Aa! No, non è un'esclamazione di sorpresa o di gioia, ma il nome di un genere, il più breve e il primo in ordine alfabetico dell'intera tassonomia botanica, a consolazione di quelli che sostengono che i nomi botanici sono troppo lunghi e difficili da pronunciare. Perché il grande orchidologo Heinrich Gustav Reichenbach abbia chiamato così questo genere di orchidee terrestri andine non si sa con certezza, ma abbiamo tre ipotesi. Ovviamente la mia preferita è quella che lo considera un nome celebrativo, in onore del tipografo olandese Pieter var der Aa, vissuto a cavallo tra Seicento e Settecento. Che con le orchidee c'entra parecchio. Tre ipotesi per il genere AA Nel 1854 l'orchidologo tedesco Heinrich Gustav Reichenbach separò dal genere Altensteinia (che comprende orchidee del Sud America andino) due specie, che rinominò Aa argyrolepis e Aa paleacea, creando il nuovo genere Aa. Non avendo mai l'autore spiegato le ragioni di questo strano nome (il primo in ordine alfabetico, il più breve e il più semplice della nomenclatura botanica), non possiamo che affidarci alle ipotesi. Ne sono state avanzate tre. La prima - la più gettonata - è che Reichenbach abbia voluto semplicemente creare una denominazione che venisse sempre per prima in tutte le liste alfabetiche dei nomi botanici, analogamente all'AAA che si usa negli annunci economici. Che questa ipotesi non sia poi così strampalata lo dimostra il fatto che non sarebbe affatto un caso isolato: nella nomenclatura zoologica c'è un genere di coleotteri denominato Aaaba, poi ribattezzato addirittura Aaaaba. Non manca neppure il caso opposto di un nome creato proprio per essere l'ultimo della lista; in botanica è il genere Zyzyxia. Ha una storia così curiosa che, se anche non è un nome celebrativo, permettetemi di raccontarla. Nel 1991 il botanico statunitense John Strother stava lavorando a una revisione della sottotribù delle Ecliptinae nordamericane (Asteraceae della tribù Heliantheae, quella dei girasoli); il lavoro era giù in bozza quando si rese conto che una specie prima assegnata al genere Wedelia ne differiva abbastanza da meritare un genere tutto per sé. Sottopose il problema all'editore che accettò l'inserimento di un nuovo genere, purché le pagine da ricomporre fossero ridotte al minimo. Dato che i generi erano in ordine alfabetico, la soluzione più pratica era creare una dominazione che venisse dopo l'ultimo nome della lista, Zexmenia. Strother così creò - del tutto arbitrariamente, come dichiara esplicitamente nella monografia stessa - il genere Zyzyxia, combinando le ultime consonanti e l'ultima vocale dell'alfabeto. Ma torniamo ad Aa e vediamo la seconda ipotesi: si tratterebbe di un'abbreviazione creata prendendo la prima e l'ultima lettera di AltensteiniA. Non impossibile, non trova però molti seguaci. Rimane la terza ipotesi: Aa è un nome celebrativo, che onora il tipografo olandese Pieter var der Aa (1659-1753). Contestata, ma del tutto credibile, visto che tra questo personaggio e le orchidee c'è un affascinante legame che Reichenbach - uno dei maggiori orchidologi dell'Ottocento - sicuramente non ignorava. Pieter var der Aa fu uno dei più importanti editori di quello che è considerato il secolo d'oro dell'editoria olandese. Dapprima libraio, poi tipografo-editore, operando a Leida, il prestigioso centro universitario, poté contare sulla collaborazione di importanti studiosi accademici, ma seppe anche sfruttare abilmente la passione per l'esotismo (la stessa che notiamo nei quadri dell'epoca, alimentata dall'espansione dei commerci e delle colonie olandesi nelle Americhe, in Sud Africa, nelle Indie orientali). Dapprima produsse soprattutto grandi opere universitarie, pubblicando ad esempio il Thesaurus delle opere dell'antichità greche di J. Gronovius (il padre del nostro botanico) o le opere di antiquaria di Graevius; nel suo catalogo non mancarono opere di scienza e medicina (tra gli altri, anche di Malpighi). In un secondo tempo, si specializzò soprattutto in atlanti e in collezioni di racconti di viaggi. L'opera più celebre uscita dalla sua tipografia è la Galierie agréable du monde, una serie di 66 volumi con oltre 3000 tavole calcografiche, in parte costituite da mappe, ma anche da immagini di nativi, monumenti, paesaggi, episodi storici. Nel suo vasto e variegato catalogo non mancarono le opere di botanica: Icones arborum, fructicum et herbarum exoticarum di Albrecht van Haller (senza data); Botanicon parisiense di S. Vaillant, con le incisioni di Aubriet, pubblicato a cura di H. Boerhaave (1723); ma soprattutto Paradisus Batavus di Paul Hermann (1698). E' infatti proprio a quest'opera che potrebbe essere dovuta la dedica del genere Aa. Qualche notizia in più sulla vita del librario-tipografo nella sezione biografie. Orchidee dalle due Indie L'opera di Hermann è il catalogo dell'Orto botanico di Leida, di cui egli fu curatore dal 1679 alla morte, avvenuta nel 1695. E' interessante tra l'altro per la descrizione di diverse specie esotiche, soprattutto sudafricane, da poco introdotte in Europa; inoltre, proprio grazie a van der Aa, si giova di una bella veste grafica con tavole illustrate di buona qualità. Agli appassionati di orchidee è nota perché documenta l'introduzione delle due primissime orchidee tropicali coltivate in Europa. Arrivavano dai capi opposti dell'impero commerciale olandese: una dalle Indie occidentali, ovvero dall'isola di Curaçao, nel mar dei Caraibi meridionale; l'altra dalle Indie Orientali, ovvero dall'isola di Ambon nell'arcipelago delle Molucche. L'americana (l'illustrazione compare a p. 207) è una specie epifita ancora oggi molto apprezzata per l'aspetto curioso e soprattutto per profumo notturno; qui contrassegnata dal nome-descrizione Epidendron corassavicum folio crasso sulcato (ovvero "pianta epifita proveniente da Curaçao con foglie succulente con una profonda nervatura centrale"), è oggi denominata Brassavola nodosa. L'incisione di Paradisus Batavus è stata realizzata a partire dal un disegno dal vivo di un esemplare coltivato dal collezionista Casper Fagel (1634-85). Si ritiene sia stata la prima orchidea tropicale ad approdare in Europa, come ho raccontato in questo post. L'asiatica (l'illustrazione è a p. 209, tav. 73) ha una storia ancora più interessante. Contrassegnata dal nome-descrizione Orchis amboinensis floribus altis, Flos Susannae Rumphii ("orchidea di Ambon a fiori alti, fiore di Susanna di Rumphius), l'illustrazione è tratta dal manoscritto dell'Herbarium Amboinense del grande botanico G. E. Rumphius, all'epoca ancora inedito; fu infatti pubblicato solo a partire dal 1741 da Burman, quasi quarant'anni dopo la morte dell'autore. Rumphius visse per oltre trent'anni ad Ambon al servizio della Compagnia olandese delle Indie, sposò una donna del luogo e si dedicò allo studio della fauna e della flora dell'arcipelago. Una serie di tragedie funestò la sua vita: intorno al 1670 perse la vista e nel 1674 sia la moglie sia la figlia minore furono vittime di uno tsunami che devastò l'isola. Per Rumphius fu una duplice tragedia: da quando era cieco, l'amata moglie Suzanne era diventata i suoi occhi e le sue mani. Per ricordarla, volle dedicarle proprio la nostra orchidea, con queste parole: "Poiché non sono riuscito a trovare un nome locale, ha deciso di assegnarle il nome latino Flos Susannae, Bunga Susanna in malese, per commemorare colei che è stata la mia prima compagna e il mio aiutante nel raccogliere erbe e piante, nonché colei che mi ha mostrato questo fiore per prima". Il testo di Hermann ci informa che questa elegantissima orchidea non era ancora fiorita nei giardini olandesi, dove era giunta grazie a Rumphius, salutato come "dotto Plinio delle Indie". Oggi il suo nome è Pecteilis susannae: per fortuna l'omaggio alla moglie e compagna di Rumphius è stato accolto da Linneo, rimanendo nella onomastica botanica. E' una delle bellissime orchidee di questo genere, i cui fiori sono stato spesso paragonati a candide colombe in volo. Il fascino discreto (?) delle Aa Come ho già anticipato, Reichenbach creò il genere Aa nel 1854, separandolo da Altensteinia. Tuttavia una ventina di anni dopo cambiò idea, e reinserì le due specie nel genere originario. Qualche decennio dopo, nel 1912 il genere Aa fu infine ripristinato da Rudolf Schlechter, anche perché nel frattempo ne erano state scoperte diverse nuove specie che ne giustificavano meglio l'indipendenza. Non hanno nulla di tropicale le nostre Aa, né nell'aspetto né nelle caratteristiche ecologiche e, all'interno della fascinosa famiglia delle Orchidaceae, rischiano di giocare il ruolo di parente povero. Vengono dagli habitat freddi delle Ande prossimi alla linea delle nevi e la loro discretissima presenza è dovuta all'adattamento alle temperature rigide e alle fortissime escursioni termiche degli ambienti in cui vivono (quello più tipico è il paramo, le lande che si estendono tra Costa Rica, Perù e Ecuador, di cui è stato detto "inverno tutte le notti, estati tutti i giorni"); sono piccole piante erbacee, con poche foglie basali a rosetta, talvolta carnose; l'infiorescenza, eretta in alcune specie, arcuata in altre, è formata da numerosissimi piccoli fiori a campana (uncospicuous, li definiscono i siti anglofoni) di solito bianchi e marrone che si aprono successivamente. A guardarli da vicino, sono sicuramente molto graziosi, con il labello a cappuccio che li racchiude quasi totalmente; ma in molte specie sono quasi invisibili, perché avvolti in brattee di consistenza cartacea che assicurano la necessaria protezione dai freddi notturni. Neanche il "profumo", se così possiamo chiamarlo, accresce di molto il loro fascino, se non per le mosche, che ne sono fortemente attratte. Se ne conoscono circa ventisei specie, distribuite nei paramos della Costa Rica e negli altipiani andini, fino al Perù e all'Argentina settentrionale. Qualche informazione in più nella scheda.
1 Comment
Nell'Ottocento, più che mai, l'esplorazione geografica e la ricerca scientifica si intrecciano con le vicende coloniali. Così, nel 1828, la spedizione della corvetta Triton e della goletta Isis ha l'obiettivo fondamentale di rivendicare il possesso olandese dei territori della Nuova Guinea ad occidente del 141 meridiano est (prima che lo faccia l'Inghilterra), ma a bordo ci sono anche cartografi e un gruppetto di naturalisti della Natuurkundige Commissie. La loro missione otterrà rilevanti risultati scientifici, ma porterà al sacrificio di quasi tutte le loro vite. Il primo a morire sarà il giardiniere e botanico Alexander Zippelius, dedicatario del genere Zippelia. 1826-1827: Giava L'esito tragico della prima spedizione della Natuurkundige Commissie olandese, con la morte di tre su quattro membri (ne ho parlato in questo post), non scoraggiò il professor Temminck, direttore del Museo di Scienze naturali di Leida, che cominciò immediatamente a pensare ai rimpiazzi. La sua scelta cadde su due brillanti giovani collaboratori, entrambi tedeschi: Heinrich Boie, zoologo e curatore del settore dei vertebrati del Museo, e Heinrich Christian Macklot, chirurgo e curatore della collezione osteologica. Proprio come Kuhl e van Hasselt, i due erano stati compagni di studi (entrambi avevano studiato all'Università di Heidelberg) ed erano legati da una profonda amicizia. Il 5 dicembre 1823 entrarono a far parte della Natuurkundige Commissie, il primo come capo della futura spedizione, il secondo come assistente. Prima di partire per Giava, la meta scelta anche questa volta, ci furono diversi viaggi preparatori; una tappa li portò a Heidelberg, dove alloggiarono in una locanda. Mentre parlavano tra loro, con presumibile entusiasmo, della spedizione che li aspettava, i loro discorsi furono captati dal figlio del locandiere, Salomon Müller, che si mostrò assai interessato: aveva seguito come uditore qualche corso di zoologia all'Università, era un cacciatore di uccelli e un capace tassidermista. Boie e Macklot senza esitare gli proposero di unirsi a loro; convinsero Temminck a ingaggiarlo e in tal modo Müller divenne il terzo membro della compagnia, completata poi dal pittore Pieter van Oort. I quattro si imbarcarono per Giava alla fine di novembre 1825, raggiungendo la loro destinazione a giugno dell'anno seguente. Proprio come i predecessori Kuhl e van Hasselt, i naturalisti fecero base all'orto botanico di Buitenzorg/Bogor, dove conobbero l'unico membro sopravvissuto della spedizione precedente, van Raalten, al momento ancora impegnato a preparare le collezioni di van Hasselt per l'invio in Olanda. Inizialmente esplorarono l'area attorno a Bogor, deve Boie studiò soprattutto gli uccelli. Quindi si spostarono a Karawang, dove intendevano prepararsi per passare a Sumatra. Ma Boie contrasse la malaria e morì nel settembre 1827; anch'egli come Kuhl e van Hasselt venne sepolto nel cimitero olandese dell'orto botanico di Bogor. Fu un durissimo colpo per Macklot, che così scrisse al professor Temminck: " Oh, non inviate più qui degli uomini, a meno che siano dei bruti. Altrimenti saranno perduti senza alcuna speranza di riscatto". Oltre ad aver perso un amico carissimo, egli non si riteneva in grado di assumerne il ruolo; suggerì così di invitare lo zoologo francese Pierre-Médard Driard a unirsi alla Commissione, prendendone la guida. Driard, allievo di Cuvier, aveva un'esperienza più che decennale di lavoro sul campo in Oriente e aveva lavorato anche per Raffles; sarebbe poi rimasto per un ventennio a Giava, inviando molti esemplari al Museo di Leida, ma svolgendo compiti fondamentalmente amministrativi. Altri viaggi e altri pericoli attendevano invece Macklot, Müller e van Oort. 1828-32: Nuova Guinea, Timor e ritorno Fin dal XVII secolo, gli olandesi erano presenti nell'arcipelago delle Molucche e rivendicavano la sovranità sulla parte occidentale della Nuova Guinea, con la quale commerciavano senza tuttavia disporre di basi permanenti. Nel 1825, il luogotenente D.H. Kolff aveva esplorato e mappato la costa meridionale dell'isola, individuando un luogo adatto a un insediamento presso la foce di quello che credeva un fiume, da lui battezzato Dourga dal nome della sua nave. Temendo di essere preceduto dai britannici - molto attivi nel Sud est asiatico, come dimostra la fondazione di Singapore - nel 1828, il governatore delle Molucche, Pieter Merkus, sollecitò il governo olandese a inviare una spedizione che creasse un avamposto e prendesse possesso formale della parte occidentale della grande isola (fino al 141 meridiano est, secondo l'accordo spartitorio con la Gran Bretagna). L'ultimo giorno del 1827 il re diede la sua autorizzazione all'invio di un piccolo corpo di spedizione, al comando dal Luogotenente C.J. Boers, nominato Commissario generale delle Indie olandesi. Anche ai nostri naturalisti venne ordinato di unirsi alla missione. A Macklot, Müller e van Oort si aggiunsero van Raalten (che avrebbe coadiuvato Müller come tassidermista e van Oort come disegnatore) e Alexander Zippelius. Quest'ultimo era uno dei giardinieri di Bogor e aveva una certa esperienza di lavoro sul campo, avendo erborizzato con i suoi colleghi e avendo accompagnato più volte Blume. Divenne così il botanico della spedizione. Alla fine di febbraio 1828, insieme a Boers, il gruppo si imbarcò sul mercantile Minerva. Partiti da Batavia, raggiunsero Makassar, nell'isola di Celebes, dove si imbarcarono sulla corvetta Triton, che li portò Ambon, nelle Molucche, tappa di partenza della spedizione vera e propria. Con la scorta della goletta Isis, la Triton partì da Ambon il 21 aprile 1828; a bordo, poche decine di soldati, tra europei e indonesiani (questi ultimi erano accompagnati da mogli e figli) e dieci lavoratori forzati giavanesi. Facendo rotta per le isole Banda e Aru, puntarono direttamente alla supposta "foce del Dourga", dove secondo gli ordini del governatore intendevano creare una base militare. La raggiunsero dopo circa un mese, scoprendo che il luogo non era adatto: era basso, paludoso, soggetto ad allagamenti; l'interno era una foresta impenetrabile; l'acqua scarseggiava; l'atmosfera era così nebbiosa e densa di umidità che qualcuno la paragonò una tazza di zuppa di piselli; subirono anche un attacco di nativi. Decisero così di lasciare il fiume Dourga (in realtà, lo stretto di Muli che separa l'isola di Yos Sudarso dalla Nuova Guinea) per cercare un luogo più adatto risalendo la costa verso nord ovest. Dopo aver scartato per una ragione o l'altra altri siti, solo all'inizio di giugno fu individuata una piccola baia protetta (che venne immediatamente ribattezzata Triton Bay), nella regione del Lobo a est dell'attuale città di Kaimana. Qui gli olandesi costruirono un forte (Fort du Bus) e il 14 agosto 1828, compleanno del re, piantarono la bandiera nazionale, prendendo formalmente possesso della costa sud occidentale della Nuova Guinea a nome del sovrano. Intanto, però, le malattie tropicali dilagavano; già erano morti 20 membri dell'equipaggio e molti altri erano ammalati. Il 29 agosto la Triton lasciò il piccolo avamposto (che sarebbe vissuto stentatamente fino al 1835, per poi essere abbandonato), trasferendo all'ospedale di Ambon i numerosi malati, tra i quali i nostri naturalisti. Quando, circa un mese dopo, la Triton ripartì per Giava, si erano ripresi abbastanza da imbarcarsi, ma chiesero di essere sbarcati a Kupang, nell'isola di Timor, dove intendevano proseguire le ricerche. Fallita sul piano politico, la spedizione del Triton fu importante per i risultati scientifici: le rilevazioni dei cartografi fornirono la prima mappatura della costa sud occidentale della Nuova Guinea; nei tre mesi trascorsi nel Lobo, i naturalisti misero insieme una imponente collezione di oggetti etnografici, minerali, animali, piante, disegni. Particolarmente rilevanti i risultati zoologici; tra l'altro, Macklot e Müller furono i primi scienziati a vedere dal vivo e a descrivere i canguri arboricoli, descrivendo il nuovo genere Dendrolagus. Ma anche Zippelius non perse tempo: le sue raccolte ammontarono a 4000 esemplari di 500 specie diverse, tra cui 600 crittogame. Anche Timor era praticamente sconosciuta agli scienziati occidentali. Qui i membri della Natuurkundige Commissie si trattennero per circa un anno, spostandosi inizialmente verso est fino a Manikie e soggiornando a Babao e Pariti. Ma a dicembre, in seguito alla malaria contratta in Nuova Guinea, Zippelius morì. Sfortunato in vita (tuttavia la morte in giovane età fu sorte comune anche dei suoi compagni, ad eccezione del solo Müller), lo fu ancora di più dopo la morte. Quest'uomo taciturno e solerte, forse mai davvero integrato nel gruppo dei giovani naturalisti, legati tra loro da rapporti di amicizia cameratesca, era un grande lavoratore e un botanico dotato; non solo mise insieme una raccolta imponente, ma le sue note manoscritte brillano per l'esattezza delle descrizioni e la capacità di collocare le piante nel loro ambiente naturale. Eppure non ebbe il riconoscimento che avrebbe meritato come pioniere dello studio della flora della Nuova Guinea; i manoscritti inizialmente andarono perduti, e solo una ventina di anni dopo finirono in possesso del medico P. Bleeker, che li presentò alla Società di Storia naturale di Batavia, la quale ne curò l'invio all'Erbario nazionale di Leida, dove, secondo gli accordi, Blume avrebbe dovuto assicurarne la pubblicazione; questo non avvenne mai, mentre i materiali di Zippelius vennero utilizzati da altri studiosi, incluso lo stesso Blume. Una sintesi delle poche notizie su di lui nella sezione biografie. Ma torniamo ai nostri naturalisti. Essi continuarono ad esplorare l'area di Pariti, facendo diverse escursioni sulle montagne circostanti. Ad aprile, durante uno spostamento in barca, si spense anche van Raalten; Macklot lo seppellì amorevolmente sulla spiaggia di Oecusse, a Timor Est. Membro e unico superstite della prima Natuurkundige Commissie, inizialmente come tassidermista, era diventato un bravissimo pittore, i cui disegni sono ora conservati al Naturalis Biodiversity Center di Leida. Dopo la sua morte, Macklot, Müller e van Oort si spinsero nell'interno di Timor, visitando larga parte delle regioni sudoccidentali e settentrionali. Non avevano più con loro un botanico, e le loro ricerche si rivolsero soprattutto alla fauna, con importanti scoperte zoologiche, tra cui il pitone acquatico di Timor, detto anche pitone di Macklot (Liasis macklotii). Alla fine del 1830 gli amici tornarono quindi a Giava; nel 1831 esplorarono ancora insieme la costa nord e a luglio scalarono il monte Salak. Nel maggio 1832 Macklot si trovava nel distretto di Krawang, a Purwakarta, quando scoppiò una rivolta dei cinesi che diedero fuoco a tutte le case degli europei; nell'incendio andarono perduti i manoscritti di Macklot stesso e di Boie, che egli aveva religiosamente conservato per cinque anni. Furioso, il naturalista si unì alle forze che cercavano di ristabilire l'ordine, e pochi giorni dopo venne ucciso. Quanto a van Oort e Müller (l'unico a sopravvivere e a rivedere l'Europa), li ritroveremo in una prossima avventura. La poco nota Zippelia Macklot, l'ho già anticipato, pur essendo originariamente un farmacista poi diventato chirurgo, era soprattutto uno zoologo; lo ricordano i nomi specifici di diversi animali; tra gli altri, oltre il già citato Liasis macklotii, diversi uccelli (Pitta macklotii, Erythropitta macklotii), il pipistrello Acerodon macklotii. Nel 1847 Korthals (lo conosceremo molto presto) gli dedicò il genere Macklottia (oggi confluito in Leptospermum, famiglia Myrtaceae). A onorare Alexander Zippelius con il genere Zippelia fu invece Blume, nel 1830 (tuttavia, non pubblicandone i manoscritti lo condannò al quasi oblio); a ricordare lo sfortunato giardiniere-botanico sono anche i nomi specifici zippelianus, zippelii (che designano almeno una ventina di specie, a riprova dell'importanza del suo contributo). Zippelia, della famiglia Piperaceae, è un genere monotipico, rappresentato dall'unica specie Z. begoniifolia. E' molto affine al genere Piper (sotto il quale a volte è stata trattata), ma ne differisce per il numero di cromosomi e per il frutto con peli barbati, unico nella famiglia. E' un'erbacea perenne o un suffrutice eretto, che cresce nel sottobosco delle foreste tropicali, in una vasta area che comprende la Cina (Guangxi, Hainan, Yunnan), il Vietnam, il Laos, la Malaysia, diverse isole indonesiane (Giava, Sumatra e Borneo), le Filippine. Genere poco noto, anche se le foglie sono ricche di oli essenziali, non se ne conoscono usi particolari. Qualche informazione in più nella scheda. Non sono d'accordo con Victor Hugo; certamente, il vero eroe di Waterloo non fu Napoleone, né Welligton, né Blücher; ma neppure Cambronne. Secondo me fu il medico (e botanico) olandese Sebald Justinus Brugmans, che con competenza e un'incredibile capacità organizzativa riuscì a salvare la vita a migliaia di soldati feriti, amici o nemici che fossero. A ricordarlo un genere di piante spettacolari e molto amate, Brugmansia (anche se da più di 200 anni continuano ad essere confuse con Datura). Ma vi rivelerò tutti i trucchi per distinguerle senza fallo, senza più correre il rischio di confondere le trombe degli angeli con quelle del diavolo. Una vita al servizio delle vittime di guerra Se non gli fosse toccato di vivere negli anni turbolenti della rivoluzione francese e dell'epopea napoleonica, forse Sebald Justinus Brugmans sarebbe stato un dotto professore universitario come tanti. Figlio d'arte, con una preparazione enciclopedica che spaziava dalla filosofia alla medicina, dalla chimica alla botanica, aveva iniziato in giovane età una carriera accademica di successo che nel 1786 (aveva solo ventisei anni) lo portò a occupare la prestigiosa cattedra di botanica dell'Università di Leida (che implicava la direzione dell'orto botanico), cui l'anno dopo si aggiunse quella di scienze naturali. Ma la sua vita di brillante studioso cambiò a partire dall'inverno 1793-94. In seguito all'occupazione francese dei Paesi Bassi austriaci, feriti e malati degli eserciti di Gran Bretagna e Hannover affluirono in Olanda, in particolare a Leida dove nell'antico lazzaretto fu organizzato un ospedale temporaneo. La struttura organizzativa fu creata quasi dal nulla proprio da Brugmans, che, oltre ai medici cittadini, vi coinvolse anche i suoi studenti; colpito dall'alto tasso di mortalità tra quegli sventurati, incominciò inoltre a studiare il legame tra sovraffollamento, condizioni igieniche, infezioni ospedaliere. Da quel momento, anche se continuava la carriera accademica (gli vennero assegnate pure le cattedre di medicina e di chimica, e più tardi fu anche rettore), il centro dell'attività di Brugmans divenne l'organizzazione degli ospedali militari, sotto i diversi regimi che si susseguirono in quell'irrequieto ventennio (la Repubblica batava dal 1795, il Regno d'Olanda dal 1806 al 1810, l'annessione all'Impero dal 1810), fino ad essere nominato settimo Ispettore generale dei servizi medici dell'esercito napoleonico. Ancora due volte fu chiamato a organizzare strutture ospedaliere in momenti d'emergenza: nel 1799, a nord di Ijmuden, a favore dei soldati britannici e russi; nel 1809, per soccorrere le vittime del bombardamento di Vlissingen da parte della Marina britannica. Come responsabile degli ospedali militari olandesi, riuscì a diminuire fortemente l'incidenza della mortalità ospedaliera, intervenendo sul regime quotidiano dei pazienti e sulle condizioni igieniche. Soprattutto, divenne un esperto nella prevenzione della cosiddetta "cancrena ospedaliera", ovvero delle devastanti infezioni che colpivano un'altissima percentuale di feriti dopo l'intervento operatorio. In un'epoca in cui ancora non si sapeva nulla di virus e batteri, i chirurghi operavano infatti in condizioni igieniche precarie: in sale spesso affollate, lavoravano senza guanti e spesso senza lavarsi le mani tra un intervento e l'altro; gli strumenti chirurgici non venivano disinfettati, ma ripuliti alla bell'e meglio con un panno sempre più sporco; non di rado si usavano fasciature già usate e mai sterilizzate. La conseguenza è che circa la metà degli amputati o dei pazienti con ferite lacere moriva tra atroci sofferenze. Pur essendo convinto, come i suoi contemporanei, che la malattia fosse dovuta ai "miasmi" (ovvero a gas venefici) presenti nell'aria dei cameroni sovraffollati, Brugmans fu il primo a capire che si trasmetteva in qualche modo da un paziente all'altro e che aveva un legame con le condizioni igieniche; riuscì così a diminuirne drasticamente l'incidenza prescrivendo misure come la ventilazione dei locali, una distanza adeguata tra un letto e l'altro, l'isolamento dei pazienti infetti e la disinfezione dei materassi e delle bende. Nel 1814 scrisse un trattato sull'argomento, che riscosse grande attenzione e aprì la strada agli studi successivi (che sarebbero culminati con le scoperte di Lister). Nell'autunno del 1813, l'Olanda conobbe un ultimo rivolgimento politico: un moto rivoluzionario cacciò i francesi, riportando sul trono i Nassau-Orange; Brugmans fu epurato, perdendo d'un colpo le sue quattro cattedre universitarie e le funzioni di rettore dell'Università di Leida e di ispettore generale del servizio sanitario. Ma dopo appena un anno fu riabilitato, richiamato a Leida (nella facoltà di Matematica e scienze naturali) e reintegrato a capo del servizio sanitario militare. Fu così che a Waterloo conquistò il suo maggiore titolo di gloria. La battaglia di Waterloo, combattuta il 18 giugno 1815, durò oltre dieci ore e fu assai cruenta. Al termine della giornata, sul campo giacevano 10.000 cavalli e i corpi di 40.000 tra morti e feriti. Per organizzare il soccorso dei circa 27.000 feriti, il neo re d'Olanda, Guglielmo I, diede ordine a Brugmans di recarsi immediatamente a Bruxelles. Arrivato in città il giorno successivo, il medico trovò così tanti feriti (britannici, prussiani, russi, olandesi e francesi) che per ricoverarli non bastavano né gli ospedali né le chiese né le caserme, ma molti erano stati portati anche in case private. In pochi giorni, con estrema efficienza, Brugmans riuscì a fornire cure mediche adeguate a amici e nemici. Mobilitò tutti i medici, i chirurghi, gli infermieri e gli studenti disponibili, assegnandoli alle divisioni e stabilendo un sistema di turni che coprivano a rotazione tutte le aree della città; per evitare il possible contagio, mantenne a Bruxelles solo i feriti più gravi, sistemati in luoghi ben ventilati, mentre gli altri vennero distribuiti in città vicine. Grazie a questo servizio sanitario efficace e alle pratiche igieniche ormai consolidate, riuscì così a salvare moltissime vite, tanto che ben tre sovrani riconoscenti (il re d'Olanda, lo zar di Russia e il re di Prussia) lo premiarono con un'onorificenza. Altri particolari sulla vita di questo benefattore dell'umanità nella sezione biografie. Brugmansia o Datura? Per un ventennio, la direzione dei servizi sanitari militari costrinse Brugmans a lasciare da parte l'attività scientifica, anche se continuò a curare la gestione dell'Orto botanico di Leida, nei limiti delle crescenti difficoltà causate da uno stato di guerra permanente e dall'interruzione dei rapporti con le colonie d'oltremare. Con il ritorno della pace, il rilancio dell'Orto divenne anzi il suo principale interesse; nel 1816 fece acquistare un terreno che ne quadruplicò la superficie. La sistemazione, secondo lo stile paesaggistico inglese, fu affidata al giovane botanico tedesco T.F.L. Nees von Esenbeck, che per un breve periodo fu il suo assistente. Nel 1818, l'anno prima della morte, Brugmans pubblicò il catalogo delle piante coltivate nel giardino e introdusse l'abitudine di redigere un indice dei semi da inviare a altre istituzioni e a privati. Furono tuttavia probabilmente soprattutto i suoi meriti umanitari a indurre un altro botanico olandese, Christiaan Hendrik Persoon, a dedicargli nel 1805 Brugmansia, separandolo dall'affine Datura, con queste parole: "Questo bellissimo genere, nell'aspetto tanto simile a Datura, voglio dedicarlo alla memoria del chiarissimo professor Brugmans, meritevolissimo e degnissimo professore di storia naturale e botanica dell'Università di Leida". Brugmansia (famiglia Solanaceae) è davvero simile a Datura, tanto che per circa 250 anni i botanici si sono divertiti ora a riunirli, ora a separarli, finché nel 1973 T.E. Lockwood li ha divisi definitivamente sulla base di un serrato confronto morfologico. Eppure, anche per noi profani, le differenze sono piuttosto evidenti: le Daturae, anche quando sono di dimensioni cospicue, sono erbacee, per lo più annuali o di breve vita; hanno fiori rivolti all'insù e frutti tondeggianti, in genere armati di spine; le Brugmansiae sono perenni legnose arboree o arbustive, hanno fiori penduli e frutti simili a baccelli privi di spine. Naturalmente ci sono anche affinità; la più evidente è che le specie di entrambi i generi contengono alcaloidi, che ne rendono tutte le parti estremamente tossiche, e hanno proprietà allucinogene (in molte culture indigene del Sud America erano usate per provocare stati di trance durante le cerimonie religiose) che non sono sfuggite a esponenti della cultura psichedelica, causando vari causi di grave avvelenamento. In giardino (o in vaso, dove le temperature non permettono la coltivazione in piena terra), sono piante di bellezza spettacolare, con lunghi fiori penduli che hanno loro guadagnato il soprannome di "trombe degli angeli", oltretutto delicatamente profumati; le sorelle Daturae con le loro larghe corolle rivolte verso l'alto vengono invece chiamate "trombe del diavolo", ma, come avrete capito, almeno quanto a pericolosità qui tra angeli e demoni c'è poca differenza. Originarie delle regioni tropicali del Sud America, lungo la cordigliera dal Venezuela al Cile, e del Brasile sud-orientale, furono selezionate e coltivate per secoli dalle popolazioni indigene sia per le loro proprietà medicinali sia per le proprietà psicotrope, tanto che sembra non esistano più allo stato naturale; introdotte come piante ornamentali, si sono invece naturalizzate in molte paesi tropicali e subtropicali, dove anzi la specie più diffusa, l'ibrido orticolo B. x candida, in alcuni paesi è considerata una pericolosa aliena infestante. Per qualche informazioni in più sulle diverse specie, rimando alla scheda. L'8 aprile 1788 nacque ufficialmente la Linnean Society di Londra, la più antica e più prestigiosa società dedicata allo studio e alla divulgazione della classificazione degli esseri viventi. Lo scopo fondamentale della nuova associazione era valorizzare le collezioni di Linneo che il giovane James Edward Smith aveva acquistato e fatto portare a Londra, probabilmente salvandole dal degrado o dalla dispersione. Per quarant'anni presidente della Linnean Society e custode di quella inestimabile eredità, egli stesso attivissimo studioso di botanica e entomologia, Smith faticò tuttavia a scrollarsi di dosso le riserve di coloro che pensavano dovesse il suo prestigio più ai soldi che alla competenza scientifica. Ne è prova la curiosa polemica che accompagnò la nascita del genere Smithia. Le collezioni di Linneo arrivano a Londra La mattina del 23 dicembre 1783 Joseph Banks sta facendo colazione nella sua elegante casa di Soho Square con un giovane ospite, lo studente di medicina James Edward Smith, quando riceve una lettera dalla Svezia: il figlio di Linneo è morto e la madre gli offre i manoscritti, la biblioteca e le collezioni del grande naturalista per 1000 sterline. Banks che, pure cinque anni prima aveva fatto un'offerta anche più consistente, è imbarazzato: pur ricchissimo, sul momento non dispone di quella somma (l'equivalente più o meno di 175.00 euro). Ma poi ha un'idea: perché il giovane Smith, figlio di un facoltoso mercante di Norwich, non chiede i soldi al padre, diventando così con un solo gesto il salvatore dell'eredità di Linneo e un benemerito della scienza e della patria? James Edward è entusiasta, il padre e il fratello maggiore un po' meno. "Mio caro James - gli scrive il padre - la somma è molto forte, il rischio e le difficoltà grandissimi, l'ansia prodigiosa e la possibilità di delusioni più grandi ancora". Ma quando dalla Svezia arriva il catalogo e il mercante scopre che il solo valore dei libri copre più che ampiamente la somma richiesta, annusa l'affare e apre il portafoglio. Nella primavera successiva, prima che si facciano avanti altri acquirenti (si vocifera che sia interessata anche la zarina Caterina II) o che le autorità svedesi pongano il veto, la trattativa viene conclusa; ad agosto Smith riesce anche a convincere il Tesoro a rinunciare alle tasse di importazione e ad ottobre, chiuse in 26 casse, le collezioni di Linneo lasciano la Svezia a bordo del brigantino Appareance. Si dice che il re di Svezia, appena rientrato dall'estero, abbia mandato una nave da guerra all'inseguimento; benché colorito (e raffigurato in una stampa dell'epoca), l'aneddoto è falso. Fu così che l'eredità scientifica di Linneo giunse in Inghilterra, e Londra sostituì Uppsala come capitale della biologia sistematica. Smith era ora il proprietario e il custode di una collezione inestimabile che comprendeva 19000 fogli di erbario, 3198 insetti, 1564 conchiglie, 2500 minerali, almeno 3000 libri e 4000 tra lettere e manoscritti. Inizialmente avrebbe voluto affidare il tutto al British Museum, ma poi decise di fare trasportare i materiali nella sua casa di Chelsea; Banks e il suo segretario Dryander lo aiutarono in un primo sommario esame, che servì soprattutto a individuare i doppioni. Intanto il padre di Smith sollecitava il figlio a riprendere gli studi di medicina; James Edward invece preferì partire per un grand tour di diciassette mesi in Europa, nel corso del quale si laureò in medicina a Leida, visitò la Francia e l'Italia e prese contatto con eminenti personalità dell'ambiente scientifico. Al suo ritorno a Londra, informò il padre che non intendeva seguire la carriera medica, ma che sarebbe diventato un naturalista (fin dal 1784 era stato ammesso alla Royal Society); il suo obiettivo principale era ora fondare una nuova società di storia naturale che divenisse custode e divulgatrice dell'eredità linneana. Per ospitare più degnamente le collezioni, affittò una nuova casa londinese a Great Marlborough Street; con il sostegno di Banks, insieme a Samuel Goodenough (classicista, teologo e naturalista dilettante, che qualche anno dopo sarebbe diventato vescovo di Carlisle) e Thomas Marsham (funzionario dello Scacchiere, appassionato di entomologia) fondò quindi la Linnean Society, le cui riunioni preliminari si tennero in un caffè di Marlborough Street il 26 febbraio e il 18 marzo; nella prima riunione generale (8 aprile 1788), tenuta invece nella casa di Smith, la società venne fondata ufficialmente e Smith, Goodenough e Marsham furono eletti rispettivamente presidente, tesoriere e segretario; Dryander fu nominato bibliotecario onorario. Inizialmente i membri erano 20, cui si aggiungevano 39 corrispondenti esteri, 11 associati e tre membri onorari (uno dei quali era Joseph Banks). Un'attività febbrile e molte polemiche La società prese a riunirsi regolarmente a casa di Smith due volte al mese, con una pausa estiva da luglio a ottobre. In cambio di un affitto di 20 sterline l'anno, aveva a disposizione due stanze, il locale per le riunioni e la biblioteca, che incominciò a crescere anche grazie alle donazioni di molti privati, tra cui lo stesso Banks. Inoltre dal 1794 presero ad uscirne i rendiconti, Transactions of the Linnean Society of London, che ben presto divennero una delle più prestigiose riviste scientifiche del pianeta. L'attività della Società, tuttavia, si reggeva su una situazione ambigua: era preposta allo studio e alla divulgazione delle collezioni di Linneo, che tuttavia erano di proprietà di Smith. Si riuniva nella sua casa ma non sembra, a parte l'uso della biblioteca, che i membri godessero di particolari privilegi per l'accesso alle collezioni. La situazione peggiorò quando nel 1796 Smith si sposò e insieme alla moglie decise di vivere a Norwich nove mesi all'anno, trascorrendone a Londra solo tre. Le presenze di Smith alle riunioni si fecero sempre più rare; inoltre, egli mise in vendita i minerali e fece trasportare il resto delle collezioni nella sua residenza di Norwich. La decisione arrivò dopo anni di assiduo impegno, che avevano logorato i nervi e la salute di Smith. Oltre a intrattenere gli ospiti che visitavano la sua casa, teneva conferenze di botanica e zoologia al Guy hospital e nella sua stessa dimora; dava lezioni di scienze naturali alla regina e alle principesse reali; aveva un'intensa attività di pubblicista; tra il 1790 e il 1793 iniziò la collaborazione con il grande illustratore Sowerby, per il quale scrisse le descrizioni della sua flora dell'Australia Icones pictae plantarum rariorum descriptionibus et observationibus illustratae. La residenza a Norwich consentiva a Smith - che comunque rimaneva al centro di una vastissima rete di corrispondenti, ai quali scriveva assiduamente - di sottrarsi alle "invidie e alle maldicenze, o anche peggio, tipiche degli artisti e degli autori di una grande città", come scrisse a Banks. D'altra parte, la sua posizione di custode del verbo linneano gli dava prestigio, ma allo stesso tempo ne limitava le possibilità di affermarsi come ricercatore originale; è significativo il fatto che la sua opera più importante, English botany, una gigantesca flora illustrata della Gran Bretagna, in 36 volumi (in 267 fascicoli mensili pubblicati nell'arco di 23 anni, dal 1791 al 1814), non sia uscita sotto il suo nome, ma sotto quella dell'illustratore James Sowerby, quasi Smith avesse ritegno nel firmare pubblicamente un'opera divulgativa. Non a caso, nonostante il sostegno di amici importanti come Banks, l'indubbio prestigio internazionale, una produzione sterminata (si calcola che abbia curato 3348 voci per l'Enciclopedia di Rees, in cui tra l'altro descrisse numerose piante inedite), il ruolo di curatore della più bella opera di botanica del suo tempo, la Flora graeca di Sibthorp, Smith non riuscì ad affermarsi sul piano accademico: nel 1814, la sua candidatura come professore di botanica a Cambridge fu respinta a causa della sua affiliazione religiosa (apparteneva alla chiesa unitariana); nel 1819, anche l'università di Edimburgo respinse la sua candidatura. Ma i dispiaceri più cocenti arrivarono da un vecchio amico dei tempi dell'Università, anch'egli tra i primi membri della Linnean Society, Richard Salisbury. A dividerli, furono rivalità sia personali sia scientifiche. Nel 1802, una discussione sui sistemi di classificazione (Smith difendeva il sistema linneano, Salisbury la classificazione naturale di Antoine-Laurent de Jussieu) sfociò in un violento litigio, in seguito al quale il permaloso Smith cercò di fare terra bruciata intorno a Salisbury inviando lettere di fuoco ai suoi corrispondenti. Nel suo moralismo poco sopportava i modi disinvolti dell'ex amico che, per non pagare gli alimenti alla moglie, aveva dichiarato una finta bancarotta (a quanto pare, danneggiando anche gli interessi finanziari di una sorella di Smith) e non aveva trovato di meglio che accompagnare in un bordello londinese un sedicenne protegé di Smith, un futuro pastore appena arrivato nella capitale. La rivalità tra i due raggiunse il parossismo nel 1804, quando Salisbury pubblicò un opuscolo in cui accusava Smith di aver copiato parola per parola nei suoi libri ottocento descrizioni linneane. D'altra parte, di plagi Salisbury si intendeva perfettamente: pochi anni dopo, sarebbe stato messo al bando dalla botanica inglese per aver pubblicato come propri i nomi delle Proteaceae creati di R. Brown (l'ho raccontato in questo post). Ma torniamo a Smith e alle collezioni di Linneo. Che queste ultime fossero a suoi occhi una proprietà personale, benché se ne proclamasse il custode in nome dell'umanità, fu chiaro alla sua morte, avvenuta nel 1828. A ereditarle non fu la Linnean Society, come probabilmente tutti si aspettavano, ma la moglie, che si affrettò a metterle in vendita. L'acquirente fu la stessa Linnean Society, che sborsò oltre 3000 sterline : tre volte il prezzo iniziale! E' vero che nel frattempo si erano aggiunte le ingenti collezioni dello stesso Smith, ma si può dire ugualmente che suo padre aveva visto giusto: l'acquisto dei materiali di Linneo era stato davvero un ottimo affare. Per trovare il denaro, la società dovette ricorrere a prestiti, riuscendo a estinguere il proprio debito solo più di trent'anni dopo, nel 1861. Per altre informazioni sulla vita di Smith e almeno sulle principali tra le sue numerose pubblicazioni, rinvio alla sezione biografie. Piante e botanici irritabili La rivalità tra Smith e Salisbury ebbe un curioso strascico che riguarda il genere Smithia. Nel 1789 nel terzo volume del catalogo dell'orto botanico di Kew (Hortus kewensis), con il nome Smithia sensitiva viene descritta una pianta indiana, introdotta in Inghilterra nel 1785. Pubblicato sotto il nome di W. Aiton, il giardiniere capo di Kew, Hortus Kewensis è in realtà un'opera collettiva, in cui le descrizioni furono redatte dai segretari di Banks (prima Solander e poi Dryander), mentre Aiton vi aggiunse informazioni sulla provenienza, l'introduzione in Inghilterra e indicazioni di coltivazione. Benché venga indicato nei repertori come Smithia Aiton, il nome del genere si deve dunque congiuntamente a Aiton e Dryander. Essi avrebbero dedicato questa modesta annuale della famiglia Fabaceae al fondatore della Linnean Society perché si tratta di una pianta sensitiva, ovvero di una di quelle che quando sono sottoposte a uno stimolo ritraggono o chiudono le foglie (argomento al quale, l'anno prima, Smith aveva dedicato il saggio Some observations on the irritability of vegetables). Nel 1808, in una lettera al direttore del Monthly Magazine, Salisbury dichiarò tuttavia che a creare il nome era stato lui, che aveva coltivato la pianta prima di tutti (già nel 1786 ne aveva inviato i semi a André Thouin del Jardin des Plantes) e che l'aveva nominata Smithia tre anni prima di Dryander, ma non per le ragioni che credeva il suo rivale. Secondo una (maligna) tradizione risalente a Linneo, si trattava in realtà di un suo ritratto vegetale: il fatto era che lui, Smith, era proprio un tipo irritabile, come aveva dimostrato per altro prendendosela a male per quello che era in fondo uno scherzo innocente. E in Paradisus Londinensis, fingendo di fare ammenda, rincarerà la dose, scrivendo: "Non che io abbia mai pensato che [Smithia] sia adeguata a commemorare i suoi meriti botanici, trattandosi di un'insignificante e ispida annuale; ma quella è ancora la mia opinione su alcuni dei suoi lavori". Nel loro odio reciproco, i due rivali cercarono anche di mettere di mezzo de Candolle: come quest'ultimo ricorda nelle sue memorie, quando stava sottoponendo a revisione tassonomica alcune denominazioni, Smith lo pregò di cancellare Smithia, perché si trattava di una pianta indegna che gli era stata dedicata come gesto di disprezzo; a sua volta Salisbury chiese di cancellare Salisburia perché non voleva debiti di riconoscenza con Smith che gliela aveva dedicata quando erano ancora amici. Forte delle ferree regole della nomenclatura botanica che aveva contribuito lui stesso a dettare, de Candolle giudicò che Smithia fosse un nome perfettamente legittimo, e lo lasciò; cancellò invece Salisburia, ma non per fare un piacere a Salisbury, bensì in nome della regola della priorità (si tratta di Gingko L.). Ma com'è questa Smithia, la pianta dello scandalo? E' un piccolo genere di erbacee o arbustini della famiglia Fabaceae (leguminose) soprattutto asiatico, ma presente anche in Africa e Australia, con massima diversità nel subcontinente indiano (diciassette specie su venti, con undici endemismi, nove dei quali confinate nei Gathi occidentali); alcune specie sono invece molto diffuse (tra di esse proprio S. sensitiva, presente in una vasta fascia da tropicale a temperata dall'Africa all'Australia). A parte un'unica specie quasi arbustiva, sono piccole erbe annuali, a volte dal portamento strisciante, delicate, con un ciclo annuale legato alle piogge; hanno modesti fiori papilionacei di diversi colori, ma prevalentemente gialli, spesso così piccoli da risultare insignificanti; fa eccezione S. setulosa, con vistosi fiori gialli con macchie aranciate, che dopo le piogge trasformano in una distesa dorata gli altopiani dei Gathi. Alcune specie molto comuni sono usate come foraggio e diverse hanno usi officinali nella medicina tradizionale. Qualche particolare in più nella scheda. A Waterloo quel fatidico 18 giugno 1815 c'erano due ragazzi con la testa piena di sogni di gloria: nella finzione romanzesca, Fabrizio del Dongo, che sognava di emulare Napoleone sui campi di battaglia; nella realtà, Carl Ludwig Blume, che sognava di diventare un secondo Humboldt nelle foreste tropicali. E se Fabrizio dovette adeguarsi alla grigia realtà della Restaurazione, Carl Ludwig poté partire all'esplorazione di Giava, descrivendone la flora nel pionieristico Bijdragen tot de flora van Nederlandsch Indië. Ma dopo gli anni eroici, anche a lui toccarono il grigiore accademico e le battaglie tragicomiche per imporre il discusso monopolio dell'Erbario nazionale olandese. Tassonomista instancabile, che ha stabilito centinaia di nuove specie e almeno 160 generi ancora validi, Blume è ricordato da ben tre generi attualmente accettati. Con una nota sul "vecchio sundanese" Bapa Santir e il genere Santiria. Un giovane ricercatore ambizioso La storia di Carl Ludwig Blume, grande botanico tedesco naturalizzato olandese, pioniere della descrizione della flora di Giava e primo direttore dell'Erbario nazionale olandese, incomincia sul campo di battaglia di Waterloo. Aveva appena diciotto anni e usciva da un'adolescenza nutrita dalla lettura di racconti di viaggio e dal sogno di emulare le gesta di Humbold nelle foreste tropicali; dopo aver studiato farmacia, a sedici anni si era arruolato come volontario nei mitici "cacciatori neri" del Lützowsche Jägercorps, dove divenne farmacista militare. Era a Waterloo con la sua unità mobile di ambulanze, nelle file dell'esercito prussiano; fu così che venne coinvolto nella grande operazione di soccorso ai feriti coordinata dal professor Brugmans dell'Università di Leida. Fu probabilmente quest'esperienza a spingerlo ad arruolarsi nell'esercito olandese, sempre come farmacista militare, e a trasferirsi a Leida; quando Brugmans (che potrebbe averlo conosciuto già a Waterloo) fu inviato a Parigi a recuperare le collezioni di storia naturale sottratte dai francesi, lo volle come assistente; lo spinse poi a coltivare il suo talento, iscrivendosi alla facoltà di medicina. Blume si laureò a tempo di record e divenne medico militare all'ospedale di Leida, dove già da due anni lavorava come farmacista. Fece subito domanda per essere inviato nelle Indie orientali olandesi e già nel 1818 (aveva appena compiuto 21 anni) fu inviato a Giava per assistere Reinwardt nei suoi compiti sanitari e nelle ricerche naturalistiche. Vi arrivò alla fine dell'anno e dal gennaio 1819 si stabilì a Buitenzorg (oggi Bogor), ospite dello stesso Reinwardt. Gli fu affidato l'incarico ufficiale di "Ispettore dei vaccini", ma al contrario del suo superiore che, oberato dai troppi compiti amministrativi, poteva dedicarsi al lavoro sul campo solo nei ritagli di tempo, sfruttò la sua posizione per prendere contatto con la popolazione locale, studiare le piante officinali indigene, visitare ampie porzioni del territorio e raccogliere una grande quantità di esemplari botanici (ma anche animali e minerali); i semi e le piante vive diedero un grande impulso agli esperimenti di acclimatazione all'Orto botanico di Bogor, alimentati anche dagli scambi con altri orti botanici, in particolare Calcutta, Mauritius e Rio de Janeiro. Nei sette anni che trascorse a Giava (1819-1826), Blume compì un gigantesco lavoro sul campo, visitando ampiamente le regioni occidentali e centrali dell'isola, spesso accompagnato da assistenti (in particolare, il giardiniere Kent) e da pittori, nonché da portatori indigeni. Tra il 1821 e il 1822 visitò la provincia da Bantam; sempre nel 1822 esplorò largamente il monte Salak e nel 1823 il monte Gedeh; nel 1824, come ispettore dei vaccini, effettuò una grande ricognizione delle regioni occidentali, che lo portò nel Kuripan, a Kravang e nell'isola di Nusa Kambangan, allora ricoperta di foresta vergine, dove poté studiare la Rafflesia; nel 1825 fu la volta delle provincie centrali (Rembang, di nuovo Bantam e monte Parang). Energico e ambizioso, nel suo desiderio di pubblicare le proprie scoperte senza passare attraverso il suo superiore, Blume finì per scavalcare Reinwardt e entrare in conflitto con lui. Incominciò a creare un proprio erbario, a inviare piante in Olanda a proprio nome e a preparare una pubblicazione sulla flora di Giava. Quando Reinwardt se ne accorse, deciso a imporre il proprio monopolio, invocò l'intervento del governo coloniale che requisì l'erbario di Blume, unendolo al suo, e vietò al giovane tedesco di pubblicare nel territorio olandese. Per documentare almeno in parte le sue scoperte, Blume allora ricorse a un escamotage: inviò lunghe relazioni ai fratelli Nees von Esenbeck, che le pubblicarono sotto forma di lettere nella rivista di Regensburg Flora. Nel 1822, con la partenza di Reinwardt per l'Olanda, Blume si liberò della sua ingombrante presenza e gli succedette nella direzione dell'Orto di Bogor (di cui di fatto era già il curatore). Con l'acquisita posizione ufficiale, cadeva anche il divieto di pubblicare sulle riviste olandesi, e Blume si affrettò a dare alle stampe le sue scoperte, prima che la priorità gli venisse sottratta da qualche altro botanico (temeva soprattutto Horsfield e Jack) o glielo impedisse la morte, sempre in agguato nel clima tropicale. Nel 1823 scrisse il primo catalogo dell'Orto botanico di Bogor (che include anche alcune specie descritte dal suo predecessore). Nel 1825 pubblicò un primo pionieristico lavoro sulle orchidee di Giava, Tabellen en platen voor de Javaansche orchideeën, "Tabelle e tavole sulle orchidee di Giava", cui tra il 1825 e il 1827 seguirono Bijdragen tot de Flora van Nederlandsch Indië, "Contributi sulla flora delle Indie olandesi". Pubblicati a Batavia, sono lavori estremamente sintetici, con poche illustrazioni, ma di capitale importanza nella storia della botanica della regione malese, in cui vengono descritti centinaia di generi e specie nuovi per la scienza. Nonostante lavorasse in fretta e con l'aiuto di poche opere di consultazione, Blume vi dimostra il suo grande valore di tassonomista, creando 18 nuove famiglie e circa 300 generi (160 tuttora validi); tuttavia le descrizioni (in latino, mentre il testo è in olandese) sono sommarie e, in assenza di illustrazioni, non sempre garantiscono una corretta identificazione. In effetti, nelle intenzioni di Blume i Bijdragen erano solo un abbozzo della sua vera flora di Giava, un'opera molto ambiziosa che avrebbe potuto scrivere solo in Europa, avendo a disposizione la letteratura più recente e gli esemplari conservati nei principali erbari, da confrontare con i propri. Iniziò così un'estenuante trattativa con il Ministero perché gli fosse concesso un congedo: chiese un permesso di quattro anni; alla fine, gliene furono concessi due, a patto che si pagasse le spese di viaggio e cedesse metà dello stipendio ai giardinieri di Buitenzorg, che lo avrebbero sostituito nella gestione del giardino durante la sua assenza. E così, nel giugno 1826 lasciò Giava (non vi avrebbe mai fatto ritorno) con 29 casse di materiali, compresi il proprio erbario, quello di Reinwardt e i materiali raccolti nei dintorni di Bogor dai giardinieri dell'orto botanico. Rimasero a Giava i doppioni (importanti per lo studio in loco) e l'erbario di Kuhl e van Hasselt (inviato al Museo di Leida nel 1828 da van Raalten). Come materiale d'imballaggio, Blume usò muschi ed epatiche; dopo il rientro in Europa, li inviò a C.J. Nees von Esenbeck, che ne ricavò uno studio sulle epatiche di Giava, pubblicato anche sotto il nome di Blume, per gentilezza accademica. Pubblicazioni scientifiche e un discusso monopolio Giunto a Bruxelles, allora capitale del regno, Blume riprese le trattative con il governo perché finanziasse Flora Javae: avrebbe dovuto essere una grande opera illustrata, in cento fascicoli in folio. Dopo discussioni senza fine, gli furono concessi 7000 fiorini, con 50 copie da cedersi allo Stato; le ulteriori somme necessarie sarebbero giunte attraverso sottoscrizioni. Le illustrazioni furono affidate al pittore J.C. Arckenhausen, con un contratto di quattro anni; per le descrizioni, inoltre, Blume fu affiancato da J.B. Fischer. Mentre lavorava alla pubblicazione maggiore, tra il 1827 e il 1828 Blume pubblicò Enumeratio plantarum Javeae et insularum adiacentium, minus cognitarum vel novarum, una selezione delle più interessanti specie raccolte a Giava da lui stesso, Reinwardt, Kuhl e van Hasselt; ancora senza illustrazioni e nello stesso stile sintetico dei Bijdragen, ma in latino (e quindi più accessibile agli studiosi di altri paesi), il primo volume è significativo per la pubblicazione di alcune specie inedite di angiosperme, mentre il secondo costituisce il primo tentativo di una presentazione complessiva delle felci della regione malese. I primi 35 fascicoli della Flora Javae, con circa 200 tavole, parte in banco e nero, parte colorate a mano, uscirono infine tra il 1828 e il 1830; poi i soldi finirono, e la pubblicazione venne sospesa, mentre anche la situazione politica si faceva difficile. Nel frattempo, Blume era stato coinvolto in una nuova avventura, e aveva abbandonato l'idea di tornare in Indonesia. Il suo vasto erbario aveva destato grande interesse ed era nata l'idea di creare un erbario nazionale per ospitarlo, insieme alle importantissime collezioni che Siebold stava inviando dal Giappone. Fu così che nel 1829 nacque il Rijksherbarium ("Erbario di Stato"), con sede a Bruxelles, di cui Blume fu nominato direttore, con il titolo di professore e uno stipendio pari a tre volte quello percepito come direttore dell'Orto di Buitenzorg. Tuttavia, il 25 agosto 1830 iniziò l'insurrezione che un anno dopo avrebbe portato all'indipendenza del Belgio. In quei giorni Blume era a Ginevra, in viaggio di nozze; a salvare le collezioni e a portarle fortunosamente a Leida fu Siebold, che era tornato dal Giappone proprio in quei giorni. Rientrato in Olanda, Blume gettò tutta l'energia e tutta la caparbietà del suo carattere nell'ampliamento delle collezioni del nuovo erbario. Si rivolse a rappresentanze consolari, ufficiali sanitari e missionari che operavano nelle colonie, affinché raccogliessero esemplari, giungendo anche a scrivere per loro un libretto di istruzioni. Altre collezioni furono procurate tramite acquisti (benché la situazione finanziaria dell'istituzione fosse così precaria che Blume non riuscì a fare assumere in modo permanente neppure i suoi principali collaboratori, Arckenhausen e Fischer). Interpretando in modo restrittivo una circolare ministeriale del 1830, inoltre, egli cercò di imporre la consegna all'erbario di Leida di tutte le raccolte fatte da persone alle dipendenze dallo stato, vietando inoltre l'invio di piante inedite agli erbari stranieri. Questo diktat colpiva sia Siebold (che in Giappone aveva lavorato come dipendente del Ministero della guerra) sia i membri della Natuurkundige Commissie, gli intrepidi ricercatori che proprio in quegli anni mettevano a rischio la propria vita esplorando la natura dell'Indonesia olandese. Questa pretesa poteva avere qualche giustificazione, ma era illegittima sul piano legale; inoltre offendeva profondamente i botanici impegnati sul campo, che si vedevano trasformati in puri raccoglitori al servizio della gloria accademica di Blume. Il quale, tuttavia, rincarò la dose: nel 1844, si oppose alla richiesta di Teijsmann di creare un erbario indipendente a Bogor; nel 1850, pubblicò nuove istruzioni per le collezioni dell'erbario, in cui ribadì il suo monopolio. Queste pretese suscitarono l'ostilità unanime dell'ambiente botanico olandese: gli erano ostili Reinwardt (non dimentico dei passati sgarbi) e i suoi allievi, tra cui l'influente de Vriese che, quando insegnava ad Amsterdam, vi creò un erbario indipendente; lo stesso Siebold (che inviò il suo erbario a Monaco); F.A.W. Miquel, che andava affermandosi come nuova stella della botanica olandese e succedette poi a Blume nella gestione dell'Erbario di stato; ma soprattutto i membri della Natuurkundige Commissie. Tanto più che Blume si mosse con la leggerezza di un rinoceronte di Giava alla carica: nelle sue riviste con penna avvelenata faceva le pulci ai suoi avversari, alla ricerca di errori e svarioni. Offese talmente il brillante Franz Junghuhn con critiche velenose su certe sue identificazioni che questi cedette le proprie collezioni all'Università di Leida, con la condizione esplicita che mai sarebbero confluite nell'Erbario di stato. Le male lingue incominciarono a moltiplicare le accuse contro di lui: gli si imputò di aver portato in Olanda l'intero erbario di Bogor, senza lasciare i duplicati per lo studio in loco, e di essersi impadronito delle collezioni di Kuhl e van Hasselt (entrambe le accuse sono false); di chiedere esemplari agli orti botanici stranieri senza dare nulla in cambio, perché voleva essere solo lui a pubblicare le specie inedite (l'accusa è vera, ma forse fu dovuta essenzialmente alla carenza di personale); di allontanare tutti i collaboratori con la sua personalità dominante, impedendo di fatto o procrastinando per decenni la pubblicazione delle nuove specie. In effetti, l'attività scientifica di Blume non si arrestò mai, ma continuò ad essere ostacolata dalla carenza di denaro; fu anche sfortunato con i suoi collaboratori, alcuni dei quali morirono giovani, altri cambiarono lavoro o non si dimostrarono all'altezza del compito. Negli anni '40, egli cercò di riprendere l'attività editoriale lanciando una rivista, De Indische Bij, dedicata alla natura, alla storia e all'etnografia dell'arcipelago indonesiano, di cui però uscì un solo numero nel 1843. Tra il 1836 e il 1849 con il titolo Rumphia (omaggio a Georg Eberhardt Rumphius, primo studioso della flora delle Molucche) pubblicò una seconda grande opera dedicata alla flora indonesiana, in quattro volumi ancora magnificamente illustrati da Arckenhausen. Alla fine degli anni '40, non sappiamo con quali finanziamenti, riprese la pubblicazione di Flora Javae; nel 1847 uscirono i fascicoli 36-39, nel 1851 il fascicolo 40, nel 1851 i fascicoli 41 e 42. Anche in risposta alle critiche ricevute per la sua gestione monopolistica dell'Erbario di stato, nei primi anni '50 iniziò la pubblicazione del catalogo dell'erbario, un lavoro che evidentemente non lo appassionava, visto che venne abbandonato dopo i primi due volumi. Negli ultimi anni della sua vita, Blume ritornò a un vecchio amore, quello per le orchidee. Nei suoi primi anni a Giava, aveva progettato di dedicare loro un libro, scritto in collaborazione con van Hasselt (l'unico rapporto documentato tra Blume e i primi membri della Natuurkundige Commissie: vivevano insieme, erano coetanei, eppure ciascuno condusse spedizioni indipendenti, non di rado visitando le stesse località; forse Blume li considerava degli estranei catapultati dall'Olanda a usurpare il suo ruolo di scopritore della flora di Giava); dopo la morte di van Hasselt, vi rinunciò, accontentandosi della breve sintesi delle Tabellen. Vi tornò ora con la seconda serie di Flora Javae (1858-59), pubblicata a proprie spese e interamente dedicata alle Orchidaceae. E' un'opera splendida e decisiva perché vi sono illustrati molti generi importanti, molti dei quali stabiliti da Blume già nei Beijdragen; tra i più noti, Phalaenopsis, Arachnis, Spathoglottis e Dendrochilum. Fu anche tra i primi a descrivere orchidee della Nuova Guinea, tra cui Cypripedium glanduliferum, oggi Paphiopedilum glanduliferum, e Latouria spectabilis, oggi Dendrobium spectabile. Morì a Leida nel 1862. Una sintesi della sua vita nella sezione biografie. Da Blumea a Blumeodendron Al di là dei limiti caratteriali, Blume fu senza dubbio uno dei maggiori botanici della sua generazione e il suo contributo alla conoscenza della flora del sudest asiatico è incalcolabile. Dunque non mancarono gli omaggi, a partire dal nome della rivista ufficiale dell'Erbario di stato di Leida, Blumea (oggi pubblicata in formato elettronico, è l'organo del Naturalis Biodiversity Center, che riunisce le principali collezioni nazionali di zoologia e botanica dei Paesi Bassi, in un'unità di intenti che forse non gli sarebbe dispiaciuta). Lo ricordano i nomi specifici blumei e blumeanus (la specie più nota è sicuramente Coleus blumei, oggi ribattezzata Plectranthus scutellarioides) e ben tre generi riconosciuti: Blumea DC, Blumeopsis Gagnep., Blumeodendron (Müll. Arg.) Kurz. Ostracizzato dai botanici di casa, Blume era invece apprezzato nell'ambiente internazionale, in particolare a Parigi, che visitò più volte, intrattenendo anche cordiali rapporti personali con diverse personalità della scienza francese. Tra di essi anche Augustin Pyramus de Candolle che nel 1833 gli dedicò Blumea (famiglia Asteraceae), separandolo da Conyza. E' un vasto genere di piante erbacee cui appartengono una cinquantina di specie distribuite soprattutto nelle aree tropicali e subtropicali dell'Asia orientale, con qualche presenza in Africa e in Oceania. Ricche di oli essenziali, diverse specie sono usate nella medicina tradizionale in India, in Cina e nel Sudest asiatico. La dedica di de Candolle non è casuale, poiché Blume, nella sua veste di ispettore sanitario, fu molto attento alle piante medicinali locali, da preferirsi alle droghe europee che in seguito al lungo viaggio perdevano grande parte della propria efficacia. Qualche informazione in più nella scheda. Nel 1920, il botanico francese François Gagnepain, sulla base di alcune particolarità delle antere e della distribuzione dei fiori femminili e bisessuali nei capolini, separò da Blumea DC Blumeopsis ("simile a Blumea"), un genere monotipico rappresentato da un'unica specie, B. flava, un'erbacea nana presente nella Cina meridionale, nel subcontinente indiano e nel sudest asiatico. Recenti studi filogenetici, tuttavia, porteranno probabilmente alla cancellazione di questo genere, che in realtà non è distinguibile da Blumea. Per ora è ancora considerato valido da repertori come Plant List; rimando alla scheda per altre notizie. La denominazione Blumeodendron ("albero di Blume") fu invece creata da J. Müller nel 1866 per distinguere una sezione del genere Mallotus, sulla base di M. tokbrai, una pianta delle foreste montane a sostrato acido raccolta da Blume (tokbrai è il nome sundanese) e coltivata nell'orto botanico di Bogor. Blume l'aveva descritta nei Bijdragen sotto il nome di Elateriospermum tokbrai. Infine, nel 1873 W.S. Kurz ne riconobbe l'appartenenza a un nuovo genere, che denominò appunto Blumeodendron, riprendendo la denominazione di Müller. Questo piccolo genere della famiglia Euphorbiaceae comprende cinque specie di alberi decidui endemici del sudest asiatico (Thailandia, Malaysia, Indonesia, Nuova Guinea), delle isole del Pacifico occidentale e della Papuasia. Un approfondimento nella scheda. Santiria, omaggio alla sapienza botanica indigena Prima di congedarmi dal discusso Carl Ludwig Blume, vorrei ricordare una piccola vicenda che gli rende onore, rendendolo molto più umano e simpatico ai nostri occhi. Blume, l'abbiamo visto, era stato prima di tutto un ufficiale sanitario, una persona a cui stava a cuore la salute delle persone. Nelle sue attività di ispettore dei vaccini a Giava dimostrò di non fare distinzione tra funzionari bianchi e popolazione locale; si preoccupò del benessere di entrambi i gruppi e non ebbe mai alcuna prevenzione etnocentrica nei confronti della medicina tradizionale, considerando gli esperti di erbe locali una fonte di grande valore. Gli immensi risultati delle sue ricerche non avrebbero potuto essere raggiunti senza l'aiuto delle guide indigene e senza la loro conoscenza degli ecosistemi dell'isola e delle proprietà delle piante. Uomo senza pregiudizi, volle riconoscere questo contributo dedicando il genere Santiria al più abile e devoto di questi collaboratori, il "vecchio sundanese" Bapa Santir che lo aveva accompagnato nella scalata del monte Salak nel 1822 (i sundanesi sono un gruppo etnico della parte occidentale dell'isola di Giava). Questa dedica (Blume la pubblicò nel 1850, nel primo volume del Catalogo dell'Erbario di Stato) suscitò l'indignazione dell'arcinemico Junghuhn; come si era permesso Blume di attribuire a una "persona indegna", un semplice pakke drager (un portatore di bagagli, un coolie) un onore che spettava solo ai migliori botanici? al contrario, Bapa Santir (spiace di non sapere nient'altro di lui; l'appellativo bapa, che significa padre, indica una persona anziana e autorevole) secondo la testimonianza di Blume era il più grande conoscitore della flora di Giava che egli avesse incontrato, un'autorità locale che sapeva tutto sulle piante (molto meglio di qualsiasi botanico europeo) e gli fu guida fedele e espertissima. Il bello è che, mentre Blume era considerato un conservatore, in Olanda Junghuhn si atteggiava a progressista e illuminato. Non nei confronti dei colonizzati, evidentemente. Il genere Santiria, della famiglia Burseraceae, comprende circa 15 specie, una (o tre, secondo altri) originaria dell'Africa occidentale tropicale, le restanti endemiche della regione malese, con massima biodiversità nel Borneo. Sono alberi da piccoli a grandi della foresta umida a bassa altitudine, spesso su substrato acido, che crescono relativamente in fretta e costituiscono la specie dominante in talune aree; il legname di alcune specie, noto come kedondong (nome che hanno in comune con altre Burseriaceae) è ricercato a livello locale perché duro e duraturo. Alcune specie, ad esempio l'africana Santiria trimera, producono frutti eduli. Qualche notizia in più nella scheda. All'ombra di altissimi bambù, nell'Orto botanico di Bogor nell'isola di Giava c'è un angolo singolare: è un antico cimitero (la prima tomba fu eretta nel 1784, 33 anni prima che Reiwardt fondasse il giardino) con 41 tombe. In una delle più modeste - un semplice cippo parallelepipedo sormontato da una colonna - riposano insieme due amici che condivisero gli studi, la passione per la scienza, gli entusiasmi e le fatiche della prima missione scientifica ufficiale nelle Indie orientali olandesi, la morte precoce. Sono il tedesco Heinrich Kuhl (morto a 24 anni) e l'olandese Johan Coenraad van Hasselt (morto a 26). Erano soprattutto zoologi, il cui contributo, in particolare all'ornitologia e all'erpetologia, fu di enorme valore; ma non disdegnarono la botanica, raccogliendo molte nuove specie di orchidee. Con una scelta toccante e felice, sono ricordati insieme dal genere Kuhlhasseltia, che comprende piccole ma graziose orchidee terrestri endemiche dell'Asia orientale. Una Commissione dagli esiti tragici A cavallo degli anni '20, il nuovo regno unito dei Paesi Bassi (era stato creato nel 1815 dal Congresso di Vienna, unendo i Paesi Bassi e il Belgio, come stato cuscinetto in funzione antifrancese) sembra percorso da un nuovo entusiasmo per le antiche colonie dell'Asia orientale. In effetti, dopo la sconfitta di Napoleone, il paese si trovava in un grave stato di decadenza economica, culturale e scientifica; i territori delle Indie orientali olandesi, che adesso, dopo lo scioglimento della Compagnia olandese delle Indie Orientali, erano passati sotto amministrazione statale, potevano offrire un contributo decisivo per risollevarne le sorti. Fu così che, senza neppure attendere gli esiti della missione di Reinwardt, il neo re Guglielmo I decise di fondare due nuove istituzioni destinate allo studio e alla valorizzazione delle loro risorse naturali. Nel maggio 1820 nacque la Natuurkundige Commissie voor Nederlandsch-Indië (Commissione di Scienze Naturali per le Indie Olandesi) cui sarebbe stata affidata l'esplorazione di quei territori, con compiti tanto economici quanto scientifici: da una parte il rilevamento delle risorse minerarie, dall'altra la schedatura della flora e della fauna dell'arcipelago. Ad agosto, seguì la creazione del Rijks Museum voor Natuurlijke Historie (Museo di Stato di Storia naturale), destinato a studiare e ospitare le collezioni raccolte in Indonesia. A presiedere entrambe, un eminente zoologo e collezionista, Coenraad Jacob Temminck. La Commissione era costituita da quattro membri (scelti tra naturalisti, geografi, geologi, pittori e tassidermisti) che venivano inviati nelle isole per un periodo di quattro anni. Nei suoi trent'anni di vita (1820-1850) coinvolse complessivamente diciotto persone, dodici delle quali perirono nel corso delle missioni, finché quest'alto tasso di perdite convinse il governo a sciogliere l'istituto. Nel frattempo, erano state organizzate spedizioni a Giava, Sumatra, Nuova Guinea, Borneo e Timor, con risultati impressionanti per quantità e qualità, che tra il 1839 e il 1847 vennero pubblicati in Verhandelingen over de natuurlijke geschiedenis der Nederlandsche Overzeesche bezittingen ("Rendiconti di storia naturale dei possedimenti olandesi d'oltremare"). In questo post racconterò la storia, tragicissima, dei primi quattro membri della Commissione, nessuno dei quali rivide mai la patria. All'atto dell'istituzione della Commissione, Temminck, su raccomandazione del Professor van Swinderen dell'Università di Groninga, propose la candidatura di un brillantissimo giovane scienziato tedesco, che si era perfezionato a Groninga dove era diventato assistente di Swinderen: Heirich Kuhl. Ma era impossibile ingaggiare Kuhl senza coinvolgere il suo migliore amico, l'olandese Johan Coenraad van Hasselt. I due si erano conosciuti all'Università di Groninga nel 1816 - coetanei, all'epoca avevano diciannove anni - ed erano diventati inseparabili. Entrambi appassionati di scienze naturali (anche se, di formazione, Hasselt era un fisiologo), nell'estate del 1818 avevano fatto insieme un viaggio di studio in Germania dove avevano visitato le principali istituzioni scientifiche; nell'aprile del 1819, già pensando a una possibile missione in Oriente, il solo Kuhl era andato a Londra, dove era stato amabilmente accolto da James Edward Smith, presidente della Linnean Society, e dallo stesso Banks; a novembre, di nuovo con van Hasselt, aveva visitato Parigi, incontrando Geoffroy de Saint-Hilaire e Jean-Baptiste de Lamarck. Ma l'incontro più appassionante era stato quello con Humboldt, che aveva loro aperto le porte dell'Accademia delle scienze e di molte collezioni private. I due amici, evidentemente, sognavano di emulare il loro idolo von Humboldt e non vedevano l'ora di partire, ma insieme. Grazie a un'efficace azione di lobbing di Swinderen e Temminck, il ministro dell'Istruzione accolse anche van Hasselt nella Commissione, che fu poi completata dal tassidermista Gerrit van Raalten e dal pittore Gerrit Laurens Keultjes. Come meta per la prima missione fu scelta Giava, di cui le esplorazioni di Reinwardt stavano dimostrando la grande potenzialità. Le collezioni raccolte sarebbero state inviate al Museo di storia naturale di Leida (anche se, come si è visto sopra, sarebbe stato fondato ufficialmente solo qualche mese dopo), di cui Kuhl venne nominato curatore. Due amici divisi e riuniti dalla morte Il 10 luglio 1820 i quattro lasciarono l'Olanda a bordo della Nordloh, che dopo un viaggio di sei mesi, nel corso del quale toccarono Madeira, Città del Capo e le Isole Cocos, li portò a Batavia, dove sbarcarono a dicembre. Il governatore generale Van der Capellen assegnò loro un alloggio a Buitenzorg (oggi Bogor), che sarebbe diventato il loro quartier generale. Entusiasti e instancabili, i ragazzi (è il caso di dirlo: il pittore, con i suoi 34 anni, era quasi un papà per i suoi tre compagni, tutti coetanei, che di anni ne avevano solo 23) si misero immediatamente al lavoro, abusando sicuramente delle proprie forze. I primi quattro mesi vennero trascorsi nei dintorni di Buiterzorg che offrivano ad ogni passo una messe di specie nuove per la scienza; oltre a decine di animali, raccolsero 185 specie di felci, 70 di muschi, 100 di funghi; non passava giorno che non trovassero qualche nuova specie di orchidea. All'attività sul campo seguiva l'esame dei materiali raccolti, accompagnato dall'attento studio dei disegni e degli erbari di Reinwardt. L'esplorazione a tappeto dell'area di Buitenzorg permise, secondo Kuhl, di raggiungere "una conoscenza tanto completa quanto quella che si possiede per qualsiasi parte d'Europa". I due amici progettarono quindi una spedizione a Bantam, una provincia allora poco nota, ma un'epidemia di colera li convinse a spostarsi sulle montagne; nell'estate, scalarono il Gunung Salak, il Gunung Gede e il Gunung Pangrango, dove raccolsero molti rettili e anfibi. Alla base del Pangrango, visitarono anche le fonti termali situate tra Rompin e Waroe, dove trovarono una flora interessante e ancora poco nota. Sorpresi da violenti temporali, entrambi contrassero la polmonite; complicazioni epatiche aggravarono le condizioni di Kuhl che, dopo quattro settimane di sofferenze, morì il 14 settembre 1821; van Hasselt, che era medico, lo curò amorevolmente, sconvolto dalla serenità e dalla calma con la quale l'amico accettava la propria sorte. Fu così grande il dolore di perdere colui con il quale per cinque anni aveva diviso gli studi e la vita che cadde in un profondo stato di prostrazione, tanto che van Capellen lo fece trasportare nella propria residenza. Due giorni dopo, moriva anche il pittore Keultjes. L'avventura indonesiana di Kuhl e Keultjes era durata appena nove mesi. Una sintesi della breve ma intensa vita di Kuhl nella sezione biografie. Dopo un lento recupero, van Hasselt e van Raalten (che aveva assunto anche il compito di pittore) dedicarono il 1822 all'esplorazione della zona costiera nei pressi di Batavia, quindi alla costa occidentale, nei dintorni di Anyer. Nel 1823 ripresero il progetto di visitare la provincia di Bantam e scalarono il monte Karang; tuttavia van Raalten si ammalò e fu sostituito dai pittori Janus Theodor Bik (che già aveva accompagnato Reiwardt) e Antoine Maurevert; conosciamo i particolari di questa spedizione grazie al diario di viaggio di Bik, che venne pubblicato qualche anno più tardi. I tre esplorarono la provincia vistandone tanto le zone costiere quanto le catene montuose; verso la metà di agosto, van Hasselt fu colpito da una violenta infezione addominale (presumibilmente amebiasi); tra riprese e ricadute, venne riportato in portantina a Buitenzorg, dove però si spense due giorni dopo l'arrivo, l'8 settembre 1823. Anche per la vita di van Hasselt, rimando alla sezione biografie. Per volontà di van der Capellen, egli fu sepolto nella tomba dove già da quasi due anni esatti riposava Kuhl. Su una faccia del cippo, il governatore fece incidere queste parole: "Come divisero ogni cosa in vita, rimangono insieme dopo la morte, come esempio di devozione, amicizia e amore per la scienza". Sulla faccia opposta, l'epitaffio recita: "In memoria di H. Kuhl, di Hanau, e di J.C. van Hasselt, di Groninga, dottori in medicina, che, sotto gli auspici del re, furono inviati qui a studiare la natura, entrambi dotati di mente eccellente e industriosi nei loro studi, ma soprattutto congiunti da una speciale amicizia fin dalla giovinezza, mentre assolvevano ai loro compiti con grande dedizione soccombettero a una morte precoce, dovuta all'esaurimento per un lavoro strenuo e una fatica eccessiva". Strenuo davvero era stato il loro lavoro: in soli nove mesi Kuhl e in meno di tre anni van Hasselt inviarono al Museo di Leida 200 scheletri, 200 pelli di mammiferi di 65 specie, 2000 uccelli, 1400 pesci, 300 rettili e anfibi, oltre a insetti, crostacei e altri animali marini. Quelli raccolti nell'ultimo viaggio di van Hasselt, per ordine del governatore furono affidati a van Raalten, che li catalogò e li preparò per l'invio in Olanda. Gigantesco fu anche il contributo di Keultjes che lasciò circa 1200 disegni. Anche il materiale botanico fu inviato in in Olanda, dove confluì in gran parte nelle collezioni dell'Erbario nazionale. L'unico sopravvissuto, van Raalten, sarebbe andato incontro al suo destino qualche anno più tardi. Rimasto a Giava, nel 1827 accompagnò Heinrich Christian Macklot in un viaggio attraverso il Preanger (Giava occidentale), dove fu ferito da un rinoceronte. Nel 1828 partecipò alla spedizione della Commissione in Nuova Guinea (insieme a Macklot, Müller, Zippelius e van Oort) nel corso della quale morì a Timor. Congiunti nella tomba, congiunti nella denominazione L'importanza del contributo di Kuhl e van Hasselt alla conoscenza della fauna di Giava è testimoniato dalle dozzine di specie di animali che portano il loro nome: tra gli altri, i pipistrelli Pipistrellus kuhlii e Myotis hasseltii, i batraci Limnonectes kuhlii e Leptobrachium hasseltii, moltissimi pesci tra cui il genere Kuhlia, Pangio kuhli e Callogobius hasseltii; e ancora uccelli, insetti, molluschi. Numerose sono anche le piante che li ricordano nel nome specifico, ad esempio Hoya kuhlii e Dyospiros hasseltii. Nel 1825, appena seppe della morte dei due giovani, Kunth (il collaboratore di Humboldt che li aveva conosciuti in occasione del loro viaggio a Parigi) volle celebrarli con una dedica gemella, intitolando a ciascuno di loro due alberelli sudamericani piuttosto affini, Kuhlia glauca e Hasseltia floribunda. Entrambi i generi, un tempo assegnati alla eterogenea famiglia della Flacourtiaceae, sono ora confluiti nelle Salicacae; il primo tuttavia non è più riconosciuto (è sinonimo di Banara). Hasseltia Kuhn comprende quattro specie di arbusti e piccoli alberi delle foreste tropicali del Centro e del Sud America. La specie più diffusa è proprio Hasseltia floribunda, presente nelle foreste tropicali umide di Panama e Costa Rica; è caratterizzata da infiorescenze bianche a ombrella molto ramificata. Nel Novecento da Hasseltia sono dati distaccati inoltre due generi monotipici molto affini: Hasseltiopsis (creato da H.O. Sleumer nel 1938) il cui unico rappresentante è H. dioica, un albero piuttosto raro delle foreste nebulose del Messico e della Costa Rica; Macrohasseltia (creato da L.O. Williams nel 1961), rappresentato da M. macroterantha, relativamente diffuso nelle foreste umide dal Messico a Panama. Qualche approfondimento su Hasseltia, Hasseltopsis, Macrohasseltia nelle rispettive schede. Ma la dedica più bella e più poetica è giunta nel 1910 grazie al grande esperto di orchidee Johannes Jacobus Smith, che come i due amici esplorò la flora di Giava e dal 1913 al 1924 fu direttore dell'orto botanico di Bogor. Ricordando la loro amicizia e il loro amore per le orchidee, volle congiungere i loro nomi in Kuhlhasseltia. Si tratta di un piccolo genere (5-8 specie) di minute orchidee terrestri che crescono nel sottobosco delle fitte foreste dell'Asia orientale su muschi e detriti di foglie; di piccole dimensioni e per nulla vistose, sono rarissimamente coltivate e assai rare anche in natura. Per la loro bellezza delicata, fanno parte delle cosiddette "orchidee gioiello". Così discrete e gentili, mi sembrano molto adatte a ricordare i due amici, pionieri degli studi sulle orchidee del Sud est asiatico. Qualche notizia in più nella scheda. Andrea Vesalio è noto come il padre dell'anatomia moderna: la sua spettacolare Fabrica segnò la rottura con la tradizione galenica e l'inizio dello studio del corpo umano basato sull'osservazione diretta e la dissezione. Gli interessi per la botanica furono marginali nella sua carriera scientifica, tutta rivolta all'anatomia, ma come medico di successo ebbe sicuramente a che fare con le piante medicinali, come dimostra nell'unica opera che dedicò all'argomento, da cui emerge come anche in questo campo si fece guidare dall'esperienza e da un cauto scetticismo. Per celebrare uno dei più grandi conterranei, a pochi anni dall'indipendenza nazionale, con un sussulto nazionalistico due botanici belgi gli dedicarono il genere Vesalea, cancellato appena due anni dopo la creazione, ma recentemente riportato in auge. Anatomia, farmaci esotici e un tragico pellegrinaggio Il recente recupero del genere Vesalea per accogliere le specie americane di Abelia mi dà il destro di parlare di uno dei più grandi protagonisti della rivoluzione scientifica del Rinascimento, Andrea Vesalio. La sua Fabrica (De humani corporis fabrica libri septem) esce in quello stesso 1543 in cui Copernico termina, poco prima di morire, De Rivolutione orbium celestium e ha nel campo della medicina lo stesso significato di svolta e di rottura dell'opera copernicana in quelo dell'astronomia. Con questo libro, che unisce la descrizione del corpo umano basata sull'osservazione diretta a tavole spettacolari disegnate da allievi di Tiziano, nasce l'anatomia moderna. Rompendo con la tradizione galenica (di Galeno nell'edizione del 1555 elencherà 200 errori, dimostrando che le sue descrizioni anatomiche si basavano sulla dissezione di animali, non di esseri umani), Vesalio si procurerà fama, il prestigioso incarico di medico imperiale, ma anche irriducibili nemici. Il più accanito sarà il suo stesso maestro, Jacques Dubois detto Sylvius, che nel suo pamphlet "Confutazione delle calunnie rivolte contro l'anatomia di Ippocrate e Galeno da un pazzo furioso" (il pazzo furioso, in latino vesanus, è un gioco di parole per Vesalius) non esiterà a rivolgere questo appello a Carlo V: "Imploro sua Maestà l'imperatore di punire, con la severità che merita, questo mostro nato e allevato nella sua stessa casa, questo perniciosissimo esemplare di ignoranza, impudenza, arroganza e empietà, di sopprimerlo completamente, prima che possa ammorbare il resto d'Europa con il suo fiato pestilenziale". E per respingere le evidenze di Vesalio, arriverà a sostenere che Galeno aveva dato una descrizione del corpo umano perfetto, com'era ai suoi tempi, ma quest'ultimo nei secoli intercorsi si era corrotto e degenerato. Quali furono i rapporti tra il padre dell'anatomia e la botanica? Ovviamente, come tutti i medici del suo tempo Vesalio conosceva a fondo le erbe medicinali che fornivano la stragrande maggioranza dei medicamenti, tanto più che discendeva da una famiglia di illustri medici e farmacisti; inoltre divise buona parte della sua vita tra i due principali centri dell'innovazione botanica del Cinquecento: da una parte le natie Fiandre, dall'altra l'Italia (insegnò all'università di Padova, fece dimostrazioni anatomiche a Bologna e fu in contatto con l'ambiente mediceo). Quanto all'ambiente tedesco, documentati sono i rapporti personali con Fuchs, cui inviò un semplice all'epoca molto celebrato, il rhaponticum (forse Rhaponticum arthamoides); il botanico tedesco non solo utilizzò il libro di Vesalio come principale fonte del proprio manuale di anatomia (in alcune parti, un vero e proprio plagio), ma ebbe a definirlo frutto dell'illuminazione divina. La grande importanza delle immagini per la conoscenza e la diffusione del sapere ma anche come strumento argomentativo è comune ai due studiosi, come è stato sottolineato da S. Kusakawa nel suo importante saggio Picturing the nature. Image, text, and argument in sixteenth century human anatomy and medical botany, che mette a confronto l'uso delle immagini in De corporis humani fabrica di Vesalio e in De historia stirpium di Fuchs. Nei suoi difficili anni alla corte spagnola come medico di Filippo II, in cui Vesalio dovette affrontare un ambiente ostile e la rivalità dei colleghi, ebbe rapporti amichevoli con il medico e botanico Francisco Hernandez e poté approfondire la sua conoscenza dei semplici che affluivano dalle Indie. Verso questi ultimi il suo approccio fu allo stesso tempo aperto e cauto, come possiamo ricavare dall'unica sua opera dedicata alla botanica medica, Epistola, rationem modumque propinandi radicis Chynae decocti [...] pertractans (1546). A offrire il pretesto per quest'operina (che nella seconda parte si trasforma in una risposta alle accuse di Sylvius) fu un amico di Malines, Joachim Roelant, che gli chiese la sua opinione su un farmaco alla moda, la radice china (scritto in vari modi, anche radix Chyna, radix Chyna, radix Cynna); questa radice medicamentosa, a quanto pare tratta da una specie di Smilax (quella che Linneo denominerà appunto Smilax china, ma forse semplicemente una varietà cinese della nostra Smilax aspera, la salsapariglia) intorno al 1525 era stata portata a Goa da mercanti cinesi e da qui importata in Europa dai portoghesi; aveva conosciuto un immediato successo, affermandosi come specifico contro la sifilide (un suo estimatore per questo impiego fu ed esempio Mattioli) ma anche contro altre malattie, in particolare la gotta; la moda dilagò quando la adottò lo stesso imperatore Carlo V. La risposta di Vesalio è molto prudente e pacata (non può certo mettere in discussione il parere dell'imperatore, e suo datore di lavoro), ma ferma. Basandosi sulla propria esperienza medica, nega che la radix china abbia particolare efficacia contro la sifilide, preferendole di gran lungo il guaiaco (legno di Guaiacum sanctum e G. officinale); lo considera invece efficace per la cura della gotta e delle artriti, per le sue proprietà sudorifere. D'altra parte, mette in guardia contro l'idolatria per i rimedi esotici: oltre ad essere costosi, venduti sotto forma di polveri e parti essiccate, senza che se ne possa verificare la provenienza, sono spesso oggetto di contraffazioni e soperchierie. Meglio dunque rivolgersi a semplici nostrani, di altrettanta comprovata efficacia. Ricorda di aver curato un grave attacco di gotta del suo illustre paziente utilizzando un decotto a base di camedrio (Teucrium chamaedrys) e altre erbe; consiglia anche la tormentilla (Potentilla erecta). Un ultimo legame con la botanica ci riporta all'estremo, tragico viaggio di Vesalio. Nella primavera del 1564, egli lasciò la corte di Filippo II per un pellegrinaggio in Terra Santa. Su questo episodio sono fiorite le più incredibile leggende (tra la più gettonata quella secondo la quale, mentre dissezionava un nobiluomo o una nobildonna, fu evidente che il cuore batteva ancora; condannato a morte dall'inquisizione per aver praticato la vivisezione, fu graziato dal re, che commutò la pena nel pellegrinaggio); molto più probabilmente, secondo la testimonianza di Clusio, che giunse a Madrid proprio il giorno dopo la sua partenza, Vesalio, malato nel corpo e insofferente dell'atmosfera ostile della corte, aveva ottenuto il permesso di recarsi in pellegrinaggio per motivi di salute. Oltre alla devozione, tra le motivazioni del viaggio c'era anche il desiderio di esplorare le piante medicinali della pianura di Gerico. In effetti, alcuni contemporanei lo accusarono, una volta in Palestina (ma nel caso di Vesalio, mito e realtà, o se volete fatti e fake news, si mescolano continuamente), di aver dedicato più tempo alle piante che alla visita dei luoghi santi. Ma di queste eventuali ricerche non è rimasta traccia; Vesalio infatti durante il viaggio di ritorno morì a Zante, in circostanze, tanto per non smentirsi, ancora una volta misteriose. Una sintesi della sua vita di cortigiano, ma anche di "uomo contro" nella sezione biografie. A chi desidera approfondire il contributo del grande padre dell'anatomia, consiglio il bellissimo sito vesaliusfabrica.com, pubblicato in occasione del cinquecentesimo anniversario della nascita e ricchissimo di contributi (incluso l'accesso alla prima edizione digitalizzata di De corporis humani fabrica). Vesalea, Abelia, Vesalea? o magari Linnaea? Nel 1842, il raccoglitore belga A. B. Ghiesbreght, che esplora la flora del Messico insieme a H.G. Galeotti e J.J. Linden, nelle montagne degli stati di Veracruz e Oaxaca raccoglie due nuove specie di arbusti; importate in Belgio (dove Galeotti ha fondato un proprio vivaio per la diffusione delle piante messicane), vengano subito immesse nel mercato con il nome un po' fantasioso di fuchsia messicana. Due anni dopo lo stesso Galeotti, insieme a M. Martens, riconoscerà la loro appartenenza alla famiglia delle Lonicerae (oggi Caprifoliaceae) e l'affinità con Abelia; sulla base di alcune particolarità dell'ovario i due creano il nuovo genere Vesalea, in onore del grande conterraneo, l'anatomista belga Andrea Vesalio. Il nuovo genere ha però vita brevissima: due anni dopo, il francese J. Decaisne, rilevando un errore nella descrizione dei due colleghi, lo fa confluire in Abelia. Questa è la situazione per circa 160 anni, finché le ricerche filogenetiche (come abbiamo visto in questo post) mettono in crisi lo stesso genere Abelia; due le possibili soluzioni: la confluenza di Abelia in Linnaea (la linea seguita da Plants of the World); la sua divisione in generi più piccoli monofiletici (la linea seguita da Plants List). Così, i sostenitori di questa posizione resuscitano Vesalea, che va ad accogliere le specie messicane prima appartenenti ad Abelia. Poche le differenze, a dire la verità, tra i due generi; le due principali sono le caratteristiche delle infiorescenze, brevi racemi con pochi fiori, da uno a tre; il numero dei sepali, sempre cinque; la disposizione delle ghiandole del nettario. Per noi profani, la differenza pratica più evidente è la diversa rusticità: al contrario delle sorelline asiatiche, le Vesaleae sono poco rustiche. Le specie attribuite al genere sono presumibilmente cinque (ma le differenze tra una specie e l'altra sono sottili); una è piuttosto nota anche nei nostri giardini. Siamo abituati a chiamarla Abelia floribunda; dobbiamo abituarci a ribattezzarla Vesalea floribunda (a meno che si imponga Linnaea floribunda). Comunque la si chiami, è un arbusto di grande bellezza, con eleganti rami arcuati e fiori penduli dalla lunga corolla tubolare rosa acceso (che ci fanno capire perché furono inizialmente commercializzate come fuchsie). Di non difficile coltivazione, devono essere protette dove le temperature vanno sotto zero. Qualche particolare in più nella scheda. |
Se cerchi una persona o una pianta, digita il nome nella casella di ricerca. E se ancora non ci sono, richiedili in Contatti.
CimbalariaAppassionata da sempre di piante e giardini, mi incuriosiscono gli strani nomi delle piante. Un numero non piccolo di nomi generici sono stati creati in onore dei personaggi più diversi. Vorrei condividere qui le loro storie e quelle delle piante cui sono legati. Archivi
September 2024
Categorie
All
|