Con oltre 200 milioni di nuovi casi e più di 400.000 morti ogni anno, la malaria è ancora oggi la malattia endemica più temibile. Lo è stata anche di più in passato, quando l'unico rimedio era la corteccia della china. Un rimedio di cui la corona spagnola e l'ordine dei gesuiti detennero per quasi duecento anni il monopolio, alimentando miti e leggende. Come quella cui deve il nome scientifico, Cinchona spp. Una storia troppo bella per essere vera La corteccia di china giunse in Europa intorno alla metà del Seicento; per ragioni soprattutto culturali, il nuovo rimedio antimalarico stentò ad affermarsi in una medicina ancora dominata dalla teoria galenica degli umori. Tra i primi sostenitori della sua efficacia terapeutica, il medico genovese Sebastiano Bado che le dedicò diverse opere, tra cui Anastasis cortici peruvianae, seu chinae-chinae defensio ("Resurrezione della corteccia peruviana, ovvero difesa della china-china", 1665). E' attraverso questo testo che si diffuse la leggenda della contessa di Chinchon (o come scriveva erroneamente l'italiano Bado, Cinchon). Bado riferisce di essere venuto a conoscenza della corteccia e del modo di somministrarla dal mercante genovese Antonio Bolli che aveva vissuto a lungo in Perù; oltre a testimoniare che le virtù medicinali della quina-quina (ovvero "corteccia delle corteccia", in quechua) erano ben note agli indios, Bolli riferì la seguente storia. Una trentina di anni prima, a Lima la moglie del Viceré si era ammalata di febbre terzana. Venuto a conoscenza della malattia, il governatore di Loxa scrisse al viceré di conoscere un rimedio segreto e infallibile. Visto che la moglie era in pericolo di vita, il viceré permise che la medicina fosse somministrata all'inferma, che subito guarì in modo quasi miracoloso. Con gratitudine e entusiasmo, la viceregina distribuì la corteccia di china ai poveri di Lima e al suo ritorno in Spagna la portò con sé, per curare i contadini delle sue terre iberiche, dove ugualmente imperversava la malaria. Risalirebbe dunque a lei, la contessa di Chinchon (il viceré rispondeva all'impressionante nome di Luis Jeronimo Fernandez de Cabrera Babadilla de la Cerda y Mendoza, conte di Chinchon) la prima introduzione in Europa della china, presto nota anche come "polvere della contessa". Il racconto circolò per duecento anni senza essere messo in dubbio. A prestarvi fede fu tra gli altri Linneo che nel 1753 in Species plantarum battezzò Cinchona il genere cui appartengono diverse specie di alberi della china, riprendendo la grafia errata di Bado. In forma romanzata, la storia fu anche ripresa dalla scrittrice Mme de Genlis che nel suo romanzo Zuma (1817) attribuisce la scoperta del magico farmaco a una fedele serva india, che avrebbe salvato la vita alla sua padrona, ovvero la contessa di Chinchon. Tuttavia, nel 1935 la pubblicazione del Diario de Lima o Diario del Viceregno di Chinchon, redatto per volontà del conte di Chinchon da due segretari (prima Juan Antonio Suardo, quindi Diego Medrano) non ha offerto alcun riscontro alla leggenda. Intanto, un primo problema riguarda l'identità della contessa; il conte infatti si sposò due volte. Alcuni identificano la benefattrice con la prima moglie del conte, Ana de Osorio; tra di essi in particolare l'esploratore britannico C. R. Markham, futuro presidente della Royal Geographical Society e uno dei principali artefici della introduzione della coltivazione della china in India: nel 1874 egli dedicò alla prima contessa di Chinchon A Memoir of the Lady Ana De Osorio: Countess of Chinchon and Vice-Queen of Peru, in cui si batté tra l'altro per cambiare il nome linneano ripristinando la grafia "giusta" Chinchona. L'identificazione è sicuramente errata: Ana morì nel 1625, tre anni prima che Luis Jeronimo fosse nominato viceré. Ad accompagnarlo in Perù fu la seconda moglie, Francisca Henriquez de Rivera; sarà dunque lei ad essersi ammalata ed aver riportato con sé la china in Europa? Non è vero neppure questo; il diario di Suardo ci informa minutamente degli eventi del viceregno, compresa la salute della coppia Chinchon. Non risulta che Francisca si sia mai ammalata di malaria. A contrarre la malattia fu invece il marito, che tuttavia venne curato, come allora era in uso, con salassi. Inoltre la nobildonna non tornò mai in Spagna; infatti morì nel 1641 a Cartagena de las Indias dove lei e Luis Jeronimo stavano per imbarcarsi per far ritorno in patria. Dunque, molto probabilmente anche la seconda contessa non ebbe alcun ruolo nell'introduzione della china in Europa, e l'omaggio di Linneo è immeritato. Ma la sua fama di "scopritrice della china", nonostante tutte le evidenze contrarie, persiste e non molti anni fa il comune di Chinchon le ha addirittura dedicato un monumento. Nella sezione biografie, un suo breve profilo. Molto più prosaicamente, a diffondere la corteccia di china in Europa furono i gesuiti, che forse ne avevano conosciuto le proprietà grazie ai guaritori indigeni o le avevano scoperte essi stessi nei loro ospedali sudamericani. Tra i suoi principali promotori, il gesuita spagnolo Juan de Lugo (cardinale dal 1643) che, convinto della sua efficacia, prese a distribuirne la polvere ai poveri romani (le Paludi Pontine, e la stessa città eterna, erano infestate dalla malaria), tanto che essa divenne nota come "polvere di Lugo", ma anche "polvere dei gesuiti". Anzi, il legame con l'odiato ordine gesuita ne rallentò la diffusione nei paesi protestanti, dove era addirittura osteggiata come "polvere dell'Anticristo". Si dice che Oliver Cromwell sia morto di malaria dopo aver rifiutato di assumere la medicina "papista". Soltanto la guarigione di due teste coronate (prima il re d'Inghilterra Carlo II d'Inghilterra, poi il re di Francia Luigi XIV), la sdoganò definitivamente, facendo del genere Cinchona una delle più importanti "piante che hanno cambiato la storia" con milioni di vite salvate al suo attivo. Secondo qualche studioso, che fa notare che il primo diffusore, Antonio Bolli, era un mercante, la leggenda della contessa di Chinchon sarebbe stata inventata a bella posta per attribuire alla corteccia miracolosa un'origine più nobile (o almeno un po' meno politicamente connotata). La salvifica (e schizzinosa) Cinchona Il genere Cinchona appartiene alla famiglia delle Rubiaceae, la stessa della pianta del caffè, e comprende una ventina di specie di arbusti e alberi originari delle foreste dell'area amazzonica andina, tra i 1500 e 3000 metri di altitudine (dalla Colombia alla Bolivia, con massima presenza in Perù e Bolivia). Le diverse specie, molto variabili per dimensioni, colore della corteccia, forma delle foglie, hanno vistosi fiori bianchi, rosa o rossi, profumati; ma non è certo il pregio estetico ad aver reso la Cinchona una delle piante più ricercate della storia, bensì le proprietà medicinali della corteccia, per circa trecento anni l'unico rimedio efficace contro il paludismo. Non si contano i botanici e gli esploratori che sono andati alla sua ricerca, da Plumier a fine Seicento a Humboldt a inizio Ottocento. Almeno fino agli anni '30 del Settecento, in Europa se ne conosceva solo la corteccia, ma non si sapeva né quale fosse la "vera" pianta della china, né dove crescesse. I gesuiti prima, le autorità coloniali spagnole poi, ne tennero segrete le zone d'origine. Soltanto con l'avvento dei Borboni in Spagna la cortina cominciò a squarciarsi; così nel 1738 l'esploratore francese La Condamine poté portare in Europa gli esemplari essiccati su cui Linneo basò la prima descrizione scientifica. Ancora per un secolo la Spagna (e brevemente le sue ex colonie sudamericane) conservarono il monopolio del richiestissimo farmaco, finché intorno alla metà dell'Ottocento Olandesi e Inglesi ne diffusero la coltivazione nelle loro colonie, dovendo affrontare notevoli problemi di acclimatazione: si tratta infatti di piante di montagna, originarie dalle foreste "nebulose", che non sopportano né il gelo né il caldo estremo, né l'umidità ristagnante né la siccità. Innestando la specie più pregiata e ricca di chinino, Cinchona calysaia var. ledgeriana sulla più robusta C. pubescens gli Olandesi riuscirono ad assicurarsi il monopolio della produzione mondiale del chinino per quasi un secolo, fino alla seconda guerra mondiale. Unico rimedio per la prevenzione e il contenimento della malaria, la Cinchona intreccia la sua storia con quella del colonialismo europeo, che rese possibile preservando soldati e funzionari dal paludismo in Africa e in Asia; durante la seconda guerra mondiale si trasformò addirittura in un obiettivo strategico, quando Tedeschi e Giapponesi si impadronirono di tutte le riserve mondiali, mettendo in seria difficoltà gli alleati. Ma se volete saperne di più su questa storia, molto più intricata e affascinante di qualsiasi leggenda, leggete i dettagli nella scheda.
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Linneo è morto da quasi quindici anni e in Francia c'è la rivoluzione quando Adam Afzelius parte per l'ultimo viaggio degli apostoli. A un mondo che traballa, dove le sicurezze illuministe lasciano il posto alle rivoluzioni e al misticismo, come i discepoli di Linneo che lo hanno preceduto in giro per il mondo, oppone tenacia e dedizione alla scienza. E lascia il suo nome a un genere di splendidi alberi tropicali. Una patria per gli schiavi liberati Sono passati quasi vent'anni dallo sfortunato viaggio di Berlin in Africa, quando Adam Afzelius parte a sua volta per la medesima meta, la Sierra Leone. Proprio su suggerimento di Henry Smeathman, il compagno di viaggio di Berlin, il paese è stato scelto dagli abolizionisti britannici per creare una colonia dove trovino una patria e un rifugio gli schiavi liberati; nel 1792, il progetto si concretizza nell'emigrazione di un migliaio di neri e nella fondazione della capitale, Freetown. Per rendere economicamente produttiva la colonia, affrancandola dal commercio degli schiavi, è necessario inventariare le risorse naturali del paese e individuarne le potenzialità economiche. E' un compito delicato, da affidare a esperti naturalisti, in primo luogo a un botanico; William Wilberforce, uno dei membri più influenti della Sierra Leone Company, che finanzia l'impresa, chiede consiglio a Joseph Banks, che propone appunto la candidatura di Afzelius, l'ennesimo allievo di Linneo approdato a Londra, in quegli anni di fine secolo ormai definitivamente la capitale della botanica mondiale. In quel momento Afzelius non è certo un giovanotto di belle speranze. Quando ha lasciato la Svezia l'anno prima, aveva già più di quarant'anni e aveva percorso lo gavetta di una modesta carriera accademica; è giunto a Londra proprio a cercare l'occasione di una spedizione scientifica che gli dia fama e rilanci la sua carriera stagnante (a Uppsala è ormai l'era di Thunberg: difficile competere con un personaggio di quel calibro). Quasi contemporaneamente, gli viene offerto di partecipare all'ambasciata in Cina di Macartney, ma Afzelius opta per la Sierra Leone: forse perché è rimasto un territorio quasi ignoto alla botanica europeo, forse perché diversi svedesi - seguaci di Swedenborg -sono membri attivi del movimento abolizionista; uno di loro è August Nordenskiöld, l'alchimista finno-svedese assunto dalla Compagnia come geologo. Lui e Afzelius faranno il viaggio d'andata insieme; ma per il compatriota non ci sarà viaggio di ritorno: morirà dopo pochi mesi. Un altro dei suoi influenti amici britannici, quel James Edward Smith che aveva acquistato le collezioni di Linneo ed era diventato presidente della Linnean Society, gli procura anche un assistente: un giovane italiano, Francesco Borone, suo servitore, che ha rivelato un sorprendente acume per la botanica. L'importante è non arrendersi Dopo i canonici due mesi di navigazione, nel maggio 1792 Afzelius e Borone sono a Freetown; trovano molte tensioni politiche, una crisi degli alloggi e molte difficoltà a preparare e soprattutto a preservare le collezioni in mancanza di carta, alcool, scatole a tenuta stagna (come dirà spiritosamente Smith, la Sierra Leone è un paese umido e "molto insettifero"); all'inizio non hanno neanche la casa promessa loro dalla compagnia. Ma soprattutto tutti e due si ammalano, presumibilmente di malaria; tanto che dopo appena un anno tornano a Londra per curarsi. A marzo dell'anno successivo Afzelius, questa volta da solo, parte di nuovo per la Sierra Leone, con attrezzature più adatte, in buona parte fornite da Banks; oltre al suo lavoro per la compagnia, in pochi mesi riesce a raccogliere, classificare, preparare, impacchettare e spedire a Banks e Smith a Londra e a Thunberg a Uppsala due importanti collezioni di piante, semi, bulbi, insetti, conchiglie, ecc. Anche se si muove poco da Freetown (compie escursioni relativamente brevi nella penisola in cui sorge la città, del resto un'area di ricca biodiversità), si avvale di una notevole rete di raccoglitori indigeni da cui acquista gli esemplari e che interroga puntigliosamente sui possibili usi. In riva al mare, nella Susan's Bay, ha una piccola casa e un giardino sperimentale dove coltiva piante utili e ornamentali e alleva i piccoli animali vivi che gli procurano i suoi raccoglitori. Ha appena messo insieme una terza collezione, ancora più imponente, quando, nel settembre 1794, una flotta francese (siamo ai tempi della prima coalizione contro la Francia rivoluzionaria) attacca Freetown. La città viene saccheggiata, devastata, incendiata; Afzelius perde la casa, tutte le sue collezioni, i libri, gli strumenti scientifici, il giardino e, quel che è peggio, il suo diario di lavoro. Non ha più nulla, tranne il vestito che ha addosso. Senza una casa, senza materiali, senza strumenti, per qualche mese vive in condizioni drammatiche. Ma non appena dall'Inghilterra gli arriva qualche aiuto, si rimette al lavoro. Mentre aspetta che una nave lo riporti in Inghilterra (non è facile, dato lo stato di guerra), nel corso del 1795 esplora non solo la costa, ma anche l'interno e ricostruisce una nuova collezione naturalistica e etnografica (particolarmente notevole la collezione di frutti); infine, nel maggio 1796 si imbarca sulla Eliza diretta a Portsmouth. In seguito a una burrasca, le piante vive che porta con sé periscono, ma si salvano i diari e tutti gli altri materiali. Altre informazioni sulla sua lunghissima vita (morirà a 86 anni, salutato come il "Nestore della botanica" e curerà anche la pubblicazione dell'autobiografia di Linneo) nella biografia. Afzelia, legname pregiato e semi alla moda Poco dopo il suo rientro in Gran Bretagna, l'amico James Edward Smith gli dedicherà il genere Afzelia, scegliendo giustamente una delle piante raccolte dal botanico svedese in Sierra Leone, Afzelia africana. Afzelia (Fabaceae) comprende una dozzina di specie di notevoli alberi da legname, nativi delle foreste tropicali dell'Africa e dell'Asia; in Africa coprono un aerale molto vasto, che occupa la fascia forestale e le adiacenti savane, dalla Sierra Leone e dal Cameron fino alla Tanzania e al Sud Africa. Le specie asiatiche sono concentrate in Indocina, in Filippina e in Indonesia. Il legname delle specie africane è commercializzato con il nome doussié o doussie. Il più pregiato (doussie rosso) è fornito da A. africana e A. bipindensis; da A. pachyloba e A. quanzensis si ricava invece il doussie giallo o falso doussie. Per la bellezza, la durata e la stabilità, il doussie può essere annoverato tra i più pregiati legnami tropicali, paragonabile al mogano o al palissandro. Le afzelie sono alberi molto attraenti, con fiori papilionacei bianchi o rosati, spesso profumati, con un grande petalo dorsale eretto striato che può ricordare una farfalla (destinato ad attrarre le falene, i suoi insetti impollinatori). I semi bicolori di alcune specie, come A. quanzensis, vengono utilizzati come vaghi per bracciali e collane. Altre informazioni nella scheda. Questa è una storia di metamorfosi: al centro c'è un uomo di medicina nero, che per gli europei è il "celebrato grand'uomo Quassi" e per i discendenti dei neri l'arcitraditore Kwasimukamba. Poi c'è la Quassia amara, per due secoli rinomato tonico, digestivo, antiemetico, oggi un antiparassitario naturale. E scopriamo che Linneo non era razzista, ma forse un po' ingenuo. Con un'appendice sul medico Blom e la Blomia. Quassi il grand'uomo o Kwasimukamba il traditore? Tra le malattie tropicali che mietevano vittime tra gli indigeni ma soprattutto gli europei c'erano le misteriose "febbri maligne", etichetta un po' vaga che copriva affezioni diverse; una delle più devastanti era la malaria, per altro diffusissima anche in molte regioni dell'Europa. E' evidente che quando Carl Gustav Dahlberg presentò a Linneo una pianta del Suriname raccontandogli che se ne ricavava un infuso in grado di debellarle, ne destò l'immediato interesse, anzi l'entusiasmo. Anche la storia del medicamento non poteva che affascinare un figlio del Settecento, un secolo dominato dall'esotismo: in Suriname, raccontò Dahlberg, si chiama kwasi-bite ("amaro di Kwasi") perché è stato scoperto da un guaritore nero, Kwasi o Quassi, che ne ha ricavato un decotto efficace contro le febbri maligne; inizialmente la usava per curare i suoi compagni, ma, poi vedendone l'efficacia, anche i bianchi hanno incominciato a richiedergli la medicina. Kwasi ha però sempre mantenuta segreta la ricetta, finché, per amore della famiglia della suocera di Dahlberg (era stata la sua padrona) ha rivelato solo a lui che l'ingrediente è appunto la corteccia sminuzzata dell'arbusto presentato a Linneo. Quest'ultimo si innamorò del nuovo medicinale, tanto che per una volta venne meno alle sue abitudini: battezzò seduta stante la pianta Quassia amara (che in fondo è una traduzione del nome indigeno qwasi-bite) e dedicò il nuovo genere non a uno studioso europeo, ma a un guaritore popolare, per di più nero (con grande delusione di Dahlberg, che probabilmente sperava che la dedica toccasse a lui). Si affrettò anche a scrivere l'opuscolo Dissertatio botanico-medica, sistens lignum qvassiæ in cui esponeva le proprietà farmaceutiche dell'infuso di legno quassio; nello stesso 1763 fu discusso come tesi dall'allievo di Linneo Carl Magnus Blom. La sorprendente dedica (che sembra in contraddizione con il precetto di Linneo di non usare per la denominazione generica "nomi barbari") probabilmente va inquadrata nel dibattito sull'abolizione della schiavitù che nacque proprio nel Settecento e trovò ampia risonanza soprattutto nei paesi protestanti; anche gli Illuministi - molti dei quali erano corrispondenti di Linneo - denunciavano l'immoralità e l'ingiustizia dello schiavismo. Inoltre contò sicuramente anche il fascino dell'esotico, lo stesso che rese rapidamente popolare in Europa il decotto di legno quassio, usato essenzialmente come amaro-tonico digestivo, stimolante dell'appetito, atto a sopprimere il vomito e le febbri e privo degli effetti drastici di altri potenti tonici allora in voga. D'altra parte la figura di Quassi divenne piuttosto nota in Europa, quasi l'incarnazione del "buon negro". Intelligente, colto, intraprendente, da schiavo era riuscito a riconquistare la libertà e a diventare egli stesso un ricco piantatore. Il capitano Stedman, che tra il 1772 e il 1777 visse in Suriname e partecipò alle spedizioni contro i maroon, lo definisce "il celebrato Granman Quassi" e lo presenta come un guaritore e indovino venerato dalla sua gente quasi come un Dio: l'appellativo Granman significa "grand'uomo" ed era attribuito a capi tribù e guaritori-sciamani. Secondo Stedman, Quassi ebbe un decisivo ruolo di mediatore tra bianchi e neri, altrimenti incapaci di trovare un accordo. Nel suo libro The Narrative of a Five Years Expedition against the Revolted Negroes of Surinam (pubblicato nel 1796) compare anche un ritratto, in cui Quassi indossa gli abiti europei donatigli dallo statolder d'Olanda nel 1776, in occasione della sua visita ufficiale ad Amsterdam a spese della compagnia olandese delle Indie occidentali; all'epoca Quassi aveva 84 anni. Questa la storia di Quassi vista dagli europei. Grazie a ricerche del secolo scorso, conosciamo anche l'altra campana. Nel 1979, R. Price, un ricercatore dell'Università di Leida, ha studiato le tradizioni orali dei Saramaka, un gruppo etnico discendente dai maroon, in cui un certo Kwasimukamba compare nelle vesti del traditore per eccellenza. Era un nero venduto ai bianchi, così perfido che, dopo essersi introdotto in un villaggio facendosi passare per guaritore, era ritornato tra i bianchi e li aveva guidati in una spedizione punitiva; i Saramaka erano riusciti ad uccidere i bianchi, ma per spregio avevano risparmiato Kwasimakumba mutilandolo dell'orecchio destro (simbolo della dignità e della virilità). Guardate attentamente il ritratto di Quassi: avete visto? l'orecchio destro non c'è! Conclusione: il buon guaritore Quassi e l'arcitraditore Kwasimakumba sono la stessa persona, un nero che i bianchi definivano "uno dei più straordinari del Suriname o forse del mondo" e i neri consideravano l'incarnazione stessa del tradimento, tanto da farne il sinistro protagonista di ballate popolari e uno spauracchio per i bambini. Si rimanda alla biografia per altre informazioni sulla vita, comunque interessante, dell'ambiguo personaggio. Il legno quassio da digestivo a insetticida Naturalmente, di tutto ciò Linneo sapeva ben poco: per lui Quassi era semplicemente un grande botanico, non importa se nero, che aveva scoperto le virtù di una pianta prodigiosa che poteva salvare molte vite. Ma neppure questo era vero: le virtù della Quassia erano note da secoli alla popolazione indigena, gli arawak; era da loro che il futuro dresiman ("guaritore") aveva tratto le sue conoscenze mediche che poi aveva saputo sfruttare abilmente per diventare un uomo libero e ricco. Ma in questa storia di equivoci, anche la Quassia fa la sua parte. La quassia del Suriname, Quassia amara, appartiene al genere Quassia, della famiglia tropicale Simaroubaceae, di cui secondo alcuni autori è l'unica specie; è un arbusto o piccolo albero nativo della costa atlantica del centro e Sud America, dalla Costa Rica al nord dell'Argentina, con bellissimi fiori rossi raccolti in pannocchie. E' oggi raro e oggetto di programmi di protezione. Qualche approfondimento nella scheda. In erboristeria, tuttavia, con il nome quassia sono commercializzate (sotto forma di minuti trucioli di legname o in polvere) sia Quassia amara, sia una specie affine, la quassia della Giamaica, Picrasma excelsa Lindl., nota anche come Quassia excelsa Sw. e Simarouba excelsa DC, meno rara, più grande, quindi meno costosa. I decotti di quassia sono estremamente amari, a causa della quassina, un composto organico cinquanta volte più amaro del chinino; da qui nomi come il tedesco Bitterholz, il francese bois amer, l'inglese bitter wood, bitter ash. Mentre inizialmente veniva usato per combattere le febbri maligne intermittenti (cioè la malaria), in Europa - forse proprio a causa del gusto amaro - il legno quassio si affermò soprattutto come tonico e digestivo, atto a riaccendere l'appetito e a stimolare i succhi gastrici e le secrezioni biliari. Era impiegato anche come disinfettante intestinale, vermifugo e insetticida (contro i pidocchi e per preparare la carta moschicida). Se gli altri usi sono oggi per lo più abbandonati, nell'agricoltura biologica continua ad essere raccomandato come insetticida naturale preferibile al piretro. Nella scheda dell'Associazione italiana per l'agricoltura biologica, oltre ad altre informazioni, è proposta la ricetta di un preparato di legno quassio efficace contro afidi ed altri insetti, non tossico né per l'uomo né per le api. Inoltre, la quassina (o estratti di quassia) è usata nell'industria alimentare - ad esempio in prodotti come bitter, amari, caramelle e acqua tonica - sebbene gli studi sulla sua tossicità siano considerati insufficienti. Negli Stati Uniti è ritenuta "sicura per la salute umana" e non sottoposta a limiti; al contrario, l'Unione Europea nel 2009 ha proposto una revisione al ribasso dei tenori massimi consentiti. Blom, Miranda e il genere Blomia Prima di concludere questa storia, dobbiamo ritornare su una delle sue comparse, quel Karl Magnus Blom che come tesi di laurea discusse lo scritto linneano sulle proprietà del legno quassio. Sebbene non sia annoverato tra gli apostoli, fu un eminente allievo di Linneo che viaggiò in Olanda e in Danimarca. Dopo essersi laureato in medicina, esercitò la professione medica come medico provinciale per circa trent'anni nella Delecarlia; insomma, fu uno di quegli ottimi medici di provincia a cui Nils Dalberg voleva affidare la riforma della medicina pubblica in Svezia. Linneo gli dedicò il nome specifico di una tortricide, Tortrix blomiana (oggi Acleris hastiana). Ma anche a Blom, alla fine, è toccato un pizzico di gloria botanica (per altre notizie vedi la biografia). Nel 1953 il botanico messicano Faustino Miranda, grande esploratore della flora del Chapas, si ricordò di lui e della sua tesi, dedicandogli un genere che aveva appena scoperto, Blomia, della famiglia Sapindaceae (Simaroubaceae e Sapindaceae sono famiglie imparentate, dell'ordine Sapindales). E' un piccolo genere monospecifico rappresentato unicamente da Blomia prisca (= B. cupanioides), un albero della foresta umida presente in Messico, Guatemala e Belize. Questa specie, il cui nome maya è tzol, è uno degli alberi più belli del parco di Tikal, in Guatemala. Non ho trovato molte notizie (raccolte nella scheda), ma ho almeno scoperto che delle sue bacche sono ghiotti i coatì, i simpatici procioni di Tikal. Quanto a Faustino Miranda, grande uomo e grande botanico, chissà che anche lui non sia, prima o poi, il protagonista assoluto di una delle nostre storie. Per Linneo, i suoi apostoli erano davvero investiti di una missione sacra; attendeva con ansia le loro lettere, i semi, le piante, gli esemplari che gli avrebbero permesso di collocare al proprio posto un altro mattoncino del grande edificio del Systema naturae. Ma il settimo apostolo, Daniel Rolander, non gli permise di dare neppure un'occhiata al ricco bottino che aveva raccolto in Suriname. Da allora, per gli esegeti di Linneo, è un fallito, reso folle dal sole tropicale, un codardo irriconoscente; per dirla con Linneo, ingratus disciplus Rolander "l'ingrato allievo Rolander". Il viaggio in Suriname Tra gli apostoli di Linneo, se Loefling, l'allievo prediletto, è Giovanni, allora Rolander è Giuda. I capi d'accusa contro di lui sono pesanti: infingardaggine, vigliaccheria, ingratitudine, follia, ubriachezza... Tuttavia nel 2008 la pubblicazione del suo Diarium Surinamense (rimasto manoscritto per oltre 250 anni) ha rimescolato le carte, tanto che viene di chiedersi se egli non sia stato piuttosto la vittima di una riuscitissima operazione di mobbing. Giudichiamo dai fatti. Nel 1754 alla corte di Svezia si presenta Carl Gustav Dahlberg, un ex militare che ha fatto fortuna in Suriname (Guyana Olandese), con una considerevole raccolta di esemplari botanici e zoologici che dona al re. Il personaggio entra in contatto con l'ambiente scientifico svedese, incluso Linneo. Quando fa girare la voce che intende assumere un giovane da portare con sé in Suriname come precettore delle figlie, Linneo propone il suo allievo Daniel Rolander: dato che di questo paese gli interessa soprattutto la fauna, in particolare gli insetti (tra cui la cocciniglia), Rolander, "entomologo fin dalla nascita", è la persona giusta. Dopo qualche titubanza l'affare va in porto; anzi Dahlberg, a sua volta appassionato naturalista dilettante, fa capire che - pur di lasciare il suo nome alla storia - il lavoro sarà una sinecura: Rolander potrà dedicarsi alle ricerche praticamente a tempo pieno. Linneo si dà da fare per raccogliere i soldi per il viaggio; tra i finanziatori, oltre a lui stesso, il celebre entomologo Charles de Geer. Nell'ottobre del 1754, Dahlberg e Rolander partono per l'Olanda, da dove si imbarcheranno per il Suriname. Tuttavia la partenza è ritardata da una malattia di Rolander; salpano solo nell'aprile del 1755 e giungono a Paramaribo in Suriname a giugno. Il loro arrivo coincide con una rivolta di schiavi neri; per circa un mese si fermano in città, per poi trasferirsi nella piantagione di Wajamo, di proprietà di Dahlberg. Veniamo al primo capo di accusa: secondo la vulgata linneana, in Suriname Rolander avrebbe combinato poco o nulla. In realtà, lavorò molto e con metodo: nel primo mese esplorò Paramaribo e i dintorni, poi per cinque mesi l'area della pianura, risalendo in barca fiumi come il Commevije e i suoi tributari e facendo tappa in diverse piantagioni. Infine, nel mese di gennaio 1756 tornò a Paramaribo, nelle cui vicinanze esplorò varie piantagioni. Si impose una ferrea routine: la giornata era dedicata alle ricerche, la sera alla preparazione degli esemplari e alla stesura degli appunti. I risultati furono imponenti per quantità e qualità, non solo nel campo dell'entomologia, ma anche della botanica; fu attento osservatore delle pratiche mediche dei neri e spettatore critico dello schiavismo. Mise insieme un erbario (raccoglieva molti esemplari per ciascuna pianta) che secondo un contemporaneo avrebbe potuto soddisfare tutti i botanici d'Europa. Fu tra i primi studiosi a comprendere il ruolo degli insetti nell'impollinazione delle piante. Quindi, l'idea di un Rolander instupidito dal clima tropicale che tralascia i suoi doveri è totalmente infondata. La seconda accusa è quella di codardia: Rolander sarebbe stato terrorizzato dai rumori, dai colori, dalla confusione e dalla violenza della natura tropicale; inoltre il timore di ammalarsi si sarebbe trasformato in un'ipocondria patologica. Qualcosa di vero c'è. In effetti, Rolander si era ammalato gravemente durante l'inverno trascorso ad Amsterdam; detestava il clima tropicale ed era molto critico sulle abitudini alimentari dei piantatori, in particolare quella di bere forte. La sua salute era malferma; un medico locale gli consigliò di cambiare mestiere; inoltre la paura di soccombere per una malattia tropicale non era così infondata, a giudicare dalla sorte degli altri apostoli. Se esplorò quasi esclusivamente le piantagioni, non fu per un terrore patologico degli animali della foresta, ma per la sollevazione degli schiavi fuggiti (maroon) che impediva di addentrarsi nel paese. Quando, dopo sette mesi, decise di rompere l'accordo con Dahlberg e di tornare a casa, la sua non fu quindi la fuga di un vile o di un folle ipocondriaco. In tono molto pacato, Dahlberg ne parla in una lettera a Linneo: "Quando gli ho chiesto di rimanere, prospettandogli la possibilità di esplorare le montagne, Rolander ha declinato accampando la cattiva salute, il clima ostile, la stanchezza per tanto lavoro, aggiungendo che ormai aveva visto tutto; forse pensa che il Suriname non sia così interessante come si crede". La rottura con Linneo e l'ostracismo Il viaggio di ritorno di Rolander fu complicato. Partito nel gennaio del 1757 da Paramaribo, il naturalista dovette fermarsi una decina di giorni nell'isola di St. Eustatius nelle Antille olandesi in attesa di condizioni favorevoli; sfruttò la sosta per integrare le sue raccolte con animali e piante dell'isola. Ad aprile era ad Amsterdam, ma sulla via di casa rimase bloccato per mesi ad Amburgo, ammalato e senza soldi. Solo ad ottobre riuscì a rientrare in Svezia, grazie al soccorso dell'Accademia delle Scienze svedese. Arriviamo così alla scena madre del dramma, e alla duplice accusa di ingratitudine e follia. Rolander e Linneo si incontrarono a Stoccolma; il maestro si offrì di ospitarlo a casa sua, ma l'allievo respinse l'offerta e gli negò l'accesso alle sue collezioni, promettendogli solamente il dono di un esemplare di Sauvagesia. Linneo, folle di rabbia, qualche giorno dopo si introdusse nell'abitazione di Rolander e sottrasse l'esemplare promesso. Ne seguì una rottura irrimediabile. Nelle biografie di Linneo, la colpa del fattaccio ricade sulle spalle di Rolander: la sua salute mentale, già vacillante in Suriname, sarebbe peggiorata, aggiungendo all'ipocondria la paranoia che lo induceva a sospettare di tutti, in particolare di Linneo (che, da questo momento in avanti, lo definirà "l'ingrato allievo Rolander"). Ma possiamo trovare motivazioni più razionali: probabilmente covava rancore verso il maestro che per mesi lo aveva abbandonato malato e senza mezzi ad Amburgo, mentre avrebbe potuto facilmente aiutarlo attraverso la sua potente rete di corrispondenti. Inoltre per Rolander, privo di mezzi e di appoggi familiari, l'unica risorsa erano le sue collezioni e il suo diario di viaggio: non era disposto a cederli per nulla, con il rischio che Linneo pubblicasse a proprio nome le scoperte che gli erano costate la salute e la giovinezza; in cambio voleva una cattedra universitaria o almeno risorse certe. D'altra parte Linneo considerava un suo diritto l'accesso alle collezioni dell'allievo che aveva formato, ospitato in casa sua e il cui viaggio aveva almeno in parte pagato di tasca propria. Dopo la rottura con Linneo, Rolander poté ancora contare su qualche appoggio. Inviò una cassa di insetti al barone de Geer e grazie a Abraham Bäck, medico, amico e corrispondente di Linneo, fu assunto come curatore del giardino dei semplici dell'ospedale Seraphim di Stoccolma. L'incarico avrebbe dovuto includere lezioni di medicina, ma Linneo avvertì Bäck che Rolander non ne aveva requisiti. Dopo qualche anno, vedendo che l'ostilità di Linneo impediva ogni carriera in Svezia, l'allievo ostracizzato si trasferì a Copenhagen. Neanche qui fu molto fortunato; dopo varie vicissitudini, grazie alla protezione di un professore tedesco, Christian Gottlieb Kratzenstein, riuscì a redigere il diario di viaggio (Diarium Surinamicum, quod sub itinere exotico conscripsit Daniel Rolander), ma non a farlo pubblicare. Alla fine per mantenersi fu costretto a cedere il diario a Kratzenstein e una parte dell'erbario a Rottboel, un altro botanico danese. Dopo il definitivo rientro in Svezia precipitò in una tragica spirale di indigenza e malattia, forse anche nell'alcolismo di cui lo accusa Linneo in una lettera del 1774. Qualche notizia in più nella biografia. Una pianta e una cimice La condanna postuma (i latini la chiamavano damnatio memoriae) ha continuato a perseguitare Rolander per più di due secoli; solo la pubblicazione nel 2008 di una traduzione inglese del Diarium Surinamicum nell'ambito del progetto dell'IK sugli apostoli ne ha riabilitato la memoria, permettendo la lettura diretta di questo notevole lavoro. I risultati delle sue ricerche sono rimasti fuori della storia della scienza, anche se per fortuna solo in parte: grazie alla cassa di insetti spediti a de Geer, Linneo poté studiare e includere nella decima edizione del Systema naturae un'ottantina di insetti del Suriname. Il diario e gli erbari furono utilizzati da Rottboel per diversi lavori; in Descriptiones rariorum plantarum (1777) egli pubblicò 12 specie raccolte da Rolander in Suriname, e gli dedicò il genere Rolandra, della famiglia delle Asteraceae. Invece il rancoroso Linneo, non contento di aver impedito a quello che considerava un giuda qualsiasi carriera accademica, si vendicò ulteriormente dando il suo nome a una cimice, Aphanus rolandri (dal greco aphantos, "oscuro, ignobile"); insomma, non un nome onorifico, ma un insulto. La ricompensa floreale toccata al travagliato allievo maledetto è un modesto contributo alla sua memoria; è una pianta che egli stesso aveva raccolto in Suriname, Rolandra fruticosa, unica specie del genere, nativa delle Antille e dell'America centrale e meridionale, dall'Honduras al Brasile. E' un'erbacea o un suffrutice dotato di proprietà medicinali, sfruttate nella medicina tradizionale. Altre notizie nella scheda. Non come naturalista, ma come cappellano di bordo Olof Torén, il quarto apostolo di Linneo, si imbarca per l'India e per la Cina. Al servizio della Compagnia Svedese delle Indie Orientali, compie due viaggi con destinazione Canton, il secondo attraverso lo scalo indiano di Surat. Rientrato in patria gravemente ammalato, scrive sette lettere-relazione al suo maestro, ricche di notazioni etnografiche, religiose ed economiche più che naturalistiche. In suo onore Linneo battezza Torenia asiatica una piantina che gli ha portato dalla Cina. Le rotte asiatiche della SOIC Nell'agosto 1749, proprio nei giorni in cui Peter Kalm toccava la sua meta in Canada, il terzo apostolo di Linneo Fredric Hasselquist partiva dalla Svezia alla volta dell'impero ottomano. Come abbiamo già visto in questo post, il suo viaggio era destinato a concludersi tragicamente. Il quarto apostolo, Olof Torén, era appena tornato dalla Cina e si apprestava a un secondo viaggio, che avrebbe pagato con la vita. Le piante cinesi continuavano ad esercitare il loro richiamo su Linneo - che sognava addirittura di acclimatare il tè in Svezia - e sull'Accademia svedese delle Scienze. Impensabile una vera spedizione scientifica come quelle di Kalm in America o di Hasselquist in Medio Oriente: i cinesi limitavano l'accesso agli europei alla piccolissima enclave della stazione commerciale di Guangzhou (meglio nota in occidente con il nome di Canton). L'unica via praticabile era aggregare un naturalista, come medico o cappellano di bordo, al viaggio annuale di una delle navi della Compagnia Svedese delle Indie Orientali che facevano la spola tra Gothenborg e Canton. La Compagnia Svedese delle Indie Orientali (SOIC, Svenska Ostindiska Companiet) era stata fondata nel 1731 a Gothenburg, ultima tra le grandi compagnie commerciali europee. Anche in Svezia bere il tè o possedere porcellane e lacche cinesi era diventato un irrinunciabile status symbol; l'importazione di questi prodotti, che raggiungevano la Svezia attraverso i commercianti inglesi o olandesi, pesava negativamente sulla già misera bilancia dei pagamenti del paese, grandemente impoverito da un secolo di guerre. Gli Svedesi cercarono così di inserirsi nel commercio verso la Cina (e in misura minore l'India) in modo da importare senza intermediari questi prodotti tanto desiderati. La SOIC nei sui 82 anni di vita (dal 1731 al 1813) organizzò 131 viaggi, con 37 vascelli. Ogni anno nell'arsenale della Compagnia a Gothenborg una o più navi erano addobbate per il viaggio. Si salpava intorno a gennaio o febbraio, con un carico di ferro e rame; la prima tappa era solitamente Cadice, dove questi metalli e altre merci erano scambiati con argento spagnolo che sarebbe servito per acquistare i prodotti cinesi: infatti i Cinesi non erano interessati alle merci europee, mentre le leggi svedesi vietavano l'esportazione d'argento. Dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, si arrivava allo stretto di Giava verso luglio o agosto; con il monsone favorevole, il viaggio verso la Cina richiedeva un altro mese. La meta finale era Guangzhou dove si trovava lo stabilimento (o factory) della Compagnia. Dopo una sosta di non più di quattro mesi, verso Natale si era pronti per il viaggio di ritorno, con le stive cariche di tè (da solo costituiva il 90% del carico), porcellane, spezie, sete e suppellettili (mobili, oggetti di lacca, tappezzerie). Facendo a ritroso la stessa strada, se non c'erano imprevisti, dopo 7-8 mesi, verso luglio o agosto, si era di nuovo a casa. In tutto 17-18 mesi; ma bastava qualche contrattempo per essere costretti a sostare per lunghi mesi in attesa del monsone favorevole ; e allora il viaggio poteva durare anche due anni e mezzo (un ritardo che si poteva pagare con la vita, come successe a Tärnström e a molti suoi compagni di viaggio). In queste condizioni, le possibilità di esplorazione per un scienziato, imbarcato come medico o cappellano di bordo, non erano molte. Senza contare gli impegni dovuti al suo incarico, il tempo passato a terra era in realtà ridotto a poche settimane. Per quanto riguarda la Cina, inoltre, gli occidentali erano rigorosamente confinati nelle factory ed era vietato viaggiare nell'interno del paese; per questa ragione, le prime piante cinesi conosciute in Europa furono essenzialmente specie coltivate che gli europei acquistavano attraverso i loro comprador (cioè i mediatori cinesi) nei grandi vivai che sorgevano nei pressi di Canton. Le lettere-testamento di Torén Ma torniamo a Olof Torén e ai suoi due viaggi. Come Tärnström era stato ordinato pastore e fu assunto dalla SOIC come cappellano di bordo. Il primo viaggio, sulla nave Hoppet, durò dal gennaio 1748 al luglio 1749 ed ebbe come destinazione Canton; dovette svolgersi senza particolari intoppi, seguendo la rotta descritta sopra, ma Torén non ne ha lasciato alcuna documentazione. Siamo invece ben documentati sul secondo viaggio, perché Torén stesso ne riferì in sette lettere a Linneo, scritte poco dopo il ritorno in patria e pubblicate dopo la sua morte in appendice al giornale di viaggio di Pehr Osbeck. La rotta seguita fu in parte diversa; poiché i guadagni sembravano in calo, la Compagnia cercò di inserirsi nel commercio indiano, prevedendo uno scalo a Surat. Partita a febbraio 1750 da Gothenborg, la nave Götha Leijon si diresse alla volta di Madeira, dove fece brevemente scalo per approvvigionarsi di acqua e viveri; dopo aver circumnavigato l'Africa e aver toccato il Madagascar, raggiunse Surat, dove sostò cinque mesi. Quindi proseguì lunga la rotta consueta e raggiunse Canton, dove rimase sei mesi. Il viaggio di ritorno avvenne attraverso lo stretto di Giava e il Capo di Buona Speranza, con un breve rifornimento nell'isola di Ascension e rientro a Gothenborg nel luglio del 1752. Proprio nel corso del viaggio di ritorno Torén si ammalò, forse di tubercolosi, e morì dopo circa un anno. Qualche notizia in più nella biografia. Le lettere a Linneo furono scritte durante l'anno di malattia (l'ultima due mesi prima della morte) e forse questo spiega il loro tono rassegnato, malinconico. Le notizie di carattere economico, etnografico e religioso dominano, mentre le notazioni naturalistiche sono sorprendentemente scarse; niente escursioni in mezzo alla natura come quelle di Kalm! Gli animali e le piante di cui sui parla sono quelli che si possono vedere nei giardini, negli orti, nelle piazze cittadine, al massimo sui bordi degli abitati. D'altra parte, per la maggior parte del tempo, Torén è dovuto rimanere a bordo. A Surat, si lamenta, su cinque mesi di permanenza, ha trascorso a terra 23 giorni in tutto. Le uniche piante indiane citate sono il baniano (Ficus benghalensis) e un ibisco (Hibiscus surattensis) che cresceva nel giardino della factory svedese. Qualche pianta in più vede a Queda, nello stretto di Malacca: cita tamarindo, papaya e mangrovie. La parte dedicata alla Cina (e scritta quando la malattia era già molto avanzata) contiene soprattutto notazioni etnografiche ed economiche, con alcune pagine sulla coltivazione del riso e sui sistemi di irrigazione. Eppure in Cina Torén ha sicuramente raccolto qualche esemplare e si è procurato una pianta di tè (che tuttavia non è sopravvissuta al viaggio). Le allegre fioriture estive della Torenia Almeno una pianta cinese raccolta da Torén è conservata nell'erbario di Linneo; arriva da Canton e, poiché era sconosciuta, lo studioso svedese (in Species Plantarum 1753) la battezzò in suo onore Torenia asiatica. Molte specie di questo genere sono originarie della Cina e del Sud est asiatico e vivono in terreni disturbati, vicino agli abitati; in base alla testimonianza di Osbeck, un altro allievo di Linneo che era in Cina contemporaneamente a Torén, la si trovava sia alla periferia di Canton sia a Wampoa, dove erano ormeggiate le navi svedesi. In ogni caso, ora il ricordo dello sfortunato quarto apostolo è preservato da una delle più graziose ed esuberanti regine dei balconi estivi. Il genere Torenia (un tempo famiglia Scrofulariaceae, ora Linderniaceae) comprende una cinquantina di erbacee di una fascia tropicale che va dal Madagascar al Sud Est asiatico - area in cui vivono i due terzi delle specie; la più comune in coltivazione è T. fournerii, una perenne sensibile al freddo coltivata come annuale. Con il suo portamento compatto, tendenzialmente ricadente, le foglie lucide e soprattutto le lunghissime fioriture è la pianta ideale per balconette e cestini appesi; negli ultimi trent'anni, grazie allo sforzo di grandi produttori di sementi statunitensi e giapponesi e agli ibridi creati quasi a getto continuo, la Torenia è diventata un'alternativa sempre più popolare a annuali più consuete. Come sempre, approfondimenti nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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