La prima immagine a stampa (1599) di una Wunderkammer, una camera delle meraviglie, immortala il Museo di Ferrante Imperato, farmacista napoletano, collezionista, studioso di scienze naturali con particolari interessi per la geologia, creatore di un immenso, misterioso e sfortunato erbario. A fine Settecento, l'ancor più sventurato botanico napoletano Domenico Cirillo gli dedicherà il genere Imperata. Un grande museo napoletano Nel Cinquecento, con la rinascita degli studi naturalistici, inizia anche il collezionismo dei naturalia, oggetti più o meno rari e curiosi tratti dai tre mondi della natura (minerali, animali, piante). Le prime collezioni private, note come "Teatri della natura", furono create da scienziati, medici e farmacisti. Nate a scopo di studio, furono comunque segnate dal gusto del meraviglioso, dell'esotico e dello stravagante. Quale aspetto potessero avere lo vediamo dall'illustrazione che apre l'Historia naturale di Ferrante Imperato, creatore di un celebrato museo presso la sua abitazione napoletana (che si trovava in piazza santa Chiara, nei pressi di palazzo Gravina, e non nello stesso palazzo, come si dice in molti siti). L'immagine ci mostra tre pareti della sua "camera delle meraviglie"; su quella di sinistra, e in parte su quella di fondo, illuminata da una grande finestra, una elegante scaffalatura in legno custodisce scatole, sacchetti e boccette; sulla parete di fronte, una libreria con imponenti volumi in folio; nella parte alta delle scaffalature, uccelli impagliati; la parete di fondo e il soffitto sono letteralmente tappezzati di animali, soprattutto marini, tra tutti spicca un coccodrillo. In primo piano, sulla destra un giovane (probabilmente Francesco, figlio di Ferrante Imperato) mostra la collezione a due visitatori, elegantemente vestiti alla spagnola. Sul fondo, un po' in disparte, un quarto personaggio, che potrebbe essere un terzo visitatore o lo stesso Ferrante Imperato (è vestito con la stessa pomposa eleganza dei "turisti", ma non porta la spada, privilegio dei nobili). Insieme a quelli allestiti da Ulisse Aldrovandi a Bologna e da Francesco Calzolari a Verona, il museo napoletano di Imperato era noto in tutta Europa ed era meta di numerosi visitatori. Secondo le testimonianze dell'epoca, comprendeva dodicimila reperti tratti dai tre regni della natura (minerali, fossili, pietre preziose e gemme, terre, coloranti, conchiglie, animali imbalsamati, pesci e animali marini essiccati, oli, inchiostri, profumi, balsami e resine, erbe secche e semi) e alcuni artificialia, oggetti curiosi creati dall'uomo, che Imperato parte aveva raccolto personalmente nei suoi viaggi nel sud d'Italia, parte aveva acquistato alla fiera di Francoforte - che a quanto pare frequentò assiduamente -, parte aveva ottenuto come dono o in scambio da altri membri della grande rete che raccoglieva i naturalisti europei. Fondato probabilmente intorno al 1566 - come si deduce dal contratto con gli stipettai che realizzarono i mobili - nacque dapprima dalla stessa professione di farmacista. Lo speziale-farmacista, un professionista che non aveva formazione universitaria ma un vasto sapere pratico, acquisito dopo un lungo apprendistato regolato dagli statuti della propria corporazione, preparava le medicine prescritte dai medici, partendo dai semplici: non solo erbe, spezie e altri prodotti di origine vegetale come resine e balsami, ma anche minerali e persino alcuni animali (la carne di serpente era un ingrediente indispensabile della celebre teriaca). La sua bottega includeva perciò un vero e proprio laboratorio, con mortai, alambicchi e altre attrezzature per pestare, impastare, distillare i preparati "galenici". Non si vendevano solo droghe medicamentose, erbe medicinali e preparati farmaceutici, ma anche quei prodotti che in futuro spetteranno al droghiere: spezie alimentari; candele, cera, miele, zuccheri e conserve; carta, inchiostro e colori per la pittura; insetticidi e veleni per i topi; profumi, acque distillate e belletti... Non stupisce dunque che due farmacisti di successo come Imperato e Calzolari abbiano trasformato le loro botteghe in veri e propri musei. Le due istituzioni erano piuttosto simili: entrambe si trovavano al primo piano, sopra il negozio, comprendevano una galleria di ritratti di scienziati illustri e la vera e propria camera delle meraviglie; quello di Imperato comprendeva anche un terrazzo con un piccolo giardino botanico pensile. Sia Calzolari sia Imperato erano inseriti nel circuito dei naturalisti europei e italiani, da cui ricevettero molti materiali per le loro collezioni, e godevano di un notevole prestigio personale. Ma mentre il veronese si accontentò di essere un farmacista, Imperato nutriva maggiori ambizioni; la sua bottega era un vero e proprio laboratorio, in cui lui stesso e altri studiosi potevano condurre ricerche e esperimenti. Celebre la sua collaborazione con Bartolomeo Maranta, il cui frutto fu Della theriaca et del mithridato libri due, firmato dal solo Maranta ma nato dal sodalizio scientifico tra i due. Come naturalista, l'interesse principale di Imperato andava ai minerali e alla geologia: osservatore attento del territorio campano, studiò gli affioramenti geologici, descrisse con esattezza le serie stratigrafiche osservate nelle cave di pozzolana, comprese e spiegò correttamente la natura dei fossili, il ruolo delle acque nel modellamento nel terreno, l'origine della salinità marina. Espose le sue ricerche in un vasto trattato, Dell'Historia naturale, pubblicato nel 1599 a cura del figlio Francesco, in cui studiò terre, acque, aria, minerali, metalli, erbe e animali soprattutto dal punto di vista della loro utilità per l'uomo. Alle citazioni degli autori del passato vi affianca i risultati delle sue osservazioni, spesso in dissenso con le idee ricevute e ricche di intuizioni corrette. Un erbario leggendario e sfortunato A fare la parte del leone nel trattato sono le terre, i minerali, i metalli. A animali e piante, forse per non entrare in competizione con ammirati studiosi come Mattioli, Imperato dedicò solo gli ultimi due libri; vi compiono una manciata di piante per lo più officinali, nuove, di identificazione discussa o poco note. Ad esempio, vi troviamo una delle prime segnalazioni della melanzana rossa (Solanum aethiopicum). Eppure la botanica rientrava tra gli interessi principali del poliedrico studioso e il suo erbario costituiva uno dei punti di forza del Museo. Ci sono giunte informazioni contrastanti sulla sua consistenza: le piante, sistemate su fogli di carta di formato in folio con un particolare trattamento che conservava i colori naturali, erano raccolti in grandi volumi, dieci secondo alcune testimonianze, 80 secondo altre. Dopo la morte di Imperato (avvenuta dopo il 1615), il figlio Francesco ne custodì l'eredità, incrementando addirittura le raccolte. Le generazioni successive tralasciarono invece il museo: le collezioni furono abbandonate e disperse, probabilmente anche in seguito all'epidemia di peste che devastò Napoli nel 1656. Nel Settecento i 9 volumi superstiti del grande erbario pervennero a Sante Cirillo, medico, botanico, membro della Royal Society, che li trasmise al nipote, il grande botanico Domenico Cirillo. Costui partecipò attivamente alle vicende della Repubblica partenopea; dopo il crollo della repubblica e il rientro dei Borbone, fu arrestato, processato e condannato a morte. Il giorno stesso della sua esecuzione, il governo borbonico permise a una folla di fanatici sanfedisti di saccheggiarne la casa, distruggendo molti scritti e materiali scientifici di inestimabile valore, incluso l'erbario di Imperato. Fortunosamente, si salvò un solo volume, che pervenne a uno storico locale, Camillo Minieri Riccio, e nella prima metà dell'Ottocento fu venduto alla Biblioteca nazionale di Napoli, dove è oggi custodito. Il volume superstite, di 536 pagine, comprende 442 esemplari. Supponendo vera l'informazione secondo la quale l'erbario originariamente fosse composto da 80 volumi, e ipotizzando che ciascun volume fosse di dimensioni analoghe, si arriverebbe alla favolosa cifra di 35.000 esemplari secchi. Per capirne l'enormità basti pensare che il coevo erbario di Cesalpino (del 1563) contiene 768 esemplari e quello di Caspar Bauhin (il più grande dell'epoca) ne raccoglieva circa 4000. Anche se la cifra fosse fantasiosa, e fosse da accettare l'ipotesi più prudente di 10 volumi, l'erbario rimarrebbe comunque il più imponente del suo tempo. Testimonianze dell'epoca ci dicono che era ricco di piante esotiche, ottenute da altri studiosi o acquistate a grande prezzo; Imperato avrebbe addirittura finanziato un viaggio in India per procurarsene alcune. Per maggiori informazioni sulla vita di Imperato, si rimanda alla biografia. Imperata, una bella invasiva Parti dell'erbario di Cirillo sfuggirono alla devastazione sanfedista e passarono al botanico Vincenzo Petagna (1730–1810). Mescolati ad essi, si trovano circa 170 esemplari di provenienza sconosciuta, che in base a recenti analisi potrebbero aver fatto parte dell'erbario di Imperato. Alcuni di essi sono storicamente importanti, perché costituiscono i tipi su cui si basò Cirillo per stabilire denominazioni binomiali, alcune delle quali ancora accettate. Fu proprio su uno di questi esemplari (da lui denominato Imperata arundinacea, oggi I. cylindrica) che Cirillo stabilì il genere Imperata, dedicato all'illustre predecessore, pubblicato nel secondo volume di Plantarum rariorum regni neapolitani (1788-1792). Imperata è un piccolo, ma diffuso genere di erbe tropicali e subtropicali (famiglia Poaceae). Sono erbe perenni rizomatose, con steli solidi, eretti e infiorescenze setose, cui si deve il nome comune inglese satintail "coda di raso". Oggi le si attribuiscono undici specie, diffuse nelle Americhe, in Asia,in Africa, in Micronesia e in Papuasia, dopo il distacco di altre specie, assegnate a generi affini (Miscanthus, Saccharum, Lagurus, Cinna). La specie più nota, I. cylindrica, è ubiquitaria: originaria dell'Asia, del Sud Africa e delle isole del Pacifico, è stato introdotta nell'Europa meridionale e in America, dove spesso si è naturalizzata, diventando a volte invasiva. Nei paesi originari è invece una specie di estrema utilità: è estesamente utilizzata per consolidare aree litoranee sabbiose e altri terreni franosi; gli steli secchi sono utilizzati per ricoprire i tetti, intrecciare tappeti e borse, fare la carta. Alcune cultivar sono coltivate per il valore ornamentale; la più diffusa nei giardini è la giapponese I. cylindrica 'Red Baron', con foglie rosse. Qualche informazione in più nella scheda. Imperato è anche ricordato da una specie di zafferano, Crocus imperati, endemismo presente esclusivamente nell'Italia centrale e meridionale.
0 Comments
Leave a Reply. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
Dal 1 dicembre, si può sfogliare il Calendario dell'Avvento 2024 "Spezie di Natale"
https://app.myadvent.net/calendar?id=zb2znvc47zonxfrxy05oao48mf7pymqv CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
November 2024
Categorie
All
|