Quando l'autore di un nome botanico celebrativo non indica in modo esplicito chi intendesse onorare, può essere difficile ricostruire le sue intenzioni. E' il caso delle bellissime orchidee Laelia, che si riferiscono sicuramente all'antica gens romana omonima, senza che riusciamo tuttavia a sapere con certezza a quale dei suoi membri. L'ipotesi più gettonata identifica la dedicataria in una vestale vissuta all'epoca di Nerone, di cui non conosciamo nulla oltre la data di morte. E' d'altra parte più che probabile che la scelta sia stata dettata soprattutto dal suono: Laelia è un nome armonico, eufonico, evocativo, come piacevano al suo creatore, il padre dell'orchidologia John Lindley. Un'evanescente figura femminile Nella sua lunga e instancabile carriera di studioso di orchidee, John Lindley diede il nome a oltre 120 generi validi di questa famiglia, e a molte centinaia di specie. Ricavò la maggior parte dei nomi generici da caratteristiche morfologiche distintive, ma agli altisonanti (e spesso cacofonici) composti greci prediletti dai suoi colleghi (come Odonthoglossum, creato da Kunth, oppure Phalaenopsis, creato da Blume) preferiva nomi brevi, se possibile dal suono armonioso, simili a epiteti femminili: Eria, "la villosa", Stenia, "la stretta", Coelia "la cava", Sophronitis "la casta". Gli piacevano i nomi di dee e ninfe, come Lycaste o Herycina, o di figure a metà tra storia e leggenda, come Aspasia o Ada. Di questo gruppo fa parte anche l'amatissimo genere Laelia. Sicuramente il botanico inglese aveva in mente un membro della gens romana omonima, ma quale? Impossibile saperlo con certezza, dal momento che egli non ha esplicitato il motivo della sua scelta. In realtà, la denominazione era già stata usata in precedenza da Adanson, che aveva dedicato un genere Laelia (Brassicaceae) al più noto esponente della famiglia, Gaio Lelio Sapiente (188-125 a.C.), celebre soprattutto per la sua amicizia con Scipione Emiliano, nonché protagonista del dialogo ciceroniano De amicitia. Ma proprio per la diffusione della denominazione di Lindley, quella di Adanson, benché precedente, è stata abbandonata. Sebbene questa ipotesi sia accettata da qualche studioso, è improbabile che Lindley avesse anch'egli in mente questo illustre personaggio: per le sue denominazioni "storiche" egli preferiva evocare donne sospese tra mito e storia, come appunto Aspasia e Ada. La dedicataria sarà dunque più probabilmente una donna della gens Laelia. Ne conosciamo essenzialmente tre, vissute rispettivamente tra il II e il I sec. a.C. e nel primo secolo d.C. Le prime due erano le due figlie del Sapiente, Laelia Major, moglie di Quinto Mucio Scevola, e Laelia Minor, moglie di Gaio Fannio Strabone; la maggiore fu elogiata da Cicerone per l'abilità retorica e la purezza del linguaggio, che trasmise alle figlie, una delle quali sposò Lucio Licinio Crasso, il più celebre oratore del suo tempo. Della terza, conosciamo quanto ne dice Tacito in una riga degli annali: "[Nel 64] morì la vergine vestale Laelia, e fu sostituita da Cornelia, della famiglia dei Cossi". Insomma, nacque, visse, morì. E' possibile che fosse figlia di D. Lelio Balbo che fu console nel 46 sotto Claudio. Ed è proprio questa Lelia vestale la più gettonata dedicataria dell'orchidea Laelia, benché a prima vista possa stupire che in mezzo a varie dediche a Afrodite (evocata come Doritis, Erycina e Paphinia) Lindley abbia associato a un'orchidea una casta sacerdotessa di Vesta. Tuttavia in Messico la simbologia legata alle Laelia non ha nulla di erotico: con i nomi di "flor de las almas", "lirio de todos los santos", "flor de muertos", o addirittura "calaverita", sono associate ai defunti, sia per il periodo di fioritura (è il caso di L. autumnalis), sia perché dai loro pseudobulbi è tradizionalmente ricavato un collante utilizzato nella confezione degli alfeniques, le figurine di zucchero della festa dei morti. Inoltre, c'è un parallelo con il genere Promeneia, dedicato da Lindley a un'altra sacerdotessa, la più anziana delle tre che servivano l'oracolo di Dodona. Proviamo dunque a immaginare la nostra vestale massima Lelia (tale sarà stata, se Tacito ne registrò la morte) nella Roma dei tempi di Nerone, magari sulla scorta del romanziere tardo vittoriano Frederick W. Farrar che in Darkness and Dawn (1891) la descrive come "una dama bella e signorile" e la mette in scena nell'atto di salvare dalla morte un condannato, su richiesta del giovane Tito, il futuro imperatore. Le vestali, infatti, l'unico collegio di sacerdotesse dell'antica Roma, godevano di grandi privilegi, tra cui il diritto di chiedere la grazia per un condannato a morte; vivevano a spese dello Stato, potevano testimoniare senza giuramento ed erano le uniche donne romane a poter fare testamento; i magistrati cedevano loro il passo e facevano abbassare i fasci littori in loro presenza. La loro persona era inviolabile e così sacra e pura che avevano il diritto di essere sepolte nel pomerio, mentre nessun altro poteva essere né sepolto né cremato in città. Vivevano nella casa delle vestali, che insieme al tempio della dea costituiva l'Atrium Vestae. Scelte tra fanciulle di ottima famiglia perfette nel corpo, con i genitori entrambi viventi, tra i sei e i dieci anni lasciavano la famiglia e entravano a far parte del collegio come novizie. Dopo dieci anni di noviziato, diventavano effettive e si occupavano dei doveri del culto, ovvero di mantenere acceso il fuoco sacro e di preparare la mola salsa, una focaccia sacra usata nei riti religiosi e nei sacrifici; dopo dieci anni di servizio, diventavano maestre e istruivano le novizie per un altro decennio. Infine, erano libere di tornare nella propria famiglia e di sposarsi. Nei trent'anni di servizio, potevano uscire liberamente, ma dovevano mantenersi in assoluta castità, pena la morte, L'Atrium Vestae si trova a ridosso del Foro. Anticamente, era attiguo a un bosco sacro, Lucus Vestae, che si estendeva fino alle pendici del Palatino, ma fu progressivamente ridotto per fare spazio agli edifici. Al centro della casa c'era però un grande cortile, simile a un peristilio, con tre bacini e presumibilmente aiuole fiorite, magari una pergola e piante in vaso. Forse esisteva anche un giardino sul retro dell'edificio. Tuttavia proprio nell'anno della morte della nostra Lelia, il complesso andò distrutto nell'incendio di Roma e le vestigia che possiamo vedere oggi risalgono a periodi successivi. Dopo un lungo restauro, sono state riaperte al pubblico nel 2010; nelle vasche è tornata a scorrere l'acqua e intorno sono state piantate aiuole di rose "antiche". Laelia, un'orchidea che non teme l'aridità In definitiva, chiunque fosse la Lelia cui pensava Lindley, il suo intento - perfettamente raggiunto - era dare a queste orchidee un nome evocativo, nobile, dal suono armonioso, perfettamente adatto alla loro bellezza. Egli istituì il genere in The Genera and Species of Orchidaceous Plants (1831), sulla base di due specie messicane: Laelia grandiflora (oggi L. speciosa) e L. autumnalis. Ed è infatti proprio il Messico il centro di diversità di questo bellissimo genere, che oggi conta circa venticinque specie, dopo aver subito una profonda revisione tassonomica. Laelia è molto affine a Cattleya (con la quale infatti forma bellissimi ibridi), da cui venne distinta in base al numero dei pollinii (ne ha otto, anziché quattro). Fino alla fine del secolo scorso, gli era assegnata una cinquantina di specie, divise in due gruppi geograficamente distanti, nonché molto diversi per habitat e caratteristiche ecologiche; da una parte le Laelia del Messico e del Centro America, che vivono in aree aride prevalentemente montane con clima da temperato a freddo; dall'altra quelle brasiliane, diffuse in una varietà di ambienti tropicali o subtropicali dal livello del mare alle montagne. Come hanno dimostrato le ricerche basate sul DNA, si trattava di un raggruppamento artificiale, che è stato risolto dapprima trasferendo in Sophronitis quasi tutte le Laelia brasiliane, passate poi a Cattleya quando Sophronitis è confluito in quest'ultimo. Il risultato è che diverse tra le specie più note hanno cambiato nome, tra le altre Laelia purpurata, il fiore nazionale del Brasile, oggi Cattleya purpurata. Nella nuova circoscrizione più ristretta, le Laelia ci portano in un ambiente che non tendiamo ad associare alle orchidee: le foreste stagionali aride, soprattutto querceti-lecceti, dove per molti mesi all'anno non piove e in inverno le temperature possono scendere anche di vari gradi sotto zero. Per superare i periodi di aridità sono dotate di organi di riserva, gli pseudobulbi, che permettono di superare l'assenza di precipitazioni e il gelo; alcune di esse in inverno vanno in riposo. Inoltre, come adattamento all'aridità, adottano la fotosintesi CAM (metabolismo acido delle crassulacee) che permette di ridurre la traspirazione chiudendo gli stomi durante il giorno e assorbendo di notte l'anidride carbonica che verrà usata il giorno successivo per la fotosintesi. Hanno in genere fiori dai colori molto brillanti che si presume siano impollinati da colibrì. La bellissima Laelia speciosa (che è anche la specie tipo) è un endemismo del Messico centrale; è un'epifita che ama annidarsi sui rami dalla corteccia corrugata di diverse specie di querce delle montagne del centro del paese (Sierra madre occidentale e orientale, settore meridionale dell'altopiano messicano, fascia vulcanica trasversale). Di dimensioni compatte, ma con fiori enormi relativamente alle sue dimensioni, è stata raccolta e associata a riti sacri fin dai tempi degli aztechi. La raccolta indiscriminata dei fiori recisi e soprattutto degli pseudobulbi, usati per la confezione dei dolci dei morti, ne hanno ridotto molto il numero; oggi è protetta. Ne esistono molte varietà che si differenziano per il colore dei fiori, da lilla rosato a magenta. Importante come specie coltivata è anche L. anceps; anch'essa originaria del Messico centrale, di dimensioni molto maggiori della precedente, è tra le più usate nella produzioni di ibridi, soprattutto con generi affini come Cattleya e Brassavola. Come la precedente, L. autumnalis fiorisce dal tardo autunno all'inverno; è la specie abitualmente associata ai morti, con nomi come fiore dei morti, fiore di Ognissanti, fiore dei teschi, fiore delle anime; anch'essa cresce nei querceti e negli arbusteti di alta quota, con temperature notturne molto basse ed estati fredde; oltre alle querce, non disdegna cactacee e yucche. Qualche approfondimento nella scheda.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
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