C'è stata una botanica svedese prima di Linneo; e tra quei precursori, destinato a una fama postuma inaspettata, Olaus Bromelius, che ha donato il suo nome a un genere centro e sud americano di cui non ha mai visto neppure una spina, ma soprattutto all'intera, vasta, famiglia delle Bromeliaceae. Dedicato a Clori Tra le poche opere di autori svedesi che accesero la passione per la botanica del giovane Linneo, accanto al monumentale Campi Elysii dei due Rudbeck, si colloca Chloris gothica, seu catalogum stirpium circa Gothoburgum, che vanta il primato di essere la prima descrizione scientifica della flora di una provincia svedese. L'autore è il medico Olaf Bromel (più comunemente noto nella grafia latinizzata Olaus Bromelius), vissuto nella seconda metà del Seicento. Di pochi anni più giovane del primo Rudbeck, anche Bromelius studia medicina a Uppsala quindi in Olanda, dove, come altri medici-botanici svedesi tra Seicento e Settecento - Linneo compreso - consegue la laurea. Membro del collegio medico, insegnante di materia medica, sovrintendente delle farmacie di Stoccolma, nel 1676 è un professionista autorevole, tanto che è chiamato a far parte di una commissione di laici e religiosi incaricata dal re di esaminare alcuni casi di stregoneria. Anche se i lavori della commissione si conclusero con alcune condanne al rogo, si ritiene che proprio i suoi lavori e le sue indagini abbiano messo fine in Svezia alla stagione della caccia alle streghe. Gli scritti botanici di Bromelius risalgono però a un periodo successivo, quando viene nominato medico cittadino di Gotheborg e capo medico delle province di Elsborg e Bohuslan nella Svezia sud-occidentale. La sua prima opera sulle piante (1687) è un breve manuale destinato agli agricoltori, dal curioso titolo Lupulogia (contiene infatti anche parti dedicate alla coltivazione del luppolo). Dall'attenta esplorazione del distretto di Gothland nasce la sua opera più importante, appunto Chloris gotica (1694), che è un catalogo della flora della città e dei suoi dintorni. Un'opera di buon livello, tanto da essere conosciuta e apprezzata anche al di fuori della Svezia. Il titolo contiene una piccola civetteria: non Flora, la dea mediterranea delle fioriture, è chiamata a presiedere ai vegetali delle terre dei Goti, ma la sua compagna, la ninfa Clori, la verde. E' anche la prima opera in cui, accanto ai nomi latini, vengono usati i nomi svedesi delle piante. Come altri scienziati del tempo, Bromelius fu anche un collezionista che, nella sua personale Wunderkammer, raccolse monete, animali impagliati, piante e semi, minerali e fossili. Dopo di lui, la raccolta fu incrementata dal figlio Magnus (1679-1731, nobilitato con il nome di von Bromel), importante scienziato e padre della paleontologia svedese. Qualche notizia in più, tra le non molte che ci sono giunte su Olaus Bromelius, nella biografia. Bromeliae e Bromeliaceae L'opera di Bromelius era ben nota a Plumier che in Nova plantarum americanarum genera, lo celebra come "famosissimo dottore dell'arte medica, botanico peritissimo" e soprattutto come colui che "studiando e raccogliendo i fiori nei boschi e nei prati gotici, a prezzo di grandi fatiche, con la sua Chloris gothica ha coronato Flora stessa". Questi sperticati elogi accompagnano e giustificano la dedica di una delle piante da lui scoperte nelle Antille, con la creazione del nuovo genere Bromelia, che nel 1753 sarà confermato da Linneo. Una dedica importante, grazie alla quale lo studioso della flora della terra dei Goti diventa il padre eponimo di un'intera, importante famiglia di piante del nuovo mondo, di cui non vide né conobbe neppure un esemplare: le Bromeliaceae (Bromeliad in inglese, ma semplicemente bromelia in molte lingue, tanto per complicare la vita a chi fa ricerche in rete). E' la famiglia dell'ananas, della Tillandsia e di molte altre amatissime piante d'appartamento, dalla Guzmania alla Billbergia. Quanto al genere tipo, Bromelia, comprende una sessantina di specie, caratteristiche soprattutto delle aree aride, in un aerale che va dal Messico all'Argentina, passando per il Brasile, dove nella vasta savana del Cerrado trova la sua massima biodiversità con circa metà delle specie. Sebbene anche in Italia si stia diffondendo l'abitudine di chiamare sbrigativamente bromelia qualsiasi Bromeliacea, è improbabile che nelle vostre case ci sia una specie del genere Bromelia. Infatti non sono molto usate come piante ornamentali per le dimensioni in genere ragguardevoli e l'estrema spinosità delle foglie. Nel loro habitat naturale sono erbacee terrestri imponenti, con foglie spinose e infiorescenze con lunghe brattee colorate; alcune di esse (come la gigantesca B. sylvicola, una specie endemica del Mato Grosso che può raggiungere anche i tre metri) vengono utilizzate per racchiudere tra siepi vive impenetrabili i recinti di bestiame. Dalle foglie di diverse specie vengono ricavate fibre tessili, note con il nome di chaguar; anche i frutti eduli trovano impiego sia nella farmacopea tradizionale sia nella preparazione di bevande. Qualche approfondimento nella scheda.
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Medico papale, ma anche poeta, Castore Durante inventa una formula vincente per il suo Herbario, che per circa duecento anni sarà un'opera di riferimento per medici e farmacisti. Guadagnandosi anche la dedica del genere Duranta da parte di Linneo, con la mediazione del solito Plumier. Versi mnemonici e xilografie pirata Tra gli amici e corrispondenti di Cortuso, con il quale scambiava poesie piene di elogi reciproci, troviamo anche la poliedrica figura di Castore Durante, archiatra papale e poeta bilingue. Autore di traduzioni in ottave dell'Eneide e di poemi sacri in italiano e latino, si fece una fama di medico e erborista, ovvero semplicista nel linguaggio del tempo, che lo portò a Roma come archiatra e titolare di una cattedra di "semplici" all'Archiginnasio. Frutto di vent'anni di pratica medica e di ricerche (più libresche che sul campo) è il suo Herbario nuovo (1585) che nel panorama dell'editoria botanica del tardi Rinascimento si distingue non per la dottrina o le novità scientifiche - si tratta essenzialmente di un'opera compilativa - ma per la singolare veste editoriale che gli assicurò un successo duraturo. In primo luogo è un'opera agile, volutamente divulgativa che per lo più condensa in una singola colonna la trattazione di ciascuna delle quasi novecento sostanze presentate, in uno stile chiaro e gradevole. Ma soprattutto ad attirare i curiosi, oggi come allora, sono i versi latini che aprono ciascuna voce, sintetizzando in poche righe, pensate per essere apprese a memoria, le virtù di ciascun semplice. Seguono, poi in lingua italiana - altra singolarità del libro è dunque di essere bilingue - i nomi (in greco, latino, italiano e talvolta altre lingue, compreso l'arabo), una succinta descrizione ("forma"), indicazioni sull'habitat ("loco"), le virtù, distinte in "di dentro" e "di fuori" (noi oggi diremmo per uso interno e esterno). Durante fu attento alle novità che arrivavano dal Mediterraneo orientale e dalle Indie; ad esempio, fu tra i primi a dedicare una voce al tabacco, da lui chiamato erba di Santa Croce, dal nome del cardinale Prospero di Santa Croce, nunzio apostolico in Portogallo, che nel 1561 ne riportò a Roma alcuni semi, probabilmente di Nicotiana rustica. Come i suoi contemporanei, anche Durante non manca di elogiare la pianta come panacea di tutti i mali e la celebra in versi latini, che vennero poi anche ripresi e ripubblicati in una miscellanea edita ad Amsterdam. Un elemento di successo del libro furono sicuramente le xilografie che accompagnano ciascuna voce, stilizzate e essenziali - spesso si tratta di plagi semplificati di tavole del Kreüterbuch di Fuchs e dei Ragionamenti di Mattioli - ma proprio per questo di sicuro effetto decorativo. Furono realizzate dall'incisore Leonardo Parasole, originario di Norcia, ma attivo a Roma, dove dirigeva una bottega di incisori-tipografi nella quale lavoravano i suoi fratelli, ma anche due notevoli artiste, sua moglie Girolama e sua cognata Isabella (o Elisabetta). E' purtroppo infondata la notizia, ampiamente ripresa dalla rete, che Leonardo Durante abbia realizzato le xilografie su disegni della moglie Isabella (che, come si è visto, in realtà era sua cognata) o che quest'ultima abbia realizzato le xilografie della terza edizione. Dico purtroppo, perché se l'informazione fosse stata vera si sarebbe trattato di una delle prime illustratrici botaniche. Ma torniamo all'Herbario nuovo; dopo la prima edizione, uscita a Roma nel 1585, fu più volte ristampato da editori veneziani; dopo oltre ottant'anni dal sua uscita, ne venne approntata una seconda edizione - sempre a Venezia - curata da uno speziale veneziano, che integrava molte piante esotiche giunte in Europa nel frattempo (come ribes, tè, cacao); una terza edizione ci porta addirittura al 1718, segno del duraturo successo dell'opera, che nel Cinquecento era stata tradotta anche in tedesco e in spagnolo. Quanto a Durante, il medico-poeta nel 1586 bissò il successo con il Tesoro della sanità, un manuale di consigli igienici e ricette di medicina popolare che in parte tocca anche la botanica, dato che la seconda parte è dedicata agli alimenti giovevoli o nocivi. E' un altro testo divulgativo semplice e chiaro, che ebbe undici edizioni nel Cinquecento e ventiquattro nel Seicento, affermandosi come prontuario di facile lettura. Durante, nato nel 1529, era già in età avanzata al momento di questi successi editoriali, immediatamente dopo i quali si ritirò a Viterbo, dove morì nel 1590. Altre notizie nella biografia. Duranta, grappoli azzurri per i climi miti La grande diffusione dell'Herbario di Durante giustifica l'omaggio che volle tributargli Plumier nel suo Nova plantarum americanarum genera, dedicandogli la Castorea (nome quindi ricavato non dal cognome, ma dal nome di battesimo del medico umbro). A sua volta Linneo, nel 1754, riprese la dedica, ma fissò il nome del genere in Duranta, sulla base del cognome, secondo la regola da lui stesso stabilita. Duranta è un genere di circa 20 specie di arbusti e piccoli alberi della famiglia Verbenaceae, originari dell'America subtropicale e tropicale, dalla Florida all'Argentina. Alcune specie sono state introdotte nei giardini come piante ornamentali, per le fioriture, bianche o viola, e le bacche, arancio brillante o giallo dorato. Per questa via, soprattutto D. erecta, la specie più nota e coltivata, si è naturalizzata nella fascia tropicale, tanto da essere considerata invasiva in Australia, Cina, Sud Africa e in alcune isole del Pacifico. Questa specie (nota anche con il sinonimo D. repens) è un piccolo arbusto dal portamento variabile - talvolta eretto, talvolta strisciante, talvolta arboreo - originario del Centro America, con piccole foglie ovali persistenti; dall'inizio dell'estate all'autunno, all'apice dei fusti porta lunghe pannocchie di fiori viola chiaro o blu con margine bianco; molto decorative anche le bacche dorate, che persistono per settimane (sono però tossiche, come anche le foglie). Qualche notizia in più, soprattutto sulle cultivar selezionate negli Stati Uniti e in Australia, nella scheda. Almeno nei confronti di un collega il supponente e iracondo Mattioli si espresse solo con elogi, tanto da dare il suo nome a una pianta che proprio questi aveva scoperta. Inaugurò così un costume destinato a grande fortuna. Quel botanico è Cortuso, medico e erborista così abile da aver trovare una cura a base d'erbe capace di sconfiggere la peste. E la pianta è la bellissima e rarissima Cortusa. Un grande "semplicista" alla testa dell'Orto padovano Il primo botanico ad essere celebrato in età moderna con il nome a una pianta ci riporta all'Orto botanico di Padova e al bilioso Mattioli. Si tratta di Giacomo Antonio Cortuso, terzo curatore di quella istituzione. Rampollo di una nobile famiglia cittadina, si dedicò alla professione medica; i racconti del tempo ce lo descrivono come uomo energico, grande conoscitore delle piante medicinali e medico eccellente. Quando nel 1575 scoppiò una delle ricorrenti epidemie di peste (in due anni causò 50.000 morti a Venezia e 12.000 a Padova), mentre i suoi colleghi pensavano solo alla propria pelle, riuscì a salvare il bestiame del Vicentino e del Padovano facendolo trasportare lontano dai luoghi infetti; contrasse la malattia e non solo riuscì a guarire se stesso, ma anche una figlia e una nipote, spostandole in campagna e curandole con infusi di varie erbe. Le sue preziose conoscenze botaniche e farmaceutiche le aveva acquisite sul campo, probabilmente come autodidatta, sperimentando diversi semplici e perlustrando il territorio della Repubblica veneta alla ricerca di vecchie e nuove piante. In una di queste spedizioni, in Valstagna, scoprì appunto la pianta destinata a rimanere per sempre legata al suo nome; ne sperimentò le virtù medicinali e la diffuse tra i botanici con cui era in corrispondenza, tra cui Mattioli, che volle onorarlo dando il nome di cortusa alla nuova specie. Botanico appassionato ("semplicista famoso dei tempi nostri", lo definisce Mattioli) non era un teorico - scrisse in effetti pochissimo - ma un ricercatore che coltivava personalmente le piante officinali nel suo orto privato e ne sperimentava le proprietà medicinali su stesso e suoi propri pazienti. Le numerose botteghe di speziali di Venezia, ancora il maggior crocevia delle rotte verso il Mediterraneo orientale, garantivano inoltre l'accesso a numerose semplici esotici, di cui proprio l'orto padovano fu spesso il centro di diffusione in Europa. Per molti anni Cortuso fu in corrispondenza con i più bei nomi della botanica europea, ai quali comunicava le proprie scoperte e con i quali scambiava semi e esemplari; tra gli altri, oltre ovviamente a Mattioli, Aldrovandi, Clusius, Pena, Gessner, i fratelli Bauhin, Lobelius, Dodoens. I carteggi tra questi scienziati forniscono molte informazioni preziose sulla botanica del tardo Rinascimento e sull'introduzione di nuove specie; ad esempio, grazie a una lettera di Cortuso a Clusius scopriamo che egli fu il primo a piantare un cedro del Libano in Europa, oppure, grazie a una citazione di Mattioli, a cui ne donò un ramo fiorito, sappiamo che i primi lillà europei, provenienti dall'Impero ottomano, fiorirono a Padova nel 1565. Già anziano, nel 1590, alla morte di Guilandino, Cortuso fu nominato curatore dell'Orto botanico di Padova. Nonostante l'età avanzata, resse l'incarico con competenza e energia: fece circondare il giardino con un muro circolare per proteggerlo dalle alluvioni; migliorò il sistema di irrigazione introdotto dal suo predecessore; soprattutto arricchì le collezioni, avvalendosi della sua estesa rete di corrispondenti. Secondo il Dizionario biografico degli italiani avrebbe anche compiuto numerosi viaggi in Italia, Slovenia, nelle isole dell'Egeo per cercare nuove piante, notizia che non mi sembra molto credibile, considerando che resse l'incarico tra i settantasette e i novant'anni. Fu onoratissimo dai botanici del suo tempo, che ne stimavano l'eccezionale competenza nel campo delle erbe medicinali. Qualche approfondimento nella biografia. Cortusa o Primula? Mattioli, tanto pronto alla polemica, si dimostrò invece sempre amichevole e rispettoso nei confronti di Cortuso, uomo molto generoso che non lesinava a colleghi e amici piante e i lumi tratti dalle sue esperienze. Nell'edizione dei Discorsi che ho consultato, Mattioli lo cita, sempre in termini elogiativi, quasi trenta volte. A partire dall'edizione del 1568, inoltre, volle includere la descrizione della pianta scoperta dal padovano, battezzandola in suo onore "cortusa", nome con il quale da allora la pianta fu conosciuta e descritta in molti testi botanici del tempo. A sua volta, a fine Seicento Plumier dedicò a Cortuso uno dei suoi nuovi generi americani; ma giustamente Linneo (Species plantarum, 1753) riprese la denominazione di Mattioli, anzi unì i due botanici italiani nel nuovo nome binomiale: Cortusa matthioli, la cortusa di Mattioli. Bramato graal degli escursionisti botanici delle nostre Alpi, la cortusa è una graziosa primulacea delle aree fresche e ombrose, dai 700 ai 2000 metri, con grandi foglie basali lobate e uno scapo fiorale eretto che porta un'ombrella di graziose campanelline rosa carico. Benché diffusa in un'ampia area (dalle Alpi ai Carpazi, alla Russia, alla catena dell'Himalaya alla Cina e al Giappone), da noi è piuttosto rara. Infatti le Alpi sono l'estremo lembo del suo areale; la si trova in poche stazioni in Trentino, Veneto e Piemonte. Del resto, già rara era al tempo del suo scopritore che, come riporta Mattioli, l'aveva vista unicamente in Valstagna. La sua presenza in poche aree non contigue fa pensare che sia un relitto della flora preglaciale, che si sarebbe conservata in piccole enclaves protette non soggette a glaciazione. A questa pianta dalla bellezza semplice corrisponde uno status tassonomico complicato. Primo problema: Cortusa è un genere a sé? Il mondo scientifico è diviso: recenti studi basati sul DNA dimostrerebbero che va incluso nel genere Primula (Plant list e Plants of the world si allineano; la nostra è Primula matthioli), ma in molti testi è ancora Cortusa matthioli e non si è giunti a una conclusione unanime. Secondo problema: se è un genere, quante specie ne fanno parte? le risposte al quesito sono ancora più incerte: si va da un'unica specie (C. matthioli appunto, con numerose varietà e/o sottospecie) a una quindicina di specie (molte delle quali asiatiche). E' dall'analisi dei taxa russi e cinesi che si attendono le risposte alle due domande. Vista l'importanza storica della denominazione tradizionale, sarebbe un peccato che colui che fu il primo moderno a dare il nome a una pianta perdesse il suo genere (anche se il suo nome rimarrebbe almeno nei nomi comuni italiano, cortusa, e francese, cortuse). Come sempre, qualche notizia in più nella scheda. Il principe elettore di Sassonia, divenuto re di Polonia con il nome di Augusto II, vuole fare ordine nelle collezioni della sua spettacolare Kunstkammer. Gli oggetti naturalistici vanno sistemati in una nuova sede e organizzati in modo più moderno. A farlo, da Wittenberg arriva il dottor Heucher. Nasce il primo Museo di storia naturale della storia. E Linneo gli dedica Heuchera che oggi - con un po' di ironia - gli ibridatori stanno trasformando in una pianta dal gusto decisamente rococò. Un re e la sua stanza dei tesori A partire dal Rinascimento, infuria in Europa la moda dei Gabinetti delle curiosità, le mirifiche Wunderkammern di cui si è parlato in questo post. Improntate al gusto barocco del bizzarro, sono tutto meno che raccolte scientifiche: dal vitello a due teste al cranio del pluriomicida, dalle monete romane alle porcellane cinesi, dai rami di corallo giganti alle uova di struzzo intagliate, dagli smeraldi grossi come uova alle (false) corna di liocorno, vi si trova tutto ciò che di raro e curioso offrano il mondo umano e i regni della natura. Oggetti rari e costosi, che ben pochi privati possono permettersi. Per principi e re, un fastoso e mirabolante gabinetto delle curiosità diviene l'irrinunciabile simbolo oggettivato della ricchezza, del potere e della sovranità assoluta. Tra i grandi collezionisti, fin dal Cinquecento c'è il principe elettore di Sassonia. La Kunstkammer di Dresda nasce alla fine del XVI secolo (il primo "pezzo" catalogato risale al 1587) e secondo lo stile dell'epoca mescola oggetti artistici e le più varie curiosità naturali. A dare impulso alle collezioni è soprattutto Federico Augusto I, che dal 1697 era anche diventato re di Polonia (con il nome di Augusto II). Il novello re, oltre a convertirsi al cattolicesimo - se Parigi val bene una messa, lo stesso si può dire per Varsavia - attraverso grandi progetti architettonici trasforma Dresda in una vera capitale europea, la splendida Firenze del Nord; l'edificio simbolo è lo spettacolare Zwinger, con i suoi giardini barocchi. In otto stanze del Residenzschloss sono invece custodite le sue fantastiche collezioni - che non fanno che crescere sia grazie agli acquisti sia a veri e propri furti dei capolavori custoditi in Polonia. E' ora di pensare a una nuova sistemazione. Ma non è più il tempo dello stupore barocco, lo spirito illuminista impone ordine e rigore. Per meglio valorizzare le une e le altre, Augusto prende una decisione storica: d'ora in poi le collezioni d'arte saranno separate da quelle naturalistiche. E' così che nel 1728 nasce il più antico Museo di storia naturale della storia. Heucher ovvero il rigore illuminista Il suo creatore è il protagonista della nostra storia: Johann Heinrich Heucher. Viennese, da bambino si trasferisce con la famiglia a Wittenberg, la città di Lutero, nella Sassonia settentrionale. Oltre ad essere un medico rinomato, particolarmente versato nella botanica e nell'anatomia, a Wittenberg rivela doti organizzative, fondando l'orto botanico e ristrutturando il teatro anatomico. Dell'orto botanico, nel 1711 stende anche il primo catalogo (Index plantarum wittenburgensium). Nel 1713 Augusto II lo chiama a Dresda come suo medico personale, offrendogli un cospicuo stipendio oltre all'abitazione. Tra i suoi compiti c'è soprattutto la riorganizzazione delle collezioni di storia naturale, che saranno sistemate in una nuova sede mentre la vecchia Kunstkammer rimarrà riservata alle collezioni artistiche (quelle che ancora oggi fanno di Dresda una capitale assoluta dell'arte); inizialmente, si pensa alla Regimenthaus, situata sulla piazza del mercato nuovo. Tra il 1720 e il 1728 Heucher cura il trasferimento degli oggetti di storia naturale dalla Kunstkammer alla nuova sede, creando una serie di collezioni naturalistiche (Naturalienkabinette) specializzate - in particolare minerali, fossili, esemplari e scheletri animali, conchiglie e coralli. Ma ben presto si rende conto che lo spazio previsto è inadeguato. A questo punto, riesce a convincere il sovrano a destinare all'importante collezione una cornice ben più prestigiosa: lo stesso Zwinger. Nel 1728, in sole sei settimane, si compie il trasloco definitivo. Il nuovo museo non ha più niente a che fare con la vecchia Wunderkammer; non più un ammasso di mirabilia con cui stupire i visitatori, ma una raccolta di esemplari catalogati e organizzati al servizio del progresso scientifico. Organizzato secondo criteri scientifici all'avanguardia per i tempi, si impone subito come un'istituzione di levatura europea. Se ne giova anche la fama e il prestigio di Heucher, che fino alla morte (1747) reggerà l'incarico di Ispettore generale e speciale delle Gallerie di Scienze. Nel 1729 viene accolto nella Royal Society di Londra. Lo stesso anno l'imperatore Carlo VI lo fa cavaliere, aggiungendo un von al cognome (d'ora in avanti si chiamerà Johann Heinrich von Heucher). Qualche notizia in più nella biografia. Heuchera, una pianta rococò Botanico assai competente (insegnava medicina e botanica a Wittenberg, cattedra che mantenne anche durante gli anni di Dresda), Heucher fu anche corrispondente di Linneo che fin dal 1753 (nella prima edizione del Systema Naturae) gli dedicò Heuchera americana (famiglia Saxifragaceae). La scelta si deve presumibilmente alle proprietà medicinali di questa specie: giunta in Europa dal Nord America alla fine del Seicento, al tempo era usata come potente astringente. Quando ero bambina, nel giardino di mia nonna c'era un'aiuola di sempreverdi dalle foglie screziate con una modesta fioritura di campanelle rosso chiaro. Lei li chiamava "gerani turchi" (per secoli, è stato definito "turco" tutto ciò che era esotico). Solo qualche anno più tardi avrei scoperto che si trattava di Heuchera sanguinea. Questa specie, d'altra parte, è stata per anni la sola ad essere coltivata da noi, anche se il genere ne comprende una quarantina, differenti per habitat, forma delle foglie, colore dei fiori. I primi tentativi di ibridazione in realtà risalgono agli ultimi anni dell'Ottocento, ma allora gli ibridatori cercavano soprattutto di ottenere fiori più grandi dai colori più brillanti. E' soltanto negli anni '90 del Novecento che si è incominciato a fare sul serio, lavorando adesso soprattutto sulla forma e il colore delle foglie. Così nell'ultimo ventennio è esplosa la moda delle Heucherae, offerte ormai in dozzine di varietà: adattabili a qualsiasi posizione, dal pieno sole all'ombra, resistenti alla siccità e ai parassiti, poco aggressive e facili da moltiplicare, sempreverdi, dal portamento elegante, è difficile resistere al loro fascino, discreto nelle vecchie varietà, a volte fin troppo esplosivo nelle più recenti. Per innamorarmi a me bastano già i nomi rubati al carrello dei dolci: 'Marmalade'. 'Blueberry Jam', 'Chocolate Ruffles', 'Plum Pudding', 'Tiramisu', 'Peach Melba', 'Peach Flambé', 'Cream brulée', 'Cinnamom curls', 'Blackberry Ice', 'Key Lime Pie'... Ecco trasformate le Heucherae in oggetti di collezione, anche se le forme bizzarre e i colori sempre più improbabili evocano più le barocche Wunderkammern - o meglio il settecentesco gusto rococò - che il rigoroso ordine illuminista del professor Heucher. Altre notizie sulle principali specie e sulla storia dell'ibridazione nella scheda. La storia della denominazione della Romneya sembra seguire le regole del gioco dell'oca: Harvey vorrebbe darle il nome dello scopritore, ma il dado cade sulla casella sbagliata. Secondo tiro, ma va male anche questa volta. Buona la terza! E in modo un po' contorto, il bel papaverone della California è diventato Romneya coulteri. Se non lo vieta de Candolle La storia della denominazione celebrativa delle piante a volte passa per vie inaspettate. Ne è un bell'esempio la Romneya coulteri, la cui fotografia campeggia questo mese sul calendario distribuito da una nota rivista di giardinaggio. Tra il 1824 e il 1824, Thomas Coulter, un medico e botanico irlandese, esplora la flora del Messico, dell'Arizona e dell'Alta California. Il bottino della sua spedizione è così importante che quando morirà nel 1843 molte piante sono ancora da identificare e pubblicare. Il compito viene ereditato dal suo successore nell'incarico di Conservatore dell'erbario del Trinity College di Dublino, il celebre botanico William Henry Harvey. Tra gli altri esemplari, c'è anche una magnifica papaveracea che, per diverse caratteristiche, non può essere inserita in alcun genere noto. Occasione ghiotta per Harvey per rendere omaggio al predecessore e conterraneo, nonché scopritore di quella bellezza botanica. Ma purtroppo chiamarla Coulteria non è possibile: a dedicare un genere celebrativo a Coulter - che tra l'altro era stato suo allievo - aveva già provveduto il grande tassonomista Augustin de Candolle. Allora Harvey pensa a un omaggio indiretto, attraverso la dedica a una personalità in qualche modo legata a Coulter. La sua scelta cade su John Thomas Romney Robinson, un eminente astronomo dublinese, direttore dell'osservatorio di Armagh, che di Coulter era stato intimo amico. Non si tratta di un botanico, questo è vero, ma sicuramente di un grande scienziato, uno delle glorie dell'Irlanda. Secondo tutte le regole, la nostra bella californiana, dunque, dovrebbe chiamarsi Robinsonia. Ma anche questo nome non è disponibile: sempre il solito de Candolle qualche anno prima aveva avuto la bella pensata di dedicare un genere di Asteraceae endemiche dell'arcipelago Juan Fernandez niente po' di meno che... a Robinson Crusoe. Infatti proprio in una di quelle isole era vissuto il naufrago Aleksander Selkirk, alle cui avventure si ispirò il capolavoro di Defoe. Anche un personaggio letterario, mai esistito, può dare il suo nome a una pianta! Per cavarsi d'impiccio, Harvey ripiegò sul secondo nome di Robinson, Romney. Com'è noto, nel mondo anglosassone alcune persone, oltre al primo nome (noi diremmo il nome di battesimo) e il cognome, portano un secondo nome (second name o middle name), che può essere il nome di una persona cara, il cognome della madre, il cognome di una persona che si vuole ricordare. E' proprio il caso del nostro John Thomas Romney Robinson (che di nomi ne aveva addirittura quattro): suo padre Thomas Robinson, un pittore di discreto livello, era stato allievo del celebre ritrattista George Romney e aveva voluto ricordare il maestro imponendo al figlio il middle name Romney. E così fu Romneya coulteri, che unisce nel nome specifico lo scopritore e in quello generico il suo ottimo amico. Da bambino prodigio a un cratere lunare John Thomas Romney Robinson non era un botanico, l'abbiamo già visto, ma certo ha meritato la sua dedica più dell'inesistente Robinson Crusoe. A leggere la pagina a lui dedicata dall'Osservatorio di Armagh, di cui fu il terzo direttore, scopriamo un personaggio tutt'altro che banale. Bambino prodigio (qui vedete il suo ritratto da bambino, dipinto ovviamente dal padre), a tre anni già leggeva poesie e a cinque le scriveva. A nove anni pubblicò un poema (The Triumph of Commerce), a sedici terminava la scuola superiore e a 21 era già laureato e membro del Trinity College. Dopo una brillante carriera accademica, a trentun'anni divenne direttore dell'Osservatore di Armagh e (finalmente tiriamo il fiato) mantenne l'incarico per ben 59 anni, un altro record. Collaborò al perfezionamento dei telescopi e lavorò spesso con quello che allora era il più grande telescopio del mondo (si trovava proprio in Irlanda ed è passato alla storia con il nome di Leviatano di Parsonstown). Oltre a compilare un catalogo stellare, inventò un nuovo modello di anemometro, per misurare la velocità del vento (anemometro di Robinson). Quasi coetanei, i due Thomas, Coulter e Robinson, si erano conosciuti intorno al 1812, quando entrambi - tutti e due studenti precoci affascinati dalle scienze naturali - frequentavano il Trinity College. Anche quando Coulter partì per il Messico, rimasero in contatto; ad esempio, nel 1825 egli inviò all'amico le sue osservazioni su un'eclissi di sole. Alla morte precoce di Coulter, Robinson ne fu anche l'esecutore testamentario. Oltre che dalla Romneya, è celebrato anche da uno dei crateri lunari, il cratere Robinson. Qualche notizia in più nella biografia. Romneya, una californiana irlandese Romneya è un piccolo genere della famiglia Papaveraceae, che comprende 1 o 2 specie. R. coulteri è un endemismo del Messico settentrionale e della California, dove cresce fino ai 1000 metri (il che la rende più rustica di quanto si potrebbe pensare). Il suo habitat sono i greti asciutti dei torrenti e in genere il chaparral (una formazione che può ricordare la macchia mediterranea). E' una pianta magnifica e imponente, più un arbusto che un'erbacea, che può arrivare a 1.8 d'altezza (uno dei suoi nomi inglesi è "tree poppy", papavero arboreo), resa spettacolare dagli enormi fiori bianchi - i più grandi in questa famiglia - a sei petali deliziosamente arricciati, con un vistoso piumino di stami dorati al centro. Le foglie glauche, profondamente divise, aggiungono un tocco d'eleganza. Una romantica leggenda è legata alla R. coulteri, conosciuta in California come Matilija, Matilija poppy. Matilija era il capo della tribù Chumash che all'inizio dell'800 viveva nelle valli della contea di Ventura. Sua figlia Amatil si innamorò di un giovane guerriero, ma fu rapita dagli Spagnoli e portata nella missione Buenaventura, lontanissima dalla sua tribù e dal suo amore. Quando riuscì a fuggire e tornare a casa, scoprì che l'uomo del suo cuore era morto in battaglia contro gli Spagnoli. I petali bianchi della Romneya simboleggiano le sue lacrime, i pistilli dorati il suo cuore generoso. Oltre alla duplice dedica a due scienziati irlandesi, c'è un secondo filo che lega la bella californiana all'Irlanda. Raccolta da Coulter nel 1833, fece la sua comparsa nei giardini europei qualche anno più tardi. E il primo luogo in cui fiorì "in cattività" fu proprio il Giardino Botanico di Glasnevin a Dublino, dove approdò nel 1876 e dopo due anni raggiunse l'altezza di 1.8 m e si esibì nella sua spettacolare fioritura. Altri dettagli nella scheda. |
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CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
August 2024
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