Con due libri dal ricercato titolo greco, Fabio Colonna segna una tappa decisiva per l'avvento della botanica come scienza, negli anni a cavallo tra Cinquecento e Seicento. Membro dell'Accademia dei Lincei, ha ancora la formazione erudita di stampo classico e la vastità di interessi dell'uomo universale del Rinascimento, ma è già a tutti gli effetti un uomo della nuova scienza, corrispondente di Galileo e scienziato sperimentale, che più che all'auctoritas degli antichi si affida al libro della natura. I suoi contributi alla nascita di un metodo scientifico per studiare le piante e determinarne i generi gli guadagnarono il plauso di Tournefort e Linneo, per non parlare di Plumier che gli dedicò il sontuoso genere Columnea. La botanica come cura Forse, se avesse goduto di buona salute, il napoletano Fabio Colonna (1567-1640) non sarebbe mai diventato un naturalista. Esponente di un ramo cadetto della celebre famiglia romana, nel 1589 si laureò utroque iure all'Università di Napoli, ma la salute precaria gli impedì di esercitare la professione. Spirito indagatore, per trovare rimedio ai suoi mali, e in particolare ai ricorrenti attacchi di epilessia, si rivolse ai testi degli antichi, a cominciare da Dioscoride, dove lesse delle proprietà antiepilettiche di una pianta chiamata Phu. Incominciò così a battere le campagne alla sua ricerca; il risultato fu che si innamorò della botanica e fece scoperte ben più interessanti dell'identificazione delle piante di Dioscoride, croce e delizia dei botanici del Rinascimento. Ma qui lascio volentieri la parola a Michele Tenore: "L'impegno di riconoscere nelle campagne la pianta che l'Anazarbeo chiamava Fu [...] lo condusse a scorrere le nostre selve, i nostri boschi e i monti; ove siccome doveva necessariamente avvenire, con giornaliero paragone delle descrizioni di Dioscoride con le piante che incontrava, invece del Fu di questo Autore, che scambiò con la Valeriana officinalis [...], riconobbe non solo la maggior parte delle piante mentovate dagli antichi scrittori; ma anche moltissime altre proprie del nostro suolo che egli scopriva per la prima volta". Nelle sue scorribande botaniche, che, a detta di Tenore, dovettero giovargli ben più del supposto rimedio dioscorideo, per memoria delle piante che incontrava, e per meglio confrontarle con le descrizioni degli antichi, Colonna dovette iniziare ad allestire un originale erbario ad impressione, testimoniato dal magnifico manoscritto in due volumi conservato a Blickling Hall nel Norfolk e intitolato Icones ipsis plantis ad vivum expressae quoad fieri potuit nova quadem arte excogitata ab ipso auctore Fabio Columna pro ipsius oblectatione, studio e memoria. Perfezionando una tecnica attestata fin dal secolo precedente, Colonna cospargeva di pigmenti l'esemplare, fresco o essiccato, ma sempre raccolto in natura (la coltivazione, aveva osservato, altera l'aspetto delle piante), quindi lo pressava su un foglio; ma, a differenza di Boccone o altri, a questo punto disegnava i particolari che l'impressione non conservava, talvolta aggiungendo anche i colori originali ad acquerello. Il poderoso erbario (oltre 500 fogli) fu certo il frutto di ricerche di molti anni, ma è probabile che egli lo abbia iniziato prima del 1592, data di pubblicazione dell'opera frutto di quelle prime escursioni e ricerche. Per identificare le piante di Dioscoride, Colonna, figlio di un agguerrito filologo ed egli stesso perfetto conoscitore delle lingue antiche, non rifuggiva dalla critica testuale, ma cercava la risposta soprattutto nel confronto tra le succinte e spesso criptiche descrizioni del testo greco con le piante raccolte in natura, minuziosamente osservate o "interrogate". E' questo il senso del curioso titolo della sua prima opera, Phytobasanos, sive plantarum aliquot historia. Come spiega Eva Cantarella, in greco il termine basanos originariamente indicava la pietra di paragone, utilizzata per saggiare l'oro, "da questo passò a indicare qualunque strumento o procedimento utile a 'mettere alla prova' una persona: e dunque, successivamente, anche la pratica che noi chiamiamo tortura". Ecco perché Phytobanos è stato variamente tradotto "Interrogazione delle piante", "Pietra di paragone della piante", "Tortura delle piante". La breve opera, stampata a Napoli a spese dell'autore nel 1592 (all'epoca Colonna aveva 25 anni) e dedicata al cardinale Marcantonio Colonna, è divisa in due parti; la prima analizza 26 piante di Dioscoride, ricavandone l'identificazione, più che dall'analisi filologica e dai pareri di altri studiosi (anche se non mancano né l'una né gli altri), dalla accurata e minuziosa descrizione della pianta stessa; la seconda parte, che si aggiunse in corso d'opera, durante la stampa della prima, tratta quattro animali marini e altre otto piante, che dovrebbero essere "nuove", cioè non descritte in precedenza. Lo era davvero la splendida Primula palinuri, che Colonna, il suo scopritore, identifica invece con la dioscoridea Alisma. Parte integrante dell'opera sono le 37 incisioni calcografiche a piena pagina, sicuramente almeno in parte ricavate da impressioni e disegni dello stesso Colonna. E' la prima volta che l'incisione su rame, con i suoi tratti molti più fini di quella su legno, viene applicata alla botanica; ed è anche la prima volta che, accanto alla pianta stessa, completa di radici, vengono raffigurati a parte, ingranditi, particolari essenziali per l'identificazione, come gli organi della fruttificazione. Stando a quanto scrive Colonna nella prefazione Ad lectorem, l'opera fu per lui, autodidatta ("nullo mostrante, aut docente"), un laborioso apprendistato; ma certo si avvalse dei consigli del farmacista Ferrante Imperato, che poi divenne il suo maestro e lo indirizzò anche allo studio dei fossili. Nel 1599, quando Imperato diede alle stampe Dell'historia naturale, Colonna contribuì con alcune tavole di serpenti disegnati dal vero. Grande influenza su di lui esercitò anche Giambattista della Porta, che più tardi l'avrebbe introdotto all'Accademia dei Lincei. Un metodo per determinare i generi Dopo il 1593, anche se la stampa di Phytobasanos aveva alquanto intaccato il suo scarso patrimonio, ora che la migliorata salute gli permetteva di viaggiare, Colonna estese le sue ricerche oltre i confini del Napoletano, approfittando dei legami familiari. Per qualche tempo soggiornò presso un fratello a Campochiaro, dove studiò la flora del Matese, poi fu a Cerignola presso uno zio, quindi passò al servizio del duca di Zagarolo Marzio Colonna, mettendo finalmente a frutto le sue competenze giuridiche nella risoluzione di complesse controversie di confini. Era anche di frequente a Roma, dove poteva ammirare gran copia di piante esotiche nei giardini dei porporati come i famosi orti farnesiani. Ma a interessarlo erano soprattutto le specie "che nascono sotto il nostro cielo". Anche se non manca qualche esotica, sono soprattutto loro le protagoniste della seconda, più ampia opera di Colonna, Minus cognitarum stirpium aliquot ac etiam rariorum nostro coelo orientium Ekphrasis, la cui prima parte uscì a Roma presso Facciotto nel 1606. Il termine Ekphrasis è preso in prestito dal lessico artistico, dove indica la descrizione verbale, il più possibile dettagliata, di un'opera d'arte. Vi ritroviamo infatti le accuratissime descrizioni che già caratterizzavano Phytobasanos, nonché le splendide tavole calcografiche basate su disegni dello stesso Colonna; ad essere nuova è invece la consapevolezza metodologica. Ormai il botanico napoletano ha elaborato un solido metodo per lo studio scientifico delle piante, a partire dalla riconoscimento dell'importanza per la classificazione dei fiori e dei semi, ed ha maturato un metodo che farà l'ammirazione di Tournefort, che riconobbe in lui lo scopritore della "constituendorum generum ratio", ovvero del metodo per la determinazione dei generi. Né minore fu la considerazione di Linneo, che lo proclamò "primo di tutti i botanici". Importanti anche i suoi contributi alla terminologia, tra l'altro con la creazione del termine "petalo". Già pronta intorno al 1603, ma ritardata dai soliti problemi finanziari, l'opera fu dedicata da Colonna al duca di Zagarolo: tuttavia, nonostante l'alto valore scientifico e le splendide illustrazioni (in questa prima edizione sono 114, 102 delle quali dedicate a piante, le altre ad animali marini e terrestri, incluso un ippopotamo) non ebbe molta fortuna. Per qualche tempo Colonna fece la spola tra Roma e Napoli, dove tornò definitivamente intorno al 1610. In questa fase, il suo interesse principale si spostò sui fossili, con la determinazione dell'origine animale delle cosiddette glossopietre: non lingue di serpente, come si credeva, ma denti di squalo pietrificati. Nel 1612, grazie alla raccomandazione di Della Porta, entrò a far parte della colonia napoletana dell'Accademia dei Lincei di cui fu l'undicesimo membro nonché uno degli esponenti più attivi, divenendo uno stretto collaboratore di Cesi, anche come consulente e procuratore; corrispose con Galilei e fu tra i primi a capire le potenzialità dei suoi nuovi strumenti ottici. Ispirato dalle esperienze dello scienziato pisano, costruì da solo un cannocchiale con il quale replicò le osservazioni galileane del Sole e della Luna. Ancora maggiore fu il suo entusiasmo per il microscopio, che Galileo chiamava occhialino ed egli propose di battezzare enghiscopio "che vol dir occhiale da vicino, a differenza dell'altro che vede di lontano". Insoddisfatto dello strumento che Galileo aveva donato a Cesi, ne costruì uno con una lente da lui stesso molata di ampio diametro, che utilizzò per osservare l'anatomia delle api. Queste osservazioni era finalizzate a un'opera celebrativa offerta dai Lincei al cardinale Matteo Barberini, appena eletto pontefice con il nome Urbano VIII: le api, accampate sul loro stemma gentilizio, erano infatti il simbolo della famiglia Barberini. Nel 1615, alla morte di Della Porta, Colonna divenne viceprincipe, ovvero capo della colonia napoletana. Ed è orgogliosamente come Linceo che figura nel frontespizio della seconda, più ampia edizione di Ekphrasis, stampata a Roma nel 1616 da Mascardo, il tipografo di fiducia dell'Accademia; si è aggiunta qualche pianta, ma soprattutto due appendici, una dedicata alle glossopietre, l'altra alla porpora, ma soprattutto ai molluschi da cui è ricavata. Fu proprio De purpura ad assicurargli una certa fama europea; Colonna vi fonde le competenze antiquarie, con citazioni di Plinio, Aristotele, Dioscoride, la conoscenza della letteratura più recente (tra i nomi citati, Guillaume Rondelet), con l'indagine zoologica diretta delle diverse specie di molluschi del Tirreno meridionale, di cui esamina una ventina di specie, elencando anche i luoghi di crescita, da lui visitati personalmente. Intorno al 1624, Colonna fu coinvolto nel più ambizioso progetto collettivo dei Lincei, Rerum Medicarum Novae Hispaniae Thesaurus, più noto come Tesoro messicano, ovvero la pubblicazione commentata dell'epitome che Nardo Antonio Recchi aveva tratto dall'opera di Hernandez sulla natura messicana (le cui complesse vicende editoriali sono riassunte in questo post). Inizialmente, Cesi aveva affidato la parte botanica a Giovanni Faber e Giovanni Terrenzio, ma dopo la partenza di quest'ultimo per la Cina, insoddisfatto delle succinte note da lui redatte, si rivolse a Colonna, che, nuovamente afflitto da problemi di salute, accettò con riluttanza, soprattutto per non scontentare il principe. Temeva infatti di non essere sufficientemente aggiornato sugli sviluppi della botanica, che proprio in quegli anni stava facendo rapidi progressi (basti pensare che nel 1623 era uscito il Pinax di Caspar Bauhin). Ma, una volta entrato nel progetto, vi lavorò con il consueto impegno e serietà, redigendo le Annotationes et Additiones, che consegnò nel luglio 1628, in tempo per essere incluse nel primo volume, di cui avrebbero costituito la terza parte (pp. 847-899); sono prevalentemente dedicate alle botanica, tranne le ultime quattro, dedicate ai mineralia. Colonna, nell'esaminare le piante messicane e nel confrontarle con analoghe specie già note, ha modo di approfondire il metodo di determinazione dei generi; aggiunge inoltre la trattazione di alcune piante esotiche, non necessariamente messicane, e talvolta neppure americane. Ad esempio, in Narcissus indicus serpentarius riconosciamo il sudafricano Haemanthus coccineus, che negli stessi anni è descritto anche da Ferrari. E' invece nordamericano il Flos cardinalis Barberini, che Colonna dedicò a Francesco Barberini, protettore delle arti e della scienza, prendendo spunto dal colore rosso dei fiori, lo stesso della veste cardinalizia. Oggi si chiama Lobelia cardinalis, conservando l'eponimo voluto da Fabio Colonna. Dopo la morte di Cesi (1630), che ritardò per un ventennio l'effettiva diffusione del Tesoro messicano, Colonna fu indicato come suo possibile successore, ma la proposta non ebbe seguito. Poco sappiamo dei suoi ultimi anni, certo funestati da difficoltà finanziarie e crescenti problemi di salute. Morì nel 1640. Vale la pena di ricordare, tra i suoi poliedrici interessi, anche la musica; gli si deve anche la creazione di uno strumento musicale, il pentecontachordon o sambuca lincea, una specie di cembalo con 50 corde. Magnificenze tropicali Come esploratore della flora dell'Italia centro-meridionale, si deve a Colonna la scoperta di almeno una ventina di specie. Diverse portano l'epiteto columnae (dalla forma latina del suo nome, Fabius Columna); tra di esse Doronicum columnae, Aubrieta columnae, Romulea columnae. Ci porta invece nell'America tropicale il genere Columnea, che gli fu dedicato da Plumier con un vero e proprio peana: "Fabio Colonna, nobile romano, nato in quella antica ed illustrissima famiglia, che occupa il primo rango tra le più nobili famiglie italiane, da lodare sopra tutti per la squisita conoscenza della storia naturale. In effetti, in questo campo nulla è paragonabile alle opere di un uomo così grande, che si guardino le immagini disegnate di sua mano o le descrizioni e le dissertazioni critiche". Già sappiamo quanto lo ammirasse anche Linneo, che fece proprio il genere. Con oltre 200 specie riconosciute, Columnea L. è il più vasto dei generi delle Gesneriaceae neotropicali. Ovviamente, è anche uno dei più vari. Diffuso dal Messico alla Bolivia e verso Est fino allo stato di Amapá in Brasile, trova il suo habitat ideale nelle foreste pluviali, dove può disporre di umidità tutto l'anno; è a sua agio soprattutto in quelle fresche ad altitudine media. Anche se il genere comprende anche arbusti ed erbacee, è fondamentalmente rappresentato da epifite che vivono sui tronchi e tra i rami degli alberi della foresta pluviale, a volte anche a considerevole altezza. Possono essere erette, ricadenti o rampicanti, e hanno per lo più foglie in coppie opposte, carnose, lucide, da ovate a lineari. Le specie più frequentemente coltivate e più utilizzate per la creazione di ibridi, come C. hirta, C. linearis o C. magnifica, appartengono alla sezione Columnea, caratterizzata da fiori tubolari fortemente bilabiati, con i due lobi superiori fusi a formare una specie di cappuccio, o galea; in genere la corolla è rossa, ma talvolta aranciata o rosa. Per la loro forma, che ricorderebbe un pesce rosso, in inglese vengono chiamata flying fish plants. La sezione Ortholoma è invece caratterizzata o da corolle piccole così fittamente ricoperte di peli da nascondere la corolla stessa (è il caso di C. purpurata) o da appendici poste alla base dal calice, che sembra emergere da una soffice palla di peli (è il caso di C. minor). I fiori delle sezioni Collandra, a sua volta assai varia, sono in genere molto meno colorati; in alcune specie a dare spettacolo e a fungere da richiamo sono le foglie: quelle di C. consanguinea sono segnate da una vistosa macchia rossa traslucida a forma di cuore. La sezione Pentadenia raggruppa specie per lo più terrestri, erbacee o arbustive, alte ed erette, con fiori tubolari o imbutiformi. Anche le specie della sezione Stygnanthe sono per lo più terresti, con corolle tubolari prive di lobi. Infine, la sezione Angustiflorae riunisce specie erbacee epifite, con rami sottili e corolla tubolare stretta ed allungata, non bilabiata. Alle già numerose specie si sono aggiunte dozzine di ibridi, in genere considerati più adattabili e quindi più facili da coltivare rispetto alle specie; inoltre spesso sono in grado di fiorire tutto l'anno. Tra i più notevoli, 'Bonfire', con corolla fortemente bilabiata, tubo giallo-aranciato e apici dei lobi rossi; 'Orange Fire', con calice verde piumoso, lungo tubo giallo e piccoli lobi arancio; 'Early Bird' (una delle varietà più popolari), con corolla bilabiata, tubo giallo vivo e galea arancio; 'Broget Stavanger' ha invece lunghi rami ricadenti e foglie variegate. Per una selezione di specie si rimanda alla scheda.
1 Comment
ALESSANDRO ALESSANDRINI
13/12/2022 10:37:06 am
Trattazione magistrale. Grazie!
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
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