Di origini italiane, ma nato in Francia e naturalizzato belga, Henri Guillaume Galeotti tra il 1835 e il 1840 fu protagonista di una importante spedizione in Messico, in cui unì le sue due competenze: quella di geologo e quella di botanico. Visitando regioni all'epoca in larga parte inesplorate, spesso di difficile accesso, come gli altopiani e le montagne del Messico centrale, fece imponenti raccolte, facendo conoscere alla scienza numerose nuove specie, in particolare orchidee e cactacee, le sue piante preferite. Al suo ritorno in Belgio, aprì un vivaio dedicato proprio a loro, ma non fu molto fortunato. Lo fu invece nella sua gestione dell'Orto botanico di Bruxelles, nota come "era Galeotti". Lo ricordano due generi di orchidee, ovviamente di casa in Messico: Galeottia e Galeottiella. Un grande e instancabile raccoglitore Nato a Parigi da genitori italiani, ma arrivato in Belgio nella prima infanzia, Henri Guillaume Galeotti era un vero figlio d'Europa. Subito dopo l'indipendenza del Belgio, nel 1830, fu uno dei primi allievi dell'Etablissement Géographique, la straordinaria istituzione privata creata dal cartografo Philippe Vandermaelen. Si trattava molto di più di uno stabilimento industriale dove si stampavano carte, atlanti e dizionari geografici; Vandermelen sognava di farne un centro scientifico e didattico dove sarebbero confluite le conoscenze geografiche di tutto il mondo. Lo dotò di una ricchissima biblioteca, di collezioni naturalistiche e etnografiche, di un medagliere e di vari laboratori, compreso un laboratorio di anatomia comparata. In modo più o meno formalizzato, vi si tenevano lezioni gratuite, destinate a ragazzi tra 14 e 18 anni; in tal modo, vi si formò un'intera leva di giovani tecnici e scienziati di modeste origini familiari, che altrimenti non avrebbero avuto accesso agli studi. Grazie alla passione per le piante del fratello Jean-François Vandermaelen, lo stabilimento divenne anche un importante centro di studi botanici, con un erbario, un giardino con piante esotiche, due serre, una scuola di botanica dove due volte alla settimana Michel Scheidweiler insegnava botanica e fisiologia vegetale. Galeotti approfittò fino in fondo di questo ambiente così ricco di stimoli: si appassionò di scienze naturali, divenne un abile disegnatore e si specializzò in geologia; nel 1835, poco più che ventenne, si laureò con una tesi sulla struttura geologica e paleontologica del Brabante, che fu premiata e pubblicata dall'Accademia reale del Belgio. Ma quando venne a sapere del premio, era già in viaggio per il Messico. I fratelli Vandermaelen infatti, per accrescere le collezioni geologiche, naturalistiche e botaniche dell'Etablissement, organizzarono e finanziarono diverse spedizioni di ricerca. Nel 1832, inviarono in Brasile due giovani formatosi alle scuola dello stabilimento: Gédéon Crabbe che. oltre a seguire le lezioni di scienze naturali e disegno, vi prestava servizio come aiuto giardiniere, e Achilles Deyrolle, figlio del tassidermista del Museo di Bruxelles, allievo delle classi di zoologia. I due tra il 1832 e il 1834 esplorarono per sedici mesi la provincia di Rio e ritornarono in patria con notevoli collezioni; c'erano anche piante vive, tra cui un'orchidea che in onore dei loro protettori battezzarono Maelenia paradoxa (oggi sinonimo di Cattleya forbesii). Nel 1837 fu la volta dei fratelli Jean-Baptiste e Honoré Lacourt, inviati in Australia. Ma la più importante spedizione naturalistica sponsorizzata dai fratelli Vandermaelen fu proprio quella di Galeotti in Messico. Imbarcatosi ad Amburgo, egli sbarcò a Veracruz alla fine del 1835, iniziando immediatamente le ricerche geologiche e botaniche. I primi mesi furono dedicati all'esplorazione dello stato di Veracruz, in particolare attorno a Xalapa e alla colonia tedesca di El Mirador. Nei tre anni successivi egli esplorò estesamente gli altopiani interni; nell'estate del 1836 fece raccolte a Real del Monte insieme al tedesco Carl August Ehrenberg. Non gli facevano paura neppure i grandi vulcani: fu il primo botanico a scalare il Cofre del Perote; nel 1837, esplorò le pendici del Popocatepl, raccogliendo esemplari fino al limite delle nevi; nell'agosto 1838 scalò il Pico de Orizaba insieme a Funck, Ghiesbreght e Linden. Dal loro campo base, situato in una caverna a circa 3300 metri d'altezza, raccolse tra 400 e 500 piante di alta quota. L'ultimo anno, si spostò a sud, da Puebla a Oroxaca, dove raccolse le collezioni botaniche più importanti. Lasciò il Messico nel giugno 1840 e ritornò in Belgio via Cuba, dove raccolse ancora qualche pianta. Un vivaio senza fortuna e un orto botanico ben gestito Senza trascurare il lavoro geologico, anch'esso di primaria importanza, Galeotti si rivelò un grande raccoglitore di piante, con all'attivo circa 8000 esemplari di 931 specie diverse. Importanti furono soprattutto le sue collezioni di orchidee e di cactacee. Tra le piante vive che spedì a Bruxelles, la maggioranza appartenevano a quest'ultima famiglia; tra di esse alcune rarità come Ariocactus retusus, raccolto in altura nel deserto di Chihuahua; Astrophytum myriostigma, con l'insolita forma a stella che lo fa assomigliare alla berretta di un vescovo; il variabile e difficile Echinocactus horizontalonius. Anche il suo contributo alla conoscenza delle orchidee messicane è assai rilevante; tra le specie da lui raccolte per la prima volta Barkeria melanocaulon, Bletia adenocarpa, Cyclopogon luteo-albus, C. saccatus, Epidendrum galeottianum, E. longipetalum, E. propinquum, Masdevallia galeottiana, Pleurothallis violacea, Prosthechea chondylobulbon, Schiedeella violacea. Al suo ritorno in Belgio, gli fu offerta una cattedra all'Università di Bruxelles, ma egli rifiutò, preferendo aprire un proprio vivaio presso Lovanio, dove intendeva importare e coltivare piante rare, in particolare le amate cactacee. Contemporaneamente, scrisse diverse memorie di argomento geologico e botanico per l'Accademia delle Scienze; pubblicò alcune specie insieme al suo maestro Scheidweiler, ma per lo più affidò la pubblicazione delle raccolte botaniche ad alcuni importanti specialisti: per le cactacee Charles Antoine Lemaire; per le orchidee Achille Richard (che avvalendosi dei suoi quaderni di campo pubblicò Monographie des orchidées mexicaines (1844); Trunius per le Poaceae; Martens per le felci. Con quest'ultimo nel 1842 pubblicò l'importante Memoire sur les Fougères du Mexique, et considérations sur la géographie botanique de cette contrée e collaborò a lavori sulle Gesneriaceae e le Solanaceae messicane. Intanto aveva preso la cittadinanza belga; intorno al 1850, colpita dalla crisi economica seguita agli eventi del 1848, la sua impresa fallì e fu costretto a cercare altre fonti di reddito. Dal 1852 divenne curatore del Journal d'Horticulture Pratique e nel 1853 accettò l'incarico di direttore dell'Orto botanico di Bruxelles. I cinque anni in cui diresse il giardino sono passati alla storia come "era Galeotti". Egli mise a frutto la sua esperienza di raccoglitore e la sua ampia rete di corrispondenti per incrementare gli scambi con altri orti botanici e acquisire collezioni di essiccata e piante vive; furono anche assunti altri giardinieri e accresciuta la biblioteca. Purtroppo, questa specie di età dell'oro durò poco: da tempo malato, Galeotti morì di tubercolosi a soli 44 anni. L'orto botanico di Bruxelles riuscì ad aggiudicarsi l'erbario, venduto dalla vedova. La splendida Galeottia e la minuscola Galeottiella Oltre a diversi nomi specifici, come Senecio galeottii o Phyllantus galeottianus, il ricordo di Galeotti è affidato a due generi di orchidee, Galeottia e Galeottiella. Galeottia gli fu dedicato nel 1845 da Richard, sulla base di G. grandiflora, una bella specie raccolta dal dedicatario in Messico. Questo piccolo genere di una dozzina di orchidee epifite o terrestri è diffuso nelle foreste umide di bassa quota tra Messico e Sud America settentrionale. Affini a Zygopetalum, di medie dimensioni, portano fiori molto belli, con labello fimbriato, petali e sepali molti allungati con apici acuti, quasi a stella, rigati o macchiettati, il cui aspetto evoca qualche fantastico insetto tropicale. Per attirare i loro impollinatori, emanano un profumo complesso, greve, quasi intossicante. Si fanno notare molto meno le due specie del genere Galeottiella, creato da Schlechter nel 1920 separando da Spiranthes una specie raccolta da Galeotti in Messico. Con questa dedica, il botanico tedesco volle ricordare il grande contributo di Galeotti alla conoscenza delle orchidee messicane, aggiungendo un secondo genere a quello istituito da Richard. Si tratta di minute orchidee terrestri originarie delle praterie di alta quota del Messico e del Guatemala, con spighe di piccoli fiori tubolari caratterizzati dai sepali laterali con gli apici rivolti indietro, e petali e sepalo superiore quasi fusi a cappuccio. Nella stagione arida vanno in riposo, per spuntare e fiorire in quella delle piogge.
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Nella nostra galleria di personaggi legati agli anni ruggenti dell'orchimania, accanto a cacciatori di piante e collezionisti, entra finalmente anche un giardiniere: il tedesco naturalizzato francese Gustave Adolphe Lüddemann. Dopo aver imparato a coltivare le orchidee dirigendo le serre di Pescatore, aprì un proprio vivaio, grazie al quale gli amatori francesi poterono finalmente affrancarsi dal mercato inglese. Per la perfezione delle sue piante e la rarità delle sue proposte si fece ben conoscere anche al di fuori dei confini nazionali; a dimostrazione della sua fama stanno le numerose dediche di nomi specifici tributategli sopratutto da botanici tedeschi, tra cui spicca Reichenbach, cui lo legò una lunga amicizia. A lui e a Linden si deve anche l'omaggio di un piccolo genere di orchidee epifite sudamericane, Lueddemannia. Un vivaio sui boulevard Nel 1864 il vivaio Hugh Low & Co. di Clapton mette in vendita un lotto di orchidee provenienti dalle Filippine, etichettate come Phalaenopsis rosea (oggi sinonimo di P. equestris). Tra gli appassionati che se le aggiudicano anche il giardiniere parigino Gustave Adolphe Lüddemann; e sarà proprio il suo esemplare il primo a fiorire, anticipando di almeno un anno tutti gli altri. Egli fa pervenire i fiori al grande orchidologo Heinrich Gustav Reichenbach che esaminandoli capisce che si tratta di una nuova specie; in onore di colui che definisce "amicissimus" la battezza Phalaenopsis lueddemanniana. Oggi è una delle specie più note del genere, e ha reso familiare il nome del dedicatario agli appassionati di orchidee. Come vedremo meglio tra poco, non è il solo omaggio di Reichenbach a Lüddemann. I due si erano conosciuti quando Lüddemann era il capo giardiniere di Pescatore a Celles Saint Cloud; nato nel 1819 (o nel 1821, secondo altre fonti), era ancora molto giovane quando arrivò a Celles, ma si dimostrò subito un orticultore brillante, con una notevole competenza anche teorica. Nel 1846, ci informa il Bollettino della Société d'Horticulture della Seine et Oise, ottenne una medaglia d'oro per una selezione di 25 piante coltivate nelle serre di Pescatore ed esposte all'esposizione parigina della Società, tra cui spiccavano cinque spettacolari esemplari di Dracaena ferrea (= Cordyline fruticosa), Aechmea fulgens, Begonia fuchsioides, Maranta albo-lineata, Lilium lancifolium. Già all'epoca, però, Pescatore aveva cominciato ad appassionarsi di orchidee, e Lüddemann divenne un grande esperto nella loro coltivazione. Nel 1848, affiancò Linden nella redazione delle note colturali di Pescatoria, la grande opera illustrata sulle orchidee cui collaborò anche Reichenbach. Risale sicuramente a quegli anni l'amicizia tra i due. Nel 1855, alla morte di Pescatore, Lüddemann decise di rendersi indipendente e aprì un proprio vivaio, con sede prima in Boulevard des Gobelins quindi in Boulevard d'Italie. Dall'anno successivo, il suo nome incomincia a comparire regolarmente nei Bollettini della Societé d'Horticulture. Un catalogo del 1865 ci informa che la produzione del vivaio comprendeva sei sezioni: piante diverse di serra fredda e serra calda, bromeliacee, felci e licopodiacee, gesneriacee, orchidee, palme e cicadacee. Lo stabilimento divenne presto ben noto agli appassionati della regione parigina, che potevano finalmente procurarsi eccellenti esemplari di piante esotiche, perfettamente coltivati, senza doverli andare a cercare in Inghilterra. Anche se Lüddemann non coltivava solo orchidee (sembra che nelle sue serre sia fiorita per la prima volta in Europa Aechmea spectabilis), queste rimanevano le sue piante preferite. Produceva sia esemplari da collezione, sia fiori per bouquet, che erano diventati molto di moda in quegli anni. Un gruppo di appassionati tedeschi che visitò lo stabilimento nell'inverno 1862 vide in fioritura diverse specie di Phalaenopsis, tra cui 20 o 30 esemplari di P. schilleriana e P. grandiflora (oggi P. amabilis subsp. amabilis), e poi piante di Cattleya, Aerides, Saccolabium e Vanda. Nel 1882, quando Lüddemann espose per l'ultima volta alla Societé d'Horticulture, vincendo una medaglia d'oro "per un bellissimo lotto di orchidee, bromeliacee, e altre piante da serra calda", nel suo stand era esposte Vanda, Cattleya, Cypripedium, Oncidium, Selenipedium "in perfetta salute e di coltivazione eccellente". Per se stesso, nel corso degli anni Lüddemann aveva costruito una pregevole collezione ricca di varietà rare, tutte etichettate con precisione. Nel 1882, quando si ritirò dall'attività e si trasferì a Bourg-la-Reine, a sud di Parigi, la portò con sé. Con sua grande rammarico, durante il trasporto diverse piante, soprattutto le Phalaenopsis, ebbero a soffrire. Ma soprattutto il vecchio vivaista si rammaricava di essersi dovuto trasferire in una località malsana, con scarso ricambio d'aria, dove doveva moltiplicare gli sforzi per mantenerle in salute. Nei lunghi e dolorosi mesi di malattia che precedettero la morte, nel 1884, il suo pensiero andava sempre alle sue amatissime piante e scongiurava i parenti di non disperdere la collezione, vendendola almeno ad un solo acquirente. La sua volontà fu rispettata. Il duca di Massa poté così aggiudicarsi la collezione per solo 16.800 franchi, una cifra giudicata molto bassa: le piante, vendute singolarmente, avrebbero fruttato almeno il doppio. Tante dediche, e infine Lueddemannia Lüddemann, rinomato per la sapienza di coltivatore ma anche per la profonda cultura botanica, fu in corrispondenza con diversi studiosi del suo tempo. Il legame più lungo e profondo fu con Reichenbach, al quale nell'arco di un'amicizia più che trentennale inviò innumerevoli esemplari. Il botanico tedesco ricambiò con la dedica di alcune orchidee: oltre a Phalaenopsis lueddemanniana, Cattleya lueddemanniana e Warczewiczella lueddemanniana (oggi Cochleanthes lueddemanniana). Altri omaggi arrivarono da Prillieux con Schomburgkia lueddemannii (oggi Laelia lueddemannii), Koch con Pironneava lueddemanniana (oggi Aechmea lueddemanniana), Baker con Cryptanthus bivittatus var. luddemannii, Regel con Odontoglossum lueddemannii (oggi Rhynchostele cordata). Sempre a Reichebanch (insieme a Linden) si deve la dedica di Lueddemannia pescatorei, che riunisce nella stessa denominazione i nomi di Lüddemann e del suo principale, Jean-Pierre Pescatore. Al genere Lueddemannia, originario delle foreste pluviali del Sud America settentrionale (Colombia, Venezuela, Ecuador, Perù) sono oggi assegnate tre specie di orchidee epifite con grandi infiorescenze pendule di piccoli fiori profumatissimi giallo-aranciato: L. dalessandroi, L. striata e L. pescatorei. Quella di quest'ultima specie, la sola ad essere solitamente presente in coltivazione, sono impressionanti per le dimensioni (possono arrivare anche a 1 metro) e il colore sgargiante. A metà Ottocento, la più grande collezione d'orchidee d'Europa non si trova né in Inghilterra né in Belgio, ma nelle serre di un castello dell'Ile de France. A crearla un plurimilionario, che ha costruito una fortuna con il commercio del tabacco, per poi trasformarsi in banchiere e affarista abilissimo nel diversificare gli investimenti. Si chiama Jean-Pierre Pescatore, vive a Parigi ma è originario del Lussemburgo; è un nuovo ricco che aspira al riconoscimento sociale, e coltiva costosi hobby, dalla produzione di vini, all'allevamento di cavalli, alle collezioni d'arte. E ovviamente di orchidee. Come la spettacolare Pescatoria. Un affarista di successo Con la monarchia borghese di Luigi Filippo (durata dal 1830 al 1848), la passione per le orchidee arriva anche in Francia. Rare, costose, prestigiose, sono il perfetto status symbol per i nuovi ricchi della borghesia bancaria e mercantile, il ceto che più si giova dell'avvento della "monarchia di luglio". Secondo le cronache del tempo, la prima grande collezionista è Mme Quesnel (1784-1847), nata Julie Lemesle, moglie di un armatore, industriale e commerciante di Rouen, Eduard Prosper Quesnel, a sua volta appassionato di piante esotiche. Nel 1847 Jardins de France (la rivista della Societé royale d'Horticulture de Paris) scrive: "In Francia non esiste una collezione di orchidee più numerosa, e nello stesso Belgio ce ne sono poche che la superino. Il numero di specie e varietà ammonta a ottocento, tutte perfettamente nominate. Il giardiniere [M. Herment] ama molto questa famiglia, e la signora Quesnel spende assai per mantenere questa bella collezione che ama con passione; inoltre, mano a mano che fioriscono, dipinge lei stessa tutte le specie". Ma, ci avverte M. Neumann, l'autore dell'articolo, il primato di Mme Quesnel è insidiato da un altro appassionato: "Vedo con piacere un altro concorrente, M. Pescator [sic], membro della nostra Società, che non tarderà a poter essere citato nelle prime file; l'anno scorso ha già fatto incetta di enormi ciuffi di orchidee che è andato a comperare di persona in Inghilterra. Sta facendo costruire un'altra serra, perché quelle che già possiede non bastano. M. Pescator in orticultura fa le cose in grande; ha fatto venire il giardiniere inglese che coltivava queste piante in Inghilterra, affinché non abbiano a soffrire". M. Neumann si rivela facile profeta: qualche mese dopo Mme Quesnel muore e il vedovo, ricchissimo ma mani buche, vende la collezione; l'acquirente, come già sospettate, è M. Pescator, o meglio Jean-Pierre Pescatore, ricchissimo banchiere e faccendiere di origini lussemburghesi trapiantato a Parigi. E d'un colpo la sua collezione diventa la più importante del continente. All'inizio della sua storia, Pescatore è un Fabrizio del Dongo nato in tempo per prendere parte all'epopea napoleonica. Nato in Lussemburgo, a 16 anni (siamo nel 1809) si arruola nel quarto reggimento ussari, e partecipa alla guerra in Spagna agli ordini del generale Suchet. Cinque anni di guerra sono sufficienti per spegnere i suoi sogni di gloria; nel 1814 diserta e ritorna in Lussemburgo, a lavorare nella ditta di famiglia. I Pescatore, di origini ticinesi, da tre generazioni si sono trasferiti nel granducato dove vendono tabacco. Ma l'intraprendente Jean-Pierre non si accontenta del commercio di piccolo cabotaggio: nel 1817 si aggiudica un contratto con la Regia francese dei tabacchi per la fornitura di tabacco da Cuba. Sarà l'inizio della sua fortuna. La ditta prospera e differenzia le attività, sulla scia della rivoluzione industriale che sta raggiungendo anche il piccolo granducato. Nel 1830 Guillaume Pescatore, fratello minore di Jean-Pierre, insieme al cugino Theodore fonda una fabbrica di ceramiche; qualche anno dopo, creerà la prima acciaieria del paese. Tuttavia, la cessione al Belgio dei territori francofoni del ducato e l'attuazione dell'unione doganale tedesca (Zollverein, 1834) danneggiano il commercio lussemburghese del tabacco, restringendo il mercato interno e esponendo le manifatture del piccolo paese alla concorrenza estera. Pescatore decide di concentrarsi sul mercato francese: nel 1834 si trasferisce a Parigi e nel 1836 prende la cittadinanza francese. Sa abilmente inserirsi nei circoli degli affaristi e nel 1844 fonda una banca, la J.P. Pescatore et Cie. Lo troviamo anche nella cordata di affaristi che nel 1852 si aggiudica la gestione delle saline di Cagliari. Differenziando gli affari e muovendosi con spregiudicatezza, grande specialista del rischio calcolato, accumula rapidamente un patrimonio milionario. Come tutti i nuovi ricchi, desidera ottenere una considerazione sociale pari alla sua crescente ricchezza. Il prestigio gli arriverà da una serie di costose passioni. Nel 1847 acquista uno dei più importanti vigneti del Medoc, château Giscours, che ristruttura totalmente arrivando a produrre uno dei migliori vini del paese. Frequenta artisti promettenti e case d'aste, mettendo insieme una prestigiosa collezione d'arte. Per ospitarla, nel 1844 acquista il castello di Celles Saint Cloud; affida la ristrutturazione del parco a due architetti paesaggisti al tempo celebri, i fratelli Denis e Eugène Buhler, che costruiscono per lui un viale che esiste ancora oggi, l'Allée des arbres étrangers. Vi fa costruire anche un maneggio e un allevamento di cavalli da corsa di altissimo livello. Una straordinaria collezione di orchidee E' stato probabilmente a questo punto che nel destino di Pescatore sono entrate le orchidee. A fare da Galeotto fu senza dubbio Jean Linden; appena tornato dal suo ultimo viaggio in Sud America, deciso a trovare i capitali per creare un proprio vivaio, venne anche a Parigi, ed è ovvio che tra i possibili investitori e sponsor si rivolgesse al conterraneo Pescatore. Per l'irruente banchiere fu un colpo di fulmine. Come avrete già capito, non era uomo da mezze misure, e si gettò nella nuova passione con tutto se stesso. Seguendo le indicazioni di Linden, che divenne il suo consulente, nel parco di Celles fece costruire una orangerie e tre diverse serre con temperature differenziate; come abbiamo già visto, nel 1846 andò in Inghilterra a fare incetta di orchidee rare, possibilmente già adulte e pronte alla fioritura, ingaggiando anche il suo primo giardiniere; nel 1848 seguì l'acquisto della collezione Quesnel, insieme alla quale arrivò a Celles anche Gustave Isidor Chouquet, che era stato aiutante di M. Herment, il capo giardiniere di Mme Qusnel. Presto sarebbe diventato il braccio destro di un altro grande giardiniere, il tedesco Gustave Adolphe Lüddemann. Considerando che Pescatore morì all'improvviso, e ancora relativamente giovane, nel 1855, la sua orchidomania durò meno di dieci anni, ma ebbe esiti impressionanti. In un'epoca in cui una grande collezione, come quella del viticultore Perrier, comprendeva 330 piante suddivise in 85 specie, la collezione di Pescatore arrivò a 2000 esemplari di 750 specie, comprese novità e rarità come la prima Phalaenopsis fiorita in Francia, una P. aphrodite che faceva parte di un lotto inviato da Fortune dalle Filippine. Nel 1849, per la prima volta in Europa, nelle sue serre fioriva Lueddemannia pescatorei, così battezzata da Reichenbach unendo i nomi del proprietario e del suo talentoso giardiniere. Forse consapevole che non c'è nulla di più effimero di una collezione di piante, Pescatore volle eternarla in una spettacolare pubblicazione, Pescatorea, un'iconografia delle orchidee tropicali curata da Linden; i disegni originali furono affidati al francese Edouard Maubert e al belga F. de Tollenaere, le descrizioni botaniche a Reichenbach e Planchon, le indicazioni di coltivazione a Linden e Lüddemann. La morte improvvisa di Pescatore mise fine alla pubblicazione, di cui uscì solo il primo volume con 48 tavole e altrettante spettacolari orchidee. Pescatore lasciava un immenso patrimonio, valutato 10 milioni di franchi. Già nel 1853 aveva predisposto un lascito di 1 milione di franchi alla città di Lussemburgo, destinato alla creazione di una residenza per anziani (è l'attuale Fondation Jean-Pierre Pescatore); aveva inoltre destinato alla città natale la sua collezione d'arte, oggi è esposta nel museo Villa Vauban. In mancanza di eredi diretti, l'eredità fu disputata in una cause célèbre tra la nipote Lily Dutreux-Pescatore e la seconda moglie, Anne Catherine Weber, che il banchiere aveva sposato in Spagna con cerimonia solo religiosa dopo molti anni di convivenza. Mme Pescatore ottenne l'usufrutto di Celles Saint Cloud, dove continuò ad abitare, e mantenne in vita la collezione, anche se Lüddemann se ne era andato per fondare un proprio vivaio. Passata ai Dutreux, sopravvisse fino al 1870, quando, durante la guerra franco-prussiana, l'orangerie e le serre furono bombardate e nell'inverno quasi tutte le piante morirono. Pescatoria, orchidee che danno spettacolo Per la sua passione e il generoso mecenatismo, Pescatore, oltre a Lueddemannia pescatorei, si è aggiudicato anche il genere Pescatoria, dedicatogli da Reichenbach nel 1852 con questa incredibile sviolinata "dedicato al rinomatissimo e illustrissimo Pescatore, celeberrimo cultore di orchidee". Nativo di Panama, Costa Rica e Sud America settentrionale, con centro di diversità in Colombia, questo genere comprende una ventina di specie, robuste epifite originarie delle foreste umide del bacino del Rio delle Amazzoni, dove vivono sui rami orizzontali coperti di muschi a poca distanza dal terreno, in ambiente saturo di umidità. Molte sono piante di montagna, abituate a notti fredde e nebbiose. Con fiori singoli, enormi e spettacolari, sembrano fatte su misura per il loro ambizioso - e un po' megalomane - dedicatario. Hanno grandi fiori singoli, cerosi, spesso profumatissimi, in colori brillanti e vistosi, compreso l'azzurro di P. coerulea o il viola profondo di P. coronaria; in alcune specie i fiori sono bianchi ma con tocchi di altri colori, come la stupenda P. lehmannii, bianca venata di viola, dedicata a Friedrich Carl Lehmann, console tedesco in Colombia e appassionato raccoglitore di orchidee. Un sottile filo rosso lega la passione ottocentesca per le orchidee e la rivoluzione industriale: i progressi nella navigazione marittima accorciano le distanze, rendendo più accessibili i paesi esotici; le spedizioni dei cacciatori di piante si moltiplicano, finanziate non più solo dagli Stati e dalle istituzioni scientifiche, ma da cordate di affaristi e da grandi aziende vivaistiche, in spietata concorrenza; il collezionismo di piante esotiche diviene uno status symbol che investe nuove figure come banchieri, magnati del commercio e dell'industria, desiderosi di affermazione sociale. Ma soprattutto, l'incremento della produzione di acciaio e ghisa rende possibile la costruzione delle grandi serre ventilate indispensabili per coltivare le orchidee con successo. E non a caso, dopo le rivoluzioni del 1830-31, la mania per le orchidee, nata in Inghilterra intorno al 1818, attraversa la Manica e dilaga prima in Belgio, poi in Francia. Facciamo dunque anche noi tappa in Belgio per incontrare l'uomo che per primo, studiando le orchidee tropicali in natura, ne comprese le esigenze e gettò le basi per la loro coltivazione industriale: Jean Linden. Insieme a lui conosceremo i suoi collaboratori Nicolas Funck e Louis Joseph Schlim, che, a differenza del loro principale, sono onorati da due generi validi; di Orchidacee, ovviamente! Linden, da cacciatore di piante a creatore di un impero commerciale Ottenuta l'indipendenza dai Paesi Bassi nel 1831, il neonato regno del Belgio affrontò una difficile congiuntura economica: nell'immediato, la perdita del mercato olandese si tradusse in una catastrofe per l'industria tessile e per il traffico marittimo con le colonie. Tra i settori più colpiti, anche quello florvivaistico, che, oltre ad essere danneggiato dal generale clima di crisi, venne escluso dal flusso di piante esotiche provenienti dalle colonie olandesi. Tuttavia, l'ambiente orticolo belga era vivacissimo e pronto a reagire trasformando le difficoltà in opportunità, sostenuto da una legislazione ultra-liberale che favoriva in ogni modo lo spirito imprenditoriale. A ridosso dell'indipendenza, nel 1828, un gruppo di borghesi appassionati di orticoltura aveva fondato la Société royale d'horticulture des Pays-Bas (dal 1837 Société royale d'horticulture de Belgique), una società per azioni privata con l'obiettivo di creare un orto botanico a Bruxelles, inaugurato nel settembre 1829 insieme alla prima esposizione orticola. Fu proprio la Societé royale a chiedere al governo ad aggregare una missione scientifica alla legazione commerciale inviata in Brasile nel 1835. Due gli scopi principali; da una parte, aprire possibili mercati, dall'altra cercare nuove fonti di approvvigionamento di piante esotiche, ora che erano venuti meno quelle garantiti dai Paesi Bassi. Nacque così la prima spedizione scientifica ufficiale della storia del Belgio, cofinanziata dallo stato e dalla Societé royale. Per la missione vennero scelti tre giovanissimi: il diciottenne di origini lussemburghesi Jean Jules Linden (1817-1898) come botanico, il conterraneo Nicolas Funck (1816-1896) come disegnatore e Auguste Ghiesbreght (1810-1893) come zoologo. A Rio de Janiero, i tre furono accolti dal console del Belgio Adolphe Tieberghien e dal pittore Benjamin Mary, che li accompagnarono nell'esplorazione degli stati di Rio, Spirito Santo e Minas Gerais; poi i tre giovani naturalisti proseguirono da soli a cavallo, estendendo le ricerche agli stati di São Paulo e Santa Catarina. I risultati furono eccezionali: casse e casse di materiali naturalistici che furono divisi tra le università di Gand e di Liegi, e ben cinquemila piante vive. Tra di esse, diverse specie di quelle che erano ormai diventate la passione, e l'ossessione, di Linden: le orchidee. Al loro rientro in Belgio, Linden e i suoi compagni furono accolti trionfalmente e ricevuti dal re in persona. La loro missione del resto non era che la punta di diamante di una sorprendente sequela di spedizioni botaniche in America latina made in Belgium: Achilles Deyrolle e Gidéon Crabbe in Brasile tra 1832 e 1834, Henri Galeotti in Messico tra 1835 e 1840, Louis van Houtte in Brasile tra 1834 e 1836. Ma torniamo a Linden e compagni, che appena assaporato il successo erano di nuovo in partenza per una seconda missione ufficiale: via l'Avana, furono inviati in Messico, con il duplice incarico di raccogliere esemplari scientifici per le istituzioni nazionali e informazioni sulle potenzialità economiche del mercato messicano. In Messico i tre incontrarono Galeotti, con il quale nell'agosto 1838 scalarono il maggiore vulcano del paese, il Pico de Orizaba. Le loro ricerche proseguirono poi soprattutto in Tabasco e Chapas. Benché funestata dalla scarsità di fondi, da una grave malattia di Linden, dalla situazione di guerra e dalla perdita di molte piante durante il viaggio in mare, la spedizione in Messico permise al botanico lussemburghese di studiare in natura le condizioni di crescita delle orchidee, comprendendo per primo che molte sono piante di montagna, provenienti da ambienti con grandi escursioni termiche e enormi variazioni stagionali della piovosità. Nel settembre 1840 Linden e Funck tornarono in Europa, mentre Ghiesbreght, che si era ormai trasformato in un raccoglitore professionista, rimase in Messico, dove continuò le sue ricerche da solo. Infine si stabilì a San Cristobal, in Chapas, dove creò un bell'orto botanico e continuò a raccogliere insetti, molluschi, orchidee, cactacee, agavi e bromeliacee. Ha lasciato il suo nome a diverse specie messicane, tra cui Agave ghiesbreghtii, I risultati scientifici della seconda spedizione Linden furono importanti, ma le prospettive economiche delusero il governo belga, che esitava a finanziare una terza spedizione; si decise a contribuire solo dopo che Linden a Parigi ebbe trovato altri finanziatori, in particolare una cordata di vivaisti statunitensi, che lo assunse come cacciatore di piante. Poté così ripartire alla volta di Venezuela e Colombia, accompagnato sempre da Funck e dal fratellastro Joseph Schlim; durante questa spedizione scoprì diverse nuove specie di orchidee, tra cui Anguloa x ruckeri. A. clowesii e Uropedium lindenii (oggi Phragmipedium lindenii). La missione si prolungò fino al 1844, quando gli esploratori tornarono in patria via Giamaica, Cuba, Messico e Stati Uniti. Al suo ritorno in Europa, Linden comunicò le sue scoperte a Lindley, che le pubblicò in Orchidaceae lindenianae. Ma il botanico lussemburghese aveva ormai deciso di abbandonare la vita di cacciatore di piante per trasformarsi in vivaista, anzi in "industriale delle orchidee". Nel 1846, grazie al finanziamento di una cordata di banchieri e industriali, in società con Funck fondò a Limperstsberg, un sobborgo di Lussemburgo, l'Etablissement d'Introduction des Plantes, il suo primo vivaio, specializzato nell'importazione e nella coltivazione di piante esotiche, prime fra tutte le orchidee. La sua idea vincente fu coltivarle in tre tipi diversi di serre (calda, temperata, fredda), rispettando le diverse esigenze di ciascuna specie. Nel 1853 l'azienda fu trasferita a Bruxelles e nell'arco di pochi anni diventò un vero e proprio impero commerciale, con filiali a Gand (1869), Parigi (1879), Costa azzurra (1888), secondo solo a quello di Sander per giro d'affari. Mentre Linden si muoveva tra Belgio e Francia per incrementare il suo successo commerciale, a viaggiare e a cercare nuove orchidee da immettere nel mercato erano ora i cacciatori di piante al suo servizio: tra il 1841 e il 1865, a inviargli piante sono almeno nove raccoglitori: Funck (Colombia e Venezuela), Ghiesbreght (Messico), Schlim (Colombia, Venezuela, Centro America), Libon (Brasile), Warscewicz (America centrale), Porte (Brasile, Filippine), Wagener (Venezuela, Colombia), Triana (Colombia), Braam (Colombia). Sapienza di conoscitore delle orchidee e spirito imprenditoriale si uniscono anche nelle due maggiori iniziative editoriali di Linden, allo stesso tempo monografie scientifiche, opere d'arte e vetrine commerciali, pensate per presentare al mondo le "sue" orchidee: Pescatorea (1854), finanziata da Jean-Pierre Pescatore e interrotta dalla sua morte precoce; e soprattutto la rivista Lindenia. Iconographies des orchidées, pubblicata in due serie, la prima in dieci volumi tra 1885 e 1894, la seconda, curata dal figlio Lucien, in sette volumi tra 1885 e 1901. Sono opere raffinatissime in grande formato, che presentano la descrizione di più di 800 tra specie e ibridi di orchidee, accompagnate da illustrazioni di grande pregio artistico. Linden (che nella sua vita ricevette onori di ogni tipo, dal titolo di commendatore dell'ordine di Leopoldo a quello di console onorario del Lussemburgo e console di Colombia a Bruxelles), per non parlare delle dozzine di medaglie collezionate dalle sue piante nelle esposizioni internazionali, fu invece relativamente sfortunato nella tassonomia botanica. Certo, sono decine le specie esotiche introdotte dai suoi stabilimenti che lo ricordano nel nome specifico, da Caladium lindenii a Dianthera lindeniana; tra le orchidee, citiamo almeno Phalaeonopsis lindenii, Dendrophylax lindenii e Broughtonia lindenii. Tuttavia oggi non è valido nessuno dei ben quattro generi che gli furono dedicati: Lindenia M. Martens & Galotti (sinonimo di Cyphomeris Standl.), Lindenia Benth. (sinonimo di Augusta Pohl), Neolindenia Baill. (sinonimo di Louteridium S. Watson). Lindeniopiper Trel. (sinonimo di Piper L.). Dunque, il nostro Linden è a tutti gli effetti un botanico senza Nobel. Se volete sapere qualcosa di più su questo eccezionale personaggio, non vi resta che navigare in questo sito. Orchidee e parenti intellettuali: Funck e Funkiella Tuttavia, a tenere alto l'onore della famiglia (e a permettermi di forzare le regole del blog facendone il protagonista di questo post) ci sono le dediche di due generi validi a suoi principali collaboratori, e parenti: il compagno d'avventure, socio e cognato Nicolas Funck e il fratellastro Louis Joseph Schlim. Proviamo a conoscerli meglio. Di un anno più anziano di Linden, anche Funck era lussemburghese e si era spostato a Bruxelles, dove studiava architettura. Fu in qualità di disegnatore che accompagnò Linden nelle tre spedizioni in Centro e Sud America. Tra i due, conterranei e quasi coetanei, nacque una grande amicizia, che si strinse ancora di più quando divennero cognati. Tra 1845 e 1846, egli partecipò a una seconda spedizione in Colombia e Venezuela assieme a Schlim. Per prepararsi al viaggio, andò a Parigi per conoscere Humboldt, con cui da allora rimase in contatto. Le sue raccolte in Sud America sono importanti, ma andarono in buona parte perdute in un naufragio. Al suo ritorno in Europa, Funck intraprese la carriera accademica e fu attivo in molte società scientifiche: dal 1848 fu professore di scienze naturali e geografia all'Università di Lussemburgo; nel 1850 fu tra i fondatori della Société des sciences naturelles del Granducato del Lussemburgo, del cui gabinetto di botanica e zoologia fu nominato conservatore. Nel 1857 tornò in Belgio come direttore aggiunto de Jardin royal zoologique et botaniques di Bruxelles, di cui nel 1861 divenne direttore. Dal 1870 al 1886, diresse lo zoo di Colonia. Dopo il pensionamento, trascorse gli ultimi anni nella città natale. Fu prolifico autore di articoli scientifici soprattutto di botanica, pubblicati in diverse riviste belghe e lussemburghesi, e dal 1858 al 1862, curatore del mensile Journal d'horticulture pratique de la Belgique. Durante il periodo tedesco, pubblicò numerosi articoli divulgativi di zoologia. Comparvero invece postume le sue interessanti memorie di viaggio. Dotato di buone capacità di divulgatore e servito da una prosa limpida, si segnala anche per lo spirito di osservazione e l'apertura mentale. Molti anni dopo la sua morte, nel 1920, F.R.R. Schlechter volle ricordare il suo contributo alla botanica dedicandogli un'orchidea da lui raccolta durante il viaggio messicano, Funkiella hyemalis (precedentemente Spyrantes hyemalis A. Rich. & Galeotti). Oggi al genere Funkiella sono attribuite sette specie, distribuite tra Messico e America centrale. Sono orchidee terrestri, erbacee, di medie dimensioni, con infiorescenze di pochi fiori, in genere bianchi, talvolta con labello rosso. La specie più nota è proprio F. hyemalis, un'orchidea terrestre di alta quota, che si spinge fino 4000 metri sul livello del mare. Orchidee e parenti poveri: Schlim e Schlimia In confronto a Funck (per non parlare di Linden) ben poche notizie sono reperibili su Louis Joseph Schlim; nato dal secondo matrimonio della madre di Linden, aveva appena due anni meno del fratellastro. Non sappiamo molto della sua formazione né della sua vita prima del 1841; forse era orologiaio. Tra il 1841 e il 1844, come abbiamo già visto, partecipò alla spedizione di Linden in Venezuela e in Colombia, ricevendo dal fratellastro una retribuzione per la sua attività di raccoglitore. Nel 1845 tornò in Venezuela con Funck. Come riconoscimento del suo contributo alla conoscenza del territorio nazionale, il governo del paese latino americano aveva nel frattempo donato a Linden la tenuta El Tocuyo, che divenne le base di Funck e Schlim, incaricati di procurarsi nuove specie per l'Etablissement d'Introduction des Plantes. Dopo il rientro di Funck, non conosciamo con precisione i movimenti di Schlim. Dalle etichette degli esemplari d'erbario, si deduce che rimase in America almeno fino al 1852, visitando America centrale, Venezuela e Colombia. Nel 1851 visitò il municipio di Ocaña con Jeronimo Triana. Non sappiamo praticamente nulla della sua vita negli anni successivi, tranne che assunse la cittadinanza belga, per poi trasferirsi a Parigi dove forse esercitò la professione di orologiaio e morì in ancora giovane età. Nel 1852 Jules Emile Planchon, che stava scrivendo una monografia sulla flora colombiana basata sulle scoperte di Linden e dei suoi raccoglitori, in collaborazione con lo stesso Linden gli dedicò Schlimia, un piccolo genere di orchidee, nativo della Costa Rica e del Sud America settentrionale. Oggi gli sono assegnate sei specie. Sono epifite, occasionalmente terrestri, delle foreste umide fredde andine, con centro di diversità in Ecuador. Vive invece tra Costa Rica e Colombia la specie tipo, S. jasminodora. Sono piante compatte, con graziosi fiori bianchi di consistenza cerosa, raccolti in infiorescenze pendule; i sepali laterali formano una specie di elmetto, da cui protrudono i petali, il sepalo dorsale e la colonna aranciata. Molto rare in natura, sono talvolta coltivate dagli appassionati di orchidee miniatura. Quando l'autore di un nome botanico celebrativo non indica in modo esplicito chi intendesse onorare, può essere difficile ricostruire le sue intenzioni. E' il caso delle bellissime orchidee Laelia, che si riferiscono sicuramente all'antica gens romana omonima, senza che riusciamo tuttavia a sapere con certezza a quale dei suoi membri. L'ipotesi più gettonata identifica la dedicataria in una vestale vissuta all'epoca di Nerone, di cui non conosciamo nulla oltre la data di morte. E' d'altra parte più che probabile che la scelta sia stata dettata soprattutto dal suono: Laelia è un nome armonico, eufonico, evocativo, come piacevano al suo creatore, il padre dell'orchidologia John Lindley. Un'evanescente figura femminile Nella sua lunga e instancabile carriera di studioso di orchidee, John Lindley diede il nome a oltre 120 generi validi di questa famiglia, e a molte centinaia di specie. Ricavò la maggior parte dei nomi generici da caratteristiche morfologiche distintive, ma agli altisonanti (e spesso cacofonici) composti greci prediletti dai suoi colleghi (come Odonthoglossum, creato da Kunth, oppure Phalaenopsis, creato da Blume) preferiva nomi brevi, se possibile dal suono armonioso, simili a epiteti femminili: Eria, "la villosa", Stenia, "la stretta", Coelia "la cava", Sophronitis "la casta". Gli piacevano i nomi di dee e ninfe, come Lycaste o Herycina, o di figure a metà tra storia e leggenda, come Aspasia o Ada. Di questo gruppo fa parte anche l'amatissimo genere Laelia. Sicuramente il botanico inglese aveva in mente un membro della gens romana omonima, ma quale? Impossibile saperlo con certezza, dal momento che egli non ha esplicitato il motivo della sua scelta. In realtà, la denominazione era già stata usata in precedenza da Adanson, che aveva dedicato un genere Laelia (Brassicaceae) al più noto esponente della famiglia, Gaio Lelio Sapiente (188-125 a.C.), celebre soprattutto per la sua amicizia con Scipione Emiliano, nonché protagonista del dialogo ciceroniano De amicitia. Ma proprio per la diffusione della denominazione di Lindley, quella di Adanson, benché precedente, è stata abbandonata. Sebbene questa ipotesi sia accettata da qualche studioso, è improbabile che Lindley avesse anch'egli in mente questo illustre personaggio: per le sue denominazioni "storiche" egli preferiva evocare donne sospese tra mito e storia, come appunto Aspasia e Ada. La dedicataria sarà dunque più probabilmente una donna della gens Laelia. Ne conosciamo essenzialmente tre, vissute rispettivamente tra il II e il I sec. a.C. e nel primo secolo d.C. Le prime due erano le due figlie del Sapiente, Laelia Major, moglie di Quinto Mucio Scevola, e Laelia Minor, moglie di Gaio Fannio Strabone; la maggiore fu elogiata da Cicerone per l'abilità retorica e la purezza del linguaggio, che trasmise alle figlie, una delle quali sposò Lucio Licinio Crasso, il più celebre oratore del suo tempo. Della terza, conosciamo quanto ne dice Tacito in una riga degli annali: "[Nel 64] morì la vergine vestale Laelia, e fu sostituita da Cornelia, della famiglia dei Cossi". Insomma, nacque, visse, morì. E' possibile che fosse figlia di D. Lelio Balbo che fu console nel 46 sotto Claudio. Ed è proprio questa Lelia vestale la più gettonata dedicataria dell'orchidea Laelia, benché a prima vista possa stupire che in mezzo a varie dediche a Afrodite (evocata come Doritis, Erycina e Paphinia) Lindley abbia associato a un'orchidea una casta sacerdotessa di Vesta. Tuttavia in Messico la simbologia legata alle Laelia non ha nulla di erotico: con i nomi di "flor de las almas", "lirio de todos los santos", "flor de muertos", o addirittura "calaverita", sono associate ai defunti, sia per il periodo di fioritura (è il caso di L. autumnalis), sia perché dai loro pseudobulbi è tradizionalmente ricavato un collante utilizzato nella confezione degli alfeniques, le figurine di zucchero della festa dei morti. Inoltre, c'è un parallelo con il genere Promeneia, dedicato da Lindley a un'altra sacerdotessa, la più anziana delle tre che servivano l'oracolo di Dodona. Proviamo dunque a immaginare la nostra vestale massima Lelia (tale sarà stata, se Tacito ne registrò la morte) nella Roma dei tempi di Nerone, magari sulla scorta del romanziere tardo vittoriano Frederick W. Farrar che in Darkness and Dawn (1891) la descrive come "una dama bella e signorile" e la mette in scena nell'atto di salvare dalla morte un condannato, su richiesta del giovane Tito, il futuro imperatore. Le vestali, infatti, l'unico collegio di sacerdotesse dell'antica Roma, godevano di grandi privilegi, tra cui il diritto di chiedere la grazia per un condannato a morte; vivevano a spese dello Stato, potevano testimoniare senza giuramento ed erano le uniche donne romane a poter fare testamento; i magistrati cedevano loro il passo e facevano abbassare i fasci littori in loro presenza. La loro persona era inviolabile e così sacra e pura che avevano il diritto di essere sepolte nel pomerio, mentre nessun altro poteva essere né sepolto né cremato in città. Vivevano nella casa delle vestali, che insieme al tempio della dea costituiva l'Atrium Vestae. Scelte tra fanciulle di ottima famiglia perfette nel corpo, con i genitori entrambi viventi, tra i sei e i dieci anni lasciavano la famiglia e entravano a far parte del collegio come novizie. Dopo dieci anni di noviziato, diventavano effettive e si occupavano dei doveri del culto, ovvero di mantenere acceso il fuoco sacro e di preparare la mola salsa, una focaccia sacra usata nei riti religiosi e nei sacrifici; dopo dieci anni di servizio, diventavano maestre e istruivano le novizie per un altro decennio. Infine, erano libere di tornare nella propria famiglia e di sposarsi. Nei trent'anni di servizio, potevano uscire liberamente, ma dovevano mantenersi in assoluta castità, pena la morte, L'Atrium Vestae si trova a ridosso del Foro. Anticamente, era attiguo a un bosco sacro, Lucus Vestae, che si estendeva fino alle pendici del Palatino, ma fu progressivamente ridotto per fare spazio agli edifici. Al centro della casa c'era però un grande cortile, simile a un peristilio, con tre bacini e presumibilmente aiuole fiorite, magari una pergola e piante in vaso. Forse esisteva anche un giardino sul retro dell'edificio. Tuttavia proprio nell'anno della morte della nostra Lelia, il complesso andò distrutto nell'incendio di Roma e le vestigia che possiamo vedere oggi risalgono a periodi successivi. Dopo un lungo restauro, sono state riaperte al pubblico nel 2010; nelle vasche è tornata a scorrere l'acqua e intorno sono state piantate aiuole di rose "antiche". Laelia, un'orchidea che non teme l'aridità In definitiva, chiunque fosse la Lelia cui pensava Lindley, il suo intento - perfettamente raggiunto - era dare a queste orchidee un nome evocativo, nobile, dal suono armonioso, perfettamente adatto alla loro bellezza. Egli istituì il genere in The Genera and Species of Orchidaceous Plants (1831), sulla base di due specie messicane: Laelia grandiflora (oggi L. speciosa) e L. autumnalis. Ed è infatti proprio il Messico il centro di diversità di questo bellissimo genere, che oggi conta circa venticinque specie, dopo aver subito una profonda revisione tassonomica. Laelia è molto affine a Cattleya (con la quale infatti forma bellissimi ibridi), da cui venne distinta in base al numero dei pollinii (ne ha otto, anziché quattro). Fino alla fine del secolo scorso, gli era assegnata una cinquantina di specie, divise in due gruppi geograficamente distanti, nonché molto diversi per habitat e caratteristiche ecologiche; da una parte le Laelia del Messico e del Centro America, che vivono in aree aride prevalentemente montane con clima da temperato a freddo; dall'altra quelle brasiliane, diffuse in una varietà di ambienti tropicali o subtropicali dal livello del mare alle montagne. Come hanno dimostrato le ricerche basate sul DNA, si trattava di un raggruppamento artificiale, che è stato risolto dapprima trasferendo in Sophronitis quasi tutte le Laelia brasiliane, passate poi a Cattleya quando Sophronitis è confluito in quest'ultimo. Il risultato è che diverse tra le specie più note hanno cambiato nome, tra le altre Laelia purpurata, il fiore nazionale del Brasile, oggi Cattleya purpurata. Nella nuova circoscrizione più ristretta, le Laelia ci portano in un ambiente che non tendiamo ad associare alle orchidee: le foreste stagionali aride, soprattutto querceti-lecceti, dove per molti mesi all'anno non piove e in inverno le temperature possono scendere anche di vari gradi sotto zero. Per superare i periodi di aridità sono dotate di organi di riserva, gli pseudobulbi, che permettono di superare l'assenza di precipitazioni e il gelo; alcune di esse in inverno vanno in riposo. Inoltre, come adattamento all'aridità, adottano la fotosintesi CAM (metabolismo acido delle crassulacee) che permette di ridurre la traspirazione chiudendo gli stomi durante il giorno e assorbendo di notte l'anidride carbonica che verrà usata il giorno successivo per la fotosintesi. Hanno in genere fiori dai colori molto brillanti che si presume siano impollinati da colibrì. La bellissima Laelia speciosa (che è anche la specie tipo) è un endemismo del Messico centrale; è un'epifita che ama annidarsi sui rami dalla corteccia corrugata di diverse specie di querce delle montagne del centro del paese (Sierra madre occidentale e orientale, settore meridionale dell'altopiano messicano, fascia vulcanica trasversale). Di dimensioni compatte, ma con fiori enormi relativamente alle sue dimensioni, è stata raccolta e associata a riti sacri fin dai tempi degli aztechi. La raccolta indiscriminata dei fiori recisi e soprattutto degli pseudobulbi, usati per la confezione dei dolci dei morti, ne hanno ridotto molto il numero; oggi è protetta. Ne esistono molte varietà che si differenziano per il colore dei fiori, da lilla rosato a magenta. Importante come specie coltivata è anche L. anceps; anch'essa originaria del Messico centrale, di dimensioni molto maggiori della precedente, è tra le più usate nella produzioni di ibridi, soprattutto con generi affini come Cattleya e Brassavola. Come la precedente, L. autumnalis fiorisce dal tardo autunno all'inverno; è la specie abitualmente associata ai morti, con nomi come fiore dei morti, fiore di Ognissanti, fiore dei teschi, fiore delle anime; anch'essa cresce nei querceti e negli arbusteti di alta quota, con temperature notturne molto basse ed estati fredde; oltre alle querce, non disdegna cactacee e yucche. Qualche approfondimento nella scheda. Quando approdarono in Europa a inizio Ottocento, alle orchidee esotiche non mancava nulla per accendere i cuori: erano bellissime, erano rare, si ammantavano di mistero, ed erano pure molto costose, il che alimentava un certo snobismo. Fu così che la fioritura di quella che di lì a poco sarebbe stata battezzata Cattleya labiata segnò l'inizio di una passione collettiva: l'orchidelirium, ovvero il delirio per le orchidee. Nacque persino una nuova professione: quella dei cacciatori di orchidee, inviati a cercarle ai quattro angoli del mondo da ricchi privati o da aziende intraprendenti. Alle aste, le più nuove e le più rare raggiungevano prezzi da capogiro. Per settant'anni la più ambita e ricercata continuò ad essere Cattleya labiata. Fino a fine secolo, molte spedizioni andarono a cercarla a casa sua in Brasile, ma sempre senza esito. Niente di strano che la sua storia sia stata trasformata in leggenda, anzi quasi in una fiaba, con lei, la regina delle orchidee, nelle vesti di Cenerentola e lui, William Cattley, nelle vesti di principe azzurro. Quasi spiace ammettere che la realtà sia molto più prosaica. Un'imbottitura a sorpresa... o forse no Come tutte le leggende, anche la storia dell'arrivo in Europa e della prima fioritura di Cattleya labiata è stata raccontata in diverse versioni. La più comune vuole che il giovane naturalista John William Swainson (1789-1855) nel 1818 abbia spedito in patria dal Brasile un pacco di piante contenente rari licheni (o felci, secondo un'altra versione); per preservarli nel lungo viaggio, come imbottitura usò una liana o pianta parassita che credeva senza valore. Il destinatario dell'invio era il mercante William Cattley, grande appassionato di piante esotiche che coltivava nella sua serra di Barnet, alla periferia londinese. Aprendo il pacco, in mezzo a quell'ammasso di materiale secco, egli individuò quello che riconobbe come uno pseudobulbo di orchidea; doverosamente coltivato, prosperò e giunse a fioritura, producendo bellissimi fiori lilla, i più belli che mai si fossero visti. Arrivata nelle vesti dimesse di Cenerentola, la sconosciuta si era rivelata una splendida principessa, anzi la regina delle orchidee. Nel 1821, il futuro padre dell'orchidologia John Lindley (1799-1865) la descrisse e la pubblicò con il nome di Cattleya labiata in onore del suo "salvatore". Mi spiace deludervi, ma le cose non sono affatto andate così. Insieme a molte altre piante, tra cui un Oncidium barbatum (oggi Gomesa barbata), la nostra pseudo Cenerentola venne inviata da Swainson non a Cattley, ma a William Jackson Hooker, che all'epoca insegnava botanica all'Università di Glasgow. Swainson l'aveva vista in fioritura e sapeva perfettamente di quale meraviglia si trattasse; appena arrivata, fu trattata con tutte le cure del caso e in quello stesso anno, come riferisce Hooker nel terzo volume di Exotic flora (1827), fiorì nella serra del suo giardino di Halesworth nel Suffolk; Hooker affidò uno o più pseudobulbi all'amico Cattley, noto come infallibile pollice verde, che in effetti riuscì a portarla a fioritura nel novembre 1820; riprodotta per divisione, infine nel 1824 fiorì della serra dell'orto botanico di Glasgow. Benché avessero tutti la stessa origine, la pianta di Cattley emanava un delicato profumo, assente nelle altre. In ogni caso, tanto Lindley quanto Hooker ne erano entusiasti: per il primo era "senza eccezione, la più bella specie del suo ordine che io abbia visto dal vivo", per il secondo "la più splendida, forse, di tutte le orchidacee". Dunque, nella nostra fiaba mancata non c'è né Cenerentola, né principe azzurro: Cattley non salvò la misconosciuta pianta, che non fiorì per la prima volta a casa sua; molto più prosaicamente, era il finanziatore di Collectanea botanica (1821-26), la pubblicazione in cui Lindley la descrisse, dedicandogliela con queste parole: "ho avuto grande piacere a pubblicarla, perché mi ha dato l'opportunità di offrire un omaggio a un gentiluomo il cui ardore nel collezionare e il cui inarrivabile successo nel coltivare la difficile tribù di piante cui appartiene lo rendono da tempo la persona più adatta a questo omaggio". Un collezionista di piante esotiche E' dunque ora di sapere qualcosa di più su di lui. Cattley apparteneva a una grande famiglia di commercianti, con interessi soprattutto in Russia, da dove importava granaglie. Negli anni turbolenti delle guerre napoleoniche, i suoi affari avevano prosperato, permettendogli di dedicare tempo e denaro alla sua grande passione: le piante esotiche. Divenne un collezionista piuttosto noto, il cui nome ricorre in pubblicazioni dell'epoca come Curtis's Botanical Magazine o Edward's Botanical Register, relativamente all'introduzione di nuove specie, che a quanto pare riusciva a far prosperare nella serra della sua casa di Barnet, a nord di Londra. Era membro della Linnean Society e della Horticultural Society, che nel novembre 1820 lo premiò con una medaglia d'argento per la sua abilità nel coltivare le piante esotiche, in particolare per essere riuscito a far fruttificare una nuova specie di guaiava che venne denominata in suo onore Psidium cattleyanum. Anche se le orchidee non erano la sua passione esclusiva, dovettero essere una parte importante della sua collezione: in un'epoca in cui le serre inglesi, secondo le parole dello stesso Hooker, erano la tomba delle orchidee e nulla si sapeva della loro riproduzione e molto poco della loro coltivazione, era uno dei pochi che riusciva a coltivarle con successo. A nostri occhi, il suo merito maggior è di essere stato il mecenate di John Lindley, all'epoca ancora giovanissimo. Poco più che adolescente, il promettente botanico aveva conosciuto Hooker che lo aveva raccomandato a Banks, il quale lo aveva assunto come assistente per il suo erbario. Nel 1820, alla morte di Banks, sempre Hooker - che conosceva bene Cattley perché entrambi erano membri delle stesse società scientifiche nonché accaniti collezionisti che si scambiavano esemplari - gli suggerì di assumere Lindley per riordinare e disegnare le sue collezioni. Per circa un anno, Lindley fu stipendiato da Cattley, che finanziò la pubblicazione di Digitalium Monographia, una monografia sul genere Digitalis illustrata da Bauer, e soprattutto Collectanea Botanica. Contrariamente a quanto si legge in molte fonti anche autorevoli, quest'ultima non è un catalogo delle collezioni di Cattley, ma una rassegna di piante rare coltivate tanto da lui quanto da altri; quelle coltivate a Barnet sono solo 8 su 41. Circa un quarto delle piante trattate sono orchidee (tra di loro la nostra Cattleya labiata); fu proprio grazie a Cattley, alla sua collezione e a questo lavoro che Lindley scoprì il fascino di questa famiglia di piante, cui avrebbe dedicato tutta la vita, divenendo il padre dell'orchidologia. Tuttavia dopo poco più di un anno di collaborazione, la ditta di Cattley ebbe un rovescio di fortuna. Il mercante non poté più finanziare Lindley, e la pubblicazione di Collectanea Botanica venne interrotta; Lindely dovette ridimensionare il progetto e pubblicare gli ultimi fascicoli a sue spese con una notevole dilazione, E' per questa ragione che il fascicolo 7, dove si trova la descrizione di C. labiata, anche se è datato 1821, in realtà fu stampato presumibilmente nel 1824. Quanto a Cattley, sebbene con mezzi ridotti, continuò a curare la sua collezione, visto che il suo nome continua a comparire nei periodici dell'epoca, dove è definito "il più ardente collezionista di piante rare dei nostri giorni". Morì a Londra nel 1835. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Alla ricerca dell'orchidea perduta Nel frattempo, la fioritura di C. labiata aveva destato grande sensazione. Non era certo la prima orchidea esotica a fiorire in Europa (come ho raccontato in questo post, la prima era stata Brasavola nodosa nel 1698), ma non si era mai visto un fiore così appariscente, così raffinato, così esotico, con sepali e petali di un delicatissimo lilla e un grande labello sfrangiato porpora, con la gola giallo profondo. E fu subito orchidelirum, come venne chiamata l'ossessione per le orchidee che travolse l'Inghilterra vittoriana. Vennero organizzate costose e difficili spedizioni nei paesi tropicali (soprattutto in Sud America e nel sudest asiatico) per procurarsi sempre nuove specie. Nacquero ditte specializzate e una nuova professione, quella di cacciatore di orchidee. Alle aste che venivano organizzate a Londra al loro ritorno, quelle più rare raggiungevano prezzi da capogiro, come le 80 ghinee (equivalenti a circa 9000 euro) sborsate da Sigismund Rucker negli anni '40 per una Barkeria spectabilis. Le più ambite erano ovviamente quelle più rare e più difficili da trovare. Ovviamente, in testa alla lista c'era Cattleya labiata, la cui ricerca in natura deluse le aspettative per ben 70 anni. Swainson non aveva rivelato dove l'avesse raccolta e la leggenda fiorita sul suo invio contribuì a confondere i ricercatori. Poiché egli aveva fatto base a Rio, si pensò provenisse da quell'area, dove per anni i cacciatori di orchidee andarono a cercarla senza successo (in realtà, Swainson l'aveva raccolta nel Pernambuco). Nel 1846, destò dunque grande sensazione la pubblicazione di Travels in the Interior of Brazil del chirurgo e naturalista George Gardner (1812-1849) in cui raccontava come l'avesse ritrovata nel 1836 sulle rocce a precipizio sul mare della Pedra de Gavea, a una quindicina di miglia da Rio. Gardener si sbagliava: esaminando i suoi campioni, l'ormai autorevolissimo Lindley decretò che non si trattava di C. labiata, ma di un'altra specie che denominò C. lobata. Nel suo Flower Garden, Joseph Paxton (famoso sopratutto come creatore del Crystal Palace) riprese la notizia, accompagnandola con la versione più nota, potremmo dire ormai ufficiale, del famoso invio di C. labiata come imbottitura. Inutile dire che diverse spedizioni batterono le montagne della foresta di Tujica alla ricerca dell'orchidea perduta, inondando il mercato europeo di centinaia di nuove specie, ma senza mai ritrovarla. Gardner pensò di aver fatto centro durante un secondo viaggio in Brasile, quando credette di averla ritrovata sulle rive del fiume Parabaya, al confine tra gli Stati di Rio e Minas Gerais. Si sbagliava di nuovo: si trattava di C. warneri. Di conseguenza diverse spedizioni setacciarono la regione; inutilmente, tanto che qualche botanico incominciò a pensare che C. labiata fosse ormai estinta in natura. Finalmente, la notizia del ritrovamento, questa volta vero, arrivò nel 1889. E, vero schiaffo all'orgoglio nazionale britannico, il merito andava ai francesi. Monsieur Moreau, un entomologo parigino, aveva finanziato una spedizione entomologica nel Brasile centrale e settentrionale; sapendo che era anche collezionista di orchidee, i raccoglitori gli inviarono anche una cinquantina di piante di un'orchidea dai grandi fiori lavanda raccolte nel Pernambuco. A questo punto, storia e leggenda tornano a mescolarsi: si racconta che, per un'incredibile coincidenza, Frederick Sander (1847-1920), ovvero il re delle orchidee, a capo del vivaio specializzato più importante d'Europa, facesse visita a Moreau proprio mentre le piante iniziavano a fiorire: gli bastò un'occhiata per capire che si trattava della perduta C. labiata. Il francese non ebbe problemi a rivelargli dove era stata raccolta, e Sanders poté inviare i suoi cacciatori a raccoglierla a colpo sicuro. Già nel 1892 fu in grado di immettere sul mercato ben 25.000 esemplari. Ma non manca una versione più romantica, secondo la quale l'orchidea perduta fu ritrovata sempre a Parigi, ma durante una serata mondana, appuntata alla scollatura di una dama. E infine, Cattleya! Nell'Ottocento, mentre sempre nuovi generi e specie di orchidee si riversavano come un fiume in piena nell'avido mercato europeo, Cattleya mantenne il suo primato di regina delle orchidee. Era il genere più amato, più ricercato, apprezzato soprattutto come fiore reciso per comporre lussuosi bouquet e per ornare scollature. A ostentare una Cattleya non era solo la misteriosa (e presumibilmente inesistente) dama parigina della leggenda, ma anche Odette, la bella demi-mondaine amata da Swann nella Recherche di Proust; il gesto di Swann, che si offre di sistemarle il fiore appuntato sul petto, diventa il preludio al loro primo rapporto sessuale: da quel momento i due amanti lo chiameranno eufemisticamente faire Cattleya, "fare Cattleya". Le circa centoventi specie del genere Cattleya sono orchidee epifite, o più raramente terrestri, originarie delle foreste pluviali dell'America latina, dalla Costa Rica al Brasile. I fiori, raccolti in infiorescenze terminali, hanno sepali e petali liberi; il petalo inferiore è modificato a formare un labello sfrangiato, solitamente di colore contrastante. Sono orchidee simpodiali, con pseudobulbi alla cui estremità si sviluppano una o due foglie. Proprio in base a questa caratteristica, vengono divise in due grandi gruppi: monofoliate e bifoliate. Le prime sono le Cattleyae classiche, piante robuste a forte sviluppo con grandi fiori; le seconde hanno fiori più piccoli, ma spesso forme e colori affascinanti. In coltivazione sono state introdotte almeno una cinquantina di specie, senza contare i numerosissimi ibridi. Il primo si deve a un altro grande collezionista, John Dominy, che nel 1853 incrociò C. loddigesii e C. guttata. Da allora ne sono stati prodotti centinaia e centinaia. Come se non bastasse, Cattleya forma ibridi intergenerici (nothogenera) con altri generi del vasto gruppo di orchidee neotropicali detto Cattleya alliance: i più noti sono Brassavola, Encyclia, Epidendrum, Laelia, Rhyncholaelia, con i quali forma rispettivamente x Brassocattleya, x Catyclia, x Epicattleya, x Laeliocattleya, x Rhyncolaeliocattleya. Tra gli ibridi che coinvolgono tre generi il più noto è senza dubbio Brassolaeliocattleya (Brassavola x Laelia x Cattleya), ma non mancano ibridi ancora più complessi che ne coinvolgono da quattro in su, come Andersonara (Brassavola x Cattleya x Guarianthe x Laelia x Ryncholaelia). Un tempo la coltivazione degli ibridi era rivolta soprattutto al mercato dei fiori recisi, oggi meno importante a favore della vendita come pianta fiorita. Tuttavia Cattleya mantiene un ruolo di una certa importanza anche come fiore reciso grazie alle fioriture indipendenti dalla stagione. Infatti sono piante brevidiurne, che tendono a fiorire quando le giornate si accorciano. Diminuendo artificialmente le ore di luce, possono dunque essere indotte a fiorire in ogni momento dell'anno. Nella scheda notizie sulla classificazione di Cattleya, link selezionati e una selezione di specie notevoli. |
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https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
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