Bartolomeo Maranta, terzo esponente del Rinascimento botanico napoletano, ebbe una vita travagliata e segnata, suo malgrado, dalle polemiche, tanto da essere preso di mira dall'Inquisizione. Più fortunata la sua vita postuma. Ammirati dalla sua opera, notevole e originale nel pur ricco panorama della botanica italiana del tardo Cinquecento, Plumier prima e Linneo poi gli dedicarono un genere destinato a diventare una delle più popolari piante d'appartamento: Maranta, genere tipo della famiglia Marantaceae. Un metodo per riconoscere i semplici Maestro di Gian Vincenzo Pinelli, amico e collaboratore di Ferrante Imperato, il botanico Bartolomeo Maranta del vivace circolo botanico napoletano del tardo Rinascimento fu in un certo senso il teorico. Nato a Venosa, si formò come medico all'università di Napoli, raggiungendo un'altissima reputazione professionale (si dice che fosse in grado di diagnosticare una malattia solo dall'aspetto del paziente, prima ancora di sentirgli il polso) tanto che sarebbe stato nominato medico di corte di Carlo V (forse tra il 1535 e il 1539). Per approfondire le conoscenze botaniche, presumibilmente tra il 1550 e il 1554 si spostò a Pisa per studiare con Luca Ghini. Dal veneratissimo maestro, Maranta apprese le basi della scienza botanica e un approccio innovativo, basato, più che sulla lettura filologica di Teofrasto, Plinio e Dioscoride, sull'osservazione diretta delle piante e delle loro proprietà mediche. Il soggiorno pisano gli fruttò la stima del maestro, che lo considerò il più brillante dei suoi allievi, tanto da lasciargli in eredità le sue carte e il suo erbario. Frutto del soggiorno pisano furono anche l'amicizia con Gabriele Falloppio (altro professore dello studio di Pisa) e con Ulisse Aldrovandi, suo compagno di studi, con il quale intrattenne un'importante corrispondenza epistolare per tutta la vita. Tornato a Napoli nel 1554, divenne il maestro di Gian Vincenzo Pinelli, che gli mise a disposizione l'orto botanico della Montagnola; fu qui, sul campo, che Maranta poté mettere alla prova quanto appreso da Ghini. Il risultato fu Methodi cognoscendorum simplicium libri tres, "Tre libri del metodo per riconoscere i semplici". Il suo non è né l'ennesimo commento a Dioscoride - gli immensi Discorsi di Mattioli avevano ormai esaurito questo filone di ricerca - né un erbario o un prontuario con i semplici ben disposti in ordine alfabetico. Lo potremmo piuttosto considerare il primo trattato di botanica generale. Destinato ai medici, cerca di definire un metodo per riconoscere i semplici citati dagli autori classici (primo fra tutti Dioscoride) o comunque usati nella pratica medica. Grazie a una profonda conoscenza del mondo vegetale, Maranta prende in esame tre criteri, a ciascuno dei quali è dedicato uno dei tre libri. Il primo analizza i nomi e i modi in cui possono aiutare (o talvolta ostacolare) l'identificazione delle piante: troviamo così denominazioni tratte da personaggi reali o mitologici, dal luogo di provenienza, dalle caratteristiche morfologiche o dalle proprietà officinali; i nomi tramandati dai classici o di nuova coniazione; si analizzano gli equivoci che nascono dallo stesso nome attribuito a piante diverse o al contrario dai molti nomi con cui è designata la stessa specie. Il secondo libro è dedicato alla descrizione delle piante, sempre intesa come chiave di riconoscimento; Maranta è ben consapevole che le descrizioni degli autori classici sono spesso parziali e inutilizzabili. Ma soprattutto è attento - sono per noi le pagine più affascinanti - alle infinite variazioni di una stessa specie: la stessa pianta si mostra sotto un aspetto diverso nel corso dell'anno e nelle diverse fasi dello sviluppo; una pianta giovane e vigorosa è diversa da una pianta senescente e in declino, una coltivata è diversa da una spontanea; l'aspetto è influenzato dal terreno, dall'esposizione, dalle contingenze stagionali. Più specificamente medico il terzo libro, dedicato alle proprietà officinali delle piante, anche in questo caso nella consapevolezza che le nozioni tratte dagli antichi vanno verificate alla luce dell'esperienza. Secondo le sue stesse dichiarazioni, Maranta avrebbe scritto i Methodi libri tres su sollecitazione di Ghini (con il quale mantenne un'assidua corrispondenza dopo essere tornato a Napoli); prima di pubblicarlo, avrebbe voluto sottoporlo al giudizio del maestro ma questi nel 1556 morì improvvisamente. Maranta ripiegò su un altro amico, Gabriele Falloppio, che nel frattempo si era trasferito a Padova, dove aveva la cattedra di medicina, anatomia e botanica. Solo dopo l'approvazione di quest'ultimo, pubblicò la sua opera, che uscì nel 1559 a Venezia, preceduta dalla dedica a Pinelli e dal carteggio con Falloppio. Nonostante Maranta nel suo testo si pronunci sempre con grande prudenza, evitando toni polemici, nella piena consapevolezza dell'enorme difficoltà della materia, che ha tratto in errore anche gli studiosi più grandi, l'iracondo Mattioli insorse. Già ingelosito dal fatto che le carte di Ghini fossero andate a Maranta anziché a lui, attaccò con violenza il medico venosino, reo di aver identificato in modo diverso da lui un tipo di felce, la lonchite. Ma il calmo e avveduto Maranta non era il tipo da farsi trascinare in polemiche sterili; così non esitò a scrivere un'Epistula excusatoria (insomma, una lettera di scuse); pace fu fatta e i due divennero amici. Un'avventura peggiore toccò a Maranta nel 1562, quando fu arrestato e trattenuto nelle carceri dell'Inquisizione sospettato di simpatie luterane. Liberato dopo qualche mese, da quel momento si dedicò soprattutto alla critica letteraria. Tuttavia nel 1568, come scrive in una lettera all'amico Aldrovandi, lo ritroviamo a Roma dove era impegnato a impiantare un orto botanico (forse per il Cardinale Branda Castiglioni). L'anno dopo però tornò a Napoli, dove su richiesta del protofisico, sulla base delle ricerche condotte con l'amico Ferrante Imperato, scrisse Della Theriaca e del Mitridato, che gli creò la fama di specialista di antiveleni. Pubblicato postumo nel 1571, anche questo libro era destinato a suscitare roventi polemiche con i medici di Padova. Ma Maranta era già morto da qualche mese. Oltre che illustre botanico, fu anche un fine letterato e un esperto d'arte. Qualche notizia in più nella biografia. Maranta: tuberi alimentari e foglie spettacolari I Methodi libri tres di Maranta non erano certo fatti per diventare un bestseller. Privi di immagini, con quasi 400 pagine fitte di informazioni e osservazioni in un latino brillante ma complesso, arrivarono comunque a una seconda edizione (uscita l'anno stesso della morte dell'autore, con il titolo Novum herbarium sive methodus cognoscendorum omnium simplicium). Grazie a questo testo sapiente e singolare, il nome di Maranta rimase noto ai botanici delle generazioni successive. Nel Settecento, lo svizzero Albrecht von Haller ebbe persino a proclamarlo "l'oracolo dei botanici". Plumier nel 1704 gli dedicò uno dei suoi nuovi generi americani, dedica confermata da Linneo in Genera Plantarum (1753). Il genere Maranta, che ha anche dato il nome alla famiglia delle Marantaceae, è nativo dell'America tropicale (centro e sud America, Antille). Comprende 40-50 specie di erbacee perenni rizomatose con grandi foglie sempreverdi intere e piccoli fiori tubolari con tre petali. Due sono le specie più note, per motivi molto diversi. La prima è M. arundinacea, nota con il nome di arrowroot, dai cui tuberi si ricava una fecola alimentare, conosciuta con lo stesso nome; nativa del Messico, dell'America centrale e meridionale, delle Antille, dove è coltivata fin dalla preistoria, è stata introdotta e si è naturalizzata in moltissimi paesi tropicali, dall'Africa all'Asia orientale. Utilizzata in questi paesi nell'alimentazione ordinaria, per la sua eccellente digeribilità da noi è soprattutto impiegata per preparare alimenti leggeri per bambini o ammalati. La seconda è M. leuconeura, una delle più popolari piante da appartamento. Non è coltivata per i fiori, bianchi o violacei e insignificanti, ma per la bellezza delle grandi foglie, caratterizzate da nervature vivacemente colorate che spiccano, talvolta simili a piume, sullo sfondo di colore contrastante o isolano grandi macchie di colore. Curioso è il portamento di queste foglie: nelle ore diurne sono abbassate e distese, in quelle notturne si raddrizzano e si ammassano l'un l'altra. Poiché in quest posizione evocherebbero mani giunte in preghiera, nei paesi anglosassoni sono note come Prayer Plant. Il movimento delle foglie , ovviamente accelerato, è ben apprezzabile in questo video. Sul mercato sono disponibili molte cultivar che si distinguono per i colori e le diverse forme delle variegature. Qualche informazione in più nella scheda.
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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