si ricava invece una gomma edibile, un polisaccaride mucillaginoso che trova impiego come eccipiente in farmacia. Diverse altre specie hanno notevole importanza ecologica, come alimento degli animali selvatici, compreso il raro rinoceronte nero. Altre informazioni nella scheda. Nel 1794, quando fu assegnato al Dipartimento medico della presidenza del Bengala, Francis Buchanan aveva già trentadue anni e da dieci prestava servizio come chirurgo sulle navi della Compagnia delle Indie. Ora finalmente contava di dedicarsi alla sua vera passione: la botanica. Ma, contrariamente a quella del conterraneo William Roxburgh, da poco nominato sovrintendente dell'Orto botanico della Compagnia a Calcutta, la sua carriera ventennale in India proseguì in un'alternanza di grandi speranze e cocenti delusioni. Quando finalmente fu chiamato a succedere a Roxburgh, di anni ne aveva orami più di cinquanta, ed era già deciso a ritornare in Europa. Benché sia stato un raccoglitore straordinario e sia stato tra i primi ad esplorare la flora della Birmania e del Nepal, più che come botanico è noto come geografo ed esploratore, grazie alle due ricognizioni che diresse nel 1800-01 a Mysore e tra il 1807 e il 1814 in Bengala. A ricordarlo il genere Buchanania, che comprende una ventina di specie di alberi tropicali diffusi tra l'India e l'Australia; alcuni producono semi commestibili simili a quelli dell'anacardio. ![]() Sedici anni di gavetta Nella vita di Francis Buchanan, più tardi Buchanan-Hamilton (1762-1829), c'è una specie di convitato di pietra: William Roxburgh. Quasi coetanei (Roxburgh gli è maggiore di dieci anni) i due sono entrambi scozzesi, si sono formati con gli stessi maestri e si sono laureati in medicina alla stessa università, quella di Edimburgo. Subito dopo la laurea, a dieci anni di distanza, entrambi sono entrati al servizio della Compagnia inglese delle Indie (EIC), spinti dalla necessità (l'uno come l'altro sono privi di mezzi), ma anche dal sogno di farsi un nome come scienziati. Prima di potersi dedicare interamente alla botanica, anche a Roxburgh non erano mancati gli anni di apprendistato, quando lavorava come sotto chirurgo e poi chirurgo dell'EIC; ma fin dal 1781 (all'epoca aveva trent'anni) è diventato botanico ufficiale, poi capo naturalista della presidenza di Madras, quindi dal 1793 direttore dell'orto botanico di Calcutta, che trasforma in uno straordinario centro di ricerca. La carriera di Buchanan ripercorre alcune di queste tappe, ma in tempi dilatati e con un percorso segnato da speranze e delusioni. Le leggi scozzesi, ancora basate sul maggiorascato, escludono Francis, quarto figlio maschio, dall'eredità del padre, un facoltoso medico appartenente alla piccola nobiltà, che è anche un proprietario terriero. Per mantenersi deve avere una professione e sceglie la medicina. All'università, due incontri segnano per sempre la sua vita: il primo è con il suo professore di botanica, John Hope, che lo inizia alla scienza delle piante e al culto di Linneo; il secondo è con il condiscepolo James Edward Smith. Nel 1783, l'anno in cui Francis Buchanan si laurea, quest'ultimo acquista le collezioni linneane e di colpo, da oscuro studente, si trasforma in una stella di prima grandezza del firmamento dei naturalisti. E' probabilmente questo esempio a spingere Francis ad entrare al servizio dell'EIC, anziché iniziare una tranquilla carriera di medico di provincia. La prima delusione è immediata: l'EIC ha già fin troppi chirurghi nelle stazioni di terra, e Buchanan è costretto a prestare servizio sulle navi della Compagnia che fanno la spola tra l'Inghilterra e l'Asia; gli scali sono brevi e occasionali, e, come egli stesso si esprime, la botanica, di cui aveva sperato di fare una professione, diventa il suo hobby horse. Finalmente nel 1794 l'ultimo ingaggio lo porta da Portsmouth a Calcutta, dove entra al servizio del Dipartimento medico della Presidenza del Bengala. Va a fare visita a Roxburgh, che è ciò che lui vorrebbe essere: un botanico professionista e uno scienziato riconosciuto a livello internazionale. Per lui è un punto di riferimento, un amico, un corrispondente, un modello, ma, come vedremo, più tardi si trasformerà in un rivale, o per lo meno in un ostacolo. Assegnato alla remota stazione rurale di Luckipore, dove c'è ben poco da scoprire, Buchanan ha la sua prima occasione nel 1795, quando, forse proprio grazie alla raccomandazione da Roxburgh, accompagna il capitano Michael Symes in missione diplomatica in Birmania come medico della legazione. Anche se non fa parte dei suoi compiti, Buchanan ne approfitta per mettere insieme un erbario birmano di 168 esemplari e per interessarsi alla cultura, alla religione e alla letteratura del paese. Dotatissimo naturalista, egli è anche un osservatore acuto e un meticoloso raccoglitore di informazioni. Tuttavia, tutti questi talenti per ora rimangono inutilizzati. Nonostante doni l'erbario e il catalogo delle piante birmane alla Compagnia, nella speranza di accreditarsi come botanico, il dono cade nel vuoto e gli toccano altri cinque anni di purgatorio. Fino al 1798 rimane a Luckipore, quindi viene trasferito a Buraipur che ha il vantaggio di distare solo una giornata da Calcutta, ma non presenta alcuna attrattiva per un botanico; Buchanan si rassegna a trasformarsi in zoologo e a studiare gli animali. Unico diversivo, sempre nel 1798, una missione a Chittagong, che gli è stata procurata da Roxburgh che lo considera il migliore tra i botanici che operano in India. Quando Buchanan scopre che nel volume di Symes sull'ambasceria (An Account of the Embassy to the Kingdom of Ava, London 1800) sono stati usati i suoi disegni e le sue descrizioni naturalistiche senza neppure citarlo, anzi attribuendone la paternità a Joseph Banks, alla frustrazione si aggiungono il dolore e l'indignazione. Per la Compagnia e per gli ambienti scientifici londinesi, Buchanan come naturalista non esiste. Al momento, è più accreditato come orientalista; nel 1796 è ammesso all'Asiatic Society, sulla cui rivista pubblica l'importante saggio On the Religion and Literature of the Burmas, in cui contrappone "l'egualitarismo del Buddismo alla natura oppressiva e gerarchica del Bramanesimo". ![]() L'"inchiesta statistica" a Mysore e la scoperta della flora del Nepal La seconda occasione arriva nel 1800, quando il governatore generale dell'India, Richard Wellesley, si accorge di lui e gli affida una ricognizione del recentemente conquistato territorio di Mysore. Nell'India meridionale è già all'opera Colin Mackenzie, incaricato dei rilievi topografici, ma, prima di essere completato, il suo lavoro richiederà anni; al governatore serve invece in tempi rapidi una relazione che dimostri che l'invasione di Mysore, fortemente criticata da parte dell'opinione pubblica inglese ma anche da settori influenti della Compagnia, era pienamente giustificata e corrispondente agli interessi tanto dell'EIC quanto del Regno britannico. L'oggetto privilegiato dell'inchiesta affidata a Buchanan è l'agricoltura, ma, oltre che sulle produzioni vegetali e animali, gli viene chiesto di raccogliere informazioni sul clima, i minerali, le produzioni artigianali, le condizioni di vita degli abitanti, inclusi il cibo, i vestiti, i costumi, la religione, le leggi, i commerci ecc. E' un tipico statistical survey, dove l'aggettivo non ha il significato odierno: è un'inchiesta ufficiale (promossa da uno stato, questo il significato originario) a tutto campo sulle risorse, la popolazione, gli aspetti umani di un territorio. E, come ha dimostrato la sua esperienza in Birmania, Buchanan ha gli strumenti per gestire un compito così complesso, anche se ovviamente per lui la botanica viene prima di tutto. Il suo viaggio muove da Madras nella primavera del 1800 e a Madras si conclude nell'estate nel 1801; segue un itinerario tortuoso, che lo porta a visitare non solo Mysore, ma anche il Malabar e la costa del Karnataka. Spesso a guidare i suoi passi sono gli interessi botanici, ma egli visita località strategiche come Sira, incontra il diwan di Mysore, intervista persone di ogni classe sociale e raccoglie informazioni di ogni genere. E' il primo a osservare e descrivere la laterite. Mette insieme un erbario imponente e disegna o fa disegnare da artisti locali centinaia di piante. Alla fine, la sua relazione ai vertici della compagnia sarà esattamente come Wellesley la desidera: Tipu Sultan vi è dipinto come un despota orientale, odioso agli occhi dei suoi stessi sudditi, l'occupazione britannica come il ristabilimento della giustizia, dell'equità, della pace e del progresso. Il premio non si fa attendere. Poco dopo il rientro a Madras, Wellesley gli chiede di accompagnare il capitano Knox a Katmandu dove verrà fondata la prima sede diplomatica britannica in Nepal. La situazione del paese è instabile e dopo appena un anno Knox è bruscamente richiamato; la presenza dei britannici è mal tollerata e i raccoglitori nepalesi di Buchanan sono addirittura accusati di essere spie al servizio degli inglesi. Ma nonostante la brevità e la brusca interruzione, per la storia della botanica il soggiorno di Buchanan in Nepal è importantissimo: è il primo botanico occidentale ad esplorarne la flora ricchissima di endemismi; prima che un altro studioso vi sia ammesso di nuovo, passeranno quasi vent'anni: si tratta di Nathaniel Wallich, che visiterà il Nepal nel 1820. Nel 1825, sulla base delle collezioni di entrambi, David Don pubblicherà il suo Prodromus florae nepalenisis, rimasto l'opera di riferimento sulla flora del paese himalayano praticamente fino alla seconda metà del Novecento. Al suo rientro in India, Buchanan viene rispedito a Buraipur; ancora una delusione, ma di breve durata. Wellesley lo vuole come medico personale e poco dopo lo chiama a Barrackpore, la sua residenza di campagna, a dirigere il suo zoo e il Natural History Project of India, ovvero la ricognizione, l'illustrazione, la descrizione e la classificazione di tutti i mammiferi e gli uccelli dell'India. Di colpo, Buchanan si trova a fare parte del circolo più intimo del governatore, e su un gradino superiore a quello di Roxburgh, di cui per altro spera di prendere il posto; voci insistenti dicono che è ammalato e che presto sarà costretto a lasciare l'India. Il momento di gloria è brevissimo. Nel 1805 Wellesley viene richiamato e sostituito da lord Cornwallis, che taglia tutte le spese che considera inutili, tra cui il Natural History Project. Cronwallis è uno dei critici più feroci di Wellesley e Buchanan capisce che per il momento in India per lui non c'è futuro; decide di imbarcarsi con il suo patrono per Londra, dove potrà difendere meglio i propri interessi. Conta soprattutto sul vecchio amico James Edward Smith, ora presidente della Linnean Society, cui affida i manoscritti con le descrizioni in latino, gli esemplari raccolti a Mysore e una magnifica collezione di illustrazioni botaniche che ha fatto eseguire a Calcutta da un artista locale. Spera che Smith li faccia conoscere includendone una parte nella sua Exotic Botany e li custodisca finché egli stesso possa pubblicarli. E' una fiducia mal riposta: Smith utilizza sono una dozzina di illustrazioni (fatte ridisegnare da Sowerby), dieci di piante nepalesi e due di Mysore, ne pubblica altre 37 senza illustrazioni sulla Rees's Cyclopedia; e non restituisce mai i materiali a Buchanan. Dopo la sua morte, passeranno alla Linnean Society, finendo semi dimenticati, fino a tempi recenti, quando la collezione di illustrazioni è stata riscoperta e pubblicata anche in forma digitale. In ogni caso, il nome di Buchanan incomincia ad essere conosciuto negli ambienti scientifici della capitale e nel maggio 1806 egli è ammesso alla Royal Society. Nel 1807, a spese dell'Asiatic Society e della Compagnia delle Indie, viene pubblicata la relazione sul viaggio a Mysore, in tre volumi (A Journey from Madras through the Countries of Mysore, Canara and Malabar). Negli stessi mesi, è a Londra anche Roxburgh: in effetti è molto malato e, sebbene abbia sono 54 anni, pensa davvero di ritirarsi; è qui per trattare con la Compagnia la sua quiescenza e soprattutto per assicurare la successione al figlio omonimo. Buchanan, che aspira a quel posto per se stesso, fa di tutto per impedirlo; scrive non meno di quattro volte a Smith perché faccia pesare tutta la sua influenza sui vertici dell’EIC, denuncia il nepotismo di Roxburgh e scredita il rivale: quel giovanotto non ha studiato in un’università europea, ciò che sa di botanica gli deriva dall’essere l’assistente del padre; insomma, più o meno un giardiniere. Le pressioni di Buchanan fanno centro: nel gennaio 1807 la direzione della Compagnia lo nomina successore di Roxburgh. ![]() Grandi speranze deluse Come due anni prima, anche questa sarà una vittoria di Pirro. Roxburgh non solo recupera la salute, ma ritorna in India e riassume pienamente i suoi doveri. Ma, se non altro, la ricchezza delle sue raccolte ha fatto capire alla Compagnia le grandi qualità di Buchanan, e, forse anche come premio di consolazione, viene deciso di affidargli la ricognizione del territorio bengalese. E' il secondo, più noto, statiscal survey diretto da Buchanan, che lo impegnerà per ben sette anni, dal 1807 al 1814. Come a Mysore, la sua inchiesta non riguarda solo le risorse naturali, ma ogni aspetto della vita quotidiana, della cultura locali, della religione, della storia, dell'archeologia. Rispetto a Mysore, il suo compito è però molto più impegnativo. La Corte dei direttori della compagnia esige una relazione distretto per distretto e il nuovo governatore, lord Minto, che è rimasto impressionato dai risultati dei rilievi topografici di Mackenzie, in particolare dalle carte a scala di un pollice a un miglio (1/63.000), esige una descrizione topografica dettagliata. Ecco perché i lavori si prolungano ben oltre le attese sia dell'EIC sia dello stesso Buchanan. Ovviamente egli prosegue le raccolte botaniche ma, dato che il Bengala è una regione ricca di acque, incomincia a interessarsi sempre più ai pesci. Il risultato sarà l'importante An account of the fishes found in the river Ganges and its branches (1822), in cui descrive oltre cento specie in precedenza ignote alla scienza. Rimane sempre la prospettiva di succedere a Roxburgh, la cui salute nel frattempo si è di nuovo deteriorata, ma ora è lo stesso Buchanan a provare molto meno interesse per l'incarico un tempo tanto agognato. In primo luogo, la Compagnia, insoddisfatta dell'indirizzo scientifico impresso da Roxburgh, vorrebbe che il giardino tornasse allo scopo iniziale: l'acclimatazione di specie esotiche di interesse economico. In secondo luogo, gli anni passano e anche Buchanan sta per toccare la cinquantina; la sua salute è ancora buona, ma teme di rovinarsela definitivamente e di essere privato di qualche anno di serena vecchiaia da dedicare allo studio e alla pubblicazione dei suoi sempre più cospicui materiali. Almeno dal 1810, è intenzionato a ritirarsi appena possibile e a questo scopo inizia a risparmiare e inviare denaro da investire al suo banchiere londinese. Intanto, continua ad esplorare il Bengala, seguendo un itinerario divagante e a zigzag, anche più che a Mysore dettato dalla passione botanica. Se una zona è arida e priva di vegetazione, si sposta in un'altra più promettente. Nel 1808 abbandona "il fango del Bengala" per organizzare una spedizione botanica nelle Alpi del Bhutan; a Ronggopur e Purnea si spinge oltre i confini del territorio della Compagnia per esplorare la flora alpina; nel 1812 va ad esplorare le foreste di Bhagalpur, e l'anno dopo si spinge a Gorakpur, lungo il turbolento confine con il Nepal. Nel 1813 la salute di Roxburgh precipita; l'anno dopo egli dà le dimissioni e lascia definitivamente l'India per tornare in Scozia, dove morirà appena due anni dopo. La Compagnia conferma la nomina di Buchanan, ma quel traguardo per cui ha intrigato appena sette anni prima è orami privo di interesse, tanto più che si pretende da lui che si occupi sia del giardino sia del completamente del survey. Dopo pochi mesi anche lui si dimette e rientra in Europa. Dopo trent'anni di viaggi, è ora di dedicarsi esclusivamente allo studio e alla pubblicazione dei suoi ricchissimi e disparati materiali. Ma c'è ancora un problema (con Buchanan, ce ne sono sempre): le sue raccolte sono così imponenti che gli è impossibile portarle con sé. Decide così di farne dono alla Compagnia delle Indie in cambio del trasporto gratuito; ma durante le trattative il governatore generale lord Moira confisca più di cinquecento disegni di animali e piante, pretendendo che siano di proprietà dell'EIC. E' un nuovo affronto, probabilmente il più amaro di tutti. Anche se i direttori ordinano che gli siano restituiti, sembra che ciò non sia mai accaduto. In cambio di un dono inestimabile, dalla Compagnia che ha servito per trent'anni ha ricevuto al più un ringraziamento formale, è stato come "dare perle ai porci", commenta amareggiato. Torna in Gran Bretagna nel 1815 e lo stesso anno, alla morte della madre, ne eredita la proprietà e cambia il proprio nome in Francis Buchanan-Hamilton. Ancora alla ricerca del riconoscimento scientifico, lavora molto e pubblica più che può, impegnandosi in direzioni diverse. Il suo lavoro più noto è probabilmente The Kingdom of Nepal (1819), al cui successo contribuisce anche la prossimità della prima guerra nepalese (1814-1816); seguirono Genalogies of Hindus (1819), pubblicato in poche copie in edizione privata, che lo accreditò presso letterati e orientalisti, e il già citato volume sui pesci del Gange. Nel 1818 la morte del fratello e l'eredità delle terre di famiglia gli assicurano un nuovo status e una inedita tranquillità economica. Buchanan-Hamilton va a vivere in Scozia, nella residenza baronale di Leny House, nei cui giardini ha fatto piantare piante rare. Si sposa e si dedica interamente al lavoro scientifico, in particolare al commento di Hortus malabaricus e Herbarium amboinense di Rumphius: vuole ricavarne un'opera complessiva di grande impegno, in cui potrà trasfondere tutto ciò che ha imparato in trent'anni di ricerca e raccolte in India e nell'Asia orientale. Nel 1822 ne pubblica la prima parte, ma il lavoro non sarà mai completato. Buchanan-Hamilton muore nella sua residenza scozzese nel 1829. ![]() Nutrienti Buchanania Almeno sul versante delle denominazioni botaniche, i riconoscimenti arrivarono presto. Nel 1801, Curt Sprengel, assegnando a un nuovo genere un albero raccolto da Buchanan durante la missione diplomatica in Brimania, crea in suo onore il genere Buchanania. Nel 1806 il suo esempio è seguito da Smith nel suo Exotic Botany. Troppo tardi: ad essere valida è ovviamente la denominazione di Sprengel. Il genere Buchanania Spreng. (Anacardiaceae) comprende circa venticinque specie di alberi o arbusti tropicali, distribuiti tra la Cina meridionale, l'India, l'Indocina, l'Indonesia, le isole del Pacifico e l'Australia. Hanno foglie semplici, inserite a spirale, con margini interi; piccoli fiori bianchi, profumati, raccolti in infiorescenze a pannocchia. Il frutto è una drupa con sottile endocarpo legnosi; i semi, come quelli dell'anarcardio, in alcune specie sono commestibili. E' il caso della specie tipo, B. cochinchinensis (più nota con il sinonimo B. lanzan), di relativamente ampia diffusione in India e in Indocina; in India, dove è anche coltivata, è nota come chironji o charoli; i suoi semi dall'aroma di mandorla e dalle dimensioni di un pinolo sono consumati crudi dopo una leggera tostatura o utilizzati nei dolci; ridotti in polvere, entrano anche in piatti salati. Ha antichissimi usi alimentari anche l'australiana B. obovata, un piccolo alberello del sottobosco dell'Australia settentrionale, i cui frutti, noti come green plum o wild mango, sono tradizionalmente consumati dalle comunità indigene. Ricchi di proteine, fibre e minerali come potassio, fosforo e magnesio, si segnalano per l'alto contenuto di acido folico. Di altre specie sono note le proprietà medicinali. Nel 1740, lo scozzese Alexander Russell prende servizio ad Aleppo come medico della stazione commerciale della Compagnia del Levante. Vi rimarrà 14 anni, stabilendo ottime relazioni con la variegata e multietnica comunità della città siriana e tutto osservando con occhio libero da ogni pregiudizio. Al suo ritorno in patria, scrive The Natural History of Aleppo. Il libro, improntato agli ideali illuministi, con la sua miriade di informazioni spesso di prima mano su zoologia, botanica, meteorologia, medicina e quella che oggi chiameremmo antropologia, desta un profondo interesse tra gli intellettuali europei e già nel 1760 gli guadagna la dedica del genere Russelia. Ma qui è impossibile non parlare anche del fratello minore Patrick. Di dodici anni più giovane, fin dal 1750 raggiunge Alexander ad Aleppo, quindi ne prende il posto e rimane in Siria per più di vent'anni, guadagnandosi l'unanime stima di locali ed europei. Come medico, studia l'inoculazione del vaiolo e le ricorrenti pestilenze che affliggono la città e diviene un grande esperto di malattie epidemiche e dei metodi per prevenirle. Tornato in patria nel 1771, nel 1781, rispondendo all'appello di un terzo fratello, Claud, lo raggiunge in India. Nel 1785, succede a Johann Gerhard König come naturalista della Compagnia delle Indie; importantissimi saranno i suoi contributi alla conoscenza della flora e della fauna indiane. Il principale frutto delle sue ricerche è An Account of Indian Serpents Collected on the Coast of Coromandel. Nel 1794 pubblica anche un'edizione rivista di Natural History of Aleppo. Un medico scozzese ad Aleppo Nel 1740, per prendere servizio come medico della stazione commerciale (factory) della Compagnia del Levante, giunse ad Aleppo lo scozzese Alexander Russell (ca. 1715-1768). Arrivava da Edimburgo, una città tutt'altro che provinciale, e conosceva Londra, ma non poté che innamorarsi di quella bellissima, ordinata, vivace e prospera città multietnica: "Le moschee, i minareti e numerose cupole formano uno splendido spettacolo, e i tetti piatti delle case situate sulle colline, sorgendo una dietro l'altra, presentano una successione di terrazze sospese, intervallate da cipressi e pioppi". Situata al crocevia tra la via della seta, che collegava l'Impero ottomano con la Cina attraverso l'Asia centrale e la Persia, e la via della spezie, che lo congiungeva con l'India attraverso lo Yemen e la penisola arabica, era la terza città più popolosa dell'Impero, dopo Istanbul e il Cairo. Nelle botteghe del suo suq, uno dei più vasti del mondo, accanto ai prodotti agricoli e ai manufatti locali, come il pregiato sapone d'Aleppo, era possibile acquistare prodotti d'ogni genere e di ogni provenienza: ceramiche e sete cinesi, tappeti e stoffe dell'Asia centrale, metalli persiani, pepe indiano, avorio africano, vetri veneziani. Luogo nevralgico delle strade commerciali che collegavano l'Oriente con i porti del Mediterraneo, fin dal Medioevo Aleppo era frequentata dai mercanti europei, che vi avevano creato empori o stazioni commerciali. Gli inglesi della Compagnia del Levante vi si erano stabiliti verso la fine del Cinquecento e ne avevano fatto la loro principale piazza commerciale. Commerciavano soprattutto tessuti: acquistavano sete persiane e vendevano panni di lana inglesi. Il momento d'oro era durato circa un secolo, ma quando Russell giunse ad Aleppo era già finito: il Mediterraneo e le vie di terra avevano perso la loro centralità rispetto alle rotte oceaniche che ora collegavano in modo diretto la Gran Bretagna con l'India o la Cina; le guerre tra la Russia e la Persia avevano interrotto il flusso delle merci persiane; la Russia stessa aveva aperto nuove vie commerciali che facevano concorrenza alla Compagnia. Mal gestita, sull'orlo della bancarotta, quest'ultima era ormai una realtà residuale, tanto che nel 1754 (per coincidenza, lo stesso anno in cui Russell lasciò la città) la corona le tolse il monopolio del commercio con l'impero ottomano, aprendolo al commercio libero. Ma nel 1740 si godevano ancora gli ultimi barlumi di prosperità. La Compagnia coordinava l'attività di una quarantina di mercanti, disponeva di magazzinieri, facchini, interpreti o dragomanni e di un piccolo staff costituito da un console (che all'occasione agiva anche come diplomatico), un viceconsole, un tesoriere, un cappellano e, appunto, un medico, alloggiati nel caravanserraglio Khan al-Gumruk. Quando arrivò ad Aleppo, Alexander aveva venticinque anni. Era il terzo figlio di un noto avvocato di Edimburgo, aveva ricevuto un'ottima educazione classica e tra il 1734 e il 1735, anche se non aveva conseguito la laurea, aveva seguito i corsi del prestigioso professore Alexander Monro primus, allievo di Boerhaave e esponente della "nuova medicina". Edimburgo era una città intellettualmente vivace, aperta al nuovo non solo nel campo medico, la culla dell'illuminismo scozzese i cui ideali sono ben riconoscibili anche in Alexander Russell: umanitarismo, convivialità sociale, tolleranza religiosa, apertura al diverso, fiducia nella ragione; i suoi maestri gli avevano trasmesso un metodo rigoroso basato sull'osservazione attenta, l'oggettività, la verifica empirica. Nel 1734 Alexander fu uno dei primi membri della Medical Society di Edimburgo; poi forse lavorò come praticante con uno zio chirurgo o come chirurgo navale; certo al suo arrivo ad Aleppo era un medico competente che seppe farsi apprezzare non solo dai dipendenti della Compagnia ma da clienti di ogni provenienza sociale e di ogni etnia e religione: franchi, ovvero europei, greci, turchi ottomani, armeni, ebrei, cristiani siriaci. Presto imparò l'arabo, che parlava fluentemente, e si fece una vasta clientela; era ben accolto in ogni ambiente e si guadagnò la stima di Mehmet Raghib Pasha, il governatore di Aleppo, che gli concesse di praticare la dissezione dei cadaveri e lo nominò medico capo. Nel 1742 in città scoppiò una delle ricorrenti epidemie di peste; Russell ne studiò i sintomi, ne ricercò le cure e le cause e prese a registrarne l'andamento in un diario. Era il primo nucleo di quella che sarebbe diventata Natural history of Aleppo: dagli argomenti propriamente medici, la sua attenzione si allargò al clima, agli animali selvatici e domestici, alle piante non solo medicinali, ai giardini, ai monumenti, agli abitanti, ai loro costumi, ai luoghi di ritrovo, ai commerci. In campo medico, il suo contributo più importante è lo studio della leishmaniosi, di cui diede la prima descrizione in Occidente. Tra gli animali descritti per la prima volta da Alexander, il criceto dorato Mesocricetus auratus, antenato di molti criceti di allevamento. Nel 1750 Alexander fu raggiunto dal fratellastro Patrick (1727-1805), fresco di laurea in medicina appena conseguita ad Aberdeen. Figlio della terza moglie del padre, gli era minore di dodici anni. Anche lui era allievo di Monro I, ma aveva potuto anche seguire i corsi di Francis Home, il primo professore di Materia medica a Edimburgo. Era un naturalista più completo di Alexander e, come quest'ultimo riconosceva apertamente, la sua competenza botanica era ben maggiore della sua. Grazie alla sua assistenza, che ne aveva anche alleggerito i compiti quotidiani, Alexander incominciò ad esplorare in modo più sistematico la flora dei dintorni di Aleppo, deciso a redigerne una lista completa. Delle raccolte botaniche dei due fratelli (Patrick ne ricavò un erbario) si giovarono anche gli amici londinesi, cui essi inviavano semi ed esemplari essiccati. Nel 1754 sulle montagne tra Aleppo e Lataika Alexander raccolse semi di Convolvolus scammonia, di cui inviò i semi a John Fothergill, suo condiscepolo ad Edimburgo e il più stretto dei suoi amici, insieme a una lettera in cui descriveva la pianta e i metodi di raccolta, più tardi pubblicata nella rivista della Medical Society di Londra. Si trattava infatti di una specie di notevole interesse medico, perché dalle sue radici si ricava una resina purgativa, nota come scammonea, che veniva esportata dalla Siria sotto forma di pani ed era soggetta a frequenti adulterazioni. Dopo il rientro a Londra, ne diede alcuni semi anche a John Ellis, che ne informò Linneo. Lo stesso anno raccolse semi del bellissimo corbezzolo greco Arbutus andrachne e ne inviò i semi sia a Fothergill sia all'amico comune Peter Collinson, che li seminarono nei loro giardini; Collinson li passò anche all'abile vivaista James Gordon, notoriamente infallibile nelle semine di arbusti. Il primo a fiorire fu l'esemplare coltivato nei giardini di Fothergill, dove nel 1766 Ehret lo immortalò. All'epoca Alexander si trovava già a Londra. Nel 1754 lasciò Aleppo e rientrò in Inghilterra, passando dall'Italia dove visitò i lazzeretti di Napoli e Livorno. Nel febbraio 1755 era a Londra dove, sollecitato da Fothergill, si dedicò alla preparazione per la stampa di The natural history of Aleppo, and parts adjacent; uscita nel 1756, l'opera era un bel volume in quarto arricchito dalle incisioni di vari artisti, tra cui Ehret e John Miller; in uno stile vivace e spontaneo, offriva una miriade di informazioni di prima mano che spaziavano dalla flora e la fauna al clima, dai monumenti cittadini ai caffè, dalla musica alla vita sociale delle diverse comunità aleppine, senza dimenticare ovviamente lo studio delle malattie epidemiche. Il libro ottenne un notevole successo e lo stesso anno Alexander fu ammesso alla Royal Society. Egli stesso ne era però insoddisfatto e pensava già a una seconda edizione; ma i crescenti impegni professionali e familiari glielo impedirono. Si sposò, ottenne la laurea formale all'università di Glasgow (sempre che non l'avesse conseguita in absentia mentre si trovava ad Aleppo), divenne consulente del governo per la prevenzione delle epidemie, nel 1760 fu ammesso al Royal College of Physicians e assunto come medico del St Thomas Hospital, un incarico che comportava anche l'insegnamento ai praticanti. Grande esperto di malattie epidemiche, che aveva affrontato senza paura durante gli anni di Aleppo, mettendo sempre il bene dei suoi pazienti al primo posto, fu egli stesso vittima di un'epidemia, quella di febbri putride che imperversò a Londra nel 1768. ![]() Medico e naturalista in Siria e in India Patrick era rimasto ad Aleppo e aveva preso il posto del fratello come medico della Compagnia del Levante. Abbiamo già visto che era un naturalista più completo del fratello maggiore; come lui era un gentiluomo amabile e un conversatore piacevole. Era dotatissimo per le lingue e si inserì presto nella società aleppina. Anche la sua competenza di medico non fece rimpiangere quella del fratello, anzi la superò. Il Pasha lo stimava tanto da permettergli di indossare il turbante, un simbolo di prestigio raramente concesso agli europei. Tra il 1760 e il 1762 la peste tornò a più riprese ad Aleppo; Patrick ne studiò attentamente le manifestazioni e introdusse metodi di prevenzione, come proteggere bocca e naso con un fazzoletto imbevuto d'aceto. Raccolse le sue osservazioni in un trattato sulla peste, che avrebbe pubblicato molti anni dopo. Ma i suoi interessi erano ancora più vasti di quello del fratello: la conoscenza approfondita dell'arabo gli permise di studiare i testi medici medievali, di raccogliere manoscritti, di interessarsi di letteratura e di musicologia. Sia per interesse personale, sia per contribuire alla seconda edizione di Natural history of Aleppo, proseguì l'opera del fratello, continuando a raccogliere informazioni che inviava nelle sue lettere ad Alexander; due di queste lettere, rispettivamente sui terremoti in Siria e sull'inoculazione del vaiolo furono poi stampate nelle Transactions della Royal Society. Ad Alexander e ai corrispondenti londinesi inviava anche semi e esemplari di piante. I due fratelli non si sarebbero mai rivisti. Patrick infatti lasciò Aleppo solo nel 1771, rientrando in patria nel 1772, quattro anni dopo la morte di Alexander. Inizialmente pensava di stabilirsi ad Edimburgo, ma fu convinto da Fothergill a trasferirsi a Londra. Incominciò subito a lavorare alla seconda edizione di Natural history of Aleppo, doveroso tributo alla memoria del fratello. Grazie a Fothergill, conobbe Banks e Solander che gli furono di grande aiuto per identificare le piante siriane e adeguarne la nomenclatura agli standard linneani. Nel 1777 anch'egli fu ammesso alla Royal Society. Ma prima che potesse terminare quel compito, lo attendeva un nuovo viaggio. Nel 1781 il fratello minore Claude, funzionario della Compagnia delle Indie, fu nominato amministratore capo della Compagnia a Visakhapatnam nella provincia di Madras. Non godendo di buona salute, gli chiese di accompagnarlo in India come suo medico. Anche se aveva già superato la cinquantina, Patrick accettò; durante il lungo viaggio in nave, portò a termine la revisione di Natural history of Aleppo e fu pronto per una nuova avventura. Nell'India meridionale, scoprì una flora e una fauna in gran parte inesplorate; strinse amicizia con Johann Gerhard König e incominciò a raccogliere animali e piante che inviava ai suoi corrispondenti londinesi; alla morte di König nel 1785, ne prese il posto come botanico e naturalista della Compagnia delle Indie. Imparò le lingue locali, incominciò a fare la spola tra le diverse sedi della Compagnia per raccogliere dai medici residenti "ogni genere di informazione sulle piante utili", mettendo insieme un erbario di 900 esemplari. Molte delle specie da lui raccolte sarebbero state pubblicate da Roxburgh (suo successore come botanico della Compagnia) in Plants of the Coast of Coromandel, di cui Russell scrisse la prefazione. Raccolse anche molti animali marini, ma come medico dovette soprattutto confrontarsi con il problema del morso dei serpenti. Incominciò a studiarli, alla ricerca di un metodo che permettesse di distinguere quelli letali da quelli innocui; ne esaminò le scaglie, la dentatura, sperimentò gli effetti dei loro morsi su cani, conigli e galline, verificò l'efficacia di possibili antiveleni. Fu così che conobbe e descrisse per la prima volta molti serpenti precedentemente ignoti alla scienza, tra cui quello che oggi porta il suo nome, la vipera di Russell Daboia russelii, una specie dal morso letale che ancora oggi in India causa ogni anno migliaia di vittime. Nel 1791, insieme a Claude e alla sua famiglia, Patrick ritornò definitamente a Londra per occuparsi della pubblicazione di varie opere, a cominciare dal trattato sulla peste A treatise of plague, uscito quello stresso anno. Nel 1794 fu la volta della seconda edizione di Natural history of Aleppo; anche se per rispetto della memoria del fratello apparve solo sotto il nome di Alexander e fu presentato come una semplice riedizione, in realtà si tratta di un libro in gran parte diverso. La prima parte del volume di Alexander, piuttosto caotica e frammentaria, si trasformò in un volume a sé, suddiviso in capitoli ben articolati; l'apparato di note e la bibliografia si arricchirono di fonti orientali e occidentali; molto argomenti furono trattati in modo molto più approfondito e il tono si fece decisamente più accademico. I vecchi nomi-descrizione prelinneani di Alexander, spesso ripresi dal Dictionary di Philip Miller, con la collaborazione di Banks e Solander vennero sostituiti con le denominazioni binomiali. Oltre ad essere trattato un numero maggiore di piante, crebbero anche le informazioni fornite, soprattutto sugli usi officinali. A questo punto, assolto il debito con Alexander, Patrick, oltre a pubblicare un certo numero di articoli sulle Transaction della Royal Society, poté dedicarsi a una serie di pubblicazioni riccamente illustrate, finanziate dalla Compagnia delle Indie. Nel 1795, come ho anticipato, scrisse la prefazione a Plants of the Coast of Coromandel di Roxburgh. Nel 1796 seguì il primo volume di An Account of Indian Serpents Collected on the Coast of Coromandel; il secondo volume, in quattro fascicoli, uscì tra il 1801 e il 1809, concludendosi dopo la morte dell'autore. Nel 1803 fu la volta di una corposa opera sui pesci, Descriptions and Figures of Two Hundred Fishes. Patrick Russell morì settantottenne nella sua casa londinese nel 1805. ![]() Russellia, un fuoco d'artificio di fiori Come ho anticipato, la prima edizione di Natural history of Aleppo fu ben accolta dalla critica e assicurò fama europea ad Alexander Russell. Nel 1760 von Jacquin volle onorarlo con la dedica del genere americano Russelia, di cui aveva raccolto la specie tipo, R. sarmentosa, durante il suo viaggio a Cuba. Qualche anno dopo, sia König sia il figlio di Linneo si ricordarono anche di Patrick con due generi omonimi, ovviamente non validi per la regola delle priorità. Dunque anche Patrick Russell sarebbe a rigori un "botanico senza Nobel", ma la sua vita si intreccia talmente con quella del fratello, i suoi studi sono tanto importanti che era impossibile non dargli il giusto spazio, erigendo anche lui a "dedicatario onorario" del bel genere Russelia Jacq., famiglia Plantaginaceae (un tempo Scrophulariaceae). Diffuso dal Messico alla Colombia passando per le Antille, raccoglie una quarantina di specie di arbusti molto ramificati, eretti o decombenti, con foglie in genere piccole, coriacee o membranacee, piccoli fiori dalla corolla tubolare raccolti molto numerosi in cospicue infiorescenze. Nell'Ottocento diverse specie vennero introdotte dal Messico in Europa e divennero popolari piante da serra: nelle riviste degli anni 30-50 sono citate R. sarmentosa, R. multiflora, R. floribunda, R. rotundifolia e addirittura ibridi orticoli come R. lemoinei (R. juncea x R. sarmentosa) e R. elegantissima. Poi, come spesso succede, la moda cambiò e ora è sostanzialmente coltivata una sola specie, R. equisetiformis. Originaria dell'America settentrionale e centrale dal Messico al Guatemala, è oggi diffusissima nei giardini di tutti i paesi a clima mite, dove si fa apprezzare per la facilità di coltivazione e l'esplosiva fioritura di fiori tubolari color corallo che le ha guadagnato il nome comune inglese firecracker plant, "pianta fuoco d'artificio". Qualche approfondimento nella scheda. L'inglese William Sherard è una figura chiave della botanica a cavallo tra Seicento e Settecento. Eppure, a parte un modesto catalogo degli orti botanici di Parigi e Leida, non ha pubblicato nulla di proprio. Per tutta la vita ha cercato di scrivere una grande opera che però non è mai riuscito a completare: a distoglierlo dal compito, oltre alle necessità concrete della vita, fu soprattutto la sua generosità senza limiti, che lo spinse ad affiancare il lavoro di tanti amici più famosi come raccoglitore, donatore di semi, exsiccata e somme di denaro, curatore di opere altrui. Fu generoso anche nelle sue ultime volontà, con le quali non solo legò all'università di Oxford il suo importante erbario, le sue note e una notevole collezione di disegni e manoscritti, ma anche un lascito per istituire la prima cattedra di botanica in terra d'Inghilterra, che ancora porta il suo nome: Sherardian professorship. A ricordarlo è anche il genere monospecifico Sherardia, omaggio di un amico che godette della sua generosità in vita e in morte. ![]() Una vita al servizio degli amici Quando il diciottenne William Sherard (1659-1728) giunse a Oxford per studiare diritto non sapeva ancora che il suo destino, più che a codici e leggi, sarebbe stato legato alle piante. La conversione sulla via di Flora avvenne tra le aiuole dell'orto botanico di Oxford, il solo esistente in Inghilterra all'epoca. A fargliene conoscere le meraviglie fu il curatore, Johann Bobart il Giovane, che fu anche il primo di una lunga lista di amici a beneficiare della sua passione e del suo altruismo: egli stava curando la pubblicazione postuma di Historia Plantarum Universalis Oxoniensis di Morison e Sherard lo aiutò raccogliendo per lui piante nelle campagne dei dintorni. Nel 1683 si laureò in legge e divenne membro del suo college, ma ormai il suo interesse andava tutto alla botanica; studiarla in Inghilterra non era possibile, perché non era insegnata in nessuna università; Sherard attraversò la Manica - il primo di tanti viaggi europei - e si trasferì a Parigi per seguire le lezioni di Pitton de Tournefort al Jardin du roy; anche a lui, per il quale nutriva un'ammirazione che rasentava la venerazione, non lesinò il suo aiuto, raccogliendo piante nei dintorni di Parigi. Nel 1686, quando Paul Hermann venne a visitare il Jardin du roy, strinse amicizia con lui, e decise di seguirlo in Olanda. In attesa che i suoi ammirati maestri potessero mettere mano ai cataloghi degli orti di Parigi e Leida, nel 1688 pubblicò una lista delle loro collezioni; sotto il titolo Schola botanica, è la sua unica opera edita e per modestia è firmata con le sole iniziali S.W.A. Nel 1689 tornò in Inghilterra e mise le sue nuove competenze al servizio di un altro amico: fece importanti raccolte nell'Inghilterra meridionale e nelle Channel Island, ma invece di pubblicarle a suo nome, cedette le sue note a John Ray, che le pubblicò in appendice a Synopsis methodica stirpium britannicarum (1690). In teoria era membro del St John College e avrebbe dovuto tornare a insegnare a Oxford, ma evidentemente l'impiego non soddisfaceva né le sue tasche né il suo cuore; preferì diventare tutor o insegnante privato di una serie di gentiluomini. Il primo fu il baronetto irlandese Arthur Rawdon che possedeva una vasta tenuta a Moira nella Contea di Down; era un grande appassionato di orticoltura e giardinaggio, tanto da essersi guadagnato il soprannome di "padre del giardinaggio irlandese". Possedeva un notevole giardino con una delle prime serre riscaldate d'Europa, un labirinto, uno stagno e molte piante esotiche, incluse 400 piante fatte arrivare dalla Giamaica e uno dei primi esemplari noti di Robinia pseudoacacia, famoso per le sue eccezionali dimensioni. Per Sherard il soggiorno in Irlanda, che si prolungò per tre anni, fu una gioia e gli permise anche di esplorare la flora dell'Ulster. Nel 1694 era di ritorno a Oxford dove divenne dottore in diritto civile, ma ben presto ne ripartì per accompagnare il visconte Charles Townshend nel suo gran tour in Europa. Nel febbraio del 1795 si fermò a Leida, dove si assunse il difficile compito di preparare per la pubblicazione il manoscritto di Paradisus batavus di Paul Hermann. Tornò poi in Inghilterra giusto il tempo necessario per trovare un altro ingaggio, questa volta come chaperon del giovane marchese di Tavistock, il futuro secondo lord Bedford, con il quale visitò la Francia e l'Italia. Fu l'occasione per visitare giardini e incontrare altri botanici; in Italia conobbe Francesco Cupani e Paolo Boccone, dal quale appreso il metodo della stampa naturale (che consiste nell'utilizzare come matrici le piante stesse, inchiostrate e pressate sulla carta; ne ho parlato qui). A Parigi strinse amicizia con Sébastien Vaillant. Questi incontri e queste amicizie lo spinsero a concepire l'idea di aggiornare il Pinax di Bauhin, aggiungendo le piante scoperte e pubblicate dopo il 1623. Un'impresa che, come vedremo, lo accompagnò tutta la vita, ma non giunse mai a termine. Tornato in Inghilterra verso la fine del 1698, si lasciò ancora una volta convincere a diventare tutor di un altro giovane gentiluomo, un nipote della duchessa vedova di Beaufort. La nobildonna era una grande appassionata di piante e giardini e contava sui contatti internazionali di Sherard, il cui nome incominciava ad essere piuttosto noto tra i botanici europei, per incrementare le sue collezioni. Purtroppo il giovane morì dopo meno di un anno, e Sherard si trovò disoccupato. Per breve tempo si rassegnò a insegnare a Oxford come borsista, quindi fece parte di una commissione governativa che si occupava dei prigionieri di guerra, finché nel 1703 la Compagnia del Levante gli offrì un posto come console a Smirne. Egli accettò: una decisione pessima per i suoi studi botanici e ottima per le sue tasche. Nei dieci anni che visse in Turchia infatti, privo di libri e troppo occupato con i suoi compiti quotidiani, dovette mettere da parte la botanica, ma in compenso accumulò una notevole fortuna. Cercò anche altri interessi, ricopiando antiche iscrizioni e collezionando monete. Nel 1711 acquistò una casa a sette miglia da Smirne. Nell'impero ottomano era impossibile viaggiare da soli, e non trovando altri accompagnatori nelle sue escursioni botaniche, dovette limitarsi a un solo viaggio, che sempre nel 1711 lo portò a Alicarnasso. Alla fine del 1716 o all'inizio del 1717 lasciò Smirne e tornò in Inghilterra. Nel frattempo anche suo fratello minore James (1666-1738) aveva fatto fortuna; farmacista, gestiva una bottega di successo a Londra, nella centralissima Mark Lane. Negli anni giovanili, era stato un notevole musicista dilettante e un virtuoso del violino, ma ora la gotta gli impediva di suonare. Dopo il ritorno di William dal Levante, decise di andare in pensione e di fare della botanica la sua nuova passione. Acquistò una splendida proprietà a Eltham, un sobborgo di Londra, dove, con l'aiuto del fratello maggiore, creò un giardino presto famoso in tutta Europa per le sue piante rare. William riprese a lavorare alla revisione del Pinax, ma nel 1721 viaggiò di nuovo nel continente insieme al fratello, per cercare piante per Eltham. Visitò anche l'orto botanico di Giessen, dove conobbe il giovane botanico Jacob Dillenius. Dopo essere stato per tutta la vita generoso di semi, esemplari e tempo con i suoi amici, ora poteva esprimere la sua generosità anche come mecenate: propose a Dillenius di trasferirsi in Inghilterra per aiutarlo con l'interminabile revisione del Pinax e con la catalogazione del giardino di Eltham. Dillenius accettò: avrebbe portato a termine il secondo compito, scrivendo il magnifico Hortus Elthamensis, ma non il primo. Nel 1723 e nel 1727 Sherard tornò nuovamente a Leida, per aiutare Boerhaave a pubblicare l'opera postuma dell'amico Vaillant, Botanicon parisiense. Assisté anche Catesby, aiutandolo con le identificazioni della prima parte di Natural History of Carolina. Solo con un "collega" ci fu uno screzio: non sappiamo esattamente perché, si scontrò con Hans Sloane - un amico di lunga data anche di suo fratello - che rifiutò di mettergli a disposizione gli erbari di Plukenet e Petiver. Verso il 1727 ci fu una riconciliazione, ma ormai la salute di Sherard stava declinando, con crisi di quella che è stata definita "demenza senile". Consapevole che in Inghilterra, proprio come ai tempi della sua giovinezza, ancora mancava una cattedra universitaria di botanica, volle rimediare con le sue ultime volontà: non solo lasciò all'università di Oxford il suo erbario di oltre 12,000 pezzi, le sue carte, le sue collezioni di disegni e manoscritti, ma stabilì un lascito per istituire una cattedra di botanica. Impose però una condizione: il primo titolare doveva essere Dillenius. Morto William Sherard nel 1728 (una sintesi della sua vita nella sezione biografie), ne seguì una lunga trattativa tra l'Università e il suo esecutore testamentario, ovvero suo fratello James. Di conseguenza, Dillenius assunse l'incarico solo nel 1735, avendo nel frattempo anche completato Hortus elthamensis. Ma non la revisione del Pinax. La grande opera della vita di Sherard rimase un torso inedito. Secondo H.M. Clokie, studioso del suo erbario, la causa prima stava nella eccessiva generosità di questo botanico dal carattere troppo amabile: "Sembra che la sua difficoltà fosse concentrarsi sul proprio lavoro invece di aiutare gli amici. La sua generosità sembra non aver conosciuto limiti". ![]() Sherardia, dal Mediterraneo alla conquista del mondo Nonostante non abbia pubblicato quasi nulla di suo, curando la pubblicazione di due opere centrali come Paradisus batavus di Hermann e Botanicon parisiense di Vaillant e sponsorizzando il lavoro di Dillenius, senza parlare delle raccolte botaniche messe generosamente a disposizione di tanti illustri colleghi, Sherard ha avuto un ruolo di rilievo nella botanica negli anni a cavallo tra Seicento e Settecento; è riuscito a far dialogare e a integrare tra loro le diverse scuole botaniche europee, da quella francese a quella olandese, da quella italiana a quella tedesca, contribuendo come nessuno allo sviluppo della scuola britannica, come sottolinea la creazione della cattedra di Oxford. Sia Vaillant sia Dillenius si sono ricordati del loro benefattore con la dedica di un genere Sherardia. Particolarmente toccanti le parole di Sébastien Vaillant: "Dato che i botanici, quando creano un nuovo genere hanno il diritto di dargli il nome dei loro autori, o dei loro benefattori o dei loro amici, per resuscitare i primi e immortalare i secondi nella botanica, io ho imposto a questo [genere] il nome dell'illustre Mr. Sheridan che è allo stesso tempo un vero amico, un benefattore per le piante essiccate; per diventare illustre più di tutti gli autori messi insieme non gli rimane che terminare il suo Pinax e offrirlo al pubblico che attende questo capolavoro con estrema impazienza". Linneo, tuttavia, nell'ufficializzare il genere Sherardia in Species plantarum (1753) scelse quello di Dillenius (famiglia Rubiaceae) e non quello di Vaillant (famiglia Valerianaceae); quest'ultimo fu ripreso da Miller, ma troppo tardi (1754); la denominazione valida è dunque quella di Dillenius - Linneo. Sherardia L. è un genere monotipico rappresentato dalla sola S. arvensis, una piccola pianta erbacea diffusa in tutta Europa, nel bacino del Mediterraneo e in Vicino oriente; si è inoltre largamente naturalizzata in altri continenti, tanto da essere ormai considerata cosmopolita. E' un'annuale comune in campi, prati, incolti, aree disturbate; piuttosto simile a Galium, da cui si distingue per la lunghezza del tubo corollino, ha piccole foglie lineari riunite in verticilli di 4-6 e minuscoli fiori da rosa pallido a lilla con un lungo tubo e quattro petali liberi raccolti in gruppi di 6-10 e circondati da un anello di sei brattee simili alle foglie. Come la robbia (Rubia tinctoria) dalle sue radici si estraeva un colorante rosso. E' una pianta modesta, ma graziosa, e come il suo dedicatario è una grande viaggiatrice. In fondo, un accettabile ritratto vegetale. Una sintetica presentazione nella scheda. Nel corso della seconda spedizione nell'America settentrionale, David Douglas scopre un curioso arbusto con lunghi gattici biancastri e decide di battezzarlo Garrya elliptica in onore di uno dei dirigenti della Hudson's Bay Company, che tanto gli era stata d'aiuto in questa e nella precedente spedizione: Nicholas Garry, un personaggio che sarebbe del tutto dimenticato senza questa dedica e il ruolo che giocò nella storia della HBC, ancora oggi una delle maggiori aziende canadesi. Seguiamolo nel difficile viaggio tra laghi e fiumi canadesi durante il quale gli toccò, con tatto e diplomazia, di mettere pace tra trapper rivali che fino a pochi mesi prima si scambiavano fucilate. Una difficile missione tra i cacciatori di pellicce Tra fine Settecento e inizio Ottocento, la caccia e il traffico delle pellicce in Canada erano controllati da due compagnie rivali, la Compagnia della Baia di Hudson (Hudson's Bay Company, HBC) e la Compagnia del Nord Ovest (North West Company, NWC). Intorno al 1810, la diminuzione dei profitti, causata dalla rarefazione degli animali da pelliccia, dalle tensioni di frontiera con gli Stati Uniti e dall'insediamento di coloni che sottraevano spazio alle foreste, sfociò in una guerra aperta, con sabotaggi reciproci, assassini e addirittura scontri armati. Era una situazione insostenibile che preoccupava tanto le autorità politiche quanto gli azionisti delle Compagnie. Per riportare l'ordine, il segretario di stato per la guerra e le colonie, lord Bathurst, ritenne che l'unica soluzione fosse costringere le due rivali a fondersi in un'unica compagnia, che avrebbe mantenuto il nome della più antica, l'HBC, e avrebbe avuto il monopolio dei traffici su un territorio immenso, da costa a costa. Per spiegare la situazione agli agenti locali, ridefinire la struttura organizzativa e riorganizzare la rete delle stazioni commerciali fu deciso l'invio in Canada di un rappresentante per ciascuna delle vecchie compagnie. Il direttivo della HBC scelse il suo membro più giovane, e l'unico scapolo, Nicholas Garry, un mercante che in precedenza aveva commerciato con la Russia. La missione infatti si presentava difficile e impegnativa anche sul piano fisico. I due incaricati dovevano visitare le principali stazioni commerciali e mettere fine a anni di ostilità convincendone i capi che l'accordo conveniva a tutte le parti. Garry si rivelò una scelta felicissima e seppe dimostrare pazienza, equanimità, diplomazia. Di grande valore storico la testimonianza del suo Diary of Nicholas Garry, deputy-governor of the Hudson’s Bay Company from 1822–1835: a detailed narrative of his travels in the northwest territories of British North America in 1821. Garry partì da Londra alla fine del marzo 1821 e viaggiò fino a New York insieme ai due delegati della NWC che avevano partecipato alle trattative per la fusione, Angus Bethune e John McLoughlin. Alla fine di maggio era a Montreal, il quartier generale della NWC, dove fu raggiunto dal suo corrispettivo della compagnia rivale, Simon McGillawry. Come nota ironicamente nel suo diario, fino a pochi mesi prima costui era "il più attivo e strenuo oppositore degli interessi della Compagnia che sono incaricato di rappresentare". Due settimane dopo si imbarcava con McGillawry e suo fratello maggiore William su una canoa di scorza di betulla manovrata da dodici rematori franco-canadesi. La meta era Fort William (oggi Thunder Bay), sul Lago superiore, il principale deposito della NWC, dove ebbe luogo l'incontro con gli agenti della vecchia compagnia. All'inizio fu alquanto tempestoso, ma più il maggiore dei McGillevry spiegò con franchezza i termini dell'accordo e convinse i suoi compagni dei vantaggi. Seguirono estenuanti trattative sulla distribuzione dei posti. Garry annotò sinteticamente nel diario: "Da giovedì 10 luglio a sabato 14 luglio. Discussioni senza fine". Poi verificò gli inventari e i conti e inviò il suo rapporto a Londra; quindi partì con McGillawry per York Factory, la stazione commerciale della HBC situata all'estremità occidentale della baia di Hudson, punto di arrivo della pista che collegava la baia con Fort Vancouver e il Pacifico. Era un viaggio lungo e impegnativo che durò un mese e mezzo. I due commissari viaggiavano su due diverse canoe, ciascuna con otto rematori, che all'inizio trasformarono il viaggio in una sorta di gara. Sul Rainy Lake incontrarono un consiglio di indiani, ai quali Garry assicurò che non avevano nulla da temere dalla fusione delle due compagnie, anzi al contrario ne avrebbero tratto beneficio. La navigazione proseguì tra un dedalo di laghi e fiumi attraverso il Lago dei boschi e il fiume Winnipeg fino alla colonia di Red River; era stata proprio la fondazione di questo insediamento di coloni scozzesi, voluto da lord Selkirk, a scatenare le peggiori ostilità tra le due compagnie, che erano sfociate addirittura in una battaglia, con il coinvolgimento dei Métis, il gruppo indigeno nato dai matrimoni misti tra nativi, franco-canadesi e altri europei. Selkirk aveva risposto occupando Fort William e facendone arrestare i capi, tra cui McLoughlin e William McGillawray. La morte del lord nel 1820 aveva riportato un po' di pace, ma Garry notò che la situazione era ancora esplosiva e che sarebbero state necessarie misure forti. A Norway House sul lago Winnipeg ci fu un secondo incontro con gli agenti, che confermò gli accordi di Fort William, in particolare l'abbandono della via commerciale della NWC tra Fort William e Montreal a favore di quella più diretta della HBC attraverso York Factory e la baia di Hudson. Quindi navigando lungo il Nelson River, alla fine di agosto i due delegati raggiunsero York River, dove furono accolti dal governatore della HBC William Williams. A causa della sua azione non di rado arbitraria durante le ostilità, quest'ultimo era particolarmente inviso agli uomini della NWC e McGillawry ne pretese la rimozione. Garry riuscì a trovare una soluzione diplomatica: Williams lasciò il posto di governatore del dipartimento settentrionale a George Simpson e fu trasferito al dipartimento meridionale; mantenne tuttavia il titolo di governatore senior. Garry scoprì con sollievo che la soluzione non spiaceva a Williams, che, destinato a una sede meno redditizia ma anche meno periferica, avrebbe potuto finalmente far venire la famiglia dall'Inghilterra. Risolte con successo tutte le questioni, Garry poté così lasciare York Factory e imbarcarsi a metà settembre per l'Inghilterra. In apprezzamento del suo operato, la Compagnia lo promosse vice governatore. In Canada lasciò il ricordo di un uomo umano, pieno di tatto e sopra le parti. In suo onore il nuovo forte costruito dalla HBC nel 1822 sul Red River fu battezzato Fort Garry. ![]() Garrya, la "maggiore curiosità della collezione" Non sappiamo molto del ruolo di Garry negli uffici della Compagnia a Londra nei dodici anni in cui fu vicegovernatore (1822-1835). E' probabile che tra l'altro si occupasse del Museo della Compagnia, dove erano custoditi oggetti di varia natura provenienti dal Canada e dagli Stati Uniti nord-orientali. O almeno, è in questa veste che lo conobbe l'esploratore e cacciatore di piante David Douglas. Tra il 1824 e il 1827 per incarico della Royal Horticultural Society egli aveva visitato il nord America nord-occidentale ed era stato grandemente aiutato dalla HBC: non solo aveva viaggiato sia all'andata sia al ritorno a bordo di navi della compagnia, ma muovendosi lungo la pista che collegava Fort Vancouver a York Factory aveva utilizzato come campo base le sue stazioni commerciali, aveva viaggiato con i suoi agenti ed era stato da loro aiutato in ogni modo. Al suo ritorno a Londra, visitò il Museo della Compagnia per verificare alcuni esemplari e conobbe Garry, con il quale strinse amicizia. Il vicedirettore lo aiutò ad organizzare il suo secondo viaggio, iniziato, di nuovo a bordo di una nave della HBC, nell'ottobre 1829. Così, quando sulla costa dell'Oregon si imbatté in un notevole arbusto mai descritto in precedenza, decise di battezzarlo Garrya elliptica, in onore del nostro Nicholas Garry, al quale dedicò anche Quercus garryana, una quercia endemica della costa settentrionale del Pacifico. Garry seguiva le avventure dell'amico e ci rimane una sua preoccupatissima lettera a Hooker in cui lo informa sulle voci (purtroppo fondate) circa la morte di Douglas alle Hawaii. Di lui sappiamo solo che nel 1835 diede segni di squilibrio mentale tanto che fu costretto a lasciare il lavoro e morì nel 1856 senza aver mai recuperato il senno. Oggi sarebbe del tutto dimenticato senza l'omaggio di Douglas. Garrya Douglas ex. Lindl., appartenente a una famiglia propria (Garryaceae, che oggi include anche Aucuba japonica) è un piccolo genere di una quindicina di specie di arbusti distribuite lungo la costa pacifica dall'Oregon a Panama, con qualche rappresentante nelle Antille. Sono piante dioiche a fecondazione anemofila caratterizzate da fiori raggruppati in lunghi amenti penduli che iniziano a spuntare alla fine dell'estate e raggiungono la maturazione alla fine dell'inverno, quando il vento disperde il polline dei fiori maschili. La specie più nota, coltivata anche nei nostri giardini, è proprio Garrya elliptica, endemica della costa dell'Oregon e della California settentrionale, dove cresce in formazioni vegetali aride. E' un arbusto molto ramificato che tende ad assumere un'ordinata forma sferica, con foglie coriacee dai margini ondulati, densamente tomentose nella pagina inferiore. Solitamente vengono coltivati esemplari maschili, i cui gattici sono molto più lunghi di quelli femminili; fioriscono tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, ma le brattee persistenti rimangono fino all'estate. G. fremointii e G. flavescens sono simili, ma con margini delle foglie lisci anziché ondulati. G. congdonii, molto comune nella Catena costiera della California, è alquanto simile, ma vive in habitat più montani al di sopra dei 200 metri. Lindley, che pubblicò le piante raccolte da Douglas, giudicò che Garrya fosse meno attraente di altri generi introdotti da questo formidabile cacciatore di piante, ma che fosse "la maggiore curiosità botanica della sua collezione". E' un giudizio forse un po' ingeneroso, se pensiamo alla bella e prolungata fioritura invernale di G. elliptica. Qualche approfondimento nella scheda. |
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Da gennaio è in libreria La ragione delle piante, che costituisce l'ideale continuazione di Orti della meraviglie. L'avventura delle piante continua! CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
May 2023
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