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L'unica parte edita del grande progetto dell'Accademia delle scienze francese di una storia generale delle piante che coniughi descrizioni accurate, illustrazioni dal vero, ricerche fisiologiche e chimiche, esce nel 1676 sotto forma di una memoria con 40 piante descritte da Marchant e un'ampia introduzione di Dodart, che ne espone con chiarezza i principi teorici. Medico giansenista diviso tra nobili pazienti e attenzione ai più poveri, non si adonterà troppo quando l'ambizioso programma verrà abbandonato. Al di là delle diverse posizioni scientifiche, Tournefort gli dimostrerà la sua stima con la dedica del genere Dodartia. Medico della nobiltà e dei poveri Come ho anticipato in questo post, nel 1676 l'Accademia francese delle scienze pubblicò Mémoires pour servir á l'Histoire des Plantes, preludio alla futura Histoire des Plantes, ma di fatto l'unico esito di quell'impresa destinata ad essere abbandonata. A scrivere l'ampia prefazione, intitolata Projet de l'Histoire des plantes, fu il medico e botanico Denis Dodart (1634-1707) che almeno per qualche anno sembrò dare nuovo slancio all'iniziativa. Figlio di un notaio parigino e cresciuto in un ambiente borghese, Dodart aveva ricevuto un'eccellente educazione, che oltre alle lingue classiche comprendeva anche il disegno e la musica. Secondo la tradizione familiare (anche la madre veniva da una famiglia di legali), iniziò gli studi di legge, ma poi passò a medicina. Nel 1660 conseguì il dottorato, mettendosi in luce per l'erudizione, l'eloquenza e l'apertura mentale. Guy Patin, il decano della facoltà, celebre per la sua lingua tagliente, in una lettera ne parla così: "Oggi abbiamo dato la licenza a sette baccellieri, il più fecondo si chiama Dodart, di 25 anni, è uno degli uomini più saggi e sapienti di questo secolo. Questo giovanotto è un prodigio di saggezza e sapienza, monstrum sine vitio". E in un'altra lettera: "Il nostro licenziato [...] è un ragazzone molto saggio, molto modesto, che conosce a memoria Ippocrate, Galeno, Aristotele, Cicerone, Seneca e Fernel. E' un ragazzo incomparabile, non ha ancora 26 anni ma la facoltà gli ha fatto grazia dei pochi mesi che gli mancavano vista la buona opinione che ce ne eravano fatti". Oltre che per l'erudizione e la competenza, si distingueva per l'assennatezza e la devozione, un insieme di virtù che attirarono l'attenzione della duchessa di Longueville, sorella del gran Condé, che lo scelse come medico personale. Grazie al suo favore, Dodart divenne medico dell'alta nobiltà, legandosi in particolare alle famiglie Condé e Conti di cui avrebbe curato i membri per tre generazioni. Dopo una vita burrascosa dedita agli amori e alla politica, la nobildonna era divenuta molto pia e si era ritirata a vivere nei pressi dell'Abbazia di Port Royal. Per suo tramite, il giovane medico conobbe quell'ambiente di religiosi e laici penitenti, divenne amico di molti di essi - tra i quali Jean Racine che lo cita spesso nella sua corrispondenza -. ne adottò il rigorismo morale e, oltre che medico dei ricchi, divenne medico dei poveri, che curava gratuitamente e soccorreva con la sua carità. Nel 1666 fu nominato professore di farmacia; nel 1672, su proposta di Condé. divenne consigliere medico reale. Incominciava anche a farsi conoscere con qualche scritto di medicina e botanica e nel 1673, su proposta di Colbert, fu ammesso all'Accademia delle scienze come secondo botanico. Da quel momento presentò all'Accademia una serie di memorie di argomento vario, ma accomunate da un approccio sperimentale. Utilizzando se stesso come oggetto di osservazione e servendosi di strumenti per misurare le variazioni quantitative, studiò la traspirazione e gli effetti della dieta sul peso; fu tra i primi a collegare l'ergotismo (fuoco di sant'Antonio) con la segale cornuta. Raccolse anche dati e statistiche sui rimedi e i farmaci usati per curare i poveri, poi confluiti nel libro Médecine des pauvres (1692). Appassionato di musica, di cui progettava di scrivere una storia, studiò i meccanismi della voce umana, sottolineando il ruolo fondamentale delle corde vocali. Come botanico, studiò la circolazione della linfa, l'influsso della gravità sullo sviluppo delle radici e sulla riproduzione. Descrisse inoltre un certo numero di piante, soprattutto introdotte dal Canada. Tra di esse, un'angelica canadese a fiori gialli (Angelica acadensis flore luteo), descritta nel 1666 in una memoria sul miele e le api; l'anno dopo, certamente non a caso, avrebbe chiamato la sua unica figlia Marguerite-Angelique. Il suo più importante contributo alla botanica è però la già citata introduzione a Mémoires pour servir á l'Histoire des Plantes. Il testo inizia con una breve avvertenza in cui Dodart insiste sul carattere collettivo dell'opera: tutti gli accademici hanno contribuito, almeno con pareri, ed essa è il risultato "delle proposte, delle esperienze e delle riflessioni di diversi membri di questa assemblea". Segue il primo capitolo, "De la description des plantes", in cui Dodart fissa le regole da seguire nelle descrizioni: senza cadere in eccessi, bisogna che "ogni pianta sia descritta in modo tale che sia impossibile confonderla con nessuna né di quelle che sono già state scoperte né di quelle che si potrà scoprire [in futuro]". Le descrizioni non potranno essere corte, e per studiare le strutture potrà essere necessario l'uso del microscopio. Le descrizioni, però, per precise che siano, non possono sostituire le illustrazioni, Ad esse Dodart dedica il secondo capitolo, "Des figures des plantes". Le dimensioni delle tavole devono essere le più grandi possibili, in modo da rappresentare le piante a grandezza naturale; le specie più piccole e i particolari devono essere disegnati "come si vedono al microscopio"; le piante poi devono essere ritratte dal vero, nel loro ambiente naturale "cioè ancora nella terra da dove sono nate". Di fatto, Dodart esprime a posteriori il metodo a cui Nicolas Robin si atteneva fin da quando lavorava per il duca d'Orlèans; e indubbiamente la maggiore riuscita dell'Histoire des Plantes sta proprio nella bellezza e nella precisione delle tavole, che apriranno la strada alla perfezione scientifica dei disegni di Aubriet, che di Robin fu allievo e successore come "pittore del re". Il terzo capitolo, "De la culture des plantes", è essenzialmente una dichiarazione d'intenti: Dodart auspica che la futura storia della piante includa osservazioni e esperienze sulla germinazione, la crescita, l'acclimatazione e il miglioramento di numerose specie. Il quarto capitolo, "Des vertues des plantes" è il più ampio (oltre quaranta pagine su una cinquantina totali); analizza la questione che più stava a cuore all'Accademia, la verifica delle virtù medicinali delle piante attraverso l'analisi chimica; questo approccio, tuttavia, si rivelò anche il maggior fallimento dell'Histoire des Plantes: le analisi di Bourdelin, pur portate avanti per anni, non approdarono a nulla e non furono mai pubblicate. L'ultimo capitolo, infine, "Mémoires que la Compagnie doit donner au public sur l'Histoire des Plantes", è una sintesi del progetti editoriali futuri; progetti che, come sappiamo, non vennero mai realizzati, o almeno non si tradussero in alcuna ulteriore pubblicazione. Lo stesso Dodart, tra il 1680 e il 1681 fu attivamente impegnato nella scrittura di una ipotetica seconda parte, dedicata alle piante alimentari native, "il coriandolo, la lattuga, la cicoria selvatica e coltivata, il crescione". Aveva già messo insieme un volume di adeguate dimensioni quando, rientrando a Parigi con il manoscritto pronto per la stampa, fu derubato da un gruppo di banditi di strada, Dovette riscrivere tutto da capo, ma anche il suo lavoro non fu né completato né pubblicato. Con la morte di Colbert (1684) vennero meno sia lo slancio sia i finanziamenti. Così, quando nel 1694 l'Histoire Naturelle viene defintivamente accantonata, Dodart si rassegnò senza troppi rimpianti. Del resto, ora era molto impegnato come medico. La sua vicinanza a Port Royal non era vista di buon occhio dal re Sole, che più volte pensò di cacciarlo dalla corte. Ma i suoi modi irreprensibili, la competenza professionale e soprattutto la protezione di Mme de Mantenon lo impedirono, tanto che nel 1698 divenne medico di corte con una pensione di 1000 scudi e medico della scuola di Saint-Cyr. Faceva la spola tra Parigi, Versailles e Fontainebleau e continuava a dividersi tra i clienti altolocati - era il primo medico della principessa vedova di Conti e dei suoi figli - e l'assistenza ai poveri, con i quali poteva persino essere confuso. Magrissimo, quasi calvo e senza parrucca, con abiti modestissimi, un giorno mentre si trovava in una chiesa fu scambiato da una nobildonna che lo conosceva per un "povero vergognoso" (come venivano chiamate le persone di buona famiglia cadute in povertà che si vergognavano di mendicare). E fu proprio il suo spirito di carità a portarlo alla morte: nel 1707, settantreenne, curando alcuni dei suoi pazienti più poveri prese freddo, contrasse la polmonite e ne morì nell'arco di dieci giorni. Dopo la sua morte, la principessa di Conti prese come medico suo figlio Jean-Baptiste Dodart. Avrebbe fatto una carriera anche più brillante di quella paterna, divenendo primo medico di Luigi XV. Un omaggio dal Levante Come il suo amico e successore all'Accademia delle scienze Louis Morin, Denis Dodart deve il suo ingresso tra i dedicatari di un genere di piante a Joseph Pitton de Tournefort, che aveva grande stima della sua figura morale. In Relation d'un Voyage du Levant leggiamo: "Quel giorno avemmo il piacere di stabilire un nuovo genere di piante e gli imponemmo il nome di uno degli uomini più sapienti di questo secolo, ugualmente stimato per la modestia e la purezza dei costumi. E' quello di M. Dodart dell'Accademia reale delle scienze, medico di sua altezza la principessa vedova di Conti". Validato da Linneo, Dodartia (famiglia Mazaceae) è un genere monospecifico, rappresentato unicamente da D. orientalis, un'erbacea perenne diffusa dall'Ucraina e dalla Russia alla Cina settentrionale attraverso l'Anatolia, il Caucaso e l'Asia centrale, principalmente in ambienti aridi. Cresce anche come infestante dei campi. Alta da 25 a 40 cm, è dotata di un grosso rizoma carnoso da cui emergono numerosi steli ramificati, con foglie piatte, molto spaziate tra loro, quelle inferiori opposte e ovate, quelle superiori alternate e lanceolate. I fiori, raccolti da 3 a 8 in racemi laschi, hanno corolla viola tubolare, asimmetrica, con quattro lobi: quelli laterali quasi orbicolari, quello mediano ligulato, quello superiore bilobato e eretto. I frutti sono capsule con apice apiculato che contengono numerosi semi neri. Nella medicina tradizionale cinese questa specie è stata usata per trattare bronchite, rinite allergica e orticaria.
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A un mese dalla fondazione, l'Accademia francese delle scienze vara il grandioso progetto di una storia universale delle piante, in cui le proprietà officinali siano messe alla prova della chimica. Alla scienza del tempo però mancano gli strumenti per realizzare un progetto del genere; e fallimentare è anche la scelta di rinunciare a priori a ogni sistema di classificazione. Le ambizioni si scontrano con la realtà e dopo dieci verrà pubblicata la descrizione di appena 40 piante. Dovrebbe essere un saggio dimostrativo dell'opera futura, invece non verrà pubblicato neient'altro. A mettere fine a quel progetto, allo stesso tempo velleitario e anacronistico, sarà la pubblicazione dell'epocale Elemens de botanique di Pitton de Tournefort. Tra le persone coinvolte, c'è ancora una coppia di botanici padre e figlio: Nicolas e Jean Marchant. Il loro compito, come membri dell'accademia e responsabili della coltivazione, era procurare e coltivare in una sorta di giardino sperimentale piante inedite da studiare, descrivere e illustrare dal vero. Ricavato all'interno stesso del Jardin du roi, fu visto come un corpo estraneo da Fagon fino ad essere spazzato via quando venne meno la protezione di Colbert e lo stesso Fagon divenne intendente. La vittima finale fu Marchant figlio, che non vide mai pubblicati i suoi lavori se non molto parzialmente. Eppure non era né un incompetente né un conservatore, come dimostra anche il fatto che fu il primo a scoprire che un organismo che tutti credevano un lichene era in realtà una pianta. In onore di suo padre la chiamò Marchantia; era la prima epatica riconosciuta e ancora oggi dà il nome all'intera divisione delle epatiche (Marchantiophyta). Un progetto ambizioso e irrealizzabile Scrivendo intorno al 1674, John Ray lamentò che lo studio delle piante richiedesse la consultazione di una moltitudine di testi perché una storia generale delle piante ancora mancava. L'ultima opera in tal senso era stata il Pinax teatri botanici di Caspar Bauhin, ma dalla sua pubblicazione (1596) gli arrivi e le scoperte di nuove piante si erano moltiplicati vertiginosamente. In Inghilterra a colmare la lacuna pensarano da una parte Robert Morison, con la sua Historia Plantarum Universalis Oxoniensis, di cui però riuscì a completare solo un volume (1680), e lui stesso, con la sua Historia Plantarum, pubblicata a partire dal 1686. Dall'altra parte della Manica, un progetto analogo nelle intenzioni, ma del tutto diverso nella concezione e negli esiti, prese forma nello stesso torno di tempo per iniziativa della neonata Académie royale des sciences. Era un'istituzione recentissima, creata per impulso del ministro Colbert, la cui seduta inaugurale si tenne il 22 dicembre 1666. Circa un mese dopo, il medico Claude Perrault (1613-1688) - forse più noto come architetto: gli si deve tra l'altro il colonnato del Louvre - presentò un progetto che si rifaceva a un analogo programma esposto qualche mese prima da Christian Huygens all'Accademia delle scienze olandesi: pubblicare una storia naturale basata sul metodo induttivo baconiano, ovvero sull'osservazione e la raccolta dei dati, guidate dalla ragione. Tuttavia, al contrario di Huygens , egli non propose una storia naturale onnicomprensiva, ma una coppia di opere dedicate rispettivamente ai regni animale e vegetale. La futura Histore des Plantes in prospettiva avrebbe dovuto comprendere tutte le piante note, ma per iniziare Perrault proponeva di concentrarsi sulle specie già edite; la novità sarebbe piuttosto venuta dal metodo, che avrebbe affiancato a descrizioni precise ed accurate analisi chimiche e lo studio delle funzioni fisiologiche. D'altra parte (a differenza di Ray e Morison) si rinunciava in partenza a ogni classificazione: proprio come nel Pinax, che per Perrault era ancora il modello insuperato. le piante sarebbero state elencate in ordine alfabetico. Mentre lo stesso Perrault si dedicava all'opera gemella sugli animali (tra il 1671 e il 1676 sarebbe stato uno dei principali autori di Mémoires pour servir à l'histoire naturelle des animaux, con contributi importantissimi sull'udito, la vista e il volo degli uccelli), la direzione dell'Histore des Plantes fu assunta dal chimico Samuel Cottereau du Clos (detto Duclos); nell'edificio che ospitava l'Accademia fu aperto un laboratorio di chimica e Duclos si diede con un certo vigore a distillazioni e analisi. Di fatto, la chimica vegetale era ancora agli esordi e queste ricerche non approdarono a nulla, anzi finirono per rallentare l'opera. Un motivo di contrasto se non aperto, almeno sotterraneo, fu la decisione di Duclos di concentrarsi sulla flora francese, suscitando i malumori dei botanici il cui interesse principale andava alle specie esotiche. A mettere d'accordo tutti era esigenza di illustrare ogni pianta con incisioni della massima precisione e realismo, secondo il modello dei vélins realizzati da Nicolas Robert per il duca d'Orléans a Blois e trasferiti a Parigi alla Biblioteca reale dopo la morte di questi nel 1660. Insieme ai vélins e al loro autore nominato"peintre ordinaire de Sa Majesté", a Parigi era arrivato anche il medico e botanico Nicolas Marchant (+ 1678). Laureato in medicina a Padova, era entrato al servizio del duca d'Orléans come farmacista, collaborando con i tre botanici che si succedettero alla direzione del suo orto botanico: Abel Brunyer, Robert Morison e Jean Laugier. Forse nel 1656 accompagnò Morison in un'escursione botanica a La Rochelle. Sappiamo che già all'epoca aveva intrapreso la revisione del Pinax. Certamente entrò al servizio del re, ma ci è ignoto con quale ruolo; è probabile che sia stato coinvolto nel progetto dell'Histore des Plantes fin dall'inizio, visto che fu immediatamente ammesso all'Accademia, di cui fu il solo botanico fino al 1673, quando fu affiancato da Denis Dodart. Si era comunque solo ai preliminari. Mentre Duclos si concentrava sulle analisi chimiche e il fisico Mariotte studiava la circolazione della linfa, secondo la testimonianza purtroppo scritta molti anni dopo dell'Histore de l'Academie Royale des Sciences (1733), Marchant "ogni giorno portava una delle descrizioni che aveva fatto, che l'Accademia paragonava con la pianta stessa". Sempre secondo la stessa fonte, nel 1670 "si lavorò molto alla storia delle piante; vennero fatti fare disegni esatti e si cominciò a seminare semi di piante straniere e a coltivarli. M. Marchant li descrisse [...] Quell'anno ne furono descritte 26". Lo stesso anno Duclos lesse una memoria "sul modo di analizzare le piante" e il laboratorio di chimica fu affidato a Claude Bourdelin che quell'anno esaminò 42 piante. Si trattava di ben poca cosa rispetto all'immensità del mondo vegetale. Un nuovo impulso fu dato nel 1673 dall'arrivo di Dodart - il teorico - con il quale si precisò anche il ruolo di Marchant - il pratico, o se preferite, la mente e il braccio. Il compito di Dodart sarebbe stato quello di esaminare tutto ciò che Antichi e moderni avevano scritto sul soggetto, per arrivare a una corretta identificazione delle piante vive; a Marchant spettava sia coltivarle sia descriverle. Perrault chiese venisse istituito un apposito "giardino accademico"; nel 1674, all'interno del Jardin royal des plantes médicinales venne riservato uno spazio alla coltivazione di piante per l'Accademia, noto come Petit jardin, affidato alla direzione di Marchant come “concierge et directeur de la culture des plantes du Jardin Royal". Inevitabili furono le tensioni con il personale del Jardin, ed in particolare con il sottodimostratore, ovvero il professore di botanica, al quale, fino a quel momento, era affidata la direzione delle coltivazioni. Dal 1671, il sottodimostratore era Guy-Crescent Fagon, non certo una persona conciliante e remissiva. Infatti, nei manoscritti di Marchant conservati presa la biblioteca nazionale, Yves Laissus ha trovato una lettera di Nicolas Marchant a Colbert, non datata ma presumbilmente risalente alla seconda metà degli anni '70, in cui lamenta "la conduitte de M. Fagon", accusato di una serie di sgarbi, ma soprattutto di intrigare alle sue spalle. Finalmente, nel 1676 vide la luce Mémoires pour servir à l'histoire des plantes, che avrebbe dovuto essere il preludio all'enciclopedica Histore des Plantes, ed invece sarebbe rimasto senza seguito. L'opera è divisa in due parti: un'ampia prefazione, intitolata Projet de l'Histoire des plantes, scritta da Dodart (la esaminerò nel post dedicato a quest'ultimo) e Descriptions de quelques plantes nouvelles, con le descrizioni di 40 piante rare o comunque mai descritte in precedenza, nella maggior parte dei casi provenienti dall'America, scritte da Marchant. Di lunghezza assai variabile, da qualche riga a una pagina, esse per lo più si concentrano sugli elementi distintivi, dalla radice ai fiori, aggiungendo l'eventuale odore, il gusto, il periodo di fioritura e qualche indicazione di coltivazione; in contraddizione con la premessa teorica, l'analisi chimica non è mai presente e anche le descrizioni stesse non corrispondono agli alti standard esposti da Dodart nella prefazione: "E' desiderabile che ogni pianta sia descritta in modo tale che sia impossibile confonderla con quelle che sono già state scoperte, e, anche, se osiamo dirlo, con nessuna di quelle che potranno essere descritte". Talvolta è indicato chi procurò la pianta; ad esempio di Trifolium echinatum capite (Trefle teste herissée) leggiamo: "M. Magnol, dottore in medicina, assai curioso e sapiente nella conoscenza delle piante, ce l'ha inviata da Montpellier". La descrizione di ciascuna specie è preceduta da un'incisione a piena pagina di ammirevole precisione e finezza, disegnata e incisa ad acquaforte da Nicolas Robert. Nei dieci anni successivi, il progetto va avanti e si precisa una specie di lenta routine. Robert e altri, tra cui Louis de Châtillon che ne prosegue l'opera dopo la sua morte nel 1685, disegnano e incidono 319 tavole, con una spesa che dovette essere indubbiamente notevole, poiché il disegno di ogni tavola è pagato 22 livres e l'incisione tra 85 e 97 livres, Bourdelin, fino alla morte nel 1699, fa numerose analisi, senza tuttavia raggiungere alcun risultato concreto. Nel Petit Jardin Nicolas Marchant coltiva piante rare, le descrive e passa gli esemplari ai pittori e a Bourdelin. Nel 1676 muore, ma il suo lavoro viene continuato dal figlio Jean (1650-1738) che nel solo 1680 fa venire "da paesi stranieri" i semi di ben 500 piante. Eppure né le sue descrizioni né le analisi di Bourdelin saranno mai pubblicate e l'opera finì per essere accantonata. Certamente contò non poco la morte di Colbert (1683); i suoi successori, prima Louvois poi Pontchartrain, dimostrarono un interesse quanto meno tiepido verso il progetto. Ma soprattutto Marchant perse il suo principale protettore proprio mentre il suo anniversario Fagon faceva carriera, divenendo prima medico della regina e dal 1693 archiatra e intendente del Jardin du roi. Contemporaneamente, proprio grazie al sostegno di Fagon, Pitton de Tournefort si affermava come nuova stella della botanica francese. Arrivato a Parigi nel 1683 come sotto dimostratore supplente di Fagon, presto divenne un caposcuola e un insegnante carismatico; nel 1691 fu ammesso all'Accademia delle scienze come terzo botanico accanto a Dodart e Jean Marchant. Secondo l'Histoire de l'Academie Royale des Sciences tra il 1691 e il 1693 collaborò con loro alle descrizioni per l'Histoire des plantes, ma di fatto si era ormai verificato un mutamento di paradigma scientifico. Contemporaneamente, per i suoi studenti stava scrivendo l'opera fondativa della botanica moderna, Elemens de botanique. L'era dei cataloghi sul modello del Pinax era tramontata, per lasciare il posto alla sistematica. Nel 1694, a sancire il passaggio, tre eventi simbolici: la pubblicazione di Elemens de botanique, la ristrutturazione delle aiuole del Jardin con le piante classificate secondo il sistema di Tournefort, la sopressione del posto di "concierge et directeur de la culture des plantes". L'Accademia prese atto del cambiamento di paradigma e abbandonò definitivamente l'Histoire des plantes. Mentre Dodart, uomo disinteressato dal carattere mite, accettò il fatto compiuto, Marchant non si rassegnò. Rimasto senza incarichi ufficiali, senza finanziamenti, né una pensione, privato del giardino sperimentale, continuò a descrivere nuove piante, forse in vista di un'opera propria che non riuscì a finire. L'Accademia pubblicò sporadicamente qualche sua memoria, in cui si rivela eccellente osservatore. Tra le più significative, Sur la Production de nouvelles especes de plantes, pubblicato nel 1719 in cui fu tra i primi a documentare, attraverso lo studio di Mercurialis annua, che le forme delle piante possono mutare, contraddicendo così l'idea allora dominante che le specie non cambiano nel tempo e conservano la forma data da Dio al momento della creazione. E' dunque considerato uno dei primi precursori dell'evoluzionismo. Un errore fecondo, ovvero la scoperta di Marchantia Le capacità di osservazione, ma anche l'indipendenza di pensiero di Jean Marchant sono confermate da un'altra memoria, pubblicata negli atti dell'Accademia nel 1713, Nouvelle Découverte des Fleurs et des Graines D'une Plante rangée par les Botanistes sous le genre du Lichen. Osservando con la lente di ingrandimento una pianta nota fin dai tempi antichi e classificata tra i licheni, osservò strutture riproduttive che prese per fiori e semi. Non lo erano; giusta invece la conclusione: non si trattava di un lichene, ma una pianta appartenente a un genere del tutto nuovo. Lo chiamò Marchantia in memoria di suo padre "il fu M. Marchant che per primo ebbe l'onore di occupare il posto di botanico in questa accademia, quando il re creò questa istituzione nel 1666". Ne approfittò anche per togliersi un sassolino dalle scarpe: per definire le caratteristiche dei licheni fece riferimento al "più moderno di questi autori"e alle sue Institutiones rei herbariae, ovvero a Tournefort; dopo aver dimostrato anche partendo da questa premessa che la specie in questione non è un lichene, concluse: "La scoperta di questo fenomeno [= la fioritura di Marchantia] è stata a lungo celata ai botanici, dal momento che lo stesso M. Tournefort, che ha definito il carattere generico di Lichen, non ne fa menzione". Ufficializzato da Linneo, Marchantia è uno dei generi più noti e tipici delle epatiche, tanto da dare il nome non solo a una famiglia (Marchantiaceae), ma alla divisione (Marchantiophyta) che comprende tutte le epatiche. Insomma, almeno da questo punto di vista, la mossa di Jean Marchant per sottrarre suo padre dall'oblio si è rivelata decidamente vincente. Marchantia comprende da venti a quaranta specie (il numero varia di molto da uno studioso all'altro), presenti in tutto il mondo, soprattutto in ambienti umidi. Sono caratterizzate da un tallo appiattito a forma quasi di nastro, differenzato in due strati: quello superiore, con epidermide ben definita e provvista di pori, che provvede alla fotosintesi; quello inferiore con funzione di riserva. Il tallo presenta piccole strutture a forma di coppa chiamate gemme, contenenti piccoli pezzi di tessuto utilizzati per la riproduzione asessuata. Può infatti riprodursi sia in modo asessuato, sia in modo sessuato, tramite strutture riproduttive dette anteridi (maschili) e archegonia (femminili). Non producono semi, ma spore. La specie studiata da Marchant è M. polymorpha, un'epatica a diffusione planetaria (tutti i continenti ad eccezione dell'Antartide), altamente variabile, con numerose sottospecie. Dioica, presenta strutture riproduttive maschili e femminili su piante separate; probabilmente a ingannare Marchant che li scambiò per fiori furono gli archegoniofori costituiti da uno stelo con raggi a forma di stella. Questa specie è spesso visibile anche nei nostri giardini dove può infestare vasi e strutture. E' anche una pianta pioniera, spesso la prima a crescere dopo un incendio. A causa della forma del tallo, che può ricordare vagamente quella del fegato, sulla base della dottrina delle segnature per secoli è stata ritenuta un rimedio per le malattie di questo organo; da questa credenza deriva il nome "epatica". Secondo Fontenelle, che come d'uso fu incaricato dall'Accademia delle scienze di scriverne l'elogio funebre, la vita del dottor Morin era regolata in modo rigidissimo, "con un ordine quasi altrettanto uniforme e preciso dei movimenti dei corpi celesti". Ogni sera, andava a letto alle sette, per alzarsi alle due. Dedicava poi tre ore alla preghiera, spesso assisteva a una messa a Notre Dame, quindi trascorreva la mattinata in ospedale. Alle undici era ora di mangiare (una cosa di poco momento, visto che si nutriva di pane e acqua); se faceva bello, andava al Jardin des Plantes, dove rimaneva fino alle due. C'erano poi le visite ai poveri, quindi si richiudeva nella sua camera a studiare. Se qualcuno veniva a trovarlo, pazienza: "Quelli che vengono a trovarmi mi fanno onore, ma quelli che non vengono mi fanno piacere". Fu questa vita così regolare, così scandita con precisione dall'orologio a fare di Louis Morin un precursore della meteorologia: infatti per cinquant'anno annotò prima su un grosso registro, poi, quando divenne troppo pesante per le sue scarse forze di vecchio, su fogli volanti, la temperatura rilevata tre volte al giorno a ore fisse, le variazioni di pressione e umidita, lo stato del cielo e tutti i fenomeni atmosferici. Un materiale preziosissimo che fa la gioia di storici del clima e non solo. Non ha scritto nulla di botanica, che pure amava con passione, ma si è guadagnato la stima e la riconoscenza di Tournefort, che gli dedicò lo spinoso ma bellissimo genere Morina. Il registro del clima del dottor Morin Nel 1700, prima di partire per il suo viaggio in Oriente, Joseph Pitton de Tournefort cercò un supplente che lo sostituisse nelle dimostrazioni al Jardin des Plantes. Invece di rivolgersi a uno dei giovani assistenti del giardino, come Sébastien Vaillant, pensò a un medico già anziano, ma di grande esperienza e reputazione, Louis Morin (1635-1715), detto di Saint-Victor. Morin era nato a Le Mans e, secondo un cliché ricorrente nelle biografie dei botanici, si innamorò delle piante fin da ragazzino; il suo primo maestro fu un contadino che riforniva di "semplici" le farmacie della città. Si dice che gli pagasse le "lezioni" passandogli una parte del suo cibo; in tal modo, iniziò quell'abitudine alla sobrietà da cui mai si sarebbe discostato. Venuto a Parigi per studiare medicina, si nutriva solo di pane e acqua per dedicarsi interamente allo studio. Nel 1662 si laureò e incomincò ad avere fama di medico eccellente; entrò così all'Hôtel-Dieu; continuava a vivere da asceta, concedendosi talvolta qualche frutto, e, di nascosto, metteva i suoi guadagni nella cassetta delle elemosine. Per la sua grande reputazione, fu scelto come medico personale dalla duchessa di Guisa; mentre in precedenza si muoveva solo a piedi, ciò lo costrinse a prendere una carrozza. Ma nel 1688, quando la dama morì, se ne sbarazzò, e si ritirò a vivere nell'abbazia di San Victor, senza neppure un domestico, nonostante Mlle de Guise gli avesse lasciato una pensione di 2000 livres. Da quel momento, curò solamente i poveri. Gli anni e le infermità della vecchiaia lo costrinsero a integrare la dieta con un po' di riso e un'oncia di vino al giorno (circa 30 ml) attentamente misurata e assunta come una medicina. Della sua abilità come medico fa fede il medico reale Denis Dodart che scrisse: "Morin è indubbiamente il medico più abile di Parigi, e il meno ciarlatano". Non aveva però mai abbandonato l'interesse per la botanica; creò un notevole erbario e nel 1699 proprio come botanico fu ammesso come membro associato all'Accademia delle scienze; nel 1707 divenne membro effettivo, succedendo proprio a Dodart. Oltre a sostituire Tournefort durante la sua assenza, partecipò al catalogo del Jardin des Plantes dove, secondo la testimonianza di Fontenelle, se il tempo era bello si recava ogni giorno. Il suo contributo più importante riguarda la meteorologia. Per circa cinquant'anni, annotò su un apposito registro la temperatura, osservata tre volte al giorno (presumibilmente, tra le 5 e le 6 il mattino, tra le 14 e le 15 il pomeriggio e tra le 18 e le 19 la sera), le variazioni barometriche, l'umidità dell'aria, il vento, la nebbia, lo stato del cielo, la pioggia e altri fenomeni atmosferici. Alla fine degli anni '80 del Novecento questo diario meteorologico è stato riscoperto e attentamente studiato da Jean-Pierre Legrand et Maxime Le Goff; si tratta in effetti di un documento di estremo interesse tanto per i meteorologi quanto per gli storici. Morin si spense serenamente a 79 anni, "senza malattia, unicamente per mancanza di forze", sempre secondo Fontenelle. Grande erudito, dedicava il tempo libero dagli impegni professionali allo studio, e lasciò una notevole biblioteca, un medagliere e un erbario. Scrisse invece pochissimo; compilò un indice assai completo delle opere di Ippocrate in greco e in latino, rimasto però allo stato di manoscritto. Una pianta "orrida" ma bellissima Questo medico austero o santo laico entra nella tassonomia botanica grazie a Tournefort che al suo ritorno dall'Oriente espresse la sua riconoscenza al proprio "supplente" con la dedica di una pianta orientale. Le circostanze di questa dedica sono così raccontate nella relazione del viaggio. Tournefort e i suoi compagni si trovavano in una amena valle nei pressi di Erzurum dove c'erano numerosi mulini: "In uno di questi mulini avemmo il piacere di procedere alla nomina di uno dei più bei generi di piante del Levante, dandogli il nome di una persona molto stimabile per la sua scienza e la sua virtù. E' il signor Morin dell'Accademia reale delle Scienze, dottore in medicina della facoltà di Parigi, che per una singolare fortuna ha coltivato questa pianta da seme nel suo giardino all'abbazia di Saint Victor. Dico una singolare fortuna perché i semi non sono germinati né al Jardin Royal né in altri giardini dove li avevo fatti seminare. Sembra che [la pianta] si glori di portare il nome di M. Morin, che ha sempre amato e coltivato la botanica con passione". Grazie alla testimonianza di Tournefort, scopriamo così che a Saint Victor Morin aveva un giardino, dove fu il primo a coltivare Morina orientalis, ribattezzata M. persica da Linneo, che ufficializzò il genere istituito da Tournefort. In precedenza assegnato a una famiglia propria (Morinaceae), oggi fa parte delle Caprifoliaceae e comprende una quindicina di erbacee perenni distribuite nell'Eurasia, dai Carpazi all'Himalaya orientale e al Myanmar, attraverso il Vicino oriente, l'Asia centrale e la Cina, il principale centro di diversità con otto specie. Sono soprattutto specie montane, anche se crescono in una varietà di ambienti, tra cui affioramenti rocciosi, prati alpini, pendii aridi, margini di pinete, e persino aree umide di alta quota fino a 4800 metri. Ricche di costituenti chimici e aromatici, alcune specie trovano impiego nella medicina tradizionale cinese. Sono robuste erbacee perenni, talvolta munite di un breve caudice legnoso, Le foglie, unite in verticilli di 3-4, piuttosto varie da una specie all'altra, sono spesso spinose e profumate, I fiori sono riuniti in diversi giri successivi (verticillastri), protetti da bratte simili a foglie; avvolti da un involucello con denti spinosi, hanno lungo tubo calicina e corolla irregolare con due labbra e lembo diffuso. Il frutto è un achenio colonnare rugoso. Alcune specie, come le himalayane M. longifolia e M. nepalensis, sono talvolta coltivate in bordure assolate e giardini rocciosi, in particolare la seconda, una specie in miniatura di notevole bellezza. PS In alcuni siti si legge che il genere è dedicato al giardiniere parigino René Morin che nella prima metà del Seicento possedeva un notevole giardino con piante rare. Si tratta di un'informazione errata; la dedica di Tournefort è inequivocabile, e ad essa fa riferimento Linneo che in Hortus cliffortianus precisa: "Questa pianta, tanto terribile per le spine quanto bella e piacevole per i fiori, fu dedicata da Tournefort al dott. Morin suo supplente nell'orto botanico parigino nel periodo del suo viaggio". Potremmo anche pensare a un ritratto vegetale: le temibili spine di M. persica potrebbero alludere alla spigolosità del carattere del buon dottore, che a ogni compagnia preferiva se stesso, la bellezza dei fiori alla sua bontà caritatevole. Talvolta i nomi botanici di piante diversissime sono così simili che si tende a confonderli. È il caso di Hottonia e Houttuynia, tanto più che la prima è una pianta acquatica e la seconda non disdegna i terreni intrisi d'acqua. La confusione è anche maggiore se guardiamo ai dedicatari: Hottonia ricorda Petrus Hotton o Hottonus, noto anche come Pieter Houttuyn, mentre Houttuynia è dedicata a Martinus Houttuyn. Entrambi olandesi, sono vissuti a circa un secolo di distanza e, a quanto risulta, non hanno alcuna parentela. In ordine di apparizione, iniziamo dunque con Petrus Hotton e la sua Hottonia. Un botanico illustre, ma quasi dimenticato In un passo della prolusione con la quale inaugurava il corso di botanica all'università di Leida, il medico, botanico e professore universitario Petrus Hotton (1648-1709), a proposito dell'antico rizotomo Crateva, lamenta che "il tempo vorace ci invidia gli scritti degli uomini più celebri", tanto che di quell'uomo citato con elogio dai maggiori scittori antichi non rimane neppure un frammento. A Crateva Hotton doveva essere affezionato, visto che ne prese il nome quando fu eletto all'Accademia leopoldina, e, a posteriori, possiamo dire che quelle parole calzano perfettamente anche a lui. Celebre al suo tempo, anch'egli è oggi quasi dimenticato, anche se ce n'è giunta almeno qualche riga. Era figlio di Godefroy Hotton, un predicatore ugonotto di origine francese o vallona, e di sua moglie Anna Maria Ros. Non conosciamo il luogo di nascita di Hotton padre; il cognome ci riporta o alla Francia del Nord o alla Vallonia. Sappiamo invece che studiò a Heidelberg, quindi fu successivamente predicatore a Frankenthal, Aquisgrana e Brema; quando il Limburgo fu riconquistato dai Paesi Bassi, fu nominato predicatore prima delle comunità rurali poi della città di Limburgo. Intorno al 1634 si trasferì ad Amsterdam, dove divenne pastore della comunità vallona, i cui sinodi presiedette più volte. Ha lasciato una raccolta di omelie, tradotte in francese, e l'interessante De Christiana inter Europaeos Evangelicos concordia, in cui propugna la necessità di superare i contrasti tra le diverse confessioni riformate. Alla nascita del figlio Pieter (forse in famiglia sarà stato chiamato Pierre) aveva già superato la cinquantina, e il bimbo rimase orfano di padre ad appena otto anni. Della sua educazione si sarà occupata la madre, o anche la comunità vallona. In ogni caso nel 1665, a diciassette anni, lo troviamo immatricolato alla facoltà di medicina di Leida, dove nel 1672 divenne dottore in medicina con la tesi Positiones quaedam medicae. Tornò quindi ad Amsterdam dove lavorò come medico; trascorso anche qualche tempo in Danimarca, in viaggio di studio. Allievo di Arnold Syen, che probabilmente lo avviò all'uso del microscopio e orientò il suo interesse per le piante esotiche, era profondamente interessato alla botanica. Dopo la morte del maestro, fu chiamato per breve tempo (1678-1680) a insegnare botanica e dirigere l'orto botanico di Leida come supplente di Paul Hermann, che al momento si trovava ancora a Ceylon. Ritornò poi al suo lavoro medico ad Amsterdam e per qualche tempo non sappiamo nulla della sua attività come botanico. Intorno al 1684 gli fu offerta la cattedra di botanica a Groninga che rifiutò. Nel 1692 il consiglio cittadino di Amsterdam lo nominò assistente di Frederik Ruysch, che affiancava nelle lezioni di botanica farmaceutica presso l'Hortus della città (l'altro assistente era Caspar Commelin, che si occupava delle piante esotiche), con il titolo di Horti Medici botanicus. Mantenne l'incarico fino al 1696, quando, in seguito alla morte di Paul Hermann, fu nominato professore di botanica e direttore dell'orto botanico di Leida, incarico che resse fino alla morte nel 1709. Questa la sua carriera accademica. Era stimato dai suoi contemporanei, frequentava i circoli eruditi olandesi, aveva una vasta rete di corrispondenti (tra gli altri, Anton van Leeuwenhoek, John Ray, Joseph Pitton de Tournefort e gli italiani Giorgio Baglivi, Michelangelo Tilli e Giovan Battistia Trionfetti) e fu membro della Royal Society e dell'Accademia curiosorum leopoldina, nonché socio corrispondente dell'Academia delle scienze parigina. Eppure scrisse pochissimo. A parte la tesi di laurea e qualche lettera, di lui ci rimane come maggiore opera certa proprio la già citata prolusione, pronunciata il 9 maggio 1695 al momento di assumere la cattedra di botanica a Leida. Intitolata Sermo accademicus quo rei Herbariae historia et fata adumbrantur, nella prima parte è una sintetica storia della botanica, dagli antichi fino ai contemporanei che dimostra di conoscere bene, nella seconda un elogio della botanica e delle sue "magnifiche sorti e progressive". È datato marzo 1701 il suo unico contributo alle "Transactions della Royal society", De acemella et ejus facultate lithontriptica, sotto forma di lettera in cui presenta una pianta i cui semi era giunti da Ceylon all'orto botanico di Amsterdam nel 1691 (oggi Acmella paniculata, un'annuale con proprietà mediche e insetticide). Hotton conosceva bene e ammirava l'opera di Rumphius e del suo predecessore Hermann ed era entusiasta dalle prospettive mediche, farmaceutiche, economiche delle piante esotiche che sempre più copiose giungevano dai quattro angoli del mondo agli orti botanici di Leida e Amsterdam, e scambiava volentieri i loro semi con i suoi corrispondenti. Coltivava però anche interessi teorici e tassonomici e tra tutti i botanici contemporanei ammirava in massimo grado John Ray, di cui curò l'edizione olandese di Methodus plantarum emendata et aucta, rifiutata dagli editori britannici. L'interesse per la tassonomia è confermato da Hermann Boerhaave, suo allievo e successore, che ne traccia un commosso elogio nella breve storia dell'orto botanico di Leida inclusa nella sua seconda edizione del catalogo del giardino (Index alter plantarum quae in Horto Academico Lugduno-Batavo aluntur, 1719). Secondo la sua testimonianza, Hotton avrebbe elaborato un proprio metodo (che egli definisce "Syntaxis herbaria perfectissima") che, pur movendo dalla lezione di Pitton de Tornefort, la integrava con una profonda conoscenza della letteratura botanica. Uomo prudente e metodico, secondo Boerhaave Hotton si muoveva con lentezza, tutto esaminando e considerando, senza fermarsi alla prima impressione. Con tanta lentezza che, ucciso a soli sessant'anni dal freddissimo inverno del 1709, non poté né completare né pubblicare il proprio metodo "con sommo detrimento della botanica". Qualche mese dopo la sua morte la sua vasta biblioteca fu messa all'asta. Contava più di 4000 volumi; oltre metà era costituita da testi di medicina ed anatomia, ma erano ricchissime anche le sezioni di scienze naturali e botanica, dove non sembra mancare nessuna opera significativa; la presenza di opere costosissime come Hortus eystettensis o i tredici volumi di Hortus malabaricus attesta poi una notevole disponibilità economica. Ma la biblioteca di Hotton non si limitava a quella che potremmo considerare letteratura professionale; troviamo infatti copiose sezioni di filosofia (ma all'epoca sotto questa etichetta finivano anche la fisica, l'astronomia, la matematica e la chimica), teologia, diritto, lessicografia, poesia e storia, che ci parlano di un uomo colto e di vasti e variegati interessi. Nonché poliglotta (sempre che quei libri li abbia letti davvero): la maggior parte delle opere è ovviamente scritta in latino (all'epoca ancora la lingua universale della scienza e della cultura), ma, tra le lingue moderne, oltre all'olandese e al francese (che, viste le origini familiari, forse era la sua lingua madre) non mancano testi in italiano (compresa la Gerusalemme liberata di Tasso e le opere complete di Machiavelli), inglese e tedesco. Quasi trent'anni dopo la morte di Hotton, proprio in Germania e in lingua tedesca uscì un'opera postuma attribuita al botanico olandese. Al piede del frontespizio di Thesaurus phytologicus, pubblicato a Norimberga nel 1738, leggiamo infatti: "di Petrus Hotton, dottore in medicina e prefetto dell'orto botanico dell'Università di Leida". Come chiarisce il chilometrico sottotitolo, è un Kräuterbuch, un erbario farmaceutico, che offre ai lettori la descrizione dettagliata e le "strane qualità, virtù ed eccellenti capacità" delle erbe medicinali provenienti dalle quattro parti del mondo, ma specialmente dall'Europa, con il modo più sicuro di usarle, rivolgendosi non solo a medici e farmacisti, ma anche a guaritori, giardinieri, padri di famiglia, casalinghe e "quei malati che vivono in campagna". Insomma, quanto di più divulgativo possibile, e anche quanto di più lontano dall'immagine di Hotton prudente, lento e metodico autore di una perfettissima Synthaxis herbaria presentatoci da Boerhaave. Più che a Ray o Tournefort e agli altri tassonomisti ammirati da Hotton, l'opera sembra guardare alla tradizione rinascimentale, se non medievale, dei Kräuterbücher, anche se rinnovata con l'inserimento di qualche esotica, come il tabacco e il caffé, con le piante elencate in ordine alfabetico e l'unica divisione in erbacee (prima parte) e arboree o arbustive (seconda parte). Che l'abbia scritta davvero Hotton non è affatto certo; come ipotizza Wijnands, egli potrebbe essere il responsabile dei soli indici, latino e tedesco; in tal caso, il suo nome in copertina è una semplice operazione pubblicitaria dei disinvolti editori-stampatori Johan Leonhard Buggel e Johann Seitz. Piante acquatiche in pericolo Il nostro è talvolta noto con il nome olandesizzato Pieter Houttuyn, ma si firmò sempre Petrus Hotton o alla latina Hottonus. E come tale Boerhaave gli rese omaggio con la dedica del genere Hottonia, accompagnata da parole commosse: "È giusto affidare con animo pio la memoria, a me sacra, dell'uomo illustre Petrus Hotton, mio predecessore, a tutti coloro che amano e coltivano la sapienza, la virtù e la botanica. Fu infatti egli stesso quanto mai illustre in tutte queste cose. Sottratto ai loro occhi, possano i Mani percepire che sopravvive il grato ricordo di un uomo buono ed insigne". Il genere fu recepito da Linneo fin da Hortus Cliffortianus e poi ufficializzato in Species plantarum. Questo piccolo genere della famiglia Primulaceae comprende solo due specie di piante acquatiche: l'europea ed asiatica H. palustris e la nord americana H. inflata. Chiamata volgarmente violetta d'acqua per i fiori bianchi sfumati di lilla, H. palustris è l'unica primulacea completamente acquatica della nostra flora. Cresce principalmente sommersa, con fusti verde pallido che immettono ad intervalli regolari lunghe radici bianco-argentee che fluttuano nell'acqua e si radicano nel fango del fondo. Le foglie lineari, anch'esse sommerse, si dispongono a pettine su verticilli molto ravvicinati; tra maggio e giugno, emerge dall'acqua lo scapo florale eretto, alto da 20 a 40 cm, che reca un'infiorescenza con verticilli sovrapposti di 3-9 fiori; piuttosto grandi e vistosi, hanno corolle con breve tubo e cinque lobi fusi alla base, da bianche a lilla, con una macchia gialla alla fauce. È presente prevalentemente nell'Europa centrale e settentrionale e ai margini dell'area mediterranea, con colonie disgiunte in Siberia. Vive in acque stagnanti, poco profonde e povere di sostanze nutritive; ovunque è minacciata dalla riduzione dell'habitat naturale, dal drenaggio e dall'eutrofizzazione delle acque. Altro fattore negativo è la distanza tra le diverse colonie, che spesso sono formate da cloni della medesima pianta; in assenza di impollinazione incrociata, garantita da bombi, api o sirfidi, H. palustris può autofecondarsi, ma tende a produrre pochi semi. In Italia è rara e presente occasionalmente nelle regioni centro-settentrionali; è inclusa nella liste delle piante a protezione assoluta delle regioni Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia. È in corso un progetto di reintroduzione in alcune aree piemontesi promosso da A.Di.P.A. Piemonte, che al momento incontra difficoltà per i danni provocati dalle nutrie o castorini. H. palustris è talvolta coltivata come pianta da acquario. Per quest'uso è più frequente la specie americana H. inflata, che sopporta temperature più elevate, essendo originaria degli Stati Uniti sudorientali. Ha fiori minuscoli portati al sommo di una rachide rigonfia, da cui l'epiteto; a differenza della specie europea, che come abbiamo visto è può essere impollinata da vari insetti, è probilmente esclusivamente autogama, con conseguente impoverimento della varietà genetica. Anch'essa è fortemente minacciata dalla distruzione di gran parte dei suoi habitat storici. Si spera tuttavia che, con la reintroduzione dei castori negli Stati uniti orientali, possa esserci una ripresa anche per H. inflata che trova il suo habitat di elezione negli stagni di castori, caratterizzati da acque poco profonde con un livello di acqua costante. Si ritiene anche che i castori, raccogliendo per loro tane il fango di fondo che ne contiene i semi, ne facilitino la dispersione. Nel 1626, poco dopo essersi insediata a Batavia, di fronte alle malattie e alle epidemie che decimavano i suoi uomini nelle Indie orientali, la VOC decise di inviare in Indonesia un medico capo che coordinasse tutto il settore saniatario. La scelta cadde su Jacob de Bondt (Jacobus Bontius). Prima di cadere vittima egli stesso delle malattie che affliggevano la colonia olandese, lavorò a Giava per appena quattro anni, molto fruttuosi per le sue ricerche sulle malattie tropicali e sulla storia naturale dell'isola. Lo si ricorda soprattutto per aver descritto per primo malattie come il beriberi e la framboesia e animali come il rinoceronte di Giava e l'orango. Plumier e Linneo gli dedicarono il genere montipico Bontia, che però, dalle Indie orientali, ci porta in quelle occidentali. Un medico olandese nell'insalubre Batavia Nel 1619 la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) prende il controllo della regione di Jayakarta, nel settentrione dell'isola di Giava, e sulle rovine dell'antica capitale edifica un insediamento fortificato che da quel momento ospiterà il suo quartier generale. All'inizio del 1621, con una solenne cerimonia, viene battezzato Batavia (in ricordo dei Batavi, l'antica tribù che abitava l'Olanda all'epoca romana, in cui gli olandesi riconoscono i propri antenati). Per la sua posizione, Batavia era perfetta per essere il centro amministrativo, mercantile e militare della VOC, ma pessima dal punto di vista sanitario. È stato calcolato che nel periodo che va dalla fondazione al 1739 ogni anno tra 500 e 700 dipendenti della Compagnia vi soccombessero di tifo, malaria, dissenteria, beriberi e altre malattie; la cifra si accrebbe drammaticamente dopo questa data, con 2000-3000 perdite annue. Inizialmente l'assistenza sanitaria fu affidata ai chirurghi di bordo delle navi della Compagnia e furono anche inviati alcuni medici nelle stazioni commerciali più grandi, ma nel 1626 i "17 signori" (ovvero la direzione della VOC) decisero di inviare a Batavia un medico capo che dirigesse e coordinasse tutto il settore. La scelta cadde su Jacob de Bondt (o alla latina Jacobus Bontius, 1592-1631). Bondt aveva tutte le carte in regola per assolvere pienamente il compito di medico, farmacista e ispettore dei chirurghi delle Indie orientali. Laureato in medicina all'università di Leida nel 1614, apparteneva a una famiglia di medici e docenti universitari. Suo padre Geraert de Bondt (Gerardus Bontius) fu il primo professore di medicina, matematica e astronomia dell'ateneo, e dal 1587 fu il primo titolare della cattedra di anatomia e botanica, cui nel 1598 si aggiunse la direzione dell'orto botanico. Celebre per la sua erudizione, dell'università di Leida fu anche rettore. Tre dei suoi quattro figli maschi, Reiner, Johannes e Jacob, furono medici. Il maggiore Reiner (o Reynerius Bontius) fu a sua volta professore di medicina e rettore dell'Università di Leida, nonché medico personale di Maurizio d'Orange. Il quarto fratello Willem era invece un giurista ed ebbe ruoli pubblici, incluso quello di borgomastro di Leida e si rese celebre, più che per le sue posizioni religiose ostili ai rimostranti, per aver inscenato un solenne funerale del suo cane che causò grave scandalo. Ma ciò avvenne alcuni anni dopo la morte del nostro Jacob. Quest'ultimo era il più giovane degli otto figli (c'erano anche quattro sorelle) del professor Geraert, e accettò con entusiasmo la proposta dei 17 signori, deluso delle sue prospettive di carriera in patria e convinto che un soggiorno di qualche anno nelle Indie gli avrebbe aperto la strada di una cattedra universitaria. Era talmente fiducioso di questo brillante futuro che decise di portare con sè in Indonesia la moglie e i due figli bambini. Nel marzo 1627 la famiglia Bondt si imbarcò per Giava; sulla stessa nave viaggiava in incognito, a sua volta accompagnato dalla moglie, da un figlio neonato e da altri parenti, il governatore generale delle Indie olandesi Jan Pieterszoon Coen. Bondt portava con sè anche la sua biblioteca di oltre 2000 volumi. Durante il viaggio, che si protrasse fino al 13 settembre, la moglie di Bondt morì. Era il primo dei lutti che avrebbero funestato l'avventura del medico nelle Indie olandesi. Risposatosi poco dopo l'arrivo a Batavia, nel giugno 1630 perse anche la seconda moglie, morta di colera; all'inizio del 1631, fu la volta del figlio maggiore, morto di una malattia infantile (forse morbillo). La menzione della morte di amici e conoscenti punteggia le sue opere ed egli stesso, soprattutto durante i due assedi di Batavia del 1628 e del 1629, si ammalò gravemente e per due volte fu in punto di morte. Indebolito nel corpo e nello spirito, si spense infine a soli 39 anni il 30 novembre 1631. I compiti professionali affidati a Bondt erano gravosi: come medico capo, doveva soprasiedere all'ospedale di Batavia, verificare l'equipaggiamento medico delle navi della Compagnia, ispezionare l'attività di medici e chirurghi (è possibile che a tal fine abbia fatto un viaggio di ispezione nelle Molucche e a Timor), praticare autopsie, prestare assistenza medica ai dirigenti della VOC, a cominciare dal governatore Coen (questi morì di colera durante il secondo assedio di Batavia, e Bondt nella sua opera ne descrive la malattia e la morte). Inoltre durante i due assedi fu nominato membro della corte di giustizia, nel 1630 fu advocaat fiscal e dal 1630 alla morte balivo di Batavia. Nonostante tutti questi impegni, la cattiva salute e i lutti, dedicò moltissimo tempo a investigare la medicina e la natura delle Indie olandesi, con fini sia medici sia più generali. Poco dopo il suo arrivo a Batavia, scrisse a uno dei suoi fratelli: "Mi sto applicando per raggiungere non solo la conoscenza delle erbe che crescono qui a Giava, ma soprattutto per acquisire un'idea più perfetta delle spezie di cui la nostra parte del paese è più fruttuosa". Immediatamente dopo la conclusione del secondo assedio di Batavia (maggio-settembre 1629), completò Methodus Medendi qua in Indiis Orientalibus oportet in cui descrisse 19 malattie del ventre, del torace e della pelle comuni nelle Indie ma sconosciute nei Paesi Bassi, tra cui il beriberi e la framboesia. Dimostrò anche grande ammirazione per i guaritori locali, in particolare per la loro abilità nel curare la dissenteria e altre affezioni intestinali. Ne fece i suoi informatori per conoscere le virtù delle erbe medicinali, nelle quali riconosceva il rimedio sovrano: "Dove le malattie sono endemiche, la mano generosa della natura ha piantato a profusione erbe le cui virtù sono adatte a contrastarle". Nella dedicatoria a Methodus Medendi, dedicato ai 17 signori, egli afferma di star componendo un'opera sulla storia naturale della regione e quando sarà finita promette "un commento sugli alberi, arbusti ed erbe che crescono a Giava". Lamenta anche che la malattia, che lo ha bloccato per quattro mesi gli abbia impedito di "viaggiare nel paese per esplorare liberamente le deliziose foreste di Giava e acquisire una conoscenza esatta delle erbe più nobili che vi vivono". Per scrivere quest'opera, da tempo doveva aver cominciato a raccogliere note di campo e disegni. Nel gennaio 1631 Bondt completò una seconda opera, De conservanda valetudine; si tratta di un dialogo sul modo migliore per conservare la salute nel clima difficile delle Indie, ispirato ai Coloquios dos simples e drogas da India di Garcia da Orta, che Bondt conosceva grazie all'edizione di Clusius. Gli interlocutori sono lo stesso Bondt (Bontius) e Duraeus, ovvero lo scozzese Andrew Durie, capo chirurgo del Castello e più tardi del secondo ospedale di Batavia. Fu compagno di escursioni di Bondt che lo definisce "chirurgus expertissimus". Subito dopo aver completato questo breve lavoro, in cui in vari punti si discosta da Garcia da Orta, Bondt ne analizzò più compiutamente l'opera in Animadversiones in Garciam da Orta, in cui, secondo Cook, "offre gentili correttivi e supplementi all'opera di da Orta"; al suo predecessore si ispira come metodo, ma aggiunge molte informazoni di prima mano. Così descrive Assa foetida che il portoghese conosce solo di nome e a proposto del rinoceronte che da Orta confessa di non aver mai visto, Bondt scrive: "Non solo l'ho visto un centinaio di volte nascosto nelle sue tane, ma anche mentre vaga nella foresta", per poi raccontare un incontro alquanto pauroso. Era un assaggio della quarta e ultima opera di Bondt, quella sulla storia naturale di Giava, che considerava il suo compito principale ma non riuscì a completare a causa della morte. Più di dieci anni dopo la sua scomparsa, i tre saggi completati, preceduti dalla dedicatoria a mo' di prefazione, andarono a costituire De medicina Indorum (Leida, 1642). pubblicata a cura del fratello Willem. Più tardi. non sappiamo per quali vie, il manoscritto dell'incompleta storia naturale pervenne a Willem Piso, che decise di pubblicarlo nella sua De Indiae Utriusque re naturali et medica (Amsterdam, 1658). L'opera di Bondt ne costituisce la seconda parte, Historia naturalis et medica Indiae orientalis, in sei libri; i primi quattro sono una riedizione di De medicina indorum, il quinto ("De quadrupedibus, avibus et piscibus") e il sesto ("De plantis et aromatibus") sono tratti dal manoscritto inedito. Gli animali presentati sono 33 e le piante 62. Cook, che ha riscoperto ed esaminato il manoscritto originale, conservato tra le carte appartenute al collezionista William Sherard, ha constatato che esso contiene le descrizioni, senza ordine apparente, di 16 animali e 42 piante; molte sono accompagnate da illustrazioni, note e commenti. Presumibilmente c'era un secondo volume, oggi perduto. Confrontando il manoscritto con il testo a stampa, risulta che Piso ha dato un ordine ai materiali, ha ritoccato il latino, aggiunto poemi introduttivi e informazioni occasionali, e anche introdotto qualche argomento nuovo, basandosi su informazioni ricevute da persone che erano state nelle Indie dopo Bondt. Insomma, si comportò da editor relativamente rispettoso, come abbiamo già visto per i materiali sulla flora e la fauna brasiliane ricavati da Marcgraf. Stando alle lettere di Bondt. un certo numero di immagini dovettero essere disegnate da un suo cugino, Adriaen Minten. Altre da lui stesso, ricorrendo al metodo dell'imprinting (cioè ricalcando l'impronta del soggetto). Tra quelle di animali, alcune sono notevoli. Non solo troviamo la prima immagine credibile del rinoceronte di Giava (Rhinoceros sondaicus), diverso da quello indiano, ma anche un babirussa di Sulawesi, una tigre vista presumibilmente a Bali, e persino un dodo, non ancora estinto quando il medico, in viaggio per l'Indonesia, fece scalo a Mauritius. L'immagine più intrigante è però quella dell'organo, che chiaramente Bondt non aveva mai visto di persona, ma di cui aveva sentito parlare dai locali in termini più o meno favolosi come di un "uomo dei boschi" forse persino dotato di parola. E come un uomo selvatico è raffigurato, non sappiamo per iniziativa di chi (forse di Piso o dell'editore Elzevir). Quanto alle piante, quelle descritte sono quasi tutte medicinali, più qualcuna culinaria, per le quali Bondt raccolse informazioni da donne locali. C'è anche un capitolo sul tè e le sue virtù medicinali, ma non un'immagine, perché Bondt lo conosceva solo nella forma essiccata che era commercializzata a Giava e le informazioni che aveva raccolto da più parti, tra cui Jacques Specx, che prima di essere nominato governatore generale aveva vissuto in Giappone, erano contraddittorie. Un olivo... americano Si deve nuovamente a Plumier la dedica a Bondt di uno dei suoi generi americani, Bontia, poi fatto proprio da Linneo. Molto sobriamente, Plumier lo ricorda come "medico ordinario" della città di Batavia a Giava e come autore dei sei libri di Historia naturalis et medica Indiae orientalis, pubblicati da Piso. Egli scrive anche di conoscere una sola specie di questo genere. Ed è così anche oggi. Bontia (Scrophulariaceae) è infatti un genere monospecifico, il cui unico rappresentante è B. daphnoides, un arbusto o piccolo albero che cresce nella maggior parte delle isole dei Caraibi e lungo le coste del Venezuela e della Guyana, soprattutto nei boschi di mangrovie. Ha foglie coriacee, ellittiche, con accentuata nervatura sulla faccia inferiore, che possono ricordare quelle del genere Daphne (da qui l'eponimo), cosparse di ghiandole oleose. Ma forse l'allusiome è all'olivo, come farebbero pensare alcuni nomi volgari, come wild olive (Barbados) olivier bord de mer (Martinica) o aceituna americana (Cuba), che fanno riferimento non alle foglie, ma ai frutti, drupe grossolanamente sferiche dapprima verdi poi nere a maturazione. Curiosi i fiori, che sbocciano solitari all'ascella delle foglie. Retti da un lungo picciolo, hanno cinque sepali verdi appuntiti a forma d'uovo e cinque petali uniti alla base a formare un lungo tubo bruno-giallastro ricoperto da numerose ghiandole che poi si apre in due lobi diseguali diffusi e retroflessi. Essendo piuttosto ramificato e sempreverde, nei Caraibi è spesso utilizzato come frangivento e per siepi difensive; è stato introdotto in Florida e alle Hawaii. Decotti delle foglie sono utilizzati nella medicina tradizionale per curare varie affezione e le ricerche ne hanno confermato le proprietà antivirali, Per un periodo brevissimo, dal 1630 al 1654, gli olandesi controllarono la costa nord orientale dell'attuale Brasile, ponendo la loro capitale dove oggi si trova Recife. Ad attirarli era la ricchezza promessa dalle piantagioni di canna da zucchero, ma grazie al governatore Johan Maurits di Nassau Siegen, che aveva portato con sè un'équipe di artisti e scienziati, diedero vita a un'avvincente avventura scientifica, con la creazione del primo osservatorio astronomico, del primo orto botanico e del primo zoo del Sudamerica e la prima esplorazione organizzata della fauna e della flora brasiliane. Protagonista ne fu il poliedrico naturalista tedesco Georg Marcgraf, autore insieme al rivale Willem Piso di Historia naturalis Brasiliae, una pietra miliare dell'etnografia, della botanica e della zoologia, rimasta un testo di riferimento per circa duecento anni. Lo ricordano il genere Marcgravia e, indirettamente, Marcgraviastrum. Un po' di storia: il Brasile olandese Fu lo zucchero ad accendere l'interesse olandese per il Brasile. Fin dal Quattrocento, quando i portoghesi avevano introdotto la coltivazione della canna da zucchero a Madera e nelle Azzorre, i fiamminghi aveva giocato un ruolo importante come finanziatori e mediatori con il mercato europeo, che era continuato e si era intensificato quando, a partire dal 1530, la coltivazione era stata estesa al Brasile. Anversa si era sostituita a Venezia come maggiore centro mondiale di raffinazione dello zucchero, primato che avrebbe mantenuto fino all'assedio del 1579. In seguito a quell'evento traumatico, persone e capitali si trasferirono a nord, nella Repubblica delle Province unite, e Amsterdam ereditò da Anversa il ruolo di capitale della raffinazione della zucchero. A fare da sfondo, la "guerra degli Ottant'anni", come nei Paesi Bassi è chiamata la rivolta contro la Spagna. Per piegare la resistenza delle province ribelli, nel 1579 Filippo ll chiuse i porti della Spagna e delle sue colonie ai mercanti dei Paesi Bassi; l'anno successivo il Portogallo passò sotto la corona spagnola e i porti brasiliani furono automaticamente preclusi alle navi olandesi. Una parziale mitigazione si ebbe nel 1594, quando il commercio con il Brasile fu concesso una volta all'anno a una singola flotta olandese di non più di venti navi. La "Tregua dei dodici anni", firmata da Spagna e Repubblica delle Province unite nel 1609, permise nuovamente il libero accesso delle navi olandesi ai porti del Brasile; in cambio, gli olandesi si impegnarono a non commerciare con le altre colonie spsgnole e a sospendere la creazione di una Compagnia delle Indie occidentali, analoga alla Compagnia delle Indie Orientali. Allo scadere della tregua, i traffici olandesi si erano enormemente accresciuti; ora le navi olandesi controllavano oltre metà degli scambi tra Brasile ed Europa, e le raffinereie di zucchero dei Paesi Bassi erano passate da tre a 29. Nell'estate del 1621, appena spirata la tregua, fu creata la Compagnia olandese delle Indie occidentali (WIC), che ottenne dagli Stati generali il monopolio dei traffici nell'Atlantico. Nel 1623 la WIC varò il Groot Dessein (grande disegno), che prevedeva di impadronirsi da una parte della capitale del Brasile portoghese, San Salvador de Bahia, e dall'altra del principale forte portoghese in Angola, Luanda. In tal modo, la WIC avrebbe controllato sia le piantagioni brasiliane, sia il traffico degli schiavi neri, e tagliato fortemente le risorse economiche della monarchia spagnola. Nel maggio 1624 una spedizione olandese riuscì effettivamente ad impadronirsi di Salvador, ma poco meno di un anno dopo una flotta di soccorso riconquistò la città. Anche l'attacco a Luanda fallì. Tuttavia, nel 1628 il vice ammiraglio della WIC Piet Hein riuscì a catturare nella baia di Matanzas la flotta spagnola del tesoro, portando l'intero carico con sè in Olanda. Ciò diede alla WIC i capitali per un secondo tentativo in Brasile. Tra l'estate del 1629 e il febbraio 1630, gli olandesi riuscirono a conquistare Olinda e Recife (la capitale del Pernambuco); entro il 1634 controllavano la costa del nordest brasiliano dal Rio Grande do Norte al Cabo de Santo Agostinho. Era così nato il Brasile olandese, anche conosciuto come Nuova Olanda (Nieuw Holland). Il dominio olandese ebbe vita breve - poco più di vent'anni, fino al 1654 - ma fu ricco di conseguenze anche per la storia della scienza. Inizialmente la nuova colonia fu amministrata da commissari della WIC, finché nel 1634 venne nominato governatore il conte Johan Maurits di Nassau-Siegen (1604-1679); nipote di un fratello di Guglielmo il Taciturno, era cugino dello stadtholder Federico Enrico di Nassau-Orange e fin da giovanissimo aveva militato nell'esercito della Repubblica delle Province unite, dimostrando notevoli qualità militari. Le confermò nel nuovo incarico, sconfiggendo più volte le forze ispano-portoghesi; nel 1637 inviò in Africa una spedizione che riuscì a impadronirsi dell'importante base commerciale di Elmina (gli olandesi l'avrebbero controllata fino al 1872); fallirono invece due tentativi di prendere Salvador. Oltre che un eccellente uomo d'armi, Johan Maurits era un umanista appassionato di scienze ed arti, un politico lungimirante e un ottimo amministratore; fece costruire infrastrutture come strade e ponti, incoraggiò l'immigrazione di coloni olandesi ma allo stesso tempo cercò la collaborazione dei proprietari portoghesi creando consigli municipali cui portoghesi e olandesi partecipavano fianco a fianco. Nel 1638, sull'isola di Antônio Vaz, posta di fronte a Recife, fondò la città di Mauritsstad, che divenne la capitale del Brasile olandese, affidandone la progettazione all'architetto Pieter Post. La residenza del governatore era la sontuosa Vrijburgh (Huis Vrijburgh), nota anche come palazzo delle torri per le due alte torri che ne ornavano la facciata; una era usata come faro, mentre l'altra ospitava un osservatorio astronomico, il primo dell'emisfero sud. Le sale erano ornate di dipinti, tappezzerie, arredi raffinati e collezioni di oggetti artistici e naturali. Il palazzo era circondato da giardini con parterre formali, un'ampia peschiera, un'arboreto dove furono trapiantate 200 piante di palma da cocco e altri alberi da frutto - tanto portati dall'Europa come melograni, limoni, aranci, quanto tropicali. Per la flora e la fauna brasiliane c'era un orto botanico e uno zoo, anch'essi i primi del genere nelle Americhe. Molti degli animali che ne popolavano le gabbie e le voliere era doni di locali che desideravano in tal modo ingraziarsi il governatore, ma erano anche il frutto delle vere e proprie spedizioni scientifiche da lui promosse. Un'opera a quattro mani - anzi sei Egli infatti aveva portato con sè una piccola équipe di pittori e scienziati che mise al lavoro per esplorare e documentare le ricchezze naturali della nuova colonia. Tra i primi, troviamo Frans Post, che si specializzò in paesaggi e scene esotiche e Albert Eckhout, che dipinse scene del Nuovo mondo, ritratti di indigeni e nature morte e presumibilmente gran parte degli oli di animali e piante poi donati al Grande elettore di Brandeburgo e inclusi in Theatrum rerum naturae Brasiliae; tra i secondi il suo medico personale e chirurgo dell'esercito Willem Piso (1611-1668), il geografo e astronomo Georg Marcgraf (1610-1644) e lo studente di medicina e matematica Heinrich Cralitz che sfortunatamente morì di febbri tropicali entro un anno dal suo arrivo. Piso e Marcgraf parteciparono a diverse spedizioni nell'interno, che avevano allo stesso tempo scopi militari, economici e scientifici. Come medico, Piso era soprattutto interessato alle malattie tropicali e alle piante medicinali, la cui conoscenza era essenziale per mantenere in salute il personale della compagnia e i coloni, mentre il compito principale di Marcgraf, come astronomo e cartografo, era disegnare una mappa della colonia il più completa possibile. Oltre ad essere un eccellente disegnatore, era tuttavia uno scienziato a tutto campo, i cui interessi spaziavano dall'astronomia alla meteorologia, dalla zoologia e alla botanica e all'etnografia. Anche se scindere l'opera dei due che, come vedremo, furono coatori di Historia naturalis Brasiliae, è problematico, in questo primo post vorrei concentrarmi su Marcgraf, per poi ritornare su Piso in un secondo post. Georg Marcgraf (ma il cognome viene scritto anche Markgraff, Marggraf, in olandese Marggrafe, in inglese e francese Marcgrave e in latino Marcgravius) era tedesco, essendo nato a Liebstadt nei pressi di Meissen; iniziò gli studi all'università di Wittenberg, ma in seguito alla Guerra dei Trent'anni dovette spostarsi in vari atenei, tra cui Strasburgo e Basilea. Tornato a Wittenberg, nel 1634 ottenne il grado di "candidato in medicina" con una disputa alchemico-medica; si spostò prima a Rostock, dove seguì le lezioni di botanica di Simon Paulli, poi a Stettino, dove collaborò alla compilazione delle tavole astronomiche di Lorenz Eichstaedt. Nel 1636 decise di iscriversi alla facoltà di medicina di Leida, dove avrebbe avuto la possibilità di dedicarsi contemporaneamente alla botanica e all'astronomia (tra il 1633 e il 1634 vi era stato infatti allestito un osservatorio astronomico all'avanguardia). Allievo di Golius per l'astronomia e di Vortius per botanica, vi trascorreva le sere in osservazioni, mentre le giornate erano dedicate principalmente all'orto botanico e alle raccolte sul campo. Nel novembre 1637, dietro raccomandazione di Jan de Laet, uno dei dirigenti della WIC, fu assunto come assistente di Piso, probabilmente in seguito alla morte di Cralitz, e raggiunse Recife all'inizio del 1638. Forse fu lui a convincere Johann Maurits a trasformare in osservatorio una delle torri del Vrijburgh; qui Marcgraf, con il progetto di mappare il cielo australe, fece osservazioni astronomiche e meteorologiche fino al giugno 1643, quando il governatore, che ora lo aveva assunto al proprio servizio, gli affidò il compito di mappare il Brasile olandese. Marcgraf aveva già disegnato una mappa della città e delle sue fortificazioni, e ora mappò la regione dal Rio Saô Francisco al Cearà e al Maranhão. Durante le sue esplorazioni, raccolse esemplari di piante e animali per l'orto botanico e lo zoo del Vrijburgh, creò un erbario e scrisse osservazioni naturalistiche integrate con schizzi ed acquarelli. La precisione e l'accuratezza delle sue descrizioni botaniche e zoologiche saranno lodate da Cuvier, come l'estremo discernimento da lui mostrato nell'assegnare le specie da lui scoperte (in gran parte ignote alla scienza) al genere corretto. All'epoca, i naturalisti non usavano ancora il microscopio, e non si può attendere il successivo livello di accuratezza per particolari minuti come "gli stami e i pistilli dei fiori [...] ma tutto ciò che ha a che fare con le dimensioni, la forma, il colore e, ancor più particolarmente, agli usi domestici e medicinali, è annotato con grande accuratezza e cura". Marcgraf era dunque un eccellente osservatore, inoltre, come ricorda ancora Cuvier, gli era familiare la letteratura zoologica precedente, come dimostrano i riferimenti alle opere di Belon, Aldrovandi, Salviani, Rondolet e Gessner. Nel 1644 il conte lo inviò a Luanda, che nel 1641 era stata conquistata dagli olandesi. Poco dopo l'arrivo in Africa, il naturalista morì di qualche malattia tropicale. Prima di partire, aveva però affidato due ceste con i materiali raccolti in Brasile a Johann Maurits che nel 1644, quando fu richiamato, portò con sè in Olanda. La situazione politica era infatti profondamente mutata. Nel 1640 il Portogallo aveva recuperato l'indipendenza, mettendo fine alle minacce di intervento spagnolo contro il Brasile olandese. Con la cessazione delle ostilità, ai vertici della WIC le spese militari apparivano eccessive, e le iniziative del conte fin troppo indipendenti; pesò anche il fallimento del tentativo di impadronirsi di Valdivia in Cile (1643). Che la scelta di allontanare Nassau-Siegen, di abbandonare la sua politca di conciliazione e di sguarnire le difese fosse frettolosa lo dimostra il fatto che appena un anno dopo la sua partenza scoppiò una rivolta generale dei piantatori portoghesi, innescando il conflitto con il Portogallo che nell'arco di pochi anni avrebbe portato alla perdita della colonia. Il conte di Nassau-Siegen si stabilì all'Aja dove, mentre ancora si trovava in Brasile, aveva fatto costruire una splendida dimora nota come Mauritshuis, oggi uno dei più importanti musei dei Paesi Bassi; all'epoca, però, dato che a finanziarne la costruzione erano stati i proventi del commercio dello zucchero, era chiamata con disprezzo anche "Casa dello zucchero". Johann Maurits vi espose gli oggetti etnografici, gli animali impagliati, i dipinti che aveva fatto eseguire in Brasile. Ma utilizzò anche le sue preziose collezioni come doni diplomatici per garantirsi un futuro politico in Europa. Così, una serie di pezzi scelti finirono nelle "camere delle meraviglie" del re di Danimarca (che ricevette, oltre a oggetti etnografici, 26 splendidi quadri di Eckhout, e si sdebitò decorando Nassau-Siegen con l'Ordine dell'elefante), del re Sole e del Grande elettore, un amico di lunga data che ricompensò il munifico dono di quello che sarebbe diventato il Theatrum rerum naturae Brasiliae (ne ho parlato qui) con il governatorato di Mark e Cleves e probabilmente intercedette presso l'imperatore per fargli ottenere il titolo di principe dell'impero (concesso nel 1653). Johann Maurits non dimenticava però la scienza; donò molti esemplari tassodermici al teatro anatomico dell'Università di Leida e promosse la pubblicazione degli scritti brasiliani di Piso e Marcgraf. Mentre il primo, che era tornato in Olanda insieme al principe, poteva occuparsi di persona dell'edizione della propria opera, non così il secondo che, come abbiamo visto, era morto in Angola. Il suo lascito era complesso e non immediatemente fruibile. I documenti cartografici furono affidati a Joan Bleau, dal 1638 cartografo ufficiale della VOC, che ne trasse quattro splendide mappe pubblicate per la prima volta nel 1647 in Rerum in Brasilia et alibi gestarum del poligrafo Caspar Barlaeus, un libro sul Brasile olandese e sull'amministrazione del conte di Nassau Siegen commissionatogli dallo stesso. Le osservazioni astronomiche furono consegnate al matematico, astronomo e orientalista dell'Università di Leida Jacobus Golius (come abbiamo visto, maestro di Marcgraf) che tuttavia morì senza pubblicarle. Rimanevano i testi e i disegni di zoologia, botanica e meteorologia; era un materiale ricchissimo, ma disorganizzato, un insieme caotico di note, e soprattutto era scritto in codice. Si ritiene che Marcgraf avesse fatto ricorso a un codice segreto per evitare plagi da parte di Piso, con il quale non correva buon sangue. Ad assumersi il compito di decodificare e preparare per la stampa il manoscritto di Marcgraf fu Johannes de Laet (1581-1649) che, oltre ad essere uno dei soci fondatori della WIC, era anche un bibliofilo, un collezionista, un geografo, un cartografo e un esperto di cose americane, avendo pubblicato nel 1625 Nieuwe Wereldt ofte Beschrijvinghe van West-Indien (Storia del Nuovo mondo o descrizione delle Indie occidentali). De Laet, oltre a decifrare il manoscritto, riorganizzò il testo, lo integrò con le proprie note e un'appendice, curò la scelta e l'inserimento delle immagini, allestendo o facendo allestire quelle mancanti; insomma fu il vero e proprio editor di Historia naturalis Brasiliae, che nel 1648 fu pubblicata in edizione congiunta ad Amsterdam e Leida da Hackius e Elzevir. Si tratta di un robusto in folio, alto ben 40 cm, aperto da un sontuoso frontespizio: sullo sfondo di una foresta lussureggiante e ricca di animali, quasi a presidiarne l'accesso a mo' di guardiani, si stagliano un nativo e una nativa; ai loro piedi un vecchio, sdraiato su una conchiglia, offre un vaso da cui fuoriescono pesci e altri animali marini, presumibilmente un'allegoria del fiume Capibaribe. Seguono una dedica allo statolder Guglielmo II, scritta da Piso, e la prefazione Benevolo lectori, scritta da de Laet. Il testo vero e proprio è suddiviso in 14 libri. I primi quattro, intitolati De medicina brasiliensi, si devono a Piso; occupano circa un quarto del volume (132 fogli) e sono illustrati da 104 xilografie; la maggior parte si concentrano nel Libro IV e ritraggono 92 piante; le altre si trovano nel libro III: tre illustrano la preparazione della manioca e dello zucchero, 9 sono di animali velenosi. Dopo aver illustrato nel primo libro le condizioni generali ("l'aria, l'acqua, i luoghi"), nel secondo Piso passa in rassegna le malattie proprie del Brasile (tra di esse la framboesia - per la prima volta distinta dalla sifilide) o importate; il terzo libro, dedicato ai veleni e agli antidoti, presenta tra l'altro la prima descrizione e la prima raffigurazioni di serpenti come la boicininga (presumibilmente Crotalus durissimus) o l'ibiboboca (Macrurus ibiboboca). Propriamente botanico è il quarto libro, in cui Piso esamina 104 semplici e le loro proprietà; accanto alle piante medicinali, come l'ipecucuana Carapichea ipecacuanha, le cui proprietà emetiche sono illustrate per la prima volta, ci sono anche piante alimentari come l'anacardio Anacardium occidentale, il falso pepe Schinus terebinthifolia, la noce del paradiso Lecythis zabucajo. La seconda sezione del volume è costituita dagli otto libri di Marcgraf (Historiae rerum naturalium Brasiliae libri octo), occupa 303 pagine ed è illustrata da 429 xilografie; i primi tre libri trattano le piante, divise in erbe, piante da frutto e arbusti, alberi, per un totale di 301 piante descritte e 200 raffigurate; il quarto i pesci; il quinto gli uccelli; il sesto i quadrupedi e i serpenti; il settimo gli insetti (gli animali trattati sono i totale 367, di cui 222 illustrati); l'ottavo e ultimo libro, di argomento etnografico, è una descrizione delle diverse regioni geografiche e dei loro abitanti. La quasi totalità delle specie descritte erano nuove per la scienza. Grazie soprattutto alla profondità e all'accuratezza del lavoro di Marcgraf, Historia naturalis Brasiliae divenne una pietra miliare, insuperata fino alle opere sulla fauna e la flora brasiliane di Spix e von Martius. Molto del fascino dei capitoli sugli animali si deve alle bellissime xilografie, quasi certamente di mano dello stesso Marcgraf; un certo numero di disegni botanici fu invece presumibilmente disegnato in Olanda. Preparando il volume, de Laet si rese infatti conto che diverse piante non erano illustrate; le disegnò o le fece disegnare sulla base di campioni d'erbario raccolti dallo stesso Marcgraf o inviati da altre persone residenti in Brasile. Aggiunse poi un certo numero di note, tratte per lo più dai Quatro libros de la naturaleza del monaco Francisco Ximenez che egli stesso aveva già citato nella sua Nieuwe Wereldt ofte Beschrijvinghe van West-Indien, e un'appendice sui nativi del Cile, basata sulle relazioni della spedizione olandese a Valdivia. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1649, l'erbario di Marcgraf, che si trovava evidentemente a casa sua, fu acquistato dal danese Willum Worm, e inviato a suo padre Ole, professore di medicina dell'Università di Copenhagen e proprietario di una celebre wunderkammer (Museum Wormianum). Alla morte di Ole Wurm, le sue collezioni, incluso l'erbario di Marcgraf, furono vendute dalla famiglia al re Federico III e più tardi passarono al Museo botanico, dove esso è attualmente conservato. Consta di 173 fogli con 177 campioni; è di enorme importanza storica perché, oltre ad essere la fonte evidente di alcune delle tavole botaniche di Historia naturalis Brasiliae, è probabilmente il più antico erbario dell'America tropicale. Come farsi notare dai pipistrelli Primo studio scientifico sull'etnografia, la medicina, la flora e la fauna di una regione del Sudamerica, Historia naturalis Brasiliae ebbe un'ampia circolazione ed esercitò una profonda influenza. A suscitare ammirazione, senza nulla togliere ai libri di Piso, che ebbero comunque un ruolo pionieristico nel campo della medicina tropicale, furono soprattutto i libri di Marcgraf sulla flora e sulla fauna. Tra i loro estimatori, Linneo, che li utilizzò come testo di riferimento e ne trasse molte denominazioni, e Aublet, che se ne servì per le sue ricerche in Guiana. È di Linneo (che però, come spesso capita, si rifà al precedente di Plumier) la dedica all'astronomo e naturalista tedesco del genere Marcgravia, che è anche il genere tipo e più numeroso della famiglia Marcgraviaceae; esclusiva dell'America tropicale, quest'ultima comprende sette generi e circa 130 specie, per la maggior parte liane o rampicanti. Marcgravia comprende una sessantina di specie, distribuite dal Messico meridionale al Brasile attraverso le Antille e l'America centrale; sono liane e rampicanti terrestri delle foreste tropicali umide, caretterizzate da diverse interessanti particolarità. La prima è l'accentuata eterofillia: le Margravia si arrampicano mediante radici avventizie che si abbarbicano alla corteccia dell'albero ospite, presenti solo nella fase giovanile, durante la quale la pianta ha steli piatti o quadrangolari e piccole foglie sessili alternate distiche; nella fase adulta troviamo lunghi rami eretti, privi di radici avventizie, e foglie completamente sviluppate, molto più grandi, picciolate e disposte a spirale. Alcune specie, dopo aver perso il contatto con il suolo, possono diventare epifite, ma tendono comunque a sviluppare lunghi rami ascendenti, all'apice delle quali si sviluppano le infiorescenze, spesso a decine di metri dal suolo, emergendo dalla canopia della foresta. Un'altra particolarità riguarda appunto le infiorescenze. Come tutte le Margraviaceae, quelle del genere Marcgravia posseggono bratteole modificate in nettari; pendule, sono poste all'apice dei rami e sono rette da un lunghissimo stelo; i fiori, che irradiano da un unico punto, sono disposti in un singolo giro a umbella piatta; quelli centrali sono sterili e dotati di bratteole modificate in nettari - dalla forma simile a quella dei fiori di Nepenthes - che pendono al di sotto dei fiori periferici fertili. In tal modo, gli impollinatori, attirati dal nettare, mentre si cibano si imbrattano il dorso di polline; si tratta di colibrì, opossum e per diverse specie di piccoli chirotteri. Tra le specie impollinate da pipistrelli troviamo la stupefacente M. evenia, una rara liana delle foreste cubane; oltre alle bratteole modificate in nettari, poste al di sotto, al sopra dell'infiorescenza si trovano diverse brattee simili a una foglia concava; i ricercatori hanno dimostrato che riflettono e rimandano gli ultrasuoni emessi dai pipistrelli del genere Monophyllus aiutandoli a dirigersi velocemente verso i fiori che così vengono impollinati con maggiore frequenza. Varie specie di Marcgravia (tra le altre, M. umbellata, M. sintenisii, M. rectiflora) sono ricercate dai collezionisti come piante da terrario o da serra calda. Vengono coltivate soprattutto per il fogliame, sia in cestini appesi, sia come rampicanti su supporti in legno o sfagno, soprattutto in terrario, dato che richiedono umidità elevata e una temperatura calda e costante. Proprio per le particolarità delle foglie e delle infiorescenze differisce da Marcgravia il genere Marcgraviastrum, che ne è stato separato nel 1997. Distribuito dall'America centrale (Nicaragua e Honduras) al Brasile nelle foreste pluviali o nebulose, comprende una quindicina di specie di arbusti e liane epifite, semiepifite o terrestri; hanno foglie sessili o picciolate disposte a spirale e non differenziate in una fase giovanile e in una fase adulta e fiori raccolti in un'infiorescenza umbelliforme eretta anziché pendula; in alcune specie diventano invece pendule quando maturano i frutti. Inoltre, mentre i fiori di Marcgravia sono tetrameri, quelli di Marcgraviastrum sono pentameri e tutti sviluppano un nettario, non solo quelli centrali sterili. Tra le sue specie, vorrei segnalare almeno M. sodiroi, endemica della Colombia e dell'Ecuador, il cui epiteto ricorda il sacerdote italiano Luigi Sodiro (1836-1909), pioniere dello studio della flora dell'Ecuador. Nel 2022, in occasione dei 400 anni dalla nascita, la città natale e il Land Brandeburgo hanno dedicato un convegno internazionale e una serie di pubblicazioni a Christian Mentzel, medico personale del Grande Elettore Federico Guglielmo. Personaggio poliedrico, come medico ebbe un ruolo centrale nella creazione delle strutture sanitarie dello stato prussiano, come botanico fu autore di una flora locale di Danzica e di uno dei primi dizionari universali dei nomi delle piante, come chimico si occupò della pietra fosforica bolognese, come bibliotecario curò la redazione di alcune magnifiche opere illustrate; negli ultimi anni della sua vita fu in relazione con vari studiosi che vivevano o avevano vissuto in Asia e divenne uno dei padri fondatori dello studio della lingua e della civiltà cinesi. Plumier gli dedicò il genere Mentzelia, poi ufficializzato da Linneo. Una flora locale e un grande viaggio d'istruzione Il quattrocentesimo compleanno del medico, botanico e sinologo Christian Mentzel (1622-1701) è stato celebrato a Fürstenwalde, la sua città natale, con un simposio internazionale - culmine di una serie di iniziative in ricordo del poliedrico personaggio. La città sorge sul fiume Sprea, quasi a metà strada tra Berlino e Francoforte sull'Oder, e nel Seicento, grazie alla sua posizione sul fiume, era un importante nodo commerciale, rinomato anche come centro scolastico. Mentzel, che era figlio del sindaco, ricevette la prima eduicazione in casa poi nel 1630 fu ammesso al Ginnasio di Joachimsthal, una scuola d'élite da poco fondata e finanziata dall'elettore di Brandeburgo. Nel frattempo però era scoppiata la guerra dei Trent'anni; nel 1636 studenti e professori furono costretti a mettersi in salvo da un'incursione svedese durante la quale la scuola andò distrutta. Christian dovette interrompere gli studi e nel 1639 perse anche il padre, morto di peste. Si trasferì allora a Berlino per studiare al Köllnisches Gymnasium; studiò quindi medicina prima a Francoforte sull'Oder poi a Königsberg. Nel 1647 accompagnò l'ambasciatore del Brandeburgo a Varsavia e a Cracovia e nel 1648 fu assunto come lettore di anatomia e botanica presso il ginnasio accademico di Danzica. Si trovò così a collaborare ai progetti di riforma scolastica di Johann Raue (Ravius), ammiratore e seguace di Comenio, che davano maggiore spazio a uno studio non libresco della natura. Così le sue lezioni di botanica non si svolgevano solo in aula, ma anche nei prati, nei campi e nei boschi. Proprio come supporto didattico per i suoi studenti Mentzel scrisse il suo primo libro, Centuria plantarum circa nobile Gedanum ad elenchum plantarum gedanensis dom. Nicolai Oelhafii. L'esilissimo libretto (poco più di 20 pagine) elenca in ordine alfabetico 100 piante reperibili nell'area di Danzica; secondo quanto scrive l'autore, è il frutto di cinque mesi di escursioni: "Condussi per campi e foreste la più nobile adolescenza e quanto da ogni lato si offriva fiorente, lo sottoponevo ai loro occhi fedeli". Uno di quei nobili adolescenti era Jakob Breyne che proprio grazie a Mentzel si appassionò alle scienze naturali, Mentzel per lo più si rifà al precedente della prima flora di Danzica, anzi dell'intera area compresa tra Prussia e Polonia, Elenchus plantarum circa nobile Borussorum Dantiscum sua sponte nascentium (1643), del medico (e suo predecessore come insegnante di anatomia e botanica al ginnasio accademico) Nikolaus Oelhafen, estraendone solo le piante che ha effettivamente incontrato e presentandole in modo più sintetico, adatto a un "quaderno di campo" per adolescenti; elimina tra l'altro le indicazioni sugli usi medici. Ogni voce, brevissima, inizia con il nome latino per lo più ripreso dal Pinax di Caspar Bauhin, seguito dal nome tedesco e dai sinonimi in altri autori, dall'epoca di fioritura e dalla localizzazione (generica in latino, specifica in tedesco, ad esempio in littoris maris bei Zoppot). Nel 1650, forse poco dopo aver pubblicato il libro, Mentzel lasciò Danzica per un lungo viaggio di istruzione; imbarcatosi ad Amburgo, visitò l'Olanda, dove fu ad Amsterdam e Leida e forse strinse alcuni dei legami che gli sarebbero stati utili nella sua futura carriera; quindi continuò il suo viaggiò in nave, toccando le coste della Francia, del Portogallo e della Spagna. Proseguì nel Mediterraneo, toccando successivamente Maiorca, la Corsica, la Sardegna, le Isole Eolie, la Sicilia, Malta, Creta e Corfù, dalla quale raggiunse Venezia. Visitò Pisa, Firenze, Roma, Napoli, dove scalò il Vesuvio, quindi riprese gli studi di medicina a Bologna e a Padova, dove nel 1654 ottenne il dottorato in filosofia e medicina. Sulla via del ritorno, visitò ancora Verona, Vicenza, Trento, Innsbruck, Vienna, Augusta e Norimberga, dove incontrò il futuro presidente dell'Academia Naturae Curiosorum, Johann Georg Volkamer. Quindi si stabilì come medico prima a Fürstenwalde, poi a Berlino. Qui attirò l'attenzione del grande elettore Federico Guglielmo che lo nominò aiutante medico di corte e medico di campo. In questa veste partecipò alla campagna contro gli svedesi in Holstein; quindi accompagnò a Cleves e Königsberg l'elettore che nel 1660 lo promosse a proprio medico personale e membro del consiglio di corte. Bibliotecario e... editor Era un compito faticoso che spesso imponeva a Mentzel lunghi viaggi lontano da Berlino per accompagnare l'elettore nelle campagne militari e nelle visite diplomatiche o per assistere lui o i suoi famigliari in caso di malattia, come nel 1667, quando andò nei Paesi Bassi per recuperare la principessa Luise ammalata di tisi e riportarla in patria o nel 1674 quando non poté salvare dalla morte il giovanissimo principe Carl Emil, ammalatosi di febbri perniciose durante una campagna in Alsazia. Dal 1661 fu anche impegnato, con altri medici di corte tra cui Elsholtz, nella riforma del settore sanitario che sarebbe sfociata nell'editto medico del 1685. Per molti anni a causa di questi impegni pressanti e dei continui spostamenti non poté scrivere né soddisfare la sua passione per la botanica, anche se sappiamo che continuò ad osservare la flora e a probabilmente tenne un diario di campo dei propri ritrovamenti. L'elettore gli aveva affidato anche la sua biblioteca e intorno al 1660 gli chiese di occuparsi di una collezione di immagini di animali, piante e persone del Brasile olandese che gli era stata donata da Johan Maurits di Nassau Siegen in cambio della nomina a governatore di Mark e Cleves. Si trattava di due libri rilegati con immagini ad acquarello, noti come Libri principis, e di alcune centinaia di fogli sciolti, dipinti sia ad acquarello sia ad olio, questi ultimi presumibilmente opera di Albert Eckhout, oltre a diversi disegni e schizzi. Su richiesta dell'elettore, Mentzel riorganizzò gli oli in quattro volumi in folio con animali e piante; ciascuno è aperto da un frontespizio, con il titolo manoscritto Theatrum Rerum Naturalium Brasiliae e un sottotitolo specifico, racchiusi in una cornice miniata formata da animali; Mentzel figura come autore. Come dimostrano i numerosi fogli bianchi intercalati ai dipinti, egli progettò una rassegna completa della fauna e della flora del Brasile olandese (o Nuova Olanda); infatti anche i fogli bianchi sono numerati, hanno un titolo vernacolare brasiliano e spesso un rimando alle due principali opere scaturite dalla breve occupazione olandese del Nord est brasiliano: Historia Naturalis Brasiliae di Willem Piso e Georg Marcgraf e De Indiae utriusque re naturali et medica di Piso. Chiaramente, Mentzel aveva intenzioni di completare l'opera con ulteriori immagini, in gran parte copiate da queste opere. ma ciò non si realizzò mai, vuoi per i troppi impegni, vuoi per il costo insostenibile, vuoi per insormontabili problemi tecnici. Le immagini sono organizzate secondo un ordine che si vuole "naturale". Nel primo volume troviamo i pesci perché furono i primi ad apparire; nel secondo gli uccelli perché "proprio come i pesci tagliano l'acqua con le pinne, gli uccelli tagliano l'aria con le ali [...] e le somiglianze e le relazioni tra loro indicano chiaramente che Dio onnipotente li ha creati lo stesso giorno"; nel terzo gli indiani e altri abitanti del Brasile olandese perché "l'uomo è il padrone di tutta la creazione e deve essere il primo", seguiti da scimmie, gatti, conigli, volpi, per concludere con insetti e anfibi, la cui natura è considerata intermedia tra animali e piante. Queste ultime occupano il quarto volume, ma Mentzel non diede loro un particolare ordine, anzi sottolineò che ordinarle e classificarle era impossibile. I fogli di piante sono 106, intercalati con 206 fogli bianchi, ma titolati con nomi vernacolari brasiliani e con rimandi alle opere di Piso e Marcgraf; gli studiosi hanno identificato 162 piante vascolari e il fungo Copelandia cyanescens, cui se ne aggiungono altre 196 per i fogli intercalati. Nella maggior parte dei casi, si tratta di piante native del Brasile, ma ci sono anche una trentina di specie introdotte. Le date dei frontespizi dei quattro volumi ci dicono che Mentzel lavorò al Theatrum Rerum Naturalium Brasiliae tra il 1660 e il 1664, poi abbandonò il progetto e i volumi vennero riposti così come si trovavano nella biblioteca dell'elettore. Del resto era iniziato un nuovo ciclo di guerre, conclusosi solo nel 1679 con la pace di Saint Germain. Ora Mentezel non doveva più trascorrere lunghi periodi lontano da Berlino e poteva tornare a studiare e a scrivere. Nel 1675, mentre la seconda moglie dell,'elettore era in travaglio, approfittò dell'attesa per scrivere un saggio sulla cosiddetta pietra di Bologna, ovvero una pietra fosforescente di barite che nel Seicento attirò l'attenzione di molti studiosi, tra cui Fortunio Liceti, che era stato suo professore a Padova. Con questo saggio Mentzel iniziò una regolare collaborazione con l'accademia Leopoldina, cui fu ammesso quello stesso anno. Un lessico botanico e molte opere "cinesi" Tornò anche a occuparsi di piante, con un'opera singolare che fonde l'interesse per la botanica con quella per le lingue: un dizionario universale dei nomi delle piante. Proprio come la piccola flora di Danzica che aveva scritto da giovane, anche quest'opera della vecchiaia nacque da un intento didattico. Mentzel aveva tre figli maschi, ma, come scrisse - metà rassegnato metà sconsolato - all'amico Volkamer, nessuno dei tre aveva voglia di studiare. Infine però Johann Christian si convinse a seguire le orme paterne e a studiare medicina. Per avviarlo alla botanica, che continuava a considerare una competenza di base indispensabile per ogni medico, il padre gli assegnò il compito di leggere tutti i testi di botanica che gli capitassero sotto mano e compilare una lista alfabetica di tutti in nomi delle piante via via citate, in tutte le lingue. Da esercizio scolastico, l'idea si trasformò in un progetto editoriale cui padre e figlio lavorarono insieme a quattro mani; nel 1682 fu pubblicato sotto il titolo Pinax Botanōnymos Polyglōttos Katholikos o Index Nominum Plantarum Universalis. Come ci informa il chilometrico frontespizio, contiene i nomi delle piante in dozzine di lingue e dialetti, a iniziare dal latino e dal greco, per proseguire con le principali lingue europee, ma anche con idiomi più esotici dei quattri continenti: ebraico, caldeo, arabo, siriano, turco, tataro, malabarico, bramino e cinese per l'Asia, egizio, etiopico, mauritano, malgascio ecc. per l'Africa, brasiliano, virginico e messicano per le Americhe. In appendice, Mentzel volle aggiungere una breve selezione di piante rare (Pugillus rariorum plantarum), tanto appartenenti alle collezioni dall'ex allievo Jacob Breyne quanto incontrate nei suoi viaggi, illustrate da tavole calcografiche di buona qualità; aggiunse infine un indice delle piante del manoscritto brasiliano. L'opera era la prima nel suo genere e conobbe un certo successo, venendo ristampata nel 1696. Dal 1685 con la promulgazione dell'editto medico, come medico personale dell'elettore Mentzel entrò a fare parte di diritto del Collegium medicum. Più o meno nello stesso periodo l'elettore gli affidò la cura della sua biblioteca di libri cinesi. In quegli anni, in Europa l'interesse per la Cina, che incominciava ad essere conosciuta soprattutto grazie ai missionari gesuiti, era vivissimo. Molto vi aveva contribuito la recente pubblicazione di China illustrata di padre Athanasius Kircher (1667) che, con l'incoraggiamento dell'elettore, aveva spinto l'orientalista prussiano Andreas Müller a intraprendere lo studio del cinese e la stesura di una serie di opere, tra cui una Clavis sinica che avrebbe dovuto facilitare l'apprendimento degli ideogrammi e della lingua cinese. Federico Guglielmo incaricò Müller di catalogare i manoscritti orientali della biblioteca elettorale ma fu deluso dalla mancata consegna della Clavis sinica che aveva finanzaito e l'orientalista prometteva da diversi anni; nel 1685, quando Müller lasciò Berlino, l'elettore passò l'incarico a Mentzel. Quest'ultimo all'epoca era già sulla sessantina e non aveva alcuna conoscenza del cinese, ma ne affrontò lo studio con energia e entusiasmo. Inoltre, attraverso l'Accademia curiosorum leopoldina, era già in contatto con alcuni membri della Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC) da cui poté per ottenere informazioni di prima mano, manoscritti e altri materiali, che andarono ad arricchure la biblioteca elettorale. I suoi corrispondenti più importanti furono Georg Eberhardt Rumpf (Rumphius) e Andreas Cleyer. Con il primo, naturalista al servizio della VOC nella remota Ambon nelle Molucche e come lui membro della Leopoldina, cominciò a corrispondere nel 1682 e scambiò numerose lettere, che poi pubblicò in forma di brevi articoli o notizie tra il 1682 e il 1698 nella Miscellanea curiosa sive Ephemerides dell'Accademia. Ancora più fruttuosa la corrispondenza con l'intraprendente Cleyer. Anche lui era membro dell'Accademia curiosorum ed era in contatto con l'orto botanico di Amsterdam. Durante in suoi due mandati come mercante-capo della factory di Dejima (1683-84 e 1685-86) riuscì ad acquistare uno splendido manoscritto con disegni di uccelli e piante e altri li fece eseguire da un pittore europeo; inviò i materiali a Mentzel che riunì le circa 1300 illustrazioni, precedute da un dedica all'elettore Federico III (era succeduto al padre nel 1688) e da una breve introduzione, in una Flora japonica in due tomi rilegati. Mai pubblicati, entrarono a far parte della collezione di illustrazioni naturalistiche della Biblioteca di stato di Berlino nota come Libri picturati con la sigla A41. L'edizione digitale della magnifica opera è consultabile qui. Egli stesso interessato alla farmacopea e alla medicina cinesi, oltre a contribuire di persona alla rivista dell'Accademia curiosorum con numerose osservazioni su questi argomenti, Cleyer fece pervenire a Mentzel testi medici cinesi per la biblioteca elettorale e altri materiali, che furono da lui uniti agli acquarelli e agli schizzi del dono brasiliano del principe di Nassau Siegen nel volume manoscritto noto come Miscellanea Cleyeri (Liber picturatus A38) e probabilmente custoditi nella sua casa. Confluito nella Biblioteca elettorale di Berlino, insieme ai Libri principis e al Theatrum rerum naturalium Braziliae, fa parte dei Libri picturati scomparsi durante la Seconda Guerra mondiale e ritrovati presso la Biblioteca Jagellonska di Cracovia. Ho già racconta questa storia in questo post. Già nel 1685 Mentzel fu in grado di pubblicare un piccolo lessico latino-cinese (Sylloge minutiarum lexici Latino-Sinico-Characteristici), in cui gli ideogrammi cinesi sono accompagnati dalla traslitterazione fonetica in caratteri latini. Entrato poi in contatto con il missionario gesuita belga Philippe Couplet, l'anno successivo pubblicò una cronologia della storia cinese (Kurtze chinesische Chronologia oder Zeit-Register), basata sulla Tabula chronologica dello stesso Couplet e su Sinicæ historiæ decas prima del gesuita italiano Martino Martini. Su consiglio di Couplet, riprese poi il progetto di Müller di una chiave per l'apprendimento del cinese (Müller da parte sua vi aveva rinunciato e prima di morire fece bruciare i propri manoscritti), basandosi per la grammatica su un manoscritto di Martini, per la pronuncia sul Vocabulario de letra China del domenicano spagnolo Francisco Díaz e per l'impostazione generale sul lessico cinese Zihui che organizzava gli ideogrammi in 214 radici. Tuttavia, non andò oltre prefazione (Clavis Sinica, ad Chinensium scripturam et pronunciotionem Mandarinicam) pubblicata nel 1698. Infatti Mentzel si era già imbarcato in un progetto ancora ambizioso: un dizionario cinese-latino (Chinensium Lexici characteristici inscripti 字彙 Cú-guéi) di cui redasse nove volumi, rimasti però inediti. Per l'intensità e la ricchezza di risultati, l'attività di Metzel come sinologo è tanto più stupefacente se pensiamo che negli ultimi anni della sua vita egli era gravemente malato. Nel 1686 fu colpito da un'emiparesi che gli lasciò un tremore costante degli arti; non poteva più scrivere e poté continuare a studiare e lavorare solo grazie al figlio, che poi gli succedette come medico di corte. Morì a Berlino nel 1701. Mentzelia, fiori notturni dalle Americhe Come botanico, ad assicurare una certa fama postuma a Mentzel fu soprattutto il suo Index Nominum Plantarum Universalis; in Nova plantarum americanarum genera Plumier lo onorò con la dedica del genere Mentzelia proprio ricordando quest'opera; quanto a Linneo, che riprese il genere fin da Hortus cliffortianus, in Bibliotheca botanica elenca il medico dell'elettore sia tra gli autori di flore locali (riferendosi ovviamente alla sua centuria sulla flora di Danzica) sia tra i lessicografi, e utilizzò ampiamente il dizionario di Mentzel come opera di riferimento. Menzelia L. (famiglia Loasaceae) è un genere di un cdntinaio di specie originarie delle Americhe, con centro di diffusione nell'America nord-occidentale; sono soprattutto erbacee annuali, biennali e perenni di breve vita, con qualche arbusto. La grande maggioranza vive in ambienti aridi o subdesertici, spesso disturbati o poveri. La caratteristica più costante sono le foglie munite di peli uncinati che per la loro capacità di attaccarsi a ogni cosa sono stati paragonati al velcro; presumibilmente hanno funzione difensiva, ma è stato anche ipotizzato che i numerosi insetti che vi vengono intrappolati, cadendo poi ai piedi della pianta, contribuiscano ad arricchire il suolo povero di nutrienti. Per la grande variabilità di forme tanto del genere quanto delle specie e per le affinitàmtra queste ultime, è considerato un genere tassonomicamente difficile. Tanto la forma delle foglie, in genere caratterizzate da margini ondulati, dentati o serrati, quanto la struttura dei fiori sono alquanto varie. I fiori, singoli o riuniti in infiorescenze termiali, possono avere da 5 a 10 petali, talvolta intervallati da brattee, stretti in alcune specie, ampi in altre, mucronati in altre ancora; le corolle sono biache, bianco crema, gialle, a volte rosse alla gola. Molto decorativi gli stami, molto numerosi. I fiori si aprono nel tardo pomeriggio o di sera per essere impollinati da falene e altri insetti notturni. Tra i caratteri distintivi più importanti, anche la superficie dei semi. Ad esempio, quelli di M. affinis, un'annuale distribuita tra California meridionale, Arizona, Nevada e a Baja California, hanno forma prismatica, quello di M. congesta sono angolati con lati concavi ricoperti di minute protuberanze, quelli di M. involucrata sono minuscoli, ruvidi e bianco-cenere. Il genere è particolarmente rappresentato negli Stati Uniti; porta il suo nome la rivista "Mentzelia", organo della Northern Nevada Native Plant Society. Alcune specie, in particolare la californiana M. lindley, sono talvolta coltivate come annuali da giardino. Una scelta di specie nella scheda. Il medico pomerano Peter Lauremberg, vissuto a cavallo fra Cinquecento e Seicento, è ancora un uomo rinascimentale per la cultura enciclopedica; ma come studioso aperto alla sperimentazione e alla verifica diretta è anche un figlio del secolo di Galileo. Insegnò molte materie in varie università e di molte materie scrisse nelle sue numerose opere. Ritornato nella città natale Rostock, ebbe diversi giardini e si appassionò di piante e orticoltura, cui dedicò un influente trattato. Prevedeva di completarlo con una trattazione approfondita delle piante da coltivare, ma poté scriverne e pubblicarne solo un volume, dedicato alle piante bulbose e tuberose. È il dedicatario del piccolo genere Laurembergia (Haloragaceae). Un influente trattato sulla coltivazione dei giardini Medico, professore universitario, poligrafo ed erudito universale, Peter Lauremberg (1585-1639) era nato in una famiglia di intellettuali della città baltica di Rostock. La madre Johanna Longolia era figlia dell'umanista Gisbert Longolius (Gijsbert van Langerack), il padre Wilhelm fu medico, matematico, professore universitario, più volte rettore del'università di Rostock, così come lo sarebbero stati Peter e due dei suoi fratelli, il più celebre dei quali fu Johann, matematico, cartografo, pedagogista e autore di poesie in latino e basso tedesco. Con questo background culturale, non c'è da stupirsi che già a undici anni Peter traducesse dal greco e dal latino e scrivesse poesie latine. Vissuto nell'epoca che Peter Burke ha definito "dei mostri di erudizione", adulto, dopo essersi laureato in medicina, avrebbe insegnato in varie università filosofia, matematica, fisica, medicina, retorica e poetica e scritto decine di trattati che spaziano dall'anatomia (tra l'altro, precedette Harvey nella descrizione della circolazione del sangue) all'astronomia, dalla matematica alla pedagogia. Fu autore di un'enciclopedia e degli Acerra Philosophica, una raccolta di 400 aneddoti o storie morali ed educative. Scrisse persino di musica e compose cinque brani per liuto. Dopo aver vissuto ed insegnato per molti anni ad Amburgo, nel 1624 Peter Lauremberg accettò la cattedra di poesia all'Università di Rostock e tornò nella città natale. Qui possedeva un giardino urbano e diverse proprietà suburbane; si occupava anche dei giardini degli amici e iniziò a corrispondere e a scambiare piante con altri appassionati di Rostock e altre città baltiche, fino a Lubecca e Stralsund, e a farsene arrivare da commercianti che operavano in Germania e in Olanda, nonostante lo stato di guerra che investì pesantemente la regione. Nel 1628 Rostock fu presa dalle truppe imperiali di Wallenstein e i giardini suburbani di Lauremberg furono devastati; nel 1631 toccò alla casa di città, saccheggiata dagli svedesi; il professore fu ben felice di essere riuscito a salvare almeno un rosmarino e dei cipressi portandoli a casa di un cognato. Per quest'uomo abituato a tradurre ogni esperienza in pagine scritte, anche la passione per piante e giardini si trasformò in occasione di scrittura. Nacque così Horticultura, stampato a Francoforte sul Meno senza data, forse nel 1631, come si evince dalla dedica, o l'anno successivo. L'opera è di grande importanza storica per essere la seconda dedicata alla progettazione e alla coltivazione dei giardini in terra tedesca, preceduta unicamente da Garten-Ordnung del pastore turingio Johann Peschel (1597). E' anche una delle fonti di Von Garten Bau di Elsholtz che ne riprese alcune illustrazioni e lodò Lauremberg per aver cercato di dare ordine alla materia, ma lo criticò per aver scritto in latino. La lingua non è il solo tratto tipicamente rinascimentale del trattato di Lauremberg; a quella civiltà ci riportano l'erudizione, i continui riferimenti al mondo classico, le numerosissime citazioni di autori antichi, il taglio speculativo-filosofico di alcuni capitoli; l'esempio più evidente sono i capitoli 6-9 del primo libro sulla natura delle piante in cui Lauremberg, rifacendosi a Cesalpino e più in generale alla scuola filosofica aristotelica, discute se le piante abbiano o no un'anima, e in tal caso quale sia la sua sede. D'altra parte Lauremberg è anche un figlio del Seicento per la propensione alla sperimentazione e per il taglio pratico, direi manualistico, dei capitoli sulle tecniche di coltivazione, che per altro occupano la maggior parte del testo. Il volume, di poco meno di 200 pagine, dopo la dedicatoria al medico personale di Gustavo Adolfo, è aperto da un'ampia prefazione in cui Lauremberg espone i benefici donati dalle piante, dal cibo agli abiti al materiale da costruzione alle medicine fino al ristoro dei sensi e dell'animo. La prevalenza dell'utilità (commodum) sul mero piacere è ribadita dal capitolo iniziale del primo libro, in cui - proprio mentre in Olanda imperversa la tulipomania - Lauremberg scrive "E' sciocco spendere 500 o 1000 fiorini per un solo fiore che non si caratterizza né per profumo né per utilità, ma solo per l'apparenza e la novità, e dura appena otto giorni". Con il secondo capitolo si entra nel merito delle tecniche di coltivazione, trattate in modo più o meno analitico: la conoscenza e il miglioramento del suolo (Cap. 2); gli attrezzi (Cap. 3, con una bella tavola che sarà ripresa da Elsholtz); la vangatura (Cap. 4); la concimazione (Cap. 5); la natura e la fisiologia delle piante, viste in termini ancora essenzialmente filosofici (Capp. 6-13); la propagazione, trattata in modo molto dettagliato (Capp. 14-27); i trapianti (Cap. 28); la potatura (Capp. 29-30); l'irrigazione (Cap. 31); il diserbo, la cura degli alberi e le sarchiatura (Capp. 32-34); avversità e parassiti (Cap. 35-36); siepi, pergolati e topiaria (Cap. 37); i pulvilli (gli spazi destinati a una singola pianta e quindinl'organizzazione delle aiuole, Cap. 38). Di particolare interesse, il Cap. 9 ("La simpatia e l'antipatia tra le piante") in cui Lauremberg è tra i primissimi a trattare le consociazioni vegetali e il fenomeno che oggi chiamiamo allelopatia; e i diversi capitoli dedicati alla potatura e alla topiaria, arricchiti anche da bellissime tavole. Il secondo libro, articolato in appena otto capitoli e molto più breve del primo, è dedicato alle quattro parti del giardino: il frutteto e l'arboreto (pomarium, Capp. 1-4), il giardino dei fiori (florilegium, Capp. 5-6), l'orto (olitorium, Cap. 7), l'orto dei semplici (phytiatricum, Cap. 8). Come si vede anche da questo schema, la funzione ornamentale del giardino è ancora in secondo piano rispetto a quella produttiva, garantita da frutteto, orto e giardino dei semplici. Bulbi e tuberi in giardino e nell'orto Lauremberg ha allegato a ciascuna delle quattro parti del giardino liste di piante consigliate; si tratta però di semplici elenchi senza altre indicazioni. Progettava infatti di approfondire la trattazione delle singole piante in almeno altri due volumi, intitolati Apparatus plantarius e concepiti come parte integrante di Horticultura, di cui l'unico volume pubblicato riprende infatti il frontespizio. Per varie ragioni, inclusa la morte, sopravvenuta nel 1639, egli riuscì a completare e pubblicare un solo volume (Apparatus plantarius Primus, 1632), diviso in due parti o libri, dedicati rispettivamente alle piante bulbose e tuberose; si tratta presumibilmente della prima monografia su questo gruppo di piante. Graficamente molto curato, il volume è diviso in 38 capitoli (24 sulle bulbose, 14 sulle tuberose), molti dei quali sono preceduti da una tavola con il titolo e un'incisione di ottima fattura di Matthäus Merian, che aveva disegnato e inciso anche le tavole di Horticultura; questo famoso pittore e incisore era il padre di Maria Sybilla Merian. I capitoli seguono una struttura ordinata: nomen, la denominazione latina e tedesca; differentia, le varietà o meglio i cruteri di differenziazione; species, le specie o meglio i tipi; vires et usus: le virtù e gli usi, distinti in familiari (culinari o di altra natura) e medici; cultura: la coltivazione; corollarium: una sorta di appendice, in cui Lauremburg inserisce ogni sorta di informazioni erudite, soprattutte tratte dagli autori antichi. Anche per i nomi si attiene per lo più a quelli antichi, veri o presunti, e per le specie di nuova introduzione talvolta ne crea di propri, ad esempio chiama Adenes canadensis il topinambur Helianthus tuberosus e Adenes virginianus la patata Solanum tuberosum, ricavando il nome dal greco adén "ghiandola". Tuttavia nessuna della sue denominazioni è stata ripresa da altri botanici. Per compilare il suo volume, Lauremberg si rifà ai botanici precedenti, in particolare Dodoens e Clusius ma, soprattutto per la coltivazione, anche alle esperienze personali, anche se certamente non coltivò tutte le piante citate, molte delle quali anche per lui dovevano essere puri nomi citati da questo o quell'autore. Nel primo libro, dedicato ai bulbi, dopo una capitolo iniziale sulle caratteristiche generali delle piante bulbose, tratta 23 generi o meglio gruppi di piante, in ordine alfabetico. Si inizia con Allium, l'aglio, di cui, oltre a Allium sativum, l'aglio comune, elenca altri 9 tipi; non sempre è facile identificarli, visto che qui come nei capitoli successivi solitamente Lauremberg si limita ai nomi, talvolta accompagnati da qualche epiteto descrittivo; ad esempio, Allium campestre tenufolium caninum. Grazie a una descrizione per una volta più precisa, riconosciamo però in Allium aegyptiacum la cipolla egiziana Allium x proliferum. Dopo l'aglio, viene Cepa, la cipolla, con 5 varietà. Segue Colchicum, il colchico, che, oltre ad essere coltivato per le proprietà mediche (e temuto per la tossicità letale) nei giardini rinascimentali e barocchi era apprezzato per il "fiore elegantissimo"; Lauremberg cita tre varietà primaverili, due delle quali potrebbero corrispondere a Bulbocodium vernum, e dieci varietà autunnali, presumibilmente corrispondenti a Colchicum autumnale e forse C. bizantinum. E' poi la volta della Corona imperiale (Fritillaria imperialis) che Lauremberg vorrebbe ribattezzare Archityrsus, ovvero "scettro regio"; provenente dall'impero ottomano, era ancora una novità, ma egli ne conosce sei varietà, con corolle gialle (la più comune), rosse ("molto più elegante della precedente"), aranciate, con corona duplice (è la varietà 'Prolifera' o 'Crown on Crown') o triplice ("è comune a Costantinopoli, da noi è rarissima"). Egli osserva che le ultime due non sono specie a sè, ma "un divertimento della natura scherzosa"; al secondo o al terzo anno di coltivazione la corona ritorna infatti semplice. Molto ampia è la rassegna di Crocus, suddivisi in vero (lo zafferano, Crocus sativus, "amico delle cucine, non solo per il profumo e il sapore, ma perché rallegra il cuore e corregge il cibo cattivo"), autunnale (4 varietà), primaverile a foglia larga e stretta (rispettivamente 9 e 7 varietà, con fiori bianchi, viola, gialli, unicolori o striati). Del dente di cane (Dens Caninus, ovvero Erythronium dens-canis), cui dedica un capitolo brevissimo, conosce invece due sole varietà, violetta e bianca. Erano al contrario molto popolari nei giardini rinascimentali e barocchi le Fritillaria, nome che Lauremberg condanna ("non è neppure latino, e non lo usa nessuno degli eleganti scrittori antichi") e vorrebbe sostituire con Gaviana o "fiore dei gabbiani" perché i fiori macchiettati di Fritillaria meleagris ricorderebbero le uova di questi uccelli. Anch'essa era un'introduzione recente (la prima descrizione di F. meleagris risale al 1554 e si deve a Dodoens), ma già fioriva un vivace mercato di importazioni dall'impero ottomano e dai Pirenei e dalla Francia, dove secondo Lauremberg ne erano abbondantissime le campagne di Orange e La Rochelle. Egli ne elenca 14 varietà, distinte in primaverili e tardive; oltre a F. melegaris con fiori viola e bianchi, riconosciamo F. persica "Gaviana ramificata, massima, purpurea, con steli plurimi e molti fiori" e F. pyrenaica "giunta dai monti, piccola e con piccoli fiori di colore verde cinerino". Del gladiolo Gladiolus Lauremberg elenca 10 varietà, distinte per il colore dei fiori viola o bianco, i fiori semplici o doppi, la provenienza; le specie citate provengono da varie parti del continente europeo (Francia, Italia, Austria, Creta), ma c'è già un gladiolo sudafricano ("Gladiolo massimo del Capo di Buona Speranza"), già presente con lo stesso nome nel catalogo di Swertius (1612). Sorvola invece su Hermodactylus ("non ne conosco né varietà né specie, perché gli autori differiscono pesantemente e disputano su quale pianta possa essere") e passa al grande capitolo di Hyacinthus, di cui elenca 67 tipi. Va considerato però che all'epoca sotto questa etichetta erano classificati diversi generi della famiglia Hyacinthaceae (o sottofamiglia Scilloideae delle Asparagaceae). Oltre ai veri e propri giacinti (Hyacinthus orientalis), che Lauremberg invita ad usare per "aumentare la bellezza e il decoro dei giardini", troviamo dunque specie oggi assegnate ai generi Leopoldia, Muscari, Dipcadi, Scilla, Hyacinthoides e anche qualche Allium. Nel capitolo successivo, Lauremberg tratta insieme le Iris bulbose (21 varietà, distinte in a foglia larga e a foglia stretta; tra queste ultime, Iris tuberosa praecox, che "alcuni ritegono il vero Hermodactylus"; è la bellavedova che oggi, dopo essersi chiamato Hermodactylus tuberosus, è Iris tuberosa) e non bulbose "innumerevoli per varietà, da raccomandare non solo per la varietà di colori e il bellissimo aspetto, ma anche per le virtù e la grandissima efficacia"; distinguendole di nuovo in a foglia stretta e a foglia larga, ne elenca 48 specie o varietà. Segue Leucojum (che Lauremberg scrive Leucoion) con 8 varietà distinte in primaverili ed estive. Ai gigli (Lilium), piante importanti oltre che la loro bellezza e maestosità, per i valori simbolici, Lauremberg riserva tre capitoli, dedicati rispettivamente a Lilium candidum, Lilium cruentum (ovvero L. croceum e altre specie a fiori rossi, in 10 varietà) e Lilium intortum seu cymbalum, ovvero L. martagon e altre specie con i petali retroflessi (15 varietà). Sotto la denominazione omerica e mitica di Moly egli riunisce invece 14 piccole bulbose sia indigene sia esotiche di difficile identificazione che potrebbero essere degli Allium mentre in Moly novum Hondianum (cioè ripreso da Petrus Hondius), grazie alla descrizione per una volta più precisa, riconosciamo la sudafricana Albuca bracteata. Ed eccoci giunti al vastissimo capitolo sui narcisi Narcissus, un altro dei grandi protagonisti dei giardini rinascimentali e barocchi; Lauremberg mettele mani avanti premettendo "le varietà di narcisi sono tante che è difficile individuare criteri di differenziazione certi e includere tutte le specie. Mi limiterò unicamente alle principali". Quindi ne elenca 50, divisi in a foglia larga semplici e doppi, a foglie di giunco semplici e doppi, esotici. In quest'ultimo gruppo troviamo specie oggi assegnate ad altri generi, come Narcissus indicus [...] Jacobaeus ovvero Sprekelia formosissima. Numerose anche le orchidee (Orchis seu Satyrion) che Lauremberg, seguendo Dioscorde, Gerard e Dodoens, divide in Cynosorchis ("con testicoli di cane"), Tragorchis ("con testicoli di capra"), Serapias, Moriones, profumate e nuove. L'interesse per queste piante (le specie o varietà elencate sono 33) non è orticolo - per la coltivazione Lauremberg si limita a scrivere "niente di particolare rispetto ad altri bulbi" - ma medico; avevano infatti fama di potente afrodisiaco. E proprio per condividere le stesse proprietà, oltre che una qualche affinità nelle infiorescenze a pannocchia, il medico tedesco aggiunge alla fine del capitolo quelle che chiama Orchides palmatae, orchidee con foglie palmate, pur ammettendo che non sono piante bulbose. Così, accanto a orchidee vere e proprie come Satyrion basilicum major, che dovrebbe essere Gymnadenia conopsea, troviamo Palma Christi, ovvero il ricino. Nel capitolo su Ornithogalum sono elencati 14 tipi con infiorescenza ombellata o spicata; è di nuovo un gruppo misto, dove accanto a Ornithigalum veri e propri come O. arabicum, già con questo nome, e "ornitogalo a foglie larghe etiopico del Capo di Buona Speranza", che potrebbe essere O. dubium, troviamo Gagea lutea e Drimia maritima. Veniamo poi a Orobanche (7 varietà) di cui Lauremberg conosce la natura parassita: "La natura di queste erbe è tale che raramente nascono da sole; per lo più richiedono la vicinanza di altre piante, cui si uniscono; spesso emergono dalle radici di altre piante, come fa la cuscuta o l'ipocisto [...] soffocandole o strangolandole". Con Porrum il porro (7 varietà) torniamo nell'orto. Solo tre le varietà di Scilla, piante tossiche con vari usi medici, tra cui riconosciamo Drimia (o Squilla) pancration. Ed eccoci finalmente giunti all'ultimo capitolo del libro sui bulbi con la superstar Tulipa, il tulipano. Erano gli anni cui già infuriava la tulipomania e Laurenberg non si sottrae e dopo aver dichiarato "le varietà di tulipani sono indicibili sia per la bellezza dei colori sia per il numero" ne elenca 144, precoci, tardivi, di uno o due colori, variegati, di colore misto, e dedica due pagine alle indicazioni di coltivazione, rifacendosi a una larga esperienza personale. Teminato l'ampio libro sui bulbi (più di 100 pagine), si passa all'assai più breve libro sulle piante tuberose. Dopo un capitolo introduttivo, si inizia con i tuberi propriamente detti, ovvero i tartufi, che per noi non sono piante, ma tali sono stati considerati per secoli, fino a Linneo ed oltre. Quindi, in ordine alfabetico, gruppi di piante tanto esotiche quando indigene, talvolta coltivate per bellezza, ma più spesso come orticole: Adenes canadiensis seu Flos solis glandulosus, ovvero il topinambur Helianthus tuberosus, apprezzatissimo in cucina; Adenes virginianum seu Halicacabus glandulifer, ovvero la patata Solanum tuberosum, che all'epoca non si era ancora imposta nelle tavole tedesche e Lauremberg guarda quasi come una curiosità; Arisarum (2 specie); Arum (4 specie); Asphodelus (6 specie, non tutte oggi assegnate a quel genere; in Asphodelus minor Phalangium narbonense riconosciamo infatti Ornithogalum narbonense); Asphodelus liliaceus o Liliasphodelus, ovvero Hemerocallis (3 varietà differenti per colore; nella Germania settentrionale era di recentissima introduzione, ma già mostrava "di moltiplicarsi spontaneamente grazie ai tuberi, e spesso più del desiderabile"); Bulbocastanum, ovvero Bunium bulbocastanum o castagna di terra, all'epoca coltivato per i tuberi; Cyclamen, il ciclamino (17 varietà, distinte per dimensioni, colore dei fiori e epoca di fioritura; erano apprezzati in giardino, ma avevano anche usi officinali); Glans terrestris ovvero Lathyrus tuberosus, che, fino al Settecento, prima della affermazione della patata, era coltivato in larga scala in Olanda e nella Germania settentriinale; Glans terrestris malacensis ovvero la batata Ipomoea batatas, detta malacensis perché introdotta attraverso Malaga; Gramen amigdalosum, ovvero Cyper esculentus, che Lauremberg è orgoglioso di coltivare nel suo orto ottenendone tuberi "di non minore perfezione di quelli di Verona", l'unico luogo in cui avrebbero prosperato secondo alcuni botanici; Radix cava ovvero Corydalis cava (6 varietà, distinte per dimensioni e colore dei fiori; era coltivata come ornamentale ma aveva anche usi medici) chiude la serie e il volume. Il genere Laurembergia Come abbiamo visto, Lauremberg dedicò Horticultura al medico di Gustavo Adolfo, Johannes Salvius. Era un gesto di opportunità politica, visto che Rostock nel 1630 era passata sotto il dominio della corona svedese. Anche se a differenza di altre città della Pomerania orientale, rimaste sotto il controllo svedese fino al Congresso di Vienna, dopo la pace di Westfalia recuperò la sua indipendenza, i legami commerciali e culturali con la Scandinavia rimasero vivi. Il trattato sull'orticoltuta di Lauremberg ebbe un notevole successo e dovette circolare anche in Svezia; se ne ricordò l'allievo di Linneo Peter Jonas Bergius che in Descriptiones plantarum ex Capite Bonae Spei (1767) creò in suo onore il genere Laurembergia con queste parole d'elogio: "Ho imposto al genere questo nome in onore di Peter Lauremberg, un tempo botanico esimio e restauratore di un'orticoltura più sana". Laurembergia è un piccolo genere della famiglia Haloragaceae (la stessa di Myriophyllum), con sette specie distribuite tra Sud America, Africa, Madagascar, Malesia e Giappone. Di piccole dimensioni e con fiori non cospicui, sono erbacee perenni, spesso decombenti, con rizomi striscianti che radicano ai nodi. Hanno foglie semplici, opposte o più raramente unite in verticilli di due o quattro, intere o dentate; i minuscoli fiori, con calice con quattro lobi e quattro petali, si ammassano in compatte infiorescenze ascellari di 3-11; quello centrale con picciolo più lungo è maschile o androgino, gli altri femminili. I frutti sono nucole. Vivono di solito in ambienti umidi, talvolta stagionalmente allagati. L. repens, una specie ampiamente diffusa nell'Africa tropicale e subtropicale e in Sudafrica, è presente in una varietà di ambienti che vanno dalla savana al Karoo al fynbos di succulente, specialmente ai margini dei corsi d'acqua, ma può adattarsi a una maggiore aridità grazie alle foglie succulente. L. coccinea, nativa di India, Sri Lanka e Indonesia, è invece una pianta montana (sopra a 1400 e fino a 3100 metri) che vive nelle praterie, lungo i margini delle strade e talvolta, come semiacquatica, lungo le rive lacustri d può essere semisommersa per una parte dell'anno. Von Garten Bau di Johann Sigismund Elsholtz ovvero come coltivare un giardino nel freddo Brandeburgo13/4/2024 Il medico Johann Sigismund Elsholtz fu una delle figure più versatili della scienza tedesca del secondo Seicento; scrisse infatti di chimica (a lui si deve la creazione del termine "fosforo"), di medicina, di dietetica - di cui fu un precursore -, di botanica... e di giardinaggio. Come direttore dei giardini di corte del grande elettore di Brandeburgo, dovette affrontare la sfida del difficile clima della regione di Berlino, caratterizzato da lunghi inverni dalle temperature molto basse (senza dimenticare i suoli poco fertili e la ventosità); fece tesoro di questa esperienza per scrivere Von Garten-Bau, probabilmente il più importando libro di giardinaggio dell'epoca, insuperato fino al dizionario di Miller. Nel trattato, così come nei giardini del tempo, che possono essere esemplificati dal Lustgarten ("giardino di piacere") di Berlino, si affiancano quattro tipi di piante, secondo il duplice criterio dell'utile e del diletto: le piante officinali, coltivate nell'hortus medicus, insieme a una selezione di specie del territorio; le piante orticole, coltivate nell'hortus culinarius, ovvero nell'orto vero e proprio; gli alberi, coltivati nell'arboreto e nel pomarius, il frutteto; le piante da fiore dell'hortus floridus, coltivate in piena terra nei parterre a ramages del giardino di piacere se rustiche o in vaso e protette dai rigori invernali nell'orangerie se delicate. Tra i diversi giardini di corte diretti da Elsholtz come praefectus hortorum c'era anche il primo nucleo del futuro orto botanico di Berlino; in ricordo del suo ruolo di padre fondatore, Carl Ludwig Willdenow, che avrebbe rifondato quel giardino, gli dedicò l'interessante genere Elsholtzia. Il Lustgarten di Berlino Nel 1646, mentre volge al termine la terribile Guerra dei trent'anni, che ha devastato la Germania ma ha anche segnato l'ascesa della Prussia come potenza regionale, il Grande elettore Federico Guglielmo ordina di trasformare l'orto adiacente al Palazzo di città di Berlino (Berliner Stadtschloss) in un giardino di piacere (Lustgarten). E' in un certo senso il suo regalo di nozze alla moglie Louise Henriette di Nassau che ha sposato proprio quell'anno; figlia di Guglielmo il Taciturno, intelligente e colta, è lei, con l'aiuto dell'ingegnere militare Johann Mauritz e del giardiniere di corte Michael Hanff, a presiedere alla trasformazione, inspirandosi ai giardini della sua patria, l'Olanda. Collocato a nord del palazzo residenziale, su terrazze in lieve pendenza e fiancheggiato da un porticato monumentale, il Lustgarten comprendeva eleganti parterre con siepi a ramages e piante da fiore (hortus floridus), voliere, statue e sculture affidate a artisti di fama, un pergolato, un arboreto e un frutteto (pomarius); a nord c'era un hortus medicus dove si coltivavano piante medicinali e un hortus culinarius sive olitorius per la coltivazione degli ortaggi destinati alla tavola del principe. Vi si coltivavano anche piante esotiche, tra cui la patata, che fu coltivata qui per la prima volta in Prussia nel 1649, grazie ad alcuni tuberi importati dall'Olanda; all'epoca era considerata una curiosità ed era coltivata per la bellezza dei suoi fiori, così come i pomodori. Nel 1650 l'architetto Johann Gregor Memhardt costruì un padiglione in stile olandese, che comprendeva anche una grotta artificiale seminterrata, e disegnò un giardino d'acqua con fontane, giochi d'acqua e peschiere. Per proteggere dai rigori invernali gli agrumi, i melograni e le altre piante esotiche che, coltivate in vaso, nella bella stagione, erano esposte all'esterno, nel 1652 fu costruita una limonaia che tuttavia nel 1655 andò distrutta in un incendio causato da un difetto dell'impianto di riscaldamento. Ricostruita l'anno dopo, fu demolita nel 1658, per fare posto a un bastione difensivo e a un fossato che collegava i due bracci della Sprea, tagliando in due il giardino. Di conseguenza, il Lustgraten dovette in parte essere ridisegnato. Come si presentasse nel breve intervallo tra la sua creazione e la trasformazione successiva al 1658, lo sappiamo grazie a Hortus berolinensis, opera scritta dal medico e naturalista Johann Sigmund Elsholtz (1623-1688) tra il 1656 e il 1657. Trasferitosi a Berlino nel 1653, nel 1656 egli ottenne il libero accesso al Lustgarten per le sue ricerche scientifiche e scrisse quest'opera a mo' di ringraziamento; divisa in due parti, comprende un'accurata descrizione del giardino e un catalogo delle piante che vi erano coltivate. Forse proprio perchè resa obsoleta dalla ristrutturazione del Lustgarten, non fu mai pubblicata, ma valse a Elsholtz la nomina a medico di corte, botanico di corte e prefectus hortorum, ovvero direttore del Lustgarten e dei giardini di corte. Studioso versatile e di vasti interessi, Elsholtz ha lasciato opere significative nei campi della botanica, della chimica, della medicina e dell'igiene, di cui è consideraro un precursore. Nato a Francoforte sull'Oder, inizò gli studi presso l'università della città natale, quindi li proseguì a Wittenberg e a Königsberg. Viaggiò poi nei Paesi Bassi, in Francia e in Italia. Nel 1653 conseguì il dottorato in medicina a Padova con una tesi in cui riassunse la letteratura contemporanea sulle proporzioni del corpo umano in termini di peso, massa e dimensioni; pubblicata nel 1654 sotto il titolo Anthropometria, l'opera contiene tra l'altro la più antica illustrazione nota di un dispositivo per misurare l'altezza degli esseri umani, detto anthropometron. Subito dopo la laurea, Elsholtz ritornò in Germania e si stabilì a Berlino dove aprì uno studio medico; dopo la nomina a medico di corte e botanico regio (1657), si fece un nome tra gli scienziati tedeschi per le sue ricerche di vario argomento; nel 1674 fu ammesso alla Leopoldina, sulla cui rivista Miscellanea curiosa pubblicò una quindicina di articoli di argomento medico. In tutti i campi di cui si occupò, fu caratterizzato dalla propensione a sperimentare e a percorerre nuove strade. Come chimico, si occupò della distillazione dei coloranti e delle proprietà luminose del fosforo (del cui nome, letteralmente "portatore di luce", gli si attribisce l'invenzione). Come medico, è noto per i suoi esperimenti sulle iniezioni endovenose e sulle trasfusioni di sangue, esposti in Clysmatica nova (1667). Ma soprattutto è consideraro un precursore della dietetica e dell'igiene, grazie a Diaeteticon, pubblicata nel 1682, in cui compare per la prima volta in Germania il termine Hygiene ("igiene"). Ricca di suggerimenti pratici, comprese alcune ricette culinarie, come esplicita il sottotitolo fornisce istruzioni per mantenersi in salute attraverso una corretta alimentazione; inoltre Elsholtz vi sottolinea l'importanza di acqua e aria pulite e dell'igiene personale. Il libro incrocia anche la botanica, visto che cibi e bevante erano largamente ricavati da piante, di cui si analizzano le proprietà, facendo riferimento sia alla tradizionale teoria degli umori, sia all'analisi chimica. Va infine ricordato che, come medico dell'elettore, insieme al collega Mentzel ebbe un ruolo centrale nella stesura dell'Editto medico di Brandeburgo (1685) che poneva il settore sanitario sotto il controllo di un Collegium medicum e regolava professioni sanitarie e tariffe. Dalla botanica al giardinaggio Nella variegata ed eclettica opera di Elsholtz, le piante e i giardini occupano uno spazio privilegiato. Per circa trent'anni (dal 1657 alla morte) come prafectus hortorum presiedette ai giardini di corte, acquisendo una notevole esperienza anche pratica. Durante la sua gestione, il Lustgarten di Berlino si arricchì di molte piante, raggiungendo le mille specie, e fu aperto alla fruizione dei berlinesi, divenendo un popolare luogo d'incontro. Era il primo giardino pubblico della città che fino ad allora, come luoghi all'aperto, aveva conosciuto solo i mercati e le piazze d'armi. Dal 1685, il giardino ebbe nuovamente una limonaia (Pomeranzen Haus); costruita dall'architetto Johann Arnold Nering, era un imponente edificio con pianta semi circolare. Probabilmente uno dei primi compiti di Elsholtz appena assunto l'incarico fu il trasferimento dell'hortus medicus e dell'hortus culinarius, che occupavano l'area smantellata per fare posto al bastione e al fossato. Nel 1679 il Grande elettore ordinò di trasferirli a Schöneberg, in un'area precedentemente nota come Hopfengarten ("giardino del luppolo") perché fino a quel momento era adibita a questa produzione; si trattava soprattuto di un vasto orto e frutteto, ma poiché ospitava anche le piante medicinali, questa data viene di solito considerata quella di nascita del primo orto botanico di Berlino. In realtà, cominciò ad essere chiamato così e ad assumere realmente questa funzione molto più tardi, nel 1718, quando Elsholtz era morto da un pezzo e anche il Lustgarten di Berlino non esisteva più, spianato e trasformato in una piazza d'armi per ordine del re sergente Federico Guglielmo I. Oltre ai due giardini berlinesi, Elsholtz curava anche i giardini della residenza di Potsdam (anch'esso era dotato di una Pomeranzen Haus, l'unica struttura ancora esistente di quel periodo, anche se il solito re sergente ordinò di trasformarla in una stalla per un reggimento di cavalleria) e il giardino di piacere di Oranienburg. La storia di quest'ultimo merita qualche riga. Nell'estate del 1650, durante una battuta di caccia l'elettrice Louisa Henriette soggiornò a Bötzow, a nord di Berlino, e si innamorò del suo paesaggio che le ricordava l'Olanda. Qualche mese dopo, il marito le fece dono dell'uffico (Amt) di Bötzow con la tenuta e i villaggi annessi; al posto del vecchio casino di caccia venne costruito un castello completamente circondato da un fossato e, accanto ad esso, un giardino di piacere, entrambi in stile prettamente olandese. Preceduto da un elegante portico e fiancheggiato su due lati da un ambulacrum, che doveva fungere anche da limonaia, il giardino vero e proprio era rettangolare e comprendeva otto parterre a ramages; al centro, su una collinetta, sorgeva una casa di delizie, detta anche grotto. Lo spazio tra il giardino e il fossato del castello era occupato da un arboreto. In onore di Louisa Henriette, appartenente al casato Nassau Orange, il castello venne battezzato Oranienberg, nome poi esteso al villaggio e all'intero Amt. Nel 1663, Elsholtz pubblicò Flora marchica che è contemporaneamente il catalogo collettivo dei giardini di corte di Berlino, Potsdam e Oranienburg e una flora della marca di Brandeburgo. Le piante sono elencate in ordine alfabetico con il nome latino per lo più tratto dal Pinax di Caspar Bauhin, seguito dal nome volgare tedesco e spesso da sinonimi di altri autori; i più frequenti sono Clusius, Dodoens e Lobel, ma i testi citati sono moltissimi, dal vecchio Dioscoride fino al recente Hortus Eystettensis, a dimostrare un'ottima conoscenza della letteratura botanica e della pubblicistica sui giardini, ampiamente analizzata nella prefazione. Salvo qualche breve notazione occasionale (ad esempio, a proposito di Alnus nigra polycarpos, "L'ho trovato la prima volta sulle rive del fiume Stepenitz presso la città di Perleberg nel distretto di Prignitz"), Elsholtz si limita a un mero elenco: fa eccezione la voce dedicata a Agave americana (chiamata Aloe aculeata e amerikanische Aloe), che occupa quasi due pagine. Elsholtz racconta di averla vista in fioritura nel 1658 in un giardino di Stoccarda, rimanendo stupefatto per l'infiorescenza alta 23 piedi con un totale di 12.000 fiori. Su questa pianta che lo aveva tanto colpito e sulla storia delle sue fioriture in Europa, Elsholtz sarebbe tornato in Von Garten Bau ("Sull'orticultura"), in cui profuse tutto ciò che aveva imparato gestendo i giardini dell'elettore. Pubblicato in prima edizione nel 1666, è un vero e proprio trattato teorico-pratico sull'arte di disegnare e gestire un giardino, che fonde una profonda conoscenza della letteratura sull'argomento con una altrettanto profonda e vasta conoscenza pratica acquisita attraverso l'esperienza diretta. Come chiarisce il sottotitolo, "Lezioni di giardinaggio adatte al clima della Marca elettorale-Brandeburgo e agli stati tedeschli limitrofi", l'intento principale di Elsholtz è fornire indicazioni per affrontare in modo vincente la sfida costituita dal difficile clima della Germania settentrionale, con i suoi lunghi inverni resi ancora più rigidi dal vento. A differenza di De hortis Germaniae di Gessner, che pure è un precedente largamente citato, il trattato è scritto in tedesco; non si rivolge infatti a botanici e dotti, ma a giardinieri e progettisti. Fanno eccezione solo gli schemi riassuntivi che percorrono qua e là il libro, rendendolo parzialmente fruibile anche al di fuori della Germania. Ad aprirlo è una duplice dedica al Grande elettore e alla sua sposa, che però non è più Louisa Henriette, morta quarantenne sfiancata da innumerevoli parti ed aborti, ma la seconda moglie Sofia Dorotea di Schleswig-Holstein; la coppia è raffigurato nel frotespizio in veste di Apollo e Diana, mentre assisi sul carro del sole sorvolano il Lustgarten. Il trattato si articola in sei libri. Il primo è a sua volta un vero e proprio trattato generale sul giardinaggio; è aperto da un'introduzione che, dopo aver definito brevemente il ruolo e i compiti del giardiniere, presenta una breve storia del giardinaggio. Il primo capitolo, sulla scelta del luogo e della forma, è articolato attorno alla duplice funzione del giardino, il diletto e l'utile; la prima è assolta dall'hortus floridus (Blumen Garten) "con la Natura educata in modo che anche d'inverno mostri i fiori più belli", la seconda dall'orto vero e proprio (Kuchen-Garten), dal frutteto e dalla vigna per l'"utilitas alimentaria" e dall'hortus medicus per l'"utilitas medicamentaria". Seguono capitoli sulle strutture, compresa la limonaia (Pomeranzen Haus), gli attrezzi, i vari tipi di coperture (dalle campane alle serrette ai lettorini), le tecniche di propagazione, i lavori e le tecniche colturali, gli accorgimenti per affrontare avversità meteoriche, parassiti e malattie. A partire dal secondo libro, Elsholtz analizza i cinque settori del giardino già individuati nell'introduzione, dedicando un singolo libro a ciascuno: l'hortus floridus (libro II); l'orto (libro III); l'arboreto e il pomario (libro IV); il vigneto (libro V); l'hortus medicus (libro VI). Ogni libro è solitamente diviso in due parti, la prima dedicata alla progettazione e alle attrezzature specifiche, la seconda a un'ampia scelta di piante consigliate, seguita talvolta da un calendario delle attività mese per mese. Ad esempio, relativamente al giardino dei fiori, vengono trattati argomenti come i pergolati, le piramidi, il disegno di aiuole, parterre, viali e sentieri, la disposizione delle piante nelle aiuole; segue poi il catalogo delle erbacee da fiore, distinte in "erbacee perenni che vanno protette d'inverno", "erbacee perenni con radici bulbose o rizomatose che sopportano l'inverno", "erbacee con radici fibrose che sopportano l'inverno", "erbacee annuali o da seme". Se in questo libro le piante sono di fatto organizzate sulla base della rusticità, le orticole, protagoniste del libro successivo, sono invece divise sulla base dell'utilità in "utili per le radici", "utili per le foglie", "utili per i frutti". Il criterio della rusticità ritorna nel libro su alberi e arbusti, divisi in "da proteggere in inverno", "che sopportano l'inverno", "spontanei". Il libro sulla vigna è forse il più dotto, con un excursus sulla sua coltivazione in Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Ungheria; ma poi nella scelta delle varietà si privilegiano quelle rustiche "nostrali" e non mancano capitoli sulla vinificazione. Il libro sull'hortus medicus, a parte una breve introduzione, è quasi integralmente costituito da un catalogo di piante non necessariamente officinali; dopo le piante medicinali dei giardini e le specie officinali spontanee, troviamo infatti un capitolo sulle piante spontanee senza proprietà medicinali e un'appendice sui cereali; questa presenza apparentemente incongrua è probabilmente spiegata dalla grande attenzione riservata alla flora locale dagli orti botanici tedeschi, che all'epoca erano ancora chiamati horti medici. Questo libro è dunque quello che assomiglia di più a Flora marchica; anche qui troviamo voci, solitamente brevissime, costituite dal nome latino, per lo più tratto dal Pinax, seguito dal nome tedesco, dai sinonimi in altri autori e, almeno per le specie officinali, da sintetiche indicazioni sugli usi, che solitamente non superano due o tre righe. Tra le poche eccezioni la voce Nicotiana major latifolia, ovvero il tabacco, che occupa circa due pagine. Come Agave americana, era ancora una novità e destava molta curiosità, senza dimenticare che all'epoca era ritenuta quasi una panacea. Il volume, di oltre 400 pagine, si conclude con un calendario riassuntivo dei lavori mese per mese e con gli indici latino e tedesco delle piante trattate. Scritto da un botanico che amava profondamente le piante e aveva una larga esperienza diretta di progettazione e gestione di giardini, Von Garten-Bau segna l'incontro tra la botanica e il giardinaggio; per la prima volta le piante da giardino sono determinate con precisione con il loro nome botanico. Anche se Elsholtz fa ampio riferimento alla letteratura specialistica contemporeanea, come il trattato di Ferrari sugli agrumi o quello di Lauremberg sulle bulbose, il suo trattato supera tutto ciò che è stato scritto in precedenza, con una profondità e una ricchezza di informazioni ineguagliata fino al The Gardeners Dictionary di Miller; Teichert lo ha definito "il miglior libro sui giardini del XVI secolo". Il libro colmava una lacuna e ottenne un notevole successo; già nel 1672 uscì una seconda edizione, sostanzialmente identica a parte l'aggiunta di alcune tabelle riassuntive in latino, seguita da una terza nel 1684. Una quarta edizione ampliata, intitolata Neu Angelegter Garten Bau, benché predisposta dall'autore, uscì postuma nel 1690. Elsholtz era infatti morto all'inizio del 1688, senza poterne curare di persona la pubblicazione. Piante utili e dilettevoli Anche se, come abbiamo visto, il giardino di Schöneberg ospitava anche piante medicinali, all'epoca di Elsholtz non era propriamente un orto botanico. Solitamente però il botanico prussiano è considerato il fondatore dell'orto botanico di Berlino e come tale nel 1790 è stato onorato da Willdenow, che di quel giardino sarebbe stato il rifondatore, con la dedica del genere Elsholtzia (Lamiaceae). Lo stesso anno, ma in data successiva, un secondo genere Elsholtzia (Lecythidaceae) venne creato da Necker; non valido, è oggi sinonimo di Couroupita. Elsholtzia Willd. è un genere di una quarantina di specie, distribuite prevalentemente nell'Asia orientale temperata o subtropicale, con centro di diversità nello Yunnan in Cina; sono per lo più erbacee annuali o perenni, ma non mancano suffrutici. Se il dedicatario l'avesse conosciuto, certamente l'avrebbe apprezzato dal punto di vista tanto dell'utilità quanto del diletto. Come altri generi della famiglia Lamiaceae, le Elsholtziae hanno foglie aromatiche, ricche di oli essenziali e diverse specie hanno usi officinali nella medicina tradizionale, come antibatterici, antivirali, antinfiammatori. Ad esempio, E. pendulifolia in Vietnam è utilizzata per curare febbri e raffreddori; E. rugulosa in Cina ha una lunga storia come pianta mellifera e come pianta officinale da cui si ricava un reputato tè di erbe usato per curare molteplici affezioni. Ma, per usare i termini di Elsholtz, oltre all'utilitas medicamentaria, a varie specie si aggiunge l'utilitas alimentaria: molte trovano impiego in cucina come erbe aromatiche; i semi di E. fruticosa sono utilizzati per aromatizzare il cibo e se ne ricava anche un olio alimentare. E non mancano altri usi: varie specie sono impiegate in profumeria e E. splendens, per la sua alta tolleranza al rame, in Cina viene piantata come pianta pioniera per bonificare i terreni contaminati delle miniere dismesse. Venendo poi al diletto, alcune specie sono coltivate per la bellezza della loro fioritura. La più notevole è indubbiamente E. stauntonii, un'alta erbacea perenne o un piccolo arbusto con belle foglie dentate e infiorescenze a spiga da rosa a viola pallido che si aprono dalla tarda estate all'autunno; come le sue consorelle, ha foglie aromatiche che ricordano la menta, ma con sentori agrumati e di cannella che possono essere usate per preparare una piacevole tisana o per aromatizzare piatti della cucina asiatica. Dopo tante lodi, una nota dolente. E. ciliata, un'erbacea annuale originaria della Cina e del Sud est asiatico (le sue foglie profumate di limone sono un ingrediente della cucina vietnamita), è stata introdotta come officinale e pianta da giardino in vari paesi europei e negli Stati Uniti; poiché produce molti semi e ha un alto tasso di germinazione, può formare rapidamente estese popolazioni a danno delle specie autoctone, soprattutto in aree disturbate. Per questo è stata inclusa in liste di piante potenzialmente invasive e il Connecticut ne ha proibito la coltivazione, la vendita e la diffusione. In Italia, dove potrebbe essere stata introdotta come specie officinale usata in erboristera, è stata segnalata la prima volta in Friuli Venezia Giulia nel 1991; in Lombardia è stata osservata a partire dal 2002 ed è considerata naturalizzata in incolti ruderali; non è inclusa in nessuna lista e il suo impatto sulla flora autoctona è considerato irrilevante. I primi orti botanici tedeschi nascono sul modello di Padova a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Tra i massimi protagonisti della loro nascita, il medico e botanico Ludwig Jungermann, che disegnò e curò successivamente l'orto botanico di Gießen, il primo ad occupare ancora parzialmente la sede originale, e quello di Altdorf, celebre per la bellezza e la ricchezza di piante rare. Jungermann fu anche il primo in Germania a scrivere flore locali e a tenere ufficialmente una cattedra di anatomia e botanica. Nella sua prassi didattica, poterono così integrarsi le lezioni teoriche, la dimostrazione delle piante nell'orto botanico e le escursioni nel territorio. È ricordato dal genere di epatiche Jungermannia, dalla storia tassonimica alquanto travagliata. Flore locali ed orti botanici Tra fine Cinquecento e inizio Seicento, in Germania vennero fondati diversi orti botanici universitari che si rifacevano direttamente al modello di Padova. Il primo fu quello di Lipsia, nato nel 1580 forse dalla trasformazione di un precedente giardino monastico, seguito nel 1586 da quello di Jena e nel 1593 da quello di Heidelberg. Travolti dalla guerra dei Trent'anni, nessuno di questi giardini è sopravvissuto. Il primo a trovarsi ancora almeno in parte nella collocazione originale - anche se assai ingrandito e con un aspetto totalmente mutato - è quello di Gießen, la cui fondazione ufficiale risale al 1609. L'università di Gießen (oggi Justus-Liebig-Universität Gießen) era recentissima; nel 1605 alcuni professori luterani del vicino ateneo di Marburg, da poco passato al calvinismo, si spostarono a Gießen dove, auspice il langravio Ludovico V di Assia-Darmstadt, fondarono l'Illustre et principale Gymansium Giessense che nel 1607, ottenuto il brevetto imperiale, si trasformò appunto in università. Come ateneo luterano, il suo scopo principale era formare pastori e funzionari, ma fin dall'inizio ci fu una facoltà di medicina che appunto nel 1609 fu dotata di un hortus medicus, grazie ancora al langravio che a tal fine aveva donato all'università un piccolo giardino di piacere situato presso la torre del castello. A presiederlo e di fatto a crearlo fu chiamato, con un salario di 50 talleri, il candidatus, ovvero dottorando in medicina, Ludwig Jungermann (1572-1653); allievo dell'anatomista Gregor Horstius, egli fu uno dei primi laureati in medicina della facoltà, ottenendo la licenza "summos honores in arte medica" con la tesi Assertiones medicae de catarrho nel dicembre 1610 e il dottorato nell'aprile 1611, con una tesi in cui si esaminava l'efficacia dei decotti di lattuga e ruta per curare l'"amore insano". Jungermann veniva da una famiglia doppiamente illustre. Il padre Caspar Jungermann fu professore di diritto e per ben sette volte rettore dell'università di Lipsia; la madre Ursula Camerarius era figlia dell'illustre umanista e collaboratore di Melantone Joachim Camerarius il Vecchio e sorella del medico e botanico Joachim Camerarius il Giovane. Mentre il padre avrebbe voluto avviarlo a studi giuridici, Ludwig scelse la medicina e la botanica, seguendo l'esempio dello zio materno nonché del compianto fratello maggiore Joachim. Joachim Camerarius (1531-1561) era stato un giovane estremamente brillante; dotato disegnatore, è il più accreditato autore del Camerarius florilegium, lo spettacolare erbario figurato fatto eseguire dallo zio, che lo considerava il suo erede scientifico, ancora più del figlio Joachim Camerarius III. Nel 1588 venne a studiare in Italia e si fece conoscere nell'ambiente dei naturalisti della penisola con il nome italianizzato Gioacchino Giovenio. Visitò Napoli dove fu tra i pochi a vedere il manoscritto di Hernández portato in Italia da Nardo Antonio Recchi e riuscì anche a copiare "con destrezza" alcune figure. Oltre che con lo zio (ci rimane un espistolario di oltre 100 lettere), corrispondeva con altri botanici tra cui Clusius cui inviò numerosi esemplari. Mentre studiava a Padova, fece diverse escursioni botaniche; tra l'altro fu in Tirolo con un altro corrispondente di Clusius, Tobias Roels. Nel 1590 Casabona lo inviò ad accompagnarlo a Creta, ma Jungermann rifiutò. L'anno successivo tuttavia si imbarcò a sua volta per Costantinopoli con quattro connazionali; durante il viaggio, a bordo scoppiò un'epidemia che gli fu fatale. Ludwig, più giovane di lui di undici anni, al momento della sua morte aveva diciannove anni ed era deciso a seguirne le orme. Tuttavia, forse memore della sua sorte, non si allontanò mai dalla Germania e divenne uno specialista della flora locale. Iniziò gli studi accademici a Lipsia, dove iniziò a creare un erbario e a scrivere una flora sulle piante del territorio; terminato entro il 1600 ma rimasto manoscritto (oggi è conservato presso l'università di Erlangen), il suo Viridarium lipsiense spontaneum è considerata la più antica flora locale e cittadina in terra tedesca; elenca e descrive in ordine alfabetico circa 800 piante spontanee di Lipsia e dei suoi dintorni. Jungermann proseguì quindi gli studi a Jena e ad Altdorf, una cittadina universitaria a circa 25 km da Norimberga, dal cui consiglio cittadino dipendeva. Qui strinse amicizia con il coetaneo Caspar Hoffmann (1572-1648), che prima di iscriversi ad Altdorf aveva frequentato le università di Strasburgo, Padova e Basilea, dove era stato allievo di Felix Platter e Caspar Bauhin. Né ad Altdorf né in altre università tedesche esisteva ancora una cattedra formale di botanica; fu dunque al di fuori del curriculum ufficiale che i due amici incominciarono ad esplorare la flora dei dintorni; come aveva fatto a Lipsia, Jungermann trasse da queste ricerche un catalogo che, nel partire per Gießen, affidò a Hoffmann per la pubblicazione. Prima che ciò avvenisse, tuttavia, passarono alcuni anni pieni di impegni per entrambi. Hoffmann era rimasto ad Altdorf e aveva assunto la cattedra di medicina teorica, mentre Jungermann era fortemente impegnato nella direzione dell'orto botanico di Gießen, cui nel 1614 si aggiunse la cattedra di anatomia e botanica, la prima ufficiale in terra tedesca. Inoltre, intorno al 1612 gli fu affidata la redazione dei testi di Hortus Eystettensis, grazie presumibilmente sia alla sua crescente fama come esperto di piante, sia alla relazione familiare con Camerarius, il cui giardino aveva fatto da modello a quello di Eichstätt. Constatando, come professore di medicina, quanto carenti fossero le conoscenze botaniche dei futuri medici, Hoffmann si ricordò di quel vecchio catalogo; gli era evidente che Jungermann non avrebbe potuto occuparsene perché "due lavori allo stesso tempo sono già sufficienti". Con il suo accordo, si decise a "mettere mano nella messe altri". Il risultato fu Catalogus plantarum circa Altorfium Noricum et vicinis quibusdam locis, pubblicato ad Altdorf nel 1615. Nel frontespizio, Jungermann figura come autore, mentre Hoffmann come revisore. Nella lettera dedicatoria al senatore di Norimberga Georg Christoph Volckamer, firmata da Hoffmann, questi sintetizza la genesi e gli scopi dell'opera, ribadisce che il materiale risale a Jungermann, ma che il lavoro redazionale è stato in gran parte svolto da lui. Il catalogo vero e proprio, in ordine alfabetico, è costituito da un elenco di nomi di piante in latino, essenzialmente basato su Phytopinax di Caspar Bauhin; seguono i sinonimi di altri autori (tra più citati Lobel e Dodoens), spesso il nome tedesco e quasi sempre l'indicazione dell'habitat: generica come nei boschi, in luoghi sabbiosi, in luoghi umidi, ecc; o più specifica come "nella Pfaffenthal", "presso la fortezza di Hollenstein". Le piante segnalate come nuove sono sei in tutto, ad esempio Chamaedrys fruticosa nostra, Pseudocamaedrys elatior Jungermannii, di cui si dà una breve diagnosi con le differenze rispetto a specie affini. Possono essere nuove però anche altre specie non segnalate come tali ma non seguite da referenze bibliografiche. Tra di esse parecchi muschi. Jungermann lavorò e insegnò a Gießen fino al 1625, pubblicando ancora due flore locali: Cornucopiae Florae Giessensis e Catalogus herbarum circa Giessam, pubblicate nel 1623 ed entrambe oggi perdute. Nel 1625, nell'ambito della guerra dei Trent'anni, il langravio occupò Marburg e decise di traferire in quella sede storica l'università, chiudendo quella di Gießen. Anche l'orto botanico fu abbandonato. Su invito di Hoffmann, Jungermann preferì trasferirsi a Altdorf; portò con sè quanto poteva delle piante del giardino di Gießen, con le quali creò un hortus medicus privato, Con il sostegno di Hoffmann, riuscì a convincere il consiglio cittadino di Norimberga a finanziare la sua trasformazione in orto botanico universitario (tre anni prima l'accademia di Altdorf si era ufficialmente trasformata in università). Il giardino, noto come Hortus medicus altdorfinus o Doktorgarten, si trovava al di fuori delle mura cittadine, a sud-ovest dell'edificio universitario; a pianta quadrata, era circondato da un muro di arenaria e misurava inizialmente 3000 m2. I due viali principali, incociandosi al centro, occupato da un padiglione, lo dividevano in quattro quadranti di uguali a dimensioni; i due posti a nord, che confinavano con gli edifici universitari, avevano funzione ornamentale, con ramages di gusto barocco disegnati da basse siepi di bosso; le erbe medicinali erano coltivate in quelli a sud, che avevano anche funzione di orto e vivaio. Il giardino cercava dunque di conciliare la funzione didattica con le esigenze estetiche di un giardino di piacere. Nel progetto di Jungermann confluiva un variegato bagaglio di esperienze: il ricordo del giardino di suo zio Camerarius a Norimberga, le suggestioni del giardino vescovile di Eichstätt, il modello degli orti botanici italiani e la sua stessa esperienza come prefetto dell'orto botanico di Gießen. Anche se erano gli anni difficili della guerra dei Trent'anni, nell'arco di pochi anni egli riuscì a creare un giardino rinomato per la sua bellezza e la ricchezza di piante esotiche e rare; alcune le portò con sè da Giessen, altre le ottenne da Eichstätt e da giardini monastici, altre ancora dai suoi numerosi corrispondenti. Molti sono citati nella breve prefazione del catalogo del giardino, Catalogus plantarum, quae in horto medico et agro Altdorphino reperiuntur, pubblicato da Jungermann nel 1635. Sono soprattutto tedeschi, medici o generosi proprietari di giardini privati (tra i pochi nomi che oggi ci dicono ancora qualcosa Gillenius, ovvero Arnold Gille, medico di Cassel, e Wilhelm Ernst Scheffer, medico di Francoforte), ma ci sono anche il prefetto di Leida Adolphus Vortius e Giovanni Pona, "farmacista veronese celeberrimo". Fino fine dei suoi giorni (morì ottantenne nel 1653), Jungermann visse ad Altdorf, come praefectus dell'orto botanico e professore di anatomia e botanica; fu anche più volte rettore. Faceva regolarmente lezione nel giardino e accompagnava i suoi studenti in escursioni botaniche. I contemporanei lo consideravano un "botanico non secondo a nessuno"; rifiutò ripetutamente nomine onorevoli, compresa quella di successore di Mathias Lobel come botanico del re d'Inghilterra. Era un uomo simpatico e affabile, versato anche nella poesia latina. Non si sposò mai; secondo un aneddoto, agli amici che lo esortavano a prendere moglie, rispondeva che lo avrebbe fatto quando qualcuno gli avesse portato una pianta che non conosceva. Alla sua morte lasciò in eredità alla biblioteca di Altdorf il suo notevole erbario di 2000 campioni. Due parole sulle vicende successive dell'orto botanico di Altdorf. Poco dopo la morte di Jungermann, fu ampliato, portando la superficie a 4500 m2 e dotato di un hibernaculum, ovvero una limonaia, che poteva essere riscaldata da due stufe. Fino alla fine del Settecento, fu tra i più ricchi e reputati della Germania. Il suo ultimo catalogo, redatto nel 1790 dal prefetto e professore di botanica Benedict Christian Vogel, che esclude le piante "indigene e volgari", registra 2500 piante esotiche. Una di esse era un'Agave americana che fiorì e fruttificò nel 1798. Dopo il congresso di Vienna, Norimberga, fin ad allora città libera, fu annessa al Regno di Baviera. L'università di Altdorf venne sciolta e il giardino smantellato. Poche piante, tra cui una cicadacea e un grande albero di canfora, furono trasferite nell'orto botanico dell'Università di Erlangen, mentre il grosso andò ad arricchire le aiuole e le serre del recentemente fondato orto botanico di Monaco di Baviera. Un genere con una storia travagliata Come ho anticipato, invece il giardino di Gießen esiste ancora. Dopo la pace di Westfalia, nel 1650, l'università di Gießen fu ripristinata e anche il suo orto botanico tornò a rivivere. All'inizio del Settecento, vi studiò Heinrich Bernhardt Ruppius, che era nativo proprio di quella città. Come Jungermann un secolo prima, studiava la flora locale e nella sua Flora jenensis (1718) si ricordò del suo predecessore dedicandogli il genere Jungermannia, poi convalidato da Linneo in Species plantarum. Si trattava del primo genere di epatiche fogliose ad essere descritto; ha dato il nome alla famiglia Jungermanniaceae e all'ordine Jungermanniales. Inizialmente incluse tutte le epatiche fogliose, poi nel corso dell'Ottocento, in base a specifiche caratteristiche degli organi riproduttivi, ne vennero via via separati numerosi generi. Nella seconda metà del Novecento prevalse invece l'idea di raggrupparli nuovamente in un vastissimo Jungermannia, che comprendeva tra 120 e 200 specie, distribuite in tutto il mondo, in ogni ambiente, eccetto i deserti, le savane e le foreste pluviali tropicali. A cavallo tra la fine del Novecento e gli anni Duemila, gli studi molecolari filogenetici hanno drasticamente mutato questo quadro, dimostrando che Jungermannia inteso in senso largo era un gruppo artificiale che raggruppava specie poco correlate tra loro. A Jungermannia in senso stretto, diviso da Liochlaena e Solenostoma sulla base di caratteristiche come la forma del perianzio e l'assenza di periginio, sono al momento attuale attribuite 9-10 specie prevalentemente distribuite nelle zone temperate dell'emisfero boreale. Una delle più diffuse è J. atrovirens, presente anche nella nostra flora; caratterizzata dal colore verde scuro che le dà il nome, è una specie alquanto variabile che cresce in una varietà di situazioni su suolo calcareo, in luoghi umidi o anche come acquatica in laghi e torrenti; dioica, ha foglie ovoidali concave che avvolgono gli steli da eretti a prostrati e può formare densi tappeti erbosi. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2025
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