Nel 1784 le collezioni di Linneo trovano casa a Londra grazie a James Edward Smith, e i botanici britannici si convertono nei principali sostenitori del sistema linneano. Eppure, se ci sono gli entusiasti come Erasmus Darwin che scrive addirittura un poema dedicato agli amori delle piante, in genere in Inghilterra le troppo esplicite metafore sessuali di Linneo non piacciono. Già nel 1776 William Withering aveva pubblicato la prima flora britannica basata sul sistema di Linneo, epurandola tuttavia di ogni riferimento alla riproduzione sessuata, nell'intento di proteggere la "modestia femminile" delle lettrici. Un quarto di secolo dopo, almeno da questo punto di vista, le cose non sono cambiate più di tanto se Samuel Goodenough, socio fondatore e tesoriere della Linnean Society, bolla con parole di fuoco la "mente lasciva" di Linneo. D'altra parte, oltre che un buon botanico dilettante, era un educatore di teneri giovinetti e, quel che più conta, un vescovo, una colonna portante della Chiesa d'Inghilterra. Queste critiche, per altro, non le espresse in pubblico, ma in una lettera privata a James Edward Smith, di cui fu probabilmente l'amico più fedele. Fu proprio Smith a creare in suo onore il genere Goodenia, il più numeroso della famiglia Goodeniaceae cui dà il nome. Nascono un'amicizia e una società scientifica Nel gennaio del 1785, poco dopo essere riuscito ad aggiudicarsi le collezioni di Linneo (ne ho parlato in questo post), James Edward Smith ricevette una lettera di congratulazioni dai toni entusiastici: "Il vostro nobile acquisto del gabinetto di Linneo pone con decisione la Gran Bretagna al di sopra di tutte le altre nazioni nell'impero della botanica; è molto desiderabile che gli studi individuali, nel rispetto della scienza in generale, acquistino tanta vivacità e tanto successo che la Botanica stessa sia indotta a stabilirsi tra di noi". Chi scrive è il reverendo Samuel Goodenough, ecclesiastico, naturalista dilettante e stimato insegnante. E' l'inizio di un'amicizia che cesserà solo con la morte dei due protagonisti, avvenuta a pochi mesi di distanza (Goodenough morì nell'agosto 1827, Smith nel marzo 1828). Goodenough aveva una quindicina di anni più di Smith. Membro di una famiglia di religiosi, prima di abbracciare a sua volta la carriera ecclesiastica aveva seguito ottimi studi, frequentando la prestigiosa Westminster School e il Crist Curch College di Oxford, dove aveva stretto amicizia con Joseph Banks. Dopo aver insegnato qualche anno proprio alla Westminster e aver retto una parrocchia come vicario, nel 1772 aveva aperto una propria scuola a Ealing, nei dintorni di Londra. Era un istituto piccolo, ma di grande prestigio, che ogni anno accoglieva dieci (più tardi dodici) rampolli delle migliori famiglie del regno per prepararli alla Westminster School. Goodenough era un ottimo didatta e seguiva metodi all'avanguardia per l'epoca: nell'insegnamento della lettura e della scrittura, anziché procedere lettera per lettera e regola per regola, privilegiava un approccio globale basato sul riconoscimento di parole intere. Il curriculum prevedeva lettura dei classici, francese, scrittura, storia, danza, scherma e forse aritmetica. I ragazzi erano ospitati in una grande casa di tre piani, con due ali di uno e due piani, immersa in un parco relativamente grande con alberi maturi, arbusti e vasti prati, dove potevano praticare diversi sport, tra cui il cricket. Nel giardino Goodenough coltivava anche piante rare. Infatti, benché la sua formazione fosse classica ed egli fosse un reputato studioso di teologia e di lingue classiche, la sua vera passione erano le scienze naturali, in particolare la botanica. Lo confessa egli stesso a Smith nella lettera che segnò l'esordio della loro amicizia: "La storia naturale per me è oggetto di perpetuo piacere. E forse gradirete sapere che in me trovate qualcuno che non è insensibile alle difficoltà (io stesso ho raccolto personalmente e essiccato 3000 esemplari) e al valore della raccolta di esemplari botanici. Anche altri campi della storia naturale sono stati oggetto dei miei studi". Da questo momento Goodenough divenne il migliore amico di Smith, l'unico - a parte Banks - da cui il suscettibile botanico accettasse qualche critica. Entrambi si iscrissero alla Società per la promozione della storia naturale, dove conobbero tra gli altri l'entomologo Thomas Marsham; l'esperienza si rivelò però deludente e Smith, incoraggiato da Goodenough e Marsham, incominciò a pensare a fondare una nuova società, esplicitamente intitolata a Linneo. Fu così che nel 1788 i tre divennero i soci fondatori della Linnean Society, di cui vennero eletti rispettivamente presidente, tesoriere e segretario. Goodenough mantenne questo ruolo per qualche anno, ma fu più volte anche vicepresidente della Royal Society (in quegli anni retta da Banks) e membro della Society of Antiquaries. Intanto, faceva carriera nella Chiesa anglicana. Nel 1797 ottenne il vicariato di Cropredy; nel 1798 fu nominato canonico della St George Chapel di Windsor, nel 1802 decano di Rochester, e infine nel 1808 vescovo di Carlisle, anche grazie alla protezione del duca di Portland, i cui figli erano stati suoi allievi a Ealing. Niente sesso... siamo inglesi Come eccellente latinista, Goodenough fu di grande aiuto a Smith per la redazione delle sue opere; ma fu anche un botanico più che dilettante. Il suo maggiore contributo scientifico, pubblicato nelle Transactions della Linnean Society, è un ampio studio sulle specie britanniche di Carex, un genere all'epoca ancora oscuro e poco studiato, comparso in due parti: Observations on the British Species of Carex (1792) e Additional observations on the British Species of Carex (1795). Si occupò anche di alghe, scrivendo una monografia sulle specie britanniche di Fucus (1797), in collaborazione con un altro socio della Linnean Society, Thomas Woodward. Si interessava inoltre di zoologia, e pubblicò alcuni articoli sugli insetti. Oratore facondo e dalla prosa brillante (come possiamo dedurre dalle numerose lettere di Goodenough incluse dalla vedova di Smith in Memoir and Correspondence of the Late Sir James Edward Smith), pubblicò tre sermoni; sappiamo che progettò anche una Botanica metrica, un'opera di grande erudizione in cui il suo talento di latinista avrebbe dovuto fondersi con la passione per la botanica; il suo proposito era infatti di presentare in versi l'etimologia dei nomi botanici. Niente a che vedere dunque con The Loves of the Plants, il poema del nonno di Darwin dedicato alla botanica linneana in cui si esaltano gli amori delle piante. Anzi, per essere un linneano DOC, membro fondatore e tesoriere della Linnean Society, la posizione del vescovo Goodenough nei confronti del sistema linneano è singolarmente pudibonda. Anche se ammirava Linneo come scienziato, era scioccato dalla scelta di usare gli organi sessuali delle piante come criterio di classificazione; ad urtarlo anche maggiormente, era poi il linguaggio di Linneo che giudicava grossolano, anzi lascivo. In una lettera privata a Smith, che non a caso non fu inclusa della vedova nel carteggio, scrive: "E' perfettamente inutile dire che nulla può uguagliare la grossolana lascivia della mente di Linneo. Una traduzione letterale dei primi principi della botanica linneana è sufficiente per offendere la modestia femminile". Più di tutto detestava certi nomi di Linneo, inutilmente scurrili, e a proposito del genere Clitoria scrive: "È possibile che molti studenti virtuosi non siano in grado di comprendere la similitudine di Clitoria". Morto ultraottantenne nel 1827, Goodenough ebbe l'onore di essere sepolto nel transetto settentrionale dell'Abbazia di Westminster. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Un grande genere australiano (ma non solo) A celebrare il buon vescovo, linneano pudico, con la dedica di un genere botanico non poteva che essere l'amico di una vita James Edward Smith, che nel 1793 in A Specimen of the Botany of New Holland battezzò Goodenia (una forma più orecchiabile e "classica" del corretto Goodenoughia) un gruppo di piante recentemente raccolte in Australia. La maggior parte delle specie del vastissimo genere Goodenia (gli sono attribuite oltre 200 specie) è infatti endemica dell'Australia; un piccolissimo numero di specie si estende a Giava, alla Nuova Guinea, all'Indonesia, alle Filippine e alla Cina meridionale. Il genere, che dà il nome alla famiglia Goodeniaceae, comprende soprattutto erbacee perenni che vivono per lo più nel sottobosco in condizioni umide, ma anche arbusti. Hanno foglie molto variabili per forma e collocazione, ma solitamente con margini serrati o dentati, e fiori, solitari o raccolti in infiorescenze, decisamente asimmetrici, con corolla tubolare bilabiata con cinque lobi diseguali, spesso gialli, ma anche bianchi o rosa-malva in poche specie. Molto decorative, alcune specie sono coltivate nei giardini australiani. Tra di esse, G. albiflora, che in primavera si ricopre di una massa di singolari fiori bianchi striati di azzurro; G. hederacea, una robusta coprisuolo che preferisce l'ombra umida e produce fiori giallo oro; G. macmillanii, con foglie pinnate e grandi fiori malva, con i due lobi superiori eretti. Merita una menzione a parte G. ovata, un arbusto diffuso in gran parte dell'Australia dove si adatta a suoli e condizioni diverse. Di veloce crescita, è una pianta pioniera che rinasce a profusione nei terreni devastati dagli incendi; è ampiamente utilizzata nei progetti di recupero paesaggistico perché copre rapidamente il suolo, ostacolando la crescita delle malerbe, offre cibo alle farfalle e altri insetti nonché cibo e protezione agli uccelli. In giardino è utilizzata come tappezzante e ne sono state selezionate diverse cultivar. Altri approfondimenti nella scheda.
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Due simboli iconici si incontrano in questa storia: da una parte il saguaro, il cactus gigante dei deserti americani, reso familiare dall'immaginario cinematografico; dall'altra, Andrew Carnegie, incarnazione del sogno americano, multimiliardario che ha ispirato la figura di zio Paperone, a suo tempo considerato l'uomo più ricco del mondo, ma anche celebre benefattore e filantropo. Il punto d'incontro tra i due è una collina nei pressi di Tucson, dove i saguaro sono di casa e dove, finanziato da Carnegie, nacque il Desert Laboratory. Qui li studiarono i botanici Britton e Rose, scoprendo che appartenevano a un genere tutto loro; e in onore del finanziatore, il saguaro divenne Carnegiea gigantea. Prologo: cactus giganti e film western Chiudete gli occhi e provate a immaginare la scena madre di un tipico film western. Siamo alla resa dei conti: l'eroe, pistola in pugno, sta per affrontare il cattivo. A fare da sfondo, il deserto: terra rossastra, in lontananza le sagome della Monument Valley. La vegetazione è ridotta a pochi cespugli spinosi ma qua e là si stagliano le maestose sagome del cactus a candelabro. Lo state vedendo? E' lui, il nostro primo protagonista, il saguaro, ovvero Carnegiea gigantea, simbolo iconico dei film western; eppure, nella Monument Valley, i saguari non ci sono; e neppure nelle tante location in Utah, Colorado, New Mexico, Texas dove la fantasia di registri e scenografi li ha sparsi a piene mani. In realtà, il saguaro vive solo nel deserto di Sonora, anzi in alcune parti della porzione orientale di questo deserto, in Messico e in Arizona meridionale e occasionalmente nella California sudorientale; il cuore del suo regno è il Parco nazionale dei saguaro, nell'Arizona meridionale, con due sezioni rispettivamente nelle Tucson Mountains e nelle Rincon Mountains. Non lontano dalle Tucson Mountains e dal parco, nel 1939 la Columbia Pictures allestì il set dove fu girato Arizona, diretto da Wesley Ruggles. Al termine delle riprese, la casa di produzione decise di trasformarlo in uno studio cinematografico permanente, dove da quel momento sarebbero stati girati tutti i suoi western. Da allora sono stati oltre 300 tra film e telefilm, tra cui un monumento della cinematografia come Sfida all'OK Corral (1957). E' stato così che i saguaro hanno incominciato ad essere associati ai film western e diventarne un immancabile accessorio di scena, andando a popolare il nostro immaginario e paesaggi dove non esistono in natura. Primo atto: il miliardario filantropo Altrettanto iconico è anche il secondo protagonista di questa storia, il miliardario Andrew Carnegie, incarnazione del sogno americano "dall'ago al milione" e prototipo della figura di zio Paperone. Come da copione, il nostro nasce in Scozia, arriva in America poverissimo e fa i più diversi mestieri: a tredici anni è un bobbin boy, uno dei ragazzi addetti al cambio e alla raccolta delle spolette in una manifattura di cotone, per dodici ore al giorno, sei giorni su sette, per una paga di un dollaro la settimana; lavora poi in una fabbrica di spolette, quindi passa ad una compagnia locale di telegrafi, prima come fattorino, poi come operatore. A 18 anni (adesso il suo salario è di 4 dollari la settimana) diventa operatore telegrafista della compagnia ferroviaria Pennsylvania Railroad Company e poi segretario di uno dei dirigenti; è un avido lettore, che nel tempo libero legge più che può e studia da autodidatta. A 24 anni diventa sovrintendente della Western Division. Siamo nel 1859 e le ferrovie sono un settore in grande espansione; Carnegie conosce le persone giuste e grazie ai loro consigli fa i suoi primi investimenti proprio nelle ferrovie, prendendo in prestito 500 dollari con un'ipoteca sulla casa di sua madre. Conosce per caso T. T. Woodruff, l'inventore del vagone letto, e insieme a lui fonda una piccola società per sfruttare l'invenzione. Il primo affare importante arriva con la guerra di successione; con la sua esperienza sia nei telegrafi sia nelle ferrovie, Carnegie è incaricato dal governo dell'Unione di ristabilire le linee ferroviarie e telegrafiche tagliate dai sudisti. Il trasporto di truppe e di materiali al fronte fornisce altre opportunità di guadagno. Dopo la guerra, Carnegie lascia le ferrovie, e si lancia nel siderurgico. La prima fabbrica, Cyclops Iron Company, fondata nel 1864 insieme al fratello, assorbe via via alcune fucine della zona e diventa la Union Mill. Produce ferro, un prodotto che il mercato chiede sempre meno, ormai soppiantato dall'acciaio. Durante un viaggio in Inghilterra, Carnegie conosce un nuovo metodo di produzione dell'acciaio, il processo Bessemer, e lo introduce nella sua acciaieria, fondata nel 1872. Da quel momento, sarà un successo travolgente. Combinando innovazione tecnologica, organizzazione efficiente e bassi salari, riesce via via ad assorbire i concorrenti, come la rivale Homestead Steel Works acquisita nel 1883, e diventa l'imperatore dell'acciaio; Pittsburgh è la capitale mondiale di quell'impero. Alla fine degli anni '80 la Carnegie Steel è la più grande produttrice di ghisa, rotaie ferroviarie e coke del mondo. Con i suoi associati, controlla l'integrazione verticale di tutte le fasi produttive, dall'estrazione delle materie prime, alla produzione, alla distribuzione del prodotto finito. Nel 1892 nasce ufficialmente la Carnegie Steel Company, che dà una struttura formale a una ragnatela di interessi ed attività, che include la costruzione di locomotive, ferrovie, ponti, porti, edifici e la proprietà di 18 giornali. Lo stesso anno, mentre Carnegie si trova in vacanza in Italia, le sue acciaierie sono al centro di uno scontro sindacale (Homestead Strike), risolto da suoi associati con l'uso della forza. Carnegie è lontano, ma approva pienamente l'operato dei suoi uomini, compreso l'uso di milizie private e l'uccisione di diversi scioperanti. La sua reputazione ne esce compromessa. E' forse anche per questo che nel 1901, all'età di 66 anni, decide di ritirarsi. Trasforma l'azienda in una società per azioni e vende le sue attività industriali al banchiere John Morgan per la cifra record di 480 milioni di dollari. Le cronache del tempo lo considerano l'uomo più ricco del mondo (gli studiosi lo ritengono il quarto uomo più ricco di tutti i tempi). Da questo momento in avanti, non sarà più un industriale, ma un filantropo; anche se le sue attività filantropiche erano già iniziate da qualche anno, ora saranno la sua occupazione esclusiva. Autodidatta, crede nel valore dell'istruzione, e si impegna nella creazione di biblioteche: per suo impulso ne nasceranno oltre 2500, non solo negli Stati Uniti, ma in tutti i paesi anglofoni. Per gli amanti della musica, il suo nome è perpetrato dalla Carnegie Hall, una delle più importanti sale da concerto del mondo, costruita a New York per sua volontà nel 1890; per quelli delle arti, dal Carnegie Museum of Pittsburgh. Secondo atto: un laboratorio nel deserto I musei, le fondazioni, le università, gli istituti di ricerca finanziati da Carnegie sono innumerevoli; sono una ventina le fondazioni che portano il suo nome, impegnate nei campi più diversi. Soffermiamoci su una soltanto, Carnegie Institution for Science di Washington. Molto interessato al progresso scientifico, subito dopo il ritiro, il miliardario-filantropo pensò di fondare una università nazionale a Washington, simile ai grandi centri di ricerca europei; temendo però lo scontento delle università già esistenti, vi rinunciò, puntando su un istituto di ricerca indipendente impegnato ad accrescere le conoscenze scientifiche di base. Comunicò al presidente Theodore Roosvelt che era pronto a dotare la nuova istituzione di 10 milioni di dollari; nel 1907 ne aggiunse 2, e altri 10 nel 1911. Inizialmente, l'istituzione finanziò soprattutto ricerche individuali, ma creò anche alcuni laboratori di ricerca. E finalmente stiamo per scoprire qual è il legame tra Andrew Carnegie e il saguaro. Nel 1891 Frederick V. Coville, botanico capo del Dipartimento federale di Agricoltura, aveva esplorato la Death Valley in California ed era rimasto affascinato dalla varietà di forme di vita in un ambiente così estremo. Poco dopo la sua fondazione, egli propose alla Carnegie Institution for Science di finanziare un laboratorio dove studiare le condizioni di vita delle piante dei deserti; l'istituto approvò la proposta e concesse un finanziamento di 8000 dollari. Restava da trovare un sito appropriato: insieme a Daniel T. MacDougal, direttore assistente del New York Botanical Garden, Coville visitò varie aree promettenti in California, New Mexico, Chihuaha, Sonora e Arizona; alla fine la scelta cadde su Tumamoc Hill, un'area collinare ricca di vegetazione ma facilmente accessibile nei pressi di Tucson. Nasceva così il Desert Botanical Laboratory, inaugurato il 7 ottobre 1903. Diretto inizialmente da MacDougal, che mantenne l'incarico fino al pensionamento nel 1928, divenne la base del Carnegie Department of Botanical Research, dotandosi via via di edifici per ospitare lo staff, di una serra, di aiuole sperimentali, di una rivista. Nella primavera del 1906, Volney Spalding, professore in pensione dell'Università del Michigan, che si era trasferito a Tucson in cerca di un clima più mite, propose di delimitare 19 quadrati di 10 metri x 10, e monitorare le piante perenni, identificando, mappando e fotografando tutti gli individui. Era un metodo innovativo che faceva i suoi esordi proprio in quegli anni. Lo stesso anno vennero acquisiti ulteriori terreni e l'intera area fu circondata da una palizzata per tenere lontano il bestiame. Primo laboratorio al mondo dedicato alla flora dei deserti, il Desert Laboratory in pochi anni divenne un'istituzione di punta e uno stimolo per la nascita dell'ecologia negli Stati Uniti; nel 1915, tra i 30 fondatori della Ecological Society of America, sette erano ricercatori del Desert laboratory. Nel 1938, in seguito a problemi economici, la Carnegie Institution for Science decise prima di tagliare drasticamente i finanziamenti, riducendo all'osso il personale, poi di liberarsi del laboratorio, vendendolo simbolicamente per un dollaro. Propose l'acquisto all'Università dell'Arizona, che rifiutò; ad accettare fu invece il dipartimento federale delle foreste, che fino al 1956 lo usò come stazione sperimentale. Fu un periodo di sostanziale decadenza, con poche ricerche condotte soprattutto dall'Università dell'Arizona. La quale, nel 1956 si decise ad acquistare il laboratorio: ma invece di pagarlo un dollaro, dovette sborsarne 100.000. Il laboratorio rinacque. Nel 1964, venne realizzato un censimento dei saguaro, da confrontare con la mappa disegnata da Spanding nel 1907; il censimento fu ripetuto nel 1970, nel 1993 e tra il 2011 e il 2012. Nel 1982, furono creati nuovi quadrati per studiare le piante annuali. Nove di quelli creati da Spanding per le piante perenni esistono ancora: è la più lunga serie di dati fornita da quadrati ecologici al mondo. Oggi, con il nome di Desert Laboratory on Tumamoc Hill, è allo stesso tempo un'area protetta che preserva un ambiente unico, un laboratorio di studi ambientali, un'istituzione educativa collegata con l'Università dell'Arizona. Molte informazioni nel sito, inclusi coinvolgenti filmati. Epilogo: come il cactus gigante divenne Carnegiea Tra i primi progetti del Desert Laboratory, figura la collaborazione con Britton e Rose per la grande ricerca sulle Cactaceae che sfocerà nei magnifici volumi su questa famiglia pubblicati tra il 1919 e il 1923 dalla Carnegie Institution. Fu MacDougal a suggerire a Nathaniel Britton, all'epoca direttore dell'orto botanico di New York, di ampliare la sua ricerca sulle cactacee americane e di chiedere il finanziamento del Carnegie Institution per un progetto molto più ambizioso. Le trattative richiesero tempo, ma alla fine l'istituzione accettò di finanziare le ricerche e la pubblicazione e nel 1912 tanto Britton quanto Rose furono nominati ricercatori associati alla Carnegie. Il progetto si configurò fin da subito come una collaborazione tra l'orto botanico di New York, lo Smithsonian (dove a lungo aveva lavorato Rose) e il Desert Laboratory, che fu anche una delle sue basi logistiche. Tra le piante più caratteristiche di Tumamoc Hill ci sono proprio i saguaro; fu qui che li studiarono Britton e Rose, capendo che dovevano essere assegnati a un genere proprio (all'epoca erano ancora attribuiti al genere Cereus con il nome C. giganteus); era un'ottima occasione per ingraziarsi lo sperato finanziatore, ovvero Mr. Carnegie. Fu così che nel 1908 i due botanici crearono in suo onore il genere Carnegiea, con questa motivazione: "Questo genere è dedicato a Mr. Carnegie. Il Desert Laboratory della Carnegie Institution di Washington, a Tucson, Arizona, è circondato da esemplari tipici di questa pianta unica". Qualche maligno ha osservato che la dedicata era azzeccata non solo per la bellezza e l'unicità di questa specie, ma anche per le sue micidiali spine, evocative del carattere spinoso del dedicatario. Spinosità dimostrata anche in occasione della presentazione della nuova denominazione: inizialmente, Carnegie fu molto lusingato, ma quando scoprì che non si trattava di una nuova specie, ma solo di un cambio di nome, perse ogni interesse. Per inciso, egli morì nel 1919, pochi mesi dopo l'uscita del primo fascicolo di Cactaceae di Britton e Rose. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Sia come sia, da allora il saguaro è Carnegiea gigantea Britton & Rose, unica specie del suo genere. E' un cactus colonnare, con un tronco imponente, che mediamente raggiunge i dieci metri. Il più grande esemplare conosciuto è alto 13 metri e ha una circonferenza di 3 metri. I fusti colonnari hanno in genere 11-15 coste, lungo le quali si trovano areole ben separate, distanziate di circa 2-3 cm tra loro, ciascuna delle quali porta da 15 a 30 spine, lunghe da 5 a 11 cm, che provocano ferite dolorose e facili ad infettarsi. Sono piante a lentissima crescita. Quando nascono, sono minuscole, e a due anni non misurano ancora un cm. Una pianta di 15 anni è alta intorno ai 30 cm, mentre una pianta di un metro ha tra 20 e 50 anni di età. Intorno a 30 anni, incomincia a produrre i primi fiori e i primi frutti, ma la vera maturità arriva tra i 50 e i 75 anni, quando incomincia a sviluppare rami laterali; gli esemplari più vecchi e imponenti ne hanno molti (il record è di 49 rami, o braccia, su una singola pianta): lo sviluppo di molteplici rami è importante per la riproduzione, dal momento che la fioritura avviene soprattutto agli apici di fusti. Molti esemplari, tuttavia, non li sviluppano mai. I rami laterali sono piuttosto diversi dal fusto principale: hanno costolature molto più numerose, poco profonde, con spine più ravvicinate ma molto più brevi e meno acuminate, in modo da permettere l'accesso degli ospiti che impollinano i fiori e si cibano dei frutti. I bellissimi fiori bianchi, di consistenza cerosa, ricchissimi di polline, si aprono nel tardo pomeriggio e durano meno di una giornata; sono impollinati da numerosi animali, tanto diurni quanto notturni: api da miele, pipistrelli e molte specie di uccelli, tra cui colombe dalle ali bianche e diversi colibrì. I fiori sono seguiti da frutti che ricordano i fichi d'India, appetiti dagli uccelli. Ognuno contiene circa 2000 semi; in effetti, anche se hanno un'alta germinabilità, l'aridità e la predazione comportano molte perdite, tanto che si stima che solo l'1% produca una pianticella. Appena nata è minuscola, e ha bisogno di essere protetta per sopravvivere e crescere; a provvedere sono alberi e cespugli, come le leguminose Olneya tesota o Parkinsonia florida, che forniscono ombra e trattengono l'umidità. Negli ambienti più aridi, tuttavia, queste piante sono assenti e i saguaro iniziano la loro vita in mezzo a ciuffi d'erba o cespugli di Ambrosia dumosa o ancora accanto ad altre Cactaceae come Opuntia kunzei. Il saguaro è una specie chiave nel suo ambiente, che provvede cibo, riparo e protezione a molti animali. L'abbondantissimo polline è una fonte di cibo importante per i suoi impollinatori, come lo sono i frutti per le formiche e vari uccelli, in particolare le colombe dalle ali bianche. I picchi Melanerpes uropygialis e Colaptes chrysoides scavano i loro nidi nei tronchi; in genere, li usano per una sola stagione, rinnovandoli ogni anno. I loro nidi abbandonati, attorno al quale la pianta ha prodotto un callo legnoso, si trasformano in case "chiavi in mano" per molte altre specie di uccelli. Anche i nativi hanno sfruttato i saguaro per secoli in vari modi: le costole lignificate degli esemplari morti venivano usate per palizzate e gli antichi nidi dei picchi come cestini; con i frutti si preparavano marmellate, sciroppi e bevande fermentate per le cerimonie religiose. Qualche approfondimento nella scheda. Alice Eastwood è stata probabilmente la più nota botanica statunitense: per quasi sessant'anni diresse il dipartimento di botanica dell'Accademia delle Scienze di California, fu la massima esperta della flora degli Stati Uniti occidentali, descrisse e classificò 395 specie, scrisse oltre 300 tra articoli e libri. E soprattutto, fece risorgere letteralmente dalle ceneri l'erbario dell'Accademia, di cui la terribile mattina del terremoto di San Francisco riuscì a salvare il nucleo più prezioso con un impulsivo atto eroico. A ricordarla, l'epiteto di numerose specie e sottospecie, e due generi: Eastwoodia e Aliciella. Una preziosa collezione strappata alle fiamme All'alba del 18 aprile 1906 un violento terremoto si abbatté sulla città di San Francisco, con due scosse successive, la seconda delle quali violentissima. Moltissimi edifici furono lesionati, altri crollarono e centinaia di persone (non sapremo mai esattamente quante) rimasero sotto le macerie; ma i danni peggiori non furono causati dal sisma, bensì dal terribile incendio (negli Stati Uniti è passato alla storia come Great Fire) che continuò ad ardere per quattro giorni e quattro notti, distruggendo circa 25.000 edifici. Tra gli abitanti della città che in quella mattina tragica persero tutto c'era anche Alice Eastwood, la curatrice dell'erbario dell'Accademia delle Scienze della California. Preoccupata per la sorte delle collezioni di cui era la custode, si precipitò in Market Street, dove sorgeva la sede dell'Accademia. Dato che il ponticello che dava accesso all'ingresso principale del Museo era crollato, Alice si portò sul retro, dove si era raccolto un gruppetto di curatori e assistenti dei vari dipartimenti dell'Accademia. Nel cortile invaso dai detriti, tutti guardavano in su, impotenti e desolati. L'edifico era lesionato, e la scala in marmo che dava accesso ai piani superiori era parzialmente crollata. Anche se non c'era pericolo di crollo immediato, alcuni edifici vicini erano già in fiamme ed era evidente che presto l'incendio avrebbe raggiunto anche il Museo. Impossibile mettere in salvo la biblioteca, i documenti, le inestimabili collezioni naturalistiche, tutti custoditi ai piani superiori. Vedendo che il lavoro suo e degli scienziati che avevamo fatto di quella istituzione la più importante degli Stati Uniti occidentali stava per essere distrutto, Alice Eastwood prese una rapida decisione. Durante la sua gestione, aveva inaugurato una pratica all'epoca inconsueta: quella di custodire a parte gli esemplari tipo, ovvero quelli usati per descrivere e determinare le nuove entità. Almeno quello, il nucleo più prezioso dell'erbario, doveva essere salvato. Ma come raggiungerlo, visto che si trovava al sesto piano, nell'ufficio della curatrice? Con un coraggio che rasenta l'incoscienza, insieme al suo assistente Robert Porter, Alice (era un'alpinista provetta) salì sulla ringhiera di ferro della scala semicrollata e si arrampicò fin lassù mettendo i piedi tra i pioli. Dal suo ufficio prese un solo oggetto, un paio di occhiali, e incominciò a impacchettare i preziosi esemplari che poi vennero calati in cortile con l'aiuto di corde improvvisate. In tal modo salvò 1497 esemplari tipo, che vennero poi trasportati in un edificio sicuro; nel pomeriggio l'incendio si estese all'Accademia che arse per tre giorni, distruggendo tutto il resto, compresa la collezione personale della coraggiosa botanica. Diciannove giorni dopo Eastwood scrisse: "Non sento la perdita come qualcosa di personale, ma è una grande perdita per il mondo scientifico e una perdita irreparabile per la California. Non mi lamento del mio lavoro che è andato perduto, dato che per me è stato una gioia quando l'ho fatto, e lo sarà di nuovo quando ricomincerò". E sarebbe stato proprio così. Ritratto di una botanica da giovane Abbiamo già incontrato Alice Eastwood parlando di Townshend e Catharine Brandegee. E' ora di conoscerla meglio. Alice era nata in Canada, a Toronto, ma adolescente si era trasferita con la famiglia a Denver in Colorado. Mentre ancora studiava alla scuola superiore, un casuale soggiorno in montagna l'aveva fatta innamorare delle piante delle Montagne rocciose e l'aveva spinta a studiare botanica da autodidatta sui pochi manuali disponibili e a creare un erbario. Anche se era una studentessa brillante, le condizioni economiche della famiglia le impedivano di andare all'Università; così, dopo il diploma rimase a insegnare al Shawa Convent Catholic High School, la scuola dove aveva studiato. Era una supplente sottopagata, cui veniva richiesto di insegnare ogni tipo di materia e di correggere una montagna di compiti. Tutto il poco che riusciva a risparmiare lo destinava ad acquistare libri di botanica e a pagarsi le vacanze estive, che trascorreva arrampicandosi su colline e montagne alla ricerca delle amate piante. Poco alla volta, incominciò a farsi un nome come esperta della flora del Colorado. Nel 1887 guidò sul Gray's Peak il celebre naturalista inglese Alfred Russel Wallace, che si trova negli Stati Uniti per un tour di conferenze. Nel 1889 accompagnò il naturalista Theodore Alison Cockerell a botanizzare nella Wet Mountain Valley, e grazie a lui fu nominata segretaria della Colorado Biological Association. Divenuta amica della famiglia Wetherill, che possedeva un ranch nella Mesa verde, ne fece la sua base per numerose escursioni nella cosiddetta Four Corner Region, l'area al confine tra Colorado, Utah, Arizona e New Mexico. Ormai sulla trentina, Alice desiderava lasciare l'insegnamento e diventare una botanica di professione. Alcuni investimenti le avevano permesso di farsi una piccola rendita che la rendeva economicamente indipendente. Nell'inverno 1890-91 visitò per la prima volta la California e incontrò i Brandegee. Katharine Brandegee, impressionata dalla qualità del suo erbario, le chiese di scrivere degli articoli per la sua rivista e le propose di lavorare con lei, ma Alice era piuttosto riluttante a lasciare il Colorado, tanto più che proprio in quel periodo stava scrivendo un libro, uscito nel 1893 con il titolo A popular flora of Denver, Colorado. Nell'estate del 1892, accompagnata da Al Wetherill fece una lunga escursione nell'Utah sudoccidentale alla ricerca di piante del deserto. Solo nel dicembre di quell'anno si trasferì definitivamente a San Francisco, come curatrice aggiunta dell'erbario, poi, dal 1894, al ritiro della signora Brandegee, come curatrice e capo del dipartimento di botanica dell'Accademia delle Scienze. Oltre a occuparsi della gestione dell'erbario e a scrivere articoli per varie riviste, in questo periodo Alice fece importanti raccolte botaniche, in particolare esplorando la allora poco studiata Catena costiera meridionale fino alla regione di Big Sur, che all'epoca non era collegata da nessuna strada. Escursionista e alpinista instancabile, era anche una colonna di associazioni di appassionati come il Sierra Club (con il quale nel 1903 scalò il Monte Withney, la cima più alta degli Stati Uniti esclusa l'Alaska) e il Botanical Club, per il quale scrisse anche una guida al riconoscimento delle piante selvatiche. Ottima divulgatrice, nel 1905 pubblicò A Handbook of the Trees of California, nella cui prefazione scrisse: "L'obiettivo è sempre stato la brevità e la chiarezza, il desiderio di aiutare piuttosto che di brillare". La ricostruzione dell'erbario Ad eccoci tornati a quel maledetto 18 aprile 1906 quando tutte le collezioni dell'Accademia delle Scienze andarono in fumo, ad eccezione dei 1497 esemplari botanici salvati da Alice e di pochi documenti. Appena possibile, incominciò la ricostruzione. Mentre veniva costruita la nuova sede nel Golden Gate Park, Alice Eastwood andò a studiare nei più importanti erbari statunitensi ed europei: il Gray Herbarium di Harvard, gli erbari del New York Botanical Garden, del British Museum, di Kew e del Museo di storia naturale di Parigi. Questi viaggi le permisero anche di stabilire rapporti personali con molti colleghi. Così nel 1912, quando la nuova sede venne inaugurata e le fu nuovamente offerto il posto di curatrice del Dipartimento di botanica, era pronta per ricominciare. Il suo asso nella manica era l'eccezionale ricchezza della flora californiana, una delle regioni floristiche più ricche del pianeta, con quasi 4700 specie native di cui 1400 endemismi. Alice Eastwood percorse lo stato in centinaia di escursioni, da sola o alla guida di gruppi di cui era allo stesso tempo cuoca, organizzatrice, guida e responsabile scientifico. Esplorò i deserti e le montagne, gli angoli con caratteristiche geologiche peculiari, le zone minacciate dall'espansione urbana e agricola, la cui flora rischiava di sparire prima ancora di essere conosciuta. Le vacanze erano riservate a spedizioni più ampie negli Stati Uniti occidentali (Alaska, Arizona, Utah, Idaho). Grazie a queste estensive raccolte, Eastwood poté realizzare un intenso programma di scambi con altri orti botanici, in particolare con Harward e Kew. Infatti, mentre i primi esemplari andavano a incrementare la collezione dell'Accademia delle Scienze, i duplicati venivano scambiati con altri erbari in giro per il mondo. In cambio delle piante native della West Coast, ricercava soprattutto esemplari che la aiutassero ad identificare correttamente le numerose specie esotiche tropicali e subtropicali che fin dall'Ottocento erano venute a popolare i giardini e i vivai californiani, non di rado naturalizzandosi. Per ricostruire gli itinerari di queste piante migratrici, studiò a fondo i documenti sulle prime spedizioni europee in California. Nel 1949, quando andò in pensione, era riuscita ad aggiungere all'erbario 340.000 esemplari, più di tre volte tanto quelli perduti nell'incendio. I suoi sforzi furono diretti anche a ricostruire la biblioteca, che era andata totalmente distrutta. Lei stessa scrisse moltissimo: la sua bibliografia conta più di trecento titoli, tanto scientifici quanto divulgativi. Appassionata di giardinaggio, cercò di creare un ponte tra il mondo scientifico, i coltivatori e gli amatori. Per rendere popolare la botanica, volle che nell'atrio dell'Accademia si alternassero mostre di fiori freschi. Si impegnò per diffondere la coltivazione delle piante native nei giardini californiani e per la loro salvaguardia, battendosi per la creazione del Parco nazionale del Monte Tamalpais, una delle sue aree di raccolta preferite. Nel 1929 fu tra i soci fondatori della Fuchsia American Society e promosse il censimento delle specie e varietà di fucsie coltivate in California e l'introduzione di nuove varietà. Quando aveva 73 anni fu investita da un'automobile, riportando la frattura di un ginocchio; da quel momento, dovette servirsi di un bastone e rinunciò alle scarpinate. Ma non certo alle escursioni. Adesso, invece che a piedi o a cavallo, si muoveva in automobile, una Ford T, e mentre il suo assistente Thomas Howell si spingeva più lontano, si accontentava di erborizzare nei pressi. In piena salute fino quasi alla morte, andò in pensione nel 1949, a novant'anni, ma continuò a scrivere e a frequentare il suo vecchio ufficio all'Accademia. Nel 1950, il Settimo congresso internazionale di botanica, tenutosi a Stoccolma, la elesse Presidente onoraria (una specie di Oscar alla carriera); per rimarcare tanto onore, venne fatta sedere sul seggio che era stato di Linneo. L'elegante Eastwoodia e le rare Aliciella Come autrice di nomi botanici, Alice Eastwood è stata una delle botaniche più prolifiche, con 652 taxa e 395 specie. Si tratta di endemismi delle Montagne rocciose e dell'Utah, da lei scoperti in gioventù, e ovviamente di piante californiane. Dato che tra le sue preferite c'erano le Liliaceae, cui dedicò vari importanti studi, vorrei citare le specie endemiche di Allium che scoprì, studiò e nominò: Allium cratericola Eastw., Allium hickmenii Eastw., Allium howellii Eastw., Allium yosemitense Eastw. Sono numerose anche le specie, sottospecie e varietà che la ricordano; tra di esse Fritillaria eastwoodiae, un endemismo della Sierra Nevada, della Cascade Mountains e dell'Oregon meridionale; Erigeron aliceae, una perenne dei pascoli e delle boscaglie del Nord-ovest pacifico; Ranunculus eastwoodinus, nativo dell'Alaska. Veniamo infine ai due generi che si fregiano del suo nome. Il primo in ordine di tempo è Eastwoodia, che gli fu dedicato nel 1894 da Townshend Brandegee. La sua unica specie, E. elegans, endemica di ambienti aridi delle praterie e delle colline della California centrale, negli anni precedenti era stata raccolta da diversi raccoglitori, tra i quale anche Alice Eastwood. Appartenente alla famiglia Asteraceae, è un arbustino alto fino a un metro, molto ramificato e con piccolissime foglie, che al momento della fioritura si fa notare per i numerosissimi capolini gialli globosi, composti unicamente di flosculi ligulati. Una sintetica presentazione nella scheda. Più complicate le vicende del secondo genere dedicato alla nostra protagonista. Nel 1892, erborizzando in Utah, Eastwood scoprì una nuova specie di Gilia che pubblicò come Gilia triodon. Nel 1905 il botanico tedesco August Brand ritenne che si differenziasse abbastanza dalle altre Gilia per essere assegnata a un nuovo genere, che denominò Aliciella in onore della scopritrice. La proposta di Brand non fu generalmente accettata, e il nuovo genere fu presto abbandonato. Tuttavia, in anni recenti è stato ripristinato sulla base di studi genetici. Appartenente alla famiglia Polemoniaceae, gli sono oggi assegnate oltre venti specie, distribuite in varie aree degli Stati Uniti occidentali, dall'Utah al New Mexico. Sono piccole annuali, biennali e perenni dei deserti o delle montagne, adattate ad ambienti molto specifici, il che le rende fragili e minacciate. Alcune sono anche molto belle, e l'eccessiva raccolta è uno dei pericoli che le insidia. La maggior parte delle specie cresce tra le fessure delle rocce o sui ghiaioni; sono terreni spesso instabili, cui si ancorano penetrando in profondità con le lunghe radici a fittone, talvolta più sviluppate della parte aerea. In questi habitat apparentemente inospitali, dove ben poche piante riescono a crescere, queste fragili bellezze non devono affrontare la concorrenza di altre specie. Mentre le specie annuali sono in genere abbastanza insignificanti, molte tra le perenni sono dei piccoli gioielli dalle fioriture smaglianti. Tra le più notevoli, anche le due più rare: A. caespitosa, un endemismo della Wayne County in Utah che cresce tra le fessure delle rocce di arenaria, oggi nota in solo sei stazioni; e la minuscola e bellissima A. sedifolia delle San Juan Mountains in Colorado, di diffusione così limitata che fino al 2007 si pensava fosse estinta. Ne furono poi scoperte due sole stazioni. Nella scheda qualche informazione anche su altre specie di notevole impatto estetico. Minuscole, tenaci, eleganti, sono tutte perfette per celebrare Alice Eastwood, che non solo amava gli ambienti impervi dove vivono, ma era lei stessa piccola di statura, piena di energia, sempre elegante anche durante le escursioni più avventurose. E da vera signora, non usciva mai senza cappello. Il Rancho Santa Ana Botanical Garden (RSABG) è una delle più importanti e benemerite istituzioni botaniche della California (anzi, degli interi Stati Uniti). Situato a Claremont, a est di Los Angeles, è il più ricco giardino botanico dello stato integralmente dedicato alla flora locale, con 22.000 piante native appartenenti a 2000 tra specie, ibridi e cultivar. Svolge anche una rilevante attività di ricerca e formazione, con un dipartimento di ricerca specializzato in tassonomia e botanica evolutiva; offre corsi di laurea di secondo livello e stage post laurea, in collaborazione con l'università Pomona di Claremont. Pubblica una rivista e altre pubblicazioni scientifiche. Custodisce una biblioteca specializzata, un archivio di 23.000 documenti (incluse fotografie e illustrazioni botaniche originali), un erbario di 1.200.000 esemplari che comprende tutte le specie della area floristica californiana; promuove la conservazione della flora della California meridionale attraverso una banca dei semi, la salvaguardia, la riproduzione e la diffusione delle sue specie; in campo orticolo, è attivamente impegnato nel produrre e testare nuove cultivar. Organizza innumerevoli attività per le scuole e le comunità locali. Tutto questo è nato dal sogno di una donna tenace e volitiva, Susanna Bixby Bryant, circa 90 anni fa quando solo pochi pionieri si rendevano conto di quanto fosse importante la conservazione delle flore locali. Grazie a uno dei ricercatori che lavorano nel RSABG, da qualche anno a ricordarla contribuisce anche il genere Bryantiella (Polemoniaceae). Il sogno di una donna di carattere Con circa 6000 specie, un terzo delle quali endemiche, la California è lo stato con la flora più ricca degli Stati Uniti. Ma già all'inizio del '900, dopo che la Febbre dell'oro vi ebbe riversato migliaia di uomini in cerca di fortuna, quel tesoro naturale incominciava ad apparire in preoccupante e veloce declino per la pressione delle coltivazioni e dell'urbanizzazione e l'invasione di piante aliene. Tra i primi a rendersene conto, Theodore Payne (1872-1963), giardiniere e vivaista inglese trapiantato in California, dove si era innamorato della peculiare e variegata flora della patria d'adozione. Cominciò così a raccogliere bulbi e semi in natura e a moltiplicarli nel suo vivaio di Los Angeles, specializzandosi nella coltivazione di piante locali. Nel 1915 la città di Los Angeles gli affidò la sistemazione di un'area di 20.000 metri quadri nell'Exibition Park, nel quartiere centrale della città; Payne usò esclusivamente piante native, piantandone 262 diverse specie. Fu probabilmente questa realizzazione di Payne ad ispirare a Susanna Bixby Bryant, una dama dell'alta società californiana, il progetto che avrebbe portato alla nascita di Rancho Santa Ana Botanical Garden. La giovane donna era nata in una famiglia di ricchissimi latifondisti, proprietari di immensi ranch gestiti con modalità industriale, ed aveva trascorso la prima infanzia in una delle proprietà dei Bixby, Rancho Los Alamitos, dove grazie al padre, un imprenditore dalle idee innovative, aveva sviluppato un forte legame con la natura di quei luoghi così particolari, tra mare, colline e deserto. Rimasta presto orfana, fu inviata in un ottimo collegio di Boston dove ricette un'educazione formale insolita per le ragazze dell'epoca, quindi viaggiò a lungo con la madre in Europa e altrove. Al suo ritorno in California, nel 1904, si sposò con Ernest Albert Bryant, il medico personale del magnate delle ferrovie Henry Hungtington (che proprio in quegli anni stava facendo costruire un giardino botanico ricco di essenze esotiche a San Marino, oggi una delle maggiori attrazione dell'area di Los Angeles). Nel 1906, quando la madre morì, Susanna si trovò comproprietaria, con il fratello, di due vaste proprietà, Rancho Los Alamitos e Rancho Santa Ana; decise che ne aveva abbastanza di dividere le sue giornate tra tè, ricevimenti e riunioni di comitati di beneficenza, e, prima donna a farlo, incominciò a gestire di persona l'azienda, dove piantò aranci, noci, peri, melograni e sperimentò nuove introduzioni come pompelmi e litchi. Da tempo desiderava fare qualcosa per onorare la memoria del padre, che aveva perso quando aveva solo sette anni ma non aveva mai dimenticato. Il giardino californiano creato da Payne all'Exibition Park le diede l'idea che cercava: avrebbe trasformato una parte del Rancho Santa Ana (di cui nel frattempo aveva acquisito l'intera proprietà) in un orto botanico interamente dedicato alla flora californiana e l'avrebbe intitolato alla memoria del padre John William Bixby. Non si sarebbe trattato di un giardino privato di piacere; Susanna lo concepì fin da subito come un'istituzione pubblica, con compiti di conservazione, ricerca ed educazione. Per definire il progetto, si avvalse della consulenza di vari esperti, in particolare lo stesso Payne e il professor Willis Linn Jepson dell'Università di California, autore di una flora californiana di riferimento. Il progetto incominciò a prendere corpo nel 1926. All'interno del Rancho Santa Ana, la signora Bryant scelse un terreno singolarmente adatto per riprodurre, sebbene in miniatura, i diversi habitat della California: esteso su circa 160 acri sulle colline lungo il fiume Santa Ana tra 130 e 340 m. sul livello del mare, presentava una grande varietà di suoli e esposizioni, dal pieno sole all'ombra profonda; al momento, era uno spazio nudo, quasi privo di alberi. Prima di iniziare i lavori, ella volle comunque ancora sentire il parere del patriarca della botanica americana, Charles Sprague Sargent, il direttore dell'Arnold Arboretum di Boston. La risposta del burbero botanico fu deludente: a suo parere, riprodurre i vari ambienti della regione e piantare ogni tipo di pianta era assolutamente sconsigliabile; sarebbe stato meglio limitare lo spazio destinato all'arboreto e accontentarsi di una selezione di specie capaci di vivere senza irrigazione, che una volta cresciute avrebbero potuto fare da sé. La signora Bryant non si lasciò scoraggiare e replicò con un pizzico di ironia: "In maniera squisitamente femminile, ho deciso di correre il rischio e intendo procedere con il mio progetto iniziale". Accettò tuttavia il secondo consiglio di Sargent: affidare la progettazione a Ernest Braunton, architetto del paesaggio dell'Università della California meridionale. I lavori iniziarono nel 1927; i primi sette anni vanno considerati sperimentali: furono occupati nella costruzione di una serra, della direzione e degli altri edifici necessari, nella messa a dimora delle piante, inizialmente procurate da Payne, ma poi raccolte dal piccolo staff del giardino (di cui fin dall'inizio fece parte un botanico) in spedizioni in natura, e soprattutto nella verifica della fattibilità del progetto. Nel 1934 Susanna e i suoi collaboratori decisero che la prova era superata ed era ora di trasformare il giardino in un'istituzione formale. Con la stesura dello statuto, la creazione di una fondazione, la nomina di un consiglio d'amministrazione (Trustee), il conferimento di un capitale sociale (grazie a una donazione della signora Bryant) nacque così ufficialmente il Rancho Santa Ana Botanical Garden (RSABG). Negli anni successivi l'orto botanico continuò a crescere, con la creazione di alcuni "giardini speciali": quello dei cactus, quello delle succulente (dedicato in particolare ai generi Sedum e Dudleya), la collezione dei Penstemon, il giardino dei bulbi, quello delle piante acquatiche e di palude, il felceto, il prato naturale di fiori selvatici (con piante della prateria come Clarkia, Gilia, Phacelia). Parallelamente si sviluppò l'attività di ricerca e formazione, in collaborazione sempre più stretta con Pomona University di Claremont, grazie all'arrivo a Santa Ana in qualità di botanico di Philip Munz, grande esperto di flora dei deserti, che insegnava botanica in quella Università. Furono creati un erbario e una biblioteca; vennero organizzate mostre, conferenze, visite guidate; nel 1948 incominciò anche la pubblicazione di una rivista semestrale, Aliso (dal nome locale del platano della California o sicomoro, Platanus racemosa), che poi si sarebbe specializzata in tassonomia e botanica evolutiva. In quel momento, già da due anni la signora Bryant non c'era più: era infatti morta all'improvviso nel 1946; una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Una grande istituzione botanica Al momento della scomparsa di Susanna Bixby Bryant, l'istituzione nata dal suo sogno e dalla sua determinazione era ormai in grado di reggersi sulle sue gambe. Da tempo la signora Bryant e i suoi collaboratori pensavano che la collocazione del giardino, pur eccellente sotto molti punti di vista e così colma di significato simbolico e affettivo, fosse però troppo periferica per permettere la frequentazione continuativa degli studenti e dei dottorandi di Claremont. Fu così che, senza tradire la volontà della fondatrice, nel 1950 il giardino venne trasferito nell'attuale sede, ai piedi della collina San Gabriel a Claremont; invariati rimanevano gli obiettivi: in primo luogo, la conservazione della flora della California attraverso lo sviluppo delle collezioni vive del giardino botanico; il suo studio attraverso la ricerca sul campo, i laboratori, la collaborazione con l'Università; la divulgazione della conoscenza delle piante native e la loro diffusione in giardini pubblici e privati. Oggi il RSABG è una grande istituzione scientifica, retta da un nutrito staff professionale ma anche dall'entusiasmo di centinaia di volontari; è aperta alle scuole e al territorio, ospita stages di formazione e i corsi di dottorato in botanica dell'Università di Claremont; ha un dipartimento di ricerca specializzato in sistematica e botanica evolutiva; si è dotato di una banca dei semi e partecipa attivamente ai progetti di reintroduzione con semenzali prodotti e testati nei propri vivai. Per altre informazioni sulle collezioni, i progetti scientifici, i progetti di ricerca, le attività divulgative e didattiche si rimanda al sito del RSABG. Su un'estensione di 86 acri (35 ha), il giardino ospita oltre 20.000 piante native, appartenenti a circa 2000 tra specie, ibridi e cultivar. Si incontrano le prime già a far ombra al parcheggio; tra di loro due esemplari di Juglans californica, il noce della California. Subito dopo l'ingresso, si trova il negozio del vivaio, dove il visitatore può trovare in vendita le piante native e le cultivar sviluppate nel giardino: sono oltre 75, e tra di esse si annoverano numerosi Arctostaphylos, Ceanothus, Fremontodendron, Heuchera. Subito dopo, si passa in mezzo a un prato naturale, Fay's Wildflower Meadows, un tappeto fiorito ricchissimo di specie sempre mutevole nel corso delle stagioni, con il massimo di fulgore tra metà inverno e inizio dell'estate; tra gli altri, ad attirare visitatori, farfalle e colibrì, Eschscholzia californica, Lupinus albifrons e Calochortus clavitus. La visita può proseguire lungo il sentiero facilitato che conduce alla parte bassa o arrampicarsi immediatamente sulla Indian Hill Mesa. Il giardino è infatti diviso in tre settori principali: in basso, l'East Alluvional Garden e le Plant Communities, in alto, con un dislivello di una dozzina di metri, appunto la Indian Hill Mesa, una tipica formazione rocciosa con fianchi scoscesi e cima pianeggiante. L'East Alluvional Garden ospita le piante di vari habitat: le succulente del non lontano deserto di Mojave nel California Desert Garden, le specie costiere nel Costal Dune Garden, la peculiare flora delle isole nel Grafton Channel Island Garden. Di grande impatto la Palm oasis, che riproduce una oasi del Colorado Desert, dominata dall'unica palma nativa, Washingtonia filifera, di cui si possono ammirare esemplari che superano i 20 metri, con le foglie secche lasciate al loro posto, come in natura, a fare da gonnellino e a proteggere dall'arsura. Al limitare di questo settore, si incontra il patriarca del giardino, il Majestic Oak, un esemplare di Quercus agrifolia la cui età stimata è di 250 anni. Su un'area di circa 55 acri si estende il settore più selvaggio del giardino, le Plant Communities, in cui le piante sono lasciate il più possibile allo stato di natura. Qui il momento migliore è l'inverno, dopo che le piogge autunnali hanno risvegliato le piante assopite dai calori estivi. Tra le varie comunità rappresentate, i chaparral della California meridionale e settentrionale, il bosco pedemontano umido, i boschetti di ginepri della California settentrionale nonché comunità specifiche dominate rispettivamente dai pini di Torrey (Pinus torreyana), dai Joshua Trees (Yucca brevifolia), dai ginepri (Juniperus occidentalis). E' un'area ricca di esemplari notevoli, come un altissimo Boojum tree (Fouquieria columnaris), un enorme Big Berry Manzanita (Arctostaphylos glauca), gli spinosi Crucifixion Thorn (Canotia holacantha), le dorate fioriture di Parkinsonia florida e Fremontodendron californicum, le macchie rosa di Chilopsis linearis. La Indian Hill Mesa è il cuore del giardino, di cui ospita anche la direzione, le strutture didattiche e i vivai; vi si trovano un padiglione delle farfalle, il Giardino delle cultivar, un piccolo stagno ombroso dove nuotano le tartarughe, e naturalmente una distesa di arbusti e alberi, tra cui non possono mancare i giganti della California, Sequoia sempervirens e Sequoiadendron giganteum. Possiamo concludere che il sogno di Susanna Bixby Bryant ha dato buoni frutti. Bryantiella, un fiore per il più arido dei deserti Tra i numerosi botanici che lavorano al RSABG come ricercatori, c'è anche J. Mark Porter, attualmente professore associato di botanica all'Università di Claremont, uno specialista di sistematica e botanica evolutiva. I suoi studi più noti riguardano due famiglie ben rappresentate nella flora californiana, le Cactaceae e le Polemoniaceae. Nel 2000, insieme a L.A. Johnson della Brigham University, ha pubblicato un importante studio su quest'ultima famiglia, in cui ha proposto di staccare cinque piccoli generi da Gilia Ruiz. & Pav., uno dei generi più variegati dei deserti americani. Uno ha voluto dedicarlo alla nostra Susanna, denominandolo Bryantiella. Al momento della sua creazione, gli furono assegnate due specie, con un areale disgiunto: Bryantiella palmeri, un endemismo della Baja California, e B. glutinosa, che vive in diversi ambienti aridi del Cile. Poiché più recentemente (2015) quest'ultima è stata trasferita nel genere Dayia, oggi Bryantiella è un genere monotipico, rappresentata dalla sola B. palmeri. E' un'erbacea che può comportarsi come annuale o perenne, in base al regime delle piogge; ha foglie lineari intere o pennatosette, fusticini sottili, fiori solitari a coppa con cinque lobi bianchi o rosa-violaceo. All'apparenza fragile, si è adattata a uno deserti più aridi del Nord America, il San Felipe Desert in Baja California. Un breve profilo nella scheda. Nel 1803, ultima tappa del lungo viaggio sudamericano, Humboldt e Bonpland si trattengono a lungo a Città del Messico. Il barone tedesco è ammirato dalla bellezza, dall'ordine "rinascimentale" della città, dai suoi giardini colmi di alberi da frutto. Ne visita le istituzione scientifiche, tra cui immancabile il neonato orto botanico (Real Jardín Botánico), rimarchevole per organizzazione e ricchezza delle collezioni nonostante lo spazio angusto, non mancando di elogiarne il curatore, il professor Cervantes, che tanto "si distingue per lo zelo per le scienze della natura". Quel giardino botanico, che al momento aveva appena dodici anni di vita, fu il primo del continente americano (escludendo il giardino di John Bartram a Filadelfia, del 1728, più un giardino-vivaio di acclimatazione che un orto botanico, per gli Stati Uniti bisogna attendere il 1821, con la nascita dell'United States Botanic Garden di Washington). Nato come costola e base operativa della Real Expedición Botánica a Nueva España attorno al 1791, organizzato secondo il sistema linneano, ebbe un ruolo importante per far conoscere la flora del paese e rinnovare lo stesso insegnamento della botanica. La sua anima, più che il direttore nominale Martin de Sessé, fu Vicente Cervantes, che lo resse per un quarantennio, anche dopo il distacco dalla Spagna e l'indipendenza del Messico. Grande didatta, che formò più di una generazione di studiosi, nel suo insegnamento unì la botanica alla chimica, campo in cui fu tra i diffusori del pensiero di Lavoisier. A ricordarlo il poco noto genere Cervantesia, che comprende alberi emiparassiti endemici delle foreste andine. Insegnare Linneo e Lavoisier in Messico La creazione di un orto botanico a Città del Messico, con annessa cattedra universitaria, sul modello del Real Jardin Botanico di Madrid, era stata uno degli obiettivi principali della Real Expedición Botánica a Nueva España che, come ho già raccontato in questo post, si proponeva non solo di esplorare e inventariare la flora del viceregno, ma anche di rifondare l'insegnamento della botanica nella colonia, sul modello "illuminista" ormai impostosi nella madrepatria. Per questo compito, il deus ex machina della spedizione, Casimiro Gomez Ortega, direttore dell'orto madrileno e grande organizzatore delle spedizioni scientifiche che segnarono gli anni a cavallo tra i regni di Carlo III e Carlo IV, scelse il più promettente dei suoi allievi, Vicente Cervantes. Anche se Sessé, come capo della spedizione, era nominalmente sia il titolare della cattedra sia il direttore dell'orto, di fatto, essendo egli principalmente impegnato nelle attività di esplorazione e raccolta, queste funzioni furono esercitate da Cervantes. Quest'ultimo, farmacista di formazione, si era perfezionato come botanico all'Orto di Madrid, dove si era segnalato per la profonda conoscenza sia della sistematica vegetale sia della chimica. Meno coinvolto nelle attività di ricerca (che limitò alle aree prossime alla città, mentre i suoi compagni si muovevano in un vastissimo territorio compreso tra il Canada e la Costa Rica), egli rimase a Città del Messico, dove si occupò dei rapporti (tempestosi) con l'ambiente medico-scientifico locale, delle questioni amministrative, dell'insegnamento universitario, dell'organizzazione delle collezioni, della creazione e della cura dell'orto botanico. Fu lui a scontrarsi con l'Università e il Real Tribunal de Protomedicado, ostili all'introduzione dell'insegnamento della botanica nel curriculum dei futuri medici e preoccupati per la loro indipendenza professionale, minacciata ai loro occhi dagli scienziati illuministi catapultati da Madrid; fu lui a ingaggiare una battaglia aperta con l'erudito messicano José Antonio de Alzate, nemico giurato della nomenclatura e del sistema linneano. Fu soprattutto lui a tenere le lezioni di botanica, divenendo ben presto un insegnante rinomato e carismatico. Installata dapprima nel Collegio dei gesuiti, quindi presso la casa privata di Ignacio Castera, primo architetto di Città del Messico, infine trasferita dal 1790 nei giardini del palazzo del viceré, la cattedra di botanica fu solennemente inaugurata il 6 maggio 1788, con una prolusione di Sessé che esaltava il contributo della scienza botanica al progresso; si trattò anche di un evento mondano, seguito da uno spettacolo pirotecnico durante il quale i fuochi disegnarono tre alberi di papaya con fiori femminili e maschili; da questi ultimi, a imitazione del polline, muovevano raggi di luce che andavano a fecondare i fiori femminili. Secondo alcuni testimoni, comparve anche un ritratto di Linneo e il motto linneano Amor urit plantas, "l'amore infiamma le piante". I corsi, la cui frequenza fu resa obbligatoria per i futuri medici, chirurghi e farmacisti, richiamarono anche un pubblico più ampio di curiosi che includeva militari, religiosi, intellettuali, studenti del Seminario Reale di mineralogia e della scuola d'arte San Carlos. Tra i primissimi allievi Mociño e Maldonado, poi cooptati nella spedizione, seguiti da intellettuali impegnati nei campi più vari, come il medico Luis Josė Montaña, il botanico Juan José de Lexarza, il futuro ministro e naturalista dilettante Lucas Alamán, il compositore José María Bustamante. I corsi, che avevano finalità eminentemente pratiche, univano all'insegnamento del sistema linneano esercitazioni di riconoscimento e nozioni di chimica. L'unione tra botanica e chimica fu anzi la principale peculiarità del magisterio di Cervantes, che adottò come libri di testo il Corso elementare di botanica del suo maestro Casimiro Gomez Ortega e la traduzione spagnola del Corso elementare di chimica di Lavoisier. Centrale per Cervantes fu anche l'indagine sulle proprietà mediche delle piante indigene, che avrebbero dovuto sostituire nella pratica farmaceutica le costose e meno efficaci droghe importate dall'Europa o da altri paesi dell'impero spagnolo. D'altronde, per tutta la vita egli affiancò all'insegnamento (che non gli garantiva entrate sufficienti per mantenere sé e la famiglia) anche l'attività di farmacista, prima presso il principale ospedale della città, poi in una rinomatissima bottega privata (che esportava i suoi preparati, come fornitrice ufficiale della corona, fin nelle Filippine). Pubblicò anche diverse opere sulle piante officinali, destinate a medici e farmacisti, tra cui spiccano Discurso sobre las plantas medicinales que crecen en las cercanías de México (1791) e il postumo Ensayo para la materia médica mexicana (1832). Il primo orto botanico scientifico delle Americhe Ma torniamo all'orto botanico, che fu inaugurato nel 1791. Occorse infatti qualche anno per il progetto e per trovare un luogo adatto; dopo qualche ripensamento, grazie all'offerta del Viceré Revillagigedo, sensibile alle istanze illuministe, fu infine ospitato in un angolo dei giardini del palazzo vicereale. Era uno spazio limitato, ma che offriva il vantaggio di trovarsi nel centro di potere del viceregno ; oltre ad essere la base operativa della spedizione, divenne così il punto di ritrovo dei circoli scientifici della capitale, nonché quasi un'attrazione alla moda. Era organizzato secondo il modello dell'orto botanico di Madrid; c'era in primo luogo un'area didattica, dove si coltivavano le piante utilizzate durante il corso accademico, disposte in 24 parcelle secondo il sistema linneano e separate da canaletti di irrigazione. C'era poi uno spazio riservato alle piante officinali e una serra, destinata all'acclimatazione delle piante. Il viceré mise poi a disposizione alcuni locali: un'aula per le lezioni, una stanza per l'erbario, l'abitazione stessa dei cattedratici. Quando Humboldt lo visitò nel 1803, appariva ammirevole per la buona organizzazione e per la ricchezza delle collezioni, che ammontavano a 1500 specie. Il giardino assolse contemporaneamente a più funzioni. La prima era ovviamente quella didattica: ogni corso (che durava da quattro a sei mesi) prevedeva sei ore di insegnamento teorico alla settimana e esercitazioni pratiche, per le quali Cervantes - oltre ad accompagnare gli studenti a erborizzare nei dintorni della capitale - utilizzava le piante raccolte dai suoi compagni di spedizione nei vari angoli del viceregno. Fu così che descrisse per la prima volta e denominò alcune decine di piante prima poco note o sconosciute alla scienza. Il giardino era poi un centro di acclimatazione dove affluivano le piante raccolte nel corso della spedizione, insieme ai disegni, agli esemplari essiccati, agli animali impagliati, ai minerali. Seguendo le direttive molto precise stilate da Casimiro Gomez Ortega nel 1779, i membri della spedizione erano infatti tenuti a inviare piante vive, scelte per le loro potenzialità economiche o il pregio estetico, che dopo essere state coltivate e acclimatate a Città del Messico, sarebbero state avviate al giardino di Madrid, che a sua volta in diversi casi provvide a distribuirle ai principali orti botanici europei. Fu così che il piccolo giardino di Cervantes giocò un ruolo importante nell'introduzione di specie americane in Europa; tra tutte, vorrei ricordare almeno le Dahliae che nel 1789 Cervantes spedì a Cavanilles, direttore dell'orto madrileno, prima tappa di un viaggio che le ha portate in tutti i nostri giardini. Il giardino del palazzo del viceré era poi una vetrina delle ricchezze naturali del viceregno, uno spazio allo stesso tempo naturale e "costruito", pensato anche per il godimento degli abitanti della capitale e per l'ammirazione dei visitatori stranieri, come Humboldt e l'amico Bonpland, cui doveva dimostrare che, quanto a avanzamento della ricerca scientifica, il regno iberico era ormai all'altezza, se non superiore, delle maggiori nazioni europee. Rimasto in Messico quando Sessé e Mociño passarono in Spagna, dal 1803 Cervantes esercitò anche di nome il ruolo di professore di botanica e direttore dell'orto che aveva fino ad allora sostenuto di fatto. Come riconoscimento dei suoi meriti di pioniere della scienza botanica messicana e studioso della flora nazionale, all'atto della proclamazione dell'indipendenza (1821) non solo non fu espluso, come toccò agli spagnoli, ma, mantenne i suoi incarichi fino alla morte avvenuta nel 1829. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Tuttavia nei decenni successivi, anche come conseguenza della turbolenta situazione politica del Messico, la cattedra rimase vacante e il giardino fu di fatto abbandonato a se stesso, come testimonia una lettera della signora Calderón de la Barca che lo visitò nell'aprile 1840; benché conservasse alcuni resti del passato splendore nel suo stato d'abbandono era "un malinconico esempio dell'arretramento della scienza in Messico". Dopo un episodico tentativo di rilancio voluto dall'imperatore Massimiliano (1864-1867), bisognò attendere i grandi lavori di ristrutturazione degli spazi aperti del Palazzo nazionale (così fu ribattezzato il Palazzo del Viceré all'atto dell'indipendenza) della fine del secolo scorso per un restauro - anche se su un'estensione alquanto ridotta - di questo giardino tanto importante nella storia del paese. Anzi, dell'intero continente americano, visto che precedette di decenni la fondazione del primo orto botanico scientifico degli Stati Uniti, quello sorto a Washington nel 1821 per decreto del Congresso. Cervantesia, alberi emiparassiti Furono i protagonisti di un'altra delle grandi spedizioni botaniche della Spagna di fine Settecento, Hipolito Ruiz e José Anton Pavón, a dedicare all'allora giovane collega "messicano" una delle innumerevoli piante da loro scoperte nel corso dell'esplorazione del Viceregno di Perù. Il genere Cervantesia, da loro stabilito nel 1794, appartenente alla famiglia Santalaceae, comprende due specie di alberi - C. bicolor e C. tomentosa - native di Colombia, Ecuador e Bolivia. Come tutti i membri di questa famiglia, si tratta di piante semiparassite delle radici o delle parti aree dell'ospite; la specie più nota, C. tomentosa, è un arbusto o albero delle foreste andine, coperto in tutte le sue parti da un denso indumento rossastro, con piccoli fiori verdastri a stella privi di petali e frutti a capsula. Mentre di questa specie sono reperibili alcune fotografie e la descrizione, per C. bicolor non ho trovato nulla al di là del nome e della distribuzione. Rimando comunque alla scheda per una sintesi delle scarse informazioni reperite. L'8 aprile 1788 nacque ufficialmente la Linnean Society di Londra, la più antica e più prestigiosa società dedicata allo studio e alla divulgazione della classificazione degli esseri viventi. Lo scopo fondamentale della nuova associazione era valorizzare le collezioni di Linneo che il giovane James Edward Smith aveva acquistato e fatto portare a Londra, probabilmente salvandole dal degrado o dalla dispersione. Per quarant'anni presidente della Linnean Society e custode di quella inestimabile eredità, egli stesso attivissimo studioso di botanica e entomologia, Smith faticò tuttavia a scrollarsi di dosso le riserve di coloro che pensavano dovesse il suo prestigio più ai soldi che alla competenza scientifica. Ne è prova la curiosa polemica che accompagnò la nascita del genere Smithia. Le collezioni di Linneo arrivano a Londra La mattina del 23 dicembre 1783 Joseph Banks sta facendo colazione nella sua elegante casa di Soho Square con un giovane ospite, lo studente di medicina James Edward Smith, quando riceve una lettera dalla Svezia: il figlio di Linneo è morto e la madre gli offre i manoscritti, la biblioteca e le collezioni del grande naturalista per 1000 sterline. Banks che, pure cinque anni prima aveva fatto un'offerta anche più consistente, è imbarazzato: pur ricchissimo, sul momento non dispone di quella somma (l'equivalente più o meno di 175.00 euro). Ma poi ha un'idea: perché il giovane Smith, figlio di un facoltoso mercante di Norwich, non chiede i soldi al padre, diventando così con un solo gesto il salvatore dell'eredità di Linneo e un benemerito della scienza e della patria? James Edward è entusiasta, il padre e il fratello maggiore un po' meno. "Mio caro James - gli scrive il padre - la somma è molto forte, il rischio e le difficoltà grandissimi, l'ansia prodigiosa e la possibilità di delusioni più grandi ancora". Ma quando dalla Svezia arriva il catalogo e il mercante scopre che il solo valore dei libri copre più che ampiamente la somma richiesta, annusa l'affare e apre il portafoglio. Nella primavera successiva, prima che si facciano avanti altri acquirenti (si vocifera che sia interessata anche la zarina Caterina II) o che le autorità svedesi pongano il veto, la trattativa viene conclusa; ad agosto Smith riesce anche a convincere il Tesoro a rinunciare alle tasse di importazione e ad ottobre, chiuse in 26 casse, le collezioni di Linneo lasciano la Svezia a bordo del brigantino Appareance. Si dice che il re di Svezia, appena rientrato dall'estero, abbia mandato una nave da guerra all'inseguimento; benché colorito (e raffigurato in una stampa dell'epoca), l'aneddoto è falso. Fu così che l'eredità scientifica di Linneo giunse in Inghilterra, e Londra sostituì Uppsala come capitale della biologia sistematica. Smith era ora il proprietario e il custode di una collezione inestimabile che comprendeva 19000 fogli di erbario, 3198 insetti, 1564 conchiglie, 2500 minerali, almeno 3000 libri e 4000 tra lettere e manoscritti. Inizialmente avrebbe voluto affidare il tutto al British Museum, ma poi decise di fare trasportare i materiali nella sua casa di Chelsea; Banks e il suo segretario Dryander lo aiutarono in un primo sommario esame, che servì soprattutto a individuare i doppioni. Intanto il padre di Smith sollecitava il figlio a riprendere gli studi di medicina; James Edward invece preferì partire per un grand tour di diciassette mesi in Europa, nel corso del quale si laureò in medicina a Leida, visitò la Francia e l'Italia e prese contatto con eminenti personalità dell'ambiente scientifico. Al suo ritorno a Londra, informò il padre che non intendeva seguire la carriera medica, ma che sarebbe diventato un naturalista (fin dal 1784 era stato ammesso alla Royal Society); il suo obiettivo principale era ora fondare una nuova società di storia naturale che divenisse custode e divulgatrice dell'eredità linneana. Per ospitare più degnamente le collezioni, affittò una nuova casa londinese a Great Marlborough Street; con il sostegno di Banks, insieme a Samuel Goodenough (classicista, teologo e naturalista dilettante, che qualche anno dopo sarebbe diventato vescovo di Carlisle) e Thomas Marsham (funzionario dello Scacchiere, appassionato di entomologia) fondò quindi la Linnean Society, le cui riunioni preliminari si tennero in un caffè di Marlborough Street il 26 febbraio e il 18 marzo; nella prima riunione generale (8 aprile 1788), tenuta invece nella casa di Smith, la società venne fondata ufficialmente e Smith, Goodenough e Marsham furono eletti rispettivamente presidente, tesoriere e segretario; Dryander fu nominato bibliotecario onorario. Inizialmente i membri erano 20, cui si aggiungevano 39 corrispondenti esteri, 11 associati e tre membri onorari (uno dei quali era Joseph Banks). Un'attività febbrile e molte polemiche La società prese a riunirsi regolarmente a casa di Smith due volte al mese, con una pausa estiva da luglio a ottobre. In cambio di un affitto di 20 sterline l'anno, aveva a disposizione due stanze, il locale per le riunioni e la biblioteca, che incominciò a crescere anche grazie alle donazioni di molti privati, tra cui lo stesso Banks. Inoltre dal 1794 presero ad uscirne i rendiconti, Transactions of the Linnean Society of London, che ben presto divennero una delle più prestigiose riviste scientifiche del pianeta. L'attività della Società, tuttavia, si reggeva su una situazione ambigua: era preposta allo studio e alla divulgazione delle collezioni di Linneo, che tuttavia erano di proprietà di Smith. Si riuniva nella sua casa ma non sembra, a parte l'uso della biblioteca, che i membri godessero di particolari privilegi per l'accesso alle collezioni. La situazione peggiorò quando nel 1796 Smith si sposò e insieme alla moglie decise di vivere a Norwich nove mesi all'anno, trascorrendone a Londra solo tre. Le presenze di Smith alle riunioni si fecero sempre più rare; inoltre, egli mise in vendita i minerali e fece trasportare il resto delle collezioni nella sua residenza di Norwich. La decisione arrivò dopo anni di assiduo impegno, che avevano logorato i nervi e la salute di Smith. Oltre a intrattenere gli ospiti che visitavano la sua casa, teneva conferenze di botanica e zoologia al Guy hospital e nella sua stessa dimora; dava lezioni di scienze naturali alla regina e alle principesse reali; aveva un'intensa attività di pubblicista; tra il 1790 e il 1793 iniziò la collaborazione con il grande illustratore Sowerby, per il quale scrisse le descrizioni della sua flora dell'Australia Icones pictae plantarum rariorum descriptionibus et observationibus illustratae. La residenza a Norwich consentiva a Smith - che comunque rimaneva al centro di una vastissima rete di corrispondenti, ai quali scriveva assiduamente - di sottrarsi alle "invidie e alle maldicenze, o anche peggio, tipiche degli artisti e degli autori di una grande città", come scrisse a Banks. D'altra parte, la sua posizione di custode del verbo linneano gli dava prestigio, ma allo stesso tempo ne limitava le possibilità di affermarsi come ricercatore originale; è significativo il fatto che la sua opera più importante, English botany, una gigantesca flora illustrata della Gran Bretagna, in 36 volumi (in 267 fascicoli mensili pubblicati nell'arco di 23 anni, dal 1791 al 1814), non sia uscita sotto il suo nome, ma sotto quella dell'illustratore James Sowerby, quasi Smith avesse ritegno nel firmare pubblicamente un'opera divulgativa. Non a caso, nonostante il sostegno di amici importanti come Banks, l'indubbio prestigio internazionale, una produzione sterminata (si calcola che abbia curato 3348 voci per l'Enciclopedia di Rees, in cui tra l'altro descrisse numerose piante inedite), il ruolo di curatore della più bella opera di botanica del suo tempo, la Flora graeca di Sibthorp, Smith non riuscì ad affermarsi sul piano accademico: nel 1814, la sua candidatura come professore di botanica a Cambridge fu respinta a causa della sua affiliazione religiosa (apparteneva alla chiesa unitariana); nel 1819, anche l'università di Edimburgo respinse la sua candidatura. Ma i dispiaceri più cocenti arrivarono da un vecchio amico dei tempi dell'Università, anch'egli tra i primi membri della Linnean Society, Richard Salisbury. A dividerli, furono rivalità sia personali sia scientifiche. Nel 1802, una discussione sui sistemi di classificazione (Smith difendeva il sistema linneano, Salisbury la classificazione naturale di Antoine-Laurent de Jussieu) sfociò in un violento litigio, in seguito al quale il permaloso Smith cercò di fare terra bruciata intorno a Salisbury inviando lettere di fuoco ai suoi corrispondenti. Nel suo moralismo poco sopportava i modi disinvolti dell'ex amico che, per non pagare gli alimenti alla moglie, aveva dichiarato una finta bancarotta (a quanto pare, danneggiando anche gli interessi finanziari di una sorella di Smith) e non aveva trovato di meglio che accompagnare in un bordello londinese un sedicenne protegé di Smith, un futuro pastore appena arrivato nella capitale. La rivalità tra i due raggiunse il parossismo nel 1804, quando Salisbury pubblicò un opuscolo in cui accusava Smith di aver copiato parola per parola nei suoi libri ottocento descrizioni linneane. D'altra parte, di plagi Salisbury si intendeva perfettamente: pochi anni dopo, sarebbe stato messo al bando dalla botanica inglese per aver pubblicato come propri i nomi delle Proteaceae creati di R. Brown (l'ho raccontato in questo post). Ma torniamo a Smith e alle collezioni di Linneo. Che queste ultime fossero a suoi occhi una proprietà personale, benché se ne proclamasse il custode in nome dell'umanità, fu chiaro alla sua morte, avvenuta nel 1828. A ereditarle non fu la Linnean Society, come probabilmente tutti si aspettavano, ma la moglie, che si affrettò a metterle in vendita. L'acquirente fu la stessa Linnean Society, che sborsò oltre 3000 sterline : tre volte il prezzo iniziale! E' vero che nel frattempo si erano aggiunte le ingenti collezioni dello stesso Smith, ma si può dire ugualmente che suo padre aveva visto giusto: l'acquisto dei materiali di Linneo era stato davvero un ottimo affare. Per trovare il denaro, la società dovette ricorrere a prestiti, riuscendo a estinguere il proprio debito solo più di trent'anni dopo, nel 1861. Per altre informazioni sulla vita di Smith e almeno sulle principali tra le sue numerose pubblicazioni, rinvio alla sezione biografie. Piante e botanici irritabili La rivalità tra Smith e Salisbury ebbe un curioso strascico che riguarda il genere Smithia. Nel 1789 nel terzo volume del catalogo dell'orto botanico di Kew (Hortus kewensis), con il nome Smithia sensitiva viene descritta una pianta indiana, introdotta in Inghilterra nel 1785. Pubblicato sotto il nome di W. Aiton, il giardiniere capo di Kew, Hortus Kewensis è in realtà un'opera collettiva, in cui le descrizioni furono redatte dai segretari di Banks (prima Solander e poi Dryander), mentre Aiton vi aggiunse informazioni sulla provenienza, l'introduzione in Inghilterra e indicazioni di coltivazione. Benché venga indicato nei repertori come Smithia Aiton, il nome del genere si deve dunque congiuntamente a Aiton e Dryander. Essi avrebbero dedicato questa modesta annuale della famiglia Fabaceae al fondatore della Linnean Society perché si tratta di una pianta sensitiva, ovvero di una di quelle che quando sono sottoposte a uno stimolo ritraggono o chiudono le foglie (argomento al quale, l'anno prima, Smith aveva dedicato il saggio Some observations on the irritability of vegetables). Nel 1808, in una lettera al direttore del Monthly Magazine, Salisbury dichiarò tuttavia che a creare il nome era stato lui, che aveva coltivato la pianta prima di tutti (già nel 1786 ne aveva inviato i semi a André Thouin del Jardin des Plantes) e che l'aveva nominata Smithia tre anni prima di Dryander, ma non per le ragioni che credeva il suo rivale. Secondo una (maligna) tradizione risalente a Linneo, si trattava in realtà di un suo ritratto vegetale: il fatto era che lui, Smith, era proprio un tipo irritabile, come aveva dimostrato per altro prendendosela a male per quello che era in fondo uno scherzo innocente. E in Paradisus Londinensis, fingendo di fare ammenda, rincarerà la dose, scrivendo: "Non che io abbia mai pensato che [Smithia] sia adeguata a commemorare i suoi meriti botanici, trattandosi di un'insignificante e ispida annuale; ma quella è ancora la mia opinione su alcuni dei suoi lavori". Nel loro odio reciproco, i due rivali cercarono anche di mettere di mezzo de Candolle: come quest'ultimo ricorda nelle sue memorie, quando stava sottoponendo a revisione tassonomica alcune denominazioni, Smith lo pregò di cancellare Smithia, perché si trattava di una pianta indegna che gli era stata dedicata come gesto di disprezzo; a sua volta Salisbury chiese di cancellare Salisburia perché non voleva debiti di riconoscenza con Smith che gliela aveva dedicata quando erano ancora amici. Forte delle ferree regole della nomenclatura botanica che aveva contribuito lui stesso a dettare, de Candolle giudicò che Smithia fosse un nome perfettamente legittimo, e lo lasciò; cancellò invece Salisburia, ma non per fare un piacere a Salisbury, bensì in nome della regola della priorità (si tratta di Gingko L.). Ma com'è questa Smithia, la pianta dello scandalo? E' un piccolo genere di erbacee o arbustini della famiglia Fabaceae (leguminose) soprattutto asiatico, ma presente anche in Africa e Australia, con massima diversità nel subcontinente indiano (diciassette specie su venti, con undici endemismi, nove dei quali confinate nei Gathi occidentali); alcune specie sono invece molto diffuse (tra di esse proprio S. sensitiva, presente in una vasta fascia da tropicale a temperata dall'Africa all'Australia). A parte un'unica specie quasi arbustiva, sono piccole erbe annuali, a volte dal portamento strisciante, delicate, con un ciclo annuale legato alle piogge; hanno modesti fiori papilionacei di diversi colori, ma prevalentemente gialli, spesso così piccoli da risultare insignificanti; fa eccezione S. setulosa, con vistosi fiori gialli con macchie aranciate, che dopo le piogge trasformano in una distesa dorata gli altopiani dei Gathi. Alcune specie molto comuni sono usate come foraggio e diverse hanno usi officinali nella medicina tradizionale. Qualche particolare in più nella scheda. L'abbé Nolin (così viene per lo più chiamato) è la primula rossa della botanica francese del Settecento. Direttore dei vivai reali dal 1765 al 1794, consigliere botanico di Luigi XV e Luigi XVI, con un ruolo di primo piano in grandi progetti come il reimpianto del parco di Versailles e la creazione della stazione sperimentale di Rambouillet, corrispondente di Franklin e di molti altri, il suo nome salta sempre fuori nelle vicende botaniche dell'epoca; eppure fu ben presto dimenticato e di lui sappiamo pochissimo. Doveroso omaggio di un botanico al quale cambiò la vita, rimane a ricordarlo il genere Nolina. Un direttore innovativo per i vivai reali Un piccolo aneddoto, riferito dal grande botanico Petit-Thouars, che a sua volta avrebbe diretto quell'istituzione, ci racconta come l'abate Pierre-Charles Nolin fu nominato sovrintendente dei vivai del re. Nolin era un modesto canonico del convento parigino di Saint-Marcel, ma si era fatto una discreta fama di naturalista e di agronomo; nel piccolo giardino annesso al convento coltivava piante rare e nel 1755 ne aveva pubblicato il catalogo nell'opuscolo Essai sur l'agricolture moderne, scritto a quattro mani con un confratello, l'abate Blavet. Nel 1764, Mme de Pompadour volle visitare quel giardino; l'abate gliene offrì i più curiosi prodotti; la favorita, colpita, lo introdusse presso il re che poco dopo lo nominò controllore dei vivai reali. Le Pépinières du Roi erano preposte alla coltivazione di alberi, arbusti, bulbose e perenni da fiore destinati alle residenze reali. Un primo piccolo vivaio era stato creato a Parigi nel 1640, ma l'enorme numero di essenze necessarie per il parco di Versailles (inizialmente prelevate in natura o acquistate da privati), lo rese insufficiente, spingendo a creare una serie di vivai anche a Versailles. Istituiti nel 1693, inizialmente occupavano appena tre arpenti, cioè poco più di un ettaro; una trentina di anni dopo, erano progressivamente cresciuti, fino a estendersi su 142 arpenti (ovvero un sessantina di ettari), divisi in 14 parcelle. Il loro scopo principale era la coltivazione degli alberi destinati ai viali e ai boschetti di Versailles e Marly: olmi, tigli, ippocastani, frassini, castagni, querce, carpini, aceri, e "épines", ovvero arbusti spinosi, in particolare prugnoli e biancospini; importanti erano anche i bossi, che formavano le bordure delle aiuole formali. Al vivaio parigino, spostato più a nord nel 1720 e da quel momento denominato Pépinières du Roule, continuò ad essere affidata la produzione di perenni da fiore, bulbose, arbusti da fiore, arbusti da potare in forme geometriche (in particolare agrifogli), esotiche. A presiedere questo complesso sistema l'ispettore dei vivai reali (controleur des Pépinières du Roi); il primo fu Noël Baudet de Morlet, che mantenne l'incarico fino alla morte, nel 1725, trasmettendolo poi al figlio, Charles-Nicolas Beaudet de Morlet, che aveva collaborato con il padre fin da giovanissimo e diresse i vivai per un quarantennio, fino al 1764, quando gli subentrò appunto l'abate Nolin. Nolin era un agronomo e un botanico innovatore, in corrispondenza con colleghi di molti paesi stranieri; proprio in Essai sur l'agricolture moderne aveva espresso apertamente le sue critiche al giardino formale alla francese e il suo desiderio che anche i giardini della sua patria si aprissero alle specie esotiche e al nuovo gusto naturale. Nelle prime righe della prefazione, leggiamo: "L'abbondanza e la varietà sono il principale merito di un grande giardino; tuttavia, osservando la maggior parte dei giardini di questo paese, sembra che l'immensa e ammirevole fecondità della Natura ci sia estranea, e che non sia fatta per noi. Gli Inglesi, gli olandesi, e anche altri, non la pensano così, e i loro giardini non sono meno ben disegnati dei nostri, e in più hanno il vantaggio di unire molte specie di alberi e arbusti. [...]. Le diverse forme date da un abile architetto non possono evitare la noiosa uniformità del nostro modo di piantare; e infatti, che cosa si trova nelle varie parti di un vasto giardino? Viali di tigli, di olmi e di ippocastani, eternamente fiancheggiati da carpini, salici e boschetti piantati allo stesso modo". Come cambiare, lo spiega qualche pagina dopo: "Piantare un vasto giardino in modo simmetrico con le stesse specie di alberi è un errore, e non lo è meno usare la stessa simmetria nell'organizzazione delle singole parti che lo compongono. Un'aria di disordine, di capriccio, quasi di trascuratezza, vuol dire dare un aspetto di verità, un'aria campestre, più analoga alla Natura e che meglio ne imita l'amabile bizzarria". Queste idee innovative, che probabilmente erano in consonanza con i gusti e i desideri del re Luigi XV, poterono realizzarsi solo in parte: non nei vivai di Versailles, il cui compito era per natura conservativo, ma piuttosto in quello parigino, che riforniva le piante per la residenza preferita del sovrano, il Trianon. La gestione dei vivai reali Infatti, i vivai reali di Versailles e di Parigi avevano compiti differenti, ed erano affidati, sulla base di un appalto, a due diversi imprenditori privati. In base ai contratti che ci sono pervenuti, quelli di Versailles avrebbero dovuto essere in grado di fornire annualmente una quantità enorme di piante: 25.000 alberi di tutte le specie e dimensioni; 9.000 alberi da frutto; 270.000 carpini di tutte le dimensioni; 450.000 olmi, aceri, "épines" e altri; 90.000 querce e castagni; 500 scatole di bossi (cioè quasi un milione di pianticelle). Di fatto, le richieste erano molto inferiori: ad esempio, tra il 1762 e il 1772, vennero forniti 8483 alberi da frutto, cioè in dieci anni meno della produzione fissata per un singolo anno. All'inizio di ogni anno, il controllore degli edifici reali redigeva una lista delle piante necessarie per la manutenzione, da consegnare nell'autunno per l'impianto; Nolin, nella sua veste di controllore dei vivai, ratificava l'ordine e lo trasmetteva all'imprenditore, che avrebbe curato la fornitura. Mediamente, per la manutenzione di Versailles, questa ammontava per ciascun anno a circa 3300 alberi, cui si aggiungevano 630 carpini, una cinquantina di scatole di bossi e altrettanti agrifogli. Ai vivai giungevano anche richieste di privati, in particolare membri della corte, che venivano accettate solo se le piante erano disponibili una volta soddisfatti gli ordini reali. In teoria, dunque, la produzione eccedeva enormemente i bisogni; in pratica, i problemi non erano pochi. Ripetutamente, Nolin lamenta che i vivai vengono devastati dai cervi, dai caprioli e dai daini, penetrati dagli accessi lasciati aperti da cacciatori e viandanti; gli animali fanno strage anche delle pianticelle trapiantate nel parco reale, decimate pure dalla mancanza di cure e dal trapianto in terreni poco adatti e ormai troppo sfruttati; l'ombra è eccessiva e toglie luce a molte piante. Si aggiunga una crescente crisi finanziaria; gli imprenditori non vengono pagati e vogliono stracciare i contratti; a loro volta non possono pagare i lavoratori, che sono ridotti alla fame. Un anno, le piante, pur disponibili nei vivai, non vennero piantate perché a Versailles mancavano i giardinieri che avrebbero dovuto occuparsi del trapianto. Il degrado divenne tale che, come vedremo, nel 1774-75, all'avvento di Luigi XVI, fu necessario un reimpianto totale. Essendo le piante destinate alla manutenzione ordinaria (i cosiddetti regarnis) e non a nuovi impianti, nessuna innovazione era in questione. Dunque oggetto delle richieste erano gli eterni e tanto deprecati olmi, carpini, querce ecc. Diverso il discorso per il vivaio parigino, destinato a coltivazioni più specializzate e aperto alla sperimentazione; su una superficie di circa 5 arpenti (un ettaro e mezzo) comprendeva venticinque quadrati, venti grandi e cinque piccoli, ciascuno con una destinazione specifica: nei cinque piccoli si coltivavano i bulbi, dei grandi uno era destinato alle margotte, quattro agli agrifogli (predisposti per la successiva potatura formale), tre alle conifere, uno ai sempreverdi, due ai lillà, sette agli arbusti da fiore (in particolare ai rosai), due alle erbacee da fiore. A parte gli agrifogli (destinati a Versailles), la produzione era rivolta ad altre residenze reali, in particolare al parco del Trianon. Qui Luigi XV, sordo alle richieste di Nolin per quanto riguarda Versailles (per lui, nulla di più che un terreno di caccia) aveva fatto costruire il Nouveau Jardin du Roi, cui non lesinava denaro e attenzioni; oltre a un piccolo zoo, comprendeva anche un frutteto modello dove si coltivavano esotiche ancora poco note in Francia e si sperimentavano sempre nuove varietà (particolarmente di moda le fragole coltivate da Duchesne). A partire dal 1759, si aggiunse un orto botanico che, sotto la direzione di Claude Richard, divenne uno dei più importanti d'Europa, con oltre 4000 varietà. Dunque, le innovazioni di Nolin qui erano benvenute. Grazie ai suoi contatti internazionali (che spaziavano dai missionari in Cina ai collezionisti britannici ai primi venditori americani) egli poteva procurarsi piante rare, da mettere a disposizione del Jardin des Plantes, dell'orto botanico del Trianon e anche dei viavai provinciali che forse vennero creati per sua iniziativa; in tal modo, secondo Petit-Thouars, la Pépinière du Roule "divenne una specie di metropoli che forniva ai vivai delle province alberi esotici utili e piacevoli". Secondo la testimonianza di Thomas Blakie, volle anche creare un giardino di acclimatazione nei pressi di Tolone o Marsiglia, dove venivano coltivate le piante ritenute inadatte agli inverni parigini; tra di esse, uno dei primi Ginkgo biloba coltivati in Francia. Nel 1774 Luigi XVI succedette al nonno; il suo regno, che si sarebbe concluso tanto tragicamente, venne salutato con speranza come una nuova era anche in campo botanico. Nolin mantenne il suo ruolo di consulente reale e fu coinvolto direttamente nei principali progetti botanici del giovane sovrano, in primo luogo il reimpianto del parco di Versailles. Attuato nell'inverno 1774-75, comportò l'abbattimento di alberi e arbusti risalenti all'epoca di Luigi XIV; le siepi che formavano le pareti delle "sale verdi" furono soppresse e sostituite con boschetti. A Nolin fu affidato il compito di indicare le specie più adatte; con l'aiuto di Leroy e Thouin, l'abate redasse una lista dettagliata, scegliendo le specie anche in base alla natura del terreno e all'esposizione. Niente costose esotiche, comunque. La preferenza andò a tigli, ippocastani e soprattutto querce. A Rambouillet, acquistato dal re nel 1773, venne invece creato un centro sperimentale che comprendeva anche un vivaio per la sperimentazione, la moltiplicazione e l'acclimatazione di essenze esotiche, soprattutto alberi forestali americani che si sperava potessero rinvigorire il patrimonio forestale nazionale. Di nuovo Nolin fu coinvolto e mise a disposizione i suoi contatti americani (tra cui Franklin, con il quale scambiava semi e pianticelle) per assicurare il successo della missione di André Michaux, inviato nel 1785 negli Stati Uniti per cercare piante adatte ad arricchire le foreste e i giardini francesi. Negli ultimi anni della sua vita, Nolin volle essere affiancato da un nipote, Louis de Lezermes. Forse il suo ultimo contributo fu la trasformazione di un giardino donato allo stato nell'isola di Hyères in giardino di acclimatazione. Qui, a partire dal 1782, Nolin creò un aranceto modello, che assicurava l'indipendenza finanziaria dell'istituzione, e un giardino destinato alla coltivazione delle specie esotiche. Scoppiata la rivoluzione, nel 1792 ebbe il dispiacere di vedere questo gioiello messo in vendita come bene nazionale, nonostante il tentativo di Broussonet di salvarlo trasformandolo in una sezione del Jardin des Plantes riservata allo studio delle piante dei paesi caldi. Nolin morì poco dopo, nel 1794 o nel 1795. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Piante che non hanno mai sete Proprio ad André Michaux, che Nolin aveva contributo a inviare negli Stati Uniti, si deve la dedica del genere Nolina (nel primo volume di Flora boreali-americana, 1803). Oggi assegnato alla famiglia Asparagaceae nel sistema APG III, è stato precedentemente assegnato alle Ruscaceae oppure a una famiglia propria, Nolinaceae (con i quattro generi Nolina, Beaucarnea, Calibanus e Dasylirion). Comprende circa 25 specie xerofile del Messico e degli Stati Uniti meridionali (dal Texas alla California), caratterizzate da una rosetta di centinaia di foglie nastriformi, coriacee, con margini seghettati, ruvidi al tatto, che in alcune specie nascono al livello del terreno, in altre coronano un tronco legnoso più o meno alto. L'infiorescenza, eretta, molto decorativa, comprende migliaia di piccoli fiori crema; a differenza di specie affini come le agavi, sono policarpiche e dioiche. Poco noto da noi (mentre è notissima Beaucarnea recurvata, spesso ancora conosciuta con il vecchio nome Nolina recurvata), comprende specie molto decorative, tutte resistentissime alla siccità, alcune delle quali sorprendentemente rustiche. Tra le più interessanti, la messicana N. nelsonii, dall'aspetto di una piccola palma, con una corona di strette foglie grigio-azzurre che si dipartono da un tronco che in un esemplare maturo può raggiungere tre o quattro metri; N. longifolia, originaria del Messico, con fusto ingrossato alla base, portamento arboreo, dimensioni imponenti, foglie molto lunghe che ricadono a cascata e infiorescenze irregolarmente ramificate che superano il metro. N. bigelowii, priva di tronco, si presenta come un grande ciuffo d'erba; originaria degli altipiani degli Stati Uniti sudoccidentali e del Messico, è rustica. Qualche approfondimento nella scheda. Questa storia inizia come una fiaba. C'è un bambino nato in orto botanico creato dalla mente e dal cuore di un vecchio zio; c'è un giovanotto che si impegna per risollevare l'orto della sua infanzia dalle ingiurie degli uomini e della storia; c'è un uomo maturo che con sagacia e intelligenza trova i collaboratori giusti per trasformare quel giardino nell'istituzione scientifica più importante del mondo; c'è un vecchio che, ormai ritiratosi dalle glorie e dagli affanni del mondo, nel suo giardino chiude gli occhi in pace. Quel bambino, quel giovanotto, quell'uomo, quel vecchio, sono la stessa persona: Guy-Crescent Fagon, il medico del Re Sole, il vero fondatore della reputazione scientifica del Jardin des Plantes di Parigi. Il giardino del destino Nel 1637, le frenetiche attività di Guy de la Brosse per allestire il tanto sospirato Jardin royal des plantes médicinales di Parigi, sono momentaneamente interrotte da una lieta circostanza: il matrimonio di sua nipote Louise con Henri Fagon, commissario ordinario della guerra. Un anno dopo, proprio nell'appartamento assegnato all'intendente, alla coppia nasce un bambino, il piccolo Guy-Crescent (il nome è un omaggio allo zio Guy, suo padrino). Il padre è spesso lontano per le incombenze del suo ufficio, così il bambino cresce nel Jardin e secondo Fontenelle (che di Fagon, molti anni dopo, scriverà l'elogio funebre) "i primi oggetti che vide furono le piante, le prime parole che balbettò furono nomi di piante; la lingua della botanica fu la sua lingua materna". Ma, come sappiamo dai tempi di Adamo ed Eva, dai giardini dell'Eden si viene sempre cacciati; quando Guy-Crescent ha solo quattro anni, il prozio muore e per il giardino inizia il periodo delle dispute legali e della trascuratezza (se ne è parlato in questo post). Quanto a Guy-Crescent, ha un solo sogno: diventare medico e studiare botanica, in modo da poter tornare nel suo giardino per farlo rivivere. Anche se rimane presto orfano di padre, si impegna con tenacia per riuscirci. E' uno studente brillante e dalle idee innovative che nel 1664 si laurea all'Università di Parigi con una tesi audace in cui sostiene le idee di Harvey sulla circolazione del sangue. Ha una solida reputazione sia come medico sia come botanico. E' dunque a lui che pensa Antoine Vallot, nuovo primo medico del re e sovrintendente del Jardin, per ripopolare le aiuole del giardino svuotate da tanti anni di abbandono. Facciamo un passo indietro: nel 1652, Antoine Vallot, medico della regina madre Anna d'Austria, succede come primo medico del re (l'adolescente Luigi XIV) a François Vautier; tra le incombenze della sua carica, gli spetta di diritto - ormai risolte le questioni legali con Bouvard - la sovrintendenza del Jardin. Trova una situazione desolante, nonostante lo zelo del dimostatore Vespasien Robin. Nel 1663, alla morte di questi, nomina a succedergli un altro valido botanico, Denis Joncquet, e lo invia a Montpellier a incontrare Pierre Magnol per chiedergli lumi su come ristrutturare l'orto parigino. Joncquet è entusiasta sia dei consigli ricevuti da Magnol sia della lussureggiante natura del Sud, che potrà offrire molti esemplari per ripopolare il giardino. E qui torna in scena il nostro Fagon. Su richiesta di Vallot, Fagon parte per la Linguadoca. Va a Montepellier, dove conosce Magnol (i due sono coetanei, come del resto lo è il re Sole, essendo tutti e tre nati nel 1638) e stringe con lui una fervida amicizia. E poi - a sue spese, anche se non è ricco - incomincia a esplorare la Provenza, l'Alvernia, le Alpi e i Pirenei, dove raccoglie un ricchissimo bottino di piante; è una raccolta storicamente importantissima, perché getta le basi di quello che sarà il glorioso Herbier national, il grande erbario nazionale francese ancora oggi custodito nel Museo di storia naturale di Parigi. Altre piante arriveranno nei mesi e negli anni successivi tramite una rete di viaggiatori e raccoglitori che Fagon contribuisce a creare, anche grazie ai contatti di Magnol. Il giardino rinasce ed è ora di presentare i risultati al re. Vallot chiede a Jonquet di scriverne il catalogo, che uscirà nel 1665 con il titolo Hortus Regius, in cui si descrivono circa 4000 piante. La maggior parte di quelle descrizioni sono redatte da Fagon, che all'epoca è dimostratore supplente di chimica. Nel 1670 diventa anche sottodimostratore di botanica (colui a cui era affidato l'insegnamento pratico della botanica "dimostrando" le piante vive e essiccate agli studenti); l'anno successivo, alla morte di Joncquet, diventa dimostratore, ovvero professore titolare della cattedra di botanica, cui nel 1672 aggiunge la cattedra di chimica. Il suo insegnamento, con aperture a tutto campo anche alla zoologia e alla mineralogia, attira un vasto pubblico, gettando le basi per la reputazione scientifica dell'istituzione parigina. Nonostante l'aspetto fisico assai infelice - un volto grottesco, gobbo, magrissimo - è un abilissimo oratore, oltre che uno studioso preparato e aperto alle novità. Un grande sovrintendente per il giardino del Re Sole Intanto prosegue la sua carriera come medico. Tra il 1666 e il 1667 esercita all'Hotel-Dieu, dal 1668 diventa uno dei medici della corte, occupando posti sempre più prestigiosi (è medico della delfina, poi della regina e degli Enfants de France, ovvero i numerosi figli naturali del re). Ma per prendere il bastone del comando nel Jardin des Plantes deve diventare primo medico. A dire la verità, alla morte di Vallot (1671), Colbert, che ne giudicava la gestione fiacca e trascurata, aveva sottratto la sovrintendenza del Jardin des plantes all'archiatra Antoine d'Aquin, legandola alla sovrintendenza degli edifici reali, che amministrava lui stesso come Controllore generale delle finanze: segno dell'importanza economica che ormai si assegnava alla coltivazione delle piante esotiche, medicinali e no. A d'Aquin era rimasto il titolo di intendente, costringendo Fagon a una mal sopportata convivenza (in teoria era il suo capo). Abile come cortigiano non meno che come medico, Guy-Crescent sa usare le armi dell'intrigo; la carta vincente è la protezione di Mme de Maintenon, che lo ha conosciuto e apprezzato quando era ancora la governante dei figli illegittimi del re. Fagon non perde occasione per denunciare l'incompetenza professionale del rivale; molto più tradizionalista di lui, questi rifiuta la radice di Chincona, che invece Fagon sostiene e che il re stesso apprezza, come efficace rimedio contro il paludismo che ha contratto quando combatteva nelle Fiandre. Si aggiunga la insopportabile avidità di d'Aquin, che irrita il re con la sua continua richiesta di prebende per sé e i propri familiari. Auspice la potentissima favorita, nel 1693 il re allontana d'Aquin e nomina Fagon primo medico, assegnandogli anche l'intendenza del Jardin royal; nel 1699 egli otterrà anche il titolo di sovrintendente (anzi, da questo momento cessa la bipartizione tra intendente e sovrintendente: d'ora in avanti il direttore dell'orto botanico di Parigi sarà unico). L'ambizione di Fagon, degna del suo illustre paziente, è una sola: fare del Jardin des plantes l'orto botanico e il centro di studi naturalistici più importante del mondo. Un obiettivo che raggiunge attraverso due mosse vincenti. Da una parte Fagon, che sa delegare, si circonda di brillanti scienziati che confermeranno una volta per tutte il primato del Jardin nel campo degli studi della natura: fa venire da Aix il più importante botanico dell'epoca, Joseph Pitton de Tournefort, suo supplente alla cattedra di botanica e direttore di fatto dell'orto botanico; alla morte di questi, chiamerà da Lione Antoine de Jussieu, capostipite di una dinastia di botanici che dominerà il Jardin des plantes per tutto il Settecento. Dall'altra parte, Fagon promuove grandi spedizioni naturalistiche, soprattutto alla ricerca di piante medicinali (nella sua concezione, la botanica non si era ancora del tutto affrancata dalla medicina): i tre viaggi di Plumier nelle Antille; la sfortunata spedizione di Lippi in Egitto e nel Sudan; la spedizione dello stesso Tournefort in Levante; il viaggio di Feuillée nelle Antille e in Sud America; il viaggio in Spagna dei fratelli Jussieu. Il giardino viene dotato di due serre e la "butte Coypeu" si trasforma in un arboretum, che sarà il celebre labirinto del Jardin des plantes. Nel 1715, alla morte di Luigi XIV, che lo segna profondamente (il suo rapporto con il sovrano andò ben al di là della pura prestazione professionale), si ritira nel piccolo appartamento che spetta al sovrintendente nel Jardin, dove morirà nel 1718, a ottant'anni. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. La discontinua Fagonia Sia Tournefort sia Plumier vollero rendere omaggio al loro protettore e al grande organizzatore della botanica francese dedicandogli un genere: Tournefort Fagonia, sulla base di una pianta da lui raccolta a Creta; Plumier Guidonia, sulla base di diverse specie delle Antille. Oggi quest'ultimo non esiste più: soppresso da Linneo e recuperato da Philip Miller (che volle dedicarlo insieme ai due Guidi: Guy de la Brosse e Guy Crescent Fagon), fin dall'Ottocento è stato suddiviso tra vari generi della famiglia Salicaceae. Ma prima di tornare a Fagonia, ben vivo e ufficializzato da Linneo nel 1753 in Species plantarum, un cenno ad altri due generi obsoleti, che in passato hanno celebrato altrettante comparse di questa storia, Denis Joncquet e Antoine Vallot. A Denis Joncquet, interessante botanico che tra l'altro creò un proprio giardino privato, ricchissimo di piante, che metteva a libera disposizione degli studenti della facoltà di medicina, nel 1789 il tedesco von Schreber dedicò Joncquetia (sinonimo di Tapirira, famiglia Anacardiaceae). A Vallot toccò invece la sudafricana Vallota, dedicatagli da Salisbury nel 1821. Anche questo genere non è più valido, anche se molti ancora conoscono con il nome di Vallota speciosa la bellissima Amaryllidacea che oggi porta la più infelice etichetta di Cyrthantus elatus. Ma è ora di parlare di Fagonia (famiglia Zygophyllaceae), un genere di 34-35 erbacee, suffrutici e arbusti delle zone aride, con una interessante distribuzione discontinua. Distribuito nella fascia temperata calda e subtropicale di quattro continenti, è un genere essenzialmente del Vecchio mondo (26 specie vivono tra Africa, Mediterraneo, Asia, soprattutto in un'ampia fascia che, partendo dalle Canarie, attraverso il Nord Africa, il Medio Oriente e la penisola arabica, raggiunge l'India nord-occidentale), ma con rappresentanti isolati nell'America occidentale (Stati Uniti sud-occidentali e Messico nord-occidentale; ma anche i Perù e Cile). La specie più occidentale del Vecchio mondo, F. cretica - propria quella descritta da Tournefort - è un semi arbusto eretto o prostrato, con caratteristici rami angolati e corte stipole semi-spinose, con graziosi fiori ascellari con cinque petali azzurro-purpurei. Ha un aerale assai vasto che si estende dalle Canarie al Nord Africa a occidente dell'Egitto; unica specie europea, è presente in una stazione isolata in Portogallo, nella Spagna meridionale (Alicante), in molte isole mediterranee (Baleari, Malta, Cipro e, ovviamente, Creta), ma anche in Italia. In passato è stata segnalata in Sicilia; oggi se ne conoscono solo sei stazioni, vicine tra loro, presso Melito Porto Santo in Calabria. Diverse specie di Fagonia (in particolare F. arabica e F. indica) sono note per il loro uso officinale nella medicina tradizionale; studi recenti ne hanno confermato l'importante azione antiossidante, che appare promettente nella prevenzione e nella cura di molte gravi patologie. Qualche approfondimento nella scheda. Oggi il Jardin des plantes di Parigi è il maggiore orto botanico di Francia e il cuore pulsante del Museo nazionale di storia naturale. Eppure i suoi esordi furono tardivi e difficili: aperto al pubblico quasi mezzo secolo dopo l'orto di Montpellier, la sua nascita si deve alla congiunzione tra la caparbietà del suo fondatore, Guy de La Brosse, la benevolenza dei medici di corte, in particolare l'archiatra Charles Bouvard, la volontà della corona di indebolire i corpi intermedi (in questo caso, la potente Università di Parigi). Ricordato dalla toponomastica del quartiere dove sorge il Jardin, de La Brosse non è celebrato da alcun nome di genere valido, al contrario di Bouvard, eponimo del grazioso genere Bouvardia. La Brosse e la battaglia per il Giardino Nonostante le prime proposte di fondare anche a Parigi un orto botanico siano contemporanee alla creazione del giardino di Montpellier (1593), rimasero lettera morta, forse per la morte di Enrico IV, poi per la minore età di Luigi XIII. Dopo che era stato chiuso anche il piccolo giardino della facoltà di medicina per far posto alla costruzione di un teatro anatomico, il botanico e giardiniere Jean Robin, che lo gestiva, presentò al re la sua Request au Roy pour l'establissement d'un Jardin royal en l'Université ("Richiesta al re per la creazione di un giardino reale nell'Università"). La proposta fu immediatamente fatta propria da Guy de la Brosse, "medico ordinario del re", ma su tutt'altre basi. Egli puntava a un luogo dove le piante si potessero studiare tanto dall' "esterno" (cioè nella loro morfologia) quanto dall' "interno" (cioè nelle loro proprietà farmaceutiche e chimiche), sulla base del metodo sperimentale; un'istituzione del genere doveva essere indipendente dall'Università. La facoltà di medicina parigina era infatti la roccaforte dei tradizionalisti, grandi sostenitori dei salassi e delle purghe e nemici giurati dei "botanici" di Montpellier, la facoltà rivale che sfornava medici più aggiornati e spesso più apprezzati dalla clientela titolata. Vi si erano formati anche molti medici di corte, compreso Jean Héroard, l'archiatra o primo medico del re, che vide subito con favore la richiesta di la Brosse. Favore condiviso dal cardinale Richelieu, per ragioni eminentemente politiche: la creazione di un Jardin royal, finanziato e gestito dalla corona, oltre a dare lustro alla capitale, avrebbe eroso il potere dell'Università, sottraendogli il controllo dei farmacisti, che sarebbe passato al sovrintendente del nuovo giardino, da cui si attendeva che rifornisse le farmacie delle regione anche di quelle piante esotiche spesso avversate dalla facoltà. Nel gennaio 1626, Guy de la Brosse ottenne una prima vittoria, ovvero una lettera patente del re che stabiliva la creazione di un "giardino delle piante medicinali" in un sobborgo parigino, affidandone la sovrintendenza a Héroard. Tuttavia quest'ultimo morì nel 1628, durante l'assedio della Rochelle. A sostituirlo fu nominato Charles Bouvard, un medico che si era laureato e insegnava proprio all'Università di Parigi. Ma se quest'ultima aveva sperato di trovare in lui un alleato, fu presto delusa: forse in modo non del tutto disinteressato, Bouvard si schierò dalla parte di La Brosse. La creazione di un orto botanico reale, finanziato dalla corona, rafforzava infatti il potere del primo medico del re, che ne sarebbe diventato sovrintendente (un incarico di natura essenzialmente politica), mentre La Brosse ne assumeva la direzione scientifica, con il titolo di intendente. Ma l'università non demordeva e riuscì a bloccare il progetto per qualche anno. Solo nel 1633 Guy de la Brosse poté acquistare un vasto terreno nel faubourg Saint-Victor, nei pressi dell'abbazia omonima. Nel 1635 giunse anche il decreto reale che istituiva il Jardin royal des plantes médicinales, stabilendo che vi si sarebbero studiate le piante e le loro proprietà medicinali; a tal fine si istituirono tre cattedre (materia medica, ovvero botanica farmaceutica, chimica, anatomia), affidate a altrettanti "dimostratori", assistiti da un sottodimostatore, che avrebbe insegnato a riconoscere le piante a partire dagli esemplari coltivati nelle parcelle del giardino. Il primo fu Vespasien Robin, già "arboriste" del re e esperto giardiniere. La facoltà cercò allora di impugnare il decreto di fronte alla Corte dei Conti; riuscì solo ad ottenere che la nuova istituzione non potesse assegnare diplomi; svolti in francese anziché in latino, i corsi, che non prevedevano esami, erano aperti a tutti; comprendevano insegnamenti pratici e teorici e accettavano molte novità ancora tabù per la facoltà di medicina ufficiale: la circolazione del sangue di Harvey, medicamenti esotici come la corteccia di Cinchona, i preparati chimici come l'antimonio. Dopo alcuni anni febbrili dedicati alla sua costruzione, il Jardin royal fu finalmente inaugurato al pubblico nel 1640. Collocato nell'area che ancora oggi lo ospita, il giardino comprendeva tra l'altro una collinetta artificiale (il "labirinto") e ospitava migliaia di piante anche esotiche. Guy de la Brosse ne redasse il catalogo, per il quale fece preparare 400 incisioni su rame. Ma nel 1641, forse esausto per la lunga battaglia, moriva ad appena 55 anni. L'opera non uscì mai, e gli eredi vendettero le incisioni a un calderaio (se ne salvarono appena cinquanta). Dispute legali e un giardino trascurato Altre morti illustri seguirono a ruota: nel 1642 il cardinale di Richelieu, nel 1643 il re Luigi XIII. Con la morte del quale, cessava anche il ruolo di archiatra di Bouvard, che avrebbe dunque dovuto lasciare la sovrintendenza del Giardino. Tuttavia si accordò con il nuovo primo medico del re Jacques Cousinot (suo genero) e mantenne l'incarico, mentre suo figlio Michel fin dal 1641 era stato nominato intendente. Nel 1646 tuttavia Cousinot morì e gli succedette come primo medico François Vautier, intenzionato a recuperare la remunerativa carica di sovrintendente. Tra Vautier e Bouvard iniziò una battaglia legale; nel 1647 il Consiglio di Stato si pronunciò a favore di Vautier e "dimise" Michel Bouvard, sostituendolo con lo scozzese William Davidson. Bouvard fece appello al Parlamento parigino; in questa situazione di incertezza, Davidson preferì andarsene in Polonia a curare i giardini della regina Maria Luisa Gonzaga. Ampiamente trascurato, il giardino dovette aspettare la sovrintendenza di Antoine Vallot per risorgere. Ma di questa storia si parlerà in un altro post. Torniamo a Charles Bouvard e ai suoi discutibili meriti botanici, sufficienti tuttavia a spingere il botanico britannico R. A. Salisbury a dedicargli nel 1805 il genere Bouvardia. Un onore che invece non è toccato al ben più meritevole Guy de la Brosse: a dire la verità, Linneo non aveva certo dimenticato il fondatore dell'illustre Jardin des Plantes, e nel 1753 gli aveva dedicato il genere Brossaea. Ma quest'ultimo fu unito a Epigaea da de Candolle (1839), quindi a Gaultheria da Hooker (1876). Oggi è una delle numerosi sezioni del grande genere Gaultheria della famiglia Ericaceae. A ricordare La Brosse una delle strade parigini nei pressi della sua creatura, il Jardin des plantes. Quanto all'intrigante Bouvard, dobbiamo ammettere che non era solo un carrierista e un medico di dubbia abilità (alcuni lo accusano di aver accelerato - o provocato - la morte del suo reale paziente, al quale nei suoi due ultimi anni di vita inflisse 34 salassi, 1200 clisteri e 250 purghe). Secondo la testimonianza dello stesso de Brosse, fu lui a volere le tre cattedre che caratterizzarono il Jardin royal des plantes médicinales come un'istituzione scientifica innovativa. Fu dunque grazie alla sua intuizione che l'insegnamento della botanica venne unito a quello della chimica e dell'anatomia, gettando le basi per quello studio a tutto tondo delle scienze della natura che avrebbe poi caratterizzato fino ai nostri giorni la grande istituzione parigina. Anche grazie a Bouvard, dunque, per la prima volta la botanica, da ancella della medicina, cominciava ad affermarsi come scienza autonoma. Inoltre egli volle dotare il Jardin della sua prima serra calda e elaborò alcune ricette tratte da fiori di uso comune. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Un profumato bouquet di Bouvardia Il genere Bouvardia, della famiglia Rubiaceae, comprende 30-50 specie di erbacee perenni e arbusti sempreverdi, nativi soprattutto del Messico (con qualche rappresentante negli Stati Uniti meridionali e in America centrale). Sono piante estremamente attraenti soprattutto per i lunghi fiori tubolari, solitamente con quattro lobi, talvolta solitari ma più spesso riuniti in dense cime terminali (possono ricordare quelli della più nota e affine Pentas, che tuttavia ha cinque lobi), a seconda della specie rossi, rosa, bianchi, delicatamente profumati. La specie più nota, la messicana Bouvardia longiflora, a lungo è stata soprattutto una pianta da serra, coltivata per la produzione di fiori recisi, grazie alla sua lunga durata - anche due o tre settimane - e alla disponibilità per gran parte dell'anno. I suoi densi e eleganti bouquet di fiori candidi e fragranti sono particolarmente apprezzati dalle spose in sostituzione dei tradizionali fiori d'arancio. Di un vibrante scarlatto è invece B. ternifolia, la specie più diffusa in natura (dall'Arizona all'Honduras, passando per il Messico) che fu anche la prima ad arrivare nelle serre europee (a Kew, nel 1794). Ma oggi, quando si parla di Bouvardia, si fa riferimento soprattutto agli ibridi, immessi sul mercato da meno di vent'anni dagli ibridatori olandesi, interessati alle sue potenzialità anche come pianta da appartamento o da patio; sono meno profumati dei progenitori, ma di più facile coltivazione, e soprattutto offrono una più ricca gamma di colori, che include anche delicate sfumature di crema, pesca, albicocca. Da noi sono soprattutto disponibili come fiori recisi; ma è prevedibile che anche in Italia nei prossimi anni invaderanno i bancali dei Garden center e abbelliranno le nostre case. Qualche informazione in più nella scheda. Come i tre moschettieri in realtà erano quattro, così i sette fondatori della Horticultural Society erano otto. Il d'Artagnan della situazione fu Thomas Andrew Knight, escluso per una ripicca dalla fondazione vera e propria, ma ben presto accolto come ottavo socio, quindi presidente della Society per quasi trent'anni. La persona giusta al posto giusto: pioniere degli studi di fisiologia vegetale, ma sempre attento alla loro applicazione pratica in orticoltura,scrisse lo statuto della Horticultural Society e ne determinò il successo. Arriva dagli antipodi il genere che lo ricorda, il neozelandese Knightia. La fisiologia vegetale e le sue applicazioni pratiche Quando, dopo l'appello di Wedgwood e l'assenso di Banks, Forsyth (se ne è parlato in questo post) incominciò a prendere i contatti che avrebbero portato alla nascita della Horticultural Society of London, futura Royal Horticultural Society, escluse a priori Thomas Andrew Knight (come Knight stesso riferì in una delle sue numerosissime lettere a Banks): lo considerava un nemico personale per aver osato sollevare dubbi sul suo miracoloso mastice. Ma poco dopo la riunione inaugurale del 4 marzo 1804, Forsyth morì; caduto ogni ostacolo, all'inizio del 1805 Knight fu finalmente accolto nella Society, su proposta di Banks che anzi gli chiese di scrivere un Prospectus che ne sintetizzasse gli obettivi. Nel 1811, alla morte del primo presidente, lord Darthmouth, Knight divenne il secondo presidente della Society, incarico che sostenne per 27 anni, cioè fino alla morte, avvenuta nel 1838. Dopo aver ereditato nel 1786 la vasta tenuta di Elton Hall, Knight aveva incominciato a interessarsi di orticultura e di fisiologia vegetale da autodidatta (anzi, finché Banks non lo convinse del contrario, preferiva non leggere gli scritti di altri scienziati, affidandosi unicamente allo studio sperimentale). Nei frutteti a lungo trascurati trovò alberi vecchi e malati; scoprì che, anche innestandoli con marze vigorose, i problemi permanevano. L'unica soluzione, pensò, era partire dai semi. Fu così che scoprì che i semi della stessa pianta producevano semenzali con caratteristiche diversissime tra loro. Incominciò così a incrociare volutamente alberi da frutto e piante orticole, allo scopo di creare nuove varietà più vigorose e fruttifere. Spirito indagatore, non si fermò alle applicazioni pratiche, ma volle capire meglio il funzionamento delle piante, indagandone la morfologia, l'anatomia, i processi fisiologici. Studiò il meccanismo della discesa e della salita della linfa; la natura e la funzione del cambio. Si interrogò sull'influsso della gravità: perché le radici vanno verso il basso e i rami verso l'alto? C'entra la gravità? Per capirlo, inventò un disco verticale rotante, mosso costantemente da una corrente d'acqua, su cui dispose dei semi: quando i semi incominciarono a germinare, notò che i germogli si disponevano orizzontalmente verso il centro della ruota, in direzione della forza centripeta, mentre le radici si disponevano verso l'esterno, in direzione della forza centrifuga. Grazie a questo esperimento, Knight scoprì quello che oggi chiamiamo geotropismo, ovvero la capacità degli organi vegetali di crescere orientandosi in base alla forza di gravità (geotropismo positivo, verso il basso, per organi come le radici; negativo, verso l'alto, per organi come i fusti e i rami). La macchina da lui inventata, con molti perfezionamenti, è oggi detta clinostato. Altrettanto importanti furono i suoi esperimenti sull'ibridazione. Proprio come avrebbe fatto mezzo secolo dopo Mendel, incominciò a lavorare sui piselli, incrociando tra loro piselli verdi e gialli, con petali bianchi e porpora. Non avvalendosi di metodi quantitativi, a differenza di Mendel (che lesse i suoi lavori e ne ricevette l'impulso alle proprie ricerche), non giunse alla formulazione di leggi, ma intuì alcuni meccanismi fondamentali: la dominanza, la recessività, il vigore degli ibridi. L'obiettivo fondamentale delle ricerche di Knight era il miglioramento dell'orticoltura e della frutticoltura britanniche, tanto più in un periodo di guerre (nel frattempo era iniziato l'interminabile ciclo di guerre contro la Francia rivoluzionaria, poi contro Napoleone, che impegnò la Gran Bretagna, pur con tregue più o meno lunghe, dal 1793 al 1815). L'attenzione, da una parte, alla conoscenza scientificamente fondata della fisiologia vegetale, dall'altra all'applicazione pratica e alla diffusione delle conoscenze presso giardinieri e orticultori, lo fanno considerare il padre dell'orticoltura britannica. Nel campo della frutticoltura, attraverso la selezione e centinaia di incroci, produsse numerose nuove cultivar migliorate sia di piante da frutto (mele, pere, ciliegie, nettarine, prugne, fragole e ribes) sia di ortaggi (piselli, cavoli, patate). Migliorò le tecniche di coltivazione, l'uso delle serre, studiò le cause delle principali malattie e metodi per accrescere la rusticità, la resistenza alle malattie, la produzione precoce. Promosse l'introduzione di specie esotiche (avocado, mango, ananas, sapote). Una presidenza incisiva Knight viveva nella sua tenuta nello Hertfordshire (nel 1809 era entrato in possesso di una vastissima proprietà, a Downton Castle, più di 10.000 acri dove poté continuare i suoi esperimenti su vasta scala, creando anche grandi serre), lontano dagli ambienti scientifici. Fu ancora una volta Banks - con il quale intrattenne per molti anni un voluminoso carteggio - a convincerlo a uscire dall'isolamento, presentando i suoi contributi alla Royal Society. Nel 1797 uscì il primo libro di Knight, Treatise on the Culture of the Apple and Pear, and on the Manufacture of Cider and Perry, un testo importante più volte ristampato, con il quale egli incoraggiava i proprietari terrieri, i vivaisti e i semplici appassionati ad applicare le sue scoperte e a coltivare le nuove, più vigorose varietà. Nel 1809, fu seguito da Pomona Herfordensis, arricchito da splendide illustrazioni: un libro bellissimo, oggi raro, perché le tavole sono così belle che spesso sono state tagliate e utilizzate come stampe. I suoi contributi, letti dapprima durante le sedute della Royal Society e della Horticultural Society, quindi pubblicati nelle Transactions di entrambe le istituzioni, sono centinaia. Come si è anticipato, nel 1805 divenne membro della Horticultural Society e su richiesta di Banks stese un succinto Prospectus, in cui divideva l'orticultura - e il campo d'azione della società - in due settori: da una parte, la coltivazione di piante ornamentali (insomma, il giardinaggio); dall'altra quella di piante utili. Fissando come compito principale della Società "l'incoraggiamento e il miglioramento della scienza, dell'arte e della pratica dell'orticultura in tutti i suoi rami", Knight vi sottolineava quel legame tra ricerca scientifica e avanzamento pratico dell'agricoltura che aveva improntato tutta la sua vita. La presidenza di Knight segnò una tappa importante nella vita della neonata società. Sul modello della Royal Society, inizialmente l'attività dell'Horticultural Sociey of London si era incentrata intorno a otto incontri annuali, durante i quali venivano letti i contributi dei soci, che vertevano per lo più sulle piante da frutto e da orto (il giardinaggio era decisamente in secondo piano). Nel 1807 incominciarono a uscire a stampa sul bollettino, Transactions of Horticultural Society, accompagnati da tavole a colori. Knight introdusse molte novità. Nel 1817, propose di creare un giardino sperimentale dove si potessero mettere alla prova nuove tecniche, specie esotiche di recente introduzione, nuove varietà; a questo scopo nel 1818, venne acquisita una piccola proprietà a Kensington; rivelatosi presto troppo piccola, nel 1822 fu sostituita da un terreno di 33 acri a Chiswick (ancora oggi condotto dalla RHS, il più antico dei suoi sei giardini). I giardini di Chiswick comprendevano un arboretum, che includeva un prato all'inglese e bordure fiorite; un frutteto con un'importante collezione di piante da frutto; serre e cassoni. Nelle stanze della Società si iniziarono a esporre le più interessanti novità. Nacque poi l'idea di premiare con una medaglia chi introducesse miglioramenti nell'agricoltura; si trattava di grandi medaglie, assegnate a poche persone per meriti speciali. Nel 1820, poco dopo la morte di Banks, venne istituito un secondo tipo di medaglie, di piccole dimensioni, per premiare chi si era distinto per le novità presentate nelle mostre annuali della società: la Banksian medal, con sul recto un profilo di Banks, sul verso il nome del premiato, l'anno, il motivo del riconoscimento. Oggi viene assegnata a chi in quell'anno ha ottenuto un maggior numero di punti nelle tre classi (frutti, fiori, ortaggi) delle mostre locali della RHS. Nel 1835, proprio in onore di Knight, venne istituito un terzo tipo di mediaglia, Knightian medal, di dimensioni intermedie. Altri tipi si aggiungeranno nei decenni successivi. La creazione dei giardini di Chiswick aveva comportato grandi spese e il bilancio della società andò in rosso. Nacque così l'idea di organizzare "feste floreali", da tenere nei giardini di Chiswick, aperte al pubblico dietro pagamento di un biglietto d'ingresso che coprisse anche le spese della coniazione delle medaglie. Fino ad allora, le novità venivano esposte al chiuso, nelle stanze della Società, dove erano ammessi solo i soci. La prima festa si inaugurò il 23 luglio 1827; fu un grande successo che aprì la tradizione delle esposizioni della RHS, che ha trovato il suo culmine nel celebrato Chelsea Flower Show. Con questa iniziativa, la società usciva dal ristretto cerchio dei grandi proprietari terrieri, dei ricercatori e dei professionisti, e si allargava al vasto pubblico degli appassionati. Presidente attivo e energico, Knight continuò tuttavia a risiedere nelle sue proprietà nell'Hertfordshire, da dove si spostava a Londra in carrozza per partecipare alle riunioni. Si racconta che durante uno di questi lunghi viaggi, nell'inverno del 1838 - all'epoca aveva 79 anni - contraesse un'infreddatura che lo portò alla morte nel maggio di quell'anno. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Knightia, albero degli antipodi Il genere Knightia fu creato nel 1810 da Robert Brown nell'ambito del suo importante studio sulle Proteaceae, con la seguente motivazione: "Questo genere, che fu scoperto da sir Joseph Banks, è stato, con la sua approvazione, battezzato in onore del suo amico Thomas Andrew Knight, autore di tanti importanti saggi sulla fisiologia vegetale, pubblicati nei Philosophical Transactions". Brown vi assegnò una sola specie, la neozelandese K. excelsa. Più tardi, vennero aggiunte due specie della Nuova Caledonia, K. strobilina e K. deplanchei. Nel 1975 entrambe sono state trasferite nel genere Eucarpha. Dunque, come alle origini, Knightia è tornato ad essere un genere monospecifico, ristretto alla sola K. excelsa, un albero sempreverde endemico della Nuova Zelanda, dove è noto con il nome di rewarewa; è un grande albero, alto fino a 30 metri, che vive nelle foreste a bassa altitudine dell'isola del Nord e nel Marborough Sound dell'isola del Sud. Di portamento colonnare, ha foglie oblunghe, coriacee, con margini seghettati, coperte di un tomento rossastro deciduo; i fiori, raccolti in racemi lunghi fino a 10 cm, rossi, tubolari, sono coperti da una peluria vellutata rosso mattone. Ricchissimi di nettare, attraggono, oltre alle api ( i loro impollinatori), anche piccoli uccelli. E' una specie molto decorativa, ma scarsamente rustica. Qualche approfondimento nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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